XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Giovedì 18 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ E IL DISAGIO MINORILE

Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio, Francesco Alvaro.
Zampa Sandra , Presidente ... 2 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio ... 2 
Zampa Sandra , Presidente ... 6 
Zanin Giorgio (PD)  ... 6 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lazio ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
Bertorotta Ornella  ... 8 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio ... 9 
Bertorotta Ornella  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 9 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 9 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio ... 10 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 10 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio ... 10 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 10 
Iori Vanna (PD)  ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Alvaro Francesco , Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 14.05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio, Francesco Alvaro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Francesco Alvaro, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Rivolgo un saluto di benvenuto e un ringraziamento al Garante, ricordando ai colleghi che questa audizione avviene nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile, che è ormai in fase di conclusione. Ci accingeremo presto a predisporre il documento conclusivo, che poi dovremo discutere e sul quale dovremo pronunciarci.
  Mi scuso con il dottor Alvaro per l'assenza di alcuni colleghi, dovuta al fatto che, – come sicuramente saprà – sono in corso le votazioni per l'elezione dei componenti il Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale, nonché altri lavori che si sovrappongono ai nostri in altrettante Commissioni. La complicazione dell'agenda rende difficilmente gestibili gli orari dei nostri impegni, tuttavia, della sua audizione sarà redatto un resoconto stenografico che verrà poi distribuito, come di consueto, a tutti i commissari e pubblicato on line sul sito della Commissione.
  Molto volentieri le do la parola per conoscere la sua opinione sul problema oggetto della nostra indagine, cioè della povertà minorile, sia materiale che educativa, che ci è già stato rappresentato come molto grave e progressivamente in via di peggioramento. Do la parola al dottor Alvaro per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Ringrazio per l'invito. È la seconda volta che vengo audito in Commissione. L'altra volta ho avuto modo di rappresentare l'ambito di intervento del Garante regionale, che ovviamente si distingue molto dall’Authority nazionale, con cui abbiamo dei rapporti costanti. Tra l'altro, coordino le altre figure di Garanti regionali, nell'ambito della Conferenza prevista dalla legge. Da quando ho avuto il mandato (siamo all'ottavo anno, quindi sono già in prorogatio) mi sono sempre interessato dei problemi riguardanti i minori fuori dalla famiglia e vi confesso che non è molto facile, a fronte della scarsità di risorse che si hanno, fare dei dossier puntualmente, ogni sei mesi oppure ogni anno (in realtà, per questo motivo, se ne fanno ogni due anni, anche perché lo scostamento è di leggera entità per quanto riguarda le indicazioni più importanti).
  Nel dossier, nel momento in cui si dice quanti ragazzi sono in famiglia e quanti sono ospiti delle comunità educative nel Lazio, si fanno una serie di Pag. 3riflessioni basate sull'analisi dei reports che ogni comunità è tenuta per legge ad inviare alla procura della Repubblica presso il tribunale dei minori. Inoltre, il dossier elenca i motivi per cui un minore viene allontanato dalla famiglia, quali sono le condizioni generali, qual è la condizione della famiglia stessa, chi fa ciò, che prospettiva c’è di rientro in famiglia e così via.
  Da questo report emergono molte cose con una certa pesantezza, che è stata quasi sempre rappresentata in sede di conferenze stampa, anche presso il tribunale per i minorenni. Ci sono, infatti, evidenti situazioni che richiamano il ricovero in comunità o l'allontanamento dalla famiglia, per una percentuale inizialmente attorno al 7-8 per cento di casi, che si riferiscono a una condizione di povertà, ovvero a una criticità di tipo economico più che di tipo relazionale.
  Questo non sembrava un dato molto importante rispetto alle altre tipologie di motivazione che portavano al ricovero, però, negli ultimi due o tre anni, questo 8 per cento è diventato 16 per cento. È vero che la classificazione sembra un po’ troppo generica, però è anche vero che è altrettanto generica quando ci si riferisce alla conflittualità genitoriale. Infatti, nell'ambito di una ricerca sulla conflittualità genitoriale, che ho condotto insieme all'Università La Sapienza, con la cattedra della professoressa Malagoli Togliatti, è stata riscontrata sempre, in una dimensione territoriale, la scarsità di strumenti atti a intervenire su situazioni del genere.
  Dal punto di vista dei provvedimenti della magistratura, gli adulti configgono, a volte per anni, ma il primo provvedimento è l'allontanamento del minore in comunità. Si registrano quelle situazioni che ha descritto molto bene Pupi Avati nel dramma, che pochi riescono comprendere, di ciò che avviene la prima notte che si sta fuori dalla famiglia. A me un'esperienza del genere è capitata quando avevo 26 anni ed ero militare, ma posso dire che, mutatis mutandis, riportata a un'età infantile, questa cosa ha delle ripercussioni incredibili. È chiaro che gli altri elementi riguardano un problema di relazioni compromesse, di conflittualità e di inadeguatezza del nucleo familiare a portare avanti il proprio ruolo di genitori.
  Una cosa veniva in evidenza e l'abbiamo sempre sottolineata in più di un convegno ed io posso dirvi ciò anche in virtù della mia esperienza nel sociale, poiché sono stato fino a qualche anno fa il direttore dei servizi sociali del comune di Roma. Il ricovero in comunità, fino a qualche anno fa, assorbiva quasi il 90 per cento delle risorse titolate come pagamento rette, a fronte di un margine ristretto di altri interventi che potevano andare incontro a una politica di prevenzione e in ogni caso incontro a una politica di sostenimento del nucleo familiare. Un'inversione di tendenza avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatto che è difficile portare avanti un rapporto e mettere al centro i propri figli in una strategia di crescita, di educazione e di autonomia quando mancano le risorse essenziali per tirare avanti. Rimaniamo sempre in questa situazione. Faccio sempre un esempio che mi è capitato più di una volta: quest'anno mantenere tre fratelli in comunità costa circa 7.000 euro complessivamente; una madre fa la colf e, quando gli dice bene, guadagna 700-800 euro, mentre noi mettiamo tre fratelli in comunità con il rischio del dissesto finanziario. Infatti, 7.000 euro per un piccolo comune non sono una cosa da niente. Non è soltanto un fatto ragionieristico: se tu dai 1000 euro alla famiglia, probabilmente, questa si assume una maggiore responsabilità per quanto riguarda la crescita dei figli. Il problema è che, tutto sommato, c’è un utilizzo distorto e datato del modulo ricoveriale, che si rifà ai tempi della controriforma. Da allora ad oggi, le azioni più evidenti sono state di due tipi: o interventi di tipo ricoveriale, o sussidi. Insomma, si cura poco, anche se, ovviamente, ci sono le eccezioni. Tra queste voglio mettere in evidenza la realtà del comune di Roma.
  Si curano poco le risorse sul territorio. Noi sul territorio abbiamo un'abbondanza Pag. 4di figure professionali pregiate. Si tratta di affidare loro una progettualità che, con un quinto delle risorse che destiniamo all'assistenza convittuale, possa elaborare progetti che siano di sostegno al nucleo.
  Il minore non può essere visto come un pesciolino rosso in una vaschetta isolata, ma deve essere visto in relazione con l'ambiente familiare, relazionale e affettivo. Se si isolano questi due mondi, non si sa più la fine che faranno. Nel report che ho redatto ci sono situazioni di lunga presenza. A volte in cinque minuti si mette un ragazzino in comunità e lo si dimentica. Spesso non si fa neanche in tempo ad elaborare una diagnosi di abbandono per attivare una procedura preadottiva; intanto, però, il minore sta lì, perché anche i tempi della magistratura sono spaventosi. Intanto, quindi, il ragazzino sta lì e aspetta. Passa il tempo, muta lo scenario della sua affettività e, alla fine, egli sta bene in comunità, ma ha cambiato tutte le prospettive della sua esistenza: si sposa, va con i figli a trovare la comunità, la suora e il direttore, e stabilisce una diversa trama di affetti. Nel frattempo, però, noi – per quanto mi riguarda l'ho sempre detto e me ne assumo la responsabilità – abbiamo compiuto una violenza istituzionale. Questo è ciò che accade a volte, non sempre. Chi ci autorizzava a non fare tutti i tentativi possibili, che non erano legati al reperimento di nuove risorse ? Anzi, il punto stava proprio nella ricerca di un diverso utilizzo delle stesse. Io che ci ho lavorato per cinquant'anni, posso dire che nel settore del sociale di attività di spreco ce ne sono ancora tante, anche se c’è la crisi. Se rinunciassimo a qualche «attività di pennacchio», più legata all'organizzazione del consenso, a favore di interventi che vanno invece a modificare le situazioni, probabilmente le risorse che ci sono, anche se poche, potrebbero dare una risposta molto più consistente di quella che si ha adesso.
  Io parlo sempre bene della legge n. 285, che è stata la prima legge di sistema, quella che ha messo in relazione le varie parti della società civile, le varie componenti istituzionali e i diversi piani di intervento sul territorio. Questa legge, che è una legge di sistema ed è la prima che ha dato indicazione su come si dovrà lavorare in uno scenario diverso. È una legge del 1997 ed inizialmente è andata bene perché, tra l'altro, aveva il pregio di essere una legge finanziata (si portava i soldi dietro). Soltanto la città di Roma ha potuto realizzare 147 progetti, che rispetto alla dicotomia dell'intervento ricovero-sussidio, erano stati uno strumento formidabile per trovare sul territorio quelle idee e quella progettazione che rappresentano la materia prima della cultura del sociale. Questi sono i primi strumenti per affrontare i temi della solitudine e della povertà, senza ricorrere agli strumenti classici e più scontati, del tipo «vieni da me e ti risolvo tutti i tuoi problemi».
  Io continuo a svolgere questo monitoraggio sui minori della comunità, unitamente anche alla ricerca, che è necessaria, sui temi che riguardano la condizione della famiglia. La famiglia che io vedo è quella che passa attraverso le aule dei tribunali.
  Ho letto molto attentamente l'audizione della dottoressa Cavallo, con la quale collaboriamo su tutti i fronti. Domani avrò un convegno, sempre al tribunale, su una ricerca fatta da quattro regioni, Lazio compreso, sulle metodiche di affidamento ai servizi sociali in materia di minori. Ogni tribunale ha la sua storia, una sua procedura, un suo modo di fare. Gli interlocutori privilegiati non sempre hanno lo stesso tipo di approccio. Viene il sospetto che qualche cosa, per quanto riguarda il modo di affrontare determinate crisi di relazioni, possa essere fatto, in modo che non ci siano grandi disparità tra Nord e Sud, tra Sud e Centro e così via. Questo è quello che risulta dalla ricerca portata avanti da quattro regioni. Inoltre, sarà esibita una ricerca a livello nazionale, presentata anche dal dottor Spadafora prima dell'estate. Questo è un atteggiamento che va Pag. 5seguito. Infatti, non si può fare un intervento soltanto perché ci piace: bisognerebbe invece approfondire gli aspetti e vedere quali sono le risorse possibili.
  Mi viene da dire una cosa molto semplice. Tanti parlano, anche in maniera retorica, del valore del volontariato eccetera. Io a Latina, ma per qualche tempo anche ad Aprilia, ho aperto un centro di ascolto per l'infanzia a costo zero. Ho fatto il giro delle operatrici che lavorano nelle ASL e nei comuni e ho chiesto loro tre o quattro ore a settimana. Ho fatto una piccola banca del tempo, ho raccolto questa lista e ho organizzato questo centro, che è stato aperto: prima non c'era, adesso c’è ! Non ci sono risorse, però la risorsa umana è una risorsa ! Tutto sommato, se tu sai sollecitarla e cercarla, la gente lo fa volentieri.
  Per la regione Lazio ho trovato circa 250 tutori volontari. Non so se avete presente cosa significa avere un ragazzo in difficoltà. Per prima cosa si apre una tutela, che molto spesso viene affidata al sindaco. Il sindaco di una città come Roma non ha la possibilità di seguire i mille ragazzini di cui è titolare come tutore. Di conseguenza, egli li affida ai servizi sul territorio, che nel corso degli ultimi anni hanno subito un arretramento in termini di organici, in termini di contratti e in termini di continuità della azione sociale.
  Per questa ragione, capita che pochi assistenti sociali si dedichino al minore, essendo più orientati ad altre fasce evolutive. Capita, per esempio, che un assistente sociale abbia una quarantina di soggetti sotto tutela: pensate che abbia il tempo di andarli a trovare tutti ? Il discorso è che ci si dimentica del singolo bambino. Sembra pesante, ma non è un fatto voluto, bensì un fatto determinato da una difficoltà concreta.
  Ho creato 250 tutori volontari, seguendo un po’ la scia del Veneto, che per me, da sempre, è rimasto un punto di riferimento. Pensate che il Veneto ha emanato la legge sulle tutele cinque anni prima della Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e ha in seguito elaborato le linee guida. Costoro sono stati un punto di riferimento importante.
  A questo proposito, anche il discorso delle buone prassi deve avere un fondamento molto solido. Non è una vergogna andare a vedere se gli altri hanno fatto meglio una cosa rispetto a quello che hai pensato o hai proposto tu, anzi dovrebbe essere un valore. Devo dire che loro sono arrivati a 1.000 tutori, ma fanno ciò da più di 25 anni. Per tre anni ho fatto un po’ il giro dei paesi, ho organizzato corsi di formazione di 70-72 ore e ho formato un albo regionale di tutori che vengono messi a disposizione della magistratura minorile. Infatti, l'utilizzo, poi, lo decide il magistrato che fa gli abbinamenti. Tutto viene fatto a livello rigorosamente volontario. Se un tutore va a trovare un ragazzo, prende l'autobus e non gli viene neanche rimborsato il biglietto !
  Esiste nel nostro mondo una realtà profondamente diversa tra chi non esce di casa se non viene pagato e chi fa le cose importanti in maniera assolutamente gratuita. Probabilmente, bisognerebbe trovare delle situazioni di mezzo, perché comunque è innata questa disponibilità a fare qualcosa che sia importante e utile per gli altri. Duecentocinquanta tutori sono un patrimonio, ma un patrimonio che non si può lasciare invariato. Nella nostra realtà se ti fermi, non c’è l'omeostasi: o si va avanti o si torna indietro !
  Pertanto, anche la formazione, i progetti e i servizi devono avere quella che i meccanici chiamano «la manutenzione». Se non la fai, la macchina si ingrippa. I servizi vanno visti con la manutenzione e l'atteggiamento critico: in un dato momento c’è una percezione di un certo stato dei bisogni e c’è una modalità di risposta; dieci anni dopo, questa cambia. Quello che facevamo per la tossicodipendenza quindici anni fa, vale poco o niente oggi. Si sono evoluti gli interventi e le dinamiche e c’è una riflessione, anche sui contenuti, di tipo epistemologico ed esperienziale. Tuttavia, Pag. 6questo è l'atteggiamento ricorrente. Vi ringrazio. Se ci sono domande, sono a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie per le cose che ha detto e anche per le cose che ha fatto. Sappiamo che lei è in prorogatio. Conosciamo il suo lungo impegno negli anni a favore delle politiche per l'infanzia e della tutela dei minori. Ciò che lei stigmatizzava nella prima parte del suo intervento, cioè il ricorso all'affidamento alle comunità e ai servizi, è un tema che è emerso. La mia opinione personale, però, è che si stia correndo il rischio di mettere insieme due cose che tra loro hanno poco a che fare. Un tema è se si fa ricorso al ricovero o all'affidamento presso le comunità, perché la famiglia si sta impoverendo e a questo impoverimento spesso si accompagnano altri fenomeni di instabilità della coppia o della famiglia e si è sotto pressione. In questo caso, certamente, pensando che il costo di tre minori fuori dalla famiglia è di 7.000 euro, si può immaginare che cosa si può fare invece aiutando la famiglia. A questo proposito, è stata molto importante un'audizione che abbiamo svolto con la fondazione Zancan, in cui si mostrava che la soluzione non è il sostegno economico alla famiglia, cioè la monetarizzazione del tema, perché spesso ci sono famiglie che non riescono a mettere a profitto dei propri bambini ciò che si riceve. L'investimento più fruttuoso, invece, è quello su una rete di servizi che interviene su tutto il versante del fenomeno, dall'isolamento alla povertà educativa. Peraltro, il tema andrebbe affrontando con delle politiche di prevenzione di questi fenomeni. Altro caso, invece, è quello degli affidamenti a fronte di violenze familiari. Mi preoccupa molto che anche i media seguano questa deriva: quello è un altro tema ! Mettendo insieme le due cose, rischiamo di fare anche noi un po’ di confusione. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO ZANIN. Grazie per questi appunti, che sono evidentemente una traccia di indirizzo complessivo nell'approccio al tema. Gli investimenti sul territorio e il richiamo alla legge n. 285 sono chiaramente dei punti di riferimento attorno a cui, sul documento a cui accennava la presidente Zampa, dovremmo fin da ora orientarci come traccia (Perlomeno, io mi sento molto sintonizzato su questo). Purtuttavia, ritengo fondamentale porle una questione. Io vengo da un territorio non cittadino, ovvero dalla provincia pordenonese, nel Nord-Est, dove le condizioni sono assolutamente diverse. L'idea relativa a dove mettere il denaro e in quali proporzioni dipende anche da un nocciolo: non occorre agire secondo la logica aut-aut, ma evidentemente secondo la logica et-et. Vorrei sapere, quindi, secondo la sua esperienza, qual è il margine delle spese di comunità in percentuale rispetto ai casi, pensando, da un lato, di applicare forme di investimento in termini di prevenzione e, dall'altro, in termini di modalità operative.
  Lei parlava di professionalità pregiate (ha usato proprio questa idea). Io conosco una parte del personale del mio territorio e le voglio confermare questa percezione: c’è un personale assolutamente qualificato, che forse il nostro Paese conosce poco. Per fortuna, è un tema che sta ritornando all'attenzione, a partire dalle questioni riguardanti la scuola, che evidentemente sono intrecciate con questo.
  Io le chiedo, sulla base della sua esperienza e della sua rete di contatti, quale può essere una stima al di sotto della quale, ragionevolmente, non si deve andare nell'allocazione delle risorse per queste strutture, che spesso – non lo dimentichiamo – sono frutto di pezzi di quella vocazione portati con l'elastico fino alle estreme conseguenze. Mi riferisco a quella generosità dei volontari di cui ha parlato. Infatti, sappiamo bene che queste strutture in molti casi vivono sulle spalle di alcuni soggetti che hanno fatto delle scelte di vita molto impegnative. Penso che non possiamo dimenticare questo. Spesso alle spalle ci sono anche investimenti in strutture: una volta che si Pag. 7parte con una filiera di investimenti e si mettono a posto case, ambienti e realtà, che sono a disposizione, ci sono delle persone che mettono la loro vita in gioco su questi progetti. Io credo che dare un segnale di bilanciamento in questo senso, forse, sia più importante. Mi pare di aver capito che il suo non è un aut-aut, bensì un et-et, per cui le chiedo di essere puntuale su questo, per quanto nelle sue possibilità.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Alvaro per la replica.

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Innanzitutto, vorrei rispondere alla considerazione del presidente. Io mi rendo conto che ogni qual volta faccio riflessioni di questa natura, corro il rischio di uno schieramento irrazionale a favore o a sfavore. Io posso solo dire che ho fatto l'educatore per 25 anni. Ho cominciato con i figli dei minatori che morivano di silicosi in Sardegna e poi con gli scugnizzi napoletani. Devo dire che devo molto a questo tipo di esperienze e a questo tipo di approccio, se non altro per un senso di realtà che sarà pure molto freudiano, ma che però è una base di partenza importante. Rischio di essere travisato e di essere visto come quello che è contro gli istituti: non è così. Sono opere, iniziative ed esperienze incredibili, che hanno un solo limite: molto spesso si affidano al carisma del fondatore. Ricordo Don Nello di Tivoli e tanti altri, per non risalire a Don Bosco. Una volta che il fondatore non c’è più, nella migliore delle ipotesi queste esperienze diventano fotocopie. Non si riesce a sistematizzare l'esperienza del fondatore e a farne un sistema per crearne uno sviluppo, richiamando altri allo stesso principio. Chi ha studiato un po’ la pedagogia, si rende conto che questi riferimenti sono importanti, però è anche importante il fatto che, di fronte a situazioni del genere, è difficile essere sereni. Mi sono portato i dati sui minori stranieri non accompagnati. Viene da chiedersi se sia questo il modo migliore per affrontare questa situazione.
  I ragazzi stanno due giorni nei centri, poi scappano e li trovi al Brennero. Sono ragazzi che a diciassette anni hanno un vissuto da uomini adulti. Spesso vengono dal Medioriente e ci mettono due anni e mezzo ad arrivare, con esperienze incredibili.

  PRESIDENTE Quando gli diamo un posto !

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lazio. Quando gli diamo un posto. Quest'anno, fino a settembre, ci sono stati 1.221 casi a Roma. L’annus horribilis è stato il 2012, con 3.182 minori.
  Assieme a Save the Children ho fatto una ricognizione delle condizioni di questi minori nelle comunità. Erano quattordici strutture e si parla di un'accoglienza di 100-150 persone, con al massimo una quarantina di minori. Complessivamente sono state accolte 950 persone. Ci sono 150 persone solo nelle caserme. Tuttavia, come si fa reggere rinchiusi per mesi, aspettando un qualcosa che non si sa se arriva o non arriva, ma che comunque non arriverà in tempi brevi ? Queste strutture diventano delle polveriere incredibili. Così è difficile fare qualsiasi progetto educativo !
  Io immagino le comunità come dei centri dove si espande l'effetto di questa professionalità pregiata. Ai miei tempi si chiamavano «coordinatori» oppure «educatori»; molto spesso avevano una bassa formazione professionale, ma facevano solo un'attività di contenimento. Chiaramente le motivazioni sono le più infinite e non le si può ricondurre soltanto a un tipo di progetto. Probabilmente bisognerebbe abituarsi a fare per ogni minore un progetto. Noi parlavamo di un intervento di tipo individualizzato: è questo che intendevo.
  Inoltre, manca una cultura dell'accoglienza. Sono stato 35 anni con i nomadi. Durante questi 35 anni, esclusi gli ultimi cinque che ho trascorso con il mio sindaco Veltroni, posso dire che non c’è mai stato un welfare per quanto riguarda la Pag. 8popolazione rom. Per tanti anni si davano cassonetti e bagni chimici. Ovviamente, la parte più pulita del campo era il cassonetto, perché nessuno ci buttava niente dentro ! Quando si è cominciato a pensare a modelli di accoglienza è successo di tutto. Qualche esperienza è riuscita, qualcuna meno, ma anche lì è venuta meno la continuità. Il limite dei sistemi territoriali è proprio quello: per quattro anni c’è uno stile di intervento, un investimento in termini formativi o altro, poi non c’è più nulla. Basta che si muovono due o tre pedine e si ritorna indietro: Su questo non c’è verso.
  Tuttavia, resta sempre un dubbio: sto facendo bene ? Quello che succede nelle nostre città in questi ultimi tempi fa pensare che abbiamo perso ogni possibilità di intervento. Per quanto riguarda i nomadi, il discorso non è semplice. Non si può andare all'ingrosso su certe analisi e su certe modalità di intervento, perché è gente che da millenni sa come sopravvivere e come superare alcune situazioni. Molto spesso l'integrazione, che per tanti anni è stata una nostra bandiera, a loro dice poco o niente.
  Per il resto, la ringrazio della domanda. Sono profondamente d'accordo: andrebbe fatta un'analisi molto più ragionata, ma questo riesce meglio se il territorio si arricchisce di servizi e di interventi; se di fronte al tema della conflittualità, che coinvolge un gran numero di soggetti, il nostro sistema consente di intasare le aule dei tribunali per tanti anni con costi per la collettività, senza pensare agli effetti che nel frattempo si sono prodotti sul minore, il quale è rimasto in comunità, probabilmente bisogna pensare a suggerimenti come quello che faceva la dottoressa Carter: in America non funziona così se tu confliggi, ti risolvi il conflitto a tue spese e poi il magistrato interviene, una volta che l'agenzia o le persone interessate hanno mostrato un minimo di credibilità per quanto riguarda il loro ruolo.
  Molto spesso discuto con la magistratura minorile perché potrebbero usare lo strumento della decretazione più verso gli adulti che verso i minori. Anche in questo caso, però, è una frase. Poi bisogna andare a vedere la pratica. Io conosco tutti questi soggetti e sono le persone che in prima fila mi aiutano e mi stanno vicino per la formazione dei tutori volontari. Devo dire che anche il loro è un lavoro ingrato, un lavoro di frontiera. Probabilmente, ci sono dei limiti che riguardano un po’ tutti: c’è un limite di organico, c’è un limite di strumenti eccetera. A volte attiviamo la politica della sussidiarietà e ci veniamo incontro: uno compra i giocattoli per la sala d'attesa dei bambini, l'altro lo aiuta a sistemare. Ci si aiuta tra di noi, anche per quanto riguarda il discorso della formazione a titolo gratuito.

  PRESIDENTE. C’è la richiesta di intervento di altre tre colleghe. Ricordo a tutti che qualche minuto prima delle 15 dobbiamo chiudere per le votazioni in Assemblea.

  ORNELLA BERTOROTTA. Grazie, dottor Alvaro. La ringrazio per la relazione. Anch'io ero un'educatrice di minori a titolo esclusivamente volontario, quindi sono stata nei quartieri ghetto della mia città. Io vengo dalla Sicilia, da Catania, dove avevamo dei primati in questo senso. È un lavoro interessantissimo, che purtroppo molti di noi hanno dovuto abbandonare, perché è chiaro che non ci si può mantenere con questo tipo di strutture che vengono sottoposte a convenzioni con il comune, che poi spesso non vengono rinnovate. Una famiglia che si deve sostenere non può dedicarsi per mesi e mesi a questa attività, quindi, nostro malgrado, abbiamo dovuto lasciare. Per queste ragioni, c’è un turnover continuo e anche il lavoro ne risente.
  Vorrei sapere se, secondo lei, in Italia abbiamo una struttura male organizzata. Tutto o quasi è demandato nelle mani delle assistenti sociali e dei giudici, per quello che possono fare. Questi assistenti sociali, nonostante la buona volontà, come diceva anche lei, spesso si devono occupare di tanti altri settori e i minori Pag. 9vengono un po’ tralasciati. Spesso, il loro lavoro deve limitarsi all'aspetto burocratico più che all'aspetto sociale. Mi chiedo se non sia il caso di proporre qualcosa, anche con un minimo di investimento in più, per far sì che questi assistenti siano supportati da altre figure. Peraltro, la figura del garante non c’è in tutte le regioni. Per esempio, in Sicilia mi pare che non ci sia.

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Siamo otto o nove ! Ogni regione ha la sua legge istitutiva.

  ORNELLA BERTOROTTA. Esatto. Tra l'altro, non so se voi andate a fare dei controlli sul campo e a vedere i singoli casi. A me arrivano delle segnalazioni, però anche io, come membro di questa Commissione bicamerale, non ho il potere di andare a controllare le comunità alloggio, le strutture, oppure le decisioni prese o le relazioni delle assistenti sociali. Sono comunque essere umani e, quindi, possono in alcuni casi indovinare e in altri casi essere sviati da pressioni, oppure errare. Non sarebbe il caso di chiedere, per esempio, che questa Commissione – ho presentato una proposta di legge in tal senso – possa estendere i suoi poteri anche sul versante ispettivo, che possono servire ? Certo, noi in venti non potremmo fare chissà cosa, però ci sarebbe una figura autorevole rispetto a queste questioni.
  Inoltre, si potrebbero controllare un po’ di più le spese di queste comunità-alloggio. A me arrivano segnalazioni di spese enormi. Come diceva lei, si spende di più per l'investimento in personale, in strutture e in affitti che per quello che realmente si può fare con i ragazzini che si possono aiutare.
  Io sono del parere che l'affido sarebbe la chiave di volta. Occorre riuscire a far sì che l'affido venga incentivato e non diventi una disponibilità delle famiglie solo per l'aspetto economico. Io so che in alcune regioni molti soggetti prendono i ragazzini – anche alcuni film l'hanno documentato – solo per avere quel sussidio. Bisogna riformare un po’ questo aspetto.
  Qualche mese fa mi sono documentata sulla questione delle baby squillo nel quartiere Parioli di Roma. Mi chiedevo fino a che punto lei, in qualità di Garante, se ne è occupato, se è una cosa che è stata affidata solamente ai giudici oppure se questo fenomeno è stato un po’ più approfondito. Io credo che sia il caso di cominciare a vedere quali sono le devianze di un'adolescente. Vediamo dai servizi sulle discoteche cosa succede. Questo fenomeno è nuovo. Si è passati da certi tipi di droghe ad altri tipi di atteggiamenti e di dipendenze. Vorrei sapere se non ritiene che si dovrebbe intervenire in quel senso.

  PRESIDENTE. Riferivo al dottor Alvaro che c’è un'indagine conoscitiva in corso sul tema della prostituzione minorile. Senza meno la materia che è stata sollevata darebbe spunti per stare qui diverse ore.

  VITTORIA D'INCECCO. Io vorrei farle i complimenti per la disponibilità e la generosità che mette nel suo lavoro che forse – mi riallaccio al discorso della collega – manca nelle strutture che si occupano direttamente dei bambini.
  Anch'io voglio denunciare la mancanza di sensibilità che a volte c’è nei servizi. Io non credo che ci sia soltanto una mancanza di tempo. Le persone che si occupano di elargire i servizi non mettono quel qualcosa in più di personale che a volte basterebbe per sistemare le cose senza ricorrere ai ricoveri.
  Dico questo perché io sono stata assessore alle politiche sociali e a volte mi dovevo sostituire agli assistenti sociali, perché c'era troppa rigidità nel loro comportamento nei confronti di un servizio che dovevamo esprimere.
  Racconto l'episodio di un bambino allontanato dalla mamma e dal padre, tolto direttamente dalla scuola senza avvertire i genitori soltanto perché la maestra aveva notato un livido sul viso e restituito ai genitori addirittura dopo tre o quattro mesi, senza dare loro la possibilità Pag. 10di vederlo. Quel bambino è stato rovinato per sempre. Ancora adesso lui ha dei problemi psicologici, ha dovuto fare psicoterapia (lo so perché è un mio paziente) ed è stato difficilissimo recuperare un po’ della sua serenità. C’è un contenzioso in atto – i genitori giustamente si sono rivolti al magistrato – che adesso sta per concludersi. Probabilmente ci saranno delle sanzioni, non solo per la maestra, ma anche per i servizi sociali.
  Sono molto d'accordo sull'istituzione dell'albo per i tutori, perché, anche in quell'occasione, ho dovuto prendere tutte le tutele sulla mia persona, perché le assistenti sociali non vogliono fare ciò. Parlano di troppa responsabilità e non se ne vogliono occupare. La tutela è un'attività molto impegnativa. Si tratta addirittura di andare a riscuotere le pensioni di alcuni soggetti affidati.

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Curarne il patrimonio.

  VITTORIA D'INCECCO. Sì, curandone il patrimonio. Io, ancora adesso, faccio ciò perché non ho potuto restituire la tutela di uno di loro, che si era talmente affezionato a me da pregarmi di rimanere sua tutrice. Effettivamente, non è una cosa facile. Sarebbe una buona cosa se si istituisse in tutte le regioni un albo di tutori. Ci sono persone di buona volontà e capaci. Se non sei una persona che si occupa di economia, devi affidarti a degli esperti, facendo spendere risorse al tutelato, perciò sarebbe utile che ci fossero delle persone esperte.
  Sulla legge n. 285 sono molto d'accordo: è stata la migliore legge che potessimo avere. Mi auguro che...

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Siamo a un terzo rispetto alla dotazione iniziale !

  VITTORIA D'INCECCO. Per quanto riguarda i rom sono d'accordo. Innanzitutto bisognerebbe trovare un modo per poterli istruire e poi istituire delle occasioni di lavoro, perché ci sono anche dei bambini che vogliono uscire da quella condizione, mentre a volte i genitori non glielo permettono. Bisognerebbe che noi Stato intervenissimo anche su questo.

  VANNA IORI. Io rinuncio alle mie domande perché il tempo che abbiamo a disposizione è ormai pochissimo. Mi limito a una sottolineatura. Lei ha parlato di professionalità pregiate. Ciò che è pregiato spesso è fragile. Credo che sia molto importante attivare delle modalità di sostegno verso chi aiuta, siano i volontari, sia i professionisti. Occorre sostenere costoro anche nella motivazione. Infatti, quando si hanno troppe responsabilità – lo diceva la collega D'Incecco – e quando si ha a che fare con delle esistenze così complesse, è molto difficile staccarsi. Mi limito solo a questa sottolineatura: c’è il grande bisogno di individuare delle modalità di sostegno alle persone che svolgono queste attività pregiate.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Alvaro per la replica.

  FRANCESCO ALVARO, Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Lazio. Cercherò di essere velocissimo. Parto dall'ultima questione. Io uso il termine «pregiate» perché intendo figure formate nelle tecniche della relazione (assistenti sociale, psicologi, educatori eccetera), con tutta una miriade di sfaccettature che vi lascio immaginare. Infatti, sulla formazione non c’è solo la sede universitaria, ma ci sono anche la Regione, iniziative private eccetera. Per «pregiate» intendo anche uno scenario diverso, che riguarda i servizi delle istituzioni verso i cittadini.
  Io sono arrivato al comune di Roma. Allora il comune faceva soltanto certificati e contravvenzioni. Quando siamo arrivati con lo scioglimento degli enti di categoria, quindi con la legge n. 616, tutto un universo si è riversato sugli enti locali. La gente non conosceva neanche il linguaggio e non sapeva come trattare l'utenza. Ci ha aiutato molto la presenza Pag. 11di queste figure, che avevano un background e una sensibilità di fondo, le quali dovevano contrastare un altro tipo di cultura burocratica, leguleia e priva d'anima. Inizialmente, non è stato facile contrastarla.
  Perché questo insistere sugli interventi alternativi ? Circa venti anni fa mi è arrivato un decreto del tribunale che mi imponeva il ricovero in istituto di cinque fratelli. Senza fare tante elaborazioni di tipo progettuale, istintivamente ho vissuto questa notizia come una cosa che volevo evitare. Infatti, anche se entrano tutti in istituto, non è detto che i fratelli crescano assieme: uno viene adottato, uno viene affidato, uno cambia istituto man mano che cresce: c’è una diaspora incredibile. Pertanto, ho chiamato il presidente di una cooperativa e gli ho detto: «io ho i soldi per pagare le rette, però per fare qualcosa di diverso non ho una lira; ti va di scommettere su un intervento alternativo al ricovero ?» Quello c’è stato e così è nato ciò che oggi a Roma, con un acronimo molto brutto, si chiama SISMIF, il Sistema di intervento a sostegno della famiglia, che funziona ancora a scartamento ridotto.
  Rispondendo alla sua domanda, fare un progetto è rischioso, perché ti porta a delle responsabilità incredibili. Ognuno è tentato dal trovare la scorciatoia e tante volte lo si fa sulle spalle degli altri. Tuttavia, così è nato il progetto e così si può sviluppare. Oggi come oggi, a Roma, il numero di minori che stanno in assistenza tipo SISMIF è quasi pari al numero di minori che stanno in comunità. C’è voluto molto tempo e, probabilmente, bisognerebbe investire molto di più, perché un elemento importante di tutto il sistema è dato dalla formazione costante. Non si può andare avanti solo con la formazione curricolare o scolastica: ci vuole qualcosa che ogni giorno ti richiami, ti riprenda e ti metta di fronte a dei problemi, che ti spingano a trovare i sistemi più efficaci e a portare dei cambiamenti alla situazione.
  Per il resto, sono d'accordo con quello che lei dice e vedo una certa colleganza tra gli argomenti. L'affidamento è una delle leggi più difficili che si potessero pensare. È una legge che richiama in maniera kantiana la morale degli angeli. Per avere un affidamento corretto si deve avere una disponibilità di servizio incredibile e non è così, soprattutto nel Meridione.
  Ti danno un ragazzino e questo diventa tuo. Passano mesi, questo ragazzino cresce ed è difficile che tu entri nella logica di dire «sto facendo un pezzo di strada con questo ragazzino, ma lo faccio insieme alla madre». Come prima reazione, se la madre è una prostituta o spaccia, la prima persona che viene scansata è lei. Pertanto, già viene meno il principio, molto illuminato e molto umanistico, della vicinanza a tutta la famiglia del ragazzino di cui bisogna farsi carico. Questa legge ha avuto un'integrazione con la legge n. 149. Ci sono, però, molti magistrati orientati ad approcci diversi.
  Inoltre, è difficile anche rispettare i tempi dell'affido: da due o tre anni, questi diventano cinque o sei. Quando si va a intervenire dopo cinque o sei anni, il minore è già alla soglia della maggiore età o perlomeno in piena adolescenza: a chi lo dai, lo riporti in istituto ?
  Dal punto di vista procedurale, è una legge che io mi sentirei di difendere, però bisognerebbe investire molto di più, perché questi casi vanno visti uno per uno e devono essere oggetto di una metodica di lavoro condiviso con altre persone.
  Io vedo che la differenza a volte si gioca da città a città, da équipe a équipe. Si lascia molto spazio a interventi che magari non sono coesi o non sono condivisi con altre realtà. Riguardo al problema delle baby squillo, in ufficio ci arrivano tante segnalazioni. Molte arrivano al dottor Spadafora e lui le passa a me, per l'atteggiamento sussidiario che abbiamo. Tuttavia, molto spesso sentiamo una sola campana, che è quella di chi in qualche modo si sente leso da un comportamento, da una sentenza o da un Pag. 12decreto. È difficile avere davanti a te tutti i soggetti o lo scenario completo di una situazione difficile.
  Per quanto riguarda il discorso delle squillo, mi sono capitati pochi casi, anche se basta leggere i giornali e aggiornarsi sulla cronaca. Questi sono casi molto più frequenti. A livello di tribunale dei minori, è una casistica, non dico sterminata, ma molto consistente. Qualche tempo fa c'era il problema delle cubiste ragazzine, che trovavi nelle discoteche, dove poteva accadere di tutto.

  PRESIDENTE. Le rinnovo il nostro ringraziamento e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.