XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Martedì 6 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ E SUL DISAGIO MINORILE

Audizione di rappresentanti dell'associazione Agevolando.
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 3 
Zullo Federico , presidente dell'associazione Agevolando ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 5 
Zullo Federico , presidente dell'associazione Agevolando ... 5 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8 
Pergher Denise , consigliere nazionale dell'associazione Agevolando ... 8 
Zullo Federico , presidente dell'associazione Agevolando ... 11 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 11 
Zullo Federico , presidente dell'associazione Agevolando ... 12 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12 
Zullo Federico , presidente dell'associazione Agevolando ... 12 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 12 
Scuvera Chiara (PD)  ... 12 
Zullo Federico , presidente dell'associazione Agevolando ... 13 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 14 
Gasi Merita , vicepresidente dell'associazione Agevolando ... 15 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ROSETTA ENZA BLUNDO

  La seduta comincia alle 13,50.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'associazione Agevolando.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile, l'audizione di rappresentanti dell'associazione Agevolando. Sono presenti con noi Federico Zullo, presidente, Merita Gasi, vicepresidente, Denise Pergher, consigliere nazionale, e Nasim Mohamad, volontaria dell'associazione. Do la parola a Federico Zullo, presidente dell'associazione.

  FEDERICO ZULLO, presidente dell'associazione Agevolando. Buongiorno, vicepresidente e membri della Commissione. Vi ringraziamo per l'invito e per aver offerto l'opportunità alla nostra associazione e ai ragazzi di portare qui, in un contesto così rappresentativo, le proprie preoccupazioni e il proprio pensiero.
  Agevolando è un'associazione nata a Bologna nel 2010, che ha sedi in diverse città d'Italia ed è frutto dell'idea e dell'impegno di chi ha vissuto direttamente l'esperienza di tutela e di accoglienza in contesti alternativi alla famiglia d'origine: comunità, casa famiglia e famiglia affidataria. È la prima associazione in Italia dedicata, ideata e avviata da ex ospiti di tali contesti, come noi quattro.
  Tre sono i principali obiettivi di Agevolando: offrire un supporto ai giovani adulti, sia membri che non, che escono dal percorso residenziale, promuovendone la partecipazione individuale; condividere le esperienze personali e sostenersi vicendevolmente attraverso il mutuo aiuto e la partecipazione collettiva; creare una rete di soggetti ed enti tra i portatori di interessi in questo ambito di intervento.
  Siamo più di 150 associati, di cui circa 50 ex ospiti di contesti residenziali fuori famiglia e famiglie affidatarie. Alcuni dei soci sono professionisti nell'ambito dei servizi sociosanitari, dell'educazione, della psicologia e dei diritti umani. Tale particolarità permette all'associazione di avvalersi di un approccio multidisciplinare, in grado di accompagnare i vari processi attraverso il supporto delle competenze professionali necessarie. Altri ancora sono cittadini che non lavorano nel sociale, ma che scelgono di dare il loro aiuto per i ragazzi di cui ci occupiamo, ovvero giovani di età compresa tra i 16 e i 26 anni, usciti o in uscita da percorsi fuori famiglia.
  A livello generale, in Italia oggi i giovani stanno vivendo un momento molto critico e delicato. Si parla infatti di giovani che hanno perso le motivazioni, le passioni, la fiducia in se stessi e nel futuro, e che vivono di relazioni virtuali, episodiche e fini a se stesse. Si parla oggi di un passaggio epocale a un'era di povertà, dove i giovani sono indotti a non avere fiducia Pag. 4nel futuro, con una prospettiva di affitti a costi inaccessibili, contratti di lavoro senza sicurezza e senza stabilità e via dicendo.
  Secondo alcune ricerche, l'ambito più problematico per il passaggio all'età adulta in Italia risulta essere proprio la permanenza prolungata dei giovani nelle loro famiglie d'origine. Ciò non sorprende, perché i dati sulla disoccupazione giovanile non possono far altro che consolidare questo dato.
  Se questa è la situazione generale dei giovani adulti nel nostro Paese, per circa 3.000 di loro ogni anno non è così. Noi ci occupiamo di ragazzi che vivono o hanno vissuto fuori famiglia. Molti di loro sono vulnerabili e fragili. Altri, pur più solidi e intraprendenti, scontano l'impossibilità di un rientro in famiglia e la necessità obbligata di diventare autonomi molto presto.
  Come potete vedere dalla breve rassegna bibliografica che vi abbiamo consegnato, la situazione di questi giovani in Italia è sempre più un'emergenza: manca il lavoro, manca l'abitazione e, anche quando essa c’è, i costi per mantenerla non sono alla loro portata. Sono ragazzi che spesso si trovano, da un giorno all'altro, completamente soli, mentre fino al giorno prima vivevano con altri ragazzi e con educatori, operatori, volontari e famiglie che li seguivano e sostenevano.
  Per offrire benessere e sicurezza ai nostri giovani più vulnerabili, è doveroso comprendere la necessità di finalizzare gli interventi di tutela, affinché non solo si possa garantire completezza alla soddisfazione dei bisogni irrinunciabili che provengono dalle storie drammatiche di questi ragazzi, ma anche rendere efficaci ed efficienti i costi sostenuti.
  Vicepresidente e membri della Commissione, i costi di un mancato intervento nella direzione di un efficace accompagnamento all'autonomia di un giovane che esce da un percorso di tutela e non rientra in famiglia, rischiano, per lo Stato italiano, di essere molto più alti di quelli che si sarebbero potuti sostenere intervenendo al momento giusto.
  Infatti, le conseguenze che possono esserci da questa assenza di supporto sono talvolta drammatiche, come possono testimoniare molti dei ragazzi che gravitano attorno alla nostra associazione: povertà cronica, devianza, delinquenza, tossicodipendenza, psicopatologia. Queste sono conseguenze di un nuovo abbandono, che con il tempo causano l'avvio di interventi sociali, sanitari e giudiziari, con costi economici ben più elevati di quelli che dovremmo e potremmo sostenere subito dopo la fase successiva all'uscita dai percorsi di accoglienza, in affido, in comunità o in casa famiglia.
  Si tratta di percorsi a volte iniziati molti anni prima, con allontanamenti avvenuti quando il giovane era ancora un bambino. Spesso, purtroppo, i tentativi diversi fatti per proteggerlo e tutelarlo si sono dimostrati fallimentari e hanno causato continue interruzioni di percorsi e una sommatoria devastante di abbandoni relazionali, ovvero affidi e adozioni fallite, espulsioni ripetute da comunità o case famiglia eccetera.
  Ci si trova pertanto con giovani profondamente provati dal loro percorso di vita, che devono mettersi nelle condizioni di raggiungere la propria autonomia in brevissimo tempo. Ancora più assurdo è il fatto che talvolta lo debbano fare da soli, perché la comunità e gli educatori non ci sono più, perché l'assistente sociale non c’è più, o non ha più la possibilità di aiutarli per mancanza di risorse. Tutto ciò è emblematico di un sistema farraginoso e paradossale.
  L'ingresso di un bambino o di un adolescente in un percorso in comunità o casa famiglia corrisponde all'avvio di un intervento che presuppone azioni e attenzioni dirette a sostenerne una crescita e uno sviluppo armonici e dignitosi, in discontinuità con le pregresse esperienze trascuranti e traumatiche sperimentate nel contesto familiare di provenienza.
  Esso si configura come un intervento protettivo e ripartivo, che deve saper cogliere i bisogni del minore nella loro complessità e nella loro specificità, ma che allo stesso modo deve anche saper riconoscere, Pag. 5promuovere e valorizzare le risorse presenti, attraverso un'analisi approfondita e mirata della persona, della sua famiglia, del suo sistema parentale e del suo contesto culturale e sociale di provenienza.
  Quando la situazione familiare è talmente compromessa da non permettere una sua recuperabilità, occorre definire un progetto di accoglienza residenziale di medio-lungo periodo. Occorre anche definire quali siano le azioni da mettere in campo, affinché la conclusione del percorso non corrisponda all'inizio di un nuovo disagio: il disagio del neomaggiorenne neoabbandonato.
  Se anche fosse possibile un rientro in famiglia, in ogni caso occorre programmare un progetto che permetta di mantenere la presa in carico da parte del servizio sociale anche dopo il compimento del diciottesimo anno. Infatti, molti ragazzi, ad un certo punto, trovandosi in un ambiente familiare ancora difficile e destrutturato, fino a quel momento non adeguatamente sostenuto e supportato, rischiano di finire nel circuito della devianza e del penale o del disagio cronico, poiché non riescono a convivere in quel contesto.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  PRESIDENTE. Saluto i nostri ospiti, che ringrazio per avere accettato il nostro invito di oggi, e mi scuso con loro per il mio ritardo dovuto a un disguido sull'orario della convocazione. Dal punto di vista degli impegni parlamentari, stiamo tutti vivendo giornate particolarmente complicate alla Camera ed è questo il motivo per cui molti dei membri che compongono la Commissione non hanno potuto partecipare ai nostri lavori di oggi, la loro presenza essendo richiesta presso altre sedi. Questo mi dispiace molto, ma essendo l'audizione di oggi completamente registrata, le garantisco che, non appena sarà disponibile, il suo intervento verrà trasmesso anche a tutti gli altri commissari. Ciò premesso, la invito a continuare il suo intervento.

  FEDERICO ZULLO, presidente dell'associazione Agevolando. La ringrazio. Stavo relazionando rispetto alla situazione dei neomaggiorenni che escono dai percorsi fuori famiglia, siano essi la comunità o l'affido.
  Dopo uno, due, tre o più anni di accoglienza, infatti, durante i quali sono state messe in campo enormi risorse, sia relazionali che economiche, ci troviamo con ragazzi che tornano nel disagio – neoabbandonati – e che vivono nelle terre di nessuno, perché non c’è più nessuno che si occupa di loro: i servizi li hanno abbandonati, la famiglia è ancora abbandonica e trascurante, la scuola fa parte del passato e il lavoro non c’è. Così, rimane solo il gruppo degli amici, fatto di giovani spesso altrettanto problematici e purtroppo altrettanto devianti.
  Presidente e membri della Commissione, stiamo assistendo a una drastica riduzione degli investimenti e delle risorse a favore di progetti per neomaggiorenni. A nostro avviso, occorre un intervento dello Stato e confidiamo nella vostra sensibilità e attenzione.
  Su questo delicatissimo tema, a conclusione della mia relazione, sentiremo – ciò potrà completare, anche per lei, le argomentazioni che ho riportato prima – la voce diretta dei ragazzi più giovani con cui ci siamo confrontati in questi venti giorni prima di venire qui. Sentiremo, dunque, il punto di vista dei ragazzi, che ci sarà relazionato brevemente dal consigliere nazionale Denise Pergher, che è al mio fianco.
  Ci terrei, invece, a dire qualcosa sulle comunità e sulle case famiglia. Il tema, negli ultimi tempi, è stato trattato in modo inappropriato e spropositatamente lesivo, non solo del sistema di accoglienza in generale, ma anche della dignità e dei sentimenti di migliaia di bambini e ragazzi, i quali hanno trovato in quei contesti protezione, cura, relazioni calde e Pag. 6significative, delle ragioni per le quali potersi sentire amati e poter credere che degli adulti ci si possa fidare.
  In collaborazione con Terra dei piccoli onlus di Roma, l'anno scorso abbiamo svolto un'indagine, sottoponendo un questionario a 68 ragazzi ex ospiti di comunità e case famiglia, chiedendo loro cosa ne pensassero dell'intervento ricevuto sotto diversi aspetti: l'ambiente, le persone, il supporto ricevuto per l'istruzione scolastica, il supporto ricevuto sotto l'aspetto psicologico e il supporto ricevuto dopo la conclusione dell'intervento.
  Il giudizio dei ragazzi è stato positivo o più che positivo, con medie intorno al punteggio di 8 su 10, per quanto riguarda l'immobile e gli educatori; abbastanza positivo per quanto riguarda il supporto scolastico e psicologico; e negativo per quanto riguarda l'aiuto ricevuto dopo.
  Sappiamo che esistono casi di mala accoglienza, ma siamo anche convinti che essi siano una minoranza. Riteniamo che qualora si riscontrassero episodi di maltrattamento grave e trascuratezza da parte di operatori e familiari accoglienti nei confronti di bambini e adolescenti accolti, sia doveroso intervenire tempestivamente e con durezza, anche a costo di chiudere una struttura.
  Non è accettabile che possano esservi esperti dell'accoglienza – tali devono essere coloro che accolgono, famiglie incluse – che agiscono con azioni violente, trascuranti o maltrattanti, anche solo dal punto di vista psicologico, nei confronti di coloro che dovrebbero proteggere. Questo succede nelle famiglie d'origine ed è per questo che veniamo, giustamente, allontanati; succede nelle famiglie adottive, ed è per questo che assistiamo a adozioni che falliscono; succede nelle famiglie affidatarie, ed è per questo che assistiamo ad affidi che falliscono. Quando succede nelle comunità o nelle case famiglia, non solo è necessario offrire al bambino o al ragazzo un contesto alternativo e realmente protettivo, ma è doveroso punire i responsabili di quanto avvenuto.
  Come ripeto, si tratta di casi eccezionali ed è per questo che chiediamo a questa Commissione di prendere in considerazione la possibilità di intervenire affinché i media la smettano di trattare tematiche e fatti così delicati solo ed esclusivamente per interessi di audience, generalizzando sconsideratamente con derive ideologiche e lesive dell'interesse superiore dei bambini e degli adolescenti accolti, i quali hanno il diritto di essere considerati come tutti gli altri e non visti – questo succede dopo, di conseguenza – come delle povere vittime abbandonate nelle case famiglia. Questa non è la realtà, almeno per quanto finora conosciamo e di cui abbiamo avuto esperienza diretta.
  Accanto a ciò, è doveroso lavorare anche per la riduzione del numero degli allontanamenti, facendo un lavoro di prevenzione fin dalle prime fasi di difficoltà di una famiglia.
  Allo stesso tempo, è altrettanto doveroso, sul piano pratico, allontanare con determinazione e tempestività quei minorenni che nel loro contesto familiare subiscono gravi maltrattamenti. Se è auspicabile che ogni bambino o adolescente allontanato possa essere accolto in una famiglia, è doveroso assicurare la presenza di presìdi residenziali specializzati, capaci di offrire un sostegno esperto a quei bambini e ragazzi che hanno subìto eventi altamente distruttivi e per i quali l'accoglienza in una famiglia sarebbe un intervento, perlomeno in quel momento, non adeguato.
  Occorre, insomma, superare definitivamente ogni possibile deriva ideologica che, fornendo ricette precostituite e contrapponendo le varie forme di accoglienza (affido, comunità, casa famiglia eccetera) e di intervento, dimentichi di vedere il bisogno reale e autentico, assicurando a ciascun bambino o ragazzo un intervento adeguato alle sue specifiche esigenze.
  Occorre sempre investire sulla prevenzione, poiché, come evidenziato da uno studio condotto da Terre des hommes e CISMAI, ciò permette risparmi significativi, non solo in termini sociali, ma nel medio-lungo periodo anche in termini economico-finanziari. Basti pensare che i costi annui diretti e indiretti causati dal Pag. 7fenomeno del maltrattamento dei minori in Italia si aggirano intorno ai 13 miliardi di euro, pari all'un per cento del PIL.
  Una delle principali forme di prevenzione dei maltrattamenti di domani – per questo è importante la cura – è curare oggi, in modo adeguato, i bambini e gli adolescenti maltrattati, affinché non diventino loro in futuro degli adulti maltrattanti. Per fare questo occorre investire anche sulla formazione di persone esperte.
  Il Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, durante la Conferenza nazionale sull'infanzia di Bari, ha detto in modo molto chiaro che occorre emanare linee guida nazionali sulle comunità di accoglienza per minori. Occorre, in particolare, definire standard nazionali omogenei delle comunità, che permettano di differenziare e valorizzare i diversi modelli di accoglienza. Urge, infatti, la presenza di un nomenclatore unico delle comunità, che chiarisca cos’è una comunità educativa, cos’è una comunità familiare e cos’è una famiglia con multiutenza, e che chiarisca anche quando e perché offrire risposte specialistiche ai minori, e quando e perché offrirgli relazioni e legami stabili, nonché di condivisione diretta con una famiglia residente nella comunità.
  Urge la necessità di una legge nazionale che faccia ordine, nel senso di definire criteri standard minimi, in modo tale che non ci si trovi con contesti che assomigliano a dei piccoli istituti, che abbiamo abolito il 31 dicembre 2006 con la legge n. 149 del 2001, e che non ci si abbassi sotto a dei livelli minimi di decenza per poter offrire interventi appropriati e adeguati a bambini e ragazzi.
  Per fare questo, occorre il contributo delle istituzioni, del privato sociale, dei professionisti del settore, dell'associazionismo familiare e dei coordinamenti nazionali delle comunità. Credo sia necessario anche non dimenticare il ruolo della Conferenza delle regioni, in quanto le regioni legiferano su questo tema e, quindi, c’è da tenere in considerazione anche il loro punto di vista rispetto a queste azioni.
  Occorre, inoltre, un sistema informativo che permetta la raccolta in tempo reale dei dati sui minorenni fuori famiglia e sulle strutture che li accolgono. I dati di cui disponiamo, che arrivano dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza di Firenze, che è del Ministero, sono mediamente vecchi di due o tre anni. Adesso abbiamo i dati al 31 dicembre 2011 sui minori fuori famiglia. Servirebbe, invece, una panoramica immediata su coloro che stanno nelle comunità e nelle famiglie, sulla loro situazione, sull'età che hanno, su quanto durano i percorsi e via dicendo.
  Occorre sostenere le famiglie che si aprono all'accoglienza di bambini e ragazzi in difficoltà, valorizzando il ruolo dell'associazionismo familiare, soprattutto con sostegni formativi e valutativi e sostegni progettuali, ad esempio cercando di realizzare abbinamenti adeguati tra famiglia e minore. Sarebbe utile anche un sostegno psicopedagogico e sociale alle famiglie stesse e un accompagnamento da parte di altre famiglie. Le famiglie devono essere preparate, sostenute e accompagnate nel loro percorso di affido, pena, come dicevo prima, l'aumento di affidi che falliscono, variazioni di percorso che continuano ad esserci e che creano disagio, difficoltà e sofferenza per bambini e ragazzi che devono cambiare nuovamente contesto, e pena anche l'aumento di famiglie burn out, cioè che non accolgono più perché sono scoppiate.
  Un'altra sfida che stiamo portando avanti, in collaborazione con moltissime organizzazioni ed esperti, è quella dell'ascolto, sia individuale che collettivo, poiché dalle sperimentazioni emerge che la pratica dell'ascolto del minore favorisce l’empowerment degli accolti e la buona riuscita del percorso di accoglienza e cura, oltre a fornire agli operatori la possibilità di fruire di uno sguardo più ampio sulle situazioni.
  Sempre per ciò che riguarda l'ascolto, come sostenuto ampiamente durante la conferenza di Bari e in altre occasioni, occorre favorire percorsi che permettano di far prendere in considerazione dalla politica la voce e il punto di vista dei ragazzi sui percorsi di tutela, perché questo Pag. 8può veramente migliorare i modelli di intervento, tenendo conto appunto di quanto proposto dagli stessi ragazzi.
  I ragazzi, in fin dei conti, sono i soggetti più «esperti» (lo dico tra virgolette ma questa è la realtà) dei percorsi di accoglienza, perché loro ci sono 24 ore al giorno e conoscono profondamente i giovani, le famiglie, gli operatori e tutti i processi che avvengono all'interno dei contesti. Essi capiscono dove ci sono delle criticità, delle cose che funzionano e delle cose che non funzionano e che per loro potrebbero funzionare meglio, anche se sono giovani. Soprattutto, gli adolescenti sanno distinguere quando una cosa viene fatta nel loro interesse oppure nell'interesse di un operatore, di un educatore o di un familiare accogliente.
  Attorno all'associazione Agevolando gravitano più di 200 ragazzi che hanno vissuto o stanno vivendo l'esperienza della tutela in un contesto alternativo alla famiglia d'origine. Molti di loro hanno subìto l'allontanamento, altri sono arrivati in Italia soli (minori stranieri non accompagnati), senza famiglia e privi di alcun conoscente. Anche la loro situazione è molto critica, soprattutto per quanto riguarda gli sbarchi a Lampedusa e nelle altre città. Tra di noi ci sono anche molti ex minori stranieri non accompagnati, che possono raccontare e dire la propria rispetto alla tematica dell'accoglienza.
  Ci stiamo interrogando su come potrebbero funzionare meglio i percorsi, dal supporto alle famiglie per prevenire gli allontanamenti, alle azioni necessarie per migliorare gli interventi stessi di accoglienza. Ci interroghiamo anche sui servizi sociali, sugli educatori e su ciò che succede dopo la conclusione dei percorsi di tutela.
  Come anticipato, oggi vi portiamo soprattutto il pensiero dei ragazzi rispetto all'uscita, che in questo momento è la vera emergenza. Fino ai diciott'anni sono minorenni e c’è l'obbligo da parte dello Stato, delle istituzioni e degli enti locali di mettere a disposizione delle risorse. Quando compiono diciott'anni, se non c’è l'istituto del prosieguo amministrativo, che viene dato sempre meno da parte dei tribunali, questi ragazzi si trovano di fronte alla possibilità da parte di un ente locale o di un servizio sociale di decidere o meno se continuare con un intervento: se si può tagliare, si taglia dove non si è obbligati a mettere delle risorse. Il taglio su questi progetti di accompagnamento all'autonomia, quindi, sta continuando ad aumentare in modo drastico e ci troviamo con ragazzi che ritornano nel circuito degli interventi sociali, se non sanitari o giudiziari. In questo modo noi spendiamo di più e soprattutto loro stanno peggio.
  Lascerei ora la parola a Denise, che ci parlerà delle fatiche del diciottesimo anno dal punto di vista dei ragazzi. In questi giorni, da quando abbiamo saputo del vostro invito, che ci fa molto piacere, ci siamo confrontati con venticinque ragazzi e, raccogliendo il loro punto di vista, abbiamo preparato una relazione che esprime la voce dei ragazzi più giovani di Agevolando. Io sono un po’ vecchietto, faccio il presidente e ho avuto l'idea di fondare questa associazione, però penso che la voce più significativa sia quella dei ragazzi coetanei dei giovani di cui stiamo parlando. Ci riferiamo ai ragazzi dai 18 ai 25 anni.

  PRESIDENTE. Le do la parola, prego.

  DENISE PERGHER, consigliere nazionale dell'associazione Agevolando. L'uscita dalla comunità è un momento molto delicato, rispetto al quale è possibile vivere emozioni diverse e contrastanti. Sicuramente, questo rappresenta un passaggio molto importante: significa dover lasciare, da un giorno all'altro, quella che è diventata la tua famiglia. È facile, quindi, provare insicurezza e solitudine.
  Molti di noi desiderano l'arrivo di questo momento per la possibilità di essere più liberi, senza le regole che ci danno gli educatori. Ci si sente orgogliosi dei passi fatti e dei traguardi raggiunti e ci piace l'idea di sperimentarci in una vita più adulta, ma sappiamo che possiamo essere tranquilli nel farlo quanto più abbiamo vicino a noi persone che ci vogliono bene e che ci aiutano, anche concretamente, a Pag. 9vivere bene la nostra vita. Se così non fosse, avremmo molta più paura e ci troveremmo spaesati.
  Più o meno, tutti abbiamo percepito una sensazione di abbandono all'uscita dalla comunità. È una sensazione che taglia le gambe e accorcia il respiro, perché scoraggia la fiducia in noi stessi e nel futuro. Sappiamo che a tutti capita di sentirsi soli di fronte alle difficoltà della vita e che è importante fare i conti con questa dimensione, ma in alcuni casi questo può creare circuiti di disperazione da cui è molto faticoso uscire. Purtroppo, molti nostri amici stanno correndo questo rischio e ci piacerebbe poter fare qualcosa in più anche per loro.
  Siamo consapevoli che non tutto dipende da ciò che succede dopo l'uscita dalla comunità, però, sicuramente, questa fase è molto importante per evitare che i piccoli passi e traguardi raggiunti subiscano una battuta d'arresto al compimento dei diciotto anni.
  Sono tanti i problemi concreti che si incontrano quando si esce dalla comunità. Al primo posto ci sono sicuramente la casa e il lavoro. Queste sono preoccupazioni molto importanti per chiunque voglia diventare autonomo, ma lo sono ancora di più per chi non ha una famiglia da cui poter tornare.
  Le altre difficoltà che incontriamo riguardano principalmente questioni legate alla maggiore assunzione di responsabilità che ci viene richiesta, come sapere gestire il denaro, ma anche conoscere e riuscire a orientarci fra le numerose pratiche burocratiche, come rinnovare i documenti o sapere leggere contratti e bollette. Diventare grandi significa anche prepararsi a non avere sempre accanto qualcuno che ti consiglia e ti sostiene nei momenti di difficoltà, o che ti mette in guardia da scelte e strade sbagliate. Nell'affrontare momenti di crisi o di blocco davanti alle situazioni, quindi, è facile avvertire un senso di abbandono. Per questo motivo, un valido aiuto in questa fase di passaggio potrebbe essere per noi quello di avere vicino un adulto che diventi un punto di riferimento e ci sproni a diventare autonomi.
  Questa persona dovrebbe principalmente ascoltarci e aiutarci nelle questioni pratiche della vita quotidiana. Non dovrebbe riproporsi il modello della comunità, mentre sarebbe bello che potesse trattarsi di un rapporto diverso, fra adulti. Potrebbe essere anche un semplice cittadino, purché sia simpatico, disponibile e sappia spiegare bene le cose, senza usare termini difficili, sia informato, sappia dare indicazioni giuste, insegnandoci anche come cercare queste informazioni, non essendo sempre lui a doverci dare una mano. Costui dovrebbe fare bene e con passione questo lavoro, essere pronto a lottare per le cose in cui crede; dovrebbe essere una persona matura al punto giusto, che si ponga con calma e intelligenza di fronte ai problemi, fronteggiando le difficoltà senza rabbia. Non serve una formazione particolare: si tratta soprattutto di saper trasmettere informazioni ed esperienze. Anche noi ragazzi potremmo farlo, in seguito, per qualcun altro. È giusto che ci sia una persona al nostro fianco. Avere avuto famiglie in difficoltà, non significa essere figli di nessuno: siamo parte della collettività.
  Fra di noi ci sono diverse idee rispetto a chi vorremmo fosse ad accompagnarci. Alcuni di noi desiderano che sia un educatore della comunità. Altri una figura esterna, che crei una discontinuità, perché ci aiuterebbe di più a crescere. È fondamentale, però, che sia una persona che voglia imparare a conoscerci e a capire su cosa far leva per aiutarci e che avvertiamo abbia fiducia in noi, forse più di quanta noi stessi ne abbiamo.
  Un altro tema che ci preoccupa molto è quello del lavoro, perché sappiamo quanto è importante per la nostra vita e anche quanto è difficile trovarlo in questo momento di crisi. Uno dei maggiori problemi che oggi incontriamo è legato al fatto che spesso i datori di lavoro cercano persone con esperienza, mentre noi difficilmente ne abbiamo quando usciamo dalla comunità.Pag. 10
  Molti di noi hanno trovato lavoro successivamente all'ingresso in aziende, avvenuto mediante borsa lavoro. Questa è un'opportunità da valorizzare il più possibile, anche facendoci fare tirocini e stage prima dell'uscita dalla comunità.
  Purtroppo, dobbiamo ammettere che finché si è in comunità si rischia di non essere molto consapevoli di quanto sia importante studiare o imparare un mestiere. A volte non si dà molto peso alle parole degli educatori. Forse, potrebbe essere efficace permettere e favorire anche il confronto con chi ha vissuto in comunità. Vedere chi, purtroppo, si lascia andare alla deriva spaventa, mentre invece vedere chi si è rimboccato le maniche e riesce a vivere bene è un ottimo esempio. Si può aver voglia di imitarlo e chiedergli consigli.
  Le difficoltà nella ricerca del lavoro sono tantissime: dalla mancanza di formazione e di un buon curriculum al senso di incapacità nell'affrontare un colloquio, fino alla mancanza di agganci o conoscenze nel mondo del lavoro. Occorrerebbe avere una rete di persone che possa darci sicurezza, informazioni, segnalarci occasioni, parlar bene o garantire per noi con possibili datori di lavoro. Si potrebbero pensare dell'agevolazioni per i datori di lavoro che assumono i giovani che escono di comunità. Forse, si dovrebbe incentivare maggiormente la comunicazione fra il mondo del lavoro e le comunità. Perché non pensare ad un educatore che si occupi nello specifico di questo aspetto ?
  Infine, non possiamo tacere il fatto che chi non ha il sostegno di una famiglia deve riuscire a mantenersi da solo anche quando non ha ancora un lavoro e lo sta cercando. Questo genera enormi difficoltà. Forse, si potrebbe pensare di inserire nelle categorie di svantaggio anche i neomaggiorenni usciti da percorsi di tutela.
  Se poi pensiamo al lavoro non solo nei termini di sopravvivenza ma anche di possibilità di realizzarsi come persone, tutto si complica ancora di più. Il primo ingrediente deve essere sicuramente il nostro essere disposti ad impegnarci nella costruzione del percorso, ma poi occorre anche che ci siano persone che ci aiutino a credere nelle nostre potenzialità, e che ci spronino a capire e seguire le nostre inclinazioni, pur rimanendo realisti. Su questa linea, riteniamo sia importante permettere ad un ragazzo che esce di comunità di continuare gli studi all'università. Non sappiamo bene come questo possa realizzarsi, però sappiamo che per alcuni di noi che lo desiderano sarebbe un sogno che si realizza.
  Un'altra questione di cui ci preme parlarvi è la ricerca della casa. Purtroppo, molti di noi hanno avuto grandi difficoltà su questo fronte. Sarebbe importante capire cosa succede quando finisce il percorso in comunità. Scegliere dove andare a vivere per molti di noi rappresenta una grande fonte di angoscia. Per qualcuno può essere una buona occasione per tornare a casa dai propri genitori o parenti. Per altri ciò è impensabile, perché non hanno genitori ad aspettarli o perché le relazioni sono ancora molto difficili, in quanto, ad esempio, esperienze traumatiche legate alla propria storia familiare non sono state superate. Può anche esserci il caso di ragazzi molto fragili, che non sono consapevoli di queste dinamiche, ma che ne sentono tutta la fatica, senza riuscire a trovare un luogo in cui poter smettere di scappare e costruire pian piano il proprio futuro.
  Secondo noi sarebbe importante avere un passaggio graduale in una struttura ad alta autonomia, che non sia una ripetizione della comunità, ma neanche un lasciarci subito soli. Forse alcuni amici hanno preso brutte strade, proprio perché si sono trovati il vuoto davanti. Ci piacerebbe trascorrere un tempo giusto in questi appartamenti di transizione. Percepiamo, spesso con fatica, la fretta dell'assistente sociale per farci uscire e abbiamo paura di non fare in tempo a trovare un lavoro o una soluzione abitativa che vada bene per noi.
  Perché non prevedere un appartamento per neomaggiorenni vicino alle comunità in cui possa essere in qualche modo mantenuto il rapporto con un educatore ? Pag. 11Oppure si potrebbe facilitare l'incontro con famiglie o adulti che possano metterci a disposizione una stanza, o che possano fungere da punti di riferimento. Ogni ragazzo che vive in comunità è finanziato dallo Stato: può aver senso che il finanziamento possa continuare per un po’ anche dopo, per portare a termine il progetto, per non sprecare i soldi fino a poco prima spesi.
  Una volta usciti dalle strutture di transizione ad alta autonomia, si potrebbe pensare di dare un aiuto economico per pagare inizialmente parte dell'affitto e delle utenze della nuova casa, almeno fino a quando non si ha un lavoro con cui mantenersi, oppure permettere ai proprietari di immobili di stipulare con noi contratti agevolati.
  Vorremmo concludere con un tema che molti abbiamo a cuore. Tanti fra di noi hanno ricevuto accompagnamento psicologico durante il percorso in comunità. Sarebbe fondamentale garantire una continuità di rapporto con lo psicologo, soprattutto per poter continuare a rielaborare traumi che spesso noi ragazzi abbiamo vissuto.
  Anche in relazione a quanto detto finora, è facile che le difficoltà aumentino dopo l'uscita dalla comunità ed è importante avere la sicurezza di avere qualcuno che ti conosce e con cui poter parlare, perché il compimento dei diciotto anni non sia alla fine di un percorso che con fatica si è intrapreso, ma il trampolino di lancio per una vita sempre più felice.

  FEDERICO ZULLO, presidente dell'associazione Agevolando. Questo è il punto di vista dei 25 ragazzi con cui ci siamo confrontati, ma rappresenta il pensiero e il vissuto di tanti ragazzi in Italia. Sono 30.000 i giovani e i bambini fuori famiglia. Ci piacerebbe anche poter sentire il pensiero, l'esperienza e il punto di vista di quelli che non ce l'hanno fatta e che non hanno minimamente la possibilità di farsi intervistare o di avere un confronto con altri ragazzi più grandi che chiedono loro un parere, perché scappano, si sentono traditi e non si fidano più degli adulti. Sarebbe interessante sentire anche il loro pensiero. Aggiungo questo perché vorrei farmi voce anche di quei ragazzi che purtroppo non abbiamo potuto sentire.
  Siamo a disposizione se avete dei quesiti o delle riflessioni in merito a quello che abbiamo detto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Devo dire che l'esperienza e il punto di vista della vostra realtà sono materiale assolutamente prezioso per noi che dobbiamo trattare questo tema dall'esterno, cioè in mancanza di un'esperienza diretta.
  Ci sono due punti su cui io vorrei chiederle un approfondimento e che mi hanno particolarmente colpito. Uno è relativo alla quantificazione del costo riguardante gli abusi sui minori. Vorrei sapere da dove arriva questo dato e come lo avete stimato, visto che è molto alto, siamo in tema di spending review e continuiamo a tagliare su questi temi.
  Vorrei dire una cosa a Denise sul tema dell'università. Giustamente i ragazzi dicono che le loro prime preoccupazioni sono la casa e il lavoro. Io credo che debba essere sempre garantita a tutti, laddove lo vogliano, la possibilità di continuare gli studi, anche a livello universitario. Occorre, quindi, predisporre strumenti normativi per cui all'uscita di una comunità ci sia comunque un supporto per il ragazzo, affinché questo possa continuare a studiare e non debba per forza andare a lavorare, perché non ha la mamma e il papà che lo aiutano. Credo che questo sia un altro punto importante.
  Ora mi scuserete ma devo recarmi in Assemblea per un intervento in dichiarazione di voto proprio sul tema degli abusi sui minori, pedofilia e pedopornografia, legato alla mozione che abbiamo in discussione oggi, posto che oggi è la giornata mondiale per il contrasto della pedofilia. Se potete darmi velocemente questo chiarimento circa il costo degli abusi sui minori, prima di passare la parola alle colleghe, potrebbe essermi utile a breve nell'intervento che farò in aula alla Camera.

Pag. 12

  FEDERICO ZULLO, presidente dell'associazione Agevolando. Noi collaboriamo anche con CISMAI, il Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia, che ha fatto una ricerca, condotta tra il 2012 e il 2013, in collaborazione con Terre des hommes.
  Questa ricerca è stata svolta su un campione non rappresentativo di tutto il Paese, però questo è un dato che emerge dalla considerazione di alcuni indicatori relativi al tema del maltrattamento e di quanto costa per lo Stato un bambino che all'interno di un contesto (quello familiare o altri) viene maltrattato e abusato. Sono costi che poi si ripercuotono negli anni. Tali costi sono stati stimati in circa 13 miliardi di euro all'anno, che corrisponderebbero a circa un punto percentuale del PIL. Posso farle avere dell'altro materiale, se crede.

  PRESIDENTE. Mi farebbe cosa gradita. La ringrazio per il suo ulteriore chiarimento. Ora vorrete scusarmi, ma sempre di bimbi si tratta. Oggi c’è una sovrapposizione di riunioni. Ormai, a fronte della mole di lavoro, non ci sono più nemmeno delle fasce di pausa tra un'attività e l'altra. Ci sono dei giorni, come oggi, dove non si capisce in che posto stare e quando. Arrivederci.

  FEDERICO ZULLO, presidente dell'associazione Agevolando. Arrivederci, presidente. Buona giornata e buon lavoro.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ROSETTA ENZA BLUNDO

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CHIARA SCUVERA. Io vorrei ringraziare l'Ufficio di presidenza per questa audizione, perché non conoscevo questa esperienza e non conoscevo questa associazione, dotata di un modello così innovativo, che mi ha colpito, perché è un esempio di politica attiva e di protagonismo dei giovani.
  Secondo me, i diritti del mondo giovanile in generale, oggi, vengono sacrificati. Sappiamo della disoccupazione, sappiamo della mancanza di luoghi di partecipazione. Ritengo che con questa associazione voi possiate essere un esempio per tutti i giovani. È, quindi, un esempio da far conoscere e sin da ora lo farò conoscere anche sul mio territorio nelle esperienze che abbiamo.
  Sicuramente, la carenza di un sistema di accoglienza è un problema generale. Avete ricordato giustamente la questione dei minori stranieri non accompagnati. È stata calendarizzata una proposta di legge su un sistema diffuso di accoglienza per i minori stranieri, tarata su questo tema specifico, da affrontare in modo strutturale.
  C’è il tema di un nuovo welfare, che non va visto in modo assistenzialistico. Nella vostra relazione ho colto moltissime proposte, anche innovative, a cui non avevo pensato, di rete tra pubblico e privato, tra terzo settore e istituzioni, che devono assolutamente essere messe in moto, anche per una questione di sostenibilità.
  Il tema che oggi affrontiamo è particolarmente complesso perché, chiaramente, c’è il problema della sostenibilità dell'intervento in età adulta. Dobbiamo, quindi, realizzare degli interventi innovativi, come quelli che avete proposto voi, di housing sociale, di coinvolgimento delle famiglie, delle associazioni e dell'educatore della comunità, che accompagnino questa entrata nel mondo del lavoro e nel mondo adulto.
  A questo proposito, vorrei chiedervi se avete già realizzato dei progetti nel tempo di vita della vostra associazione, come concretamente lavorate, quali sono gli enti con cui lavorate di più (immagino che siano i comuni), e se potete fare un esempio di un progetto concreto che avete già realizzato, ovvero che è in cantiere e vorreste realizzare concretamente.

Pag. 13

  FEDERICO ZULLO, presidente dell'associazione Agevolando. La ringrazio per la domanda, che ci dà la possibilità di presentare quello che facciamo a livello concreto, oltre alle azioni di advocacy e di promozione della partecipazione e del protagonismo diretto rispetto alle questioni nazionali. Noi, come dicevo prima, facciamo progetti in particolare per giovani in uscita o usciti da questi contesti. Stiamo cercando di focalizzare la nostra attenzione su progetti di inserimento lavorativo e di accompagnamento abitativo, che sono quelli più critici.
  Abbiamo tre appartamenti a Bologna, uno a Ferrara e uno a Verona. In così pochi anni, per noi sono già molti. In questi appartamenti convivono dei ragazzi, pagando non degli affitti ma delle quote di partecipazione alle spese. Infatti, sono appartamenti che siamo riusciti ad ottenere in comodato d'uso o ci sono stati assegnati attraverso bandi comunali.
  Questo è avvenuto attraverso la rete che abbiamo costruito. Da quando siamo nati, la nostra idea è stata proprio quella di mettere in rete le diverse organizzazioni del privato sociale portatrici di interesse rispetto a questo tema. Nel metterle in rete, abbiamo trovato interesse, bisogno e anche disponibilità da parte di organizzazioni del terzo settore, che si sono unite al nostro pensiero (la nostra è la prima associazione in Italia che si occupa di questo) e che ci stanno supportando in diversi contesti, in diverse città e in diverse situazioni. Si tratta di privato sociale, ma a volte anche di pubblico, anche se meno.
  Abbiamo un progetto grosso, che si chiama «NeomaggioRete», che è il tentativo di realizzare dei punti di accesso e di approdo, chiamati sportelli, che in realtà sono contesti aggregativi per i ragazzi, in tutte le città dell'Emilia-Romagna. Questo progetto è finanziato dalla regione Emilia-Romagna. L'obiettivo è proprio creare dei punti di riferimento che possano offrire ai ragazzi informazioni sul lavoro, sulla casa e via dicendo, mettendo in rete, anche a livello locale, le esperienze, le risorse, le professionalità e anche il vissuto dei ragazzi stessi.
  Abbiamo un altro progetto, «Più In. L.A. Ragazzi» (Più Inclusione, Autonomia Lavoro per i Ragazzi), che è stato finanziato da una fondazione di Milano, Aiutare i bambini Onlus, e che è in conclusione. Esso ha avuto l'obiettivo di realizzare dei percorsi di inserimento lavorativo e accompagnamento all'autonomia anche su altri fronti, ma soprattutto di inserimento lavorativo per diciotto ragazzi di un territorio interprovinciale della zona dell'Emilia-Romagna. Attraverso questo progetto siamo riusciti ad inserire in azienda diciotto ragazzi, con percorsi di tirocinio formativo e borsa-lavoro della durata di cinque mesi. Sei di questi ragazzi hanno ottenuto un contratto di lavoro. Questi sono i progetti più significativi.
  Parliamo di numeri bassi. Se abbiamo 3.000 ragazzi sul territorio nazionale ogni anno, ciò vuol dire che 1.000 di quei 3.000 che in questo anno hanno diciotto anni, l'anno prossimo ne avranno diciannove e faranno sempre parte dei 3.000 dell'anno dopo (non ce ne sono 3.000 nuovi). Si parla di 3.000 ragazzi che ogni anno devono essere supportati e sostenuti rispetto a queste tematiche, soprattutto lavoro e casa.
  Il Progetto di partecipazione è un progetto che abbiamo sviluppato sempre in Emilia-Romagna, che è la regione dove sviluppiamo più azioni, perché siamo nati a Bologna e abbiamo sedi in cinque città della regione. È un progetto di partecipazione che ha coinvolto i ragazzi direttamente, con un percorso di formazione all'autonomia. C’è stato anche un mini-camp, dove i ragazzi hanno avuto facilità di scambio e possibilità di conoscersi. Dopo questo mini-camp, i ragazzi sono andati nei territori a raccogliere informazioni sul lavoro, la casa, le agenzie interinali, le agenzie immobiliari e la salute. Sono informazioni che loro non conoscerebbero, usciti a diciott'anni da una comunità.
  Attraverso le informazioni che hanno raccolto, abbiamo costruito un sito internet (sportellodelneomaggiorenne.it) e una guida cartacea sui servizi della Romagna Pag. 14(Già cittadini in Romagna), che viene consegnata ai ragazzi quando escono dalle comunità o dalle famiglie, come guida pratica per potersi muovere nel territorio. Questo è stato fatto attraverso i ragazzi stessi, che ci hanno aiutato ad andare a raccogliere le informazioni.
  Stiamo continuando a cercare i fondi per i progetti, ma non è semplice, perché c’è una caccia alle risorse al giorno d'oggi, però la dimensione del volontariato e del protagonismo attivo dei ragazzi permette veramente di fare tante cose, anche con poco. Valorizzando questo aspetto, io credo che si possa fare veramente di più, senza utilizzare troppe risorse. Sono tutti percorsi che vanno valorizzati e vanno riconosciuti. I ragazzi hanno proprio bisogno di essere riconosciuti nelle cose positive che fanno. Questo dà veramente tanta forza a loro, accresce l'autostima e crea energie positive, che poi permettono di dare sempre più risposte ai bisogni che loro portano. Infine, abbiamo poi una sede a Verona, una a Trento e una a Cagliari. Stiamo aprendo a Milano e stiamo cercando di fare una rete nazionale rispetto a questo tema.

  PRESIDENTE. Io vi ringrazio, perché avete portato qui uno spaccato di vita che per noi, come Commissione infanzia, è importante conoscere.
  Credo che quello che avete detto presenti una condizione abbastanza preoccupante dei giovani. Questi ragazzi vivono all'interno di associazioni o case di accoglienza che possono svolgere il loro ruolo fino a un certo punto, ma poi si trovano a doverlo interrompere. Questo effettivamente è un aspetto problematico.
  Mi ha fatto molto piacere il fatto che il presidente abbia citato la voce di chi non può essere qui o non sarà mai qui, perché effettivamente è una responsabilità che noi, come politica e come cittadini, dobbiamo assumerci.
  Ritengo che l'esperienza dello sportello aperto dall'Emilia-Romagna, che lei poco fa illustrava, possa essere per noi un riferimento normativo di tutto riguardo, che si potrebbe estendere. Penso che ci siano delle esperienze virtuose, che magari iniziano in alcune regioni. Forse, basterebbe soltanto normare con legge tali aspetti. Credo che il percorso che state facendo non sia sicuramente perso. È una cosa che, se noi siamo in grado di capire e raccogliere, rappresenta molto. I fondi, purtroppo, sono un problema grosso.
  Io sono del Movimento 5 Stelle. Spesso noi diciamo che i fondi vengono indirizzati nella maniera più scorretta. I fondi vanno indirizzati proprio in queste modalità, perché il ritorno ci sarebbe. Effettivamente, i costi aumentano a dismisura quando una società è malata, perde i riferimenti giusti e, quindi, fa più vittime. Io sono pienamente d'accordo con la ricerca del CISMAI, che la presidente sollecitava. È assolutamente così: più una società è sana ed equilibrata e più ha delle risorse ben indirizzate e, quindi, riesce ad avere sviluppo. Così non è per una società che purtroppo crea sempre più vittime.
  Un altro aspetto su cui mi viene da pensare è il punto di vista secondo cui alcuni ragazzi hanno la necessità di essere accolti in queste strutture e altri forse vengono accolti in maniera indiscriminata ed esagerata. Su questo bisognerebbe intervenire. A volte si toglie la patria potestà a genitori che non hanno problematiche irreparabili, creando un ulteriore numero di ragazzi fuori famiglia. C’è poi un problema normativo, molto pesante da questo punto di vista, che forse favorisce poco la famiglia d'origine. Ci sono casi in cui si potrebbe, invece, prevenire e soprattutto evitare che la famiglia venga portata a dover abbandonare (questo è ancora più grave).
  Per quanto riguarda l'informazione, sono pienamente d'accordo sul fatto che l'informazione a volte è indiscriminata e crea ulteriori danni. Laddove ci sono delle cose da far rilevare, come diceva il presidente, sarebbe meglio chiudere le strutture. Accentuare, dal punto di vista sociale, delle drammaticità familiari che hanno interessato alcuni ragazzi è inaudito. È chiaro che si devono chiudere queste strutture, valorizzando e indirizzando al contempo i fondi su quelle che Pag. 15invece lavorano bene e che, come l'esperienza di Agevolando, possono dare molte risorse e molto di positivo a tutta la società.
  Anche il resto della società, infatti, ha bisogno di capire tante cose. A volte, anche noi genitori di figli maggiorenni o di figli minorenni abbiamo difficoltà a capire il mondo dei ragazzi, ed è bellissimo che loro abbiano tirato fuori molta di quella preoccupazione mista a speranza, che effettivamente hanno anche i ragazzi delle famiglie. In fondo, c’è una condivisione su questa problematica che è un po’ di tutti.
  Noi, come Movimento, proponiamo il reddito di cittadinanza, perché, anche in questo caso, il reddito di cittadinanza sarebbe una base per non dipendere da altri, per non essere allo sbando, per non avere dei timori, per non essere in condizioni di disperazione. Credo che il reddito di cittadinanza, se si istituisse, non sarebbe sbagliato, perché ricadrebbe anche su questi ragazzi e darebbe loro un minimo di sollievo per poter affrontare le difficoltà, anche se non si tratterebbe di una cifra eccessiva. Basterebbero 600-700 euro garantiti, che non sarebbero qualcosa di sbagliato.

  MERITA GASI, vicepresidente dell'associazione Agevolando. Siamo in un momento storico difficile per tutti, a prescindere dai ragazzi che sono stati in comunità o meno. Io chiedo solamente alla politica – destra, sinistra e centro – di amare un po’ di più questo Paese. Amare questo Paese vuol dire amare i nostri giovani, che sono anche i vostri figli, i nostri figli e i figli futuri. Credo che riuscire a prendere dei provvedimenti concreti e significativi per i nostri giovani sia molto importante. Si dovrebbe cercare una coalizione per queste problematiche, altrimenti si rischia che il nostro Paese non avrà un futuro. Se non c’è un futuro per i nostri giovani, non c’è un futuro per il nostro Paese.
  Tutta la classe politica deve trovare un incontro su tematiche così delicate, perché i nostri giovani sono veramente in grandi difficoltà. Chiedo che, quando si tratta di queste cose, ci si possa sedere tutti insieme e affrontarle in maniera più serena, senza fare spot di propaganda o altro. I nostri ragazzi non hanno bisogno di questo. I nostri ragazzi hanno bisogno di cose vere e concrete, e non di cose gratuite e assistenzialiste. Hanno bisogno di un progetto.
  Il nostro Paese lo deve a questi ragazzi, perché fino a diciott'anni lo Stato è stato il loro genitore. Mi sembra che, anche dopo diciotto anni, a questi ragazzi, come a tutti gli altri, nostri e vostri figli, debba essere data un'opportunità, per far sì che siano in grado di andare avanti e generare una propria famiglia, senza pesare più sullo Stato, ma anzi aiutandolo. Questo è il nostro progetto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Posso dirle che noi, come Commissione infanzia, ci siamo dati proprio questa direttiva fin dall'inizio. Anche la presidente ha detto che siamo una Commissione assolutamente trasversale e lavoriamo in assoluta condivisione. Il punto è che le iniziative di concretezza non dipendono solo da questa Commissione, anzi, purtroppo, a volte non abbiamo neppure un potere consultivo. Ci auguriamo tutti che ci siano delle iniziative condivise e serie, per il benessere di tutti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14,50.