XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 35 di Mercoledì 19 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, prefetto Mario Morcone.
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 6 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 6 
Ravetto Laura , Presidente ... 6 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 6 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Frusone Luca (M5S)  ... 8 
Arrigoni Paolo  ... 8 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 10 
Arrigoni Paolo  ... 10 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 13 
Arrigoni Paolo  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Arrigoni Paolo  ... 13 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 13 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Falcone Giovanni (PD)  ... 14 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 14 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 14 
Morcone Mario , Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTEPag. 2. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, prefetto Mario Morcone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno prefetto Mario Morcone.
  Essendo un nostro interlocutore regolare, non spiego né cosa è Schengen, né come funziona la seduta. Il prefetto può comunicarci se ha bisogno di segretare qualcosa. In tal caso, procederemo in seduta segreta. Prefetto, l'abbiamo convocata la scorsa settimana e la ringraziamo di essere venuto immediatamente. Sono due i temi che vorremmo affrontare a livello di Comitato prima che ci siano dei dettagli normativi, dando la possibilità, anche ascoltando lei, al Parlamento o comunque a chi si sta occupando dei provvedimenti attuativi di limare e migliorare le cose. I temi sono quello del Fondo speciale per i comuni e quello relativo alle modalità di richiesta di iscrizione anagrafica presso i comuni ospitanti da parte dei richiedenti protezione internazionale.
  Parto dal Fondo speciale per i comuni. Risulta al Comitato che la legge di bilancio 2017 prevede un fondo speciale da 3 miliardi di euro (0,2 per cento del PIL) per sostenere le spese legate all'emergenza immigrazione e i comuni impegnati nell'accoglienza dei migranti. Tale spesa verrà tenuta al di fuori dal Patto di stabilità. Presso il Ministero dell'economia e delle finanze sarebbe all'esame un decreto-legge recante misure urgenti di finanza pubblica, che verrebbe presentato insieme al disegno di legge di bilancio. Il decreto-legge recherebbe una norma di premialità per i comuni che al 15 ottobre 2016 partecipano al sistema SPRAR e ne facciano richiesta. Vi sarebbe l'impegno, da parte del Governo, a finanziare questi comuni per un importo di 500 euro a migrante accolto, nell'ambito di un cosiddetto «Fondo di riconoscenza o di gratitudine», per uno stanziamento complessivo annuo di 100 milioni di euro. Secondo notizie di stampa, tale contributo sarebbe una tantum.
  Sempre secondo notizie di stampa (Il Sole 24Ore del 18 ottobre 2016), il Presidente del Consiglio, illustrando la manovra economica varata sabato dal Governo, avrebbe dichiarato che i sindaci che al 15 ottobre accolgono sul proprio territorio dei migranti avranno riconosciuto un contributo per migrante, che dimostrerà che lo Stato è riconoscente a quelle comunità che accolgono. Saranno 500 euro a migrante una tantum l'anno. In aggiunta al fondo per i comuni il disegno di legge di bilancio prevedrebbe anche uno stanziamento di 200 milioni di euro per un Fondo Africa per interventi mirati sulle rotte migratorie. Secondo ulteriori notizie (Il Tempo del 17 ottobre 2016), il Ministro dell'interno Angelino Alfano avrebbe sottolineato che la manovra approvata dal Consiglio dei Ministri contiene misure che dimostrano riconoscenza per i comuni che fino a oggi Pag. 3hanno accolto i migranti. In particolare, verranno stanziati 100.000 euro per un bonus gratitudine di 500 euro al migrante.
  Su questo abbiamo alcune domande. Sappiamo che mancano i decreti attuativi, quindi la modalità non è ancora stabilita nel dettaglio. Tuttavia, le chiediamo di aiutarci a capire alcuni aspetti. Innanzitutto, questo contributo riguarderà esclusivamente i comuni che hanno attivato il sistema SPRAR? Quindi, gli altri comuni che comunque hanno avuto dei migranti richiedenti asilo, magari mandati loro dai prefetti perché hanno dei sistemi di accoglienza al di fuori dello SPRAR, non avranno questo contributo?
  Passo alla seconda domanda. Ci risulta che questi fondi potranno essere utilizzati – questo mi sembra che si possa confermare – per le spese dei cittadini, qui non abbiamo un vincolo di impiego per l'immigrazione? Può precisare questo aspetto?
  La terza domanda andrebbe rivolta al Ministero dell'economia, tuttavia la facciamo a lei perché potrebbe averne notizia. È vero che il Fondo copertura di questo stanziamento deriverà dall'eliminazione del pocket money, cioè dai fondi che venivano dati direttamente al migrante? Si eliminerebbe, quindi, la disponibilità data ai richiedenti asilo per trasferirla sul Fondo di solidarietà?
  Queste sono le tre domande. Uno, il contributo è solo per i comuni che hanno lo SPRAR o anche per quelli che hanno altri sistemi di accoglienza? Due, come possono essere impiegati i soldi? Tre, come si risolve la questione relativa alla copertura?
  L'ultimo punto – poi, naturalmente, dopo che avrà parlato, sentiremo i commissari che hanno eventuali altre richieste – è relativo alla modalità di richiesta dell'iscrizione anagrafica presso i comuni ospitanti. Risulta che, qualora ne facciano richiesta, i richiedenti protezione internazionale possano diventare residenti a tutti gli effetti presso i comuni ospitanti, secondo quanto previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 152 del 18 agosto 2015. Tale norma specifica che per il richiedente accolto nei centri o strutture deputate all'accoglienza a cui è stato rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo, ovvero la ricevuta attestante la richiesta di protezione internazionale, il centro o la struttura rappresenta luogo di dimora abituale ai fini dell'iscrizione anagrafica. Risulta, inoltre, al Comitato che, secondo quanto previsto dalle linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale emesse dallo SPRAR (il sistema di protezione per richiedenti asilo che fa capo ai comuni), l'ospitalità nei centri collettivi di accoglienza per richiedenti asilo può configurarsi tra le convivenze anagrafiche previste dalla normativa vigente, in quanto i centri ospitano persone coabitanti per motivi di assistenza. A capo della convivenza la legge pone un responsabile che dichiara all'anagrafe la dimora abituale degli ospiti, quindi ne chiede l'iscrizione anagrafica. Ciò non escluderebbe che l'ospite stesso possa chiedere la residenza, ma in tali casi l'ufficiale di anagrafe, in sede di accertamento, potrebbe comunque interpellare il responsabile per verificare l'effettiva abitualità della dimora presso il centro.
  Su questo tema, prefetto, abbiamo avuto delle segnalazioni da parte dei sindaci. In primo luogo, i sindaci – lo dico in maniera non tecnica, mi perdoni – si chiedono cosa succede se espletano questo adempimento, quindi, di fatto, rilasciano la carta di identità ai richiedenti asilo, ma poi la protezione internazionale non viene accordata o scade il permesso. In secondo luogo, se la persona viene «caricata» su quel comune, significa che non si potrà più spostare? Allora, non sarebbe stato utile, forse, ragionare su un registro a parte, come si è fatto per i senza fissa dimora, in modo da poter distribuire questi richiedenti asilo in futuro? In pratica, il comune che dà la carta, una volta riconosciuto lo status, li ha tutti accollati solo su di sé? Inoltre, pare che ci siano dei problemi di comunicazione tra i centri di accoglienza e i sindaci perché spesso i richiedenti scappano, ma i sindaci non hanno questa comunicazione da parte dei centri. Quindi li hanno formalmente caricati sull'anagrafe, ma non riescono a controllarli. Questi sono solo due punti. Ovviamente, la ascolteremmo con grandissimo Pag. 4 interesse se volesse relazionarci anche, in generale, su tutte le novità inerenti la vostra attività.
  Le cedo, quindi, la parola per la sua relazione.

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Grazie, presidente. Ringrazio anche gli onorevoli parlamentari che sono qui questa mattina. Quello che va sotto il nome di «Fondo di riconoscenza» nasce da una nuova policy che è stata costruita. Come lei sa, presidente, già dal 2014 si era fatto un primo passo verso una distribuzione per quota dei migranti che sbarcano nel nostro Paese nelle singole regioni. Adesso era necessario fare un secondo passo, ovvero creare una situazione di maggiore equilibrio della presenza di queste persone all'interno dei singoli territori. Per questo motivo si è studiata e costruita, con l'Associazione nazionale dei comuni italiani, una distribuzione per singoli comuni in relazione al numero delle persone residenti in quel comune per avere, appunto, un carico sopportabile per singolo comune che non impatti sul territorio e non crei interferenze anche da parte dei prefetti. Questa è l'idea di fondo. Rispetto a essa, si è posto il problema di costruire degli incentivi o dare un sostegno ai sindaci che accolgono. Questo è quello che si chiama «Fondo di riconoscenza». Al momento, posso dire che accolgono 2.600 su 8.000 comuni italiani. Questo ha creato delle grandi disomogeneità, con aggregazioni anche troppo imponenti in alcuni comuni e l'esclusione di un numero importante di comuni italiani.
  Nelle proposte che abbiamo fatto come Dipartimento per la legge di stabilità c'erano alcune di queste idee che erano maturate nell'ambito di questa riflessione che va avanti da qualche mese. Si pensava, infatti, di toccare – come lei ha accennato – il pocket money dei migranti, togliendo uno 0,50 ai 2,50 euro di cui il migrante dispone al giorno, e soprattutto prevedere uno sblocco del turnover in quei comuni in cui c'è disponibilità all'accoglienza.
  Ora, però, entriamo nell'ambito delle cose sentite perché credo che nessuno di noi abbia letto i documenti. Peraltro, non sono neanche certo che i documenti siano definiti, nel senso che in queste ore si stanno mettendo a punto le ultime cose. A ogni modo, è venuta fuori una terza soluzione che, secondo me, è alternativa rispetto allo 0,50 relativo al pocket money. Mi riferisco, appunto, al «Fondo di riconoscenza» che sarebbe dotato di 100 milioni – uso il condizionale perché nessuno di noi ha letto il documento – e che sarebbe destinato ai comuni che accolgono. Lo spirito, evidentemente, non può essere quello di limitare la cosa ai comuni che fanno lo SPRAR, ma deve necessariamente riferirsi a tutti i comuni che accolgono, altrimenti si ridurrebbero ulteriormente dai 2.600 che ho citato a meno di 1.000.
  Certamente, l'obiettivo è anche quello di spingere verso soluzioni di SPRAR. Siamo, infatti, convinti da sempre che quella è la soluzione migliore perché rende responsabile il sindaco che costruisce il progetto, rendendolo protagonista del suo territorio. Insomma, vi sono diverse motivazioni sia tecniche sia politiche. Tendo a ritenere, dunque, che i 100 milioni siano destinati alle comunità che accolgono migranti indipendentemente dalla tipologia di accoglienza, che sia SPRAR o CAS o comunque centri di accoglienza temporanea. Allo stesso modo, credo – siamo sempre al condizionale – che questi fondi non abbiano un vincolo di destinazione. Proprio perché si tratta di un «Fondo di riconoscenza» (così si immagina che verrà chiamato), queste risorse andranno al comune, lasciandolo libero di interpretare nel modo migliore l'interesse e le aspettative dei cittadini, rafforzando il trasporto locale, l'illuminazione o altre cose. Non credo, insomma, che abbia un vincolo di destinazione.
  Tutto questo – si badi bene – riguarda il 2016, quindi non ha niente a che vedere, almeno per quello che capisco e mi aspetto, la manovra 2017 che è in legge di stabilità. Parliamo, pertanto, di due vicende parallele. Da una parte, abbiamo la legge di stabilità 2017, rispetto alla quale credo che si sia tentando di ottenere risorse europee nell'ambito dell'accoglienza, quindi vedremo l'esito delle richieste del Governo italiano a Pag. 5Bruxelles e le valutazioni che il Parlamento farà. Un'altra cosa sono, invece, gli interventi previsti a chiusura del 2016 che riguardano i famosi 100 milioni di cui abbiamo parlato finora e le somme necessarie a onorare i debiti, ovvero i contratti che abbiamo stabilito, rispetto ai quali siamo fermi da qualche mese.
  Non ho capito quale sia lo strumento normativo che verrà usato. Lo dico estrema franchezza. Credo che stiano valutando, tra il Ministero dell'economia e Palazzo Chigi, quale strumento sia più conveniente, se un DPCM o un decreto-legge. Per quanto ci riguarda la questione è indifferente, mentre è fondamentale un'altra cosa che provo a spiegare da diverse settimane a tutte le persone che riesco a intercettare. Esistono delle procedure amministrative abbastanza complicate, che di fatto chiudono la contabilità o almeno la possibilità di erogare materialmente risorse (i cosiddetti «mandati di pagamento») alla fine di novembre, dopodiché fino al 31 dicembre si possono fare solamente impegni di spesa. Quando si è fatto l'impegno di spesa, la materiale erogazione delle risorse arriva a gennaio. A questo punto, però, non avremmo fatto niente, per cui la corsa contro il tempo nella quale sono impegnato «disperatamente», in maniera un po’ paradossale, è quella di poter erogare materialmente le risorse entro il 30 novembre. Infatti, tradizionalmente, la circolare del Ministero dell'economia blocca ai primi di dicembre la possibilità di inviare mandati di pagamento. Questo è lo stato dell'arte rispetto al quale tutti aspettiamo – il Parlamento prima di me – di conoscere i documenti che verranno controfirmati dal Presidente della Repubblica e poi arriveranno, appunto, in Parlamento. A quel punto, capiremo meglio qual è il percorso che il Governo ha immaginato sulla questione di cui stiamo parlando. Questo è il primo argomento sul quale, ovviamente, sono pronto a fare tutti gli approfondimenti che volete.
  Per quanto riguarda il secondo argomento, si tratta di una vicenda rispetto alla quale anche io ho avuto una serie di segnalazioni, in particolare da sindaci del nord (parlo di Bergamo e di altre aree soprattutto della Lombardia). Effettivamente, i sindaci pongono dei problemi che, però, al momento non siamo riusciti a risolvere perché la normativa è abbastanza chiara. Peraltro, quella che è stata indicata come una circolare non lo era, essendo solamente la risposta a un quesito che aveva posto un comune.
  In realtà, come lei ha detto con molta precisione, l'articolo 5 del decreto legislativo n. 142 stabilisce il diritto all'iscrizione anagrafica del richiedente la protezione internazionale in presenza sia del permesso di soggiorno sia di ricevuta del permesso stesso. Sempre in base all'articolo 5, la dimora abituale ai fini dell'iscrizione è nel centro o nella struttura di accoglienza dove il migrante è ospitato. Il diritto all'iscrizione anagrafica è previsto, peraltro, dall'articolo 6, comma 7 del Testo unico sull'immigrazione, che dispone, in particolare, che le iscrizioni – parliamo del 1998 – e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani. Il rilascio della carta di identità è solo una conseguenza dell'iscrizione anagrafica. La validità della carta è collegata alla durata del permesso di soggiorno, ma non è valida per l'espatrio. Sulla carta di identità dovrebbe o potrebbe essere indicata la scadenza. Questa, però, è una discussione che è ancora in piedi. Comunque, non è determinante se è possibile o meno indicare la scadenza. Di questo stiamo parlando con i colleghi che si occupano al Dipartimento enti locali, affari interni e territoriali. Insomma, la questione è regolata in maniera abbastanza specifica da norme vigenti. Il tema, ora, è se e come si vuole cambiare.
  Per quanto mi riguarda, se devo esprimere un'opinione, occorrerebbe realizzare – non si è ancora fatto per motivi tecnici o forse anche di risorse – un collegamento tra l'INA-SAIA e tutto il mondo delle anagrafi con le banche dati del Dipartimento di pubblica sicurezza, in maniera che si possa conoscere immediatamente la scadenza del permesso di soggiorno e provvedere alla revoca dell'iscrizione anagrafica. Questo non ci consente di ritirare immediatamente Pag. 6 il documento carta di identità, cioè il pezzo di carta che reca l'identità. Sarebbe comunque importante riuscire a revocarne la validità nel momento in cui viene meno il permesso di soggiorno o viene negata la protezione internazionale, come lei diceva.
  Non è un aspetto di mia diretta competenza – non lo dico per sfilarmi dal problema – che potremmo rappresentare per cercare delle soluzioni compatibili. Vorrei sottolineare – lo dico senza alcuno spirito polemico; alle 8.40 di mattina nessuno ha voglia di polemizzare – che è una forma di trascinamento di una normativa che già esisteva. Non c'è nessuna particolare novità in questo ambito. Tuttavia, mi faccio carico, come dicevo, dei sindaci che si sono lamentati soprattutto per la preoccupazione di avere un'anagrafe non coincidente con le situazioni reali che si determinano sul territorio. Capisco bene questo punto, che – ripeto – mi è stato rappresentato più volte. Nel momento in cui ci sarà uno spazio in Parlamento, rispetto a tutte le altre questioni, per mettere a fuoco alcuni aspetti della normativa, che ormai risente del tempo, essendo passati diversi anni, credo che dovremmo affrontare anche questo problema. Per il momento, questo è solo una conseguenza matematica di quello che è scritto.

  PRESIDENTE. C'è un obbligo di comunicazione ai sindaci, da parte dei centri che accolgono, quando il soggetto si sposta o se ne va? Questo non si potrebbe già prevedere senza arrivare a un provvedimento normativo di modifica della legge del 1998?

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Certo, possiamo provare a metterlo nei capitolati d'oneri. Tra l'altro, per allinearci alle linee guida dell'ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) e così via, abbiamo predisposto un nuovo capitolato d'oneri, diviso in vari lotti, come indicato appunto dall'ANAC.
  Abbiamo già ricevuto, dal tavolo nazionale dell'immigrazione, le riflessioni di alcune amministrazioni che hanno partecipato al lavoro, quindi stiamo per mandarlo alla valutazione dell'ANAC. In questa occasione possiamo provare a inserire questo obbligo da parte del gestore.

  PRESIDENTE. Certo, con la collaborazione del Comitato Schengen. Prefetto, vuole dirci qualcosa sul piano, sugli ultimi incontri del Consiglio o sulle valutazioni su Dublino?

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Con molta sincerità – d'altra parte al Comitato Schengen devo parlare per forza in sincerità, quindi la mia è solo un'affermazione retorica – nei rapporti europei, oggettivamente, siamo un po’ arrabbiati (uso la parola giusta). Infatti, siamo oggetto di un monitoraggio costante e ossessivo che posso anche comprendere perché rimane un forte pregiudizio, soprattutto del centro e nord Europa, rispetto ad alcune delle scelte del 2014 che hanno consentito a un numero elevato di persone di andare in giro nell'area Schengen. Stiamo pagando, dunque, questo fatto con un forte pressione da parte dei Paesi centro e nordeuropei che ci guardano con la lente di ingrandimento. Tuttavia, dalla metà del 2015 abbiamo fatto con precisione e onestà il nostro dovere, rispettando le regole dell'Accordo di Dublino, ovvero identificando tutti quelli che dovevamo e facendo i famosi hotspot (ne stiamo facendo ancora altri), ma soprattutto utilizzando le procedure indicate da loro, alla presenza delle agenzie europee come Frontex, ASO ed Europol. Dal mio punto di vista, dalla metà del 2015 siamo irreprensibili sotto il profilo dello sbarco e dell'accoglienza.
  Lo stesso, però, non vale nei confronti dei Paesi che avevano assunto l'impegno e che avevano liberamente condiviso la decisione dell'Agenda Juncker di settembre e prima ancora di maggio del 2015, sulla base della quale sarebbe stato necessario condividere il peso degli arrivi, distribuendoli in 150.000 quote, di cui 39.600 sarebbero state provenienti dall'Italia. In realtà, a oggi siamo riusciti a riallocare 1.318 persone. Stamattina non sono in grado di Pag. 7fornire il dato precisissimo, ma parliamo di questo ordine di grandezza. Questo non accade – lo dico ad alta voce – per colpa nostra. Infatti, da tempo abbiamo inviato a tutti le richieste di disponibilità di posti, ma abbiamo una sorta di «egoismo nazionale» che ci impedisce di portare le persone negli altri Paesi. Per esempio, la Spagna non ci ha mai dato posti (13 in tutto). Un altro esempio lampante riguarda gli amici forse più corretti, i tedeschi con i quali, peraltro, ho un ottimo rapporto, dovendoli ringraziare per tante occasioni. Il Ministro de Maizière ha detto al Meeting di CL di Rimini e poi confermato in altre circostanze che avrebbero preso 500 persone al mese. Eppure, abbiamo mandato più di 700 application in Germania, ma non abbiamo ancora avuto una sola approval, cioè una approvazione di quelle richieste. Dal settembre del 2015, in Germania sono state inviati 17 adulti e 3 bambini, quindi 20 in tutto.
  Naturalmente, la difficoltà non è solo della Germania, che ha avuto i suoi problemi non solo per motivi elettorali, ma anche in relazione a quanto accaduto sulla rotta balcanica nel 2015. Capisco benissimo, quindi, lo slittamento nel tempo degli impegni che aveva assunto. Invece, i Paesi cosiddetti del «Gruppo di Visegrad» hanno un atteggiamento insopportabile e soprattutto di disprezzo rispetto agli impegni che hanno assunto e sottoscritto con il Trattato di Lisbona, in particolare con gli articoli 78 e 80, sul piano della solidarietà. Francamente, questo non ci aiuta perché noi abbiamo fatto e stiamo facendo la nostra parte, mentre gli altri non hanno fatto la loro. Questo è tristemente vero.
  Aggiungo che persiste un pesante pregiudizio e soprattutto, in alcuni Paesi, una sorta di ossessione nei confronti dell'Italia. Sono, cioè, pronti a darci delle risorse purché noi facciamo i centri chiusi e hotspot da tutte le parti. Ebbene, noi non faremo i centri chiusi. Scusi se lo dico così duramente in Parlamento. In questo Paese – almeno per i valori che conosco e per quello che ho studiato all'università – non mi pare ci siano le condizioni per fare i campi di concentramento. Su questo, credo che debbano mettersi l'anima in pace. Si pone, però, un problema nazionale, ovvero come distribuire questa accoglienza e come far sì che non impatti sui territori, creando sconquassi. Credo che questo sia il punto che ci interessa di più a livello nazionale. Di qui nasce l'idea e la nuova policy dell'accoglienza diffusa, ovvero piccoli numeri per tutti i comuni italiani senza eccezioni. È chiaro che questo è un obiettivo da raggiungere. Non immaginiamo che sarà possibile farlo da domani mattina, ma riteniamo sia un percorso da intraprendere, chiedendo ai sindaci di essere protagonisti del loro territorio e di scegliere autonomamente in relazione alla dimensione del territorio stesso e della popolazione residente il progetto che vogliono portare avanti e come vogliono realizzarlo. Vogliamo, dunque, rispettare il ruolo dei sindaci.
  Per questo il Ministro Alfano l'11 ottobre, il giorno prima della grande assemblea di Bari dell'ANCI, ha firmato una direttiva ai prefetti, dicendo che le famose gare, che tanto fastidio danno al territorio, per trovare strutture dove accogliere, vanno fatte in quelle aree territoriali dove non c'è stata accoglienza, esentando quelle che la hanno già fornita. Parliamo, naturalmente, di un'accoglienza che sia in linea con la capacità del territorio, il che significa che va rispettato un rapporto percentuale tra popolazione residente e persone da accogliere, in modo che non impattino sul territorio. Questo è il percorso che abbiamo immaginato e che cerchiamo di portare avanti, sul quale sono stati calati anche interventi che vedremo meglio sia nella legge di stabilità sia nel provvedimento che stanno scrivendo a Palazzo Chigi per aiutare i sindaci che accolgono.
  Per questo sono stato – lo dico per rendere concreta questo tipo di politica – a Bagnoli di Sopra venerdì scorso dove c'era una lunga polemica, che è venuta fuori anche sui giornali, per la presenza di 700-800 persone in un comune di 3.000 abitanti, che vorremmo sgonfiare. La stessa cosa accade a Cona, che è in provincia di Venezia, ma è soli a 5 chilometri da Bagnoli, che invece è in provincia di Padova. D'altra parte, credo che il Parlamento sia Pag. 8testimone del fatto che tutti i problemi veri o presunti – alcuni molto veri, altri onestamente presunti – che vengono denunciati sul tema dell'accoglienza si determinano quando le presenze sono molto importanti dal punto di vista dei numeri.
  Parliamo di Mineo, Crotone, Bari o Foggia, ovvero delle grandi strutture in cui diventa oggettivamente difficile un controllo profondo o attuare dei percorsi di integrazione e di inclusione o ancora coinvolgere le persone in circuiti virtuosi di volontariato a livello comunale o di inserimento vero e proprio dal punto di vista lavorativo. La strada è quella di ridurre sempre di più le grandi infrastrutture in piccole e medie strutture per avere un'accoglienza diffusa in tutti i comuni italiani. Si tratta, ovviamente, di un'operazione che prevede l'adesione volontaria, non obbligatoria, da parte dei comuni, pertanto presuppone una mediazione costante sul piano sia amministrativo sia politico.

  PRESIDENTE. Grazie, prefetto. Lascio subito la parola ai colleghi. Voglio aggiungere solo che sono certa che il punto non possa essere soltanto quello delle ricollocazioni perché, come ci insegna, stando ai numeri abbiamo anche un problema di migranti economici. Anche se l'Europa espletasse il 100 per cento delle ricollocazioni rimarrebbe comunque il fatto che la maggioranza dei richiedenti che sono sul territorio poi si rivelano migranti economici. L'impegno europeo, dunque, dovrebbe essere anche su questo.
  Se facciamo la partita solo sui profughi risolviamo solo il 7 per cento dei nostri problemi. Se si parla anche di protezione umanitaria e sussidiaria siamo al 37 per cento, quindi rimane sempre un 60 per cento. Pertanto, dovrebbe esserci una gestione comune anche su questo.
  Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  LUCA FRUSONE. Mi scuso, ma ho accoglienza con le scuole alle 9,30. La mia, più che altro, è una doglianza. Oggi il grande problema percepito sul territorio è quello dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria). Sullo SPRAR e sull'accoglienza diffusa sono d'accordissimo con quello che ha detto. Tuttavia, quello che oggi porta problemi sul territorio – a parte dove c'erano i CIE, i CARA e gli hotspot – sono i CAS.
  Rispetto a questo, devo purtroppo ravvisare che molte prefetture non svolgono un'attività del tutto trasparente, nel senso che, paradossalmente, ho visto bandi eccellenti nel due 2014 e nel 2015, mentre nel 2016 le richieste che si facevano a queste società sono calate a livello qualitativo. Oggi tutto il processo è meno trasparente. Vedo, per esempio, alcune province in cui non vengono nemmeno pubblicati i vincitori. Di conseguenza, non si può fare un'azione di controllo adeguato sul territorio, senza considerare che questo ha lasciato la possibilità a cooperative e società di poter aprire ovunque i CAS, anche in comuni completamente isolati, dove viene meno tutta la questione dell'integrazione.
  Lei ha parlato di una nota – non ricordo bene cosa fosse – del Ministro Alfano ai prefetti. Anche la presidente ha dato un ottimo spunto su questo. Pertanto, chiedo che ci sia maggiore attenzione sulla trasparenza delle procedure, altrimenti sul territorio – lei lo sa meglio di me – una voce messa in giro diventa pericolosa, ovvero motivo di proteste per i cittadini. Ecco, queste cose non aiutano in questa fase delicata. Per contro, con la massima trasparenza si evitano molte di queste voci che portano a un nulla di fatto o a una sollevazione di scudi che non ci serve in questo momento. La ringrazio e mi scuso perché, purtroppo, devo scappare a Montecitorio. Ovviamente, leggerò tutto il resoconto stenografico.

  PAOLO ARRIGONI. Ringrazio la presidente Ravetto per aver accolto la mia proposta di affrontare il tema dell'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. Ringrazio anche il prefetto Morcone per aver accettato questa audizione. Prefetto, mi atterrò ai due temi messi sul tavolo dal presidente. Non mi allargherò ad altre questioni che riguardano la gestione dell'immigrazione. Tuttavia, anche quello dell'iscrizione anagrafica è un ennesimo pasticcio, come quello Pag. 9dei ricollocamenti perché l'accordo con l'Europa riguarda solo nazionalità che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, ma noi di eritrei, di siriani e di iracheni ne abbiamo veramente pochissimi. Comunque, chiusa la parentesi, l'iscrizione anagrafica deriva da due direttive europee poi recepite maldestramente dal Governo italiano e dalle Commissione parlamentari che hanno espresso il parere sul decreto legislativo n. 142. A parte il fatto che, oltre all'onere di rilasciare la carta d'identità a un richiedente asilo che – come dicono le statistiche – si dimostrerà essere clandestino, c'è anche l'aspetto che l'iscrizione all'anagrafe comunale aumenta gli abitanti, per cui magari il comune è tenuto a pagare maggiormente dei servizi il cui costo si basa, appunto, sul numero di abitanti. Questo è un altro aspetto. Torno, però, su alcune cose che sono già emerse. Le sembra normale, prefetto Morcone, che in caso di irreperibilità del richiedente asilo ospitato in un CAS o in uno SPRAR, ovvero per cancellazione per esito positivo e negativo dell'istanza di richieste di asilo, i gestori non abbiano l'obbligo di comunicarlo immediatamente al comune?
  Il comune di Cremeno, in provincia di Lecco, ha 96 richiedenti asilo che hanno ottenuto la richiesta di carta d'identità nei mesi scorsi. Poi, per un controllo fatto dal comune, si scopre che 43 sono irreperibili. Questo è allucinante, prefetto Morcone. Le sembra normale che un comune debba attivare un procedimento di irreperibilità – parlo di questi 43, non cito dati di altri comuni – che dura 12 mesi e spendere tempo e denaro per fare la raccomandata con ricevuta di ritorno, impiegare periodicamente dei messi comunali e così via? Ecco, lo trovo veramente allucinante. Non ritiene più opportuno intervenire sulla normativa in modo che le cancellazioni debbano essere immediate?
  Ritiene, inoltre, di escludere la possibilità che un richiedente asilo iscritto all'anagrafe comunale possa beneficiare dei servizi di welfare comunale? Un richiedente asilo è in un CAS, ma – ripeto – ritiene di escludere che egli possa beneficiare anche di servizi di welfare comunale? Ritiene di escludere la possibilità che un richiedente asilo, dopo l'ottenimento di esito positivo dell'istanza di asilo, dovendo uscire dal CAS per entrare nella rete SPRAR, che sappiamo essere satura, possa girovagare per il territorio? Formalmente, dovrebbe uscire dal CAS e quindi gravare sui servizi di welfare comunale.
  Ancora, sempre per quanto riguarda la questione annosa, caotica e pasticciata dell'iscrizione anagrafica e del rilascio della carta d'identità, cosa accade per un comune che ha iscritto all'anagrafe comunale un migrante titolare di protezione internazionale allo scadere della stessa, cioè dopo cinque anni se è un rifugiato, tre anni se è titolare di protezione sussidiaria o un anno in caso di protezione umanitaria? Rimane residente, quindi c'è il rischio che gravi sull'erogazione dei servizi di welfare da parte del comune?
  Vengo a un'altra questione. Non me ne vogliano i colleghi, ma per me la presenza del prefetto Morcone è un'occasione importante. La settimana scorsa a Bari, in occasione dell'Assemblea generale dell'ANCI – lei era presente – sono state illustrate le linee guida del piano nazionale di distribuzione dei migranti. Non sappiamo quando questo piano verrà ufficializzato, né i parametri (si dice 2,5 richiedenti asilo per ogni 1.000 abitanti, differenze tra piccoli, medi, grandi comuni e città metropolitane e così via). Comunque, la caratteristica di questo nuovo approccio del Governo è la clausola di salvaguardia per i comuni che aderiscono allo SPRAR. In sostanza, se un comune aderisce allo SPRAR sarà esentato dall'avere posti CAS sul suo territorio. Laddove questi ci dovessero essere, nel tempo verranno a diminuire. Ora, la domanda è questa. Negli SPRAR verranno collocati solo migranti che hanno ottenuto protezione? Se sì, quale, rifugiato, protezione sussidiaria o quella umanitaria? Oppure lei ritiene, di fronte a una disponibilità, visto anche le premialità che il Governo si appresta a varare – questo il primo passo, forse più avanti ci saranno anche delle sanzioni per i comuni che non aderiranno – che nella rete SPRAR possano essere ospitati anche dei semplici richiedenti asilo Pag. 10in attesa dell'esito della prima istanza o del ricorso?
  Sulla parte economica, la presidente Ravetto le ha posto una domanda per sapere se è vero che in legge di stabilità si sta pensando a un fondo di 3 miliardi di euro. Lo scorso anno, nel 2015, il ministro Padoan aveva dichiarato all'Unione europea una spesa di 3,3 miliardi. Al 31 dicembre 2015 abbiamo chiuso con 103.000 persone nel sistema di accoglienza. Oggi siamo già a 165.000. Ora, vuoto per pieno, quest'anno supereremo i 4,5 miliardi. Ecco, vorrei capire la cifra a cui il Governo sta pensando.
  Finisco con l'ultima domanda – mi scuso ancora con i colleghi – a quanto ammonta oggi il debito del Ministero dell'interno che non è ancora finanziato nei confronti dei gestori degli SPRAR o dei CAS?

  GIORGIO BRANDOLIN. Io farò meno domande. Comunque, il collega è molto preparato e puntuale. Ognuno fa la sua battaglia.

  PAOLO ARRIGONI. Devo aiutare i comuni su cui non può gravare...

  GIORGIO BRANDOLIN. Non ti sto prendendo in giro e sto dicendo...

  PRESIDENTE. Ha già dato un suggerimento che il prefetto ha già recepito sull'obbligatorietà di comunicazione da parte dei gestori ai sindaci.

  GIORGIO BRANDOLIN. In questo Comitato abbiamo lavorato in modo corretto e poco strumentale. Allora, la mia prima domanda è l'ultima che ha fatto il collega. Vorremmo capire quanti sono i milioni che mancano per coprire, se ho ben capito, entro il 30 novembre del 2016, il debito, ovvero crediti delle varie agenzie o istituzioni che lavorano per ospitare queste persone. Si è parlato di 500 o 600. Nella mia piccola regione, il Friuli Venezia Giulia, si parla di 6, 8 o 2, a seconda del giornale o delle giornate. Quindi le chiedo se è possibile aver un dato anche per tranquillizzare gli stessi operatori.
  Questa è la prima domanda. Passo alla seconda. Abbiamo dei numeri precisi? Lei, con molta sincerità e chiarezza, ci ha detto che dalla metà del 2015 il comportamento del nostro Paese è stato irreprensibile, mentre prima è stato un po’ distratto. Pertanto, dal 2015 il numero delle persone che «stanziano» (uso una parola sbagliata e brutta) nel nostro Paese aumenta sempre di più perché le persone che vengono salvate in mare sono lo stesso numero nel 2014, nel 2015 e nel 2016 (10.000 più o meno). Alla fine, però, cominciano a essere tanti. Prima erano solo 60.000. Adesso siamo arrivati a 175.000. Il prossimo anno, probabilmente, aumenteranno ancora di più perché rimangono in Italia. Ecco, la domanda è se c'è una proiezione su questo. Questi numeri vengono superati continuamente, mese per mese. Appena viene chiuso un problema, ne viene immediatamente aperto un altro, che riguarda l'aumento incredibile di questi numeri, stante che gli altri Paesi europei non lavorano come previsto dagli accordi, ovvero non prendono nessuno dei nostri.
  La terza domanda va un po’ fuori rispetto ai due punti che ha posto la presidente. Noi parliamo soltanto delle difficoltà delle persone che vengono salvate attraverso le operazioni come Sophia. Invece, riguardo alla rotta balcanica, che mi interessa molto, assistiamo al ritorno nei nostri paesi, in particolare nelle zone di confine alpine, dall'Austria, dalla Slovenia e dalla Germania, di persone con una struttura che li porta a chiedere asilo a Udine, a Verona o a Padova. Ecco, avete dei numeri significativi anche in questo caso o rispetto al dramma del salvataggio delle centinaia di migliaia di persone all'anno nel Mediterraneo, questa cifra risulta essere risibile?
  Ultime due domande e ho finito, anche se ne avrei tante. All'epoca si parlava di individuare sul territorio delle strutture dismesse. Per esempio, nel nord abbiamo le benedette caserme dismesse. Ora, avete un piano? Esiste ancora quell'ipotesi o è stata superata, stante anche le affermazioni che ha fatto riguardo all'assoluta non positività di avere 700 e oltre persone in queste ex caserme? Pag. 11
  L'ultima domanda è stata fatta anche dal collega. Quando verrà fuori l'accordo tra ministero e ANCI, che è la cosa forse più importante?

  PRESIDENTE. Grazie, vicepresidente Brandolin, Onorevole Gadda, le dispiace se sentiamo prima la risposta del prefetto, visto che il senatore Arrigoni deve recarsi al Senato?
  Prefetto, le chiedo di rispondere ai quesiti posti fin qui, procederemo a macchia di leopardo.

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Non ho nessun problema. Il tema che ha posto il senatore Arrigoni è molto vasto, ma cercherò di essere il più sintetico possibile. Comunque, la prima risposta la debbo a lei, presidente, perché giustamente ha posto con grande garbo il tema dei rimpatri (sono intelligente). Come sempre, provo a parlarvi con grande onestà (poi, che faccia piacere o meno è una questione che non deve riguardarmi). È chiaro che siamo tutti d'accordo che i rimpatri vanno fatti, per mille motivi (perché ci sono persone che non vogliamo avere qui e se ne devono tornare a casa loro; perché ci sono persone che non hanno diritto e così via). Se, però, l'idea è che i rimpatri siano la soluzione inganniamo noi stessi. I rimpatri sono solo una parte della soluzione. Infatti, non sarà mai possibile avere dei numeri di rimpatri tali per cui quella possa essere la soluzione del problema.
  Come sapete, i rimpatri si dividono in volontari e forzati. Sui rimpatri forzati è necessario avere i famosi «accordi di riammissione». Da mesi e mesi, dalla Presidenza italiana, il nostro Governo si sta battendo per avere accordi di riammissione con i Paesi africani che riguardino tutti i paesi dell'area Schengen. Da qui nasce anche il migration compact, che ha un gancio rispetto al tema dei rimpatri, ovvero alla disponibilità dei Paesi di riprendersi i cittadini che non hanno titolo per rimanere in Europa. Questa è una strada che si sta perseguendo con grande impegno. Tuttavia, pensare che oggi il rimpatrio sia la soluzione sarebbe ipocrita. Sui rimpatri volontari abbiamo avviato, anche noi, come Dipartimento, una campagna importante, che crescerà ulteriormente nelle prossime settimane. Rimane, però, sempre una fascia di persone che non potremmo rimpatriare o che non vorranno tornare a casa. Su questo tema ci dovremo impegnare. In particolare, il Parlamento si dovrà impegnare in una riflessione, superati i momenti particolarmente delicati dal punto di vista del dibattito politico.
  All'onorevole Frusone, che è dovuto andar via, voglio dire che può accadere – non mi meraviglia – che nell'ansia di sistemare persone non ci sia stata la trasparenza che ci si aspettava nell'istituzione dei Centri di accoglienza straordinaria (cosiddetti CAS). Non lo nego. Onestamente, però, devo dire che il coinvolgimento dei colleghi sul territorio, che sono quelli che si occupano di tutto questo, è sempre finalizzata a trovare soluzioni a situazioni che imponiamo in poche ore da Roma. Quando arrivano 11.000 persone in due o tre giorni e dobbiamo fare una ripartizione territoriale, dovreste assistere alle telefonate molto «intense» tra i colleghi sul territorio che, disperati, devono trovare delle soluzioni perché non possiamo lasciare quelle persone su un molo.
  La direttiva del Ministro Alfano – lo vorrei spiegare – non si riferisce solamente allo SPRAR, ma a quei comuni che non accolgono, quindi ha l'obiettivo di trovare soluzioni per i comuni che non accolgono, tenendo indenni quelli che accolgono, spesso anche numeri superiori rispetto a quelli che sarebbe giusto in relazione alla popolazione residente.
  Senatore Arrigoni, c'è un'occasione che si presenterà prestissimo – io stesso mi impegno a fare un approfondimento in questo senso – ovvero la revisione del decreto n. 142, che ha tempo un anno, appunto, per la sua revisione, termine che tra poco scade. Noi contavamo di inserire nel decreto che stiamo preparando diverse cose. Terremo conto anche delle indicazioni al Parlamento rispetto al tema della carta di identità. Cercheremo, anche nel rispetto delle indicazioni che voi ci darete, di trovare Pag. 12 una soluzione per alleggerire questo tipo di problematica che è stata posta autorevolmente da tanti di voi senza appartenenze specifiche, ma in maniera diffusa rispetto all'arco politico. Dopodiché, se mi chiede di escludere dal servizio di welfare comunale le persone che hanno la protezione internazionale, francamente non lo capisco. Infatti, chi ha avuto la protezione internazionale o quella sussidiaria non ha scadenze. Se rimane qui è perché lavora; di conseguenza, paga i contributi e quindi la mia pensione. Questa non è una mia opinione. Vorrei che deste uno sguardo a quello che ha detto il presidente dell'INPS o alla ricerca di Confindustria – non credo sia un'organizzazione solidaristica – presentata a giugno o che leggeste il rapporto della Fondazione Leone Moressa di Venezia uscito qualche giorno fa. Ecco, vi rendereste conto che c'è certamente un tema irregolarità sul quale dobbiamo impegnarci a trovare delle soluzioni, ma le persone che sono da noi, che hanno avuto protezione internazionale, che lavorano e che contribuiscono al nostro bilancio forse ci lasciano di più di quello che restituiamo loro sotto forma di servizi.
  La clausola di salvaguardia, come dicevo, riguarda sia SPRAR sia CAS perché si riferisce soprattutto ai comuni che non accolgono, che oggi sono – ripeto – 2.600 rispetto al totale di 7.998. Parlare del debito del Ministero dell'interno mi mette in difficoltà. Il tema è che l'accoglienza ci costa circa 100 milioni al mese. Complessivamente, stiamo parlando di 1,2 miliardi. Una parte è stata pagata. Oggi, come indicato da alcuni organi di stampa, servono 600-650 milioni per il 2016. Questo è l'ordine di grandezza. Vorrei chiarire che queste risorse erano state già individuate e tenute disponibili per la manovra economica che il Governo ha varato venerdì scorso. Certo, c'è un tempo di sofferenza. Questo è uno dei problemi soprattutto delle piccole organizzazioni, quelle che molto spesso manifestano l'atteggiamento migliore o la best practice. Purtroppo, è la piccola organizzazione che va in sofferenza in mancanza di risorse. La grande organizzazione, che ha grandi strutture, ha una disponibilità legata a rapporti con grandi istituzioni finanziarie che consente loro di soffrire per tre o quattro mesi in attesa che si trovino gli strumenti amministrativi per il pagamento. La sofferenza forte è legata, peraltro, proprio alla policy che stiamo portando avanti per l'accoglienza diffusa, là dove ci sono tante piccole organizzazioni che fanno cose bellissime. Capisco che si possa non essere d'accordo, ma vi posso assicurare che, assieme a vicende meno trasparenti, quali quelle che citava l'onorevole Frusone, ci sono tantissime bellissime esperienze diffuse in tutto il territorio nazionale. Penso a quello che ho visto a Bergamo o a Brescia. Ci sono – ripeto – tantissime belle operazioni di inclusione e di integrazione.
  L'irregolarità è una questione sulla quale bisognerà fare una riflessione. Spero che il Parlamento possa darci degli spunti e delle indicazioni. Sulla base delle cose che ci hanno detto l'INPS, l'ISTAT, Confindustria e la Fondazione Leone Moressa, penso che dovremo battere la strada di coinvolgere queste persone. L'ho detto, peraltro, in un articolo che avuto una risposta molto pesante il 18 agosto sul Corriere della sera. Ne potrete disporre, se volete. Naturalmente, sono stato trattato con la consueta simpatia da alcuni autorevoli esponenti politici. In realtà, il problema che si pone – che, peraltro, ha posto il sindaco di Milano e anche altre istituzioni – è quello di coinvolgere queste persone e non consentire che perdano la voglia di costruire il loro futuro qui, aspettando il pranzo e la cena. Bisogna, dunque, coinvolgerli in attività di volontariato e in percorsi di integrazione. D'altra parte, ci sono zone del nostro Paese completamente desertificate. Ci sono lavori in montagna che non si fanno più. Che il taglio del bosco non si faccia più è una cosa nota. Non possiamo dire che non è vero. Che i pomodori San Marzano li raccolgano solamente gli immigrati è un fatto, non un'opinione di Morcone.

  PRESIDENTE. Il problema è che per fare i raccoglitori di pomodori San Marzano si è sottopagati, quindi bisognerebbe riflettere sul fatto che non è vero che gli Pag. 13italiani non vogliono fare certi lavori. È che non vogliono farli a certe condizioni.

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Sono assolutamente d'accordo. Infatti, sono contento che il Ministro Alfano abbia firmato con il Ministro Martina e con il Ministro Poletti un protocollo contro il caporalato. Tuttavia, dubito che gli italiani siano disponibili a svolgere alcuni lavori.
  L'ultimo argomento è quello della rotta balcanica. Noi abbiamo avuto diverse migliaia di persone. Siamo arrivati a 6-7.000 persone, la famosa «strada degli isontini». Devo dire che i colleghi della Polizia di Stato e del Dipartimento hanno costruito con i colleghi dei Paesi vicini e dell'Austria in particolare un rapporto nuovo e intenso. Dall'11 settembre questo funziona. Abbiamo ancora qualche presenza che sfugge alle maglie di queste operazioni e che arriva da noi. Un'altra cosa che va detta è che ci sono anche quelli che dall'Austria o dalla Slovenia vengono da noi. Tuttavia, sono poche unità, quindi è un fatto abbastanza fisiologico. Speriamo che il nuovo dispositivo messo in campo, con un rapporto forte delle nostre Forze di polizia, mantenga una situazione che non è più quella dei mesi passati.

  PAOLO ARRIGONI. Presidente, scusi...

  PRESIDENTE. Scusi, con tutto il rispetto senatore, le do subito la parola. Tuttavia, questo non è un ping-pong. È il presidente che le dà la parola, non se la prende lei, quindi la prego di spegnere il microfono. Non sarebbe nelle regole, perché – ripeto – non è che c'è la replica dei singoli. Ora ci sarebbe l'onorevole Gadda. Se autorizza a un'osservazione del senatore, gli do la parola.

  PAOLO ARRIGONI. Non è mia abitudine intervenire per una seconda volta in occasione delle domande. Tuttavia, signor prefetto, lei non ha risposto a delle mie domande precise, eludendole. Ha fatto degli interventi di natura politica, citando il lavoro della Fondazione Leone Moressa. Invece, io le ho chiesto se ritiene di escludere che un richiedente asilo, iscritto all'anagrafe comunale, possa gravare sui servizi di welfare, ovvero se si sente di escludere che un richiedente asilo che ottiene l'esito positivo, non potendo entrare nella rete SPRAR perché satura, possa gravare sui servizi di welfare comunale.
  Poi le ho fatto un'altra domanda, ovvero se i comuni che aderiscono alla rete SPRAR possono accogliere nei centri, oltre a persone che hanno ottenuto lo status di protezione, anche dei semplici richiedenti asilo. Infine, lei ha parlato di 100 milioni al mese di costi per il servizio di accoglienza. Ora, per 165.000 persone, moltiplicando per 35 euro al giorno, siamo abbondantemente oltre i 2 miliardi di euro. Semplicemente questo volevo dire.

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Per quanto riguarda le spese, vi posso lasciare i dati. Sono 1,2 miliardi all'anno. Non parliamo né di 2, né di 3, né di 4 miliardi. Peraltro, la cifra di 1,2 miliardi è ampiamente sotto quello che i migranti che lavorano legittimamente in Italia ci restituiscono sotto forma di PIL. Questo – lo torno a dire – non è un'opinione, ma lo dice Confindustria, l'ISTAT, tralasciando la Fondazione Leone Moressa. La ricerca di Confindustria è di giugno. Se poi crede che Confindustria sia un'associazione solidaristica, è libero di farlo.
  Per quanto riguarda il tema che lei ha posto, ho già detto che chi ha protezione sussidiaria o comunque dello status di rifugiato ha pienamente diritto di avvalersi del welfare comunale. Per chi è solo richiedente asilo è un tema che si pone e che porremo all'interno della revisione del decreto n. 142 in relazione alla questione residenza, carta d'identità e servizi del welfare comunale. C'è l'occasione per il Parlamento di esprimersi relativamente alle proposte che faremo da qui a qualche settimana, se non a qualche mese. Ci atterremo, ovviamente, alle indicazioni che il Parlamento ci darà.

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  MARIA CHIARA GADDA. Ringrazio il prefetto per le sue risposte e la sua presenza oggi. Ho alcune brevissime domande, considerati i tempi. Nella seconda parte dell'intervento, ha parlato dei lavori socialmente utili e delle iniziative che possono essere utilizzate per coinvolgere le persone ospitate nei centri. Peraltro, questo è anche molto utile per le politiche di integrazione, per imparare la lingua e tutto quanto consegue. Questo elemento è incluso nell'accordo che si sta elaborando con ANCI oppure anche questa parte viene rimandata a eventuali proposte d'iniziativa parlamentare? Se si è discusso in questi termini, sono previste anche delle forme di obbligatorietà per quanto riguarda la distribuzione sul territorio nazionale?
  Ancora, le chiedo se è all'ordine del giorno una redistribuzione per quanto riguarda non soltanto i comuni, ma anche su base regionale. Dico questo perché ci sono delle regioni che hanno oggettivamente delle percentuali di accoglienza più basse rispetto alle altre. Ecco, mi chiedo se queste percentuali più basse abbiano delle ragioni magari legate alle difficoltà che quelle regioni specifiche vivono, per cui possono essere giustificate da motivazioni di tipo economico, occupazionale e quant'altro.
  Inoltre, vorrei una precisazione sul capitolato d'oneri che ha citato prima. Infatti, non ho capito bene se il capitolato in valutazione in questo momento presso l'ANAC sarà un format replicabile per tutti sul territorio nazionale. Effettivamente, alcuni dei capitolati demandati alle singole prefetture sono scritti in modo più scrupoloso di altri. Questo è un tema di cui abbiamo parlato molto sia in questo Comitato, sia nella Commissione di inchiesta sui migranti che si occupa anche di questi temi. È uno strumento che potrebbe essere di aiuto per tutti rispetto alla chiarezza e alla trasparenza.
  Si è parlato di rimpatri e di relocation, ma nel suo intervento lei ha toccato brevemente un altro tema. Infatti, se si osservano le nazionalità di sbarco e si incrocia questo dato con le richieste di protezione, le nazionalità non sempre coincidono. Questo vuol dire che dalle rotte balcaniche o con altre modalità, magari attraverso persone che sono permanenti sul nostro territorio da più tempo, arrivano anche altre nazionalità. Di conseguenza, arrivando dalla rotta balcanica e non via mare, perché il Mediterraneo è il confine esterno dell'Europa, questo ci dice che il Paese di primo arrivo non è l'Italia. Ecco, esistono dei dati numerici relativi agli arrivi di quelle nazionalità dall'Austria o dalla Germania per capire qual è il rapporto con questi Paesi relativamente alla gestione di persone che arrivano dal loro Paese e dai loro confini?
  Noi siamo stati – come ha ben ricordato lei – molto precisi nella definizione degli hotspot e nelle identificazioni che raggiungono ormai percentuali pari al 100 per cento per quanto riguarda gli arrivi via mare. Forse, però, gli altri Paesi non sono stati rispettosi di rapporti anche di convivenza nei confronti del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Abbiamo un altro intervento. Abbiamo tempo fino alle 10.

  GIOVANNI FALCONE. Sono stato investito di una richiesta di vari sindaci in provincia di Novara, che in questo periodo si stanno trovando ad avere dei minori egiziani che si muovono sul territorio e che si spostano da Milano. La loro preoccupazione è che questi siano manipolati e mossi da un'organizzazione. Vorrei sapere se ne siete a conoscenza.

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Sul capitolato d'oneri, stiamo facendo questo lavoro sia per aggiornarlo alle regole della trasparenza e così via, ma anche per fornire un format a tutte le prefetture perché vi sia un atteggiamento uniforme rispetto al tutto.

  MARIA CHIARA GADDA. Si prevede un tempo?

  MARIO MORCONE, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno. Dobbiamo chiudere entro la fine dell'anno perché con il nuovo anno andranno fatte le gare sulla base di Pag. 15questo nuovo capitolato. Insomma, siamo davvero chiudendo. Non le nascondo che siamo preoccupati perché la suddivisione in lotti per dare la possibilità alle piccole imprese di partecipare rischia di far salire i costi. Questa è la mia preoccupazione, ma va bene così. Non c'è problema. Abbiamo fatto una Commissione che è durata diversi mesi proprio per mettere a punto uno strumento quanto più trasparente possibile, che entrerà in funzione all'inizio dell'anno.
  Sul tema dei lavori socialmente utili, dei contratti atipici o delle forme di volontariato, rispondo con molta onestà. Io faccio il prefetto, dunque percepisco l'importanza di evitare che queste persone siano buttate in un posto, aspettando il pranzo e la cena. Tuttavia, ci possono essere altri più qualificati di me per cultura, per storia professionale e per esperienze specifiche che possono proporci quali strumenti mettere in campo. Io ho un limite professionale. Ho fatto per quarant'anni uno spicchio di amministrazione specifica, per cui non penso di essere un tuttologo. Peraltro, l'ho anche dichiarato in altre occasioni.
  Per quanto riguarda il tema della redistribuzione, è chiaro che l'accoglienza diffusa funziona sulla base di elenco complessivo di comuni, con l'indicazione per ciascun comune del numero adeguato di migranti e soprattutto con un ridisegno per le grandi aree metropolitane, che sono un'attrazione permanente per i migranti. Infatti, Milano, Roma o Torino sono i punti in cui immaginano o sperano di trovare una qualche opportunità. Il tema diventa delicato. Per esempio, su Roma e Milano è noto che c'è un problema di transitanti molto importante. Sotto questo aspetto, il piano ANCI-Interno dovrebbe ritoccare quella che era la distribuzione regionale, nel senso che va a calare le quote di persone nei singoli comuni.
  A proposito di quello che diceva l'onorevole Gadda, a cui ha accennato anche lei, vorrei dire che ultimamente, non stanno arrivando più numeri importanti dalla rotta balcanica. Quelli che sono arrivati, purtroppo, li dobbiamo tenere per una vicenda assurda. Su questo rispondo anche a un'altra domanda del presidente. Queste persone sono entrate dall'Ungheria, quindi sono passate in Germania e poi in Austria. Tuttavia, poiché in Germania e in Austria non hanno protezione internazionale, si presentano a Udine o a Pordenone a chiedere asilo. Dopodiché, essendo stati identificati, per gli accordi di Dublino li dovremmo restituire all'Ungheria, non li possiamo riportare in Austria o in Germania. Tuttavia, non li possiamo riportare nemmeno in Ungheria. Questo è il nostro problema, che è serio. Per fortuna, però, questo canale di ingresso è stato prosciugato, per cui ormai non arriva più nessuno.
  Il discorso più delicato è quello che è stato accennato dall'onorevole Falcone, ovvero i minori. Ormai stiamo sfiorando i 20.000 minori, con alcune nazionalità in cui si verificano vicende chiare. Per esempio, gli albanesi fanno il loro Erasmus in Italia. La famiglia albanese prende il figlio e, non avendo le risorse per farlo studiare lì, lo porta in Emilia Romagna o in Lombardia, lo saluta, lo lascia davanti al centro e se ne torna in Albania. Di conseguenza, abbiamo decine albanesi e, naturalmente, le istituzioni regionali e locali sono infuriate perché ci sono troppi ragazzi albanesi che evidentemente hanno scelto, per motivi economici, di costruire il loro futuro con il nostro welfare. Questo è un tema che è stato sollevato soprattutto in Emilia-Romagna, a Piacenza, ma anche presso la regione. Noi poi lo abbiamo proposto al Ministro degli esteri e così via, ma è un problema reale.
  Infine, riguardo agli egiziani – poi chiudo davvero – la cosa è ancora più delicata. Le famiglie egiziane di un'area geografica abbastanza individuata si indebitano o altro (questo dipende dai singoli casi e dal percorso che hanno fatto) per offrire al figlio il viaggio folle che lo porta allo sbarco in Sicilia. Morale della favola, il ragazzo che arriva deve mandare i soldi a casa. Questo è un impegno che deve rispettare perché la famiglia deve ripianare il debito che ha fatto per finanziare il suo viaggio. Quindi, a questo ragazzo si può spiegare in tutti i modi che gli offriamo un percorso di studi, di formazione professionale e così via: lui Pag. 16ha bisogno di guadagnare subito, per cui, avendo spesso delle indicazioni, si allontana, va ai mercati generale a scaricare le cassette, fa lavori in nero o, nel peggiore dei casi, si prostituisce.
  Questo è un tema delicato e importante, al quale bisognerà dare una risposta.

  PRESIDENTE. Bisognerà dare una risposta anche da parte di Paesi come l'Egitto, con cui abbiamo interlocuzioni e accordi, perché se qualcuno si indebita per una trasferta, qualcun altro gliela proporrà. Ringrazio moltissimo il prefetto Morcone. La prego di venire sempre quando la chiamiamo perché stimola dibattiti e suggerimenti. Saluto anche chi la accompagna, ovvero la dottoressa Daniela Parisi, viceprefetto capo ufficio I pianificazione dei servizi dell'immigrazione e dell'asilo, e la dottoressa Anna Maria Ventola, dirigente di seconda fascia dell'area I, capoufficio VII affari economico-finanziari.
  Comunico agli uffici che oggi abbiamo avuto una sollecitazione sull'occasione di revisione del decreto n. 142, quindi vorrei fare un piccolo documento con le osservazioni che sono emerse oggi e con lo stato dell'arte legislativo (dove è il decreto n. 142 adesso e quando arriverà in modifica alla Camera e al Senato), in modo che, come Comitato Schengen, prima che arrivi alle Commissioni competenti, possiamo essere propositivi. Se la prossima settimana, entro martedì, mi fate arrivare qualcosa di scritto, poi ne discutiamo.
  Ringrazio nuovamente il prefetto Morcone e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.55.