XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Giovedì 17 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Balduzzi Renato , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE QUESTIONI CONNESSE AL REGIONALISMO AD AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Audizione dei professori Elena D'Orlando e Roberto Louvin.
Balduzzi Renato , Presidente ... 3 
D'Orlando Elena , professore associato di diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell'Università degli studi di Udine e componente della Commissione paritetica per le norme di attuazione della regione Friuli-Venezia Giulia ... 3 
Balduzzi Renato , Presidente ... 6 
Louvin Roberto , professore associato di diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell'Università della Calabria e presidente della Commissione paritetica per le norme di attuazione della regione Valle d'Aosta ... 6 
Balduzzi Renato , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RENATO BALDUZZI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Elena D'Orlando e Roberto Louvin.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle questioni connesse al regionalismo ad autonomia differenziata, l'audizione dei professori Elena D'Orlando e Roberto Louvin.
  La professoressa D'Orlando insegna diritto pubblico comparato presso l'Università di Udine ed è componente della Commissione paritetica per le norme di attuazione della regione Friuli-Venezia Giulia, mentre il professor Roberto Louvin insegna diritto pubblico comparato presso l'Università della Calabria ed è il presidente della Commissione paritetica per le norme di attuazione della regione Valle d'Aosta.
  Nel ringraziare gli ospiti dell'audizione odierna per la disponibilità concessa, do la parola alla professoressa D'Orlando.

  ELENA D'ORLANDO, professore associato di diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell'Università degli studi di Udine e componente della Commissione paritetica per le norme di attuazione della regione Friuli-Venezia Giulia. Ringrazio il presidente e tutti i membri della Commissione per il graditissimo invito. Nel tempo che mi è concesso e che, da quanto ho capito, si è ulteriormente ridotto rispetto alle previsioni, vorrei portare alla vostra attenzione non tanto alcune nozioni tecniche inerenti le autonomie speciali, quanto piuttosto un punto prospettico dal quale valutare il tema della specialità.
  Si tratta di un tema che, lungi dall'essere desueto od ingiustificato e dunque, come tale, da eliminare, ritengo possa invece rappresentare un punto di partenza per conferire nuovo slancio al nostro regionalismo ed aprire nuovi scenari di modernizzazione istituzionale del Paese. Per fare questo, però, è necessario abbandonare alcuni luoghi comuni e dismettere quella visuale che io definirei italo-centrica e tendenzialmente retrospettiva, dalla quale troppo spesso ci si accinge a ragionare sui destini della nostra forma di Stato.
  Mi spiego meglio. Secondo un approccio diffuso al tema della specialità, che più volte è emerso nel dibattito politico e scientifico che ha accompagnato questo iter riformatore, le ragioni storiche che avevano indotto il Costituente a riconoscere ad alcune parti del Paese forme e condizioni particolari di autonomia sono venute meno e, quindi, non possono oggi più costituire una base giustificatrice dei regimi differenziati, i quali andrebbero pertanto aboliti.
  Questa prospettiva mi trova in un profondo e fermo disaccordo, prima ancora che sul piano del merito dal punto di vista del metodo che, a mio avviso, dovrebbe essere utilizzato per inquadrare il problema in maniera corretta.Pag. 4
  Dico questo non solo e non tanto perché provengo da una regione, il Friuli-Venezia Giulia, in cui quotidianamente si può sperimentare che cosa significhi essere territorio periferico e di confine, crocevia di culture e di popoli rispetto ai quali, peraltro, la specialità ha costituito uno strumento formidabile di sintesi identitaria e di garanzia, anche al fine di conseguire una progressiva omogeneizzazione del livello di qualità della vita tra le diverse componenti territoriali, che – lo ricordo – in origine erano molto differenziate.
  Il mio dissenso si radica, invece, soprattutto nelle mie convinzioni di studioso, che ritiene che allorché si discorre di riforme costituzionali si debbano tenere ben ferme due coordinate. La prima è la dimensione multilivello che caratterizza il costituzionalismo europeo contemporaneo; la seconda è l'analisi comparata. Rispetto a queste due coordinate l'approccio cui prima facevo riferimento rivela, a mio avviso, la sua miopia scientifica e, più in generale, la sua povertà intellettuale.
  Le caratteristiche salienti dell'attuale fase del costituzionalismo sono, infatti, profondamente diverse da quelle di settant'anni fa e impongono di prendere atto di un dato che è ormai ineludibile, quello cioè dell'erosione della sovranità statale che, come è noto, si realizza su un duplice piano: quello esterno all'ordinamento, proprio in virtù dei processi di integrazione sovranazionale, e quello interno all'ordinamento, in cui questa erosione si ricollega alla rapidità ed alla violenza con le quali si manifestano gli effetti della globalizzazione sul piano economico-finanziario. Tali effetti richiedono risposte tempestive e risolute e, per questo motivo, riconsegnano in maniera naturale alle istituzioni locali un ruolo fondamentale di impulso dei processi produttivi nonché della dimensione strategica della competitività.
  Queste premesse fanno comprendere come una riforma costituzionale della portata di quella di cui si sta attualmente dibattendo non possa essere realizzata utilizzando strumenti concettuali non più adeguati, ma vada piuttosto concepita guardando al futuro e pensando a un regionalismo al passo coi tempi.
  In concreto, ciò cosa significa ? In merito soccorre anche lo strumento dell'analisi comparata. Quello che ho in mente è un modello di regionalismo che sia naturalmente differenziato, che sia a geometria dinamicamente variabile e all'interno del quale, per queste ragioni, si inneschino delle dinamiche virtuosamente competitive tra territori.
  È proprio su questo punto che entra in gioco il ruolo delle autonomie speciali e, in particolare, di quelle tra di esse, come quelle dell'arco alpino, che hanno fatto della specialità un modello di realizzazione piena e che, quindi, possono legittimamente proporsi quali un laboratorio di sperimentazione di forme di autonomia più avanzate. Senza togliere poi che questo nuovo modello di regionalismo potrebbe essere accessibile anche alle altre regioni che dessero prova di potersene assumere la corrispondente responsabilità.
  Le ragioni per cui le regioni speciali possono essere idonee, a mio giudizio, a svolgere un ruolo di modello pilota di questo tipo risiedono nel fatto che attualmente esse risultano caratterizzate, dal punto di vista ordinamentale, da alcuni profili che – come l'analisi comparata, ancora una volta, insegna – possono costituire i germi dello sviluppo di un regionalismo più maturo, orientato verso forme di federalismo che, in gergo, noi chiamiamo disaggregativo.
  Quali sono questi profili ? Innanzitutto, la natura costituzionale delle fonti, che custodiscono una loro autonomia. In secondo luogo, la procedura negoziale, fondamentale per dare attuazione al quadro statutario, la peculiare posizione che esse hanno per quanto riguarda i rapporti finanziari con lo Stato, il fatto che detengano una potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali nonché, ma non ultima, la naturale vocazione multiculturale.
  È ovvio, però, che per poter configurare dinamiche così fluide e ad assetto variabile è necessario che ricorrano taluni presupposti Pag. 5indispensabili. Innanzitutto, occorrono regole certe e concertate tra i diversi livelli di governo, soprattutto sul piano dei rapporti finanziari, ma non solo. In secondo luogo, occorrono meccanismi di raccordo e di concertazione istituzionalizzati. Da ultimo, ma sicuramente non per ordine di importanza, occorrono responsabilità e lealtà nelle relazioni tra i livelli di governo.
  Partirei brevemente proprio da quest'ultimo aspetto, che in realtà getta la sua luce anche sugli altri due perché rimanda a un punto cruciale, quello dell'apporto che anche lo Stato deve necessariamente assicurare, per la sua parte, nell'ottica della riforma dell'impianto regionale.
  Come ? Innanzitutto, disponendosi a intrattenere con il sistema delle autonomie un rapporto che sia realmente basato sui princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione, che – bisogna dirlo – non sempre hanno costituito la stella polare degli interventi statali nel recente passato. Da questo punto di vista, considerato il poco tempo a disposizione, faccio un solo esempio, quello dei rapporti finanziari, anche per il carattere nevralgico che tale tema assume di questi tempi. Anche su questo rimando al testo scritto.
  Noi sappiamo che la posizione delle regioni a statuto speciale sul terreno dei rapporti finanziari con lo Stato è più tutelata e garantita a livello sistematico rispetto a quella delle regioni ordinarie. Ciononostante, l'utilizzo che lo Stato ha fatto del titolo competenziale dell'armonizzazione dei bilanci ha in pratica vanificato la posizione differenziata e maggiormente tutelata delle autonomie speciali, inserendosi peraltro in un trend che da tempo, per non dire da sempre, caratterizza sia la nostra legislazione sia la nostra giurisprudenza costituzionale: quello cioè di ritenere che il nostro ordinamento regionale debba avere, tutto sommato, un carattere uniforme. Nell'ambito di questa omogeneità ordinamentale, le regioni a statuto speciale sono sempre viste come l'eccezione a una regola.
  Conseguentemente, dal mio punto di vista l'elemento che suscita maggiore allarme per il costituzionalista comparatista, nell'esempio che sto facendo, è il modo in cui la Corte costituzionale recentemente è arrivata ad affermare, nella sostanza, che il principio di leale collaborazione, che dovrebbe innervare tutto l'insieme dei rapporti tra Stato e regioni, soprattutto quelle speciali, in virtù della particolare connotazione negoziale che, per taluni aspetti, ha il regionalismo differenziato, non è, di fatto, un principio biunivoco. Le regioni, cioè, devono esser leali verso lo Stato ma non necessariamente deve accadere il contrario, perché, nel momento in cui lo Stato agisce nell'esercizio di una competenza legislativa di tipo esclusivo, non è necessario che prima venga a negoziare i suoi atti di normazione con le autonomie speciali, nemmeno laddove essi impattino sugli ordinamenti speciali differenziati.
  Questo è uno scenario dunque molto lontano dai modelli di federalismo fiscale solidale, come è, per esempio, quello tedesco, in cui il principio della Bundestreue, cioè della lealtà federale, è un principio perno di tutto il sistema della finanza.
  Per recuperare il ruolo protagonista che le regioni speciali possono avere in questa prospettiva è quindi evidente che si debba puntare anche sugli altri elementi cui prima facevo riferimento, ovverosia le sedi di concertazione e di coordinamento. Questo perché ben si capisce che, nel momento in cui i rapporti non vengono governati dal principio di leale collaborazione, la conseguenza naturale è la conflittualità innanzi alla Corte costituzionale.
  Tuttavia, non possiamo pensare che la Corte costituzionale diventi la sede normale in cui vengono ricomposte le ragioni dell'unità con quelle della differenziazione. Da questo punto di vista, la riforma che si sta attualmente dibattendo, come sappiamo, modifica l'assetto del Senato – anche su questo ci sarebbero tante cose da dire, ma eventualmente rinvio al testo scritto – nell'ottica di renderlo una sede di concertazione multilaterale tra lo Stato, da una parte, e l'intero sistema delle autonomie regionali, dall'altra.
  Ciò che costituisce l'elemento distintivo della specialità e che io ritengo in prospettiva Pag. 6vada valorizzato, è il metodo della negoziazione bilaterale, il quale già prende corpo in seno alle Commissioni paritetiche previste da norme costituzionali. Esse sono infatti improntate proprio al metodo del confronto e della sintesi tra interessi statali e interessi locali.
  In questa prospettiva il mio auspicio è che il ruolo delle Commissioni paritetiche venga potenziato, che esse da sede in cui si elaborano le norme di attuazione degli statuti diventino cioè sede di concertazione e composizione preventiva delle controversie tra Stato e regione sulle modalità di esercizio delle competenze, di modo che il metodo negoziale, dotato di adeguata copertura costituzionale, diventi presidio della specialità tout court.
  D'altra parte, proprio in questo modo, a mio avviso, può realizzarsi una situazione di chiarezza per quanto riguarda il riparto delle competenze, delle funzioni e delle responsabilità tra i diversi livelli di governo, che fisiologicamente la tecnica di numerazione delle competenze non consente.
  Anche in questo senso, un esempio fulgido di federalismo, come quello tedesco, ha manifestato negli ultimi anni i suoi limiti e per questo motivo è stato parzialmente riformato. Fermo poi restando il fatto che se questo modello funzionerà, come dicevo, anche le altre regioni potrebbero avvalersene.
  Va da sé che la chiave di volta di questo scenario dovrebbe essere proprio la riforma degli statuti di autonomia. In questo modo, peraltro, le regioni speciali riuscirebbero a riappropriarsi non solo della forma di governo, come già è accaduto con la legge costituzionale n. 2 del 2001, ma anche di quella che io definisco la «forma di regione», plasmando così un proprio peculiare concetto di cittadinanza regionale, che è compatibile con i limiti che la Corte costituzionale ha già chiarito e che, peraltro, è in stretto collegamento con la vocazione multiculturale di cui parlavo prima.
  Per concludere, non si può negare che le ragioni storiche che avevano indotto il Costituente a riconoscere regimi differenziati siano oggi in buona parte venute meno. Tuttavia, a mio avviso, è altrettanto innegabile che sia venuta meno la tenuta complessiva del sistema regionale nel suo insieme. Per questo motivo, penso che l'approccio di cui parlavo in premessa non abbia senso e soprattutto che non abbia senso nel momento in cui il Paese ha bisogno di persone e di istituzioni in grado di sobbarcarsi una riforma radicale della nostra forma di Stato che porti finalmente a concepire l'autonomia non come rivendicazione astratta di competenze nei confronti del livello di governo sovrastante, ma come strumento di autogoverno responsabile del proprio sviluppo, cioè preordinato a servire al meglio gli interessi della propria comunità locale, sebbene in un contesto di unità e di solidarietà nazionale.
  Da questo punto di vista, la logica della differenziazione era e, a mio avviso, ancora oggi deve rimanere parte integrante della scommessa del Costituente, sebbene interpretata evolutivamente di pari passo con lo sviluppo del più ampio scenario del costituzionalismo europeo.

  PRESIDENTE. Ringrazio la professoressa D'Orlando, che ci lascerà anche il testo scritto, grazie al quale potremo ritornare su alcune delle considerazioni svolte.
  Ci spostiamo ora all'estremo ovest rispetto al Friuli-Venezia Giulia, ossia al professor Louvin, il quale in dieci minuti ci dirà l'essenziale di quello che poi potrà più diffusamente depositare per iscritto.
  Do la parola al professor Louvin.

  ROBERTO LOUVIN, professore associato di diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell'Università della Calabria e presidente della Commissione paritetica per le norme di attuazione della regione Valle d'Aosta. Ringrazio il presidente Balduzzi, i senatori e i deputati presenti per averci invitato a sottoporvi qualche sintetica osservazione, ma speriamo utile, per affinare un comune pensiero sui presupposti per la verifica del funzionamento dei meccanismi di asimmetria Pag. 7istituzionale nel nostro Paese. Noi ci avvaliamo degli interventi già svolti da brillantissimi colleghi universitari, che hanno già inquadrato la questione in termini generali.
  Mi riferisco soprattutto al fatto che all'interno del sistema delle autonomie speciali in Italia ci sia una divaricazione di fondo che ci obbliga, e mi obbliga, in questo momento, a concentrare l'attenzione sulle caratteristiche della specialità alpina, la quale si è allontanata, dal punto di vista delle reazioni istituzionali e dei comportamenti complessivi, rispetto alle autonomie speciali insulari. Si tratta di un problema dimensionale, di un problema di tipo geografico-territoriale nonché inerente a tradizioni culturali diverse, di cui dobbiamo tenere conto.
  Premetto che le osservazioni e le considerazioni che saranno svolte attengono prevalentemente al profilo della specialità alpina, rispetto alla quale la questione centrale che mi pare di dover mettere in evidenza è che siamo di fronte a situazioni che riguardano minoranze culturali in senso ampio e a comunità che aspirano a sviluppare e mantenere caratteri distinti in un contesto di unità nazionale.
  Mi pare essenziale sottolineare tale aspetto perché, parlando di regionalismo, corriamo il rischio di rinchiuderci solo in una delle accezioni del regionalismo, cioè in quella dell'architettura istituzionale della distribuzione dei poteri all'interno di un'organizzazione statuale – oggi dovremmo dire: della Repubblica – mentre il concetto di regionalismo è un concetto che comprende anche la spinta di rivendicazione politica e la richiesta di maggiori spazi di libertà per evolvere secondo scelte fondamentalmente autonome, non confliggenti ma sicuramente tali da poter configurare delle situazioni di differenza.
  Questo è stato detto già molto bene da alcuni dei colleghi che ci hanno preceduto; è il senso stesso dell'autonomia, che presuppone di poter organizzare da sé in modo diverso i poteri e perseguire parzialmente fini e politiche distinte.
  Ricordo, a questo proposito, che la Valle d'Aosta nasce dal conflitto con lo Stato italiano e, più precisamente, da una vicenda di aperta e formale rivendicazione di autodeterminazione. Il termine oggi è molto frequente nella politica internazionale, ma lo è stato anche in Italia negli anni 1945-46 e può tornare ciclicamente sul tappeto, dal momento che è ancora patrimonio di una parte del territorio del Paese.
  A questa richiesta di autodeterminazione sono seguiti due processi: uno di neutralizzazione geopolitica dell'intervento di uno Stato vicino, in particolare della Francia; l'altro di riconoscimento formale dell'autonomia regionale alla minoranza. Se noi dimentichiamo questi presupposti, perdiamo il senso delle coordinate storiche di una vicenda complessa.
  Il regionalismo come rivendicazione è ancora un dato molto forte. L'80 per cento del panorama politico interno della regione Valle d'Aosta presenta ancora connotati di specialità rispetto alla politica nazionale. Non si riconosce in formazioni politiche nazionali, né è più presente un'omogeneità, un'unità di blocco del partito della minoranza, come è stato nei primi decenni dell'autonomia sia in Valle d'Aosta, sia in Alto Adige, ma il pluralismo autonomistico oggi occupa una larga parte dello scacchiere politico. Anche questo è un dato da tenere presente, quando si parla di mantenimento o di offuscamento della specialità.
  D'altra parte, il diritto comparato e la storia ci insegnano che regionalismo e federalismo sono soluzioni di mediazione che – rispetto a diversità, antagonismi e spinte contrapposte – devono sempre guardare alla logica della sintesi.
  Il secondo aspetto preliminare è la questione della montagna, che era vista dal Costituente soprattutto in chiave di aree svantaggiate da riequilibrare, ma rappresenta un concetto che ha avuto un forte approfondimento e un forte sviluppo anche a livello internazionale e comunitario.
  L'articolo 174 del Trattato di Lisbona ha costituzionalizzato sotto il profilo europeo la questione delle compensazioni e degli equilibri nei confronti dei territori insulari e montani. Questo è un dato Pag. 8fondamentale. Gli impegni internazionali dell'Italia, tra cui la Convenzione delle Alpi, hanno portato a un'attenzione diversa nei confronti dei territori montani e, quindi, anche delle regioni alpine a statuto speciale, intesi come territori che hanno un valore di salvaguardia eccezionale del nostro territorio e che devono dialogare e cooperare con i loro vicini.
  Su questo punto insisto molto, perché il dialogo con i soggetti transfrontalieri può avere un senso e una forza solo se effettuato da soggetti fortemente autonomi. Non si può dialogare da Stato italiano a cantoni svizzeri e da Stato italiano a Länder austriaci per tessere la tela di una politica e di un sano sviluppo delle Alpi – che rappresentano il cuore dell'Europa, vorrei ricordarlo – se non ci sono anche sul versante italiano dei soggetti politici forti in grado di gestire esattamente l'autonomia in modo omogeneo o quantomeno corrispondente a quello dei loro vicini.
  L'erba del vicino – si dice – è sempre più verde, ma è difficile poi rivolgere talune obiezioni a chi rivendica una possibilità di autogoverno, quando il proprio vicino ha organismi politici molto forti, molto autonomi e in grado di gestire autonomamente e con strumenti propri politiche di giustizia, di economia e addirittura di polizia. Quando i nostri sistemi si sono adeguati o avvicinati a questi standard, hanno dato e stanno dando, vorrei sottolinearlo, ottimi risultati.
  Passo a un'analisi rapidissima di questi aspetti sul nostro versante. Si dialoga bene da regione autonoma italiana a cantoni svizzeri o a dipartimenti francesi vicini, per esempio, nel caso della Valle d'Aosta, con un presidente che ha anche funzioni prefettizie e che svolge in modo eccellente questo ruolo, non solo di sintesi delle problematiche di sicurezza all'interno del territorio regionale e di dialogo con le istituzioni territoriali, ma anche di dialogo, ovviamente, con gli omologhi e vicini francesi.
  Quando si fanno forzature sul versante italiano per tentare di omologare i sistemi – c’è stato il caso, due anni fa, del tentativo di omologare numericamente i componenti dei consigli regionali – si creano delle forzature di sistema che non consentono poi di avere un'adeguata calibratura delle istituzioni locali rispetto ai loro fabbisogni. Vanno bene il freno alla spesa pubblica e il risanamento dei bilanci pubblici, ma non va bene l'indicazione, proveniente dal centro alla periferia, che il numero uguale valga per tutti e che le formule uguali siano buone per tutti. Questo è un approccio mortificante per l'autonomia e, come tale, è stato avvertito in alcune di queste regioni.
  Quanto alla garanzia parlamentare, è opportuna quella che ha consentito alla Valle d'Aosta di avere, nonostante i numeri limitati, una presenza in Parlamento da sempre, dal 1948. Non dimentichiamo, però, che questa dovrebbe essere necessariamente accompagnata da una garanzia di rappresentanza europea. Il fatto che alcune regioni o province autonome significative e importanti non abbiano affaccio nel panorama europeo, all'interno del Parlamento europeo, è un dato che risulta essere frustrante per queste comunità.
  Voglio solo ricordare che in questo momento, da meno di quarantotto ore, l'Unione europea ha affidato all'ex capo di Governo di uno Stato che conta meno abitanti della provincia di Trento, un lussemburghese, la guida della Commissione europea, per la seconda volta, peraltro, nello spazio di meno di due decenni.
  Ricordiamoci che non è solo una questione di numeri e di pesi; è una questione di partecipazione e di soggettività istituzionali che chiedono di poter sedere al tavolo, al pari delle altre. Io non credo che un sacrificio sul numero dei parlamentari italiani pregiudicherebbe eccessivamente la situazione. In questo momento la provincia autonoma di Trento e la regione autonoma Valle d'Aosta non hanno loro rappresentanti; si creano così meccanismi di progressiva estraniazione anche dal sentimento di appartenenza europea.
  I modelli alpini danno frutti di democrazia partecipata nuovi e interessantissimi. Oggi si parla, con riferimento alla riforma costituzionale, del referendum propositivo. Una regione – la Valle d'Aosta Pag. 9– l'ha già praticato ed è la prima ad aver avuto una legge approvata dal popolo per via referendaria sul modello svizzero. In ciò, essa ha sperimentato, è stata un laboratorio di innovazione.
  La provincia autonoma di Bolzano sperimenta le stesse procedure e la provincia autonoma di Trento ne sta discutendo. Sono avamposti di formule di democrazia molto avanzate. Non dimenticate che il contenuto profondo delle autonomie speciali sta proprio nell'autonomia di prossimità e nel coinvolgimento delle comunità nella gestione della cosa pubblica.
  Ancora, c’è il forte radicamento della democrazia municipale. In alcuni casi – a tale proposito mi riferisco soprattutto alla regione autonoma Valle d'Aosta – il sistema delle autonomie, come sistema fortemente integrato e non conflittuale, si è manifestato dagli anni Settanta in poi nel rapporto tra le regioni e gli enti locali. C’è un forte coinvolgimento e c’è stato un finanziamento elevatissimo delle autonomie municipali, che sono considerate un patrimonio e che contribuiscono a rafforzare moltissimo il senso di appartenenza del cittadino alla comunità politica nel suo insieme.
  Vengo alla questione del privilegio fiscale. Stiamo leggendo un po’ i titoli di coda, signor presidente, spero mi scuserà per la sintesi dell'esposizione. Il tema è stato molto ben trattato dal professor Cerea, proprio di fronte a questa Commissione.
  Non solo la Valle d'Aosta ha ormai ampiamente chiuso, dal 2011, la pagina prolungata di un trentennio nel quale le risorse sono state elevate ma – aggiungerei – anche utilizzate molto positivamente, come risulta dagli indici che sono stati presentati. Siamo anche in una fase opposta e pericolosamente di riflusso, una fase nella quale, oltre ad avere eliminato situazioni differenziali non più del tutto giustificate – mi riferisco alle esenzioni fiscali sui carburanti e alla compensazione forfettaria sull'IVA da importazione – stiamo assistendo a una situazione nella quale la regione autonoma Valle d'Aosta in particolare, rispetto al quadro delle autonomie speciali, ma il discorso potrebbe estendersi a tutte le autonomie speciali nel loro complesso, sta lasciando sul tavolo moltissimo.
  È una tematica che avete di sicuro molto ben presente. Tenete bene a mente che queste regioni svolgono anche le funzioni dello Stato per una larga parte dei servizi che vengono resi. Penso, nel caso della Valle d'Aosta, all'istruzione, alla sanità, ai vigili del fuoco, alla protezione civile o alla motorizzazione civile. Quello che si dà alla regione non le viene dato in quanto soggetto terzo e ulteriore, ma in quanto parte di un sistema di servizi pubblici.
  I meccanismi di pariteticità sono molto importanti e rappresentano uno strumento prezioso. Tuttavia, denotiamo uno scarsissimo rispetto da parte dello Stato nel procedere all'adeguamento, attraverso norme di attuazione e di armonizzazione, di questo nostro pacchetto normativo.
  C’è stato un ritardo di ricomposizione che già il presidente della regione autonoma Valle d'Aosta, Rollandin, ha sottolineato con riferimento ai diciassette mesi di inattività della Commissione paritetica, ma ci sono soprattutto – consentitemi di dirlo – fortissime resistenze di apparato pubblico dal centro verso la periferia nel dare attuazione alle politiche di armonizzazione. Si tratta di un problema gravissimo. Accanto al frazionamento del negoziato tra Stato e regioni su molti fronti, questo diventa un elemento di grande frizione e di grande difficoltà.
  Le Commissioni paritetiche potranno svolgere – signor presidente, questo è tema di questi giorni in rapporto alla riforma costituzionale in discussione – un'azione molto utile anche nel definire i limiti di competenza tra lo Stato e la regione sul terreno legislativo. Questo è un modello che nel sistema scozzese ha dato eccellenti risultati, attraverso le cosiddette Sewel Motion, in base al quale viene chiarito meglio dalle Commissioni paritetiche fino a dove si può spingere lo Stato e fin dove può arrivare la regione. Ciò contribuisce a decongestionare il contenzioso costituzionale e fornisce un'area in più.Pag. 10
  Signor presidente, concludo. Noi siamo di fronte a delle aree ponte ed è un peccato che una parte del Paese avverta le condizioni diverse e, in qualche momento di successo, di questi sistemi come qualcosa di cui lamentarsi.
  Desidero sottolineare che per quanto riguarda, invece, la parte nella quale questo sistema autonomistico non ha dato i suoi frutti migliori – mi riferisco in particolare, per la Valle d'Aosta, a una perdita di intensità del particolarismo linguistico, per cui la fortissima coesione linguistico-culturale propria degli anni Quaranta e degli anni Cinquanta oggi risulta fortemente attenuata – ciò non deve essere visto come un vantaggio, come un miglioramento della posizione dello Stato. L'indebolimento dei particolarismi culturali, i quali devono essere vissuti come un momento di grande ricchezza per le aree ponte del Paese, rappresenta piuttosto un indebolimento e una perdita comune. Alcide De Gasperi e Federico Chabod lo sapevano e i grandi del momento costituente ne erano assolutamente consapevoli.
  Noi siamo certi che anche voi, nel vostro lavoro, saprete cogliere tutta l'importanza di vedere in questi territori dei momenti di grande valore per l'intera comunità nazionale ed europea. Se poi questo si tradurrà, come ci auguriamo, in una nuova stagione costituente per le regioni, in una nuova stagione statutaria per le regioni, ben venga che questi statuti diventino leggi concordate tra lo Stato e la regione. Questo conferirà una grande forza al nuovo assetto di questi territori e credo che creerà i presupposti affinché continui una situazione di armonia, di pacifica convivenza e di sviluppo comune, evitando il rinascere di antichi e non auspicati attriti.

  PRESIDENTE. La ringrazio, professor Louvin. Se poi vorrà farci pervenire – naturalmente del suo intervento sarà comunque redatto il resoconto stenografico – un testo scritto, anche in questo caso lo leggeremo volentieri.
  Temo di dover interrompere l'audizione perché siamo già fuori tempo massimo. Esprimo un ulteriore ringraziamento ai nostri ospiti, ma purtroppo non c’è lo spazio per una discussione. Avevo qualche domanda, ma vorrà dire che la porrò in separata sede.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.