XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Martedì 14 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione della professoressa Amalia Schiavetti, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I, e del dottor Ivano Iavarone, primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute, nonché della dottoressa Gemma Calamandrei, primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità.
Zampa Sandra , Presidente ... 2 
Schiavetti Amalia , responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I ... 2 
Zampa Sandra , Presidente ... 6 
Iavarone Ivano , primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute dell'Istituto superiore di sanità ... 6 
Calamandrei Gemma , primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 9 
Schiavetti Amalia , responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 9 
Iori Vanna (PD)  ... 9 
Silvestro Annalisa  ... 10 
Prina Francesco (PD)  ... 10 
Mattesini Donella  ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Iavarone Ivano , primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute dell'Istituto superiore di sanità ... 10 
Schiavetti Amalia , responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 12 
Schiavetti Amalia , responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I ... 12 
Zampa Sandra , Presidente ... 13 
Calamandrei Gemma , primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità ... 13 
Zampa Sandra , Presidente ... 13 
Mattesini Donella  ... 13 
Zampa Sandra , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione presentata dalla professoressa Amalia Schiavetti ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 13.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione della professoressa Amalia Schiavetti, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I, e del dottor Ivano Iavarone, primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute, nonché della dottoressa Gemma Calamandrei, primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità.

  PRESIDENTE. Ci scusiamo per lo slittamento d'orario, ma erano in corso votazioni sia al Senato che in alcune Commissioni permanenti. Spero che questo non vi crei problemi.
  L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla salute psicofisica dei minori, l'audizione della professoressa Amalia Schiavetti, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I, e del dottor Ivano Iavarone, primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute, nonché della dottoressa Gemma Calamandrei, Primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità.
  Cedo subito la parola alla professoressa Schiavetti. Seguiranno poi il dottor Iavarone e la dottoressa Calamandrei. Vi pregherei di riuscire ad esaurire i vostri interventi in mezz'ora complessivamente, in modo da avere il tempo per le domande dei colleghi e le risposte.
  Prego, professoressa.

  AMALIA SCHIAVETTI, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I. Buongiorno. Vi ringrazio per l'invito a parlare di questo aspetto della pediatria, al quale ho dedicato più di trent'anni della mia vita. In merito ai tumori infantili in Italia, diciamo subito che abbiamo una percentuale più alta rispetto a tutti gli altri Paesi in Europa. Abbiamo avuto un picco intorno agli anni Duemila, con una crescita di incidenza di questi tumori che è iniziata a partire dagli anni Ottanta fino al Duemila. Da dieci anni, fortunatamente, abbiamo una stabilizzazione.
  Tale dato, al momento, è confortante. Non è, però, un dato omogeneo riguardo al periodo adolescenziale, in cui invece abbiamo un progressivo aumento dell'incidenza di tumori. Di questo poi vi parlerà meglio il collega.
  Vediamo in linea generale la questione, in termini numerici. Quando parliamo di tumore pediatrico, parliamo sempre di una malattia rara per definizione quantitativa. Se guardiamo alla galassia dei tumori in tutte le età, notiamo che solo l'1 per cento è un tumore pediatrico. Se consideriamo Pag. 3anche gli adolescenti, non arriviamo al 2 per cento. Quindi, parliamo di una malattia rara.
  Nonostante la rarità, è la seconda causa di morte in età evolutiva. In termini numerici, significa che in Italia ogni anno ci sono 1.400 nuovi casi di bambini da 0 a 14 anni che si ammalano di un tumore pediatrico e 800 nuovi casi di adolescenti nella fascia tra 15 e 19 anni.
  Quali sono questi tumori e dove vengono curati in Italia? Per quanto riguarda la tipologia, nella fascia da 0 a 14 anni il primo tumore è la leucemia e poi abbiamo il 70 per cento di vari tumori solidi. Questo rapporto cambia in epoca adolescenziale, quando, invece, il primo tumore è il linfoma di Hodgkin.
  Tutti questi tumori vengono curati e trattati in 53 centri, la metà dei quali sono nel Nord Italia, uniti in una rete nazionale molto efficiente, che è stata costituita dall'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP), nata negli anni Settanta.
  Nel Lazio, in particolare, abbiamo due centri di oncoematologia, che uniscono sia le leucemie, sia i tumori solidi. Sono all'ospedale Bambino Gesù e al Policlinico Gemelli, mentre il gruppo statale della Sapienza, dal quale provengo, ha separato il Centro di oncologia pediatrica, che è il mio centro, da quello di ematologia pediatrica, che fa parte dell'ematologia creata dal professor Mandelli.
  In sintesi, nel Lazio abbiamo tre centri accreditati. Il nostro è il primo, che fu creato nel 1968, ancor prima della nascita dell'AIEOP. Se negli anni Sessanta la sopravvivenza era intorno al 30 per cento per questo tipo di patologie, oggi supera l'80 per cento. Questi sono i nostri dati, ma sono gli stessi dati nazionali e internazionali. Questo è un fatto che vorrei sottolineare: dal punto di vista dell'assistenza al bambino con tumore l'Italia può considerarsi un'eccellenza, perché abbiamo dei dati assolutamente compatibili con quelli internazionali.
  Peraltro, il fenomeno della migrazione dei bambini verso l'estero è quasi scomparso. Questi bambini vengono curati bene in Italia. Abbiamo un grafico in cui potete vedere l'aspetto che vi dicevo, ossia l'aumento della sopravvivenza. A partire dagli anni Sessanta notiamo come, piano piano, sia cresciuta sempre di più la percentuale di sopravvivenza.
  Questo sta provocando un fenomeno nuovo, al quale noi ci stiamo adattando e per il quale stiamo cercando delle soluzioni, quello dei pazienti cosiddetti «lungo sopravviventi» o survivor, in inglese. È una brutta parola, che però indica giovani adulti che hanno avuto un tumore in età pediatrica. Se nel 1990 su mille giovani adulti uno era un ex paziente pediatrico, oggi nel 2015 il rapporto era di 1 a 200. Si tratta, quindi, di una popolazione che diventa sempre più numerosa e che ha delle sue richieste e caratteristiche particolari.
  Come siamo riusciti ad arrivare a queste percentuali di sopravvivenza, che sono ottime e bellissime? Io stessa ho visto nel corso della mia vita professionale questo cambiamento. Penso ad alcuni tipi di linfomi, per i quali praticamente la mortalità era quasi certa quando ho iniziato a lavorare e per cui oggi, invece, abbiamo addirittura il 90 per cento di sopravvivenza. Ho potuto proprio vivere questo successo.
  Tale successo è stato ottenuto attraverso un'assistenza globale al bambino oncologico, che segue la filosofia della Carta di Ottawa del 1986 e anche l'enunciato dell'Organizzazione mondiale della salute (OMS) sul concetto di salute. Che significa? Si tratta di un'assistenza globale, di un modello assistenziale ideale, che potrebbe essere tale per qualsiasi tipo di patologia. Quando parliamo di assistenza globale, diciamo che è un'assistenza che prevede l'integrazione di molteplici tipi di interventi, che rispettano i diritti fondamentali dei bambini in ospedale.
  Cominciamo dal primo: un trattamento con un team multidisciplinare. Questo è fondamentale in oncologia pediatrica. L'oncologo pediatra è una specie di direttore d'orchestra, che non potrebbe mai lavorare da solo. La situazione è un po’ diversa dall'oncologia degli adulti, in cui in alcuni centri forse siamo indietro, mentre in quella Pag. 4pediatrica non succede mai che ci sia solo l'oncologo.
  I centri hanno dei prerequisiti fondamentali. L'oncologo pediatra lavora con il radioterapista, il chirurgo pediatra, l'infettivologo, l'anestesista pediatrico, il nutrizionista, lo psicologo e con una serie di figure mediche, ma anche non mediche, per garantire tutti gli interventi psicosociali, educativi e ricreativi, dall'infermiere all'assistente sociale, agli insegnanti. Nel nostro reparto abbiamo la scuola con insegnanti che vengono mandati dal Ministero della pubblica istruzione, i volontari e le associazioni.
  Questo è tanto vero quanto il fatto che proprio recentemente la ministra della salute ha voluto un gruppo di lavoro con un numero ristretto di persone, al quale aderisce anche la mia diretta superiore, la professoressa Clerico, che ha stabilito i requisiti indispensabili perché un centro di oncologia pediatrica possa essere accreditato.
  Ve li ho elencati. Senza che stiamo qui a ripeterli, vedete che deve esserci il reparto di degenza, ma anche il day hospital, l'ambulatorio, il servizio di rianimazione, il servizio trasfusionale e di trapianto e via elencando.
  Altro punto di questi diritti fondamentali riguarda l'accoglienza adeguata in ospedale e il diritto alla privacy. Nel nostro reparto abbiamo stanze singole per tutti i pazienti con una poltrona-letto, in cui il genitore può stare 24 ore e dormire comodamente. Abbiamo la cucina, che i genitori possono usare per cucinare. La stanza può essere personalizzata dal paziente. Ogni stanza ha un bagno privato. È una struttura quasi più bella delle cliniche private.
  Ancora, importantissimo per un bambino malato in ospedale, è lo spazio per il gioco e l'istruzione. Ricordiamoci che i bambini, quando c'è una diagnosi di questo tipo, subiscono una frattura terribile nella loro vita. È molto importante, però, che questi bambini proseguano la loro quotidianità e, per esempio, l'istruzione. Abbiamo quindi la scuola, dove la mattina ci sono gli insegnanti con i bambini, ed anche la sala giochi. Inoltre, l'ambiente deve essere adeguato all'età anche dal punto di vista architettonico, di colori e di oggetti.
  Tra i diritti fondamentali abbiamo anche quello alle adeguate informazioni. Questo è un punto molto delicato nel nostro campo, che rientra nella problematica della comunicazione medico-paziente, che per noi diventa fondamentale. Il problema della comunicazione della diagnosi e della prognosi segue delle linee-guida. Per esempio, deve essere data o dal capo reparto o da un medico responsabile in una stanza separata con tutti e due i genitori. Non solo, bisogna avere empatia, ascoltare le preoccupazioni e non avere pregiudizi. Inoltre, la comunicazione deve essere data anche al bambino, ma non con parole di tipo medico o incomprensibili, bensì attraverso un racconto simbolico. Se poi volete, facciamo anche qualche esempio. A volte è il bambino stesso che fa coraggio agli adulti, ma comunque è protagonista del suo percorso terapeutico.
  Ancora, c'è il diritto alla continuità delle cure. Qui entriamo nella problematica del personale curante. La formazione del pediatra oncologo è lunga e a volte onerosa per la collettività. Non può essere un medico qualunque e non può essere un pediatra qualunque. È un pediatra che si dedica a questo tipo di lavoro, che è particolare. Pertanto, il problema del precariato, della fuga dei cervelli all'estero e del ripiego verso lavori con differente qualifica è ancora più sentito per noi che per altri campi della medicina.
  In più, all'interno di questa problematica vediamo la mancanza istituzionale di figure fondamentali, come quella dello psicologo, in molti dei nostri centri. Tali figure sono poi sopperite con fondi privati. Nel nostro gruppo di lavoro soltanto il 50 per cento è costituito da medici strutturati, mentre il 50 per cento è costituito da precari che lavorano o con contratti, o con fondi privati. Tra questi precari abbiamo anche la psicologa.
  Nonostante questo, la nostra attività è andata crescendo negli ultimi anni. Adesso abbiamo 50-60 casi nuovi l'anno e una capacità di attrarre dalle regioni extra Lazio. Un 20-30 per cento dei bambini proviene Pag. 5 dalle regioni extra Lazio e un 10 per cento anche da Stati extra Italia. Stati che fanno parte dell'Unione europea, come, per esempio, la Romania, spesso si rivolgono ai nostri centri perché nei loro Paesi non c'è uno standard uguale al nostro.
  Abbiamo 12 posti letto, due camere sterili per i trapianti e anche un day hospital che ha un'attività di tutto rispetto. L'occupazione dei letti è sempre superiore all'80 per cento e la degenza media non è alta. Siamo stati riconosciuti dalla Regione come presidio per le malattie rare da cui il tumore di Wilms, il tumore renale più frequente in età pediatrica, e da quest'anno siamo centro di riferimento regionale per le malformazioni vascolari in pediatria, avendo avuto in questo campo un'attività abbastanza pionieristica con l'uso di un farmaco non tossico per malformazioni vascolari a rischio di vita.
  In sintesi, per non andare troppo oltre, qual è la situazione attuale? Non possiamo dire che i tumori infantili siano in calo, ma abbiamo registrato un dato positivo: da dieci anni i tumori infantili 0-14 sono stabili, ma nel nostro Paese sono ancora superiori al resto d'Europa.
  L'eziologia è ancora ampiamente sconosciuta. Abbiamo, ovviamente, degli studi, molti dei quali sono a livello internazionale. Sicuramente le radiazioni hanno un potere cancerogeno, come anche alcuni idrocarburi (il benzene), ma al momento si tratta di studi per i quali possiamo parlare solo di concause. Non c'è una causa unica e definitiva, come potrebbe essere lo pneumococco che causa la polmonite. Per il tumore non abbiamo ancora certezze eziologiche. Sicuramente gli studi epidemiologici sarebbero da ampliare, ma di questo vi parlerà il collega.
  La sopravvivenza a lungo termine è in aumento. Sempre maggiore è la probabilità di guarire. Questo ci porta alla problematica di istituzione di centri di transizione per questi pazienti che sono guariti.
  L'assistenza agli adolescenti è ancora inadeguata. Mentre per la pediatria 0-14 più del 90 per cento viene trattato nei nostri centri, la fascia adolescenziale è una terra di confine tra la pediatria e gli adulti, ragion per cui solo il 25 per cento attualmente viene trattato nei centri di oncologia pediatrica.
  Recentemente questo gruppo di lavoro voluto dalla ministra della salute sull'oncologia pediatrica ha proprio definito che la fascia da 14 a 18 anni è una fascia di età che deve essere trattata nei centri di oncologia pediatrica. Questo perché da studi nazionali e internazionali ormai da anni si conosce che, a parità di patologia, c'è una sopravvivenza più alta se il paziente viene trattato nei centri di oncologia pediatrica rispetto ai centri di oncologia per adulti. Questo tema degli adolescenti è un tema attuale, che si sta definendo e ampliando in questo momento.
  Per quanto riguarda la migrazione, vi ho detto che la metà dei centri è al Nord. Quindi, la migrazione dal Sud al Nord è stata un fenomeno molto accentuato, ma che in questo momento è ridotto. Mentre vent'anni fa eravamo circa al 50 per cento, adesso la migrazione è arrivata a percentuali molto più basse. L'immigrazione per motivi sanitari è, invece, in aumento.
  In sintesi, possiamo concludere che l'oncologia pediatrica in Italia può essere considerata un'eccellenza. I bambini sono curati bene. Abbiamo tre ambiti in cui possiamo migliorare. Ricordiamoci, però, che tutto questo lavoro viene fatto anche con una grande iniziativa privata. Abbiamo le associazioni dei genitori che lavorano molto e che erogano fondi, nonché tante associazioni private. Questo è un elemento da sottolineare.
  Quali sono i tre ambiti che sono in fieri? Uno è l'individuazione di strutture per i soggetti guariti. Dopo trent'anni il 75 per cento ha un problema cronico di salute più o meno importante. Più passano gli anni e più questo problema sembra aumentare. Questo è dovuto sia al tumore stesso, sia alle terapie che hanno effettuato questi bambini, tant'è vero che adesso viene consigliato il Passport for Care, una linea-guida individualizzata di screening, valutazione e programma educativo.
  In alcuni centri, anche italiani, ma soprattutto esteri, sono state create delle strutture proprio per questi soggetti, che non si Pag. 6chiamano più pazienti. Per esempio, in Piemonte è stata creata questa struttura, che viene chiamata di transizione, che prevede quattro figure. Poi, se volete, ne parliamo meglio.
  Ancora, c'è il problema dell'individuazione e della creazione di strutture per le cure palliative e del fine vita. Vi ho parlato dei successi che otteniamo, ma il 18-20 per cento di questi bambini ancora non ce la fa e, quindi, abbiamo bisogno di un'organizzazione per seguirli nella loro fase più drammatica. In Italia sono nati dei gruppi di assistenza domiciliare. Penso al Gaslini.
  Infine, le risorse dovrebbero essere peculiari in oncologia pediatrica in termini di personale dedicato, un po’ come avviene nei Dipartimenti di emergenza e accettazione (DEA), e il rapporto tra curante e paziente dovrebbe essere simile a quello che c'è in una terapia intensiva pediatrica.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Iavarone e poi alla dottoressa Calamandrei, quando ritiene di subentrare a integrazione.

  IVANO IAVARONE, primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute dell'Istituto superiore di sanità. Grazie, innanzitutto, per l'opportunità. Entrerei subito nel merito e prenderei il minor tempo possibile per lasciare spazio ad eventuali domande.
  Come premessa, ringrazio la collega che ci ha preceduto per aver fornito un po’ il quadro generale e aver introdotto il tema dei tumori infantili. È chiaro che, in una situazione in cui abbiamo circa 1.400 nuovi casi di tumori pediatrici l'anno (circa 2.500 se consideriamo anche la classe adolescenziale), quando ci sono situazioni apparenti di attenzione e di allarme basate su un numero ridotto di casi incidenti di tumori infantili, occorre avere la massima cautela affinché ci sia una presa in carico dell'eventuale cluster di malattie che viene evidenziato.
  Per esempio, penso alla casistica di 8 bambini nella «Terra dei fuochi», che è emersa in modo forte dalla stampa negli ultimi giorni. Dico subito che noi riceviamo molte istanze, molte richieste dall'Istituto superiore di sanità di intervento su situazioni concrete locali dove soprattutto i medici di base, ma a volte anche le autorità sanitarie locali o la cittadinanza, segnalano dei possibili aumenti di rischio.
  Devo dire che spesso, quando si prende in carico la situazione e si analizza la distribuzione di questi casi per sede di tumore – per il periodo entro il quale i tumori sono comparsi e sull'area sui quali sono distribuiti – vedendo quanti sono i casi attesi in quell'area rispetto a quelli osservati, si constata una situazione per cui rientra l'allarme, che spesso è guidato da un sensazionalismo della stampa.
  Nella fattispecie della situazione nella «Terra dei fuochi» – entrerei subito nel merito – l'Istituto superiore di sanità già da diversi anni, sulla base della richiesta della legge n. 6 del 2014 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, recante disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate), ha prodotto un rapporto che ha incluso l'aggiornamento della situazione epidemiologica nei 55 comuni definiti «Terra dei fuochi» e ha completato in termini di legge il quadro epidemiologico della popolazione in oggetto.
  È emerso che c'è una serie di eccessi sia della mortalità infantile, sia dell'incidenza tumorale, sia dell'ospedalizzazione per diverse cause. Questo aumento, anche se basato su una incidenza esigua, è importante dal punto di vista della sanità pubblica, perché riguarda la categoria dei bambini, i quali, per motivi etici e sociali, devono ricevere la massima attenzione.
  I bambini sono esposti agli inquinanti presenti nell'ambiente e presentano, a parità dei livelli di esposizione dell'adulto, una più alta dose di inquinanti interna, perché hanno un più alto tasso respiratorio, una maggiore superficie corporea rispetto al volume e sono in una fase di maturazione di molti sistemi e apparati. Quindi, sono più suscettibili all'azione tossica dell'inquinante ambientale. Pag. 7
  Detto questo, dal punto di vista di cancerogenesi, anche se l'Italia rimane tra i Paesi con una più alta incidenza di tumori infantili, sia in età pediatrica, sia in età adolescenziale, la maggior parte delle cause che spiegano questo aumento di rischio non sono ancora conosciute. Questo è soprattutto dovuto al fatto che i tumori infantili, fortunatamente, sono rari e che gli studi epidemiologici hanno una bassa potenza di osservazione. Sarebbe necessario effettuare degli studi su un'ampia area di coorte, come vengono definiti, e avere il tempo di osservazione per vedere gli effetti.
  Allo stato attuale, sulla base dei risultati pubblicati nel Rapporto ISTISAN 15/27, erano stati già evidenziati, soprattutto a carico di tutti i tumori maligni e dei tumori cerebrali, alcuni aumenti di rischio. Sono situazioni che, sebbene si basino su piccoli numeri, richiedono un'attenzione e un approfondimento per l'interesse di sanità pubblica. I bambini vivono nell'ambiente e soprattutto, rispetto agli adulti, che possono essere esposti anche professionalmente a diversi inquinanti, sono come sentinelle dell'inquinamento dell'ambiente.
  È chiaro che, di fronte a questa emergenza di 8 casi, innanzitutto bisognerebbe capire che tipo di sedi hanno i tumori, quando si sono manifestati e in che area, ma anche se alcuni di questi casi avessero una natura più genetica. Ricordiamo, per esempio, che alcune sindromi e alcuni difetti genetici possono portare ad un aumento di incidenza di alcune forme tumorali.
  Il presidente dell'Istituto superiore di sanità ha ribadito che l'Istituto stesso, che si è già preso carico da alcuni anni di analizzare la situazione dei tumori infantili, ma anche della salute in generale dei bambini in queste aree, ha rilevato un aumento del rischio di ospedalizzazione dei bambini per asma nell'età pediatrica nella «Terra dei fuochi». In realtà, il problema riguarda sia i tumori – chiaramente i tumori infantili sono quelli che da un punto di vista di attenzione attraggono un maggiore interesse – sia effetti come le anomalie congenite. Ci sono malattie respiratorie dovute, per esempio, all'esposizione ai fumi degli incendi dolosi che sono attualmente ancora in corso.
  La situazione della «Terra dei fuochi» non ha bisogno di una stima di impatto per ricorrere al processo di bonifica, che deve essere fatta per legge. In realtà, siamo ancora in una situazione in cui l'area non è stata bonificata. Una maggiore attenzione nel fornire dei dati sul potenziale impatto sulla salute è fortemente importante da un punto di vista di sanità pubblica per allocare risorse.
  L'Istituto superiore di sanità rimane a disposizione, come lo è stato negli ultimi anni, per prendere in carico queste situazioni di allarme e approfondirle. Non si può rispondere ogni volta all'emergenza. In un'azione centrale che stiamo svolgendo all'Istituto superiore di sanità, il progetto SENTIERI diventa un progetto di sorveglianza periodica dello stato di salute e dei bambini in queste aree. È necessario produrre delle stime dell'impatto periodicamente, per poter vedere se la situazione rimane stabile, migliora o peggiora. Questo è necessario. L'Istituto superiore di sanità è disponibile, su richiesta della Regione Campania.
  Come ricordava la collega, è vero che, per fortuna, la maggior parte dei tumori infantili ha sopravvivenza elevata, ma l'accesso ai sistemi di eccellenza, ai percorsi di diagnosi, e alla cura e terapia non è uguale in tutta Italia. La regione Campania è una delle aree che presentano alcuni di questi problemi.
  Su un fronte è necessaria la ricerca per capire e stimare se effettivamente situazioni come quella che si è verificata adesso siano allarmi dovuti alla percezione del rischio legittimo, diffuso nell'area, o se rispondano ad un eccesso di rischio. Per fare questo l'unico metodo è quello della rigorosità dell'approccio scientifico-analitico.
  Lascio la parola alla collega, perché, come dicevo, non sono di interesse solo i tumori o l'asma, ma ci sono alcuni altri effetti, come quelli neurologici.

  GEMMA CALAMANDREI, primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità. Buongiorno a tutti e Pag. 8grazie per l'occasione di partecipare a quest'audizione. Io non sono un'esperta di tumori, ma lavoro nel neonato Centro di riferimento per le scienze del comportamento e della salute mentale dell'Istituto superiore di sanità, che ha voluto dedicare specificamente una parte di ricerca, sia clinica, sia sperimentale, nell'importantissimo ambito della salute neuropsichiatrica.
  Noi ci focalizziamo e abbiamo un grande interesse sulla salute psichiatrica in età evolutiva. Nella mia esperienza più particolare mi occupo da anni di effetti dell'ambiente sulla salute e sullo sviluppo del cervello.
  Oggi per noi è scontato pensare che alcuni inquinanti ambientali, come il piombo o altri metalli pesanti, influenzino lo sviluppo del sistema nervoso centrale e del comportamento, ma questa è un'acquisizione relativamente recente, che altri Paesi europei, ma anche gli Stati Uniti, hanno affrontato con studi di coorte completi, che misurano l'esposizione ambientale, le fonti di esposizione e l'esposizione dei bambini e delle loro madri durante la gravidanza, nonché l’outcome di salute a diverse età della vita.
  Questo è un approccio integrato, che è fondamentale, perché, come si sa, il comportamento e l'effetto neurologico – penso anche, per esempio, allo sviluppo motorio di un bambino già a un anno di età – funziona come il canarino nella miniera di carbone, ossia ci rivela che c'è un problema e che c'è un effetto dell'ambiente.
  L'ambiente ha un effetto positivo, ma ha anche effetti negativi. Gli effetti positivi sono quelli dell'arricchimento ambientale, della presenza di un ambiente stimolante e di una buona qualità di vita e di alimentazione. Gli effetti negativi possono essere il maltrattamento, lo stress materno in gravidanza, ma anche l'esposizione subtossica.
  Ricordiamoci questo concetto: non sono soltanto le esposizioni tossiche che possono danneggiare lo sviluppo del cervello, ma può farlo anche un'esposizione ripetuta e prolungata a bassa dose a sostanze con cui entriamo a contatto normalmente, dai pesticidi, nonché molti residui nell'ortaggio e nella frutta di cui il bambino si nutre, fino all'esposizione a metalli pesanti o a particolato nelle nostre città.
  Dunque, l'approccio nuovo integrato che adesso si segue in questi studi richiede che vi sia una considerazione degli effetti sullo sviluppo neuropsicologico che possono essere valutati anche nelle prime fasi di vita. Ci sono dei test validati che sono stati utilizzati anche con studi di coorte in Italia, in zone con un'elevata esposizione a metalli. Penso al Golfo di Trieste, del quale ci siamo occupati negli ultimi due anni con dei progetti europei, e all'esperienza di Taranto.
  L'Istituto superiore di sanità è stato coinvolto in questo progetto dal Ministero della salute sulla valutazione degli effetti neuropsicologici dei bambini che vivono nell'area di Tamburi di Taranto. Quello, se vogliamo, è un esempio virtuoso di approccio a una problematica, perché sono stati valutati tanti fattori, tra cui gli aspetti socioeconomici. Ricordiamoci che la povertà peggiora gli effetti degli elementi ambientali. A parità di esposizione al piombo stanno peggio i bambini che vengono da una famiglia con basso livello di educazione e con scarse risorse economiche.
  Questi aspetti socioeconomici, oltre alle esposizioni, vanno considerati in maniera attenta con disegni complessi di studio. A Taranto si è vista una questione impressionante: non è tanto la vicinanza all'Ilva a fare la differenza, ma il fatto che accanto all'Ilva a Tamburi siano rimaste a vivere soltanto le persone che hanno minori risorse economiche e un minore livello di educazione. Questo vuol dire che il bambino più povero è quello che subirà più profondamente gli effetti di un contaminante ambientale sullo sviluppo del cervello.
  Questi aspetti dobbiamo tenerli presenti quando impostiamo degli studi. Dobbiamo aver presenti anche degli aspetti ambientali in senso lato, come l'alimentazione, la presenza della scuola e di politiche di educazione e di supporto anche alla povertà. Taranto evidenzia che per esposizioni, per esempio, al piombo e ad altri metalli cosiddette sotto soglia, che avvengono anche in altre zone d'Italia, il profilo dello sviluppo Pag. 9 neuropsicologico è più basso per i bambini con livelli di piombo o anche di altri metalli più elevati.
  Questo vuol dire che, a maggior ragione in zone in cui è chiaro ed evidente il livello elevato di inquinamento ambientale, come la «Terra dei fuochi», non solo è fondamentale basarsi sui registri di mortalità e sui registri dei tumori, che ovviamente rivelano delle patologie gravissime e mortali, ma è importante attuare anche degli studi di coorte come è avvenuto in altre situazioni di siti di interesse nazionale inquinati, per capire e rilevare il più presto possibile effetti di salute che sono multifattoriali e che possono impattare gravemente sulla qualità della vita delle generazioni future.
  Credo che questo sia un aspetto importante, perché il cervello è sicuramente l'organo più vulnerabile, per il semplice fatto che comincia a maturare al momento del concepimento. A quindici giorni dal concepimento abbiamo già gli abbozzi degli emisferi cerebrali. Il cervello termina di maturare intorno ai vent'anni di vita. Voi capite che questo vuol dire che la grandissima plasticità di quest'organo, che ha dato alla specie umana la capacità di apprendere, di evolversi e di cambiare l'ambiente in cui vive, è anche il suo lato oscuro, perché comporta l'essere vulnerabili a tanti fattori. Su questi fattori ambientali va concentrata anche l'attenzione, perché la nostra visione della malattia ormai è molto cambiata.
  La maggioranza delle patologie complesse sono multifattoriali. Non possiamo trascurare questi aspetti. Anche il tumore è una malattia multifattoriale. Se non abbiamo la forza e la capacità di mettere insieme tante competenze diverse e di affrontare la salute materno-infantile dall'inizio, rischiamo di perdere la nostra battaglia in Italia, mentre altri Paesi ci stanno già investendo.

  PRESIDENTE. Molte grazie della vostra testimonianza e anche del vostro impegno. Tra l'altro, questa Commissione ha svolto nella passata legislatura un'indagine conoscitiva che ha avuto lungamente ospiti proprio protagonisti sul lato medico e dell'assistenza di Tamburi. Ricordo che l'Associazione nazionale dei pediatri venne a spiegare questo nesso che lei ora richiamava.
  Questa stessa Commissione ha avviato e svolto nel 2013 e concluso nel 2014 un'importante indagine sulla questione della povertà minorile, povertà materiale e povertà educativa. Siamo, quindi, ben consapevoli dell'enorme importanza delle cose che lei stava dicendo.
  Volevo tornare a quello che ha detto il suo collega. In sostanza, ritiene che ci possano essere danni che si formano già quando siamo al feto, che portino poi alla manifestazione di un tumore una volta che è nato il bambino? Per Tamburi questo è noto. C'è la quasi certezza, perché per il numero e per l'incidenza dei casi questo è quanto ci venne rappresentato all'epoca.
  Lei diceva, se ho capito bene, che ci sono ancora troppi pochi casi perché possiamo capire che cosa non funzioni. La domanda è se ci sono danni in fase di concepimento, se ci possono essere stati e se possono ancora manifestarsi.
  Aggiungo, però, che il Parlamento ha votato dei provvedimenti per la bonifica della «Terra dei fuochi» che dovrebbero già essere in corso, sono avviati.

  AMALIA SCHIAVETTI, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I. Sono stati avviati, ma sicuramente ancora non vi è stata la bonifica. Il lavoro è in corso.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi se intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VANNA IORI. Volevo rivolgermi alla dottoressa che ha interrotto il suo discorso su un tema che, invece, è all'ordine del giorno proprio in questo periodo: il fine vita. A me interessa sapere come vi comportate e quali protocolli seguite nel caso delle cure palliative e soprattutto a chi viene affidata la decisione. Ovviamente, nel caso dei minori sarà un adulto, o dipende dall'età? Ci dica come è gestito questo aspetto. Pag. 10
  Vorrei anche sapere che tipo di cure adottate. Immagino non eutanasiche, ovviamente, ma, per esempio, mi interessa tutto il discorso della sospensione dell'idratazione o della nutrizione, che sono le cure più di confine e anche le più dibattute. Mi interessava sapere proprio come questo aspetto viene affrontato in ambito pediatrico, perché anche nel dibattito che abbiamo avuto alla Camera è stato il lato forse più carente di informazioni.
  Sulla «Terra dei fuochi» ha già risposto. La povertà e la povertà educativa come concausa sono dati che tutti conosciamo, credo, e le madri più informate sono anche quelle che espongono di meno i loro figli ai rischi tumorali. Il discorso – è una domanda – non dovrebbe essere rivolto più ai genitori, anche già quando concepiscono, prima ancora della nascita, per prepararli ad una genitorialità che sappia prendersi cura dei figli e, quindi, che li sappia salvaguardare dai rischi tumorali, che sono, come diceva giustamente lei, multifattoriali?

  ANNALISA SILVESTRO. Le vostre relazioni sono state veramente molto interessanti. Mi aggancio a quanto diceva l'onorevole Iori. Dottoressa, lei ci ha fatto una fotografia estremamente interessante della realtà in cui opera. Mi pare di capire, se non ho colto male, che ci sia personale medico in parte stabilizzato e in parte precario, con possibile non continuità di presa in carico. Con il personale di assistenza come siete messi? A me risulta che in questi centri ci siano anche carenze per quanto riguarda infermieri, fisioterapisti e via elencando.
  Mi aggancio all'altra domanda che le volevo fare: nel campo dell'assistenza domiciliare com'è la situazione? Forse non ottimale.
  Rispetto alla questione che poneva la collega Iori, volevo capire anch'io come vi organizzate sul fine vita. Tendete a tenere i piccoli lì, li mandate a casa, li mandereste a casa ma non potete poiché non c'è assistenza? Vorrei capire questo.

  FRANCESCO PRINA. Ringrazio anch'io per l'esposizione estremamente interessante. La mia domanda è molto semplice, perché mi hanno già preceduto le colleghe sul fine vita. Sarebbe importante sapere di quei 1.400 casi annui quanti sono stati causati da fattori ambientali e quanti, invece, da fattori congeniti o comunque di concepimento. Questa distinzione sarebbe interessante.

  DONELLA MATTESINI. Ho solo una curiosità, per mettere insieme quello che ci avete detto voi con le audizioni precedenti. Ci avete informati che gran parte delle strutture sono al Centro-Nord e che sono scarsissime altrove. Molti colleghi hanno più volte sottolineato l'esigenza di aumentarle in misura consistente, in modo tale che tutti i territori possano avere strutture di riferimento.
  Mi domandavo se questo è anche un vostro parere, tenuto conto che altri ci dicono che, in realtà, si tratta di strutture altamente specializzate, che hanno bisogno di una formazione lunga anche del personale. Conviene certamente sanare in alcune parti del territorio quest'assenza. Questa è la prima domanda.
  L'altra cosa che vi chiedo è: con riguardo a tutta la parte delle cure palliative – che naturalmente non appartengono soltanto alla fase finale della vita, perché credo che debbano iniziare fin dal momento della malattia, almeno in alcune tipologie – queste sono poco presenti nel territorio, anche quelle pediatriche, e quindi, al di là delle domande sul fine vita, in quel momento si sta lontano dalla propria terra? Oppure sapete che c'è una rete per cui il fine vita si può fare anche in una struttura vicina a casa o perfino al proprio domicilio?

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica. Decidete voi in che ordine intervenire.

  IVANO IAVARONE, primo ricercatore del Dipartimento ambiente e salute dell'Istituto superiore di sanità. Un aspetto estremamente critico è il periodo prenatale. Abbiamo osservato che c'è un aumento di rischio per tumori maligni e, in alcuni casi, Pag. 11per alcuni tumori del sistema linfoemopoietico e per i tumori cerebrali nel primo anno di vita. I tumori nel primo anno di vita sono veramente una classe a sé stante. Evidentemente riflettono anche esposizioni importanti durante la vita intrauterina.
  In questa fase l'obiettivo è di garantire alle donne in gravidanza, per esempio, la somministrazione dell'acido folico, che riduce altamente il rischio per anomalie congenite. In realtà, si è visto che, nella fattispecie, nell'area studio ciò non viene effettuato in modo sistematico. Ci sono anomalie congenite, per esempio, che abbiamo rilevato possano essere associate anche all'insorgenza di alcuni specifici tumori infantili.
  L'aspetto del rischio è attribuibile e la scommessa è proprio questa: si tratta di riuscire a capire qual è la quota dei nuovi casi annui che ci sono sul territorio nazionale attribuibile ai diversi fattori di rischio. Questa è veramente la più grande complessità della domanda. Nel fare questo, da un punto di vista epidemiologico sul territorio nazionale in tutte le aree contaminate e di interesse nazionale per le bonifiche, stiamo adottando un approccio multi-esito, con attenzione a mortalità, ricoveri ospedalieri, incidenza dei tumori e rischio di anomalie congenite in tutti i bambini, sia nel primo anno di vita, sia in età pediatrico-adolescenziale, ma anche giovanile, fino a 29 anni.
  Stiamo usando questo approccio multi-esito proprio perché ci troviamo in molte situazioni di aree contaminate, come quella della «Terra dei fuochi», in cui c'è uno scenario di esposizione estremamente complesso e variegato, dove le sorgenti e le modalità di esposizione sono multiple, attraverso l'aria, il suolo, l'acqua e la catena alimentare. Le patologie potenzialmente associate sono molteplici. Istituire un sistema di sorveglianza della popolazione infantile in queste aree attraverso la produzione di indicatori sanitari di mortalità, ricovero, incidenza e rischio è un sistema che ci permette di fotografare la situazione nel tempo e anche di indirizzare l'attività di bonifica.
  Laddove l'approccio funziona, se rispetto alla popolazione di riferimento, che può essere regionale, di macroarea o nazionale, c'è una riduzione di questi eccessi, anche senza sapere quali siano i singoli fattori di rischio che hanno concorso a generarli – spesso sono concause – vediamo che il profilo di salute migliora, questo è sicuramente il feedback più importante per indirizzare le azioni mirate.

  AMALIA SCHIAVETTI, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I. Le domande sono state varie. Rispondo all'ultima, quella semplice, che chiedeva sui 1.400 casi nuovi quanti possono essere attribuiti alla genetica e quanti all'ambiente.
  La genetica influisce soltanto per il 5 per cento. Quindi, i tumori che sono collegati alla genetica che noi conosciamo, come malformazioni o sindromi genetiche, come la Beckwith-Wiedemann, sono una piccolissima percentuale. Tutto il resto rientra in fattori di rischio. Sui tumori non c'è un discorso di causa-effetto, ma parliamo di fattori di rischio, che attualmente non conosciamo perfettamente.
  Sappiamo molte cose che ci vengono anche dal passato. Le radiazioni sappiamo perfettamente che sono un fattore di rischio determinante. Abbiamo avuto Hiroshima e Nagasaki. Non ci serve di più per sapere che sono cancerogene. Molti altri fattori non li conosciamo. Ovviamente, le indagini epidemiologiche vanno approfondite e devono essere fatti degli studi molto raffinati anche con analisi multivariata.
  Il tema che mi sembra più importante è stato questo delle cure palliative e del fine vita. Intanto si usano i termini «cure palliative» e «cure terminali» come sinonimi, ma non sono la stessa cosa. Spesso la cura palliativa è più importante nel fine vita, ma la cura palliativa, cioè la cura del dolore, ovviamente la facciamo sempre.
  Per quanto riguarda il fine vita, è un tema estremamente delicato nel campo nel quale lavoro. Ci sono alcuni Paesi in cui, come sapete, è stata approvata l'eutanasia anche per i tumori infantili. Noi ovviamente non interveniamo con l'eutanasia, e Pag. 12nemmeno con la sospensione delle cure. Trattiamo questo paziente con tutta la terapia di supporto che abbiamo a disposizione, ossia l'idratazione, le terapie trasfusionali, la terapia del dolore e tutto ciò che può alleviare il fastidio e il dolore per il bambino. Tutto questo non lo interrompiamo mai.
  Ovviamente, quello che sospendiamo è la chemioterapia, decidendolo con i genitori, perché non avrebbe senso. Il momento è molto delicato e difficile. Ci sono delle famiglie che desiderano il trattamento a oltranza, perché pensano che magari venga fuori una terapia innovativa in quel momento. Noi cerchiamo sempre di lavorare insieme, cioè di prendere una decisione condivisa, anche cercando di capire quello che vuole il bambino. Da un punto di vista di atteggiamento pratico supportiamo fino alla fine.
  Per quello che riguarda il dove – questo era il tema che non ho fatto in tempo a trattare – è un tema molto importante in questo momento. Ci sarebbe bisogno di una rete di assistenza domiciliare anche per il minore. Sappiamo che, più o meno, in Italia è stato considerato che circa 10.000 minori hanno bisogno di cure terminali. Circa un terzo, o comunque sicuramente una bella fetta, riguarda il bambino oncologico.
  Il punto è questo: l'assistenza domiciliare è attivata da molti centri spesso con fondi o privati, oppure da fondazioni, qualche volta da fondi regionali. Non so in Emilia-Romagna, ma il centro che ha più esperienza in questo senso è il Gaslini di Genova. Anche il Bambino Gesù ha attivato un'assistenza domiciliare. Noi non abbiamo né i fondi, né il personale e questo, ovviamente, è un problema che si pone, a volte; ci regoliamo caso per caso.
  Personalmente sono contraria agli hospice per il paziente pediatrico, perché la famiglia ci chiede sempre un vissuto, se possibile, a casa; ovviamente, però, con tutto il supporto che può fornire una struttura medica.
  Per quanto riguarda il personale, ho fatto l'esempio del gruppo medico, in cui il 50 per cento è precario e il 50 no, ma anche da un punto di vista infermieristico rileviamo sempre una carenza. Quanto alle altre figure, spesso dobbiamo pagarle con fondi privati. Oppure nel nostro caso, poiché facciamo parte di un'università, di un grande Policlinico, abbiamo la possibilità di appoggiarci a delle figure per adulti. Per esempio, abbiamo un servizio nutrizionale che è di tutto il Policlinico. Per quanto ci riguarda, la carenza di fondi per l'assistenza domiciliare è evidente, come anche per le altre figure.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto. Forse ci sono delle specificità che riguardano, in questo caso, il Policlinico, ma è emerso da tutte le altre audizioni un forte concorso al sostegno e addirittura all'integrazione di figure spesso da parte di fondazioni private o associazioni nate, di solito, da genitori – è così quasi ovunque – che concorrono al pagamento, per esempio, per la presenza di uno psicoterapeuta o per l'assistenza psicologica, ma anche per qualche borsista di ricerca o per qualche assegnista.
  Devo dire che questo è un modello che non può essere considerato soddisfacente. Dove non c'è, non si può lasciare che semplicemente non ci sia e che, quindi, manchi. Andrebbe fortemente incoraggiato e incentivato – è evidente anche l'impatto economico – magari dando la possibilità alle associazioni di essere aiutate e sostenute, cosa che, invece, purtroppo, mi sembra di capire non avvenga.
  Abbiamo visto città in cui l'ospedale immaginato e progettato per il bambino o la corsia ospedaliera non ci sono e il bambino viene ricoverato in un ospedale per gli adulti. Se non ricordo male, Palermo è un caso di questi, ma ne abbiamo visti anche altri. C'è una difformità molto grande, ma quasi ovunque c'è questo concorso importante.

  AMALIA SCHIAVETTI, responsabile del day hospital UOC Oncoematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Roma «La Sapienza» – Policlinico Umberto I. Le associazioni di volontariato sono fondamentali e ci sostengono in maniera importante. Quello che penso, però, è che non si dovrebbe Pag. 13 esagerare in questo senso. Per esempio, la nostra psicologa, pagata con fondi privati dell'associazione, quanto tempo potrà stare in questa situazione di precariato? Ritorniamo poi alla problematica della continuità delle cure, perché questo personale, ad un certo punto, non ce la fa più a essere precario e ad essere pagato poco da questi fondi privati che, di volta in volta, cambiano. Ben vengano, quindi, le associazioni, ma non si può pretendere che facciano proprio il compito di altri.

  PRESIDENTE. Siamo d'accordissimo. La pensiamo allo stesso modo. Aggiungo anche che ci sono zone d'Italia in cui è più facile, per ovvie ragioni, raccogliere contributi ed altre aree in cui è impossibile e, quindi, si infierisce sempre sugli stessi territori.
  Vorrebbe aggiungere qualcosa?

  GEMMA CALAMANDREI, primo ricercatore del Centro di riferimento scienze comportamentali e salute mentale, dell'Istituto superiore di sanità. Ho ricevuto una domanda della senatrice Iori sulla genitorialità. Tornando sull'origine prenatale di molte patologie – a parte i tumori, ce ne sono anche altre – oggi l'autismo, che per anni è stato attribuito alle «mamme frigorifero», sappiamo che è il risultato di un'interazione tra vulnerabilità genetica in gravidanza, modificazioni dello sviluppo del cervello che avvengono già nella fase prenatale e fattori scatenanti i più variati, perché potrebbero essere l'infiammazione materna, una malattia in gravidanza della madre con un aumento di infiammazione, così come il contaminante ingerito tramite la dieta materna. Quella parte dello sviluppo è il primo momento di cui prendersi cura con politiche di prevenzione.
  Purtroppo, tornando alla «Terra dei fuochi», le zone più contaminate sono spesso anche quelle in cui arrivano meno i servizi, si fa meno prevenzione e le donne sono meno informate. Giustamente, la domanda riguardava la genitorialità. I comportamenti corretti e gli stili di vita della madre fin dal concepimento possono cambiare la prospettiva della traiettoria di sviluppo del bambino che la donna porta in grembo e poi la sua vita successiva. È ovvio, però, che, se riusciamo ad arrivare con l'acido folico, con l'informazione in gravidanza in relazione alle infiammazioni e con strutture dove si partorisce che siano strutture sicure e in cui esista un monitoraggio in gravidanza e successivamente anche un'informazione adeguata sullo stile di vita e sulla nutrizione della madre, facciamo già un gran lavoro. Ci sono delle situazioni, però, in cui, se gli stili di vita sono corretti ma si continua ad assumere l'acqua con cui viene irrigato l'orto del nonno, un'acqua profondamente contaminata, perché magari vi passa la faglia inquinata dalla discarica abusiva della camorra, è molto difficile agire. È ovvio che lo stile di vita può migliorare la prognosi di quel bambino nella sua vita, però, se non bonifichiamo si può fare ben poco.
  Ci sono abbastanza indicazioni in quella zona per sapere che bisogna intanto bonificare. Dopo di che bisogna capire qual è la relazione di causa-effetto tra i vari contaminanti ambientali e le patologie, perché è importantissimo per le informazioni sugli stili di vita e per le informazioni che si possono fornire ai cittadini, i quali hanno paura. Le reazioni sono anche naturali. Dobbiamo pensare che non abbiamo bisogno di altre prove per intervenire in alcune zone del nostro Paese.

  PRESIDENTE. La senatrice Mattesini chiede nuovamente la parola.

  DONELLA MATTESINI. Chiedo scusa ai nostri ospiti e li ringrazio per la presenza. È una questione che riguarda l'organizzazione.
  Le chiedo, presidente, e lo chiedo anche agli uffici – lo dico con amarezza, perché questa Commissione va avanti solo per la presenza dei componenti del Partito Democratico, da troppe sedute non c'è nessuno degli altri Gruppi – di fare un Ufficio di presidenza la prossima settimana (glielo chiedo in modo molto chiaro) ed eventualmente anche di segnalare ai Capigruppo di Camera e Senato che sostituiscano le persone che non vengono, perché questo non è giusto e non è corretto. Pag. 14
  Stiamo facendo anche oggi audizioni importanti. È veramente uno spreco. Potrebbero esserci tanti altri colleghi interessati. Ci vogliamo occupare in modo veramente serio del tema, anche perché dalle audizioni poi traiamo delle conclusioni che dovrebbero diventare azione trasversale in Parlamento, ma, se la trasversalità non c'è, il nostro lavoro ne risente.

  PRESIDENTE. Io sono in palese conflitto di interessi, ragion per cui sicuramente non commento quello che lei ha detto. Tuttavia, sarà mia cura trasmettere questa richiesta. Penso anch'io che i Capigruppo vadano informati.
  Vi ringraziamo veramente. È stata un'audizione importante per noi. I testi dei vostri interventi verranno messi a disposizione di tutti, anche di quelli che non c'erano, per chi vorrà, perché vengono anche pubblicati sul sito. Come vedete, sul tavolo davanti a voi ci sono gli interventi di audizioni di sedute precedenti a questa.
  Noi stiamo concludendo questa indagine conoscitiva. Immagino che vi interesserà conoscere il documento finale, dal quale speriamo che venga anche assunto un qualche orientamento.
  Tra l'altro, a questo proposito, voglio ricordare, soprattutto ai colleghi, che il 28 febbraio dovrebbe essere audita la ministra Lorenzin, che in realtà non chiude l'indagine conoscitiva – abbiamo ancora due o tre sedute – ma di fatto ne conclude questa parte, che ha riguardato la disabilità e l'oncoematologia.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.10.

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ALLEGATO

Documentazione presentata dalla professoressa Amalia Schiavetti

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