XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Venerdì 13 gennaio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, S.E. Naor Gilon.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Gilon Naor , Ambasciatore d'Israele in Italia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 4 
Gilon Naor , Ambasciatore d'Israele in Italia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Gilon Naor , Ambasciatore d'Israele in Italia ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Gilon Naor , Ambasciatore d'Israele in Italia ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Mazzoni Riccardo  ... 9 
Ginetti Nadia  ... 10 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Gilon Naor , Ambasciatore d'Israele in Italia ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione attraverso il circuito chiuso della Camera dei deputati. Non essendovi obiezioni ne dispone l'attivazione.

Audizione dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, S.E. Naor Gilon.

  PRESIDENTE. Buongiorno colleghi e buon anno. Questa è la prima seduta del nuovo anno, quindi saluto anche gli uffici.
  L'ordine del giorno reca l'audizione dell'Ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni.
  Ambasciatore, siamo onorati di averla qui. La abbiamo interpellata perché per noi è importante ascoltarla in relazione alle esperienze e quindi al giudizio da parte delle autorità israeliane circa l'evoluzione della situazione che stiamo osservando in Siria e in Iraq. Come lei sa, il Comitato sta svolgendo delle audizioni, nell'ambito di questa indagine conoscitiva, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni.
  Sappiamo che c’è un dibattito in corso, soprattutto all'interno dell'area Schengen, relativo all'opportunità o meno di potenziare il trattato e di introdurre delle politiche migratorie differenti. Alcuni Paesi propongono addirittura la chiusura e il superamento del trattato. In questo senso, abbiamo già audito, come Comitato, gli ambasciatori di Francia, Germania, Ungheria, Austria e il rappresentante del Governo regionale del Kurdistan iracheno, oltre agli ambasciatori di Tunisia, Egitto e Marocco.
  Secondo Frontex, nei primi 11 mesi del 2015, le frontiere esterne dell'UE hanno visto l'attraversamento, in modo irregolare, di circa 1,55 milioni di persone.
  Tra l'altro, domani gli eurodeputati della Commissione libertà civili del Parlamento europeo si riuniranno insieme al Commissario per l'immigrazione Avramopoulos per discutere il progetto di creazione di una Guardia costiera europea. Immagino che l'incontro sarà anche un'occasione per discutere di eventuali nuove misure per affrontare la crisi migratoria dei rifugiati e la loro ricollocazione. Sappiamo, infatti, che c’è un problema di ricollocazione. Secondo una nota della Commissione, al 5 gennaio 2016 sono soltanto 272 i richiedenti asilo ricollocati sino ad oggi. In particolare, in Italia c’è anche un tema relativamente agli hotspot.
  Le chiediamo, quindi, un giudizio, naturalmente nell'ambito delle sue competenze e della sua esperienza, sulla situazione creata da questi flussi di migranti provenienti dal Mediterraneo orientale, specialmente dalla Siria, e sulle misure di sostegno dell'Unione europea per far fronte a tale fenomeno, unitamente, se riterrà, a un giudizio sulla situazione di Schengen e sulle frontiere.Pag. 4
  Le saremmo, inoltre, grati se ci desse il suo punto di vista in relazione al ruolo svolto dal governo israeliano nella lotta contro il terrorismo fondamentalista e una valutazione sull'evoluzione delle strategie perseguite da ISIS o Daesh. Abbiamo visto una sequela di attentati, culminati nella strage di Parigi, che hanno confermato la grave minaccia rappresentata da questa organizzazione per la sicurezza internazionale. Risulta al Comitato, anche da quanto emerso nel corso dell'audizione del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza italiana, nella persona dell'Ambasciatore Giampiero Massolo, che abbiamo svolto il 16 dicembre scorso, che in particolare per l'azione dei cosiddetti foreign fighter la rotta balcanica preoccupa per due elementi di criticità, ovvero per la possibile compresenza di foreign fighter e migranti e per le tappe in zone di Paesi balcanici con elevato tasso di radicalizzazione islamica.
  Visto che mi risulta che Israele sia anche un territorio di riuscita integrazione, da una parte le chiedo un giudizio su questo fenomeno e dall'altra le domando come avete fronteggiato la situazione interna al vostro Stato.
  Lascio ora la parola all'ambasciatore. Successivamente i colleghi avranno la possibilità di porre domande. Se lo riterrà, potrà rispondere immediatamente, altrimenti avremo il piacere di averla in replica. L'audizione è, ovviamente, pubblica, ma se ritiene di dover secretare qualche passaggio, non ha che da chiederlo.

  NAOR GILON, Ambasciatore d'Israele in Italia. Ho pensato di parlare in inglese per essere più preciso, ma lo farò in italiano con un aiuto quando mi mancano le parole. Spero, però, che tutti capiscano quello che voglio dire, non quello che ho detto.
  Iniziamo con il Medio Oriente, dopodiché parlerò della situazione di Israele e di come affrontiamo i nostri problemi. Adesso in Medio Oriente vediamo il collasso del sistema che hanno creato Gran Bretagna e Francia durante e dopo la Prima guerra mondiale, con l'accordo di Sykes-Picot. È un sistema difficile di Stati, creato con l'intenzione di non avere un estremismo religioso, ovvero dei Paesi laici. In questo modo, però, hanno creato Paesi misti. Questo sistema è stato mantenuto con l'aiuto di dittature in diversi Paesi, ma a un certo momento il sistema di dittature è arrivato al collasso. Tutti le conosciamo. Da Saddam Hussein a Gheddafi ad Assad, ognuno ha avuto il suo stile. Dopo questo collasso ci sono state le cosiddette «primavere arabe». Noi siamo stati contro questa espressione perché la primavera è un qualcosa di positivo, mentre non sembra che adesso la situazione sia migliorata rispetto a prima.
  Il primo problema che abbiamo è l'instabilità del Medio Oriente. In passato, con questi dittatori non vi era democrazia, ma stabilità. Tutti hanno capito quali sono le regole del gioco. Abbiamo, dunque, potuto mantenere la stabilità. In Medio Oriente non c'era amore, ma una semplice coesistenza. Ora, ci sono tanti che vogliono entrare in questo vuoto che si è creato. Parliamo di Daesh o ISIS, che è partito dall'Iraq con i sunniti di Saddam Hussein, che dopo aver controllato il Paese per tanti anni come minoranza sono rimasti frustrati.

  PRESIDENTE. La interrompo per approfittare della sua competenza. C’è un dibattito anche da noi se chiamarli Isis o Daesh. Ha delle considerazioni su questo ?

  NAOR GILON, Ambasciatore d'Israele in Italia. Gli arabi moderati preferiscono Daesh, ma è lo stesso. Il problema del nome ISIS è che presuppone il riconoscimento di uno Stato, cosa che preferiscono non fare, ma – ripeto – è lo stesso. Il nome può essere diverso, ma l'idea è la stessa.
  In ogni caso, quelli di Daesh hanno capito che c’è un vuoto. L'idea di califfato in un Paese musulmano non è per niente nuova. C'era anche in passato. Credo che sia un'ideologia, ma in parte la usano per avere un supporto del popolo. Come tutti i terroristi, infatti, questo tipo di organizzazione cerca di approfittare della sofferenza della popolazione. Ci possono essere Pag. 5anche sofferenze personali. Per esempio, gran parte del terrorismo in Israele – almeno per quello che vediamo – riguarda persone che hanno problemi a casa. Magari, perché il papà che non gli ha permesso qualcosa, un ragazzo di 16 anni può essere uscito di casa e aver deciso di essere un martire.
  Insomma, in Medio Oriente usano il sentimento contro l'Occidente per avere un supporto popolare, che è molto importante perché L'ISIS non è grande. Tuttavia, l'ISIS non è l'unico che cerca di colmare questo vuoto. So che non è popolare quello che voglio dire, ma c’è anche l'Iran. Storicamente, infatti, il vero contrasto in Medio Oriente è tra sunniti e sciiti. Questi due campi si oppongono da secoli. Adesso, gli sciiti capiscono che il mondo sunnita è in un momento difficile perché i più grandi Paesi sono in crisi. Sappiamo che Turchia ed Egitto hanno i loro problemi, come anche l'Arabia Saudita. Siamo in una situazione in cui il mondo sunnita è più debole. Gli sciiti capiscono questo. Non dico che vogliono creare un califfato domani, ma vogliono essere dominanti in Medio Oriente; vogliono, dunque, usare questo vuoto per entrare.
  Gli iraniani sono già entrati in Libano da anni perché controllano il Paese, a partire dal sistema politico. Hezbollah è un attore anche politico, non solo un'organizzazione di terrore. C’è una democrazia parziale perché non hanno un presidente. Non possono avere un loro presidente. È da più di un anno, infatti, che non c’è un presidente eletto in Libano. Inoltre, gli iraniani sono coinvolti in Siria e anche da noi in Israele perché aiutano sia Hezbollah al nord, sia Hamas al sud. Insomma, aiutano i sunniti perché sono nemici di Israele. Inoltre, sono coinvolti, come abbiamo capito, anche in Barein, dove ci sono sempre problemi, e in Yemen. Anche in Iraq ormai abbiamo un governo ufficiale filo-iraniano; sono, infatti, sciiti. Questa è la situazione in Medio Oriente perché non abbiamo un equilibrio tra sciiti, sunniti e altri elementi. Manca, insomma, la stabilità.
  L'ISIS, oggi, non ha trovato un antagonista militare che lo voglia distruggere. Tutti usano l'ISIS come una ragione per fare qualcosa nel proprio interesse, ovvero per entrare ed essere rilevante. Non voglio parlare di singoli Paesi, ma di quelli che sono coinvolti nessuno è arrivato solo per combattere l'ISIS. Nessun Paese al mondo ha impegnato la sua capacità per la guerra contro l'ISIS. L'ISIS può, quindi, ottenere popolarità in altri Paesi. Per esempio, credo che arrivino in Libia, non perché sono forti, ma proprio perché sono deboli. Infatti, siccome hanno problemi nel territorio in cui sono, cercano di creare nuovi problemi altrove per attirare attenzione e mostrare che non sono così deboli.
  Grande parte delle persone arrivano anche dal Maghreb, ma anche dall'Europa e dall'Occidente per aiutare l'ISIS. Questo, però, è più facile da monitorare. Come sappiamo, il più grande problema sia per voi sia per noi è quello dei musulmani in casa che simpatizzano con l'ISIS. Questo è un problema comune in tutti i luoghi in cui queste persone si sentono non discriminate, ma meno privilegiate (essere discriminato, infatti, è un qualcosa di attivo, ma in questo caso può essere anche un sentimento soggettivo, che nessuno ha provocato). Questo fenomeno diventa più pericoloso con i successi dell'ISIS perché sempre più persone vedono la speranza che i miliziani vendono. Questo è, grosso modo, quello che volevo dire. Successivamente, posso entrare in maggiori dettagli attraverso le vostre domande.
  Per quanto riguarda Schengen, Israele non è parte di Schengen, quindi non voglio dare un consiglio agli italiani o ad altri su cosa fare. Posso dire quello che Israele fa per la nostra sicurezza.
  È importante sapere che in Israele gli ebrei sono solo il 75 per cento della popolazione; abbiamo circa il 17 per cento di arabi israeliani, per la maggior parte musulmani, e una piccola percentuale di altre minoranze (arabi cristiani, drusi e così via). Non abbiamo la fortuna di avere come vicini di casa Svizzera, Austria, Francia e Slovenia, ma Paesi meno amici, per questo abbiamo confini e barriere Pag. 6quasi con tutti. Solo con la Giordania non le abbiamo, ma adesso vogliamo costruire una barriera anche con essa. Le abbiamo a nord con il Libano e la Siria, ma non ancora con la Giordania, e al sud con l'Egitto, cosa che è importante per due ragioni, perché in passato abbiamo avuto un'immigrazione dall'Africa, specialmente dal Sudan.
  Infatti, Israele è la prima economia capitalista dove possono arrivare a piedi. Dall'Egitto possono arrivare anche in altri posti, ma devono usare le barche o altro. In passato, questo era un fenomeno importante, per cui abbiamo costruito una barriera principalmente per questo motivo, ma adesso ci aiuta anche conto i simpatizzanti di Daesh o ISIS, che sono nel deserto del Sinai in Egitto.
  Noi manteniamo una tranquillità relativa, con un bilanciamento di opportune posizioni di forza. Dobbiamo essere molto forti e duri perché dobbiamo creare paura nei vicini di casa, che non sono amici. Non parlo di Giordania o Egitto, con cui abbiamo un accordo di pace, ma agli altri dobbiamo mandare il messaggio che è molto rischioso avere problemi con Israele.
  Per esempio, credo che la guerra del 2006 con Hezbollah sia stata un grande successo perché, grazie a essa, da allora non abbiamo avuto altri problemi, avendo assunto un'azione forte. Ci sono altri elementi, anche perché Hezbollah è coinvolta anche in Siria. Diciamo che sono in grande difficoltà, ma hanno comunque un potenziale di 100.000 missili, che possono arrivare in ogni posto di Israele.
  Al momento anche nel Golan siriano abbiamo elementi molto negativi per Israele. Non sono Daesh, ma non sono amici. Vi sono, dunque, tanti altri elementi. Il governo siriano non controlla più questa zona, ma grazie a Dio, e non solo, fino a oggi è relativamente tranquilla. Questo, però, non continuerà sempre perché gli interessi cambiano e, alla fine, anche questi potranno agire per il proprio tornaconto.
  A ogni modo, hanno paura di Israele perché i nostri militari sono molto seri e capaci. Israele è molto vicino, quindi capiscono il pericolo. Ovviamente, vorrebbero avere anche in Israele il califfato, con l'idea di controllo dell'Islam, ma credo che per adesso, dal punto di vista pratico, preferiscano lasciare questo progetto a più tardi, proprio perché capiscono il prezzo, o almeno lo spero. Noi facciamo anche una politica di aiuti umanitari. In Israele abbiamo il trattamento medico per molte persone. Non ricordo i numeri, ma credo che siano arrivate circa 2.000 persone. Non domandiamo chi sono. Tutti quelli che arrivano negli ospedali israeliani, anche se di opposizione, hanno assistenza e cibo, se è necessario. Sul piano umanitario non facciamo nessun intervento militare.
  Questa è la parte più facile della storia. La parte più complessa è che vicino a noi vivono 4 milioni di palestinesi, oltre al 17 per cento (quasi il 20) di arabi israeliani che sono anch'essi palestinesi, però non vogliono essere chiamati così, ma, appunto, arabi israeliani. Per loro è importante. Parliamo, dunque, anche di questo. Di questi 4 milioni, circa 1,8 milioni sono a Gaza. Dal 2005, con la decisione di disimpegno da Gaza, specialmente dopo che nel 2006 Hamas ha preso il controllo totale del territorio, espellendo le autorità palestinesi, noi siamo separati da barriere. In questo modo è più facile controllare. Ci sono i razzi e tutti gli altri problemi, ma in generale, dal punto di vista del terrorismo, è difficile fare direttamente terrorismo da Gaza verso Israele. Possono lanciare missili o fare tunnel, ma non è un grande problema perché – ripeto – controlliamo come possiamo.
  Oltre a questo, abbiamo 2 milioni di palestinesi che vivono sotto l'Autorità palestinese. In quel caso è un po’ più complicato perché quando parliamo di coesistenza in Europa tra cittadini cristiani, musulmani e altri, sono tutti cittadini dello stesso Paese, anche se hanno diverse religioni. Invece, per noi loro non sono cittadini. Hanno un problema politico con Israele, quindi è tutto più complicato. Dopo la seconda Intifada, nel 2002, Israele ha deciso di creare delle barriere con l'Autorità palestinese, grosso modo lungo i Pag. 7confini del 1967. Non abbiamo ancora finito di costruire queste barriere, ma ormai sono quasi complete. Si parla sempre del muro, ma solo il 5 per cento delle barriere sono fatte di muro; le altre sono solo semplici barriere. Abbiamo mura specialmente a Gerusalemme perché la situazione è più complicata, essendo la popolazione molto concentrata. Le barriere danno la capacità a Israele di controllare chi entra e chi esce. Legalmente, ogni giorno entrano circa 50.000 persone dall'Autorità palestinese per lavorare in Israele. Prima venivano anche da Gaza, in centinaia di migliaia. Oggi ciò accade di meno, ma cerchiamo di aumentare i numeri per aiutare l'Autorità palestinese dal punto di vista economico. Inoltre, pensiamo che oltre 50.000 persone entrino in modo illegale in Israele per lavorare.

  PRESIDENTE. Legale o illegale ?

  NAOR GILON, Ambasciatore d'Israele in Italia. Non conosciamo esattamente i numeri, ma pensiamo che, grosso modo, sia così.
  Dal momento che abbiamo una separazione relativa tra noi e l'Autorità palestinese, il più grande problema che abbiamo è con queste minoranze arabe, musulmane, cristiane e altre, ovvero si tratta di decidere come coesistere in Israele. Questo è più vicino al problema europeo perché sono cittadini israeliani, che, però, sono non solo di religioni diverse, ma hanno anche politiche spesso diverse. Abbiamo potuto vedere questo con l'unica ondata di violenza che è iniziata specialmente con gli arabi a Gerusalemme Est. Questa è diventata come una parte di Israele. Hanno ricevuto la cittadinanza israeliana perché sono dentro Israele, cioè dentro i confini del 1967. Non ci sono, quindi, barriere perché politicamente Gerusalemme est è parte di Israele, quindi non si possono mettere delle barriere. È una questione politica. All'inizio abbiamo avuto molti attacchi da parte loro, ma voglio essere ottimista perché pian piano il numero degli attacchi è diminuito.
  La maggior parte degli attacchi avvengono nel territorio dell'Autorità palestinese verso cittadini o soldati israeliani che sono in quei territori, in Giudea e Samaria. All'inizio abbiamo avuto attacchi anche al nord di Israele. Ci sono, infatti, tre grandi concentrazioni di arabi israeliani, a Gerusalemme est, al nord e al centro di Israele. L'ultimo attacco è avvenuto a Tel Aviv quasi due settimana fa da parte di un arabo israeliano. Era un papà che ha lavorato con i servizi israeliani in passato, per questo aveva anche armi in casa. Parlava ebraico e ha lavorato a Tel Aviv. Ancora non è chiaro se Daesh influenza questi episodi. Insomma, non è ancora chiaro perché ha fatto questo.
  Dal punto di vista di Israele, ci sono problemi che aumentano il terrorismo. Ho detto prima che vi possono essere anche problemi personali. Per esempio, ci può essere un giovane che non ha i soldi per sposare la donna che vuole o, magari, i genitori sono contro e così via. Ci può essere anche un problema politico che dà un supporto a quella ideologia estrema. Dobbiamo, però, capire che il Medio Oriente era una società molto patriarcale, in cui il padre era molto dominante e importante. Adesso, per la nuova generazione, con internet e quant'altro, è tutto diverso perché i giovani sono più aperti e conoscono il mondo non solo attraverso gli occhi del papà e di quello che dice la famiglia. Capiscono il mondo e possono fare più soldi del papà perché sono più istruiti e più capaci. Insomma, è un mondo diverso, per cui dobbiamo capire anche questo. Credo che anche in Europa abbiate lo stesso problema. Quello degli arabi israeliani è un fenomeno interessante perché, per esempio, nel Parlamento israeliano, su 120 membri, 16 non sono ebrei, 13 sono in una lista araba unita ed altri in partiti sionisti; uno, invece, è laburista.
  Come autocritica, posso dire che in Israele non c’è sufficiente integrazione tra la popolazione ebrea e i musulmani. Gli arabi cristiani sono diversi dal punto di vista socioeconomico perché sono nella parte più alta della società israeliana, ma numericamente sono pochi. Haifa, che è una città ebrea, ma specialmente araba Pag. 8cristiana, è un ottimo esempio di coesistenza. Normalmente, però, ci sono poche città in cui vivono in pace ebrei e musulmani. Viviamo solitamente separati, a partire dal sistema dell'educazione. Per esempio, loro non fanno il servizio militare, mentre tutti gli ebrei devono farlo. Alcuni nella società araba cercano di fare un servizio nazionale alternativo al servizio militare. Ci sono, infatti, ebrei religiosi o donne che non vogliono essere militari per motivi religiosi, ma possono fare un servizio alternativo, per esempio negli ospedali o nelle scuole, per aiutare la società. Adesso ci sono molte lamentele di politici o di arabi sul livello di criminalità nella loro società e sulla mancanza della presenza della polizia israeliana. Hanno grossi problemi sociali.
  Il Governo lo ha capito, infatti la settimana scorsa ha deciso di devolvere oltre 15 miliardi di scicli (circa 4 miliardi di euro) per un programma di 5 anni destinato alla società araba israeliana proprio per aiutarla dal punto di vista socioeconomico, con case e tutto quello che è necessario per creare una vita normale. Quando le persone hanno qualcosa da perdere, non vogliono perderlo, ma quando non hanno niente da perdere compiono gli atti più estremisti. Questo è facile da capire perché è naturale.
  Credo che il fenomeno del Daesh ci aiuti a mantenere un po’ di calma dentro Israele perché i musulmani sunniti, come i palestinesi, che sono laici, non vogliono vivere sotto un califfato come il Daesh, in un posto dove tutto è chiuso e oscuro. Questo non vale solo per i cristiani o per i drusi. Peraltro, ci sono due comunità di drusi in Israele, che sono molto famosi per essere molto fedeli al governo sia in Libano, sia in Siria, sia in Israele. Per esempio, i drusi sono al cento per cento filoisraeliani; fanno il servizio militare in unità particolari; sono spesso ufficiali. Insomma, sono molto motivati; parlano ebraico e sono parte quasi integrante della società israeliana.
  Quelli che vivono nel Golan, al confine con la Siria, hanno rifiutato, invece, di ricevere la cittadinanza israeliana perché dicono di essere siriani, quindi aspettano di avere il controllo della Siria. Sono rimasti fedeli al regime di Assad padre. Adesso cominciano a capire che l'unico posto in cui possono vivere in modo libero, con un'economia sviluppata e una democrazia liberale è Israele. Molti, dunque, chiedono la cittadinanza. Anche quelli che non sono fanatici capiscono che l'alternativa a Israele è Daesh e che è molto pericoloso non avere un governo normale. Sanno che l'instabilità è molto pericolosa perché abbiamo visto quello che succede in altri Paesi, come l'Iraq o la Siria, in cui la popolazione non è stata coinvolta direttamente nella guerra, ma in posti come quelli è molto difficile sopravvivere.
  Attualmente, in Israele la situazione è relativamente controllata, anche se non ottimale. Per esempio, studiamo l'arabo nelle scuole, anche se non per tutti. È possibile scegliere, dopo l'inglese, tra il francese e l'arabo come seconda lingua straniera. Gli arabi studiano ebraico; non tutti lo parlano, ma la maggior parte degli arabi israeliani parla ebraico. È un processo che noi, come Israele, abbiamo modo di fare. Credo, però, che sia più importante il fatto che adesso abbiamo paura dell'alternativa. Tutti hanno paura dell'alternativa. Molti arabi israeliani non vivono un conflitto. Ci sono sicuramente quelli che dicono di essere palestinesi, ma ci sono anche quelli che dicono di essere israeliani. Alcuni vivono questo conflitto, ma tutti gli altri, sia ebrei, sia arabi, capiscono che l'alternativa è peggiore. Dunque, dobbiamo sopravvivere e coesistere in questa situazione.
  Mi fermo, anche per rispondere alle vostre domande. Spero abbiate capito tutto quello che ho detto in italiano.

  PRESIDENTE. Non ha commenti sul fenomeno dei foreign fighters ?

  NAOR GILON, Ambasciatore d'Israele in Italia. Non ho risposto direttamente, ma il fatto che arrivino dall'Occidente è la forza più grande che hanno. Non voglio dire della situazione in Francia, ma sette anni fa sono stato in visita ufficiale a Parigi. Pag. 9Sono stato direttore generale per gli affari europei al nostro Ministero. Siamo andati a visitare un quartiere di migranti a Parigi e devo dire che per me è stata una grande sorpresa. La sede della polizia era coperta con il ferro contro i cocktail di molotov. I poliziotti hanno detto che vanno in quattro in due macchine perché non possono mandare in strada un poliziotto da solo in una macchina.
  Parlo di Parigi, non di altre parti della Francia. Credo ci sia una popolazione che vive in questi Paesi che si sente meno privilegiata, quindi sviluppa un odio verso tutto quello che rappresenta questa società. Se non sono parte del capitalismo, non hanno un buono stipendio, per cui odiano il capitalismo e il liberalismo. Se vivono in una società che dà un vantaggio al maschio perché controlla tutta la vita e non vogliono perdere questo privilegio, non possono andare con una ragazza francese, che è più aperta e più liberale, magari perché la famiglia non accetta, quindi odiano questo sistema. Sviluppano, così, una società parallela perché non accettano i valori e la democrazia, che a loro non serve. Insomma, è un grande problema che riguarda le motivazioni di chi fa terrorismo sia in Europa, sia come foreign fighters. Come ho detto, però, non voglio essere quello che dà consigli all'Europa. Posso parlare solo del mio Paese.

  PRESIDENTE. Grazie, ambasciatore. Abbiamo approfittato del fatto che ha avuto molti ruoli, tra cui quello che ha citato, in Europa, quindi la sua competenza è stata utile e illuminante. La ringrazio anche di aver parlato in italiano.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, ambasciatore. Come si direbbe in altri contesti, grazie di esistere perché Israele è l'avamposto della nostra civiltà in una terra difficile come il Medio Oriente. Mi ha molto colpito quello che lei ha detto a proposito degli errori dell'Occidente fin dal dopoguerra. Infatti, si sono disegnati di confini artificiali che ora sono di fatto caduti, per cui c’è un vuoto che ognuno cerca di riempire. Non solo Daesh, ma anche Paesi «democratici» hanno sogni di ampliamento, come la stessa Turchia o l'Arabia Saudita, con lo scontro tra sunniti e sciiti.
  In tutto questo, l'Europa ha cercato di giocare un ruolo con le primavere arabe, facendo un errore madornale, come lei ha sottolineato, perché ci sono Paesi in cui, se non c’è una dittatura, si va verso il fondamentalismo. Purtroppo, questa è la realtà. Per questo, in un certo momento, il leader dell'Occidente contro il fondamentalismo è diventato Al-Sisi, il presidente egiziano. Ecco, questo la dice lunga sugli errori dell'Occidente. Forse il primo errore fu quello di Bush con l'invasione dell'Iraq. Comunque, le chiedo come sia possibile che un gruppo terroristico, come Daesh, abbia potuto, quasi senza colpo ferire, conquistare un territorio grande come la Gran Bretagna. È possibile sconfiggere militarmente Daesh ? Questa è la prima domanda che le faccio.
  La seconda domanda riguarda l'Europa, che è alle prese con una forte ondata migratoria e sta entrando in crisi. In prima linea ci sono Paesi come Italia e Grecia, che, nonostante gli accordi sul ricollocamento e quant'altro, vengono lasciati praticamente soli a gestire il fenomeno. Infatti, dei 24.000 ricollocamenti previsti a scaglioni ne sono andati a segno solo 186, quindi un numero assolutamente irrisorio. Mi ha molto colpito quando ha detto che molti mussulmani preferiscono essere chiamati arabi israeliani e non musulmani. Invece, in alcuni Paesi europei sta succedendo il contrario, nel senso che prima si sentono musulmani e poi britannici, francesi e così via, cosa che contribuisce al successo mediatico di Daesh. Non le chiedo di dare pagelle, ma consigli. Se non si sistema la situazione in Medio Oriente, le ondate migratorie in questo secolo saranno destinate ad aumentare e a mettere in pericolo la convivenza nella culla della civiltà, che è l'Europa.
  I fatti di Colonia e di Amburgo ci hanno scosso profondamente. Ecco, come Pag. 10si gestisce l'integrazione con i musulmani ? Questo è il problema più grande che l'Europa sta affrontando in questo momento. Pertanto, credo che Israele, che è in prima linea, possa darci qualche buon consiglio.

  NADIA GINETTI. Grazie, ambasciatore. Vorrei evidenziare le sue osservazioni rispetto a un fenomeno che possiamo anche chiamare della «devianza», per quanto riguarda in particolare i foreign fighters, ma anche persone che aderiscono al progetto Daesh per motivi personali e non di progetto politico, nazionalista o religioso. In Francia questo è oggetto di studio da due anni. Vi è, infatti, un organismo che sta portando avanti questo approfondimento. Si tratta, quindi, di un fenomeno più difficile, di tipo sociale, da studiare e controllare.
  Invece, la mia domanda è un'altra. Vorrei fare una riflessione sul ruolo dell'Europa. Ecco, qual è il ruolo dell'Europa in questo scacchiere ? Israele quale pensa possa essere il ruolo dell'Europa in uno scacchiere nuovo, legato soprattutto all'instabilità geopolitica di un continente complesso rispetto alle dinamiche politiche, religiose e di controllo di determinate aree di interesse economico ?
  Secondo lei, se l'Europa riuscisse a rafforzarsi al suo interno e ad agire effettivamente come un'unica regione, con un'identità propria, quindi con una politica estera e di difesa, questo potrebbe contribuire ad avere una voce importante e a riportare stabilità locale, ma anche mondiale ?

  GIORGIO BRANDOLIN. Grazie, signor ambasciatore, per le cose che ci ha detto. Vorrei porle una domanda. Mi sembra di capire che non sia stata solo l'Europa a interpretare male la primavera araba. Ricordo, per esempio, il discorso di Obama al Cairo. Ora, gli Stati Uniti sono il vostro principale alleato. Le chiedo, allora, cosa pensate dopo l'accordo che hanno fatto con Teheran. Qual è il ruolo di quel grande Paese, non solo nei vostri confronti, ma anche rispetto alle problematiche che oggi ci ha illustrato ?
  Passo alla seconda domanda. Lei ha detto che fino a oggi nessun Paese – non ha fatto i nomi, ma io glieli chiedo con molta cortesia e semplicità – ha voluto e vuole combattere realmente ISIS. Allora, la domanda è quale dovrebbe essere la forma per combatterlo realmente. Non voglio banalizzare dicendo che occorre mandare 100.000 militari, carri armati e così via.
  Le chiedo, però, se vede nell'azione della Francia, dell'Inghilterra, ma anche dell'Europa e nella nostra stessa azione o degli Stati Uniti o dei russi, che stanno operando in quello scenario, uno strumento o un progetto che può portare alla fine di ISIS (tra vent'anni o 10, 20 mesi non lo so) o se questo sta già succedendo, stante che – come ha ripetuto anche lei – ISIS sta cercando dei territori per installarsi, in particolare in Libia. Dunque, la seconda domanda che le faccio è, secondo la sua esperienza, cosa dovremmo fare per evitare che ISIS arrivi e si installi con grande rapidità e forza in Libia ?

  PRESIDENTE. Do la parola all'ambasciatore per la replica.

  NAOR GILON, Ambasciatore d'Israele in Italia. La prima domanda è molto semplice. La facilità di Daesh di occupare il territorio dipende dal fatto che era quasi senza popolazione. Se ricordo è grande come la Gran Bretagna, ma aveva 10 milioni di abitanti. Peraltro, in passato era popolato dai sunniti iracheni. Tuttavia, adesso hanno problemi. Non è facile per loro continuare in posti dove ci sono altri abitanti perché la maggior parte non sono filoestremisti, ma pro-vita.
  Riguardo alla preferenza di parte dei musulmani israeliani, c’è una differenza tra arabi israeliani e arabi palestinesi. Ci sono quelli che dicono di essere palestinesi, mentre altri dicono di essere arabi israeliani. Il problema non è essere musulmani.
  Riguardo al come fare l'integrazione, penso che non siamo ancora un buon esempio, ma lavoriamo per questo. Per quanto ci riguarda, prima di tutto, la Pag. 11mancanza del servizio militare in Europa è una tragedia perché per Israele il servizio militare, oltre che per la difesa dello Stato, che pure è molto importante, è fondamentale dal punto di vista sociale. Anche in Italia quelli che arrivano dal Südtirol o dalla Campania sono diversi e non parlano la stessa lingua. Sono molto vicini, ma non è lo stesso. Lo capisco anch'io con il mio limitato italiano. Per Israele, che è un Paese di emigranti, specialmente ebrei, da tutti i Paesi del mondo, il servizio militare è importantissimo per mettere insieme tutti, ma anche per dare alla popolazione il senso di avere un rapporto. I giovani di oggi vivono, specialmente in Europa, sentendosi europei e non italiani. Questo accade non solo in Italia, ma in tutti i Paesi. Questa è l'idea di Europa. Tuttavia, non hanno un collegamento con il proprio Paese perché non hanno fatto niente per esso, per citare Kennedy («ask not what your country can do for you, ask what you can do for your country»). Nel fare il servizio militare si conosce il proprio Paese, si stabilisce un collegamento e si dà un contributo; si fa qualcosa per il Paese, non si riceve soltanto. Ecco, questa è una grande mancanza. In Israele dobbiamo trovare un sistema – parlo come politico, non come diplomatico – per fare in modo che anche gli arabi israeliani siano parte del servizio sia militare sia civile, cosa che è molto importante per creare l'integrazione della popolazione. Per quanto riguarda l'Europa non voglio dare consigli.
  Credo che molta della colpa sia dei moderati musulmani, in tutti sensi, in Europa e ovunque. Infatti, i moderati musulmani (che spero e credo che siano la maggioranza) sono relativamente silenti o meno dominanti, ma non può essere così perché un musulmano moderato può contribuire, sia in Medio Oriente sia in Occidente, quindi in Europa o negli Stati Uniti, a mettere pressione agli altri moderati, per unirsi e fare insieme la guerra contro Daesh. Alla fine, questa è una guerra loro, tra estremisti e moderati, che sono più pragmatici, nel mondo musulmano. Tuttavia, credo che sia lo stesso anche in Europa. Non dico che sia loro colpa, ma è loro dovere. Se non vogliono essere categorizzati come musulmani estremisti – i populisti dicono che tutti i musulmani sono così – devono creare due gruppi. È loro dovere, non colpa, aiutare a fare l'integrazione perché sono quelli che visitano l'Europa e devono trovare il modo di costruire un ponte per creare una coesistenza. Parlare di società è già più lontano nel futuro.
  Per quanto riguarda l'Europa, in generale, capiamo tutti che non c’è una voce europea in politica estera. Ci sono diversi Paesi che parlano e fanno il proprio interesse. Possiamo vedere ogni giorno esempi di questo. Non è qualcosa di nuovo. Se l'Europa vuole avere, come potenziale, il totale della forza, della capacità e dell'economia che ha, deve avere un progetto per l'estero, cioè parlare una sola voce. Altrimenti, dall'estero possono giocare diversi interessi particolari dei vari Paesi dell'Unione europea. Non occorre essere un genio per capirlo, ma è un tema europeo, non mio, decidere quale direzione debba prendere l'Europa.
  Sull'accordo nucleare con l'Iran, devo dire che, con tutti i problemi che non voglio nascondere tra la leadership americana e quella israeliana, i rapporti sono molto forti da anni. Nell'ultimo incarico prima di essere qui ero a Washington. Gli Stati Uniti sono importantissimi per l'esistenza di Israele. Come ho detto anche prima, l'accordo con l'Iran ha creato uno squilibrio. C’è la preoccupazione nucleare, che è legittima. Alcuni possono dire che, per l'Iran, questo ha allungato il tempo di arrivare all'arma nucleare di 10 o 15 anni. Possiamo parlare di questo, ma 10 o 15 anni nel nostro mondo, specialmente nel Medio Oriente, non sono niente. È praticamente domani. Possiamo, invece, dire se questo accordo nucleare dà l'assicurazione che dicono quelli che lo hanno creato. Ebbene, credo di no. L'Iran fa ogni giorno un test, che è una sfida a quell'accordo, con missili e altro. Aspettano di vedere quale sarà la risposta dell'Occidente. È come al bazar: fanno qualcosa per vedere qual è la risposta, dopodiché decidono se Pag. 12andare avanti o tornare un po’ indietro per non avere un danno. Hanno fatto sempre così con l'accordo nucleare e così fanno anche adesso. Credo, quindi, che ci saranno molte implicazioni di questo accordo, ma lo vedremo. Peraltro, oltre alla parte nucleare, questo accordo non ha fatto niente per aiutare la situazione in Medio Oriente perché non hanno parlato del coinvolgimento dell'Iran in altri Paesi. L'accordo ha dato un vantaggio all'Iran perché gli iraniani sono molto capaci e la popolazione è anche relativamente moderata. Sono certamente più moderati del regime. Questo è un esempio molto particolare in Medio Oriente. Infatti, normalmente i regimi sono più moderati del popolo; in Iran, invece, è il contrario. Pertanto, questo accordo ha portato soldi e legittimazione internazionale all'Iran, creando un nuovo squilibrio. La mia preoccupazione è che i sunniti cerchino di creare un nuovo equilibrio per avere una loro potenziale capacità nucleare. Abbiamo già sentito che l'Arabia saudita si è rivolta al Pakistan, con la crisi con l'Ambasciata dell'Iran, per avere aiuto. I pachistani, che hanno un'arma nucleare sunnita, mentre quella dell'Iran è sciita, hanno detto che faranno tutto quello che è necessario per difendere l'Arabia saudita. Ecco, io interpreto questo accordo in un certo modo, mentre altri possono comprenderlo in un'altra maniera. Secondo me, l'accordo ha creato uno squilibrio. Peraltro, c’è anche l'esecuzione capitale in Arabia Saudita, con la risposta iraniana. Ebbene, in questo Paese, nel periodo di Rouhani hanno fatto più di 2.000 esecuzioni, quindi la cosa è abbastanza normale in Medio Oriente. Pertanto, la domanda è perché adesso la vicenda è così estremizzata. Ecco, credo sia perché c’è grande preoccupazione da parte dei sunniti verso la potenza dell'Iran. L'accordo ha, quindi, peggiorato la situazione. Noi non siamo amici dei sunniti. Conosciamo perfettamente il ruolo dei wahabiti o di altri elementi nell'estremismo sunnita in Al Qaeda o altrove. Conosciamo bene la storia, quindi non siamo a favore di questi o di quelli. La domanda non è questa. In questo mondo occorre essere molto pragmatici perché nessuno vuole entrare in una guerra totale. Per questo dobbiamo mantenere un equilibrio che possiamo controllare. Possiamo giocare su questo. Come europei, potete dire quello che l'Europa deve fare, cioè entrare in tutti i posti, mettere ordine, portare democrazia, fare economia e così via. L'Europa ha, però, i propri problemi da risolvere prima di andare lì, ma può quanto meno creare una situazione controllabile. Insomma, l'Europa può essere forte con i Paesi del Medio Oriente e dire loro cosa possono o non possono fare.
  In definitiva, si tratta di fare un po’ di strada a tutti i Paesi per mantenere un ordine in Medio Oriente. Con la mancanza di ordine, di stabilità e di possibilità di vivere in Medio Oriente arrivano in altri Paesi. Su questo, l'Europa è un candidato naturale per tutti, anche per noi. Se cerchiamo un Paese in cui noi vogliamo vivere, che non sia Israele, sicuramente scegliamo l'Occidente, Stati Uniti o Europa. Ecco, è naturale.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore del contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.