XVII Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 32 di Giovedì 10 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Di Gioia Lello , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FUNZIONALITÀ DEL SISTEMA PREVIDENZIALE PUBBLICO E PRIVATO, ALLA LUCE DELLA RECENTE EVOLUZIONE NORMATIVA ED ORGANIZZATIVA, ANCHE CON RIFERIMENTO ALLA STRUTTURAZIONE DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Audizione del presidente e del direttore generale della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (CNPADC).
Di Gioia Lello , Presidente ... 3 
Guffanti Renzo , Presidente della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti ... 3 
Di Gioia Lello , Presidente ... 7 

ALLEGATO: Documentazione presentata da CNPADC ... 9

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LELLO DI GIOIA

  La seduta comincia alle 8,30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente e del direttore generale della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (CNPADC).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato alla luce della recente evoluzione normativa e organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare, del dottor Renzo Guffanti, presidente della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti. Avverto che il presidente è accompagnato dal dottor Fabio Angeletti, direttore istituzionale, e dal dottor Fabio Lenti, responsabile del Servizio investimenti mobiliari.
  Do quindi la parola al dottor Guffanti per la sua relazione.

  RENZO GUFFANTI, Presidente della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti. Grazie, presidente. Oltre a essere presenti di persona, abbiamo portato anche una documentazione che ripercorre per punti abbastanza veloci le risposte alle domande che ci sono state anticipate. Insomma, vi è il sunto degli argomenti trattati, ma, se ritenuto opportuno, siamo disponibili per fare un ampliamento rispetto ai vari punti oggetto di attenzione. Abbiamo portato, poi, un documento più ampio che ricapitola l'attività dei vent'anni della Cassa in veste di associazione di diritto privato e i risultati che riusciamo a presentare ai nostri iscritti e alla Commissione bicamerale.
  Come sappiamo, il tipo di attività che viene svolta è quella di previdenza e assistenza, entrambe funzioni costituzionalmente riconosciute e garantite dall'articolo 38 della Costituzione. Ci sono degli aspetti di sostenibilità del sistema, che con il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, lo Stato ha trasferito, dal punto di vista della responsabilità e dell'impegno, al mondo delle singole professioni, con un'operazione di privatizzazione delle casse di epoca e di qualità come la nostra.
  Oltre alla sostenibilità, l'altro grande tema è quello dell'adeguatezza delle prestazioni, nonché dell'equità dei trattamenti che le diverse coorti generazionali vanno ad acquisire. Da questo punto di vista, a vent'anni di distanza dalla privatizzazione, ma soprattutto a una quindicina di anni da quando, da privati, siamo stati chiamati a rispettare la sostenibilità e a cercare di fare adeguatezza, ci siamo impegnati nella prima delle riforme, approvata nel 2003.Pag. 4
  A questo proposito, nel fascicolo più ampio, a pagina 5, ci sono un paio di grafici estremamente chiari e illustrativi nel mostrare cosa abbiamo fatto.
  Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila eravamo montati su un meccanismo di calcolo di riconoscimento delle prestazioni che risaliva alla legge 29 gennaio 1986, n. 21, tipicamente ispirata da un meccanismo totalmente retributivo, che proiettato alla fine degli anni Trenta nel Duemila – come potete vedere nella grafico in basso tra i due – avrebbe portato a un patrimonio negativo per la nostra Cassa di una trentina di miliardi.
  L'effetto del riforme, soprattutto di quella pesantissima del 2003, è di aver creato le condizioni per cui, attualmente, la nostra attesa è di avere un patrimonio attivo di 22 miliardi. Questi 52 miliardi di differenza su una popolazione, tra presenti, già pensionati e futuri iscritti, che si può misurare in circa 100.000 soggetti, non ci sono piovuti dal cielo, né è stata opera dello Spirito Santo o di qualsiasi altra attività miracolistica. È, invece, l'esatta e precisa conseguenza di un insieme di tagli molto pesanti nelle prestazioni e di aumenti delle contribuzioni che la categoria dei dottori commercialisti, da privata e tra privati, è stata in grado di organizzare.
  Il grafico in alto è una delle chiavi di lettura di quello che sarebbe accaduto a livello di patrimonio. Vediamo l'andamento di quelle che sarebbero state le prestazioni da erogare da parte della Cassa nella linea blu molto impennata, che comportava un flusso di uscite che sarebbe stato insopportabile. La riga rossa, invece, individua gli andamenti di prestazioni attese e offerte in forza della riforma.
  Da un lato, c’è stato un aumento della contribuzione ma, dall'altro, abbiamo avuto anche una sensibilissima riduzione delle prestazioni. Se ragioniamo in termini omogenei, all'inizio degli anni Duemila l'aspettativa di un pensionando, fatta 100 la media dei suoi ultimi redditi di riferimento, come media complessiva superava i 60; c'erano casi in cui si poteva addirittura arrivare all'80, ma anche quelli che potevano stare intorno a 50. Tuttavia, come media della nostra popolazione allora pensionanda, rispetto a 100, l'obiettivo tranquillamente centrato era 60. Invece, i numeri a cui ci troviamo di fronte già oggi ci indicano un livello che sta intorno al 37-38. Questa forchetta tra 60 e 38 è la misura di quanto, in questi dieci anni, la categoria si sia autoridotta, di fatto, l'aspettativa di prestazioni in nome di una sostenibilità futura.
  In particolare, questo passaggio nasce da una sorta di media tra quel 60, che era il livello atteso 12-13 anni fa, e un periodo pesantissimo, quello che abbiamo vissuto a cavallo del 2004 fino al 2010-2011, in cui questo tasso di trasformazione si era schiacciato addirittura fino a 22-23.
  Il periodo di schiacciamento, in cui si stava parlando addirittura di un terzo delle prestazioni rispetto alle coorti che erano già andate in pensione (per averne l'effetto visivo possiamo fare riferimento a pagina 13), con la prestazione attesa a poco più del 20 per cento, è stato utile, anzi indispensabile per garantire la sostenibilità.
  Evidentemente, è stato anche il plafond su cui appoggiarci per arrivare a una fase di riampliamento dei trattamenti attesi, che è passato attraverso l'approvazione dell'aliquota di computo e della possibilità, introdotta dalla cosiddetta legge Lo Presti, pensata specificamente per gli enti già nati privati, con il calcolo da prestazione a contributivo, che permette di caricare una quota del contenuto integrativo a montante.
  L'insieme di queste operazioni, unite all'aumento della contribuzione minima dal 10 al 12 per cento, con un aumento del 20 per cento dei contributi che i nostri iscritti versano, ci ha portato alla situazione che vediamo rappresentata dalle colonnine verdi all'interno dei due grafici: per un pensionato che si immagina di arrivare al trattamento di quiescenza intorno ai 65 anni il livello è stato riportato al 40 per cento circa. Questa, Pag. 5infatti, è ritenuta una soglia che ha la caratteristica della ragionevolezza e della sostenibilità.
  Pertanto, i tempi in cui si poteva pensare di arrivare con una contribuzione relativamente modesta a ottenere prestazioni che stavano al 60-70-80 per cento, per quanto ci riguarda, sono ormai tramontati da più di una decina d'anni. C’è sempre la possibilità di arrivarci, ma questa passa attraverso due leve.
  La prima è una maggiore contribuzione. Infatti, abbiamo un sistema tale per cui, rispetto a un reddito di riferimento massimo di appena superiore ai 170.000 euro, la possibilità è di versare un'aliquota minima del 12 per cento o un'aliquota massima nominale oppure, ma per casi molto particolari, del 100 per cento. Se il collega si impegnasse a versare con regolarità il 17 e non il 12 per cento del proprio reddito, il traguardo a cui può ambire torna essere vicino al 60 per cento. Da questo punto di vista, ognuno è padrone del proprio destino. Se si mette contribuzione, alla fine c’è prestazione; se non c’è versamento di contribuzione, non abbiamo neanche la previsione di un trattamento minimo, come, invece, era previsto nel momento in cui il nostro sistema di calcolo era ancorato al sistema retributivo.
  L'altra leva su cui si può agire, visto che stiamo accumulando un capitale, è poter far rendere questo capitale in modo da creare un montante che aumenta e, a fronte di un montante maggiore, c’è anche la possibilità di riconoscere delle prestazioni maggiori. Quest'ultimo è un aspetto delicato, che, proprio negli ultimi mesi, è stato oggetto di dibattito e di segnalazioni che sono state percepite e accolte direttamente anche da questa Commissione.
  A ogni modo, il tipo di regime fiscale a cui siamo assoggettati non rende in nessun modo giustizia rispetto alla destinazione del patrimonio che stiamo accumulando. Come avete visto in apertura della mia relazione, la tendenza dei conti della nostra Cassa appena dopo la privatizzazione era quella di avere 30 miliardi di buco; al contrario, oggi stiamo accumulando, fino ad arrivare a quella soglia di 20-23 miliardi, ma non si tratta di utili non distribuiti o di risultati di attività speculativa, bensì di un responsabile accantonamento delle risorse che a cavallo degli anni 2035-2040 saranno indispensabili per poter riconoscere le prestazioni pensionistiche.
  Consideriamo questo tipo di risparmio non solo tassato, ma addirittura tartassato, se in sede di emanazione del decreto-legge l'aliquota di tassazione delle rendite finanziarie fosse salita dal 20 al 26 per cento. Questa è un'operazione per fornire qualche euro in più di spesa corrente a favore del bilancio dello Stato che ha come contropartita quella di avere dei pensionati più poveri di quanto noi per primi, approvando le riforme di cui ci siamo dotati per fare stabilità, abbiamo accettato.
  Per dare un paio di numeri che potete vedere anche dal nostro bilancio, approvato il 26 giugno e pubblicato sul nostro sito internet (ne abbiamo portate alcune copie che sono a disposizione), già nel corso dell'anno 2013 lamentavo una situazione di invadenza della tassazione, dovuta anche al passaggio dal 12,50 al 20 per cento dell'aliquota.
  Complessivamente, tra prelievo sulle rendite, che nel 2012 valeva circa 20 milioni di euro, IRES sull'affitto degli immobili, che ci viene applicato come a qualsiasi detentore privato di rendite d'affitto, IMU, ICI o TASI – facciamo fatica a capire qual è la sigla rispetto a cui far coincidere la tassazione sull'immobile dal punto di vista patrimoniale – che vale alcuni milioni (tra l'altro il passaggio tra ICI e IMU, per quanto ci riguarda, ha registrato un aumento del 152 per cento; fatto 100 quello che versavamo di ICI, sullo stesso perimetro di consolidamento degli immobili versare IMU ci è costato 252), il totale era 28 milioni, su un bilancio che chiudeva con 550 milioni di avanzo.
  Il 2013, dal punto di vista della gestione finanziaria, è stato un anno particolarmente Pag. 6positivo. I nostri gestori, soprattutto le gestioni patrimoniali, hanno dato rendimenti ben superiori rispetto alle attese a budget. Il risultato ci fa contenti perché anche l'anno 2013 chiude con un avanzo largamente superiore ai 500 milioni di euro, ma ci fa anche registrare un'incidenza della tassazione di 57 milioni. Insomma, abbiamo più del 10 per cento dell'avanzo di esercizio dell'anno falcidiato dall'imposizione fiscale.
  Per noi, 57 milioni sono un pozzo di soldi, per cui vi è un'obiettiva difficoltà a poter avere maggiori risorse da caricare sul montante. Tralasciamo la valutazione su come vengono spesi questi 57 milioni una volta messi all'interno degli 800 miliardi circa del bilancio statale. Anche questo, però, è un tema su cui vale la pena tornare rispetto alle domande già anticipate, relative, ad esempio, alla nostra disponibilità a impegnarci in investimenti in infrastrutture o in settori come l'ambiente, la generazione di energie pulite, a fronte di misure che detassino l'investimento.
  Da parte nostra, c’è, ovviamente, la massima disponibilità a considerare qualsiasi misura ci permetta di fare più investimenti e subire meno imposizione. Se possiamo essere messi in condizione di fare investimenti, finanziariamente rimane l'uscita di cassa, ma una cosa è vedere uscire delle risorse per essere destinate alla spesa in conto corrente dello Stato, che quindi per noi diventano un costo secco, un'altra è fare uscire delle risorse che si trasformano in un investimento a disposizione della maggiore efficienza e della possibilità di rilanciare il sistema economico del Paese. D'altra parte, possiamo iscriverli all'attivo dello stato patrimoniale e se questi investimenti sono adeguati e un minimo remunerativi, ci permettono di avere una condizione complessiva sicuramente più vantaggiosa.
  Su tutto quello che ho detto aleggia la questione del dualismo. Le casse di previdenza professionali sono associazioni di diritto privato che, però, ogni giorno subiscono una progressiva erosione del loro livello di effettiva autonomia, in seguito a una serie ormai pluriennale di interventi normativi che cercano in tutti i modi di equipararci in maniera sempre più marcata a soggetti che, invece, sono tipicamente di natura e di matrice pubblica.
  Sappiamo benissimo che la radice è l'inclusione nell'elenco Istat e il continuo richiamo dei soggetti appartenenti a questo elenco a misure che vanno a incidere sul sistema di assegnazione degli appalti e degli incarichi, sulla gestione del personale, sul taglio dei costi e adesso anche sull'informativa da rilasciare rispetto a funzioni, inquadramento e remunerazione riconosciuta al personale.
  Peraltro, per quanto ci riguarda, l'articolo 37 dello Statuto (che, purtroppo, sempre più spesso e volentieri non serve a fare in nessun modo baluardo rispetto all'invasività di certe norme) testualmente recita che il rapporto di lavoro che lega il dipendente alla Cassa è di tipo privato. Invece, sono cinque anni che dobbiamo rispettare il blocco dei contratti e un'altra serie di misure che sono state introdotte tipicamente per l'ambito pubblico.
  La stessa cosa vale per la spending review. A noi sono stati richiesti versamenti nell'ordine di 200.000 euro nel 2012, 400.000 euro nel 2013, 600.000 euro nel 2014 per assolvere, appunto, agli obblighi della spending review, che abbiamo sempre tempestivamente e diligentemente assolto, sia pur con la clausola di ripetizione dell'indebito.
  Come sapete, in nome della spending review saremo chiamati a risparmiare forzosamente sui nostri costi di funzionamento per poi prendere questo risparmio e riversarlo obbligatoriamente a un capitolo del bilancio dello Stato per il ripiano di un deficit che noi, per definizione e per patto fondante contenuto nel decreto legislativo n. 509 del 1994, non possiamo partecipare a creare.
  Si è trattato di introdurre, in prima battuta, una sorta di IRES del 100 per Pag. 7cento su un risparmio che siamo obbligati a fare, versamento che poi, con la legge di stabilità 2014, si è trasformato in una sorta di tassa di concessione, tale per cui se versiamo questi 600.000 euro non dobbiamo nemmeno più fare risparmi, ma continuiamo a dover contribuire a questo prelievo che è tipicamente riferito alle pubbliche amministrazioni e non alle associazioni di diritto privato.
  L'altro dato è sotto gli occhi di tutti. Ricordavo prima che nel 2012 la pressione fiscale che abbiamo dovuto sopportare è stata, in valore assoluto, di 28 milioni e nel 2013 addirittura di 57. Fa stupore, però, scoprire che, dopo che da un anno all'altro il nostro esborso è praticamente raddoppiato e aumentato di quasi 30 milioni, mancano ancora gli ultimi 200.000 per quadrare il conto complessivo.
  La coscienza e l'orgoglio di aver potuto mettere mano a una situazione disperata e di averla portata da un trend di 30 di passivo a uno di 20 miliardi di attivo, il tutto sopportato dalle tasche dei 100.000 dottori commercialisti interessati da queste manovre, ci portano a reclamare in maniera forte e vibrata quello che riteniamo essere un diritto che ci siamo guadagnati. Avendo dimostrato di saper far di conto, di saper risparmiare e rinunciare a prestazioni che, invece, in larghe altre parti del Paese sono intoccabili e intangibili, dobbiamo dire che il mantenimento del patto fondante originario è che tutte queste cose sono state fatte da privati per i privati.
  Riteniamo, quindi, che questo dovrebbe averci fatto guadagnare il rispetto, la considerazione e la collaborazione della macchina legislativa e dello Stato e non, al contrario, averci esposto a continui prelievi e vessazioni, dettate anche dalla necessità. Infatti, è inutile che ci nascondiamo dietro un dito, soprattutto per quanto mi riguarda, venendo dall'attività di dottore commercialista, che con la fiscalità e con i numeri di un bilancio, anche dello Stato, ha quotidianamente a che fare.
  Tuttavia, diventa fastidioso, di fronte ai sacrifici che abbiamo imposto alla categoria e al fatto che oggi abbiamo un patrimonio di 5,3 miliardi di euro, sentire ogni volta bussare alla nostra porta per aumentarci un'aliquota, imporci un versamento o, come ultimamente, intervenire in maniera invasiva sulle nostre procedure di amministrazione e di gestione.
  Penso, per esempio, all'obbligo del bilancio triennale di cui al decreto legislativo n. 91 del 2011, che non è assolutamente contemplato in nessuna parte né dello Statuto, né del nostro regolamento amministrativo, ma che, al contrario, ci viene ripetutamente e in maniera un po’ pressante richiesto da parte soprattutto del Ministero dell'economia.
  Da questo punto di vista, tengo anche a chiarire che nessuno si vuole rifiutare di far parte del sistema Paese, per cui ben venga far parte dell'elenco Istat e fornire dati che possono essere inglobati nel sistema della contabilità nazionale. Tuttavia, la nostra disponibilità, che confermo anche in questa sede, a lavorare e a collaborare a stretto rapporto seguendo le indicazioni e le necessità che ci vengono dalla normativa e dalla Ragioneria generale dello Stato, non deve diventare un modo per vedere sminuiti, conculcati e ridotti i livelli di autonomia organizzativa, gestionale e contabile che il decreto legislativo n. 509 del 1994 ci ha riconosciuto all'origine, a fronte di iniziative, di impegni e di sacrifici che abbiamo dimostrato di essere perfettamente in grado di assumerci e di svolgere.

  PRESIDENTE. La ringrazio della sua relazione.
  Debbo dire che la nostra Commissione ha già posto molti dei problemi, che lei ha sottolineato con dovuta di dovizia di particolari. Infatti, essi sono riportati anche all'interno della relazione che abbiamo approvato ieri e che verrà presentata ufficialmente a fine mese, presentazione alla quale saranno invitati anche i rappresentanti delle Casse, tra cui voi. Pag. 8
  Abbiamo dato uno sguardo al vostro bilancio e abbiamo verificato che ci sono diversi elementi interessanti, che valuteremo successivamente con molta attenzione.
  Le chiederei gentilmente di inviarci l'elenco delle SGR (società di gestione del risparmio) a cui vi riferite per gli interventi immobiliari, nonché gli advisor a cui vi affidate per effettuare le scelte di investimenti mobiliari.
  Prendiamo atto della bontà del lavoro che state sviluppando, e la ringrazio ancora una volta della sua partecipazione.
  Dispongo che la documentazione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.

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ALLEGATO

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DA CNPADC

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