XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 25 di Giovedì 28 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Clerici Riccardo , Responsabile ufficio protezione di UNHCR ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 6 
Clerici Riccardo , Responsabile ufficio protezione di UNHCR ... 6 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Clerici Riccardo , Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Orellana Luis Alberto  ... 10 
Arrigoni Paolo  ... 10 
Mazzoni Riccardo  ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Clerici Riccardo , Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Clerici Riccardo , Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR ... 13 
Mazzoni Riccardo  ... 14 
Clerici Riccardo , Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR ... 14 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Clerici Riccardo , Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR ... 15 
Pecoraro Andrea , Protection associate UNHCR ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 16 
Clerici Riccardo , Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione attraverso il circuito chiuso della Camera dei deputati. Non essendovi obiezioni ne dispongo l'attivazione.

(Così rimane stabilito).

Audizione del dottor Riccardo Clerici, responsabile Ufficio Protezione di UNHCR.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Riccardo Clerici, responsabile Ufficio Protezione di UNHCR, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen. Dottor Clerici, in primo luogo la ringrazio di essere venuto qui da noi. Visto che i senatori hanno la verifica del numero legale alle 9,25 e devono fuggire, farò uno speech di soli due minuti. Le elenco i punti che personalmente mi piacerebbe che lei affrontasse. In seguito naturalmente lascerò la parola ai colleghi.
  In primo luogo, le chiedo se ci può riferire la sua opinione sulla discussione in atto tra Austria e Italia rispetto alla chiusura o al ripristino dei controlli al Brennero.
  In secondo luogo, le chiedo se può darci una valutazione sull'accordo con la Turchia. In particolare, vorrei sapere se ritiene che sia un accordo esaustivo o che in realtà sia stata chiusa una rotta per aprirne un'altra. Vorrei sapere se, a suo avviso, i cosiddetti «centri di registrazione» in Turchia sono adeguati e se dopo la visita della Merkel qualcosa migliorerà.
  In generale, vorrei sapere da voi come funzionano esattamente i centri nei Paesi di provenienza, sui quali c'è una discussione in atto. Sappiamo che in Italia sono stati aperti i cosiddetti hotspot, dove si deve procedere a prendere la richiesta da parte dei richiedenti asilo e a distinguere tra chi ha titolo a ottenere questo status e chi non lo ha. La riflessione che spesso è stata fatta in questo Comitato, al di là delle appartenenze politiche, è la seguente: perché questo non può essere fatto nei Paesi di provenienza, evitando alle persone di attraversare il mare e rischiare la vita? Facciamo questa riflessione, benché tutti noi siamo consapevoli che effettivamente nei Paesi di provenienza ci sono per lo più delle situazioni difficili (uso un eufemismo). Quelle che sono attualmente in essere, ad esempio in Tunisia e in Egitto, secondo l'UNHCR sono delle situazioni che rispettano i diritti umani e che sono corrette, oppure bisognerebbe modificare qualcosa?
  Infine, le chiediamo se può darci una valutazione relativamente al sistema di accoglienza in Italia e all'avvio degli hotspot. C'è una Commissione deputata a questo, quindi non voglio sovrappormi alle loro competenze. Tuttavia, il giudizio che abbiamo dato degli hotspot all'interno del Comitato, pur nel rispetto delle posizioni politiche, ha sollevato dei punti di criticità. Lei cosa ne pensa? Rispondono effettivamente sia al rispetto della persona che alle esigenze di integrazione?
  Inoltre, vorremmo avere una sua valutazione anche sugli accordi di rimpatrio. Per esempio, com'è possibile che a livello europeo non si sia in grado di fare una lista di Paesi sicuri o non sicuri per il rimpatrio Pag. 4dei migranti? Questo tema è stato sviluppato da voi? Quali sono le vostre opinioni? Ci può dare delle indicazioni? Per esempio, il Comitato ha in essere un'altra indagine, nell'ambito della quale magari in futuro la richiameremo, per valutare l'opportunità che a livello europeo o anche italiano – noi riteniamo che l'Europa dovrebbe essere protagonista di questo – siano attuati dei passi nuovi per degli accordi di rimpatrio, o per lo meno per comprendere quali sono i Paesi di provenienza cosiddetti «sicuri» oppure, viceversa, quelli insicuri, verso i quali dobbiamo decidere che rimpatriare è impossibile.
  Poiché è un habitué di queste Commissioni, sa già che il circuito è aperto e pubblico. Se intende dire qualcosa che non ritiene debba andare in seduta pubblica o nelle agenzie, ce lo dica e segreteremo la seduta. Do la parola a Riccardo Clerici, responsabile Ufficio Protezione di UNHCR, per lo svolgimento della sua relazione.

  RICCARDO CLERICI, Responsabile ufficio protezione di UNHCR. Grazie, presidente. Io seguirò lo speech, che tocca tutti questi punti. In seguito magari con le domande approfondiremo. La mia relazione prenderà circa 15-20 minuti, come da indicazioni; magari taglierò un po’ e sarò più rapido. È ormai noto che nel 2015 l'arrivo massiccio di persone ha messo in crisi l'area Schengen, il sistema comune di asilo europeo, in particolar modo il Regolamento di Dublino, e la capacità dell'Unione di gestire flussi massicci come quelli dell'anno scorso, e ha anche minato alcuni valori e principi dell'Unione: la libertà di movimento e la solidarietà.
  La gestione unitaria del fenomeno, che peraltro è oggetto della presente indagine, passa inevitabilmente, come dico sempre, dalla soluzione di queste tensioni e contraddizioni tra Stati membri e tra questi ultimi e le istituzioni europee nella costituzione e attuazione delle politiche europee. La politica all'interno dei 28 Stati membri sui temi dell'immigrazione, spesso politicizzata, a volte rende questo percorso complesso. I ritardi nel piano di ricollocamento sono un esempio tipico della difficoltà di attuare anche accordi presi da tutti. Gli stessi dati portano a situazioni di allarmismo o di politicizzazione. Avete visto qualche settimana fa l'allarme sull'arrivo massiccio in Italia, peraltro lanciato proprio dall'Austria. Gli ultimi dati, condivisi sia dal Ministro Alfano che da Renzi, mostrano che siamo su livelli simili a quelli dell'anno scorso e del 2014 o leggermente più alti. Anche l'Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, due settimane fa sul Corriere, affermava che non c'è un'invasione in Italia. Questo va chiarito.
  Il cambiamento della rotta – rispondo in parte ad alcune domande – dai Balcani e dalla Grecia verso il Mediterraneo centrale non si è verificato, per una serie di ragioni che magari approfondiamo. A fine marzo sono arrivati sedici siriani in Italia. Anche se si verificasse, per una serie di aspetti, non raggiungerebbe mai le proporzioni che abbiamo visto l'anno scorso, con 800.000 persone che sono transitate per i Balcani. Sui flussi va anche detto che l'Italia quest'anno si è munita di un piano di accoglienza di emergenza, che prevede – quindi, c'è già una previsione di arrivi – intorno alle 170.000 persone via mare, con tutta l'organizzazione che ne fa seguito per rispondere a questo afflusso. Si è passati, come sapete, dall'approccio emergenziale dei primi anni 2000 a un approccio più strutturato. Il flusso aumenterà a fine anno? Leggevo stamattina sul Corriere che gli osservatori affermano che aumenterà. Forse aumenterà leggermente, perché alcune rotte storiche (Turchia, Egitto e Grecia) cresceranno un po’, ma il bilancio di fine anno non dovrebbe essere di molto superiore a quelli degli anni passati. Si tratta di una crisi per cui non c'è una soluzione semplice. Come ha detto Gentiloni alla Conferenza sui siriani il 30 marzo a Ginevra, non c'è una soluzione semplice. I flussi migratori, forzati ed economici, rimarranno nell'agenda europea per i prossimi 10-20 anni, insieme a un percorso dell'Unione e degli Stati membri fatto anche di tentativi, di errori e di policy che vanno raffinate, che però devono superare e devono affrontare due temi principali. Il primo è il tema della disorganizzazione e della mancanza di solidarietà che si sono viste nel 2015. In Pag. 5secondo luogo, si tratta di affrontare alla radice – passiamo alla politica estera – le cause di conflitti e persecuzioni e di questo movimento forzato.
  A proposito di disorganizzazione e di mancanza di solidarietà, la decisione di ristabilire temporaneamente i controlli alle frontiere è una reazione che, come voi ben sapete, l'anno scorso hanno avuto molti Paesi, tra cui Austria e Germania, e sulla quale si è pronunciata la Commissione con l'opinione di ottobre. Quest'ultima ha affermato che ciò può avvenire solo di fronte a flussi eccezionali, cosa che non sta succedendo in Italia, come ci siamo appena detti. Di conseguenza, l'ipotesi dell'articolo 24 del Codice Schengen in questo caso non si applica. È un punto che va applicato in maniera precisa, perché il Codice dà delle regole precise sul ripristino dei controlli alla frontiera. La cosa più grave che sta succedendo in Austria non è il ripristino dei controlli temporanei, comunque disciplinato. C'è in discussione una proposta di emendamento della legge di asilo austriaca – non entro nei tecnicismi – che limita fortemente, se non esclude, la possibilità delle persone di fare richiesta d'asilo in Austria e che è assolutamente al di fuori dell’acquis europeo. Ieri il nostro ufficio ha pubblicamente criticato in maniera molto aspra questa decisione, ancora in discussione. Il nostro ufficio ha invitato a non votare questa proposta. Il nostro comunicato afferma che, se passasse, l'Austria diventerebbe un negative role model in Europa.
  In generale, ci sono crisi internazionali con risposte transnazionali. Ci sono 60 milioni di rifugiati, di cui l'86 per cento nei Paesi in via di sviluppo. La Convenzione di Ginevra del 1951, sempre attuale, nel suo paragrafo 4 afferma che la risposta a questi problemi e al carico che pongono su alcuni Stati membri è la solidarietà internazionale, non solo europea, ma mondiale. Su questo punto ci saranno due eventi importanti quest'anno: il World humanitarian forum a maggio e il summit sui movimenti di rifugiati e migranti economici, sotto l'egida delle Nazioni Unite, a settembre, in cui si parlerà – in seguito discuterò di Migration compact – di un global compact sui rifugiati e di responsibility sharing sui rifugiati.
  Si è parlato di proposte per una gestione unitaria. Devo dire che le proposte dell'UNHCR sono molto simili a quelle della Commissione, di alcuni esponenti politici e del Governo italiano in generale. La risposta deve essere data dagli Stati membri e dall'Unione tutta e deve portare a una maggiore responsabilizzazione dell'Europa nella gestione del fenomeno, verso un diritto d'asilo europeo e uno stato uniforme nell'Unione. La Commissione, anche nella sua comunicazione di qualche giorno fa, ha usato toni molto severi, sottolineando che ci sono approcci nazionali miopi e poco lungimiranti, in cui alcune norme – vedi il Regolamento di Dublino – non solo non aiutano gli Stati membri, ma ostacolano e pongono un carico eccessivo sugli Stati di primo ingresso.
  La prima proposta, discussa ormai da tempo, è quella di rafforzare i canali di ingresso regolare, primo fra tutti il reinsediamento, che è lo strumento più rodato, ma anche i corridoi umanitari. L'Italia sta supportando l'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio e delle chiese valdesi ed evangeliche italiane sui corridoi umanitari. Un altro canale sono le scholarship private. Abbiamo poi strumenti più ampi di ricongiungimento familiare e infine la possibilità per i rifugiati di utilizzare i canali di ingresso lavorativo. Perché no? Anche loro potrebbero utilizzare questi strumenti. Questo permetterebbe di evitare i viaggi della morte.
  A proposito del reinsediamento va detto però che nel 2014 su un fabbisogno di circa 1 milione di persone da reinsediare ne sono state reinsediate 70.000. Se l'Europa e il mondo – ecco il perché di questa visione globale, di questo global compact – vogliono veramente rispondere al bisogno delle persone che fuggono da guerre e persecuzioni, devono cambiare marcia per ciò che riguarda i numeri. La Conferenza del 30 marzo che ho citato poc'anzi è stata importante. Sulla crisi siriana, ad esempio, gli impegni degli Stati a livello mondiale sono per 200.000 persone. L'Alto commissario Filippo Grandi recentemente ha detto che Pag. 6il target resta comunque del 10 per cento dei profughi della crisi siriana, cioè oltre 400.000 persone, quindi siamo a meno della metà di quanto sarebbe necessario. Un'altra proposta è quella di creare dei centri di registrazione in più parti d'Europa (chiamiamoli hotspot o diamogli un altro nome), dai quali, dopo aver effettuato identificazione e screening, parta la distribuzione sul territorio europeo. La Commissione nella sua comunicazione ha indicato che questo si può fare modificando in maniera profonda il Regolamento di Dublino oppure passando a un sistema radicalmente diverso, con una distribuzione per quote a livello europeo.
  Un'altra misura necessaria è la creazione di un sistema funzionale di incentivi e disincentivi, ovvero un sistema premiale e sanzionatorio, nei confronti sia dei richiedenti asilo e rifugiati, che devono rispettare le norme, sia degli Stati membri. Quando si decidono delle politiche insieme, ci devono essere degli strumenti premiali per chi le rispetta, ma anche sanzionatori per chi non le rispetta. La richiesta della Commissione di modificare le direttive su accoglienza e procedure rientra in quest'ottica. Si potrebbe cambiare lo strumento delle direttive oppure prevedere strumenti diversi, tipo i regolamenti, per garantire maggiore uniformità nei Paesi membri.
  Vengo ora agli hotspot e al ricollocamento, che lei ha citato. In seguito potremo entrare nel dettaglio con le domande. Secondo noi gli hotspot vanno rafforzati, non perché siano la soluzione, ma perché sono un primo passo, una sperimentazione per l'identificazione e lo screening all'arrivo con l'aiuto delle agenzie europee e per una distribuzione dei richiedenti asilo nei 28 Stati. Dovrebbero funzionare, perché sono un'esperienza pilota in questa direzione. L'ultima proposta – ce ne sono altre, ma sintetizzo – è quella di dare alle agenzie europee, innanzitutto all’European asylum support office (EASO), un ruolo sovranazionale e più importante verso il diritto d'asilo europeo. È una posizione su cui anche noi siamo d'accordo. Questa va affiancata dall'Agenzia per la guardia costiera e la Polizia di frontiera europea, anche questa fondamentale, non solo per garantire un controllo delle frontiere esterne più uniforme e più coordinato, ma anche – altro tema cruciale – per garantire una politica dei ritorni congiunta a carico e a spese dell'Europa.

  PRESIDENTE. Mi scusi se mi permetto. Lei parla di rafforzamento degli hotspot. Voi siete presenti negli hotspot? Se lo siete, che cosa vedete? Come effettivamente li vedete funzionare? Che cosa dovrebbe essere cambiato?

  RICCARDO CLERICI, Responsabile ufficio protezione di UNHCR. Noi siamo presenti negli hotspot italiani e, quindi, parliamo dell'esperienza italiana. Gli hotspot attualmente aperti sono quattro e hanno come segno positivo la presenza delle agenzie europee. Sono presenti colleghi sia di EASO che di Frontex. Nei mesi abbiamo visto crescere la cooperazione con le autorità italiane, dalle quali è arrivata maggiore apertura, in quest'ambito di riforme complessive del sistema. È necessario avere una capacità di accoglienza adeguata – vi ricordo che questi centri sono chiusi – per effettuare queste prime operazioni, in modo che tutti i nuovi arrivi passino per queste strutture. Chiaramente, se ne passa solo una quota, gli altri arrivano in altre zone di sbarco, dove ci sono procedure che possono variare o dove non ci sono i locali adeguati per svolgere in maniera congiunta queste procedure. Innanzitutto, occorre questo e, in secondo luogo, garanzia sulle procedure applicate in questi hotspot, che riguardano sia il trattenimento – bisogna guardare al quadro normativo, che per noi è quello della Costituzione, cioè il limite delle 48 ore – sia le garanzie di accesso all'informativa e accesso alla procedura d'asilo. Vi sono in essere alcune prassi, che speriamo vengano risolte con le standardised operating procedure (SOPs), le linee guida citate dalla Commissione europea e preparate dal Ministero dell'interno. Alcuni gruppi nazionali hanno difficoltà ad accedere alle informazioni sulla possibilità di fare domanda d'asilo e alla procedura. Recentemente anche la Commissione straordinaria Pag. 7 per la tutela e la promozione dei diritti umani di Manconi ha denunciato questa situazione, insieme al Tavolo nazionale asilo. Questi sono gli elementi sintetici. Ribadisco che gli hotspot devono essere rafforzati e funzionano in un quadro complessivo di riforme, non possono essere solo un tassello. Funzionano se c'è la distribuzione e se ci sono degli standard uniformi. Chiedere che funzioni solo un segmento non è adeguato.
  In questo quadro di proposte, non ho citato la sicurezza, che invece, come sappiamo, è sempre stata fondamentale, ma va ulteriormente valorizzata e discussa. Fatemi dire che difendere i confini esterni non è in contraddizione, anzi è compatibile con la protezione dei rifugiati. Lo stesso Alto Commissario recentemente ha affermato che i rifugiati molto spesso si muovono in maniera irregolare, sono gli irregolari per antonomasia, perché fuggono dall'oggi al domani dai loro posti di lavoro. La Convenzione di Ginevra, così come la normativa europea, prevede delle norme in base alle quali, semplificando, a chi non è meritevole di protezione, perché non rientra nei criteri di inclusione o è interessato da criteri di esclusione, oppure non lo è più in base a dei criteri di revoca non viene garantito il permesso di soggiorno. Chi si macchia di crimini o di comportamenti efferati non viene tutelato. I rifugiati sono coloro che scappano dai terroristi e dalla violenza a livello mondiale. Questo è un tema che va ribadito, perché si percepisce, non tanto in Italia quanto in altri Paesi, un clima in cui i rifugiati sono vittime di pregiudizi, che portano a delle prassi amministrative o a delle riforme legislative che limitano gli spazi di protezione. Ovviamente questo va a danno degli stessi rifugiati che fuggono dai persecutori.
  Passo agli altri aspetti che lei ha sottolineato poc'anzi: evitare i viaggi in mare, la sicurezza, «stabilizzare» i flussi dalla Turchia. Tutto ciò ha portato all'accordo Europa-Turchia e recentemente all'accordo bilaterale Grecia-Turchia. Innanzitutto, fatemi dire che l'UNHCR non è stato coinvolto e non è parte dell'accordo; non cooperiamo né nella fase di riammissione né all'interno della detenzione. Abbiamo accolto con favore il fatto che nell'accordo ci sia scritto che verrà rispettato il diritto internazionale. Per noi ciò comporta una serie di garanzie, che adesso cercherò brevemente di enunciare, soprattutto nell'applicazione della clausola del primo Paese d'asilo e del Paese terzo sicuro. Queste garanzie sono sia procedurali che sostanziali. Quelle procedurali sono legate a un'intervista individuale, al rimedio effettivo, alla possibilità di fare ricorso e all'accesso all'assistenza legale, se necessario. Da un punto di vista sostanziale, invece, ci sono una serie di criteri, che adesso approfondirò, in merito a Grecia e Turchia. L'UNHCR non è contrario al fatto che chi non presenta domanda d'asilo o non è meritevole di protezione venga rimpatriato o riammesso. Questo va ribadito per chiarezza, perché spesso veniamo percepiti in maniera diversa.
  L'accordo richiede delle garanzie in Grecia, che sono quelle che citavo poc'anzi. La Grecia attualmente, anche se gli sforzi sono enormi – questo va riconosciuto – non ha una capacità adeguata per assicurare le garanzie processuali che ho citato, ma anche per garantire condizioni appropriate di detenzione. Pensate che – io l'ho scoperto qualche giorno fa – attualmente la capacità di trattenimento in Italia negli hotspot è di 1.500 persone, mentre ci sono 8.000 persone trattenute nelle isole greche. Da un giorno all'altro i centri aperti sulle isole greche sono diventati centri chiusi per 8.000 persone. Se si vogliono attivare le procedure per gli arrivi via mare con questi numeri, si deve pensare di militarizzare le regioni in cui approdano 8.000 persone. Manca la capacità di attivare in maniera adeguata le procedure di ammissibilità o inammissibilità con ricorso, anche se – lo ripeto – gli sforzi da parte del Governo greco sono notevoli.
  Rispondendo all'altra domanda, la Turchia è firmataria della Convenzione di Ginevra, ma non ha ancora sollevato la riserva geografica, per cui in teoria solo i cittadini europei potrebbero fare domanda d'asilo in base alla Convenzione di Ginevra. Al di là del dato normativo, in qualunque Pag. 8Paese considerato Paese terzo sicuro o primo Paese d'asilo vanno verificati una serie di aspetti sostanziali: che sia garantita la possibilità di far domanda d'asilo al rientro, che non vi sia persecuzione, che sia rispettato il principio del non-refoulement, che sia rispettata la normativa sui rifugiati e sui diritti umani, che le persone abbiano accesso a tutti i servizi e diritti previsti. Questa è una verifica che devono compiere le autorità greche prima di rinviare le persone in Turchia o in qualunque altro Paese. L'applicazione di questi criteri, come quello del Paese sicuro europeo, deve soddisfare tutti questi requisiti. Ovviamente non spetta assolutamente a noi, perché non è nostro compito, dare un giudizio complessivo. Noi guardiamo al sistema d'asilo.
  Non dimentichiamo che la Turchia accoglie più di 3 milioni di rifugiati e ha fatto dei passi avanti nella gestione del sistema d'asilo. Si auspica che, con i 6 miliardi di euro, ma anche con le conoscenze e l'esperienza dell'Unione europea, possa allineare il proprio sistema d'asilo al diritto internazionale e alle prassi che vengono utilizzate. Alla fine dei conti – io l'ho letto in molti documenti e lo ribadisco – saranno le corti nazionali greche e le corti di giustizia e dei diritti umani europee a valutare se queste garanzie procedurali e sostanziali vengono rispettate.
  C'è anche l'aspetto dell'uno per uno, che è molto singolare. L'UNHCR da anni lavora in Turchia per il reinsediamento. Auspichiamo che queste quote non vadano a detrimento delle quote mondiali, quelle che citavo poc'anzi di 70.000, che sono già esigue, e che le persone vulnerabili siano comunque reinsediate da una serie di altri Paesi a livello mondiale. Questo accordo è citato spesso anche nel migration compact. Il migration compact è molto ampio e noi abbiamo un mandato limitato, però fatemi dire alcune cose. Innanzitutto, è positivo che si guardi alle azioni da compiere nei Paesi d'origine e di transito e all'aspetto dei ritorni, che sono due punti...

  PRESIDENTE. Temo che ci sia un po’ di confusione tra i bond per lo stanziamento di risorse nei Paesi di provenienza e il concetto di bond o comunque di flessibilità delle spese per i Paesi di arrivo. Io ho letto il migration compact. Ci sono i cosiddetti african bond e immigration bond. Lei su questo ci può dare delle delucidazioni?

  RICCARDO CLERICI, Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR. Purtroppo no. Al di là della polemica che hanno suscitato, sono aspetti tecnici che esulano un po’ dalle nostre competenze. Lasciatemi dire che gli investimenti vanno benissimo. Forse il merito della proposta è quello di parlare veramente di fondi, quello che è sempre mancato. Rispetto al Trust fund per l'Africa, io non conosco le ultime notizie, ma so che gli obiettivi per il fondo sono ancora ben lontani da essere raggiunti. Bisogna fare un investimento. Ciò nonostante, va detta una cosa: se si parla di Paesi d'origine da cui fuggono i rifugiati, non bastano gli investimenti e i fondi, ma serve un'azione politico-diplomatica importante, che si tratti di Siria, di Eritrea, di Libia o di altri Paesi.
  Si parla anche di ritorni, tassello che va rafforzato. Nel 2013 per i ritorni concreti effettuati nell'Unione europea, se non ricordo male, il tasso era del 39 per cento. Adesso, dalle informazioni in nostro possesso, tale percentuale è scesa a livello europeo e anche in Italia, per le problematiche che ben conoscete (cooperazione con i Paesi terzi e via dicendo). I ritorni sono importanti, perché i flussi sono misti. Ho visto che anche voi, presidente, avete commentato il migration compact. I flussi sono misti, in quanto sono composti da rifugiati e migranti economici (semplifico).
  In Italia fino al giugno 2015 delle persone che arrivavano via mare, guardando al primo grado dei tassi di riconoscimento a livello europeo, il 65 per cento avrebbe ottenuto un permesso di soggiorno. Se questa statistica venisse fatta oggi, la percentuale risulterebbe ridotta al 40 per cento, perché le persone che sono arrivate negli ultimi sei-nove mesi provengono da Paesi diversi e i tassi di riconoscimento per alcuni Paesi sono diminuiti, anche in relazione ad alcuni miglioramenti (penso alla Costa d'Avorio). Queste sono fluttuazioni che cambiano, però la natura mista, che sia oggi il 65 per cento e domani il 40 per cento (tra sei mesi potremmo dire l'opposto), va Pag. 9tenuta in considerazione. Per chi non ha diritto alla protezione ci deve essere un sistema di ritorni che funziona. Faccio le ultime tre osservazioni riguardo al migration compact, prima di chiudere sull'Italia. Si sente spesso proporre di applicare l'accordo anche alla Libia. Voi che seguite la materia sapete che attualmente questo «non se po fa’», come diremmo a Roma. Non entro nei dettagli tecnici. L'ha detto la Presidenza olandese. Ciò non toglie che a noi i rifugiati quotidianamente raccontano delle violenze inenarrabili in Libia. Questo ci impone di dire che tutti auspichiamo stabilizzazione e pacificazione in Libia, nella maniera più assoluta.
  La questione africana è la sfida dei prossimi decenni. I rapporti dell'Agenzia delle Nazioni Unite sulla demografia affermano – oggi o ieri lo leggevo sul Corriere – che nel 2030 la popolazione in Africa raddoppierà, arrivando a 2,5 miliardi, mentre quella europea resterà sui 700 milioni. Si tratta soprattutto di giovani. Capirete che, se non si vince la sfida dello sviluppo in Africa, avremo uno scenario di flussi, legato anche ai cambiamenti ambientali, molto più impegnativo di quello attuale. Su questo c'è la consapevolezza di tutti. L'Alto rappresentante Mogherini lo dice spesso, rivolgendosi anche agli imprenditori. Se non si vince la sfida dello sviluppo in Africa – ciò non vale solo per l'Europa, ma anche per i Paesi africani – lo scenario potrebbe cambiare. Chiaramente chi arriva in Europa o in altri Paesi deve avere accesso alla procedura d'asilo sul territorio. Le prassi che citavo prima in alcune aree di sbarco vanno superate.
  Veniamo ora all'Italia. Abbiamo parlato di libertà di movimento e di solidarietà. L'altro tema rilevante è quello della responsabilità. Ciascuno ha i propri compiti. Gli inglesi dicono: «keep your house clean». L'Italia è passata lodevolmente negli ultimi cinque o sei anni, indipendentemente dai Governi responsabili, da un approccio emergenziale che è stato usato fino al 2011 a uno di programmazione. Il Piano accoglienza e il Piano integrazione, su cui il Ministero sta lavorando, sono esemplari a livello europeo a questo riguardo. Non dimentichiamo che Guardia costiera, Marina, Carabinieri e Guardia di finanza quotidianamente salvano migliaia di persone e sono raramente citati. I colleghi di questure e prefetture fanno un lavoro, nella maggior parte dei casi, egregio e in prima linea, per gestire il fenomeno concretamente nel quotidiano.
  Della capacità d'accoglienza abbiamo già parlato. Sugli hotspot va decisamente aumentata, mentre quella complessiva è passata in pochi anni da 30.000 a 110.000, con uno sforzo enorme. Il criterio di distribuzione regionale, al di là di alcune esitazioni e tensioni politiche tra il Governo e alcune regioni, che tutti voi conoscete, funziona. L'obiettivo, che in Europa è lontanissimo, di una distribuzione equa dei richiedenti asilo in Italia funziona, perché tutte le regioni hanno ciascuna il proprio fair share, la propria quota. Resta la sfida per il Ministero e per ANCI di garantire che questa distribuzione sia ancora più capillare e che i comuni siano coinvolti a pieno titolo. Vanno superate ancora molte cose sull'accoglienza: il decreto n. 142 va modificato in alcuni aspetti, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) devono essere aboliti sul serio e non solo in linea di principio e le norme sulla detenzione vanno riviste. Per ciò che concerne il monitoraggio, di cui si parla nelle trasmissioni televisive, la Direzione dei servizi civili del Ministero ha fatto parecchio, però bisogna avere degli strumenti sanzionatori. Vanno chiusi i contratti con gli enti gestori che speculano sui rifugiati – ce ne sono – perché questi portano discredito a tutto il sistema e alle centinaia di ragazzi che lavorano nell'accoglienza e che fanno, dal mio punto di vista, un lavoro egregio.
  Chiudo con due considerazioni sull'Italia. Sul sistema di protezione dei minori c'è ancora molto da fare, ma la strada intrapresa è quella giusta. L'accoglienza, la nomina del tutore, l'interesse superiore e la raccolta dati sono elementi da potenziare. L'altro tema molto interessante, affrontato anche nella Commissione presieduta da Gennaro Migliore, è quello delle procedure d'asilo. L'UNHCR sta discutendo con il Ministero di una riforma, per garantire, non Pag. 10solo l'efficienza, quindi la riduzione dei tempi, tema facilmente comunicabile, ma anche la qualità e l'equità delle decisioni. Ci auguriamo che la stessa riforma avvenga per i gradi d'appello. So che c'è un decreto presso il Ministero della giustizia e spero che venga adottato.
  Non abbiamo parlato dell'integrazione dei rifugiati. Questa è la scommessa in Italia e in Europa. Tutto ciò che abbiamo detto finora è relativamente facile rispetto alla scommessa dell'integrazione. Come sapete, non ci sono direttive che armonizzano e si parla di settori (lavoro e welfare) in cui le differenze tra gli Stati membri sono enormi. Trovare la ricetta non è facile, anzi è assolutamente difficile. Si registra, come avete visto, un sentimento di xenofobia. In Italia questo fenomeno non è diffuso come qualcuno potrebbe far credere. Gli hate speech sono in aumento. Chiaramente questo clima non favorisce l'integrazione. Le generazioni a venire, che crescono in questo ambiente, non sono facilitate nel ricostruirsi una propria identità in Italia. Su questo tema istituzioni e società civile hanno un ruolo fondamentale. La società civile è presente in tutta la filiera dell'asilo. Fatemi ricordare il lavoro straordinario che sta svolgendo il Tavolo nazionale asilo, che ho citato poc'anzi.
  Faccio due ultime considerazioni. Per ciò che concerne l'area Schengen, lasciateci dire, un po’ in controtendenza, che per garantire l'integrazione dei rifugiati forse bisognerebbe ampliare la libertà di movimento di questi ultimi in Europa. Il Governo italiano parlava di mutuo riconoscimento. Si può anche estendere il permesso dei lungo soggiornanti da cinque a sei anni. Perché dico questo? Se è vero che la tutela, la sicurezza e la tenuta dell'area Schengen e dell'Unione europea dipendono da quanto vengono rafforzate e tutelate le frontiere esterne, che è sacrosanto e legittimo, è anche vero che lo sviluppo e il benessere dell'Unione e dell'area Schengen dipendono dalla possibilità che viene data alle persone che vi risiedono legalmente, tra cui rifugiati e migranti, di contribuire alla crescita. I rifugiati e i migranti possono essere – ci vorrebbero ricerche che lo evidenziassero – una risorsa culturale, demografica, ma anche economica.
  Penso di aver toccato più o meno tutti i temi.

  PRESIDENTE. Sì, dottor Clerici, è stato molto esaustivo. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Ringrazio il dottor Clerici. Io ho solo due domande puntuali. La prima concerne la crisi attuale tra Italia e Austria, su cui non ha speso molte parole. Vorrei sapere che cosa vi risulta di questi flussi che passano il Brennero e qual è la reazione dei vostri omologhi in Austria (immagino che avrete una realtà anche lì). Vorrei capire quanto è giustificata questa forma di blocco. Stanno costruendo muri, stanno deviando le autostrade, con corsie dedicate. Credo che sia una situazione che facciamo fatica a capire.
  In secondo luogo, vorrei sapere se percepite negli hotspot il ruolo delle organizzazioni criminali che gestiscono, soprattutto dalla Libia, il trasbordo delle persone in queste condizioni precarie. Uno degli obiettivi dell'Italia è proprio quello di bloccarle nei porti libici. Mi domando se c'è una percezione anche dentro gli hotspot di come queste persone siano guidate. Mi riferisco soprattutto alla Libia e non tanto al flusso siriano, che ha preso altre strade. Non si sta creando una rotta adriatica alternativa. Vorrei sapere se per quanto riguarda la rotta libica c'è qualche informazione in più su questo.

  PAOLO ARRIGONI. Lei ha citato l'aspetto dei pregiudizi che hanno gli italiani ed è arrivato a parlare di sacche di xenofobia all'interno del nostro Paese. Ha anche distinto i rifugiati da quelli che lei ha chiamato «migranti economici». Io li posso anche definire «clandestini». Non ritiene che nel nostro Paese ci sia un'eccessiva sovrapposizione tra queste due categorie? L'Italia dovrebbe attuare una seria distinzione, anche per attenuare i fattori di attrazione nel nostro Paese per coloro che Pag. 11non hanno i requisiti dei rifugiati, in quanto non scappano da guerre o da persecuzioni? Se si guardano le statistiche, ci si accorge che nei CARA, negli altri centri gestiti direttamente dai comuni e nella cosiddetta «distribuzione diffusa» la gran parte dei richiedenti asilo provengono da Paesi che sostanzialmente non hanno di questi problemi. Notiamo l'assenza di siriani, di eritrei e di iracheni, che peraltro sono quelle nazionalità che hanno fatto sì che l'accordo sul ricollocamento fallisse.
  Io voglio ricordare che i numeri non sono quelli attesi e annunciati dal Ministro Alfano. Si vuole dare la responsabilità ai Paesi dell'Europa che non hanno voluto accogliere queste persone, ma in realtà le persone che noi dovevamo ricollocare (40.000 nell'arco di due anni) dovevano avere delle caratteristiche ben precise, ovvero dovevano provenire da Paesi per i quali c'è la necessità di una protezione internazionale. Siccome siriani, iracheni eccetera non arrivano, sorge il problema.
  Vorrei chiederle una sua opinione sul tempo eccessivo di valutazione della prima istanza in ordine alla richiesta di asilo nelle commissioni territoriali, che sono 40. Mi risulta che nel gruppo di lavoro che deve valutare la domanda di asilo c'è anche un vostro rappresentante. Io francamente ritengo inammissibile che il tempo medio si aggiri intorno ai dieci mesi. Questo almeno è ciò che ci era stato comunicato qualche mese fa dal presidente della commissione nazionale.
  Questo comporta sicuramente la nascita di pregiudizi e comporta necessariamente la permanenza nei CARA e nei centri di distribuzione diffusa di persone che, alla fine di un lungo percorso, che comprende la prima istanza ma anche il ricorso che molti presentano, non hanno diritti per avere lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Ne deriva la registrazione di un costo del sistema di accoglienza nel nostro Paese veramente eccessivo, con un problema economico e sociale non indifferente, che fa sì che nel Paese possano nascere delle lamentele.
  Non intervengo sulla considerazione che lei ha fatto sulla risorsa, sul problema demografico ed economico eccetera. Io ritengo che il nostro Paese debba soprattutto intervenire sugli italiani, a sostegno della famiglia e di tante altre cose, ma aprirei un discorso che questo Comitato...

  RICCARDO MAZZONI. Io faccio una breve considerazione. L'Austria chiude il Brennero, in aperta violazione del trattato di Schengen. La Commissione europea, dopo l'accordo che ha siglato con la Turchia, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, non ha più nessuna legittimità per dire nulla a nessuno dei suoi Paesi membri. La sua inconsistenza si era già vista con il fallimento dei piani di ricollocamento e ogni accordo che viene siglato viene sistematicamente disatteso. La mia domanda riguarda le navi di Paesi stranieri che raccolgono i profughi e li portano tutti nei porti italiani. La proposta, che il Governo italiano sta studiando, di aprire degli hotspot sulle navi, in modo che il Paese di primo approdo diventi quello, è attuabile oppure no?
  Passo alla seconda considerazione. Io ho visitato due hotspot per la Commissione dei diritti umani. Il problema è che gli hotspot sono strutture valide per 48 ore, ma ci sono immigrati che sono lì da mesi. Questo è il primo grande problema. In secondo luogo, i tempi della giustizia italiana consentono a immigrati subsahariani che non vengono da zone di guerra di usufruire del welfare italiano anche per anni. Questa è un'anomalia che provoca una spesa eccessiva e non giustificata per le casse dello Stato e, a caduta, xenofobia e alimenta movimenti populisti. Come si fa? In Germania stanno studiando una legge in base alla quale chi vuole avere benefici deve fare qualcosa, ad esempio studiare una lingua o imparare un lavoro. Bisogna prima di tutto accorciare i tempi della giustizia, come ha detto anche lei, e in secondo luogo dare un senso. Noi stiamo crescendo migliaia di giovani. Sono 82.000 nelle strutture temporanee. Che il sistema di accoglienza sia stato migliorato è vero, ma, avendo visitato quei centri, devo dire francamente che siamo molto lontani dalla perfezione. Se non si mettono a punto Pag. 12queste cose, per forza poi crescono la xenofobia e i movimenti populisti.

  PRESIDENTE. Dottor Clerici, le chiedo di rispondere ai senatori, in modo che possano andare via. In seguito darò la parola ai deputati.

  RICCARDO CLERICI, Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR. Avete posto tutte domande molto interessanti. Rispondo al senatore Orellana sull'Austria. Noi abbiamo dei colleghi che si spostano e controllano il valico. Per ciò che riguarda la parte tecnica del ripristino dei controlli, ci sono delle regole. Sono state mandate richieste alla Commissione, che valuterà se ricorrono le condizioni. Come dicevo prima, l'opinione di ottobre diceva: «solo in caso di eccezionale flusso». L'opinione afferma anzi che un flusso normale di persone, anche non documentate, non legittima, in base all'articolo 34, la chiusura delle frontiere. Immagino che la risposta arriverà a breve.
  Che cosa succede alle frontiere, non solo quella del Brennero, al di là dell'azione mediatica e politica e delle reti? Ieri leggevo che ci sono le strutture, ma le reti vengono messe solo se ce n'è bisogno. Non fatemi entrare in queste discussioni. C'è e c'è stato soprattutto in passato un flusso in uscita di siriani e di eritrei, diminuito nel corso degli anni, a cui gli hotspot dovrebbero dare risposta col fotosegnalamento. Anche questo è solo un tassello. Al fotosegnalamento deve corrispondere una distribuzione europea. Al di là di questo, c'è un flusso spontaneo di persone di queste e altre nazionalità, che, anche se fotosegnalato, cercherà di spostarsi nell'Unione europea.
  Il tema, come dicevo, è garantire nella nuova riforma del sistema comune di asilo europeo standard il più possibile uniformi e un sistema veramente efficiente di incentivi e disincentivi per i richiedenti asilo e per gli Stati membri. Ci sono varie chiavi di lettura. Le proposte lette prima potrebbero dare una risposta. Si potrebbe anche agevolare la libertà di movimento di chi ha ottenuto il permesso di soggiorno. Forse questo potrebbe indurre le persone a decidere di fare la procedura in un Paese, poiché una volta ottenuto un titolo per stare in Europa hanno più facilità di muoversi. Bisogna, però, ridurre e gestire i movimenti secondari da parte di tutti gli Stati membri.
  Se ho capito bene la domanda, negli hotspot il ruolo dei trafficanti e la necessità di combatterli sono molto chiari. Anche i nostri operatori quando parlano con i rifugiati in arrivo sentono queste storie. Ci sono prezzi che salgono e che scendono; è un mercato a tutti gli effetti. Ovviamente noi non siamo un enforcement agency e non facciamo indagini approfondite su questo. Ciò che noto dai racconti dei colleghi è la capacità di organizzarsi di questi soggetti e l'efferatezza. Conoscete la questione delle barche a tre piani e dei gommoni. La lotta va fatta, come spesso ci dicono gli interlocutori, togliendo la domanda di attraversare il mare rivolta ai trafficanti, con i canali di ingresso regolari. Questo in parte risponde alla sua richiesta iniziale sul perché questi casi non vengono gestiti nei Paesi di transito. Nell'approccio europeo degli hotspot ci sono Europol ed Eurojust, che in teoria dovrebbero fare questo, insieme alle autorità italiane, che sono tra le più brave in questo ambito.
  Rispondo al senatore Arrigoni. Elaboro perché la domanda è centrale. In Italia fortunatamente, come dicevo prima, le sacche di xenofobia sono limitate e sono più percepite. Forse vengono etichettate come tali perché quello che serve è chiarezza a tutti i livelli, anche nel dibattito politico e mediatico. La chiarezza parte dalla distinzione, a cui faceva riferimento lei, tra irregolari, migranti economici, clandestini e rifugiati, che negli ultimi anni è sempre più chiara. A ciò ha contribuito anche la Carta di Roma, promossa dall'Associazione dei giornalisti e anche dalla nostra ex collega, attualmente Presidente della Camera, per un linguaggio che distingua bene le due componenti. Mi collego alla domanda del senatore Mazzoni. Il tema è l'informazione e la chiarezza. Tuttavia, la chiarezza su come viene gestito il fenomeno parte da una gestione adeguata. Pag. 13
  Il legame che vedo tra le due domande e la mia risposta è che, se la gestione è adeguata, se la distribuzione sul territorio è fatta in maniera giusta, non in quartieri a rischio o dove c'è una sofferenza da parte dei nostri concittadini, se le procedure sono rapide ed efficienti, oltre a essere chiare, se c'è una chiarezza sui costi e sulla sicurezza, questa è la risposta a potenziali reazioni xenofobe o razziste, che, come dicevo, sono più gravi in altri Paesi. Se voi vedete il numero di incidenti, incendi e attacchi in Germania, vi rendete conto che fortunatamente in Italia questo non si verifica, perché fondamentalmente secondo me c'è uno spirito di accoglienza, che però non va mortificato, ma va informato.
  I temi sono quelli che citavamo prima. Tutti diciamo che le procedure vanno rese più efficienti. Come ci riferisce il presidente della Commissione nazionale, il prefetto Trovato, attualmente il tempo medio in primo grado è sotto i sei mesi; forse è ancora troppo lungo. La proposta che stiamo discutendo col Ministero, con questo organismo dedicato con membri specializzati, da cui noi vogliamo uscire per avere un ruolo diverso, dovrebbe agevolare questo. Si dovrebbero avere tempi più rapidi, senza perdere in qualità, perché, se non vi è la qualità della decisione, scatta il ricorso e se la decisione viene presa in secondo grado si perde ulteriore tempo. Come diceva la presidente mentre poneva la domanda il senatore Mazzoni, il problema sono la seconda istanza e i ricorsi. La riforma che dovrebbe uscire è quella, che citava lei, che purtroppo non è passata nella riforma del rito civile, di avere sezioni dedicate sull'asilo, in modo che ci siano magistrati che fanno quello, lo fanno bene e lo fanno velocemente; sono risposte, non retoriche o frutto di demagogia, ma concrete e normative...

  PRESIDENTE. Rammento che alla Camera abbiamo votato una mozione a maggioranza su questo e aspettiamo la risposta del Ministero della giustizia. Il Parlamento si è già pronunciato pro sezioni specializzate.

  RICCARDO CLERICI, Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR. Lo stesso vale per gli scandali. Sono d'accordo: in molte delle strutture temporanee gli standard, nonostante l'aumento delle attività di monitoraggio, non sono sempre adeguati. Anche questo alimenta la diffidenza. Chiarire la distinzione tra rifugiati e migranti economici, specificare cosa vuol dire accoglienza, chi ci lavora e quali risorse vengono messe, una gestione adeguata da parte delle prefetture sul territorio e i tempi della procedura sono tutti elementi che vanno a concorrere a quella chiarezza che è la vera attività di prevenzione di xenofobia e razzismo e che facilita l'integrazione.
  Ho letto anch'io la proposta degli hotspot sulle navi stamattina sul Corriere. Ci sono considerazioni legali e pratiche, legate anche alla vecchia sentenza Hirsi del 2012. Il tema è addirittura antecedente agli hotspot. Da parecchi anni si dice che le persone soccorse su una nave battente bandiera di un altro Stato membro sono sul territorio dell'altro Stato. Come, se non ricordo male, l'articolo 4 del nostro Codice penale dice che, se sei su una nave della Marina, sei sul territorio italiano. In teoria questo è un discorso sempre previsto, che poi non si applica, perché avrebbe una forza dirompente. Nei protocolli operativi dell'operazione Frontex-Tritone, cioè nell'accordo operativo che regola l'operato delle navi straniere, si dice che verranno sbarcati in Italia. Da un punto di vista pratico, al di là del concetto degli hotspot, l'esperienza e la sentenza Hirsi ci insegnano che una valutazione e uno screening con questi numeri su una nave sarebbero molto complessi. La garanzia del ricorso è estremamente complessa da un punto di vista logistico.
  Invece, da un punto di vista di advocacy a livello internazionale, anche noi abbiamo sempre sostenuto che le persone soccorse in acque internazionali in alto mare non necessariamente dovrebbero essere portate in Italia. Qui sorge il grosso tema problematico della distribuzione equa tra gli Stati membri, degli accordi regionali e del fatto che, ahimè, in alto mare una serie di sistemi legislativi si sovrappongono...

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  RICCARDO MAZZONI. C'è la regola del porto più vicino, quindi...

  RICCARDO CLERICI, Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR. Arrivavo a quello. C'è un sistema normativo, composto dal diritto d'asilo e dal diritto della navigazione, ciascuno con le proprie regole, che disciplina il fatto che le persone debbano essere sbarcate nel posto sicuro.
  Quello che noi proponiamo spesso sono accordi regionali – di solito si siglano tra Paesi di partenza e di arrivo, ma questo potrebbe applicarsi anche all'Unione europea – più ampi dell'operazione Triton, in cui si stabilisca che le persone soccorse in alto mare vengono distribuite a livello europeo.

  MARIA CHIARA GADDA. La ringrazio per la sua presenza e soprattutto per la sua relazione di oggi. Ho alcune domande che si aggiungono a quelle già poste dai colleghi. La prima è una domanda veloce, ma credo anche complessa, legata alla situazione a Idomeni. Vorrei sapere se siete presenti in questo campo, che pare essersi autorganizzato, quindi non è gestito da autorità e missioni internazionali. Vorrei capire la situazione e la prospettiva, considerando l'arrivo della stagione estiva e, quindi, la possibilità che sorgano problematiche legate anche alle condizioni igienico-sanitarie di quel campo.
  Le altre domande riprendono le considerazioni che in parte sono state fatte sulle commissioni di valutazione in Italia. In primo luogo, vorrei sapere come sono gestite le commissioni di valutazione in altri Paesi e se esistono delle best practice che possono essere prese in considerazione, visto che il Governo sull'aspetto delle commissioni di valutazione si sta impegnando molto in questi mesi, non soltanto raddoppiando il numero delle commissioni stesse, ma anche ponendosi alcuni quesiti sulla loro composizione. Le commissioni di valutazione sono molto legate alla percentuale di accoglimento della prima richiesta, che determina l'iter successivo nella fase di ricorso. Pertanto, la prima valutazione è assolutamente fondamentale. Si è riscontrato, sia in termini percentuali sia da alcune indagini giudiziarie, che esistono legate ad alcune commissioni di valutazione, che talvolta la composizione delle commissioni stesse non è risultata adeguata in termini di specializzazione e in termini di componenti. Vorrei sapere se dal vostro punto di vista è possibile pensare a una migliore specializzazione e in quali ambiti e se questa specializzazione possa essere legata anche, ad esempio, al disagio mentale. Credo che sia un elemento che attualmente manca nelle commissioni di valutazione. Alcuni dati riportano che indicativamente il 60 per cento dei richiedenti asilo nei Paesi di provenienza, nei Paesi di transito o durante il percorso ha subìto violenze di qualche tipo, che determinano situazioni di disagio psichico e psicologico consistenti. Se le commissioni di valutazione non hanno queste competenze, risulta difficile prendersi in carico queste situazioni di disagio, che però sono importanti nella determinazione e nel riconoscimento di un diritto che non è legato soltanto ai Paesi di provenienza, ma è un diritto individuale. Infatti, la richiesta di asilo è un diritto individuale, che deve essere valutato in senso ampio e nel senso corretto del termine.
  L'ultima domanda, che è più generale, riguarda la definizione di migrante economico. Vorrei sapere se esiste un dibattito su cos'è un migrante economico e come sono contemplate nella definizione le valutazioni legate ai cambiamenti climatici, alla desertificazione, alla mancanza di acqua e al mancato accesso ai beni primari. Vorrei sapere se esiste un dibattito all'interno del diritto internazionale su questo tema.

  PRESIDENTE. Questo tema si collega alla domanda che avevo posto e che ribadisco: c'è un dibattito sulla lista dei Paesi sicuri e insicuri a livello di comunità internazionale o europea, affinché sia una cosa certa per tutti i Paesi e non legata a un'interpretazione che ogni Stato fa? C'è chi teorizza che ci sono più Paesi sicuri che insicuri e chi afferma il contrario. Occorre chiarezza per tutti. Do la parola al dottor Clerici per la replica.

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  RICCARDO CLERICI, Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR. In seguito lascerò rispondere il collega Andrea Pecoraro, che segue le commissioni anche in altri Paesi europei.
  Rispondo alle altre due domande. Per ciò che concerne la situazione in Grecia, noi abbiamo parecchio da seguire in Italia, però sono disponibile a inviarle una ricca documentazione. Le posso dire che la presenza di UNHCR in Grecia è assolutamente unica in Europa; abbiamo un'operazione enorme. In riferimento alla situazione al confine, che è molto critica in questa fase, al di là del nostro ruolo di supporto nell'accoglienza, attraverso un sistema di voucher per trovare accoglienza iniziale per quelle 50.000 persone circa che si trovano adesso in Grecia, qualche settimana fa abbiamo avviato un aiuto alle autorità greche, che spero si vada a finalizzare, per la registrazione delle persone, che è l'aspetto difficile in questo momento. Le 50.000 persone che sono rimaste in Grecia, perché si è chiuso da una parte e si è fermato dall'altra, paradossalmente potrebbero rientrare tutte nella quota greca di ricollocamento, però devono essere registrate ed entrare in procedura. Questo, insieme a un'altra serie di priorità, non sta avvenendo al confine, e ci auguriamo che possa succedere nei prossimi due mesi. Le posso inviare una documentazione.
  Per ciò che concerne la terza domanda sul migrante economico, visto che ci sono trattati e convenzioni molto chiari soprattutto sui rifugiati, è importante, non solo per noi ma a livello internazionale, partire da quelli per dare chiarezza agli interlocutori, alla società civile e a chiunque sulla distinzione. È chiaro che ci sono delle zone grigie. Lei ha citato l'aspetto ambientale, che paradossalmente non rientra sotto la categoria dei migranti economici, ma sotto quella dei rifugiati ambientali. Sono ambiti ancora in movimento, con dei margini che andranno a definirsi. L'importante è capirsi sulla sostanza, cioè sulla quantità e la natura di questi movimenti di irregolari e di rifugiati. È ciò che abbiamo cercato brevemente di fare adesso. Queste categorie vengono inquadrate in sistemi normativi diversi e richiedono risposte a volte simili, ma spesso diverse. I 2,5 miliardi di persone in Africa, al di là di situazioni relative a Paesi in guerra o in conflitto, pongono dei temi e richiedono delle risposte diverse.
  Lascio la parola al collega Andrea Pecoraro, che segue le commissioni anche all'estero, per la risposta sulle commissioni.

  ANDREA PECORARO, Protection associate UNHCR. Grazie per la sua domanda. Per darle una risposta più completa, secondo me è utile innanzitutto analizzare quello che è successo in Italia negli ultimi anni. Noi nel 2005 avevamo un'unica commissione centrale, che aveva il compito di valutare le domande di asilo per tutto il territorio nazionale, e avevamo tempi di attesa di circa due anni o anche fino a tre anni. Questa commissione, che era composta prevalentemente da personale delle istituzioni italiane, in particolare del Ministero dell'interno e del Ministero degli esteri, con un ruolo consultivo dell'UNHCR, esaminava fino a 40 richieste di asilo al giorno. È, quindi, evidente che la qualità non era adeguata. Dal 2005 a oggi è stato fatto uno sforzo enorme. Se pensiamo che siamo passati da un'unica commissione a oltre 40, vediamo che lo sforzo è stato significativo.
  Una delle peculiarità, che noi rivendichiamo con orgoglio, del sistema italiano, nel quale siamo fortemente presenti, è la collegialità. Nelle altre esperienze europee non abbiamo questa particolarità, ma abbiamo spesso un unico funzionario che ha il compito di valutare una a una le richieste di asilo. Il sistema della collegialità esiste, ad esempio, nella seconda istanza. In altri Paesi abbiamo delle procedure accelerate in frontiera che in Italia non abbiamo. I sistemi sono molto diversi. Come ci è stato detto anche a livello europeo, il nostro è un buon sistema. I progressi fatti sono enormi, però adesso, a dieci anni dall'entrata in vigore di questo nuovo sistema, possiamo sicuramente tirare le fila. Lei, secondo me, ha colto un punto rilevante. Noi abbiamo un sistema che è basato sulla rappresentatività: abbiamo un funzionario del Ministro all'interno, uno dell'UNHCR, uno dell'ente locale, uno della Polizia di Stato. Bisogna superare questa impostazione. La nostra Pag. 16proposta di riforma, che ha trovato consenso anche nel Ministero, è quella di creare delle figure professionali, come succede negli altri Paesi, cioè degli specialisti all'interno delle istituzioni italiane che abbiano questa competenza specifica nel trattare la materia dell'asilo.
  Quella fra migrante economico e rifugiato, che lei citava, è la distinzione cardine del sistema, ma questo tipo di valutazione richiede una professionalizzazione molto alta. Questo è il sistema che vogliamo raggiungere. Ripeto che rispetto ad altre esperienze europee il nostro sistema è diverso, ma presenta delle positività. Come dicevo, è chiaro che a dieci anni dall'entrata in vigore del nuovo sistema dobbiamo tirare le fila e vedere come poterlo migliorare ulteriormente.

  PRESIDENTE. Sulla lista vuole aggiungere qualcosa?

  RICCARDO CLERICI, Responsabile Ufficio Protezione di UNHCR. La possibilità di fare la lista con determinate garanzie è piuttosto pacifico anche da parte nostra. Concretamente, abbiamo notato che trovare l'accordo, in Europa ma anche in altri contesti, su una condivisione di visioni su quale Paese sia sicuro oppure no è un percorso estremamente difficile, perché, come è ovvio, si innescano considerazioni di politica estera, rapporti economici e visioni di diritti umani e di sistemi d'asilo presenti estremamente complesse.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Clerici. Saluto e ringrazio per la precisazione che ha fatto il dottor Andrea Pecoraro, protection associate. Ricordo ai colleghi che la prossima settimana abbiamo l'audizione di Europol, una seduta determinante come quella di oggi. Ringrazio nuovamente i nostri ospiti, che ci hanno dato molti elementi di riflessione, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.