XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 10 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione della sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali, Franca Biondelli, e del Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Raffaele Tangorra.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Biondelli Franca (PD) , Sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali ... 3 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Tangorra Raffaele , Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
Iori Vanna (PD)  ... 8 
Mattesini Donella  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Biondelli Franca (PD) , Sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali ... 10 
Tangorra Raffaele , Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione della sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali, Franca Biondelli, e del Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Raffaele Tangorra.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali, Franca Biondelli, e del Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Raffaele Tangorra.
  L'indagine nell'ambito della quale abbiamo richiesto la vostra audizione è quella sui minori fuori famiglia, che è all'inizio del suo percorso. Abbiamo chiesto il vostro intervento, in quanto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è l'organo di riferimento per analizzare un ambito del quale a nostro giudizio si sa ancora troppo poco.
  Do la parola alla sottosegretaria Franca Biondelli per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCA BIONDELLI, Sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. Vi lascerò la mia relazione, dove ci sono dei dati che spero siano interessanti.
  Questo è un tema molto scottante: a partire dal 2007, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha avviato, d'intesa con le regioni e le province, un monitoraggio del fenomeno dei minorenni che vivono fuori dalla famiglia di origine.
  È un patrimonio conoscitivo fondamentale, perché si tratta degli unici dati che permettono negli anni una rappresentazione del fenomeno su base nazionale.
  A fronte del valore aggiunto di quest'indagine, non può comunque non rivelarsi la difficoltà di reperimento delle informazioni, soprattutto in alcuni territori, in modo particolare nel Mezzogiorno.
  Innanzitutto, ampio è l'intervallo temporale tra l'evento registrato e la disponibilità del dato, e comunque permangono differenze nella rilevazione, che in alcuni casi rendono le informazioni non comparabili nel tempo.
  In conseguenza di ciò, alla data odierna non siamo ancora nella condizione di fornire un dato nazionale relativo al 31 dicembre 2013 comparabile con quello dell'anno precedente.
  Per meglio precisare gli esiti del percorso di rilevazione, si offre di seguito un riepilogo sintetico dei livelli e delle modalità di adesione. La Calabria è la sola regione a non aver aderito alla rilevazione proposta. L'Abruzzo non ha fornito il dato relativo agli affidi familiari. Il Lazio, pur partecipando in modo attivo al monitoraggio, ha fornito al momento per i servizi Pag. 4residenziali il dato riferito a circa il 68 per cento dei distretti regionali e per l'affidamento familiare il dato riferito al 65 per cento degli stessi. La Campania, partecipando in modo attivo al monitoraggio, ha fornito al momento il dato riferito a 40 ambiti territoriali su 52. La Puglia, pur avendo partecipato puntualmente, ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito agli accolti nell'anno 2013 (cioè il dato di flusso e non la presenza al 31 dicembre) presi in carico dai comuni pugliesi, indipendentemente dall'accoglienza in regione. La Sicilia ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito agli accolti nell'anno 2013, come la Puglia. La Sardegna infine ha fornito il dato riferito a circa il 33 per cento del dato regionale.
  La rilevazione proseguirà nelle prossime settimane, per verificare la possibilità di restituire un dato coerente con quello dell'anno precedente, ai fini dell'aggiornamento delle informazioni sul fenomeno.
  Al momento dell'audizione, le informazioni appaiono consolidate con riferimento al solo Centro-Nord, a eccezione del Lazio. Si forniscono pertanto dati di confronto con riferimento soltanto a queste regioni, in cui comunque si concentra circa il 53 per cento dei minori accolti.
  Io vi leggerò i dati relativi ad alcune regioni, ma poi vi lascerò la relazione, in cui ci sono dati più precisi.
  Per esempio, in Piemonte i bambini e adolescenti in affido familiare erano 1.348 nel 2013 e 1.372 del 2012, mentre i bambini accolti nei servizi residenziali erano 747 nel 2013 e 689 nel 2012.
  Seguono i dati di Valle d'Aosta, Lombardia, Bolzano, Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria.
  C’è poi il totale parziale: nel 2012 i bambini e adolescenti in affido familiare erano 8.575 e nel 2013 8.748, mentre i bambini e adolescenti accolti nei servizi erano 6.621 nel 2012 e 6.784 nel 2013.
  Con riferimento alle altre regioni, si fornisce il solo dato del 2013, che, per ragioni di incompletezza o di diversa modalità di rilevazione, non è confrontabile con l'anno precedente. Trattasi pertanto di dati che devono intendersi come provvisori. Le regioni sono il Lazio, l'Abruzzo, il Molise, la Campania, la Basilicata, la Calabria e la Sardegna.
  Per le regioni in cui è disponibile il confronto intertemporale, si osserva una sostanziale stabilità del fenomeno. L'accoglienza in questi territori è infatti in leggera crescita (di circa il 2 per cento), passando da poco più di 15.200 bambini accolti a poco oltre i 15.500, ma con una notevole variabilità regionale. In sei regioni o province autonome su dodici si osserva una crescita e in altrettante una riduzione. In termini assoluti, la crescita si ripartisce in maniera più o meno equa tra affidi familiari e affidamenti in servizi residenziali.
  È difficile fare proiezioni nazionali sulla base di questo dato, ma, per quanto la variazione sia di segno positivo, in via generale sembra confermarsi la sostanziale stabilità del fenomeno che è stato registrato negli ultimi anni.
  Nel confronto tra affidi familiari e affidi ai servizi residenziali relativo a quasi tutto il territorio nazionale, se pur con i limiti dapprima evidenziati, si conferma la sostanziale equa distribuzione dell'accoglienza tra affido famigliare (pari a poco più di 13.000 accolti) e servizio residenziale (poco più di 14.000 accolti).
  In termini relativi, si registra un valore medio di 2,8 bambini e ragazzi da zero ai diciassette anni fuori dalla famiglia di origine ogni mille residenti della stessa età.
  Diversamente da quanto verificato per la diffusione del fenomeno, che non manifesta particolari concentrazioni nelle macroripartizioni territoriali, la quota di affidi famigliari rispetto a quelli in servizi residenziali è molto diversa tra Centro-Nord e Mezzogiorno.
  Si passa infatti da punte massime di 2 e di 1,8 in Toscana e in Piemonte, ampiamente superiori alla soglia di parità, che indicano una marcata prevalenza dell'affidamento familiare, ai valori minimi in Campania, Basilicata e Sicilia dello 0,6, sensibilmente inferiori alla soglia di parità, che indicano contrariamente una marcata prevalenza dell'accoglienza di bambini e Pag. 5ragazzi nei servizi residenziali per minori presenti sul territorio. Praticamente, nel Centro-Nord ci sono più affidi famigliari e nel Centro-Sud più affidi residenziali.
  Per quanto riguarda l'età degli accolti, come evidenziato nei passati report, risulta che nelle fasce estreme, da zero a due anni e da quindici a diciassette anni, si concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali (rispettivamente il 57 per cento da zero a due anni, e il 63 per cento dai quindici ai diciassette anni).
  Se per i ragazzi più grandi e prossimi alla maggiore età l'accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alla problematicità del caso, per i bambini da zero a due anni l'incidenza riscontrata rappresenta un'evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale credo che dobbiamo riflettere in riferimento a quanto disposto dalla legge n. 149 del 2001.
  Comunque, è utile annotare che alcune regioni hanno riservato già da tempo un'attenzione mirata al tema, che si è tradotta nella più alta incidenza dell'affidamento familiare per quella fascia di età così fragile.
  In merito al genere degli accolti, si ravvisa un sostanziale equilibrio tra maschi in affidamento famigliare (49 per cento) e maschi nei servizi residenziali (51 per cento), mentre una maggiore polarizzazione emerge tra le femmine, per le quali prevale l'accoglienza in affidamento famigliare, che è di circa il 57 per cento.
  In ultimo, passando ad analizzare quanto accade in riferimento alla cittadinanza, emerge con nettezza che i bambini e i ragazzi stranieri sono accolti prevalentemente nei servizi residenziali (il 61 per cento), mentre tra i coetanei italiani le due misure di accoglienza risultano più bilanciate e lievemente a favore dell'affido famigliare (55 per cento).
  Ancora più polarizzata è l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, che risultano per il 79 per cento dei casi inseriti nei servizi residenziali.
  Ad ogni modo, con riferimento ai minori stranieri non accompagnati, occorrerà una riflessione specifica, data la dinamica recente del fenomeno e i cambiamenti del sistema di accoglienza. In questa rilevazione, infatti, sono ricompresi solo alcuni dei minori stranieri non accompagnati accolti nel nostro Paese, in particolare quelli presi in carico dai comuni.
  Ai fini della lettura complessiva del fenomeno dell'accoglienza, sarà necessario integrare le informazioni fornite dalle regioni con quelle degli specifici sistemi informativi che sono in via di costituzione.
  Nel merito della distribuzione per età degli accolti in affido familiare, si conferma la sostanziale prevalenza delle esperienze in età preadolescenziale e adolescenziale. Quasi due terzi degli affidi familiari si concentrano nell'età da sei a quattordici anni. Assolutamente più contenute sono le incidenze percentuali che riguardano i piccoli da tre a cinque anni e i piccolissimi da zero a due anni, che complessivamente cumulano poco meno del 15 per cento del totale degli accolti in affido famigliare.
  Prosegue la crescita dell'incidenza dei bambini stranieri sul totale degli affidati, al punto da rappresentare poco più del 18 per cento del totale, con forti differenze regionali. I valori massimi tra le regioni che hanno fornito l'informazione si riscontrano in Veneto e in Emilia-Romagna (entrambe con il 31 per cento), mentre quelli minimi si concentrano nelle regioni del Sud e delle isole, con valori compresi tra il due per cento della Sardegna e il sei per cento della Basilicata, dove l'accoglienza in affidamento di minori stranieri, per quanto in crescita, risulta ancora molto contenuta.
  Lo so che dà fastidio parlare di numeri rispetto ai bambini, trattandosi di problematiche che toccano tutti profondamente.
  Si conferma inoltre l'incidenza del ricorso all'affidamento giudiziale riscontrato negli anni precedenti, che risulta assolutamente prevalente rispetto a quello consensuale: su quattro bambini in affido, tre trovano collocamento per via giudiziale e uno per via consensuale.
  Certamente tale situazione, da una parte, è il portato della tendenza ad intervenire Pag. 6con lo strumento dell'affidamento famigliare rispetto a situazioni molto compromesse, caratterizzate talvolta da conflitti o comunque da una scarsa adesione della famiglia di origine al progetto di sostegno. Dall'altra, è conseguenza delle lunghe permanenze in accoglienza, che risultano essere ancora significative, in considerazione del fatto che l'affidamento consensuale protratto oltre due anni si trasforma poi in giudiziale, essendo soggetto al nullaosta del Tribunale per i minorenni competente.
  Proprio in riferimento alla durata dell'accoglienza, la legge n. 149 del 2001 individua il periodo massimo di affidamento in 24 mesi, prorogabili da parte del tribunale dei minorenni, laddove venga riscontrata un'esigenza.
  I bambini e gli adolescenti in affido famigliare da oltre due anni costituiscono comunque la maggioranza degli accolti e risultano pari a poco più del 60 per cento del totale, un dato costante negli ultimi anni.
  Per quanto concerne i minori accolti nei servizi residenziali, l'accoglienza dei bambini e dei ragazzi nelle comunità è assicurata attraverso la variegata offerta di servizi del territorio, che, almeno in linea teorica, dovrebbe garantire un ampio ventaglio di scelte nell'individuazione della più adeguata risposta alle specifiche esigenze del caso di accoglienza cui si intende rispondere.
  Pur nelle differenziazioni regionali derivanti anche dalle diverse normative vigenti tra regioni e province autonome rispondenti, prevalgono in media le comunità socio-educative (il 47 per cento), seguite dalle comunità famigliari (il 16 per cento) e dai servizi di accoglienza per bambini e genitori (il 15 per cento). Molto limitata risulta invece la presenza nei territori di alloggi ad alta autonomia (l'8 per cento) e di comunità multiutenza (solo il 7 per cento) e ancor più limitata quella di strutture di pronta accoglienza (appena il 3 per cento) e di comunità educative e psicologiche (soltanto il 2 per cento).
  La distribuzione per età dell'accoglienza indica nella tarda adolescenza il periodo in cui si sperimenta con più frequenza un'accoglienza nei servizi residenziali. La classe largamente prevalente è quella dai quindici ai diciassette anni, che cumula il 47 per cento dei presenti a fine anno, che erano il 31 per cento nel 1998. Ciò testimonia i grandi cambiamenti avvenuti nelle comunità rispetto ai decenni precedenti.
  Il dato che più caratterizza l'accoglienza residenziale, nonché il mutamento rispetto al passato, è senz'altro l'altissima incidenza dei bambini stranieri. Tra i bambini accolti, uno su tre è di cittadinanza straniera, con un raddoppio dell'incidenza tra il 1998 (16 per cento) e il 2013 (33 per cento), con picchi superiori al 40 per cento dell'accoglienza complessiva, per esempio, in Liguria, in Emilia-Romagna e in Toscana (il 47 per cento).
  La consistente presenza di bambini e adolescenti stranieri nei servizi residenziali è conseguenza anche dell'alto numero di minorenni stranieri non accompagnati che trova accoglienza esclusivamente nei servizi residenziali a livello medio, sulla base delle regioni e province autonome, rispondenti al 39 per cento dei minorenni stranieri accolti nei servizi residenziali e non accompagnati.
  Con riferimento al 31 dicembre 2013, è stata effettuata nel corso dell'anno anche una rilevazione sperimentale in tre regioni (il Piemonte, l'Emilia-Romagna e la Campania), da estendersi nel prossimo anno a tutto il territorio nazionale.
  La rilevazione concerne alcuni particolari aspetti dell'accoglienza e rappresenta anche un primo monitoraggio degli esiti. Il dato significativo è la novità delle informazioni raccolte, seppur in modo territoriale e molto limitato. Se ne fornisce qui una piccola sintesi.
  Con riferimento ai bambini e ai ragazzi con disabilità certificata, l'incidenza degli affidi famigliari oscilla tra il 13 per cento sul complesso dei presenti a fine anno in Piemonte e un più contenuto 4 per cento in Emilia-Romagna e in Campania, mentre l'incidenza degli affidi nei servizi residenziali Pag. 7varia dal 16 per cento del Piemonte e della Campania al 4 per cento dell'Emilia-Romagna.
  L'incidenza dei dichiarati adottabili sul complesso dei presenti a fine anno per i minori in affido familiare – informazione non disponibile per il Piemonte – varia dall'1 per cento dell'Emilia-Romagna al 9 per cento della Campania, mentre per gli accolti nei servizi residenziali varia dal 2 per cento del Piemonte e dell'Emilia-Romagna al 24 per cento della Campania.
  Quanto agli esiti, la sistemazione prevalente post-affido familiare per i bambini e gli adolescenti che hanno concluso l'esperienza nel corso del 2013 è per tutte e tre le regioni il rientro nella propria famiglia d'origine (37 per cento in Piemonte, 35 per cento in Emilia-Romagna, 46 per cento in Campania).
  La seconda e la terza sistemazione in ordine di incidenza si differenziano tra le stesse regioni: per il Piemonte la destinazione ignota (21 per cento) e il collocamento in servizio residenziale (19 per cento); per l'Emilia-Romagna il collocamento in servizio residenziale (17 per cento) e l'accoglienza in una nuova famiglia affidataria (9 per cento); per la Campania, infine, l'accoglienza in una nuova famiglia affidataria (28 per cento) e, coerentemente con l'alta incidenza di bambini dichiarati adottabili, l'affidamento preadottivo (16 per cento).
  La sistemazione prevalente alla dimissione dal servizio residenziale per i bambini e gli adolescenti che hanno concluso l'esperienza nel corso del 2013, in cui si ravvisa un'alta incidenza di stranieri e stranieri non accompagnati, è il rientro in famiglia per il Piemonte (40 per cento) e per la Campania (39 per cento), mentre per l'Emilia-Romagna è il collocamento in un nuovo servizio residenziale (34 per cento).
  La seconda e la terza sistemazione in ordine di incidenza si differenziano tra le stesse regioni: per il Piemonte il collocamento in un nuovo servizio residenziale (29 per cento) e la destinazione ignota (14 per cento), per l'Emilia-Romagna il rientro in famiglia (21 per cento) e la destinazione ignota (20 per cento), per la Campania, infine, la destinazione ignota (27 per cento) e l'accoglienza in un nuovo servizio residenziale (9 per cento).
  Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali nel corso del 2015 ha istituito un tavolo di confronto sulle comunità per minori, composto da referenti delle regioni Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia e Sicilia; un rappresentante dell'ANCI; consulenti esperti; un rappresentante dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, in qualità di invitato permanente al tavolo; referenti del Centro nazionale documentazioni e analisi per l'infanzia e l'adolescenza. È stato invitato anche un rappresentante dell'Associazione nazionale magistrati per la famiglia.
  L'obiettivo del tavolo è l'attivazione di una riflessione congiunta sull'idoneità e sulla tipologia delle risposte da offrire a ciascun bisogno, per arrivare all'elaborazione di linee di indirizzo per l'accoglienza dei minorenni nei servizi residenziali. A tal fine, il tavolo si confronta periodicamente anche con il terzo settore.
  Sull'istituzione di questo tavolo, lascerei la parola al dottor Tangorra, che ha iniziato a lavorare su questo.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Tangorra per lo svolgimento della sua relazione.

  RAFFAELE TANGORRA, Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Si tratta di un'iniziativa a cui vi avevo fatto qualche cenno quando ero stato vostro ospite prima dell'estate, ed ora il tavolo è stato insediato.
  Il tavolo vede una partecipazione interistituzionale dei diversi livelli di governo Pag. 8ed è stato condiviso al più alto livello anche da parte delle regioni, con l'idea di mettere un po’ ordine alla materia.
  Attualmente la Costituzione dà la piena competenza al livello regionale per la programmazione di questi servizi. Tuttavia, la Costituzione sta cambiando. Sappiamo che l'indirizzo politico rientra nel campo delle politiche sociali, che, in base al disegno di legge di modifica costituzionale approvato recentemente al Senato, ritornano nella competenza dello Stato.
  Pertanto, si tratta di uno strumento attualmente soft, ma che ha le potenzialità di diventare in futuro uno strumento di indirizzo per la definizione delle diverse tipologie di comunità e dei diversi standard di accoglienza.
  C’è una collaborazione importante con le associazioni più rappresentative del settore. Queste associazioni erano state precedentemente coinvolte dal Garante per l'infanzia e l'adolescenza, che aveva a sua volta prodotto un documento di orientamento generale sulla materia. Tale documento è stato assunto come uno dei documenti di base del lavoro di questa Commissione. Le stesse associazioni del terzo settore sono interpellate continuamente nell'evoluzione dei lavori.
  C’è già un indice ragionato. Alcune parti del documento sono già completate. Contiamo di chiudere il lavoro per la prossima primavera.
  Così come è avvenuto in precedenza per le linee guida sull'affido, l'obiettivo è quello di farne un documento istituzionale, cioè di siglare un accordo in Conferenza unificata, che impegni non soltanto il Governo a promuovere le linee di indirizzo, ma anche i diversi livelli di governo ad adottarle nella propria pratica di programmazione territoriale.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, dottor Tangorra. Conosciamo questo documento del Garante per l'infanzia e le linee guida.
  In primo luogo, rivolgo un sentito ringraziamento a Franca Biondelli. È di grandissimo interesse la relazione che lei ha presentato. I dati sono talmente tanti che credo che a un certo punto abbiamo tutti un po’ perso il filo. Forse la collega, che ha una grande dimestichezza con questi temi, sarà capace di fare ordine. La pregherei di consegnare il documento, perché noi possiamo acquisirlo e rivedercelo con calma.
  È un peccato che non si riesca ad avere mai un quadro davvero completo. È un peccato anche dover sottolineare di nuovo che sono sempre le stesse regioni che mancano all'appello, che alla fine sono anche quelle che sembrano avere più problemi. Ci piacerebbe capire che cosa succede in quelle regioni. Tuttavia, siccome spesso non si riesce neanche ad avere la rilevazione dei dati, questo diventa un po’ complicato.
  Sento il dovere di scusarci per la scarsa partecipazione, ma credo che la sottosegretaria sappia come sono convulse le giornate e sia anche a conoscenza del fatto che in Senato questa settimana la Commissione Bilancio è riunita per lavorare sulla legge di stabilità. Credo che una parte delle assenze sia da attribuire a questo.
  Chiederò alla collega Iori di sostituirmi, perché anche io ho una riunione molto importante tra cinque minuti.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VANNA IORI. Io vorrei semplicemente ringraziare la sottosegretaria Biondelli per i dati che ci ha illustrato, che sono molto interessanti e che comportano tante riflessioni, che qui non abbiamo il tempo di approfondire. Innanzitutto, le chiedo se è possibile avere questi dati, perché sono molto interessanti.
  In secondo luogo, vorrei fare due riflessioni molto veloci, che vengono dalla mia esperienza pregressa di presidente di un'azienda di servizi alla persona (ASP) per minori, grazie alla quale conosco direttamente queste problematiche.
  I dati che sono stati illustrati riguardano i minori fino al diciassettesimo anno. Un problema grosso che si pone nelle comunità per minori è quello relativo agli Pag. 9over diciotto, cioè ai giovani adulti, che già quando sono in famiglia faticano a diventare maturi.
  Da qui emerge l'importanza di percorsi specifici di inserimento in gruppi-appartamento o comunque in strutture protette, che garantiscano un distacco un po’ più graduale dalla situazione protetta dell'istituzione al mondo esterno. Tale distacco comporta diverse difficoltà, a partire da quelle lavorative, soprattutto al giorno d'oggi.
  La seconda riflessione/domanda riguarda la prevenzione. Ovviamente per i minori stranieri non accompagnati questo problema non sussiste. L'accompagnamento genitoriale in molti casi, anche rispetto all'esperienza di altri Paesi europei, viene visto come un grande antidoto all'allontanamento dalla famiglia. Mi riferisco agli affiancamenti genitoriali e alle formule diverse, che vanno dall'aiuto alla famiglia alle adozioni di una famiglia da parte di un'altra, per affiancarla quando è in difficoltà temporanea o anche non temporanea.
  Mi sembra che il lavoro sulla genitorialità potrebbe diminuire le cifre relative agli affidi e alle istituzionalizzazioni e potrebbe portare dei risultati positivi sul piano sociale e sul piano umano nelle storie di questi ragazzi.
  A questo proposito, mi chiedo se nell'ambito della lotta alla povertà educativa presente nella Legge di stabilità sia possibile pensare anche a uno stanziamento per questo tipo di attività di affiancamento alla genitorialità o di sostegno alla genitorialità difficile.

  DONELLA MATTESINI. Ringrazio anch'io la sottosegretaria Biondelli e il dottor Tangorra. Mi sembra ovvio che ci lasciate i dati. Io vorrei fare una valutazione e alcune domande.
  Vi ringrazio per i dati che ci avete fornito, ma è scoraggiante questa disomogeneità di attenzione. Quando da un numero così consistente di regioni non arrivano dati, ciò significa che c’è quantomeno una forma di disattenzione.
  Parto da questa osservazione per porre una domanda. Per quanto riguarda il tema dell'infanzia e dell'adolescenza, la grande difficoltà risiede nel fatto che, nonostante le politiche sociali possano essere riportate in testa allo Stato per le linee generali, come ci ricordava il dottor Tangorra, ci sono una serie di soggetti che hanno la competenza per agire e che rendono molteplici e non comunicanti le azioni messe in campo nei territori. Ci sono i vari ministeri, le regioni e i comuni.
  Alcuni mesi fa al Senato abbiamo approvato pressoché all'unanimità una mozione, che ha un contenuto che ho ritrovato anche nelle bozze del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, dove si pone il tema della governance.
  Sottosegretaria Biondelli, cosa pensa della necessità di attivare all'interno della Conferenza Stato-regioni un tavolo tecnico-politico e un piano nazionale condiviso da tutti, un po’ come avviene per la salute ?
  Infatti, non sappiamo né quante sono le risorse né come vengono spese. Penso che questo aiuterebbe tutti a trovare nuove responsabilità e ad avere una programmazione e una conoscenza più adeguate a rendere efficaci le iniziative.
  Se ho ben capito, quando si parla di minori fuori famiglia, si sommano i dati relativi ai minori stranieri, quelli non accompagnati e gli altri, ai dati relativi alle famiglie autoctone. Se è così, io chiedo la possibilità di avere i dati differenziati.
  Ha ragione l'onorevole Iori, che afferma che quando i minori sono fuori famiglia le politiche devono essere uguali. C’è un tema di formazione culturale all'affido piuttosto che all'adozione. Inoltre, c’è il tema che ci ricordava il dottor Tangorra: le comunità vanno normate e strutturate. Dunque, va benissimo quello ci avete detto.
  Tuttavia, c’è un prima questione che rende le situazioni diverse. Capire quanti sono i bambini e gli adolescenti che sono fuori dalla famiglia per cause giudiziarie o Pag. 10di altro tipo diventa importante, perché conoscere vuol dire poter programmare e indicare politiche ben mirate, ma vuol dire anche poter monitorare quanto fatto.
  Secondo me, questo è un dato importante, che rimanda a quanto dicevo prima. È una valutazione sulla quale insisto.
  La proposta, avanzata dall'onorevole Iori, di inserire dentro alla Legge di stabilità politiche e finanziamenti ad hoc vuol dire intervenire su competenze delle regioni e degli enti locali.
  Per noi, capire quanti sono i minori italiani fuori famiglia in quelle condizioni vuol dire anche mirare in modo preciso alle politiche di sostegno alla genitorialità, che sono vaste. Questo è un punto fondamentale.
  Io ho alcuni dati, perché mi sono occupata della questione riguardante i minori nel percorso giudiziario. C’è un aumento vertiginoso di minori che hanno famiglie alle spalle (di nome ma non di fatto) e che commettono rapine, furti, estorsioni e così via. Capire dove e come, secondo me, significa anche poter intervenire in modo mirato e avere politiche più efficienti.
  L'altra questione concerne gli affidi. Sarebbe interessante capire quanti sono gli affidi part-time, perché fanno la differenza. L'affido part-time vuol dire che c’è una famiglia che dà una mano, ma il bambino rimane a casa sua, perché magari ci dorme o ci torna varie volte durante la settimana. Questo è un altro punto importante, perché ci può far capire se questa è una strada per sostenere le famiglie.
  L'altro dato rimanda sempre alla domanda iniziale. Rispetto alla residenzialità – non c’è bisogno che lo dica io – noi abbiamo una disomogeneità enorme tra regione e regione. La legge dice che il minore dovrebbe andare in una comunità il più vicino possibile alla residenza della famiglia e al massimo entro la regione. Tuttavia, mi sembra che ci siano regioni nelle quali tutto questo non avviene.
  Non avere un impegno preciso da parte delle regioni e anche da parte del Governo sull'implementazione di un'espansione territoriale vuol dire avere un insuccesso abbastanza consistente e prevedibile, che è rappresentato dal fatto che i minori non fanno ritorno in famiglia. Se io abito in Sicilia o in Calabria e ho mio figlio o mia figlia in Toscana, è ovvio che la famiglia non c’è; il minore maturerà una distanza emotiva e forse anche la famiglia aumenterà la propria sensazione di impossibilità di essere d'aiuto.
  Le mie sono più valutazioni che domande. La domanda fondamentale che pongo alla sottosegretaria è se ritiene o meno di potersi attivare, così come un ramo del Parlamento è orientato a fare, affinché sul tema dell'infanzia e dell'adolescenza ci sia una politica unitaria e di corresponsabilità.
  Altrimenti, ognuno fa il suo pezzettino e rimangono questi grandi disagi e questi numeri. Stante così la situazione, si fanno veramente cose importanti, però rimane il dato di fondo di difficoltà.

  PRESIDENTE. Do la parola alla sottosegretaria Biondelli per la replica.

  FRANCA BIONDELLI, Sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali. In primo luogo, esprimo una condivisione per le domande e per le considerazioni dell'onorevole Iori e dell'onorevole Mattesini.
  Abbiamo visto che le regioni dove c’è più carenza di risposte sono quelle che hanno più difficoltà. Agire sulle regioni purtroppo diventa difficile. Noi sollecitiamo anche dei dati più precisi. Per esempio, lei ha citato gli affidi part-time. Questo è un dato importante.
  Cercheremo veramente di lavorare e di sensibilizzare le regioni, perché la governance è importante. Noi vediamo i numeri e vediamo le famiglie. Penso che ognuno di noi sul proprio territorio conosca le criticità che vi sono. È sicuramente un fenomeno sempre più in espansione.
  Senatrice Mattesini, lei bussa a una porta già aperta. Io spero di poter lavorare in questo senso insieme a voi, perché si parla di minori. Si citano numeri, ma si tratta di bambini e ragazzi che hanno un'infanzia disagiata e che avranno un Pag. 11futuro ancora peggiore. Pertanto, sono assolutamente necessari una governance, un'attenzione particolare e dati più precisi per lavorare davvero seriamente. Comunque vi ringrazio, perché so che lo fate già.

  RAFFAELE TANGORRA, Direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Vengo alle questioni più specifiche e più tecniche da voi sollevate.
  Innanzitutto, vorrei fare una precisazione sui numeri. Voi ricorderete che nell'audizione precedente del ministero, quella a cui avevo partecipato io, avevamo preso l'impegno di portarvi i numeri relativi alla nuova rilevazione entro la fine dell'anno. L'audizione è stata fissata per oggi. Abbiamo comunicato alle regioni questa dead-line, per dare l'importanza che merita a questa Commissione.
  I dati sono parziali, perché non sono ancora quelli ufficiali che pubblicheremo sul sito, ma abbiamo voluto portarli in anteprima alla Commissione. Adesso il lavoro continuerà con le regioni che sono un po’ più indietro con la fornitura del dato, sperando di potervi dare al più presto il quadro completo.
  Comunque, quello relativo al 2013 – non il confronto 2012-2013 – è un quadro che rappresenta tutto il Paese e non solo il Centro-Nord. Le informazioni date dalla sottosegretaria riguardano non solo il Centro-Nord, ma anche le regioni del Mezzogiorno, seppure con qualche problema di comparabilità rispetto all'anno precedente.
  È stato posto un quesito sulla prevenzione. Noi negli ultimi anni ci siamo molto impegnati su questo fronte. Abbiamo fatto un progetto che è partito a livello sperimentale nelle grandi città, sfruttando il tavolo previsto dalla legge n. 285 del 1997 e la competenza che abbiamo, con un fondo riservato alle città più grandi, che sono appunto le città riservatarie.
  Il Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione (PIPPI) ha mostrato esattamente quel tipo di successo che si metteva in evidenza nel quesito.
  Abbiamo confrontato il gruppo di bambini che è entrato nel programma con il gruppo con caratteristiche analoghe che è rimasto in carico ai servizi con l'ordinaria attività, ovvero senza dei servizi specifici e mirati di prevenzione, con il coinvolgimento di famiglie di appoggio, della scuola e di equipe multidisciplinari. Dal confronto è emerso che nella prima annualità della sperimentazione abbiamo abbattuto del 20 per cento gli allontanamenti. Si tratta di dati molto significativi.
  Il progetto è stato talmente apprezzato che le regioni stesse ci hanno chiesto di estenderlo su tutto il territorio nazionale e di vincolare una quota del Fondo politiche sociali al finanziamento di questa progettualità sul territorio. È la prima volta che le regioni hanno chiesto di vincolare una parte del Fondo. Si tratta di 3 milioni.
  Prima dell'estate ho pubblicato le linee guida per le richieste delle regioni di finanziamento di questa progettualità sui loro territori. Ieri ho firmato il decreto che approva il trasferimento di queste risorse alle regioni che ne hanno fatto richiesta.
  Ormai abbiamo quasi 60 ambiti territoriali – l'ambito territoriale è quello della legge n. 328 del 2000 – cioè un'associazione di comuni che sono coinvolti, per il tramite delle regioni, in questa sperimentazione.
  Stiamo facendo evolvere il progetto. Il punto non è soltanto ridurre il numero di allontanamenti. A volte l'allontanamento è uno degli strumenti che stanno nella cassetta degli attrezzi dei servizi ed è il migliore per permettere al bambino di tornare a casa serenamente, laddove si fa un lavoro sulla famiglia di origine.
  Quello che voglio dire è che abbiamo scoperto che il PIPPI serve a lavorare meglio sulla famiglia di origine, anche quando, insieme a quest'ultima, si decide che forse è meglio per il bambino stare lontano da casa per un periodo.
  Abbiamo un po’ modificato strada facendo la sperimentazione, in maniera da lavorare avendo al centro la famiglia di origine, nell'ottica delle responsabilità genitoriali di cui si parlava nell'intervento.Pag. 12
  Fondamentalmente la cosa più importante è recuperare una responsabilità genitoriale, facendo in modo che il genitore impari a fare meglio il genitore, indipendentemente dal fatto che il bambino rimanga permanentemente in quella famiglia o che si decida, insieme a quest'ultima, di allontanarlo per un periodo limitato di tempo.
  In generale, quando valutiamo questi numeri, dobbiamo fare attenzione, perché non necessariamente ridurre il numero degli allontanamenti è meglio. Evidentemente ciò che è meglio è la risposta più appropriata per il bambino, valutata caso per caso.
  Con riferimento ai neomaggiorenni, per il momento non abbiamo numeri. Tuttavia, con l'approvazione del decreto sul casellario, che noi preferiamo chiamare «sistema informativo dei servizi sociali», e con l'approvazione del modulo specifico cosiddetto «SINBA», avremo innanzitutto dei dati più puntuali sugli affidamenti in generale.
  Quando il sistema andrà a regime, nei mesi successivi ai singoli atti di allontanamento e di accoglienza nei servizi o in affido, avremo la possibilità di monitorare la situazione su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un obbligo che a questo punto compete per legge ai territori. Pertanto, avremo la possibilità di fornire dati molto più puntuali e molto più ravvicinati nel tempo.
  In questo contesto, nella scheda SINBA è prevista anche un'informazione sui neomaggiorenni. In questo momento possiamo solo raccontarvi delle esperienze sperimentali che abbiamo finanziato con il fondo 285, che sono nella banca dati delle città riservatarie. Ci sono alcune esperienze molto significative di servizi per il neomaggiorenne. Per avere dei dati più generali, invece, dobbiamo aspettare.
  Non credo che una richiesta alle regioni spot ci porti molto lontano, visto che anche su servizi più hard come quelli di cui abbiamo parlato poc'anzi facciamo un po’ fatica a recuperare le informazioni.
  Lo stesso si può dire per gli affidi part-time. Anche in quel caso, la rilevazione SINBA prevederà le modalità con cui avviene l'affido.
  Quanto, invece, all'accoglienza in servizi fuori regione, abbiamo il dato. Possiamo dire che la stragrande maggioranza rimane nella propria regione. In media sono il 74 per cento, ovvero circa i tre quarti, le accoglienze nella medesima regione.
  Ci sono alcune regioni, in particolare l'Umbria e il Molise, in cui la quota di residenze fuori dalla regione è un po’ più alta. Si tratta di regioni piccole, dove il problema probabilmente è la disponibilità di servizi sul territorio.
  Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati, soprattutto per l'evoluzione recente del fenomeno, evidentemente è necessario fare un approfondimento ad hoc. I numeri che noi abbiamo nel sistema informativo sui minori stranieri non accompagnati al Ministero sono molto diversi da quelli che emergono da questa indagine. Il nostro sospetto è che le regioni non riescano a monitorare il fenomeno.
  Da questo punto di vista, sono d'accordo con la senatrice Mattesini: nel momento dell'accoglienza i minori sono minori, indipendentemente dal fatto che vengano da un altro Paese o meno; però evidentemente la storia di questi ragazzi – stiamo parlando di adolescenti di sedici-diciassette anni – è molto diversa dalla storia dei bambini e dei ragazzi italiani o anche stranieri residenti sul territorio, che sono stati allontanati dalla famiglia. Il tipo di intervento, per essere appropriato, deve essere commisurato alle diverse storie.
  I dati che noi abbiamo al ministero sono molto più alti di quelli che risultano da questa indagine, che fa riferimento ai servizi definiti dal nomenclatore interregionale, del quale ci siamo serviti nella richiesta di dati alle regioni.
  Sicuramente l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, soprattutto negli ultimi anni, non transita spesso per le strutture ordinarie destinate ai minori ma per strutture diverse e, quindi, non la Pag. 13rileviamo. Tuttavia, è necessario un approfondimento. Probabilmente, pur continuando a monitorarli insieme, occorre separare nell'analisi i due fenomeni, per dare maggiore contezza di quello che realmente accade sul territorio.
  Da ultimo, vi dico due parole sulla governance, anche se ha già risposto la sottosegretaria. Sulla governance il piano d'azione fa delle proposte, ma non è semplicissimo pensare ad una struttura unica che possa avere una governance sulle politiche dell'infanzia. Banalmente, non si può immaginare che la scuola, le politiche sociali, le politiche sanitarie e tutti i diversi settori di intervento nei confronti dell'infanzia siano unificati in un'unica responsabilità amministrativa.
  Il problema è valorizzare quelle strutture che già esistono e che il legislatore ha immaginato come cabina di regia per il confronto tra le diverse amministrazioni competenti e i diversi livelli di governo.
  L'osservatorio, nella sua nuova costituzione, ha lavorato molto bene da questo punto di vista, nel senso che i dirigenti e i responsabili delle politiche delle diverse amministrazioni si sono confrontati con i vari livelli di governo.
  Le regioni, a differenza di ciò che è avvenuto nel piano precedente, hanno investito anche il livello politico di un'attenzione specifica al Piano per l'infanzia.
  C’è stata una notevole partecipazione ai lavori dell'osservatorio anche da parte delle associazioni. Per la prima volta, c’è stata una condivisione totale sul lavoro del Piano d'azione.
  Dunque, da questo punto di vista gli strumenti esistono, ma è difficile farli funzionare. In questo caso forse hanno funzionato un po’ meglio che in passato.
  Vedremo come andrà l'attuazione del Piano d'azione. Comunque, il legislatore si era posto il problema e in qualche modo aveva costituito un organismo che rispondesse a questa necessità.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.

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ALLEGATO: Documentazione presentata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali.

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On. Sottosegretario Franca Biondelli

Oggetto: Commissione bicamerale per l'infanzia – Audizione sui minori fuori famiglia

  A partire dal 2007 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha avviato, d'intesa con le Regioni e le Province Autonome, un monitoraggio del fenomeno dei minorenni che vivono fuori dalla famiglia di origine. È un patrimonio conoscitivo fondamentale perché si tratta degli unici dati che permettono negli anni una rappresentazione del fenomeno su base nazionale.
  A fronte dell'indubbio valore aggiunto di quest'indagine non può comunque non rilevarsi la difficoltà di reperimento delle informazioni, soprattutto in alcuni territori, in particolare del Mezzogiorno. Innanzitutto ampio è l'intervallo temporale tra l'evento registrato e la disponibilità del dato e, comunque, permangono differenze nella rilevazione che in alcuni casi rendono le informazioni non comparabili nel tempo. In conseguenza di ciò, alla data odierna non siamo ancora nella condizione di fornire un dato nazionale relativo al 31.12.2013 comparabile con quello dell'anno precedente.
  Per meglio precisare gli esiti del percorso di rilevazione si offre di seguito un riepilogo sintetico dei livelli e delle modalità di adesione:
   la Calabria è la sola regione a non aver aderito alla rilevazione proposta;
   l'Abruzzo non ha fornito il dato relativo agli affidamenti familiari;
   il Lazio, pur partecipando attivamente al monitoraggio, ha fornito al momento per i servizi residenziali il dato riferito a circa il 68 per cento dei distretti regionali e per l'affidamento familiare il dato riferito al 65 per cento degli stessi;Pag. 17
   la Campania, pur partecipando attivamente al monitoraggio, ha fornito al momento il dato riferito a 40 ambiti territoriali su 52;

   la Puglia, pur avendo partecipato puntualmente, ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito agli accolti nell'anno 2013 (cioè il dato di flusso e non delle presenza al 31.12) presi in carico dai Comuni pugliesi (indipendentemente dall'accoglienza in Regione);

   la Sicilia ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito agli accolti nell'anno 2013 (come per la Puglia);
la Sardegna, infine, ha fornito il dato riferito a circa il 33 per cento del territorio regionale.

  La rilevazione proseguirà nelle prossime settimane per verificare la possibilità di restituire un dato coerente con quello dell'anno precedente ai fini dell'aggiornamento delle informazioni sul fenomeno. Al momento dell'audizione, però, le informazioni appaiono consolidate con riferimento al solo Centro-Nord, ad eccezione del Lazio. Si forniscono pertanto dati di confronto con riferimento soltanto a queste Regioni, in cui comunque si concentra circa il 53 per cento dei minori accolti.

Nota: Il dato della Liguria con riferimento agli accolti nei servizi residenziali nel 2012 non è disponibile. Per la stima è stato imputato il dato del 2013.

  Con riferimento alle altre regioni si fornisce il solo dato del 2013 che per ragioni di incompletezza o diversa modalità di rilevazione non Pag. 18è confrontabile con l'anno precedente. Trattasi pertanto di dati da intendersi come provvisori.

  

(a) Il dato è riferito a circa il 68 per cento dei distretti regionali per i servizi residenziali e al 65 per cento per gli affidamenti familiari.
(b) Il dato è riferito a 40 ambiti su 52.
(c) Il dato è riferito agli accolti nell'anno.
(e) Il dato è riferito a circa il 33 per cento del territorio regionale.
n.b. = dato non disponibile.

  Per le Regioni in cui è disponibile il confronto intertemporale, si osserva una sostanziale stabilità del fenomeno. L'accoglienza è infatti in questi territori in leggera crescita, di circa il 2 per cento, passando da poco meno di 15.200 bambini accolti a poco oltre i 15.500, ma con una notevole variabilità regionale: in 6 Regioni o Province autonome su 12 si osserva una crescita, in altrettante una riduzione. In termini assoluti, la crescita si ripartisce in maniera più o meno equa tra affidamenti familiari e affidamenti ai servizi residenziali. Difficile fare proiezioni nazionali sulla base di questo dato, ma per quanto la variazione sia di segno positivo (a fronte di una variazione di segno negativo l'anno precedente), in via generale sembra confermarsi la sostanziale stabilità del fenomeno registrata negli ultimi anni.
  Nel confronto tra affidamenti familiari e affidamenti ai servizi residenziali, relativo questo a quasi tutto il territorio nazionale seppur con i limiti prima evidenziati, si conferma la sostanziale equa distribuzione dell'accoglienza tra affidamento familiare – pari a poco più di 13 mila accolti (dato relativo a diciannove regioni e province autonome su ventuno) – e servizi residenziali – poco più di 14 mila accolti (dato relativo a venti regioni e province autonome su ventuno).
  In termini relativi si registra un valore medio di 2,8 bambini e ragazzi di 0-17 anni fuori dalla famiglia di origine ogni mille residenti della stessa età. Diversamente da quanto verificato per la diffusione del fenomeno, che non manifesta particolari concentrazioni nelle macro ripartizioni territoriali, la quota di affidamenti familiari rispetto a quelli ai servizi residenziali è molto diversa tra Centro-Nord Pag. 19e Mezzogiorno: si passa infatti da punte massime in Toscana (2) e Piemonte (1,8) ampiamente superiori alla soglia di parità, che indicano una marcata prevalenza dell'affidamento familiare, a valori minimi in Campania, Basilicata e Sicilia (0,6) sensibilmente inferiori alla soglia di parità, che indicano contrariamente una marcata prevalenza dell'accoglienza dei bambini e dei ragazzi nei servizi residenziali per minori presenti sul territorio regionale.
  Per quanto riguarda l'età degli accolti risulta, come evidenziato nei passati report, che nelle fasce estreme di 0-2 anni e di 15-17 anni si concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali – rispettivamente il 57 per cento degli 0-2 anni e il 63 per cento dei 15-17 anni. Se per i ragazzi più grandi, e prossimi alla maggiore età, l'accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alle problematicità del caso, per i bambini di 0-2 anni l'incidenza riscontrata rappresenta un'evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale riflettere in riferimento a quanto disposto dalla legge 149/01 – sebbene sia utile annotare in questa sede che alcune regioni hanno riservato, già da alcuni anni, una attenzione mirata al tema che si è tradotta nella più alta incidenza all'affidamento familiare anche in questa fascia d'età.
  In merito al genere degli accolti si ravvisa un sostanziale equilibrio tra i maschi in affidamento familiare (49 per cento) e nei servizi residenziali (51 per cento), mentre una maggiore polarizzazione emerge tra le femmine tra le quali prevale l'accoglienza in affidamento familiare (57 per cento).
  In ultimo, passando ad analizzare quanto accade in riferimento alla cittadinanza emerge con nettezza che i bambini e i ragazzi stranieri sono accolti prevalentemente nei servizi residenziali (61 per cento), mentre tra i coetanei italiani le due misure di accoglienza risultano più bilanciate e lievemente a favore dell'affidamento familiare (55 per cento). Ancor più polarizzata è l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che risultano per il 79 per cento dei casi inseriti nei servizi residenziali. Ad ogni modo, con riferimento ai minori stranieri non accompagnati, occorrerà in futuro una riflessione specifica data la dinamica recente del fenomeno e i cambiamenti nel sistema dell'accoglienza: in questa rilevazione infatti sono ricompresi solo alcuni dei minori stranieri non accompagnati accolti nel paese e, in particolare, quelli presi in carico dai Comuni. Ai fini della lettura complessiva del fenomeno dell'accoglienza, pertanto, sarà necessario integrare le informazioni fornite dalle Regioni con quelle degli specifici sistemi informativi in via di costituzione.

I minorenni in affidamento familiare.

  Nel merito alla distribuzione per età degli accolti in affidamento familiare si conferma la sostanziale prevalenza dell'esperienza in età preadolescenziale e adolescenziale: quasi due terzi degli affidamenti familiari si concentrano nell'età dai 6 ai 14 anni. Assolutamente più contenute le incidenze percentuali che riguardano i piccoli di 3-5 anni Pag. 20e i piccolissimi di 0-2 anni che complessivamente cumulano poco meno del 15 per cento del totale degli accolti in affidamento familiare – erano il 15,5 per cento nel 1999. Da notare comunque il caso della Liguria, con il 30 per cento di bambini in questa fascia d'età (0-5) in affidamento familiare, il doppio che nella media nazionale, a fronte di meno del 10 per cento di bambini accolti in servizi residenziali (13 per cento nella media nazionale).
  Prosegue la cresciuta dell'incidenza di bambini stranieri sul totale degli affidati al punto da rappresentare poco più del 18 per cento del totale, con forti differenze regionali. I valori massimi, tra quanti hanno fornito l'informazione, si riscontrano in Veneto (31 per cento) e Emilia-Romagna (31 per cento), mentre quelli minimi si concentrano nelle regioni del sud e isole – con valori compresi tra il 2 per cento della Sardegna e il 6 per cento della Basilicata – in cui l'accoglienza in affidamento dei minori stranieri, per quanto in crescita, risulta ancora molto contenuta.
  Si conferma poi l'incidenza di ricorso all'affidamento giudiziale riscontrato negli anni precedenti, risultando assolutamente prevalente rispetto a quello consensuale, su quattro bambini in affidamento tre trovano collocamento per via giudiziale a fronte di uno per via consensuale. Certamente tale situazione è, da una parte, il portato della tendenza ad intervenire con lo strumento dell'affidamento familiare rispetto a situazioni molto compromesse, caratterizzate talvolta da conflittualità o comunque da una scarsa adesione della famiglia di origine al progetto di sostegno, e dall'altra, conseguenza delle lunghe permanenze di accoglienza che risultano ancora significative, in considerazione del fatto che l'affidamento consensuale protratto oltre i due anni si trasforma in giudiziale essendo soggetto al nulla osta del Tribunale per i minorenni competente.
  Proprio in riferimento alla durata dell'accoglienza e ricordando che la legge 149/01 individua il periodo massimo di affidamento in ventiquattro mesi – prorogabile da parte del Tribunale dei minorenni laddove se ne riscontri l'esigenza –, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco più del 60 per cento del totale, un dato costante negli ultimi anni.

I minorenni accolti nei servizi residenziali.

  L'accoglienza dei bambini e dei ragazzi nelle comunità è assicurata attraverso la variegata offerta di servizio sul territorio che, almeno in linea teorica, dovrebbe garantire un ampio ventaglio di scelta nell'individuazione della più adeguata risposta alle specifiche esigenze del caso di accoglienza cui si intende rispondere. Pur nelle differenziazioni regionali derivanti anche dalle diverse normative vigenti, tra le Regioni e le Province autonome rispondenti prevalgono in media le comunità socio educative (47 per cento), in primis, seguite dalle comunità familiari (16 per cento) e dai servizi di accoglienza per bambino/genitore (15 per cento), mentre molto più limitata risulta la Pag. 21presenza nei territori di alloggi ad alta autonomia (8 per cento) e di comunità multiutenza (7 per cento), e ancor più di strutture di pronta accoglienza (3 per cento) e di comunità educativo e psicologico (2 per cento).
  La distribuzione per età dell'accoglienza indica nella tarda adolescenza il periodo in cui si sperimenta con più frequenza un'accoglienza nei servizi residenziali. La classe largamente prevalente è la 15-17 che cumula il 47 per cento dei presenti a fine anno – erano il 31 per cento nel 1998 – a testimonianza dei grandi cambiamenti avvenuti nelle comunità rispetto ai decenni precedenti. Molto più polarizzata di quanto non avvenga per l'affidamento familiare risulta la distribuzione di genere, con una netta prevalenza della componente maschile che si attesta al 58 per cento degli accolti – era il 53 per cento nel 1998. Ma il dato che più caratterizza l'accoglienza residenziale, nonché i mutamenti rispetto al passato, è senz'altro l'altissima incidenza di bambini stranieri. Tra i bambini accolti, uno su tre è di cittadinanza straniera, con un raddoppio dell'incidenza tra il 1998 (16 per cento) e il 2013 (33 per cento), e picchi superiori al 40 per cento dell'accoglienza complessiva in Liguria (40 per cento), Emilia-Romagna e Toscana (47 per cento). La consistente presenza di bambini e adolescenti stranieri nei servizi residenziali è conseguenza anche dell'alto numero di minorenni stranieri non accompagnati che trova accoglienza quasi esclusivamente nei servizi residenziali – a livello medio, sulla base delle regioni e province autonome rispondenti, il 39 per cento dei minorenni stranieri accolti nei servizi residenziali è non accompagnato.

La rilevazione sperimentale in tre regioni.

  Con riferimento al 31.12.2013 è stata effettuata nel corso dell'anno anche una rilevazione sperimentale in tre Regioni – Piemonte, Emilia Romagna, Campania – da estendersi il prossimo anno a tutto il territorio nazionale. La rilevazione concerne alcuni particolari aspetti dell'accoglienza e rappresenta anche un primo monitoraggio degli esiti. Data la significatività e la novità delle informazioni raccolte, seppur territorialmente molto limitate, se ne fornisce qui una sintesi.
  Con riferimento ai bambini e ragazzi con disabilità certificata, il numero in affidamento familiare oscilla tra un'incidenza del 13 per cento sul complesso dei presenti a fine anno del Piemonte e un più contenuto 4 per cento dell'Emilia-Romagna e della Campania, mentre quello nei servizi residenziali si muove tra il 16 per cento del Piemonte e della Campania e il 4 per cento dell'Emilia-Romagna.
  L'incidenza di dichiarati adottabili sul complesso dei presenti a fine anno, tra gli affidamenti familiari, informazione non disponibile per il Piemonte, varia dall'1 per cento dell'Emilia Romagna al 9 per cento della Campania, mentre negli accolti nei servizi residenziali varia dal 2 per cento di Piemonte e Emilia Romagna al 24 per cento della Campania.
  Quanto agli esiti, la sistemazione prevalente post affidamento familiare per i bambini e adolescenti che hanno concluso l'esperienza Pag. 22nel corso del 2013 è per tutte e tre le regioni il rientro nella propria famiglia di origine – Piemonte (37 per cento), Emilia-Romagna (35 per cento), Campania (46 per cento). La seconda e la terza sistemazione in ordine di incidenza si differenziano tra le stesse regioni: per il Piemonte la destinazione ignota (21 per cento) e il collocamento in un servizio residenziale (19 per cento); per l'Emilia-Romagna il collocamento in un servizio residenziale (17 per cento) e l'accoglienza in una nuova famiglia affidataria (9 per cento); per la Campania, infine, l'accoglienza in una nuova famiglia affidataria (28 per cento) e, coerentemente con l'alta incidenza di bambini dichiarati adottabili, l'affidamento preadottivo (16 per cento). La sistemazione prevalente alla dimissione dal servizio residenziale per i bambini e adolescenti che hanno concluso l'esperienza nel corso del 2013 – in cui si ravvisa un'alta incidenza di stranieri e stranieri non accompagnati – è per il Piemonte (40 per cento) e la Campania (39 per cento) il rientro in famiglia, mentre per l'Emilia-Romagna è il collocamento in un nuovo servizio residenziale (34 per cento). La seconda e la terza sistemazione in ordine di incidenza si differenziano tra le stesse regioni: per il Piemonte il collocamento in un nuovo servizio residenziale (29 per cento) e la destinazione ignota (14 per cento); per l'Emilia-Romagna il rientro in famiglia (21 per cento) e la destinazione ignota (20 per cento); per la Campania, infine, la destinazione ignota (27 per cento) e l'accoglienza in un nuovo servizio residenziale (9 per cento).

Il lavoro del Ministero per la definizione di linee guida nazionali.

  Presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali, è stato istituito nel corso del 2015 un Tavolo di confronto sulle comunità per minori, composto da: referenti delle Regioni (Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia, Sicilia), un rappresentante dell'Anci, 2 consulenti esperti, un rappresentante dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza in qualità di invitato permanente.
  Al Tavolo, oltre alla presenza di referenti del Centro nazionale documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, è stato invitato un rappresentante dell'Anmmf (Associazione nazionale magistrati per i minori e la famiglia).
  Obiettivo del Tavolo è l'attivazione di una riflessione congiunta sull'idoneità e sulla tipologia delle risposte da offrire a ciascun bisogno per arrivare all'elaborazione di linee di indirizzo per l'accoglienza dei minorenni nei servizi residenziali.
  A tal fine, il Tavolo si confronta periodicamente con il Terzo settore.
  L'inclusione e l'attivo coinvolgimento in seno al Tavolo del rappresentante dell'Autorità garante e la partecipazione delle associazioni di riferimento del Terzo settore garantisce la coerenza tra il documento di proposta del Garante nazionale «Comunità residenziali per minorenni: per la definizione dei criteri e degli standard» e i contenuti delle elaborande linee di indirizzo.Pag. 23
  L'attuale bozza delle suddette linee di indirizzo prevede il seguente indice: un primo capitolo affronta il tema dei diritti dei bambini e dell'accoglienza residenziale, il secondo si concentra sui soggetti e sugli attori istituzionali coinvolti, il terzo tratta dei percorsi dell'accoglienza residenziale, il quarto esamina tipologie e requisiti dei servizi di accoglienza, il quinto affronta il tema degli strumenti gestionali e procedurali, il sesto e ultimo capitolo tratta le questioni particolari (quali, ad esempio, i minori stranieri non accompagnati, minorenni vittime di tratta, area penale eccetera).
  Ciascun capitolo, strutturato per raccomandazioni da cui discendono differenti azioni/indicazioni operative, viene redatto dai soggetti partecipanti sotto la responsabilità, il coordinamento e la supervisione di uno dei soggetti istituzionali nominati in seno al Tavolo di confronto (Regioni o MLPS).
  Il termine per il perfezionamento del documento da parte del gruppo di lavoro è previsto per la primavera 2016.

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