XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Mercoledì 6 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brandolin Giorgio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione dell'Ambasciatore di Polonia in Italia, S.E. Tomasz Orlowski.
Brandolin Giorgio , Presidente ... 3 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 4 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 6 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 6 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 7 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 7 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 8 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 8 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 8 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 8 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 9 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 9 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 9 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 10 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 10 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 10 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 10 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 10 
Orlowski Tomasz , Ambasciatore di Polonia in Italia ... 10 
Brandolin Giorgio , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIORGIO BRANDOLIN

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dell'Ambasciatore di Polonia in Italia, S.E. Tomasz Orlowski.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, l'audizione dell'ambasciatore di Polonia in Italia, Tomasz Orlowski. Nell'introdurre la sua audizione mi permetto di porle velocemente quattro questioni predisposte con la presidente Ravetto, a nome della quale la saluto. La prima è l'introduzione temporanea dei controlli alle frontiere da parte delle autorità polacche. Il Comitato sta svolgendo una serie di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni a fronte del massiccio afflusso di rifugiati in questi ultimi mesi attraverso la cosiddetta «rotta dei Balcani occidentali».
  Abbiamo già audito gli ambasciatori di Francia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, Austria, Russia, Danimarca, Svezia, Norvegia e Slovenia, la rappresentante del Governo regionale del Kurdistan iracheno, e inoltre gli ambasciatori di Tunisia, Egitto, Marocco, Israele.
  Risulta al Comitato anche da notizie di stampa (ANSA del 3 marzo) che il Ministro degli interni, Mariusz Blaszczak, abbia dichiarato che dal 20 al 31 luglio 2016 la Polonia ripristinerà i controlli alle frontiere, per garantire la sicurezza del vertice del Patto atlantico e delle giornate mondiali della Gioventù con Papa Francesco. Il ministro avrebbe sottolineato che tale decisione non ha nulla a che fare con la situazione dei migranti nel sud Europa.
  Sempre secondo quanto risulta al Comitato, dal settembre 2015 otto Paesi dello spazio Schengen hanno ripristinato i controlli di frontiera alle loro frontiere interne. Le chiediamo quindi di riferire al Comitato, nei limiti delle sue competenze, elementi di conoscenza sulla motivazione della decisione assunta dal Governo polacco di reintrodurre i controlli alle proprie frontiere interne.
  Punto 2), sulla posizione comune dei Paesi del cosiddetto «Gruppo di Visegrad» in merito alla crisi migratoria. Risulta al Comitato, anche da notizie di stampa del 23 febbraio, che il Primo Ministro della Repubblica Ceca Sobotka avrebbe dichiarato che il suo Paese, insieme a Ungheria, Polonia e Slovacchia, i Paesi del «Gruppo di Visegrad», starebbe allestendo una nuova barriera ai confini con Bulgaria e Macedonia.
  Risulta inoltre al Comitato anche da notizie di stampa (Agenzia Nova del 17 marzo) che il Ministro degli esteri ceco Zaoralek abbia dichiarato che «in merito alla crisi migratoria i Paesi del Gruppo di Visegrad hanno una posizione comune». Le chiediamo, sempre nei limiti delle sue competenze, di fornire al Comitato maggiori elementi di conoscenza in relazione Pag. 4alla posizione comune e alle iniziative congiunte di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia.
  Punto 3), sulla posizione del Governo polacco in relazione alle proposte presentate dalla Commissione UE in materia di ricollocamento di richiedenti asilo. Nel settembre 2015 gli Stati membri dell'UE hanno approvato le proposte di gestione delle migrazioni presentate dalla Commissione europea, che prevedono tra l'altro il famoso ricollocamento di 120.000 richiedenti asilo all'interno dell'UE entro il 2017, in aggiunta alla proposta del maggio 2015 di ricollocare altre 40.000 persone. Dopo circa sei mesi dal lancio del piano sono però stati ricollocati dalla Grecia e dall'Italia appena 937 richiedenti asilo. Risulta al Comitato anche da notizie stampa (agenzia La Presse del 7 marzo) che il Ministro degli esteri polacco Waszczykowski, a margine di un incontro con il Ministro Gentiloni alla Farnesina, avrebbe dichiarato che «la questione dei migranti deve essere risolta dove nasce, la Polonia non può essere la patria delle ricollocazioni obbligatorie, non abbiamo abbastanza lavoro per accogliere i migranti, ci sono Paesi che possono garantire condizioni sociali molto migliori». Le chiediamo, sempre nei limiti delle sue competenze, maggiori informazioni sulla posizione del Governo polacco in relazione alle proposte della Commissione, in particolare sulle modalità di attuazione della prevista ripartizione di rifugiati tra gli Stati membri.
  Punto 4), sulla roadmap della Commissione europea per il ripristino di un normale funzionamento dell'area Schengen. Risulta al Comitato che la Commissione abbia presentato il 4 marzo una roadmap per il ripristino del normale funzionamento dell'area Schengen, con l'obiettivo di dismettere i controlli alle frontiere interne entro il prossimo dicembre. Nella roadmap si invitano Consiglio e Parlamento ad adottare la proposta di Regolamento per istituire un Corpo di polizia di frontiera europea entro giugno prossimo, in modo che possa entrare in funzione già ad agosto. Come delineato dall'articolo 3 della proposta di Regolamento, la polizia di frontiera europea sarà composta dall'Agenzia europea delle Guardie costiere e di frontiera e dalle autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, comprese le Guardie costiere nella misura in cui svolgano compiti di controllo delle frontiere. Le chiediamo di riferire al Comitato, sempre nei limiti delle sue competenze, elementi di conoscenza sulla posizione assunta dalla Polonia in relazione a questa roadmap, in particolare per quanto riguarda la creazione, come da due anni sollecito, di un Corpo di polizia di frontiera europea.
  Lei interverrà con la sua relazione e poi le chiederemmo di rispondere a questi quattro punti ed eventualmente a ulteriori domande poste dai colleghi.
  Lascio quindi la parola all'ambasciatore di Polonia in Italia, Tomasz Orlowski.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. Grazie, signor presidente, onorevoli deputati e senatori, grazie per questo invito che è molto importante per noi. Prima di tutto vorrei dire a nome del mio Governo che noi consideriamo la crisi migratoria come una crisi europea, cioè comune, in cui si devono trovare strumenti comuni di gestione, e riteniamo che confrontarci per conoscere meglio le posizioni nazionali sia un elemento cruciale per trovare soluzioni a ventotto perché è un problema europeo.
  Ci sono almeno due aspetti: la crisi migratoria coinvolge l'Europa e, come ha detto il mio ministro, il punto principale per poter gestire a lungo termine questi flussi migratori sarebbe trovare una risposta giusta nei Paesi di origine dei rifugiati. Noi mettiamo sempre l'accento sul fatto che abbiamo due categorie di migranti, i rifugiati, che sono protetti da protezione internazionale come richiedenti asilo, e i migranti economici. Questi migranti economici, che hanno diritto di cercare una vita migliore fuori dai loro Paesi, sono però nelle capacità dei Paesi in cui vanno, perché noi, alla luce del rallentamento economico che l'Europa sta vivendo, con una disoccupazione che in alcuni Paesi riguarda una fascia importante della società e soprattutto della gioventù, è difficile dire che possiamo accettare tutto. Pag. 5
  Per questo motivo l'Europa dovrebbe impegnarsi tramite la politica estera e di sicurezza comune per facilitare la risoluzione dei problemi politici dei Paesi da cui provengono i rifugiati. Qui parliamo di problemi politici, di disequilibrio, di violazione dei diritti umani, di guerre civili e di terrorismo locale come ad esempio nel Corno d'Africa o nel Golfo di Guinea, mentre dall'altra parte abbiamo un problema diverso, che richiede strumenti diversi per gestire la politica di sviluppo, la cooperazione con i Paesi dove sarebbe necessario facilitare la creazione di posti di lavoro per le persone che possono rimanere.
  Questa è una parte di risposta alla terza questione in cui lei, presidente, ha citato il Ministro Waszczykowski che ha parlato proprio di questo, in quanto per noi come per tutti c'è prima di tutto la divisione tra rifugiati protetti come richiedenti di asilo e migranti economici, e poi c'è un'altra distinzione che riguarda il problema oggetto dell'odierna audizione, cioè la migrazione illegale, la scelta di venire in Europa attraversando la frontiera in maniera legale oppure illegale. Questa è la questione della gestione della frontiera.
  La seconda osservazione che posso fare a nome del Governo della Polonia è che noi consideriamo l'accordo di Schengen, la libera circolazione delle persone e dei beni, come un valore, uno dei valori principali della costruzione europea. Come lei ha detto, nella nostra piccola conversazione prima dell'audizione, in base alla sua esperienza personale e alla nostra nel mondo che prima veniva definito «blocco sovietico» o Paesi dell'Est, per noi poter viaggiare liberamente senza visto e senza passaporto è un enorme successo della costruzione europea.
  Questo significa che, se oggi viviamo una crisi e un rallentamento nella costruzione europea, dobbiamo impegnarci tutti per superare questo momento difficile e portare avanti il progetto europeo. Come l'Europa non può permettersi di veder fallire il progetto della moneta comune, allo stesso modo non può veder fallire Schengen e la frontiera comune. Per questo motivo, questo è politicamente per noi un elemento nella prima valutazione della crisi.
  Due parole sulla Polonia. Noi siamo uno dei maggiori Paesi membri dell'Unione europea per quanto riguarda la lunghezza della frontiera comune dell'Unione europea. Sto parlando della frontiera terrestre esterna. La frontiera terrestre dell'Unione europea che attraversa la Polonia si estende per 1.185 chilometri, ai quali si aggiungono 395 chilometri di frontiera marittima, quindi abbiamo in totale la gestione di circa 1.500 chilometri della frontiera comune dell'Unione europea. Questo è un impegno importante, anche se possiamo paragonarlo all'impegno dell'Italia come Paese con una grande frontiera, piuttosto marittima e quindi molto differente per quanto concerne la gestione.
  Alla gestione della frontiera comune il Governo polacco annualmente, solo per l'infrastruttura dei posti di frontiera, dedica un budget di 13 milioni di euro, un finanziamento importante. Durante lo scorso 2015 la Guardia di frontiera polacca ha contato 34 milioni di passaggi della frontiera comune, che è il numero non delle persone, ma dei passaggi di frontiera. Dico questo solo per evidenziare il volume di lavoro della nostra Guardia di frontiera, che è un servizio di Stato che dipende dal Ministro dell'interno, una polizia al cento per cento professionale, che si occupa solo della protezione delle due frontiere, terrestre e marittima (non abbiamo una Guardia costiera separata, ma abbiamo una Guardia di frontiera unica).
  Mi permetto di rispondere alle questioni poste, facendo prima di tutto una distinzione fra il problema migratorio e il problema della protezione della frontiera comune. La questione migratoria è prima di tutto emergenza rifugiati, emergenza che ha toccato soprattutto alcuni Paesi del sud europeo come Italia, Grecia, parzialmente Spagna, Slovenia e Croazia. Questa politica migratoria ha obiettivi diversi da quelli della gestione della frontiera comune. Nella gestione della frontiera comune prima di tutto abbiamo il principio della protezione e un secondo elemento è la gestione della crisi migratoria. Come ho detto, nella nostra Pag. 6 valutazione operiamo una distinzione fra immigrati legali e illegali e, per poter gestire il flusso e contenere l'arrivo dei migranti, è stato necessario verificare quali fossero legali e quali illegali.
  Questo è uno dei principi dell'accordo siglato fra il Consiglio europeo, cioè Paesi membri dell'Unione europea, e Turchia, perché la distinzione principale dell'accordo con la Turchia è tra coloro che hanno passato la frontiera fra Turchia e Grecia nel Mare Egeo in maniera legale o illegale. Con la Turchia abbiamo deciso che coloro che hanno passato la frontiera in maniera illegale siano rinviati in Turchia. Consideriamo questo il punto prioritario della protezione e gestione della frontiera comune.
  Per quanto concerne la prima questione, l'introduzione temporanea di controlli alla frontiera, noi parliamo della procedura più semplice che esiste dall'inizio del codice Schengen, che permette a uno Stato membro di sospendere la libera circolazione e di stabilire il controllo delle frontiere quando si verifichi un grande evento internazionale. Questo è ciò che lo scorso anno ha fatto la Germania per ospitare il vertice G7, con conseguenze per l'Italia, perché i profughi che volevano andare in Germania sono stati bloccati nelle stazioni ferroviarie italiane. Parliamo solo di una normale procedura di controllo. Si tratta di un mese, perché durante il mese di luglio abbiamo due grandi eventi, uno politico di altissimo livello, il vertice NATO del 7 e 8 luglio, con la partecipazione di ventotto Capi di Stato, dal Presidente degli Stati Uniti e dal Presidente della Francia a tutti i leader dei Paesi alleati e dei Paesi partner dell'alleanza, mentre alla fine del mese avremo un enorme raduno per le Giornate mondiali della gioventù, cui siamo particolarmente legati in memoria di Santo Giovanni Paolo II che ha introdotto questo bellissimo incontro della gioventù con il Pontefice, che sarà organizzato soprattutto nella città di Wojtyla, Cracovia.
  All'inizio si parlava di 2 milioni di partecipanti, ma oggi, in base alla valutazione che è stata fatta, non si esclude la possibilità di arrivare a 3 milioni. Parliamo di flussi enormi, che riguardano non solo l'Europa, ma anche Paesi in cui la situazione non è stabile, e questa per noi è una sfida per la sicurezza dell'evento e la sicurezza nazionale. Dobbiamo dirci apertamente che questo tipo di incontro dei giovani credenti con il Sommo Pontefice è da vedere anche dal lato della sicurezza e, dopo ciò che l'Europa ha vissuto a Parigi e a Bruxelles, dobbiamo raddoppiare la nostra attenzione.
  Per dare una risposta semplice alla domanda sulla posizione comune del V4, i Paesi di Visegrad, in merito alla quale lei, presidente, ha citato il Primo Ministro e il Ministro degli esteri ceco, si tratta di un coordinamento delle posizioni per adottare una posizione comune. Questo coordinamento significa che i nostri Capi di Governo fanno delle consultazioni due ore prima del Consiglio europeo ed è ambizione del V4 di adottare una posizione come in passato il Benelux, cioè una posizione che può essere, ma non deve per forza essere comune, almeno raccordata all'interno del processo europeo. Vorrei sottolineare, anche alla luce delle preoccupazioni emerse sulla stampa, che si tratta non di un progetto fuori dalla politica europea, ma di un coordinamento come quello che si faceva e si fa all'interno del gruppo Benelux.

  PRESIDENTE. Quindi si limita al coordinamento prima dell'attività del Consiglio europeo, non ha l'ambizione di costruire trattati...

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. No, Visegrad è uno strumento di cooperazione e coordinamento, non è una struttura alternativa, non è basato su un trattato, non esistono istituzioni stabili, a parte il Fondo culturale Visegrad per rafforzare l'identità centroeuropea, ma non abbiamo alcuna struttura politica di gestione, solo incontri sistematici dei Capi di Stato e di Governo, dei ministri degli esteri o dell'interno oppure altri, ma questa è solo una cooperazione per il coordinamento.
  Il ricollocamento è un problema; dove le nostre posizioni sono le più diverse, la Pag. 7Polonia cerca di essere la più solidale nella misura di quanto possiamo offrire, quindi di accettare un numero di richiedenti asilo giunti nei Paesi che oggi sono crollati sotto il peso di questi flussi. Noi con altri Paesi europei siamo d'accordo per prendere un numero che è stato deciso. Il problema all'inizio per noi è stato quello di preferire una base volontaria e non obbligatoria, le famose quote, per due motivi: la Polonia non dispone di una base infrastrutturale per gestire un certo numero di rifugiati, in quanto non abbiamo tanti centri per i rifugiati e d'altra parte il mio Governo non si dichiara interessato a creare questo tipo di campi per il soggiorno dei profughi perché non condivide il principio della creazione dei campi, in quanto anche il termine «campo» è abbastanza duro da accettare.

  PRESIDENTE. Infatti non lo usiamo quasi mai, qualcuno lo sta usando ma qui cerchiamo di evitarlo, anche la stessa presidente, perché ricorda le tragedie di 70-80 anni fa.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. Devo dire che quando si vede oggi questa gestione delle minoranze, delle comunità provenienti ad esempio dai Paesi postcoloniali che vivono nelle vecchie metropoli in quartieri e distretti quasi chiusi, si comprende come questo rappresenti anche un rischio per la sicurezza, basti pensare a Molenbeek che ne è diventato il simbolo. Il mio Ministro degli esteri ha voluto usare il termine «campo» proprio per sottolineare quale processo dobbiamo evitare.
  Il secondo problema, che è stato certamente banalizzato in passato e di cui Molenbeek è un simbolo, è che la mancanza di esperienza nell'accoglienza delle comunità a noi culturalmente lontane rappresenta una sfida per la società e una sfida anche sul piano elettorale. Tutti i risultati elettorali dell'ultimo anno in Europa a livello nazionale o locale dimostrano che questo problema esiste. Noi siamo più lontani e abbiamo più tempo per riflettere, mentre chi è sottoposto a un'emergenza profughi o possiede già questi quartieri caldi si trova già a gestire un'emergenza. Noi pensiamo invece a come evitare che il fenomeno dilaghi nei nostri Paesi. Questo dà l'impressione di non essere solidali, ma non si tratta di mancanza di solidarietà, si tratta di una ricerca di presentare la nostra posizione nazionale e di riflettere su come trovare le soluzioni per noi tutti in futuro.
  Fare un ricollocamento su basi volontarie e non obbligatorie potrebbe favorire una migliore accoglienza dei profughi nella nostra società. Quando si tratta di una cosa imposta, infatti, si apre sempre la strada ai populisti, che lamentano che Bruxelles ci abbia imposto qualcosa. Nel Paese che in passato ha sperimentato l'imposizione da parte di Mosca la società è sempre restia all'idea che Bruxelles ci imponga qualcosa. Come sappiamo, questo non è un problema solo nostro, perché il problema di accusare l'Europa di imporre misure impopolari esiste in tutti i Paesi membri dell'Unione europea, dove spesso si dice «io sono a favore, ma sfortunatamente Bruxelles ci impone altro». Noi vogliamo evitarlo e pensiamo che questo sia un elemento cruciale. Per questo motivo in merito a questioni che non sono sempre decise a livello di trattati e che toccano le materie più sensibili della vita politica e sociale dei nostri Paesi si dovrebbe prendere decisioni non a livello di Commissione europea, ma coinvolgendo gli Stati membri, cioè discuterne a livello di Consiglio europeo. Per questo motivo il Consiglio europeo è per noi la sede opportuna per parlare dei ricollocamenti, recependo le proposte della Commissione. La stessa cosa vale per la gestione e la protezione delle frontiere.
  Qui possiamo passare alla quarta questione, che tocca uno strumento che abbiamo deciso di creare, la Guardia di frontiera e costiera europea. La creazione della Guardia di frontiera e costiera europea corrisponde a una volontà del Governo polacco: siamo stati e siamo a favore della creazione di questa Guardia, che è uno dei pilastri del pacchetto legislativo della Commissione europea del dicembre 2015. In questo momento ci troviamo nell'ultima fase del processo legislativo, non so, presidente, se lei lo abbia fatto appositamente, Pag. 8ma oggi il Coreper a Bruxelles dovrebbe adottare il documento di compromesso fra la Commissione e la Presidenza olandese per la creazione della Guardia di frontiera. Noi siamo stati da sempre a favore, e le nostre preoccupazioni sono state tutte recepite nella proposta di compromesso. Si tratta di gestire bene i diritti dell'Unione europea alla protezione di frontiera e le competenze nazionali degli Stati membri, quindi di mettere insieme le due cose. Per questo abbiamo chiesto che, come è stato recepito dal Consiglio europeo, la Guardia di frontiera europea non sia responsabile della protezione della frontiera, che in virtù del Trattato spetta ai Paesi membri, ma garantisca un supporto alla protezione, non la rimpiazzi...

  PRESIDENTE. Ho capito, non va via la Guardia di frontiera polacca, italiana o tedesca, ma si mette assieme, supporta, e la responsabilità è sempre della polizia del singolo Stato membro.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. Questo garantisce chiarezza. Oggi si tratta di creare una forza di 1.500 funzionari europei, quindi non enorme. Fra questi 1.500 funzionari europei di polizia di frontiera ci sono 125 italiani e 100 polacchi.

  PRESIDENTE. Sapete già quanti di questi funzionari arriveranno sulla vostra frontiera di 1.500 chilometri?

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. No. Questa Guardia di frontiera verrebbe utilizzata qualora un Paese membro non fosse in grado di assicurare la protezione della sua parte di frontiera comune. Se quindi un Paese membro come la Grecia non è in grado di gestire la propria frontiera, noi forniamo aiuto, assistenza, rafforzamento. Si tratta di un rafforzamento. La Polonia non è nella situazione di dover chiedere un rafforzamento, ma la Guardia europea agirà come una Squadra Mobile. Non abbiamo ancora questo Corpo di polizia europea, ma abbiamo già la cooperazione delle nostre polizie di frontiera e l'anno scorso abbiamo partecipato a 125 missioni europee presso i Paesi che hanno avuto bisogno di assistenza. Da un paio di mesi alcuni poliziotti della Guardia di frontiera polacchi lavorano in Grecia su richiesta del Governo greco, e anche alla frontiera greco-macedone, dalla parte macedone. Per il momento questa è una cooperazione concordata dall'Europa, ma basata sull'impegno nazionale. Un giorno, con questo progetto della Guardia europea ci sarà quindi una sorta di Squadra Mobile europea.
  C'è però un problema di fondo importantissimo: il Governo greco ha chiesto un rafforzamento delle sue capacità, ma abbiamo anche la situazione in cui i Paesi membri valutano che uno di loro non è in grado di proteggere la sua parte di frontiera. Qui tocchiamo il delicato problema della sovranità: abbiamo diritto di mandare nostri poliziotti europei alla frontiera di un Paese senza la sua richiesta e il suo assenso? A questo dobbiamo trovare una soluzione, che è stata già prevista nella proposta di intesa europea che speriamo venga adottata dal Coreper in vista dell'adozione a metà aprile da parte del Consiglio dell'Unione europea. Noi pensiamo che non debba essere la Commissione europea a scegliere di mandare la Guardia di frontiera europea senza la richiesta del Governo, ma si debba decidere l'eventuale invio di poliziotti a livello di Stati membri tramite un accordo sul piano operativo. Si tratta di un piano operativo che tutti i Paesi membri devono adottare, anche il Paese coinvolto. Se quindi questo Paese non rispetta il piano, possiamo prevedere un intervento. Questa nostra posizione è stata condivisa da tanti, la maggioranza degli Stati membri è stata d'accordo sul fatto che l'idea di creare una Guardia di frontiera europea sia giusta e rafforzi anche il processo comunitario, perché una nuova istituzione europea rafforza anche l'identità europea. Come ogni nuova invenzione si deve trovare però una buona articolazione fra i diritti della Commissione europea e la sovranità di uno Stato membro. Pag. 9
  Spero di aver risposto a tutti i quesiti, grazie.

  PRESIDENTE. Sì, ci ha risposto molto francamente e anche molto precisamente. Lascio quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CHIARA GADDA. La ringrazio, ambasciatore, per la sua presenza oggi e anche per la franchezza con cui ha risposto alle domande poste dal Vicepresidente Brandolin.
  Lei ha toccato molti temi, soprattutto il tema della sicurezza nazionale e della sovranità dei singoli Stati membri. Non è oggetto dell'odierna audizione, ma sorge spontanea una domanda, legata agli ultimi accadimenti verificatisi all'interno dei confini dell'Unione europea. Vorrei conoscere la sua opinione in merito alla gestione dei dati, quindi non soltanto alla gestione dei migranti e dei flussi, ma anche se valuti positivamente una migliore integrazione dei dati sulla circolazione delle persone. Nel rispetto della sovranità degli Stati membri una maggiore integrazione tra le Intelligence può essere ritenuta opportuna?
  Abbiamo toccato il tema dei ricollocamenti, ma non il tema dei rimpatri. Ritiene opportuno che questa decisione non venga demandata soltanto ad accordi bilaterali tra singoli Stati membri e Paesi di provenienza o di transito all'esterno dell'Unione europea, ma sia auspicabile una maggiore integrazione in termini di politica comunitaria anche sul tema dei rimpatri?
  Abbiamo parlato del termine «campi», termine dolorosamente citato anche in altre audizioni in questo medesimo Comitato, i campi però esistono. Mi riferisco ad esempio al campo al confine tra la Grecia e la Macedonia, che non è definito in termini formali; quindi le politiche di medio e lungo termine sono fondamentali per trovare una soluzione strutturale a questo tema, ma il fenomeno migratorio (tra parentesi, il tema dei migranti economici deve essere approfondito meglio, perché non esiste una definizione formale di migrante economico) impone di gestire il fatto contingente con i campi anche per l'incapacità di alcuni Stati membri dinanzi a numeri molto consistenti. Mi chiedo quindi come possano essere gestiti quei campi che sono una violazione dei diritti umani, perché ospitano anche donne e bambini in condizioni precarie e in estate vedranno un ulteriore problema di gestione. Mi riferisco in particolare al campo di Idomeni.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. Grazie, onorevole, sono questioni importanti. Comincerò dall'ultima. Noi abbiamo usato questo termine per mostrare quale sia il rischio se non troveremo le soluzioni più adatte. Su questo vorrei salutare il Governo italiano, che ha fatto un lavoro eccezionale non favorendo la creazione di grandi campi. Nella mia comunicazione con il mio Governo questo è un punto che metto sempre in rilievo, perché l'Italia ha saputo evitare questo rischio. Noi siamo andati a Lampedusa, abbiamo visto che l'isola è praticamente vuota, anche se la televisione mostra immagini diverse, abbiamo parlato con tanti, con il sindaco di Palermo e con le autorità di altre province e regioni e abbiamo visto come questo problema venga gestito.
  Noi abbiamo accolto negli ultimi tre anni 1 milione di cittadini ucraini, che sono per definizione migranti economici, perché riconosciamo l'Ucraina come uno Stato di diritto, uno Stato democratico, quindi un cittadino ucraino per principio non può chiedere protezione internazionale, anche se ci sono situazioni particolari, ma come principio no. Abbiamo quindi 1 milione di migranti economici che abbiamo accolto senza difficoltà, perché la maggioranza è rappresentata da migranti legali, che hanno diritto di lavorare in Polonia, che trovano lavoro e lavorando si integrano nella società polacca, culturalmente non rappresentano un'enorme sfida e non si creano quartieri residenziali riservati ai cittadini ucraini. Per questo motivo noi non vediamo alcun problema. Posso dire di più: è facile ritenere che ciò sia avvenuto perché polacchi e ucraini sono abbastanza simili, ma la stessa cosa Pag. 10è avvenuta con la comunità vietnamita in Polonia, perché abbiamo una delle più grandi colonie vietnamite in Europa con almeno 20.000 persone che risiedono ufficialmente nel Paese e non rappresentano una sfida alla sicurezza e all'ordine pubblico, che sono integrate sebbene siano culturalmente molto diverse. Si può giungere a questo a due condizioni: quando non c'è un'emergenza, cioè quando si può accettare, e quando c'è la tendenza a un'integrazione delle persone, anche se di cultura lontana dalla nostra, perché questo non rappresenta un rischio nel collocamento e un rischio per la sicurezza, laddove invece oggi tutte le nostre popolazioni in Europa sono sottoposte a un fantasma securitario.
  Questo per rispondere alla sua ultima domanda. Gestione dei dati: ho capito che lei si riferiva alla vicenda dei Panama papers...

  PRESIDENTE. No, ai fatti di ISIS e del terrorismo internazionale.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. Abbiamo già due strumenti: il primo è il Sistema informatico Schengen (SIS), piuttosto tecnico e non intellettuale, che in ogni caso esiste ed è una base. Certamente questo è un problema che ci interessa anche nella politica di ricollocamento e si collega al funzionamento degli hotspot.
  Come il mio ministro ha detto apertamente, nella situazione attuale consideriamo necessario poter interrogare le persone proposte per il collocamento da noi prima della loro partenza per la Polonia dal Paese dove sono ospitate. Quando parliamo con il Governo greco oppure italiano (il Governo greco è molto più flessibile del Governo italiano) ribadiamo che anche in seguito alle ultime vicende di Capodanno a Colonia o dell'attentato a Bruxelles la nostra popolazione, per poter accettare i rifugiati, ci chiede di avere la massima sicurezza che chi accogliamo sia...

  MARIA CHIARA GADDA. Quindi questa polizia comune potrebbe occuparsi anche del tema dell'identificazione nel momento in cui alcuni Stati membri non sono in grado di espletare tutte le pratiche, dato il numero consistente di arrivi? Mi riferisco in particolare alla Grecia e anche all'Italia.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. In Grecia i nostri agenti sono collegati non solo alle pattuglie di frontiera, ma anche al lavoro tecnico, sono esperti di dattiloscopia e altri aspetti molto tecnici. Questa è una risposta, ma dobbiamo pensare che una risposta di questo tipo rappresenta il medio-lungo termine. Noi stiamo parlando con il Ministero degli interni, con il Viminale, di come dare alle nostre preoccupazioni una risposta italiana più flessibile. Il mio ministro degli esteri ha rilasciato un'intervista a il Corriere della sera un mese fa, il giorno dopo il primo Consiglio di marzo, e ha dichiarato che noi possiamo accogliere i profughi se possiamo controllare la loro identità. Questa è la nostra posizione. Abbiamo visto come la polizia belga abbia dimostrato come è facile trovare un passaporto falso turco, e questo alimenta le preoccupazioni dell'opinione pubblica.
  Ultima questione, i rimpatri. Certamente i rimpatri sono parte della soluzione permanente del problema, alcuni Paesi hanno avuto la possibilità di firmare intese bilaterali come la Spagna...

  PRESIDENTE. Anche l'Italia.

  TOMASZ ORLOWSKI, Ambasciatore di Polonia in Italia. L'Italia però oggi ha un problema, che non è solo italiano, con la Libia, e noi speriamo che un giorno la Libia sarà in grado di firmare un accordo. Per questo abbiamo bisogno di assistere la Libia, di ritrovare la forza di controllo e di gestione della sovranità dello Stato per poter firmare un giorno un accordo. Nel nostro dibattito diciamo che la Polonia è molto interessata a veder accedere la Libia a uno status di nazione in grado di firmare un accordo di riammissione dei suoi concittadini. Tutta la politica europea – non solo estera e di sicurezza, ma anche le Pag. 11politiche settoriali – dovrebbe favorire accordi di ritorno delle persone laddove possano vivere e lavorare pacificamente e in sicurezza.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare l'ambasciatore di Polonia in Italia, Tomasz Orlowski, la dottoressa Magdalena Trudkzik e la dottoressa Anna Wawzyniak, addetto stampa dell'ambasciata, che lo accompagnano, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.45.