XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 28 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione della Ministra della difesa, senatrice Roberta Pinotti.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Pinotti Roberta , Ministra della difesa ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Mazzoni Riccardo  ... 11 
Fasiolo Laura  ... 11 
Filippi Marco  ... 12 
Orellana Luis Alberto  ... 12 
Arrigoni Paolo  ... 13 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 13 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Pinotti Roberta , Ministra della difesa ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione della Ministra della difesa, senatrice Roberta Pinotti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni, l'audizione della Ministra della difesa, senatrice Roberta Pinotti, che siamo onorati di avere qui con noi.
  Noi abbiamo ascoltato molti opinion leader nell'ambito della missione EUNAVFOR Med-Sophia, abbiamo audito l'ammiraglio Credendino, però naturalmente lei per noi è l'interlocutore privilegiato, quindi le saremmo grati se volesse dirci qualcosa su questa missione, che oggi più facilmente vogliamo chiamare Sophia, volta a smantellare le reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centro-meridionale.
  Al Comitato consta infatti che l'operazione abbia raggiunto gli obiettivi relativi alla Fase 1 e che il 7 ottobre 2015 sia stata avviata la Fase 2. Consta altresì che per la piena operatività della missione nella seconda parte della Fase 2 e nella Fase 3, che dovrebbe portare alla distruzione delle imbarcazioni dei trafficanti, sarà necessario un mandato internazionale attraverso l'approvazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU. A tale proposito, risulta al Comitato che un intervento nelle acque territoriali libiche nell'ottica della Fase 3 della lotta al traffico di essere umani richiederebbe una specifica richiesta del Governo libico. Abbiamo ascoltato il Ministro degli esteri Gentiloni presso le Commissioni riunite Affari esteri e Difesa della Camera dei deputati il 22 ottobre 2015, quindi le chiediamo un commento e un aggiornamento in base alle sue competenze, che per noi sono prioritarie.
  Sappiamo che c’è anche l'operazione Mare Sicuro, di cui lei ha parlato recentemente, volta alla lotta ai trafficanti, quindi le chiederemmo degli aggiornamenti su questo.
  Vorremmo chiederle anche di darci qualche informazione relativamente al ruolo dell'Italia nel processo di stabilizzazione della Libia, perché risulta al Comitato (agenzia ANSA del 20 ottobre 2015) che, nel caso in cui gli sforzi per la costituzione di un Governo libico di unità nazionale andassero a buon fine, è previsto un piano di aiuti europeo a immediato, medio e lungo termine.
  In particolare, risulterebbe che la cellula di collegamento e programmazione dell'OEC attiva a Tunisi abbia preparato una bozza per una possibile missione internazionale di assistenza.
  Poiché il Comitato, sebbene sia un'altra Commissione a occuparsi dell'accoglienza, tocca anche questi temi, le chiederemmo indicazioni circa l'impiego per l'accoglienza Pag. 4dei migranti del patrimonio immobiliare destinato alla Difesa, in particolare relativamente alle caserme.
  Come lei sa, la seduta è pubblica e quindi, se riterrà di dire qualcosa degno di secretazione, ce lo segnalerà e interromperemo la seduta.
  Lascio quindi la parola alla Ministra della difesa, Roberta Pinotti.

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Grazie, presidente. Vi ringrazio perché avete deciso in questa Commissione di ascoltare anche la Ministra della difesa su un tema che si colloca, come è certamente noto e come diceva la presidente nell'introduzione, in larga parte al di fuori delle responsabilità istituzionali del dicastero e che tuttavia vede la Difesa operare con grande impegno anche in termini di uomini e mezzi, quale componente fondamentale della risposta complessiva messa in campo dall'Italia per far fronte a un fenomeno di straordinarie proporzioni.
  Per dare conto in maniera appropriata delle attività che svolge la Difesa, ritengo necessario trattare le cause profonde del fenomeno delle attuali migrazioni e dei flussi di profughi e richiedenti asilo. Si tratta in primo luogo delle guerre che stanno devastando molti Stati prossimi e meno prossimi all'Italia e all'Europa. Da anni parliamo infatti con dovizia di particolari del cosiddetto «arco di crisi», che dal Maghreb arabo attraversa tutta la fascia del Nordafrica e del Sahel, percorre il Medio Oriente e raggiunge il Caucaso. Questa vastissima regione da almeno due decenni è sconvolta da rivolgimenti politici e sociali che hanno in diversi casi determinato il collasso delle strutture statuali e con esso il venir meno delle capacità di esercitare un controllo sul territorio, a partire dai confini. Questa non è quindi direttamente la domanda, ma è l'origine profonda delle domande che vi state ponendo in questa Commissione. Negli ultimi anni, complice la sempre crescente interdipendenza economica e culturale fra le differenti regioni, la conflittualità si è ulteriormente ampliata e si è spesso saldata con quella preesistente nelle regioni limitrofe, determinando una nuova condizione nella quale più fattori concorrono, sovrapponendosi, ad alimentare conflitti interni e transfrontalieri.
  È emblematico a tal proposito quanto sta avvenendo nel Sahel e a sud del Sahara, fino a giungere alla regione settentrionale della Nigeria. In Mali, ad esempio, abbiamo assistito a un conflitto interno, determinato da una contrapposizione antica fra le componenti politiche ed etniche di questo Paese, esplosa nel momento di massima debolezza dello Stato, all'indomani di un golpe che ha portato allo sbandamento delle forze di sicurezza. Del conflitto interno hanno subito approfittato elementi criminali dediti ai traffici di armi e di esseri umani, nonché componenti fondamentaliste islamiche, a loro volta generate da preesistenti conflitti in Algeria e Libia.
  In Medio Oriente la conflittualità è legata a doppio filo con quella nella penisola arabica, a sua volta connessa con quanto avviene nel Corno d'Africa, dove troviamo molteplici formazioni terroristiche, prima fra tutte quella degli Al-Shabaab in Somalia, nati come costola delle Corti islamiche circa dieci anni orsono e da allora capaci di prendere il controllo di ampie regioni della Somalia, nonché proiettare le loro azioni terroristiche in Kenya.
  Troviamo una stretta connessione con il conflitto che perdura in Afghanistan e fra quanto avviene in Medio Oriente e quanto continua ad avvenire nel Caucaso settentrionale per la commistione fra i fattori irredentistici e l'islamismo radicale, che caratterizza la guerriglia in Cecenia e nelle Repubbliche limitrofe. Il Vicino e Medio Oriente gioca poi un ruolo centrale quale incubatore di movimenti e fenomeni altamente destabilizzanti, che si proiettano anche in regioni molto distanti. È ben nota ad esempio l'infiltrazione dell'Isis in alcune città della Cirenaica, in Libia, dove paradossalmente sta trovando ostacoli al suo rafforzamento per la concorrenza che questo movimento può fare ai gruppi terroristici Pag. 5insurrezionali locali, già da tempo impegnati in una guerra intestina tanto violenta quanto complessa.
  Voglio ricordare che l'Isis affonda le sue radici in una componente irachena di Al Qaeda, cresciuta nel cosiddetto «Triangolo sunnita» dell'Iraq durante il duro conflitto successivo alla caduta di Saddam Hussein. In seguito Isis e Al Qaeda sono entrati in conflitto fra loro e oggi si contendono la supremazia del Jihad soprattutto in Siria. Fra Iraq e Siria troviamo anche il conflitto ormai decennale fra le componenti sunnite e sciite, che si fronteggiano per la supremazia politica, con il sostegno diretto e indiretto di gran parte dei Paesi della regione, senza dimenticare il problema irrisolto dei curdi. Questa è una situazione che complica particolarmente la lotta all'Isis nei territori nei quali perdurano questi conflitti. Nella mia visita in Iraq era evidente come le componenti sciite e sunnite, che in questo momento sono insieme in questo nuovo Governo, non abbiano una compenetrazione a livello di popolazione tale da consentire, almeno per quanto riguarda la battaglia contro l'Isis, di avere la stessa forza se i combattenti sono sunniti o sciiti.
  Diversa ancora è la storia dei curdi, dove la volontà di indipendenza è molto forte. Il ministro che all'interno del Kurdistan si occupa della difesa si chiama Ministro dei Peshmerga e non della difesa, e questo dimostra quanto l'idea dei combattenti sia forte. Andando sul territorio si capisce come queste difficoltà rendano particolarmente complicata la battaglia all'Isis, avendo deciso di farla fare sul terreno dagli attori locali e non da truppe di altri Paesi.
  Questa rapida descrizione di una realtà straordinariamente complessa rappresenta il quadro di riferimento nel quale la Difesa e le Forze Armate italiane si muovono per tutelare la sicurezza del Paese e della comunità internazionale. Non è possibile infatti trattare in maniera disgiunta l'azione militare che conduciamo in Mali, come parte delle missioni dell'Unione Europea e dell'ONU per stabilizzare questo Paese dopo il conflitto interno, peraltro non ancora risolto, e le azioni messe in atto nel Mediterraneo centrale per fronteggiare le reti criminali che si arricchiscono con il traffico di esseri umani. Del pari c’è una palese connessione fra la lotta alla pirateria nell'Oceano Indiano, pirateria che finanzia i gruppi criminali e terroristici nel Corno d'Africa, e l'azione che conduciamo in Somalia per addestrare le forze di sicurezza locali. Entrambe queste operazioni ed altre connesse, come la presenza a Gibuti, concorrono a contenere per quanto possibile la fuga delle popolazioni da queste terre; fuga che si traduce in un lunghissimo calvario attraverso il Sahara, poi in Libia e infine sui barconi che tentano disperatamente di raggiungere l'Europa.
  Penso poi a quanto stiamo facendo da anni con successo in Libano. Siamo andati lì nel 2006 – lo ricordo – per dare immediata attuazione a una risoluzione dell'ONU, giunta al termine di un breve ma violentissimo conflitto fra Israele ed Hezbollah nel Libano meridionale. Con il tempo il contingente dell'UNIFIL, nel quale siamo il Paese che mette in campo uno dei contributi più rilevanti, è divenuto uno strumento essenziale per sostenere il Paese dei cedri, scosso da una profonda crisi politica interna e raggiunto da un'ondata davvero imponente di rifugiati, fra 1 e 2 milioni. Oggi, in quel piccolo Paese sulle sponde del Mediterraneo, 1 abitante su 5 o forse 1 su 4 è un profugo siriano o palestinese, ed è facile immaginare quello che accadrebbe, anche in termini di innesco di una nuova ondata migratoria verso l'Europa, se anche il Libano collassasse.
  Spendo ancora qualche minuto per parlare della nostra presenza nei Balcani, in Kosovo soprattutto. Di quella missione a guida NATO non si parla spesso, perché sono passati ormai sedici anni dal suo avvio e paradossalmente è stata molto efficace, nel senso che il conflitto armato è terminato e non si è propagato alle aree limitrofe, però le istituzioni locali sono ancora troppo deboli per procedere da sole. La comunità internazionale e la NATO sono quindi necessarie per assicurare Pag. 6un sostegno continuo ed ora, con quello che sta avvenendo da alcuni mesi in termini di forte incremento dei flussi di profughi che attraversano da sud a nord i Balcani, la nostra presenza lì potrebbe acquistare una nuova rilevanza. Esiste infatti il rischio che parte dei flussi, che attraverso la Serbia raggiungono l'Ungheria e la Croazia, possa prendere la strada del Kosovo, per poi dirigersi sulle coste dell'Adriatico e tentare di attraversarlo per arrivare nel sud Italia. Al momento non ci sono conferme di una tale evoluzione, ma il potenziale esiste, ed ecco perché la presenza di un contingente della NATO in Kosovo, contingente che come in Libano è sotto il comando di un ufficiale italiano, potrebbe risultare fondamentale per evitare il collasso di questo giovanissimo Stato, privo delle risorse logistiche e di polizia per filtrare e gestire eventuali afflussi massicci di migranti.
  Non è questa la sede per scendere in ulteriori dettagli circa le attività delle Forze Armate nei tanti teatri di crisi dove sono schierate, ma mi serviva darvi queste «pillole» di intervento, perché sono connesse a una serie di situazioni di crisi dove la non presenza delle nostre Forze Armate potrebbe facilmente far collassare quei territori. Peraltro proprio in questi giorni il Governo si appresta a presentare in Parlamento il testo del decreto sulle missioni, quindi avremo modo di discutere di tutte le altre missioni. Questo giro di orizzonte però mi era utile per parlare di tutti i conflitti che sono intorno a noi e del lavoro che stiamo facendo. È importante capire l'importanza di un pieno coinvolgimento della comunità internazionale nella gestione e nel contenimento di queste crisi. L'Italia sta riuscendo con fatica, ma alla fine con successo a coinvolgere i partner europei e atlantici in un insieme di attività volte ad incrementare la sicurezza nella regione euromediterranea.
  In questo momento è in corso un'importante esercitazione della NATO, che suscita anche qualche polemica, ma è molto contenuta; è nel Mediterraneo, vi partecipano la Spagna, il Portogallo e l'Italia con delle disponibilità. È un'esercitazione programmata molti anni fa, ma abbiamo spinto anche come delegazione parlamentare perché la NATO si occupasse anche del fronte sud e non soltanto del fronte est. Noi, membri attivi e partecipi, abbiamo bisogno di sentire che nell'alleanza anche i problemi del fronte sud vengono messi in evidenza, quindi consideriamo questo tipo di esercitazione un atto di attenzione verso le richieste formulate dall'Italia.
  Mi accingo ora a parlare di EUNAVFOR Med. Sapete bene che su tutto il tema dei migranti per molto tempo la richiesta di intervento dell'Europa ha avuto orecchie non particolarmente attente, però via via si è capito quanto dicevamo dall'inizio, quando era ancora attiva la missione Mare Nostrum, ossia che non poteva essere esclusivamente un tema italiano quello della salvezza dei migranti, oltre che del controllo dei confini. Chi voleva partire non voleva infatti venire in Italia e decideva di scappare da situazioni di rischio personale e della propria famiglia per arrivare in Europa, per cui questo tema non poteva essere trattato esclusivamente come un tema nazionale. Per un po’ è stato difficile, però poi abbiamo avuto la missione Triton, che poi è triplicata, ed EUNAVFOR Med. Noi abbiamo spinto perché ci fosse questa presa in carico da parte dell'Europa anche del tema del contrasto ai criminali, che sfruttando la sofferenza di queste persone lucrano ignobilmente su un traffico di dolore umano e di essere umani. Non era una missione che non potevamo fare da soli (non a caso è stato citato anche Mare sicuro), e oggi abbiamo il comando e la nave più importante, però per noi era molto importante che ci fosse l'idea che questo tema è un problema di sicurezza non solo dell'Italia, ma dell'Europa.
  Voi avete ascoltato l'ammiraglio Credendino, quindi avete sicuramente un quadro preciso e aggiornato di questa operazione, alla quale concorrono 22 Paesi membri dell'Unione europea con loro personale distaccato presso il Quartier generale a Roma. Il comando operativo è in Pag. 7mare, imbarcato su nave Cavour e sulle unità navali e aeree schierate a rotazione nell'area operativa.
  In quella sede è stata ricordata la rapidità con la quale si è passati dalla fase decisionale, avviata il 20 aprile con una riunione straordinaria dei ministri degli esteri dell'Unione, i quali hanno emanato i dieci punti del Piano sull'immigrazione, alla fase di pianificazione e poi di esecuzione, con il raggiungimento della piena capacità operativa il 27 luglio.
  Nella prima fase le unità europee hanno condotto azioni di sorveglianza e di analisi del network criminale degli scafisti. Vorrei permettermi di spiegare, perché ho sentito a volte sollevare obiezioni rispetto al fatto che debbano servire dei mesi per un'azione o perché servano navi o la portaerei per un'azione di intelligence, quando la prima fase è stata la raccolta di informazioni.
  Attenzione, però, perché ci sono diversi livelli di raccolta di informazioni: quando tu hai bisogno di capire se si muovono in mare persone che possono voler mettere a rischio la tua sicurezza, a volte ricevi delle segnalazioni che ti arrivano dall’intelligence e possono indicarti che su una determinata imbarcazione potrebbe esserci qualcuno che può mettere a rischio la sicurezza del tuo Paese; non è un'informazione certa, è un'eventualità, ma è una segnalazione. A quel punto tu devi poter seguire in movimento, e questo vale sia per i trafficanti che per i potenziali terroristi, e in mare li puoi seguire attraverso droni, se vuoi la sorveglianza dall'alto, o attraverso sommergibili, con i quali riusciamo ad avere delle foto precise, laddove, affinché sia messo in sicurezza chi deve fare un intervento, devi sapere dove sono gli uomini, cosa stanno facendo, quanti sono, se sono armati. La raccolta di informazioni che è stata fatta da EUNAVFOR Med non è quella che fa l’intelligence intesa in senso proprio, ma è la raccolta di dove partono le barche, quante sono, con quante persone a bordo, così da avere un quadro per valutare come intervenire.
  Nella prima fase, quindi, sorveglianza e analisi del network criminale degli scafisti. Avviata la seconda fase il 7 ottobre, si è iniziato a intervenire in maniera attiva per fermare gli scafisti, per ora in alto mare, in coerenza con le norme internazionali vigenti. È noto a tutti loro, essendo stato chiarito efficacemente dall'ammiraglio Credendino, che il passaggio a una fase di interdizione all'interno delle acque territoriali libiche richiede una risoluzione delle Nazioni Unite. Nella fase attuale, in alto mare sono già stati tratti in arresto 18 scafisti, oltre a quelli fermati insieme alle unità di Mare sicuro, di cui parlerò a breve; 21 natanti sono stati neutralizzati. È quindi appena iniziata la Fase 2, quella del contrasto vero e proprio, quindi alla polemica per cui si chiede come mai così poche attività di contrasto in così tanto tempo si risponde evidenziando come l'attività di contrasto sia iniziata solo il 7 ottobre.
  Ovviamente le unità di EUNAVFOR Med non si sono sottratte all'obbligo del soccorso in mare, salvando la vita di oltre 3.000 profughi a partire dall'avvio dell'operazione. Questo avviene per qualsiasi imbarcazione anche civile che stia per affondare con persone a rischio di vita, in quanto intervenire non è il compito precipuo ma è necessario. Come è noto, è prevista una terza fase dell'operazione, da svolgersi in aderenza con gli sviluppi della situazione in Libia, e che le capacità di EUNAVFOR Med siano proiettate, oltre che nelle acque territoriali, anche sul territorio libico, per neutralizzare e rendere inutilizzabili le imbarcazioni e le infrastrutture logistiche degli scafisti. Anche per questa fase sarà richiesta una specifica risoluzione delle Nazioni Unite, che realisticamente potrà giungere dopo apposita richiesta da parte di legittime autorità libiche. Se ne ricava il legame stretto fra il processo di pacificazione della Libia, con l'implementazione di un accordo fra le parti, e la nascita di un nuovo esecutivo accettato da tutti, e lo sviluppo delle attività di EUNAVFOR Med in senso ancora più attivo. Voi sapete che l'inviato dell'ONU Bernardino Leòn, il cui Pag. 8termine per l'intervento sarebbe già scaduto (doveva passare a un funzionario tedesco), sta continuando a seguire queste trattative con la speranza che le ultime resistenze vengano superate e si possa arrivare a un Governo di unità nazionale. C’è una serie di trattative sull'impostazione istituzionale che è stata data, sulle figure che devono ricoprire le diverse cariche, e una serie di rigidità nella trattativa e difficoltà ancora in corso.
  Tornando al processo decisionale ed esecutivo di EUNAVFOR Med, questo è stato molto rapido per gli standard europei e obiettivamente efficace in termini di capacità operative messe in mare dai Paesi membri. Tutto ciò non è risultato del caso, ma piuttosto di una lunga e a tratti dura azione politica dell'Italia, che per mesi ha pressato i partner sulla necessità di dare una risposta comune al fenomeno della tratta di esseri umani, originato da cause troppo grandi e profonde per essere considerato un problema circoscritto. Non potevano essere le regole di Dublino (noi l'abbiamo detto dall'inizio) a definire l'ambito di responsabilità nell'affrontare questo nuovo fenomeno, perché non si trattava di un semplice – seppur gigantesco per dimensioni – processo migratorio, bensì dell'esito di un profondo sommovimento che stava trasformando, anche e soprattutto attraverso delle guerre, gran parte del mondo a sud e a sud-est dell'Europa.
  L'azione politica dell'Italia ha avuto successo perché è riuscita a coagulare il consenso intorno all'idea di un'azione comune, ed ha avuto successo perché siamo riusciti a passare in tempi brevi dall'idea di azione comune alla sua implementazione. Questo da quando dopo aprile, purtroppo in seguito a una grande tragedia, l'Europa ha deciso di avere un protagonismo diverso. Credo che in questo percorso sia stata molto importante la nostra capacità di mettere in campo in tempi brevi risorse tecniche e militari di altissimo livello. L'immediata disponibilità di un Quartier generale perfettamente attrezzato per gestire un'operazione multinazionale, la capacità di schierare subito unità navali per comandare in mare un dispositivo complesso, fatto di unità di superficie, subacquee, aerei ed elicotteri forniti da una decina di Paesi diversi, e di sostenerlo nel tempo con una logistica tempestiva sono cose che non si improvvisano, ma al contrario richiedono risorse e addestramento.
  Credo quindi che sia giusto rivendicare quanto noi italiani siamo riusciti a fare finora non solo in ambito europeo. L'Italia sta agendo nell'ambito della NATO per porre all'attenzione di tutti gli alleati il tema dei rischi provenienti da sud. Questo è un esercizio politico non banale, non è stato semplice, in quanto prima del Vertice di Newport il tema del fronte sud non esisteva nella programmazione della NATO, ma si parlava esclusivamente del fronte est. Da quel vertice tenutosi in Galles, quindi da settembre 2014, il lavoro è stato assiduo e oggi nella programmazione c’è il fianco sud, quindi è stato un lavoro che ha necessitato di un intervento deciso. L'Italia deve pertanto continuare a ragionare in termini più ampi rispetto a quelli strettamente nazionali, non già per comprimere i nostri interessi a vantaggio di quelli degli altri, bensì per condurre i nostri partner ad affrontare insieme a noi i problemi più impellenti. Per questo è così importante l'azione politica dell'Italia nel contesto della comunità euro-atlantica e per questo è così importante l'azione della Difesa nel contesto delle tante operazioni multinazionali di gestione delle crisi in corso nei molteplici teatri di intervento, che ci sono ormai ben noti.
  Riferendomi ora a un tema di più immediato interesse per i lavori di questo Comitato, ricordo come la Difesa operi tanto in contesti multinazionali lontano dal territorio nazionale, quanto a livello propriamente nazionale sui mari che ci circondano e sul territorio, a supporto di altre componenti dello Stato. Come ha ricordato la presidente, oltre a EUNAVFOR Med è presente nel Mar Mediterraneo la missione Mare sicuro, che è partita il 12 marzo scorso con il compito di svolgere, in applicazione della legislazione nazionale e degli accordi internazionali Pag. 9vigenti, attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mediterraneo centrale. Ovviamente ho imparato quanto vi ho raccontato prima su come funziona la raccolta di informazioni andando su una nave di Mare sicuro, dove queste cose mi sono state spiegate e fatte vedere. Il dispositivo aeronavale opera in un'area di mare di circa 160.000 chilometri quadrati situata nel Mediterraneo centrale e prospiciente le coste libiche, fino a cinque navi sono operative contemporaneamente nell'area, conducendo un complesso di attività di sorveglianza attiva che, quando necessario, si traduce anche in diretto contrasto all'attività dei trafficanti di esseri umani; noi ci eravamo autorganizzati prima che partisse l'Europa, avendo il problema nel mare su cui l'Italia si inserisce.
  Questo è quanto accaduto da ultimo anche pochi giorni fa, con l'azione portata a termine dagli equipaggi delle navi De la Penne e Fasan, e sono contenta di potervelo raccontare direttamente perché io mi sono recata a bordo il giorno dopo per farmi raccontare dalla viva voce dei protagonisti questa operazione molto brillante. L'operazione, iniziata il 19 ottobre, ha visto prima la scoperta di imbarcazioni sospette, prive di bandiera, in navigazione a circa 90 miglia dalla costa libica. In questa fase c’è stata anche una cooperazione fra Mare sicuro e EUNAVFOR Med, perché la forza navale europea ha reso disponibile un elicottero per condurre una ricognizione dell'area di interesse, confermando i dati già acquisiti dalla rete informativa nazionale. Dopo una fase di coordinamento con la Procura di Siracusa per l'acquisizione di una serie di prove, il 21 ottobre è stato condotto l'abbordaggio, da parte di un reparto di fucilieri di Marina e incursori, della prima imbarcazione che trainava la seconda, impiegata per il traffico di esseri umani, con il fermo di 17 persone condotte su nave Fasan e poi trasferite ad Augusta a disposizione dell'autorità giudiziaria. Il coordinamento fra Triton, che si occupa del controllo dei confini, che è missione civile, EUNAVFOR Med, missione europea, Mare sicuro, missione nazionale, e la Procura è stato completo e totale per tutta l'operazione, quindi prima ovviamente sono stati salvati i migranti e poi c’è stato l'intervento per prendere gli scafisti. Questa operazione è stata condotta in maniera esemplare e permette di spiegare le varie fasi esecutive e i compiti di Mare sicuro. La sorveglianza del mare sino in prossimità della costa libica è il fattore che consente di conoscere e comprendere il modus operandi dei criminali, l'azione di interdizione è ciò che consente di ostacolare concretamente l'azione criminale e nel tempo di esercitare una forma di deterrenza contro chi si macchia di questo crimine.
  Nel periodo che va dal 12 marzo, avvio di Mare sicuro, al 26 ottobre le forze nazionali appartenenti a questa missione e poi alle Capitanerie di porto e alla Guardia di finanza hanno arrestato complessivamente 470 scafisti. Fornisco i dati aggregati perché nella maggioranza dei casi le azioni sono congiunte fra Capitaneria di porto, Guardia di finanza e Marina, e vedono la collaborazione di più entità.
  Esiste anche l'obbligo irrinunciabile di prestare soccorso in caso di naufragio o di condizioni di pericolo, ci sono stati oltre 660 eventi di salvataggio su quasi 200 barconi di legno e 470 gommoni. La maggioranza di questi, rispettivamente 177 barconi e 261 gommoni, sono affondati dopo il salvataggio dei naufraghi per le pessime condizioni dello scafo, perché rappresentavano un pericolo per la navigazione. Quello del salvataggio è un dovere codificato dalle leggi del mare a cui nessuno, militare o civile, si può sottrarre.
  Come avevo anticipato, oltre ai dispositivi in mare, la Difesa concorre alla gestione sul territorio nazionale dell'emergenza rappresentata dal massiccio afflusso di profughi e richiedenti asilo. In primo luogo le Forze Armate concorrono, nel contesto dell'operazione Strade Sicure, alla sorveglianza dei centri di accoglienza dove sono ospitati i rifugiati e i richiedenti asilo.
  Al momento 825 nostri militari concorrono alla sorveglianza di 14 centri su tutto il territorio nazionale, alleggerendo Pag. 10non poco l'onere che grava sulle Forze di polizia. Ovviamente tutto questo avviene in stretto collegamento con gli Interni, che rappresentano le esigenze.
  Considero molto importante la collaborazione prestata dalla Difesa allorquando si rendono disponibili al Ministero dell'interno infrastrutture e spazi (caserme, alloggi, terreni) per le esigenze di accoglienza e alloggiamento. Come probabilmente è noto, la Difesa sta procedendo a una sensibile riduzione della consistenza dei suoi organici e a una parallela diminuzione delle infrastrutture in uso. In questo processo riduttivo procediamo di norma sulla base della valutazione delle nostre esigenze istituzionali ovvero le necessità delle Forze Armate in funzione dei loro compiti. In considerazione delle esigenze scaturite dalla gestione di questa emergenza, tuttavia, abbiamo stabilito un coordinamento informale ma costante, sette giorni a settimana, giorno e notte, tra Ministero dell'interno, Dipartimento per le libertà civili e per l'immigrazione, e il Ministero della difesa.
  Al palesarsi di una necessità particolare per la gestione dell'emergenza immigrazione, il Ministero dell'interno rappresenta tale esigenza alla Difesa e noi procediamo a un'immediata verifica della possibilità di mettere a disposizione un immobile o un'area, che potrebbe essere considerata non più necessaria per i nostri fini istituzionali. È molto importante, perché all'inizio a volte il prefetto chiedeva direttamente al generale responsabile di quel territorio, ma noi siamo una struttura gerarchica, quindi questo generale non aveva potere decisionale su questo e doveva comunque risalire la catena gerarchica. Il modo migliore è quindi che la segnalazione del problema arrivi dal livello periferico, ma abbiamo fatto una struttura centralizzata perché solo così è possibile intervenire, anche perché ci sono state situazioni in cui venivano individuate caserme utilizzate dalla Difesa e piene di strumenti d'arma. All'inizio c’è stata qualche inceppatura, ma adesso il meccanismo funziona. Abbiamo risolto in maniera efficace e assolutamente tempestiva, in alcuni casi nell'arco di una giornata, situazioni particolarmente delicate e critiche, come è avvenuto ad esempio nel caso della cessione della caserma Serena di Treviso il 17 luglio scorso o dell'installazione militare presso Cona, in provincia di Venezia, il successivo 23 luglio. In molti casi la Difesa ha reso disponibili in tempi brevi infrastrutture che, dopo opportuno riadattamento, offrono un considerevole potenziale in termini di ospitalità per i rifugiati e i richiedenti asilo. Nel caso di Milano (ricordate le immagini dei migranti alla stazione) si era trovato un locale delle Ferrovie dello Stato che però era assolutamente inagibile, c’è stato chiesto un intervento con il Genio Civile dell'esercito, abbiamo mandato il Genio che in quindici giorni ha rimesso a posto la struttura rendendola agibile. Complessivamente in questi mesi la Difesa ha messo a disposizione del Ministero dell'interno una dozzina di siti e ha comunicato la potenziale disponibilità di altre infrastrutture su tutto il territorio nazionale in caso di necessità.
  Il quadro che ho inteso tracciare oggi è più ampio di quello che fa riferimento alla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, ma la comprensione delle cause che hanno portato allo straordinario incremento di flusso migratorio impone un'analisi di ampio respiro. Sono molti i conflitti intorno all'Europa che generano questo fenomeno, perché le popolazioni minacciate tentano di mettersi in salvo, perché il collasso degli Stati lascia campo libero alle organizzazioni criminali che lucrano sui traffici e le guerre causano un generale impoverimento e a catena innescano migrazioni economiche.
  Esiste quindi un continuum logico fra le operazioni militari che conduciamo in tante aree di crisi, tese a stabilizzare le specifiche e peculiari realtà o in taluni casi, come sta avvenendo in Iraq, volte a contrastare le organizzazioni terroristiche più pericolose, e le azioni di sicurezza marittime, di contrasto al network criminale dei trafficanti di esseri umani, come sta avvenendo nel Mediterraneo, per finire Pag. 11con l'attività di concorso all'azione di altri dicasteri per l'accoglienza dei profughi, come avviene in territorio nazionale.
  In alcune di queste attività la Difesa ovviamente ha la diretta responsabilità istituzionale, in altre concorre con le sue risorse. Abbiamo però una visione complessiva del problema e per questo offriamo una risposta altrettanto ampia e diversificata.
  Per quanto riguarda lo specifico della Libia che mi pare sia l'unico tema che non ho trattato, quanto vi ha riferito il Ministro Gentiloni è il punto: ho toccato la questione del lavoro che sta facendo Bernardino Leòn perché qualsiasi operazione di stabilizzazione deve essere successiva all'individuazione di un Governo in cui si riconoscano le diverse parti libiche.
  Cosa si può fare ? Prima che la Libia cadesse in questa situazione di guerra civile noi stavamo formando le Forze armate libiche. Venivano in Italia, a Cassino, perché la situazione ci sembrava incerta, ma il Ministro della difesa di allora, che poi era diventato Presidente, era venuto a chiedermi di poterlo fare direttamente in Libia, perché in qualsiasi situazione in cui lo Stato fallisce una delle prime cose da fare è ricostruire le Forze di polizia e le Forze Armate per avere il controllo del territorio. Questa è una cosa che facevamo e che ovviamente potremmo riprendere, e poi si tratterà di capire le necessità, compresa l'eventuale interconnessione con l'operazione EUNAVFOR-Med, che potrebbe intervenire per distruggere l'organizzazione degli scafisti con sede in Libia, però soltanto dopo una richiesta del Governo riconosciuto e legittimo. L'Italia, il Ministro degli esteri in particolare, perché è suo compito, sta seguendo e cercando di appoggiare al massimo gli sforzi che vengono fatti per arrivare a una soluzione che sia riconosciuta dalle diverse parti libiche, che in questo momento hanno ancora purtroppo punti di vista diversi.

  PRESIDENTE. Grazie per la sua dettagliatissima esposizione con cui ha risposto a tutte le domande. Lascio ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Ringrazio anch'io la signora Ministra per la dettagliatissima esposizione, ma vorrei tornare sulla Libia. Il Governo italiano ha assunto una posizione all'inizio abbastanza ondivaga, con lei e il Ministro Gentiloni che avevate prefigurato un intervento che poi Renzi frenò, ora siamo alla Fase 2 di EUNAVFOR-Med, ma l'intervento più incisivo dovrebbe arrivare con la Fase 3, cioè con una richiesta del presunto Governo di unità nazionale che non si sta formando.
  Ancora ieri è stato abbattuto un elicottero del Governo di Tripoli e sono in corso furiosi combattimenti, la risoluzione dell'ONU non arriva, è vero che con l'inverno e il mare grosso gli sbarchi diminuiranno, ma credo che l'Italia, che ha un ruolo storicamente preminente per la situazione in Libia, e l'Europa, non possano voltarsi dall'altra parte, dimenticando che in Libia ci sono decine di migliaia di profughi ammassati che vivono in condizioni disperate.
  Se quindi il Governo di unità nazionale non si fa, se la risoluzione dell'ONU non arriva, c’è un piano B e qual è il ruolo guida che l'Europa intende dare all'Italia ?
  La seconda domanda è molto più breve. In Siria l'Italia fa parte della coalizione internazionale, però ha deciso di non partecipare ai bombardamenti. Mi sembra che, dopo che Putin ha preso in mano la situazione, lo stesso Presidente americano Obama abbia deciso di fare un intervento di terra. Se la situazione precipitasse, l'Italia è pronta a fare la sua parte o comunque resterà in una posizione di retrovia ?

  LAURA FASIOLO. Onorevole Ministra, la ringrazio per avere affrontato la questione così significativa dei flussi migratori che lei ha definito un sommovimento profondo del sud e del sud-est del mondo. I flussi migratori sulla rotta balcanica causano una grossa preoccupazione, tanto che nel vertice di Bruxelles è stato definito un Pag. 12piano di azione in 17 punti per far fronte all'attuale situazione di urgenza ed emergenza nei Paesi interessati dalla rotta balcanica. A questo punto il suo intervento mi ha decisamente rassicurata, perché tra i vari imperativi che sono emersi dall'incontro e dalle dichiarazioni di Juncker si pone soprattutto quello di garantire ai rifugiati e ai migranti dei rifugi temporanei con assistenza sanitaria, cibo, acqua, servizi igienici. Se non dovessero bastare i servizi nazionali, si attiverebbe anche il meccanismo di protezione civile dell'Unione europea.
  La preoccupazione che avevo prima del suo intervento era che fossero insufficienti gli edifici da sdemanializzare di cui lei si è curata con il suo Ministero, le caserme che sono state messe a disposizione. Mi compiaccio che il bacino degli immobili militari sia continuamente rimesso in discussione per possibili ampliamenti. Di questo avevo già avuto sue rassicurazioni, ma segnalo che, visti i tempi di permanenza così lunghi sui nostri territori per la presenza delle commissioni territoriali e per le domande e i ricorsi, ci sono ancora situazioni di emergenza. Farò quindi presente a chi di dovere che il Ministero è sempre disponibile a una veloce soluzione di problemi di emergenza. La ringrazio per tutto quanto sta facendo sui nostri territori.

  MARCO FILIPPI. Grazie, Ministra, per l'ampia ed esaustiva disamina che ci ha fatto, perché ha fornito alla Commissione un quadro molto dettagliato e utile per capire le dinamiche ab origine della situazione. Sono stati utili anche alcuni elementi di precisazione rispetto alle dinamiche sul campo. Credo che giustamente il nostro Presidente del Consiglio rivendichi il ruolo politico puro che il nostro Paese ha esercitato negli ultimi anni e negli ultimi mesi con maggior vigore rispetto a un atteggiamento che non era quello attuale da parte dell'Europa e degli organismi internazionali, perché a mio avviso questa è la cifra migliore che il Governo sta esprimendo in questa fase; non è diplomazia, ma è azione politica diretta. Ho apprezzato quando lei ha detto di orecchie nel tempo sempre più attente e probabilmente anche della necessità di insistere su questo elemento per avere da parte dell'Unione europea un protagonismo diverso, e qui purtroppo cade la domanda che voglio porre, con cui spero di non mettere in difficoltà nessuno ma mi sento di segnalare. Non crede che, proprio in ragione di un fronte così vasto e di una difficoltà di comprendere quelle dinamiche che ha rappresentato con particolare attenzione, vi sia la necessità di un salto di scala nostro e dell'Unione europea ? In questo senso quanto è percorribile un'integrazione maggiore dell'Unione europea, a partire dalle forze che operano sul campo ? Ovviamente il riferimento va in maniera esplicita alle funzioni che sta esercitando la Guardia costiera, inquadrata attualmente come Capitaneria di porto, ma anche come attività di particolare efficacia sul campo. Da questo punto di vista, se non sono stato sgarbato, mi piacerebbe sapere quanto questo possa essere uno strumento da spendere in termini di quel salto di scala necessario.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Mi interessava sapere se sia previsto qualche addestramento specifico dei nostri militari per l'aiuto umanitario. Ho avuto la fortuna di poter apprezzare in ben due visite alla Fasan e alla San Giusto l'impegno che c’è in queste navi, quindi credo che un addestramento specifico e un supporto psicologico per quello che stanno sopportando siano dovuti.
  Tornando alla sua iniziale illustrazione della situazione mondiale, forse mi sono distratto ma mi sembra che non siano state citate né la situazione in Israele, laddove la crisi del conflitto israelo-palestinese crea instabilità in tutta l'area, data la durata e la situazione che non sta certo migliorando, né quella dell'Eritrea, da cui si fugge per una persecuzione politica importante. Concordo sulla situazione del Balcani, del Kosovo in particolare, perché i numeri sono ancora relativamente bassi, però, secondo l'ultimo report di EASO, c’è stato un aumento del 62 per cento dei richiedenti asilo kosovari nell'Unione europea, Pag. 13cosa che sorprende. Noi vediamo infatti i Western Balkans come una realtà di pacificazione in corso e poi invece troviamo questi numeri. Anche l'Albania ha una crescita del 73 per cento dei migranti in questo periodo, in questo caso soprattutto migranti economici, però era interessante segnalarlo. Grazie.

  PAOLO ARRIGONI. Ministra, in previsione del Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre, durante le comunicazioni il Premier Renzi ha posto l'attenzione in particolare sui tre pilastri dell'agenda europea: hotspots, rimpatri e ricollocamenti, che peraltro agenzie di questi giorni dicono siano un fallimento, tanto che oggi il Ministro Alfano minaccia gli altri Paesi dicendo che, se non daranno la disponibilità per accogliere coloro che hanno bisogno di protezione internazionale, noi non faremo gli hotspots. Sui rimpatri c’è poca cosa, però altre due questioni sono state oggetto di quel Consiglio europeo: il ruolo della Turchia, che poi si è palesato nei giorni successivi sui media, e la questione della difesa delle frontiere dell'area Schengen, ipotizzando anche l'istituzione di guardie europee di frontiera. Su questo tema cosa è stato deciso e l'Italia cosa è stata chiamata a fare ?
  Altra domanda: proprio oggi si è diffusa la notizia che, sul confine tra la Slovenia e la Croazia, la Slovenia minaccia di erigere una barriera. A stretto giro di posta anche l'Austria ha ipotizzato maggiori controlli sul confine della Slovenia. Queste azioni (soprattutto l'ultima) aumentano il rischio che questa catena umana che solca la rotta dei Balcani possa venire in Italia attraverso il Friuli-Venezia Giulia. A fronte di questa ipotesi, che non è assolutamente remota, cosa sta ipotizzando il Governo ?
  Terza domanda: sulla clausola di flessibilità dei migranti, di cui molto si sta discutendo in questi giorni, il Ministero dell'economia e delle finanze ha presentato un'ipotesi di spesa per il 2015 in Europa di 3.3 miliardi di euro, precisando che 300 milioni di questi sono investimenti, 3 miliardi sono spese correnti, di cui il 50 per cento è dedicato all'accoglienza. Di questa cifra di 3,3 miliardi, di cui Juncker ieri e oggi chiede una certificazione, quali sono le spese del suo Ministero ipotizzate per il 2015 ?
  L'ultima domanda è stata fatta prima dal collega Mazzoni. La destabilizzazione della Siria ha amplificato i flussi nella rotta dei Balcani, facendo passare in secondo piano gli arrivi via mare che, nonostante i media trascurino, sono ancora consistenti e allo stesso livello dello scorso anno (chiuderemo il 2015 ancora intorno ai 170.000). Al di là di questa riflessione, anch'io le chiedo sul fronte Siria quale sia il piano dell'Italia, quale ruolo si voglia ritagliare per bloccare i tagliagole dell'Isis.

  MARIA CHIARA GADDA. Ringrazio la Ministra per la sua presenza. Vorrei tornare a un punto che ho ritenuto fondamentale nella relazione della ministra, che riguarda il coordinamento tra le diverse missioni internazionali e nazionali attualmente in corso nel Mediterraneo; ruolo di coordinamento che è emerso spesso in sede di audizione anche con altri ministri e spesso segnalato anche dalla Guardia costiera piuttosto che dalla Marina militare, quindi l'importanza di coordinare missioni che hanno ruoli e competenze diverse, che spesso si sovrappongono. C’è stata sottolineata una difficoltà spesso legata a una necessità di coordinamento non soltanto in mare, ma anche nelle attività svolte poi sul territorio, quindi il passaggio successivo in termini di prima accoglienza e distribuzione dei migranti sul territorio. Il personale della Marina militare e della Guardia costiera spesso è costretto ad attendere ore per consegnare i migranti ai porti di destinazione (spesso non i più vicini), perché le strutture non sempre sono in grado di accogliere numeri consistenti di persone. Vorrei capire se sia già in atto un coordinamento più completo, che possa andare oltre la prima accoglienza in mare, comprendendo anche la successiva gestione sul territorio.

  GIORGIO BRANDOLIN. Molto velocemente. Intanto grazie, signora Ministra, Pag. 14anche a nome del nostro capogruppo, l'onorevole Micaela Campana, che non è presente oggi a causa di un altro impegno, ma mi ha ricordato di sottolineare come i valori che il nostro Paese ha saputo mettere nell'operazione Mare Nostrum abbiano portato, anche grazie all'azione politica fatta a livello europeo, a una condivisione del problema dei profughi sul Mar Mediterraneo a livello europeo, cosa poi avvenuta con le varie missioni che lei ha qui ricordato. Mi sembra giusto sottolineare lo sforzo fatto dal nostro Paese e i valori che il nostro Paese ha messo in queste sue operazioni.
  Lei ha parlato di un riadattamento delle caserme non più necessarie per l'accoglienza degli immigrati. Avete fatto una specie di censimento in particolare in alcune zone sensibili ? Non voglio ricordare il mio Friuli-Venezia Giulia, però l'ho ricordato... Un 70-80 per cento dell'esercito fino a quindici anni fa era in Friuli-Venezia Giulia e quindi abbiamo caserme in ogni paese e avevamo paesi con più militari che abitanti. Questa è una domanda puntuale, perché ormai abbiamo i numeri sul flusso, sappiamo quante persone rimangono sul nostro territorio, dove sono le commissioni territoriali, dove i profughi – come a Gorizia, 150 – dormono sotto i ponti, quindi sarebbe opportuno un censimento e sapere che questo riguarda 10 caserme in Lombardia, 5 in Veneto, per fare dei lavori di riadattamento indispensabili, perché a volte si tratta di stabili diroccati.
  Questo sarebbe opportuno per non trovarci impreparati dinanzi ad eventuali problemi che potessero sorgere prossimamente. Grazie.

  PRESIDENTE. Lascio la parola alla Ministra, anche se personalmente ritengo che alcune domande tocchino competenze più degli Interni, mentre quando sento parlare di Guardia costiera mi vengono in mente i Trasporti. La clausola di flessibilità è un bel suggerimento, chiameremo Padoan nella speranza che ci venga a spiegare. I confini di Schengen anche qui probabilmente sono di competenza degli Interni, magari se il Ministro volesse dirci qualcosa della difesa europea, però naturalmente teniamo conto delle competenze di ognuno.
  Lascio la parola alla Ministra della difesa, Roberta Pinotti, per la replica.

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Proverò a rispondere a tutto, su qualcosa, essendo evidentemente di competenza di altri ministri, sarò precisa per quanto mi è possibile o comunque darò delle opinioni.
  Ringrazio il senatore Mazzoni perché mi dà occasione di ritornare su una delle principali difficoltà che ho trovato all'inizio della mia esperienza da ministra, che non è stata tanto il fatto di avere un dicastero che ha l'uso della forza, ma che ho scoperto la forza delle parole dette da un ministro della Difesa, nel senso che ricordo bene l'articolo su Il Messaggero dal titolo «5.000 soldati in Libia» perché ha generato una serie di discussioni parlamentari, cosa che nel testo dell'intervista (se siete curiosi di queste cose vi prego di andarlo a rileggere) nessuno aveva parlato. Rispetto all'impegno dell'Italia sul terrorismo, sul problema di sicurezza del Mediterraneo eccetera, mi era infatti stato chiesto quante unità avrebbe potuto schierare l'Italia e io avevo risposto che, se siamo arrivati ad avere quasi 5.000 persone in Afghanistan (un posto così distante da noi), certamente avremmo potuto fare molto di più per la sicurezza dell'Italia, e poi abbiamo parlato del Libano, di quello che stavamo facendo su Strade Sicure. Nonostante l'abbia già spiegato molte volte, non a lei, ma in altre situazioni, tutte le volte mi viene ribattuta; il titolo era sbagliato ma sottoscriverei parola per parola quello che ho detto. Da quel momento ho capito che, se citi un numero, anche se è riferito ad altro, rischi, quindi ho cominciato a essere molto più attenta, quindi è stata una lezione che mi è servita non tanto per imparare a fare il Ministro della difesa in cui mi sembra di orientarmi, quanto per orientarmi nel mondo dei media assunto questo tipo di responsabilità.Pag. 15
  L'Italia ha sempre detto e continua a dire con voce univoca (Presidente del Consiglio, Ministro degli esteri, Ministro della difesa, tutto insieme il Governo) che per i legami storici e per le stesse richieste dei libici deve giocare un ruolo di leadership in quello che è il futuro della Libia. Da questo punto di vista gli attori internazionali ce lo riconoscono e ovviamente in Libia ci sarà bisogno di fare molte cose, non riguarderanno soltanto il tema della sicurezza, ma ci sarà anche da ricostruire sviluppo, percorsi economici, tutta una serie di questioni. Il tema sarà quindi come agire perché queste cose possano essere sviluppate anche in una cornice di sicurezza. Nel caso serva questa, c’è una serie di programmi che possiamo fare come Forze Armate, che ipotizzano diverse soluzioni sulla base di questo. Ovviamente chi fa le pianificazioni immagina diverse situazioni e sulla base di queste quali potrebbero essere le necessità, però prima di tutto c’è una decisione di tipo politico, e questo non perché non ci preoccupi la situazione della Libia, che anzi abbiamo messo all'attenzione della comunità internazionale quando c'era poco, ma perché parlando anche con le diverse parti dei libici, sono i libici stessi di qualsiasi fazione che dicono: attenzione, non dateci l'idea di dover occupare il territorio, dateci una mano sulla base delle richieste che sapremo farvi. Questo è sempre l'approccio delle Forze Armate italiane, ma pensate in un caso come questo che situazione di rischio e di pericolo potrebbe essere un'avventura che non abbia tutte le legittimazioni necessarie e la richiesta libica.
  Da questo punto di vista c’è la disponibilità ad aiutare anche per quanto riguarda il contrasto agli scafisti; nel dialogo che si è continuato a tenere da parte di chi intrattiene le relazioni con i diversi soggetti libici c’è una disponibilità di tutte le diverse parti che si stanno confrontando, quindi non vedo in futuro il problema di dare una mano alla Libia, perché tutti gli interlocutori sono disponibili a collaborare. Il tema è che però, se non componi il puzzle interno, nessun Paese della Comunità internazionale può muovere un passo, perché altrimenti è un atto di guerra. Lei sa che in Libia oltre ai due Governi c’è una serie di milizie, di sensibilità, di poteri locali, quindi noi continuiamo ad avere un monitoraggio della situazione e delle interlocuzioni per capire, quindi sia le autorità che oggi ci sono, quindi il Governo di Tripoli, il Governo di Tobruk, sia i diversi attori hanno la massima disponibilità dell'Italia, e non è un caso che avessero chiesto agli italiani di formare le loro Forze Armate, però c’è bisogno di avere un'autorità riconosciuta in grado di comprendere diverse parti. Non lo avevo detto, però l'ONU ha indicato ancora una volta in un ufficiale italiano, il generale Serra, il responsabile del tema della sicurezza in Libia, quindi la pianificazione ONU per quanto riguarda il tema della sicurezza; quindi abbiamo un'interlocuzione privilegiata, essendo un ufficiale italiano.
  Per quanto riguarda la lotta all'Isis voi avete citato la Siria, ma l'Italia non è impegnata in Siria, è impegnata in Iraq. Questa è una scelta che abbiamo fatto noi, ma ha fatto anche la Germania, ci sono costituzioni diverse a seconda dei diversi Paesi, voi sapete che sulla base dell'articolo 11 l'intervento dell'Italia è possibile se autorizzato da organizzazioni internazionali o sulla base della richiesta del Paese che chiede una mano. La coalizione anti-Isis è una coalizione di «volenterosi» e poi c’è una risoluzione dell'ONU che supporta la lotta all'Isis, ma in quel caso l'Iraq ha chiesto direttamente e più volte il sostegno dell'Italia. In Siria è complicato oggi dire qual è l'autorità che può richiedere, essendo in corso un conflitto politico interno fra Bashar al-Assad e i ribelli, quindi se non si fa prima in Siria una chiarificazione del processo e del dopo, cioè una transizione o un'uscita, anche l'intervento militare dal punto di vista dei nostri militari diventa molto complicato, perché devi capire esattamente come muoverti in quel territorio. In questo momento dove sta intervenendo la Russia è stata necessariamente creata una struttura di coordinamento per evitare problemi che possano portare a sovrapposizioni o a interventi Pag. 16sbagliati che riguardano la coalizione e la Russia stessa, però è quanto mai urgente oggi capire qual è il futuro della Siria per valutare poi l'intervento militare.
  In Iraq però ci siamo e ci siamo senza timidezze. Anche su questo si è sviluppato un dibattito molto ampio su «si bombarda o non si bombarda», quasi che nella lotta all'Isis quella fosse l'azione decisiva. In realtà molte nazioni stanno partecipando ai cosiddetti strike, quindi all'intervento diretto; l'Italia sta partecipando con aerei da ricognizione e sta aiutando la coalizione a individuare gli obiettivi. A volte, quando si fanno le analisi della situazione militare, si dice che la situazione degli strike non è particolarmente efficace, perché stiamo parlando di guerriglieri, di terroristi che si infiltrano in posti dove c’è popolazione, dove ci sono civili, quindi essere precisi nell'individuazione degli obiettivi è fondamentale per evitare quelli che vengono chiamati «danni collaterali» ma io considero tragedie, pensiamo a cosa è successo in Afghanistan.
  Il lavoro di precisione che stanno facendo i nostri aviatori è quindi un lavoro essenziale in quella situazione, quindi è banalizzante considerare l'impegno dell'Italia ragionando soltanto su questo aspetto, così come noi abbiamo – ed è riconosciuto dagli iracheni e vorrei riportarvi anche le testimonianze scritte – un impegno importante sia ad Erbil che a Baghdad per l'addestramento, forse ce la giochiamo con la Germania, ma siamo il contingente con più persone impegnate nell'addestramento. Lo fanno con ottimi risultati, tanto che ci sono stati chiesti, oltre ai 280 che avevamo previsto, 100 carabinieri, e nel decreto missioni che andrete a discutere li troverete quindi aumentati, quindi arriviamo a 750 militari impegnati nella lotta anti-Isis. Lo vorrei dire perché sembra che non facciamo la nostra parte, mentre lo facciamo più di tanti altri e con determinazione, avendo scelto dove stare e gli obiettivi, però ci siamo.
  Sul tema delle caserme riunisco alcune domande che mi sono state fatte sugli immobili, anche rispetto alla scelta. Noi ovviamente abbiamo una situazione ad horas, sappiamo quali sono le caserme dismesse, quelle che ci serviranno, poi qualche programmazione può cambiare nel corso degli anni, ma noi conosciamo esattamente la situazione. Quello che è importante (per questo io mi sono dilungata) è il collegamento con gli Interni, perché la Difesa non ha gli strumenti per dire che in quel territorio è bene metterli tutti in una caserma o è meglio distribuirli, perché magari si crea una situazione di allarme sociale. Noi non abbiamo questi elementi, quindi non possiamo scegliere, però abbiamo fornito agli Interni l'elenco di tutte le strutture disponibili e, anche laddove non fossero disponibili ma fossero individuate come particolarmente importanti, siamo disponibili a renderle disponibili, quindi stiamo assicurando massima collaborazione.
  Per quanto riguarda il tema del salto di qualità dell'Unione europea, ne vedo la grande necessità. Il tema della Guardia costiera non è direttamente di mia competenza per quello che riguarda le funzioni che dipendono dal Ministero dei trasporti, ma dal punto di vista della difesa bisogna ancora spingere per creare progetti europei. Dal punto di vista della difesa (non so se questo valga anche per il civile) i trattati ci aiutano poco in questo senso, perché la decisione della difesa europea che sempre evochiamo non è una decisione assunta con nettezza; c’è la possibilità di fare cooperazioni rafforzate e quindi oggi è quanto mai evidente che o ci organizziamo a livello di Europa o ogni intervento nazionale è limitante e limitativo.
  La stessa cosa riguarda quanto sta avvenendo sul fronte terrestre. Bene o male nel Mediterraneo abbiamo portato un ordine europeo, perché c’è stata una forte spinta politica dell'Italia che ha condotto a questo, non era così all'inizio, come sapete bene. Su quanto sta avvenendo invece nei Paesi dei Balcani non è ancora un ordine, quindi ogni Paese si auto-organizza e c’è chi chiude le frontiere, chi cerca di accogliere ma poi non ce la fa, ed è stato un modo disordinato di rispondere a quel flusso, non abbiamo Pag. 17dato uno spettacolo di grande efficienza. Oggi c’è la risposta di Juncker che dice che aumenteremo i numeri, e io mi auguro che quella sia la strada, perché, se ogni Paese decide di alzare un muro, non la risolvi, da qualche parte le persone passano e si ritrovano da un'altra parte, quindi ogni Paese che decide autonomamente probabilmente lo fa ricadere su un altro che poi dovrà decidere. Da questo punto di vista è evidente che non puoi gestire il fenomeno a livello di singolo Stato: lo devi gestire rispetto a un'ottica, a una programmazione e a un intervento che deve essere un intervento europeo.
  Non ho citato, senatore Orellana, Israele, l'Eritrea o altre situazioni particolarmente complicate, perché mi sono attenuta ai territori dove sono presenti le nostre forze armate. Anche quando ho citato il Mali l'ho fatto perché noi abbiamo una missione in Mali. Ovviamente i problemi del mondo sono molto più ampi, ma di questo potete discutere con il Ministro degli esteri, io ho toccato le questioni estere legate all'intervento dei nostri contingenti e quindi dove noi operiamo e dove abbiamo una possibilità di dare alcuni degli elementi che discendono dalla nostra operatività.
  Sull'addestramento per aiuto umanitario credo che quello che le Forze Armate italiane hanno sia qualcosa di più del solo addestramento. Ci sono gruppi appositi che nelle missioni internazionali svolgono questo lavoro di facilitatori presso le popolazioni per capire di cosa abbiano bisogno, in modo che possano accogliere le nostre Forze Armate nel migliore dei modi (in Afghanistan li abbiamo usati molto), però c’è qualcosa di più della formazione: c’è un'attitudine al peacekeeping, cioè a entrare in un territorio non come «dominatori prepotenti», ma come coloro che cercano di riportare la stabilizzazione attraverso un dialogo costruttivo con le tradizioni e i luoghi dove si arriva, aspetto molto importante. Ovviamente sto parlando di situazioni statuali o di popolazione, non dell'Isis o dei terroristi, ma ad esempio con la popolazione afghana, quando avevi l'occasione di parlare con le autorità locali, anche di villaggi che magari avevano avuto episodi non brillanti con altri contingenti, dicevano sempre «gli italiani sono come questo foglio bianco», cioè senza macchia. C’è infatti un'attitudine, che non è mancanza di professionismo, non è «volemose bene», ma è invece una professionalità talmente alta da consentire di gestire un rapporto non protervo.
  Sulla questione degli hotspots e della lentezza, oggi i giornali sono pieni di numeri ancora insoddisfacenti sia rispetto ai 40.000 che si erano ipotizzati, sia ai nuovi 900.000 che oggi si ipotizzano, però ricordatevi che noi abbiamo finalmente infranto un principio. Dublino con l'idea della ricollocazione è un principio sul quale prima tutti si abbarbicavano, mentre questo ora non c’è più e credo che sia un risultato importante. Questi meccanismi vanno oliati e devono diventare più rapidi e spediti, non c’è dubbio, siamo anche all'inizio rispetto al fatto che prima ci sono state chiusure.
  La difesa di frontiera non è un tema della difesa, perché ovviamente nei momenti di pace non sono i militari che sorvegliano i confini, sono le forze civili oppure ad ordinamento militare come la Guardia di finanza, ma certamente un modello stile Triton di controllo dei confini anche terrestri potrebbe essere un obiettivo interessante. Si tratta di un'opinione, quindi non so a che punto sia il lavoro, perché è una discussione che avviene sul tavolo dei ministri degli interni e non dei ministri della Difesa, però penso che sarebbe una prospettiva.
  Le spese della Difesa ammontano a circa 200 milioni per quanto riguarda i migranti e soprattutto per l'attività in mare. Il coordinamento delle missioni funziona molto bene, se avrete occasione di andare a visitare la sala operativa della Marina, si vede esattamente tutte le navi che sono in movimento e quali sono gli spostamenti. Ovviamente questi sono sistemi che noi riproduciamo in ogni sala comando e quindi anche al comando della missione europea qui a Roma; quindi lo scambio dati e il modo di vedere esattamente quale è la situazione, è in ogni Pag. 18momento coordinato. In un certo senso è più facile questo coordinamento per le operazioni militari, l'altro tipo di coordinamento, cioè quando si arriva a terra, richiede tutta un'organizzazione che deve essere fatta a livello territoriale. Per quanto riguarda il punto di collegamento Difesa, cioè quando i migranti sono sulle navi della Marina, in realtà il coordinamento c’è ed è preciso. Laddove c’è una situazione di sovraccarico in un determinato territorio sappiamo che non dobbiamo portarli lì, ma ci viene indicato dagli Interni un altro porto con possibilità di accoglienza, quindi a volte rimangono più tempo sulle navi perché non possono essere portati nel porto più vicino che è già sovraccarico e non potrebbe tollerare un ulteriore aggravio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Vorrei salutare chi la accompagna, signora ministra, cioè la senatrice Teresa Armato, collaboratrice della signora ministra, l'Ammiraglio di squadra Valter Girardelli, Capo di Gabinetto, il dottor Simone Mazzuca, consigliere politico, il dottor Andrea Armaro, portavoce della signora ministra, il Generale di Brigata Stefano Del Col, Vice Capo di Gabinetto, il Capitano di Fregata Piero Gentile, Ufficio rapporti con il Parlamento, e il dottor Andrea Grazioso, consulente della signora ministra.
  Nel ringraziare la Ministra della difesa, Roberta Pinotti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.