XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Giovedì 7 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione del professor Nicola Lupo, professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Lupo Nicola , Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8 
Lupo Nicola , Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma ... 9 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Nicola Lupo, professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze», l'audizione di Nicola Lupo, professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma.
  Nel ringraziare il professore per la sua disponibilità, gli cedo la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma. Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, grazie davvero per questo invito, che ovviamente mi onora molto.
  Lasciatemi partire dai complimenti per l'indagine conoscitiva, che è stata lanciata molto tempestivamente e che ha avuto il pregio di far avvertire a politici e tecnici il rilievo dei numerosi problemi sul tappeto che si pongono in sede attuativa della riforma costituzionale, che è bene in ogni caso affrontare per tempo.
  Da tempo sostengo – credo che l'esperienza della riforma del Titolo V ce l'abbia dimostrato come poche altre – l'importanza del processo di attuazione delle riforme costituzionali, che, entro certi limiti, è persino più impegnativo del processo di attuazione di una nuova Costituzione. Infatti, le riforme costituzionali intervengono su un ordinamento che si è già assestato lungo certe dinamiche, per cui il percorso che porta a inverare i princìpi costituzionali e le norme costituzionali che si introducono attraverso le riforme stesse è tutt'altro che agevole.
  Il carattere rigido della nostra Costituzione e l'esistenza di un giudice delle leggi non bastano: occorre un processo di attuazione anzitutto politico, perché spetta alla politica, al Parlamento e al Governo il compito di inverare i princìpi costituzionali e le norme costituzionali. Non è un compito che può essere lasciato soltanto ai giudici, altrimenti sorgono problemi. Pertanto, vi rivolgo davvero i complimenti per questa indagine conoscitiva.
  Effettivamente i nodi attuativi sono tanti, soprattutto rispetto a cosa sarà il nuovo Senato, se sarà. Lasciatemi evitare di ripetere questa clausola ogni volta, altrimenti divento molto noioso.
  Proprio la naturale vaghezza delle norme costituzionali fa sì che il nuovo Senato possa essere cose molto diverse. Potrà essere persino qualcosa di molto vicino a un Bundesrat, che pure è stata un'opzione non percorsa nel processo di riforma costituzionale. Ciononostante, la vaghezza di alcune norme costituzionali – non è un difetto, ma è una caratteristica delle norme Pag. 4costituzionali, che spesso è positiva – consente, in realtà, di farlo funzionare anche in modo simile a un Bundesrat.
  Potrà essere un Bundesrat tedesco oppure un Bundesrat austriaco, semplificando in modo un po’ drastico le due alternative.
  Evidentemente, molto dipende da cosa faranno i Consigli regionali e da chi eleggeranno. Di conseguenza, la partita dipenderà molto dalla nuova legge elettorale e dai nuovi Regolamenti parlamentari. A questo proposito, le opinioni sono molto variegate e ne avete sentite di molto più autorevoli della mia. Personalmente, non credo che si possa escludere che i Consigli regionali eleggano i Presidenti di Regione, perché questi ultimi attualmente sono consiglieri regionali in tutte le Regioni.
  Credo, però, che si possa escludere l'opzione drastica che la legge elettorale preveda che i Presidenti di Regione siano per legge senatori. In quel caso ci sarebbe un contrasto abbastanza frontale rispetto alla previsione costituzionale, perché quest'ultima contempla un'elezione da parte del Consiglio regionale. Sinceramente, non ritengo che quell'elezione possa essere predeterminata dalla legge elettorale per il Senato.
  Capisco che la risposta è parzialmente soddisfacente, ma i binari entro cui il testo costituzionale consente di muoversi sono, a mio avviso, questi. Ovviamente, dal modo in cui saranno sciolte queste alternative (legge elettorale per il Senato e Regolamenti parlamentari) dipenderà quale sarà il concreto funzionamento del Senato.
  Io, semplificando un po’, ho parlato di tre cleavage, cioè di tre linee di frattura, che coesisteranno necessariamente tutte nel nuovo Senato. Una è la linea di frattura politica; un'altra è la linea di frattura territoriale, ovvero la rappresentanza del territorio; la terza è quella istituzionale: Regioni speciali, Regioni ordinarie, Comuni grandi, Comuni piccoli. Come queste tre si articoleranno dipende dalle scelte che verranno compiute in sede attuativa.
  Rispetto a opinioni varie, delle quali sono venuto a conoscenza dalla lettura degli atti dell'indagine sulla nuova legge elettorale, mi permetto di dire che l'articolo 39, comma 1, secondo me, deve essere applicato necessariamente.
  Mi riferisco alla disposizione transitoria per l'elezione del nuovo Senato. Ciò non vuol dire che non possa essere integrato da una legge elettorale che, sia pure a seguito di una faticosa interpretazione dei commi successivi dell'articolo 39, si può arrivare a dire che può essere approvata in questa legislatura. Tuttavia, questa legge elettorale, a mio avviso, non potrà avere la forza di derogare alla disposizione costituzionale transitoria di cui all'articolo 39, comma 1, che fissa alcune regole per l'elezione del primo Senato, fino all'approvazione di una nuova legge elettorale. Secondo me, quelle regole sono ineludibili per il primo Senato.
  Quanto ai nuovi Regolamenti di Camera e Senato, io sono del parere che la disposizione transitoria molto importante di cui all'articolo 39, comma 8, secondo cui i Regolamenti parlamentari vigenti continuano ad applicarsi, solo in quanto compatibili, fino alla data di entrata in vigore delle loro modificazioni, renda pressante l'esigenza di approvare un nuovo Regolamento per il Senato, oltre ad adeguare quello della Camera.
  Io vedo con un certo terrore, dal punto di vista del sistema e degli equilibri tra autonomie e Stato centrale, il fatto che il nuovo Senato passi i primi sei mesi a discutere sul nuovo Regolamento. Nel frattempo, si approvano le leggi e il nuovo Senato non è neanche in condizione di intervenire nel processo. Pertanto, ritengo che il percorso di attuazione del Regolamento sia quanto più urgente possibile.
  Vengo al tema più specifico. In realtà, dobbiamo proseguire per ipotesi, quando ragioniamo sul ruolo delle conferenze. Infatti, una cosa è ridisegnare il ruolo del «sistema delle conferenze» tra Stato e autonomie territoriali se i Presidenti di Regione saranno dentro al nuovo Senato: è chiaro che in quel caso lo spazio per il «sistema delle conferenze» si ridurrebbe drasticamente, fino persino a scomparire, secondo alcune opzioni. Se, invece, saranno fuori, il medesimo problema si porrebbe evidentemente in termini molto diversi. Sto Pag. 5cercando di seguire grossomodo l'articolazione del questionario che avete sottoposto, che è molto ben strutturato.
  Detto questo, la mia lettura delle funzioni del nuovo Senato valorizza al massimo la funzione di raccordo, che, a mio avviso, è la ragion d'essere del nuovo Senato, la sua «metafunzione». Questo raccordo è innanzitutto tra Stato e autonomie territoriali. Sapete meglio di me che è proprio quello che finora è mancato, nonostante l'attività svolta in questa e nelle passate legislature da questa Commissione, purtroppo non integrata dai rappresentanti di Regioni ed enti locali. Proprio la mancanza di questa funzione di raccordo, a mio avviso, ha contribuito al fallimento della riforma del Titolo V e spesso alla paralisi del Paese.
  Certamente c'è stata una supplenza esercitata dalle conferenze. Come sempre, dobbiamo essere grati a chi si presta a supplire, ma nella consapevolezza che si tratta di una supplenza e, quindi, di un'opera che non è svolta nel modo in cui avrebbe dovuto essere svolta se il sistema avesse funzionato nella sua fisiologia. È stata una supplenza inevitabilmente parziale e insufficiente.
  Ovviamente viene in rilievo anche il raccordo con l'Unione europea. Il sistema è articolato a più livelli. Spesso le competenze sono intrecciate tra Unione europea e Regioni.
  Su questo lasciatemi provare a fare un paio di osservazioni. La prima è che questa funzione di raccordo con l'Unione europea non è esclusiva, ma è giustamente affidata anche alla Camera, sia perché la Camera è titolare di poteri in materie europee, attribuiti direttamente dai trattati europei ai Parlamenti nazionali e, quindi, a entrambi i rami del Parlamento, sia perché la Camera ha comunque il potere di indirizzo e controllo rispetto al Governo, che include l'indirizzo e il controllo del Governo anche riguardo all'attività europea.
  La seconda osservazione è legata al fatto che la funzione di raccordo tra Stato e autonomie territoriali e quella tra Stato, autonomie territoriali e Unione europea non sono molto distinte, anzi, in realtà, si possono ricondurre all'interno della medesima funzione di raccordo.
  Infatti, l'Unione europea, purtroppo, è lungi da quella che emerge nei luoghi comuni italiani. Ci portiamo appresso alcune tare derivanti da un pensiero nobilissimo, qual è il pensiero federalistico di Altiero Spinelli e seguaci. Noi siamo abituati a pensare all'Unione europea come qualcosa che supera lo Stato nazionale. L'Unione europea oggi non è assolutamente così. L'Unione europea oggi richiede necessariamente l'intermediazione degli Stati membri, anzi chiede addirittura allo Stato membro prestazioni ulteriori e pone gli Stati membri uno in competizione con l'altro, nell'identificare e nel far emergere l'interesse nazionale. L'emersione dell'interesse nazionale si può avere solo quando c'è una funzione di raccordo efficace, altrimenti evidentemente lo Stato membro esce perdente nel confronto europeo. A questo proposito io tenderei assolutamente a sottolineare, da un lato, l'importanza della funzione di raccordo e, dall'altro, che si tratta di una funzione talmente importante che non può essere esclusiva del Senato.
  Vengo a un ulteriore passaggio che, secondo me, porta a dare qualche chiave di lettura di uscita dal dilemma sul destino delle conferenze.
  Come sapete, nell'Unione europea 27 Stati membri su 28, tutti tranne Cipro, hanno forme di governo che prevedono un rapporto di fiducia di almeno un ramo del Parlamento con il Governo. Anche le forme di governo delle Regioni sono, in senso lato, parlamentari, nel senso che è possibile sfiduciare il presidente e la sua giunta.
  In forme di governo di questo tipo, ragionare su una distinzione rigida tra funzioni legislative e funzioni amministrative, come molti hanno fatto nel corso di questa indagine conoscitiva, a me convince fino a un certo punto. Si è detto che le funzioni legislative devono essere affidate al Senato e le funzioni amministrative alle conferenze. Non sto dicendo che è sbagliato di per sé, ma non è una distinzione che si può fare in modo drastico, perché, da un lato, nelle forme di governo parlamentari il Governo è il principale promotore dell'iniziativa Pag. 6 legislativa e dei processi di attuazione delle leggi e, dall'altro, il Parlamento è chiamato a indirizzare e a controllare l'attività del Governo, anche con riferimento alle opzioni in concreto, che vanno definite assieme alle autonomie territoriali.
  A mio avviso, la soluzione del nodo sul ruolo delle conferenze è strettamente legata a un altro nodo, che è quello dei rapporti tra i governi e il nuovo Senato.
  Vengo alla lettura di un paio di articoli del testo. Non dimentichiamo che, con riferimento al Governo statale, è stabilito all'articolo 64, quarto comma, che «i membri del Governo hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute delle Camere». Ci si riferisce a entrambe le Camere. Pertanto, il Governo è presente in Parlamento, non solo presso la Camera dei deputati, ma anche presso il Senato.
  In qualche misura è previsto che anche i governi regionali e locali abbiano un'interazione con il Senato. Lo desumo da una disposizione, quella contenuta nell'articolo 63, secondo comma, come riformulato, ai sensi del quale il Regolamento del Senato «stabilisce in quali casi l'elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate in ragione dell'esercizio di funzioni di governo regionali o locali». I sindaci esercitano le funzioni di governo per definizione. Si suppone che i consiglieri regionali possano essere Presidenti e membri di giunta, se sono anche consiglieri, tant'è che si dice che in questo caso il Regolamento deve vietare a soggetti che svolgono funzioni di governo di svolgere la funzione di Presidente del Senato, di presidente di Commissione, di membro dell'Ufficio di presidenza o cariche di questo tipo. Questo significa che i governi regionali hanno fisiologicamente, ai sensi del testo costituzionale, una loro proiezione nel Senato.
  Ciò mi porta ad affermare che il sistema delle conferenze permarrà, ma non potrà non operare in stretto e costante raccordo con il nuovo Senato.
  Come si debba articolare in concreto questo contatto è ovviamente il problema. Io posso provare a dire qualcosa, ma non pensate che da me possa arrivare la soluzione.
  Tuttavia, sulla linea d'intervento io sono abbastanza convinto. Le conferenze rappresentano i governi e i governi in Senato ci sono, non sono una realtà diversa rispetto al Senato: in Senato, esse devono portare la risultanza del confronto che c'è stato tra i governi in conferenza.
  Per provare a fare qualche passetto avanti, avviandomi verso la conclusione, faccio qualche cenno, come giustamente mi sollecitate, sulla giurisprudenza costituzionale e sull'affermazione secondo cui il sistema delle conferenze costituisce una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole destinate a integrare il parametro della leale collaborazione. È pacifico che il principio della leale collaborazione trova una delle sue principali forme di inveramento proprio nel sistema delle conferenze. La Corte costituzionale ne ha preso atto nella sua giurisprudenza successiva al 2001, però lo ha fatto subito dopo aver riconosciuto la perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi in seguito alla riforma del Titolo V nella sentenza n. 6 del 2004. Ancora più chiara è la sentenza n. 383 del 2005, che afferma testualmente: «nella perdurante assenza di ogni innovazione nei procedimenti legislativi statali diretta ad assicurare il necessario coinvolgimento delle regioni, la legislazione statale che preveda e disciplini il conferimento delle funzioni amministrative a livello centrale nelle materie affidate alla potestà legislativa regionale può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale». Ci si riferisce alle conferenze. Se non c'è un coinvolgimento delle regioni nel procedimento legislativo statale, come era prefigurato all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, allora il sistema delle conferenze svolge un ruolo essenziale.
  In sintesi, non utilizzerei queste affermazioni della giurisprudenza costituzionale come un ostacolo affinché il nuovo Pag. 7Senato eserciti oggi le funzioni svolte dal «sistema delle conferenze». Sarebbe paradossale, perché, al contrario, questa giurisprudenza della Corte costituzionale è nata proprio in quanto c'era una difficoltà nel coinvolgere le regioni nel procedimento legislativo. Una volta che il nodo venga sciolto, perché applicare questa giurisprudenza, che ha valorizzato un ruolo di supplenza?
  Questo non vuol dire che le conferenze non debbano continuare a esercitare un loro ruolo. A mio avviso, lo debbono fare anzitutto influenzando le deliberazioni del Senato, in modo da compensare il riaccentramento di funzioni che il nuovo testo determina rispetto al testo attualmente vigente. Riporto un solo esempio, che è quello della clausola di supremazia, che mi sollecitate in una domanda. Sappiamo che il legislatore costituzionale, nel prevedere e introdurre nel nostro ordinamento per la prima volta la clausola di supremazia in modo così esplicito, ha ritenuto di non condizionarla, come pure si era sostenuto e come alcuni colleghi ritengono necessario, all'assenso del Senato. L'avvalimento della clausola di supremazia non richiede una legge bicamerale, ma una legge a prevalenza della Camera dei deputati, con un innalzamento, solo in questo caso, dei quorum sia per l'introduzione di proposte di modifica da parte del Senato, sia per l'eventuale discostamento delle modifiche da parte della Camera.
  Questo meccanismo richiede che il Senato sia effettivamente in grado, se vorrà mettere i bastoni tra le ruote all'esercizio della clausola di supremazia, di coagulare una maggioranza, anche assoluta, come previsto in questo caso, e lo potrà fare solo grazie all'azione degli strumenti di coordinamento in seno al Senato. Se il Senato non lo farà, difficilmente avrebbe senso il meccanismo che abbiamo appena descritto. Dovranno essere le Regioni, attraverso i loro meccanismi di coordinamento, a guidare l'azione del Senato in proposito.
  Con riferimento alle procedure di negoziazione tra Stato ed enti territoriali – tema sul quale avete sollecitato le mie osservazioni – ritengo che esse dovranno essere ridefinite in profondità: non è pensabile applicare le procedure attuali. Così come sono, esse hanno dato luogo a problemi. Mi riferisco al livello elevato di contenzioso e alle numerose norme inattuate.
  Il referendum abrogativo sulle trivelle, secondo me, è un esempio tipico di mancato funzionamento delle procedure di negoziazione. Che le Regioni propongano un referendum contro una scelta di sistema dello Stato, lamentando di non essere state coinvolte, mi pare un esempio macroscopico di questo. La Repubblica italiana non è stata in grado, purtroppo, di compiere scelte strategiche e di dare a esse attuazione sul territorio; su questo non entro però nel dettaglio.
  I governi, sia quello statale che quelli regionali e quelli comunali, saranno nel Senato, ed è nel nuovo Senato che, ad esempio, i nodi sulla dislocazione di un'opera pubblica, il riparto degli oneri del Servizio sanitario nazionale e la distribuzione dei tributi devono trovare una soluzione, o quantomeno si deve avviare una discussione sulle opzioni compiute e sui risultati fino a quel punto raggiunti. Altrimenti, svaniscono i vantaggi derivanti dall'aver portato in Senato la funzione di raccordo.
  I limiti del sistema delle conferenze sono l'opacità e il fatto di consentire il doppio gioco alle Regioni, che prima spingono da una parte la legislazione statale e poi la impugnano. Il «sistema delle conferenze» funziona quando il livello regionale è in grado di assumere una posizione comune. Questo è il suo pregio: spingere il livello regionale a trovare una soluzione comune. A volte questa soluzione comune non si può trovare e ciò porta alla paralisi del sistema. Altre volte è bene che non si trovi ed è fisiologico che ci siano posizioni contrastanti tra le diverse Regioni e le diverse aree del Paese. Quello è il momento in cui il «sistema delle conferenze» va in tilt.
  Questo, invece, è il momento in cui, a mio avviso, le responsabilità nel nuovo Senato devono emergere. Non dico che la decisione debba essere presa necessariamente in Senato, ma che deve almeno emergere chi vi ha concorso. Non a caso, quelle Pag. 8che saranno le procedure di voto del nuovo Senato dovrebbero servire a questo fine.
  Mi chiedete di illustrare le criticità. La soluzione migliore, in sintesi, è quella di appoggiare le conferenze e le loro strutture presso il Senato.
  Se volete, invertite il meccanismo che è stato previsto dalla legge n. 42 del 2009, la quale, all'articolo 3, comma 4, in mancanza di un Senato delle autonomie e di una Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata, ha stabilito, con una norma che poi è rimasta sostanzialmente inattuata, di affiancare alla Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale un comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali, «al fine di assicurare il raccordo della Commissione con le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni». Tale meccanismo ha cercato di portare in qualche misura i rappresentanti nella Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Adesso noi avremo – se lo avremo – un nuovo Senato, con i rappresentanti già al suo interno.
  Questi rappresentanti avrebbero dovuto essere eletti dalle conferenze, con un meccanismo piuttosto complicato e, peraltro, molto criticato. Avrebbero dovuto essere designati dalla componente rappresentativa di regioni ed enti locali nell'ambito della Conferenza unificata: quest'ultima avrebbe dovuto designare i propri rappresentanti, che avrebbero costituito un comitato che si sarebbe affiancato alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Si tratta di un meccanismo molto complesso, che però sta a significare che c'è un'esigenza, che oggi può essere ricondotta in sede parlamentare, dove ci sono fisiologicamente i rappresentanti delle istituzioni territoriali, i senatori. Il meccanismo dovrebbe essere a parti invertite, ma decisamente più semplice.
  Concludo con riferimento alla Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome: sapete meglio di me che non fa parte del «sistema delle conferenze», nel senso che non è una conferenza in cui sono presenti lo Stato e le autonomie territoriali, ma è un meccanismo di raccordo, che, secondo me, ha svolto in modo molto intelligente il suo ruolo, specialmente negli ultimi anni, in particolare per le procedure europee e per la stessa riforma costituzionale.
  Si tratta di ruoli assolutamente utili a coordinare tra di loro i consigli regionali e le posizioni delle Regioni, ma da questo punto di vista non credo che il legislatore statale sia chiamato a definire un ruolo per i meccanismi di coordinamento delle regioni a livello di presidenti di regione o di consigli.
  Sono meccanismi spontanei di coordinamento tra le autonomie ed è bene, entro certi limiti, che restino tali, fermo restando che le risultanze di questo coordinamento poi dovranno confrontarsi ed emergere nei lavori del Senato. Questa, almeno, è la mia chiave di lettura.
  Mi scuso per la frammentarietà delle risposte, ma ho cercato di seguire le numerose e interessanti domande che mi avete posto.

  PRESIDENTE. Siamo noi che la ringraziamo, professore, considerato che la sua relazione è molto utile e sarà molto istruttiva per noi.
  Vorrei porre una breve domanda. Personalmente, condivido la sua opinione in ordine alla circostanza che le funzioni di raccordo del Senato non possano essere circoscritte solo a quelle di natura legislativa.
  È chiaro che nel corso delle nostre audizioni e di questa indagine conoscitiva noi ci siamo trovati di fronte alla difficoltà, che è emersa anche da alcune audizioni, di ben comprendere come non sovrapporre, ma integrare, il lavoro del Senato con quello degli attuali sistemi di raccordo, in modo particolare con la Conferenza Stato-Regioni.
  Condivido la sua opinione sulla necessità che in questa legislatura, a seguito dell'entrata in vigore della riforma costituzionale, il Senato provveda ad approvare quella parte attuativa della riforma che riguarda il Regolamento, al di là della questione relativa alla legge elettorale. Pag. 9
  È, infatti, evidente che, per poter consentire al nuovo Senato di entrare subito in funzione, c'è la necessità che questo si doti di un'organizzazione e di regole di funzionamento adeguate al nuovo contesto istituzionale. Infatti, il Regolamento vigente, obiettivamente, per quanto possa essere compatibile, lo è per una parte piccola. Se è così, mi sovviene una domanda. La fonte regolamentare del Senato ci sembra ovviamente la sede privilegiata per affrontare e sciogliere una serie di nodi che sono emersi nel corso della nostra indagine conoscitiva.
  Come è possibile, se è possibile, secondo lei, che, al di là della collocazione fisica e funzionale del «sistema delle conferenze» al Senato, per le ragioni che già sono emerse nel corso delle nostre discussioni precedenti, si possa realizzare la possibilità che vi sia un confronto tra il Senato, durante la discussione parlamentare in questa Camera, e gli esecutivi regionali? C'è la possibilità che nelle eventuali Commissioni che il Senato costituirà o anche con riferimento all'Aula, cioè al plenum del Senato, si immagini una partecipazione del sistema degli esecutivi regionali alla discussione parlamentare in Senato, perché questo possa in qualche modo rafforzare il raccordo e il rapporto tra il Senato e il sistema delle autonomie regionali e locali e, quindi, il Governo centrale e la Camera dei deputati? Questa è un'ipotesi che dobbiamo scartare perché tecnicamente inattuabile o inopportuna dal punto di vista della valutazione di merito?
  Do la parola al professor Nicola Lupo per la replica.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi LUISS «Guido Carli» di Roma. Questa è una domanda assolutamente cruciale. Provo a rispondere subito sul punto chiave. Io non vedo grandi controindicazioni a una partecipazione dei Governi in Senato, nell'ipotesi in cui i Presidenti delle Regioni non siano eletti senatori.
  Ragionando su questa ipotesi, io credo che il Governo debba essere in Senato – ce lo dice la Costituzione già oggi e ce lo ribadisce, anche la Costituzione modificata – e che questo Governo, in realtà, siano le conferenze. Lasciatemi forzare. Il Governo in Senato non è il Governo dello Stato centrale e basta, ma è il Governo dello Stato centrale che matura la sua posizione nelle conferenze.
  Pertanto, non vedo nessun problema, sinceramente, a che questo governo sia rappresentato in Senato, in Commissione e forse anche in Assemblea sia dal Governo centrale sia dall'assessore che coordina il settore per le Regioni.
  Credo che il presidente abbia esperienza in Commissione bilancio qui alla Camera. Io, da funzionario, ricordo che spesso nella Commissione bilancio si affacciavano il rappresentante del Ministro dell'economia e il rappresentante del ministro di settore e davano luogo frequentemente a qualche dialettica, che per fortuna emergeva in Parlamento e, grazie al Parlamento, si scioglieva nel 90 per cento dei casi.
  Io non immagino una dinamica molto diversa in Senato. In Senato il Governo sarà rappresentato dal Governo centrale, che avrà avuto voce in capitolo alla Camera nell'approvazione in prima lettura della legge a prevalenza della Camera dei deputati, mentre in Senato, subito prima o persino in seduta, se il Regolamento del Senato così disponesse, ci sarà la voce delle Regioni o dei Comuni, che potrebbe essere espressa attraverso i senatori.
  Secondo me, sarebbe preferibile un'ipotesi che consenta ai Presidenti o a consiglieri a essi molto vicini di svolgere il ruolo di senatori. Se così non fosse, si potrebbe avere un Presidente di Regione o un assessore che rappresenti, insieme al Governo centrale, la sintesi delle posizioni emerse in sede di conferenza a monte.
  Non riesco a scandalizzarmi, sinceramente, rispetto a dinamiche di questo genere, che anzi, secondo me, sono perfettamente coerenti rispetto alle logiche della forma di governo parlamentare, che è in essere sia a livello centrale sia a livello regionale.
  Colgo un altro spunto dalla domanda del presidente, che mi è parsa molto utile: il riferimento alla fonte regolamentare. Da giurista, mi chiedo fino a che punto può spingersi la fonte del Regolamento parlamentare Pag. 10 nel dire qualcosa su chi rappresenta le Regioni, chi rappresenta i Comuni e quant'altro. Questo è stato anche uno dei problemi, anche se sicuramente non il principale, che hanno ostacolato l'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
  È vero che la fonte del Regolamento parlamentare fatica quando va a regolamentare soggetti che parlamentari non sono, anche se, quando questi soggetti entrano in Parlamento, allora possono essere disciplinati anche con il Regolamento parlamentare.
  Eventualmente, non scarterei a priori il meccanismo degli accordi interistituzionali, che, per esempio in sede europea, giustamente, ha un ruolo rilevante. Un ipotetico accordo interistituzionale che coinvolga tutte le Regioni, il nuovo Senato e in ipotesi anche la nuova Camera e il Governo su queste procedure probabilmente, potrebbe essere uno strumento che integra, dettaglia e arricchisce i contenuti del nuovo Regolamento del Senato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Lupo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.50.