XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Giovedì 21 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione dei professori Stelio Mangiameli e Luciano Vandelli.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Mangiameli Stelio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Mangiameli Stelio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Mangiameli Stelio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8 
Vandelli Luciano , Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8 
Vandelli Luciano , Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Stelio Mangiameli e Luciano Vandelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze», l'audizione di Stelio Mangiameli, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo, e di Luciano Vandelli, professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna.
  Nel ringraziare i presenti per la loro disponibilità, do la parola al professor Mangiameli per lo svolgimento della relazione.

  STELIO MANGIAMELI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo. Grazie, presidente. Ho cercato in modo ordinato di dare una risposta ai sei quesiti che la Commissione bicamerale ha formulato in merito all'indagine conoscitiva sul «sistema delle conferenze».
  Partirei subito dalla prima questione che viene sollevata, cioè in che termini si ritiene che debba essere riordinato l'attuale sistema, tenuto conto dell'assetto istituzionale che la riforma costruisce.
  Il «sistema delle conferenze» ha svolto nel passato diverse funzioni, ma quella più importante, a partire dalla riforma del 2001, è stata rappresentata da una forma di supplenza della rappresentanza territoriale.
  Come è noto, la legge costituzionale n. 3 del 2001 prevedeva un'ipotesi molto particolare per avviare la presenza dei territori in seno al Parlamento, che era determinata dall'articolo 11 e riguardava l'integrazione di questa Commissione con i rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali.
  Quella disposizione, che portò a un certo travaglio subito dopo la sua emanazione, con la costituzione del Comitato Mancino, che all'epoca era anche Presidente del Senato, in realtà non approdò a nulla ed era una soluzione temporanea, perché la stessa disposizione dell'articolo 11 la prevedeva nell'attesa della riforma del Titolo I della parte seconda della Costituzione, cioè del titolo che riguarda il Parlamento.
  La riforma costituzionale in itinere pone rimedio, ma solo in parte, a questa vicenda che ha questo precedente. Da un lato, si attribuisce al Senato la funzione di rappresentanza; dall'altro, l'intero ruolo del sistema territoriale è rivisto al ribasso e non ne viene definito il compito in modo preciso.
  In particolare, uno degli elementi che rimarrà aperto nel sistema costituzionale anche dopo la riforma è quello del cosiddetto «federalismo di esecuzione». Il nostro modello viene riformato dal punto di vista della legislazione, del riparto delle competenze, del ruolo legislativo delle Regioni, ma sul piano dell'amministrazione non vi è un intervento effettivo di riordino Pag. 4né di precisazione di come si debbano svolgere le relazioni amministrative fra le autonomie locali e le Regioni e fra tutte queste, autonomie locali e Regioni insieme, con lo Stato.
  Questo ovviamente si riflette sul Senato e ancor di più sul «sistema delle conferenze». Il sistema, nel complesso, anche dopo la riforma, resterà aperto ai futuri atti legislativi e soprattutto alle prassi istituzionali che possono determinare il vero senso del regionalismo e della rappresentanza territoriale.
  Ciò vuol dire anche che tutto resta nelle mani delle forze politiche e che può mutare con il cambio delle maggioranze: un risultato elettorale diverso porterebbe a un regionalismo diverso.
  In tal senso è rilevante anche la legge sulla composizione del Senato. Sul punto sarà decisiva la precisazione dell'eventuale presenza nel Senato dei Presidenti delle Regioni.
  Se si segue l'evoluzione del testo costituzionale e la sua lettera, questa eventualità dovrebbe essere esclusa e la sua imposizione potrebbe apparire come il primo strappo del nuovo testo costituzionale.
  Depongono in tal senso i lavori preparatori. Come voi sapete, il disegno di legge dell'8 aprile 2014 varato dal Governo riportava una composizione fondata sui Presidenti delle Regioni, mentre nel testo approvato l'8 agosto 2014 dal Senato, che poi è diventato il canovaccio che è arrivato all'approvazione finale, è stato espunto quel riferimento.
  Si aggiunga che l'articolo 57, comma secondo, nel testo novellato, fa riferimento all'elezione con metodo proporzionale. Questo già escluderebbe i Presidenti. Tecnicamente i Presidenti delle Regioni non sono eletti in Consiglio e non sempre ne sono membri (in due Regioni non lo sono).
  Lo stesso vale per il candidato presidente non eletto, a cui spesso la legge elettorale riserva l'ultimo seggio disponibile, sottraendolo alla distribuzione tra i candidati consiglieri per attribuirlo a quest'ultimo come una sorta di ricompensa.
  Vi è un altro elemento molto importante che porterebbe a escludere i Presidenti. Per quanto possa essere importante il rapporto con il rispettivo Consiglio regionale, il loro è un ruolo di governo amministrativo dell'ente Regione.
  Visto e considerato che l'articolo 68 della Costituzione non è stato toccato e che, pertanto, le immunità parlamentari si estendono anche ai futuri senatori consiglieri, appare inappropriato che dette immunità possano coprire chi ha responsabilità di ordine gestionale.
  Inoltre, l'articolo 57, comma sesto, contiene due elementi che escludono i Presidenti. Innanzitutto, in questa disposizione si parla di disciplinare l'ipotesi di sostituzione dei senatori qualora perdano il loro mandato originario di consigliere o di sindaco. Ciò è totalmente incompatibile con la figura del Presidente, perché, se quest'ultimo perde la sua posizione, si scioglie tutto il Consiglio. Di conseguenza, si pone un problema, non di sostituzione, ma di rinnovo, dopo le nuove elezioni del Consiglio regionale e del Presidente, della rappresentanza di quella Regione in seno al Consiglio.
  Il secondo elemento che si desume dall'articolo 57, comma sesto, è che i seggi del Senato vengono attribuiti in ragione dei voti espressi nell'ambito delle elezioni regionali, il che non sarebbe compatibile con l'elezione del Presidente, che è un'elezione distinta da quella dei consiglieri, ancorché avvenga sulla stessa scheda, visto che peraltro c'è il voto disgiunto.
  Nella composizione del futuro Senato le incognite per la rappresentanza derivano inoltre dal numero dei senatori previsti e dalla loro distribuzione.
  Io qui non ho il tempo di entrare nel merito di quest'argomento, però segnalo che il fatto che vi siano dieci Regioni, metà degli enti che devono essere rappresentati in Senato, che hanno solo due senatori, di cui uno deve essere sindaco, crea una situazione poco governabile dal punto di vista della rappresentanza vera e propria del territorio.
  Quanto alla seconda domanda che è incentrata sostanzialmente sui poteri di raccordo del Senato, le funzioni di raccordo sono state sinora carenti nel nostro Pag. 5sistema. Basti pensare alla vicenda dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
  La riforma sembra porvi rimedio. Formalmente al Senato sembrano attribuite due forme di raccordo, una in via esclusiva e una in via concorrente. La prima riguarderebbe il raccordo interno tra i vari enti e lo Stato; la seconda quello con l'Unione europea.
  In realtà, se accediamo a una lettura di tipo sistematico, le funzioni di raccordo non si prestano a essere viste in termini di esclusività e di concorrenza, perché esse sono un'espressione del principio di leale collaborazione e hanno come finalità quella di fluidificare le relazioni istituzionali, al fine dell'esercizio delle rispettive competenze.
  Di conseguenza, il Senato diventa il luogo in cui devono convergere i conflitti irrisolti per trovare una mediazione. Ciò colloca le altre sedi di collaborazione orizzontale e verticale in una posizione privilegiata con il Senato.
  Questo rapporto di coordinamento, questo raccordo funzionale abbraccia più il Governo che non l'altra Camera. Con l'altra Camera il raccordo passa essenzialmente attraverso la funzione legislativa, la cui disciplina (materie e procedimenti) è interamente coperta dalla Costituzione e in parte dai regolamenti parlamentari, mentre con il Governo, nelle funzioni di governo e non in quelle legislative esercitate da quest'ultimo, le relazioni saranno conseguenza dell'articolazione territoriale delle politiche pubbliche e, quindi, il raccordo diventa fondamentale.
  Passo rapidamente alla terza domanda. Il principio di leale collaborazione è immanente all'organizzazione pubblica moderna. Esso discende dal terzo principio della Rivoluzione francese, la fraternité.
  Nei sistemi federali è particolarmente valorizzato nel momento del superamento del principio del cosiddetto «federalismo duale». Si parla di federalismo cooperativo per costruire un sistema di poteri condivisi tra i diversi livelli di governo e un'autonomia che si gioca sui meccanismi di partecipazione piuttosto che di contrapposizione.
  La Corte costituzionale l'ha adoperato, sia nel primo che nel secondo regionalismo, come un principio che consente di incidere sui poteri regionali. Richiamo la sentenza n. 303 del 2003 e la n. 6 del 2004, che sono ben note a tutti.
  In questo modo, il principio di leale collaborazione ha espresso una tendenza alla gerarchizzazione dei rapporti tra Stato e Regioni. Il principio di leale collaborazione è stato adoperato come strumento per limitare l'effetto e anche le sue ricadute sul versante dell'amministrazione. Si è quindi tentato di temperare la gerarchizzazione con la presenza del principio di leale collaborazione. Ciò nonostante, la collaborazione ha assunto un carattere coercitivo, ossia c'è collaborazione, ma alle condizioni dettate dal Governo.
  È importante ricordare che l'esercizio del potere di influenza diventa indebito con il passaggio dal punto di pressione alla costrizione vera e propria e cessa di essere un incentivo per diventare una coercizione.
  Questo enunciato è espresso dalla giurisprudenza della Corte suprema americana, in una celebre sentenza del 1937, e si deve alle parole di un celebre giudice della Corte suprema, che è Cardozo. La sentenza è famosa perché è una delle sentenze cardine del new deal e del federalismo cooperativo americano.
  Il nuovo riparto delle competenze legislative non è duale, ma – attenzione – non è neppure collaborativo; consolida la legislazione della crisi e, quindi, la gerarchizzazione.
  Il problema non è la clausola di supremazia, che è scritta in modo tale che o non funziona o, se funziona, determina una serie di limiti a carico dello Stato, per cui quest'ultimo a volte potrebbe preferire persino rinunciare a tentare di esercitare la supremazia.
  Il problema sono gli atteggiamenti del riparto che sono stati inclusi nel secondo e nel terzo comma dell'articolo 117. In particolare, nel terzo comma dell'articolo 117 per un verso si ampliano e si definiscono con un certo dettaglio le competenze legislative Pag. 6 delle Regioni, ma per altro verso tutte le competenze regionali vengono circoscritte come competenze di ambito locale, con grosse limitazioni di tipo territoriale. Al contrario, le competenze del secondo comma sembrano attribuire tutto allo Stato, ma guardando attentamente in molti punti quelle competenze esclusive statali sono aperte a un riparto determinato di volta in volta dalla legge dello Stato che disciplina la materia.
  Il ruolo del principio di collaborazione, perciò, si proietta tutto sull'amministrazione e dipende dal comportamento dello Stato.
  Il controllo del Senato sulla legislazione sottrae effettivamente qualcosa alle conferenze, ma poi dirò anche come è possibile recuperare. Utile sarebbe un rapporto sinergico da questo punto di vista tra il Senato e le conferenze.
  Presidente, mi interrompa quando lo ritiene opportuno, perché io, seguendo ordinatamente le vostre questioni, ho cercato di cogliere tutti i punti particolari, però, se avete un problema di tempo, posso anche rinviare...

  PRESIDENTE. Noi avremmo piacere di ricevere una sua memoria...

  STELIO MANGIAMELI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo. Posso rinviare a un testo scritto, anche se l'effetto dell'audizione...

  PRESIDENTE. Non c'è alcun dubbio.

  STELIO MANGIAMELI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Teramo. Comunque, veniamo al «sistema delle conferenze» vero e proprio, su cui vorrei soffermarmi.
  La premessa è che, non essendo chiaro qual è il valore del regionalismo nella nostra forma di Stato, resta difficile valutare il ruolo di uno strumento importante della collaborazione quale il «sistema delle conferenze».
  Tenete conto che la mia valutazione da questo punto di vista è che gli Stati contemporanei, in particolare quelli europei, si stanno rimodellando al loro interno come centri di affari della globalizzazione e da questo derivano una serie di conseguenze a cascata. Ebbene, a giudicare dalla tendenza, che è avversa allo stato sociale e alla democrazia, il regionalismo può valere tanto come può non valere alcunché.
  Siamo all'inizio di una nuova era. Nei sistemi federali ordinati le conferenze sono importanti, perché sussiste il federalismo di esecuzione.
  Nel nostro ordinamento non se ne parla, anzi la legge Madia, di riforma dell'amministrazione dello Stato, sembrerebbe andare in una direzione opposta.
  Le conferenze svolgono essenzialmente due compiti: realizzano la collaborazione orizzontale, quella che gli americani chiamano «compact», e limitano i guasti del potere centrale, assumendo una tutela più intensa della popolazione.
  La loro forza è determinata, però, nei sistemi federali ordinati, dal potere fiscale degli Stati membri, quali i Länder, e dalla circostanza che la classe politica di questo livello di governo si pone in competizione con quella federale.
  Queste due condizioni nel caso italiano non ci sono: non c'è fiscalità regionale e nemmeno locale e la classe politica di spicco delle Regioni non si pone in competizione con quella nazionale, anzi ne è una diretta emanazione. Addirittura abbiamo personalità che dal livello nazionale sono prestate al livello regionale.
  In Italia, perciò, mancano sia l'uno che l'altro elemento. Ciononostante, si possono realizzare entrambi gli aspetti considerati. La questione, però, non è più istituzionale e non riguarda il testo della riforma, ma diventa una questione di sistema politico.
  Le conferenze farebbero bene a trovare un riconoscimento nelle procedure del Senato, per il tramite del Regolamento. Eventuali disposizioni legislative in tal senso potrebbero agevolare il loro inserimento nel sistema Senato.
  Anche per questo motivo, è pragmaticamente più utile che i Presidenti che siedono in conferenza non siedano in Senato. La presenza in entrambi potrebbe indebolirli, Pag. 7 portando all'irrilevanza delle conferenze e alla loro soppressione.
  Il raccordo del Senato con le conferenze potrebbe dare continuità a quelle azioni che iniziano in conferenza, ma rispetto alle quali le obiezioni delle Regioni non riescono ad andare oltre.
  Penso in modo particolare all'iniziativa legislativa del Governo, che viene discussa in Conferenza Stato-Regioni. In seguito, il Governo presenta il suo disegno e le obiezioni eventualmente sollevate dalle Regioni muoiono. In un rapporto sinergico tra il Senato e le conferenze, le obiezioni fatte in sede di conferenza potrebbero tornare utili in sede di attività del Senato.
  Sarebbe auspicabile che, nell'interpretare un nuovo riparto delle competenze, il Governo e il Parlamento facessero assumere alle politiche territoriali un carattere regionale e locale. Questa scelta richiederebbe di ricalibrare le procedure di negoziazione tra lo Stato e le Regioni, prevedendo procedure paritarie e non coercitive, dove anche il tema delle risorse deve essere razionalizzato adeguatamente.
  Tuttavia, occorre fare attenzione: se le politiche non vengono territorializzate, cosa che può accadere e che accade, le conferenze saranno ugualmente chiamate a un ruolo di negoziazione inedito, in quanto le Regioni o cessano di rappresentare i territori o dovranno assumere iniziative alternative alle politiche nazionali per tutelare i loro territori.
  In questo caso, saranno necessarie procedure che realizzino, nell'ambito della sussidiarietà, il cosiddetto «principio di prossimità», che viene attuato dalle amministrazione locali. Lo Stato, cioè, non può impedire ai cittadini di provvedere ai propri bisogni, se non vi provvede esso stesso.
  La quinta domanda contiene tre quesiti e io vorrei dare tre risposte molto secche. La prima riguarda le criticità nel funzionamento attuale del sistema. La criticità principale è che il «sistema delle conferenze» dipende integralmente dal Governo e non ha acquisito una sua autonomia.
  In secondo luogo, si chiede quali misure possono essere adottate per rendere più efficaci i processi decisionali e assicurare la trasparenza. Una misura fondamentale che aumenta efficacia e trasparenza è data da procedure che portano ad atti, sia intese che accordi, che non determinano imposizioni, ma distribuiscono compiti e realizzano piani nazionali attraverso le Regioni.
  L'idea è che lo Stato faccia la programmazione, ma che a realizzare questi piani siano i territori. Questo consentirebbe di parlare di best practice e di Regioni benchmark.
  Le misure sostitutive, che pure sono previste nella Costituzione, e quelle fiduciarie vanno assunte in sede diversa dalle conferenze, anche con l'apporto regionale, ma di diverso tipo.
  Infine, all'ultima domanda del quinto quesito (quali strumenti potrebbero consentire una valorizzazione del «sistema delle conferenze») la risposta è alquanto semplice: la pianificazione strategica potrebbe consentire una valorizzazione del «sistema delle conferenze», che è quello che finora tutti i vari Governi che si sono susseguiti non hanno mai fatto.
  L'ultima domanda è sulla Conferenza delle assemblee elettive. Io mi sono accorto alla fine che avevate fatto questa distinzione, mentre io consideravo tutte le conferenze nel loro insieme. Comunque, su questo vorrei dire due cose soltanto.
  Questa è stata sinora l'unica vera forma di collaborazione orizzontale del sistema regionale. Il paradosso di questa Conferenza è che le assemblee elettive regionali fanno parte del circuito di verifica della sussidiarietà europea – peraltro, questo compito è attribuito loro dai trattati europei – ma non potevano sinora controllare la sussidiarietà interna, che li espropriava della competenza legislativa, grazie alla giurisprudenza della Corte costituzionale.
  Il loro inserimento nel Senato è peculiare per travasare le esperienze maturate nei consigli, che sono tre. La prima è quella dell'Europa, che funziona benissimo, ma non ho il tempo di illustrare. La seconda è il monitoraggio delle politiche pubbliche, perché ormai da vent'anni le Regioni inseriscono nelle loro leggi le clausole di monitoraggio. Un terzo elemento spesso trascurato è che molte soluzioni legislative Pag. 8innovative sono state pensate prima a livello regionale e poi a livello statale. Ciò agevolerebbe questo passaggio. Vale quanto detto sinora per quanto riguarda il Regolamento e le disposizioni di legge, tenendo conto del modello della legge n. 234 del 2012.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do la parola al professor Luciano Vandelli per lo svolgimento della sua relazione.

  LUCIANO VANDELLI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna. Grazie, signor presidente. Quanti minuti ho?

  PRESIDENTE. Il tempo che le serve, professore.

  LUCIANO VANDELLI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università di Bologna. Cercherò comunque di essere sintetico, perché mi pare che il tempo sia piuttosto ristretto, anche se non vorrei evitare di fare qualche riflessione sul sistema complessivo che si sta prospettando, sul senso di fondo, sugli obiettivi che si perseguono e sugli effetti che si possono ottenere con un Senato delle autonomie.
  A mio avviso, i dati di fondo sono due. Il primo riguarda l'equilibrio tra ciò che deve rimanere omogeneo sull'intero territorio nazionale e ciò che opportunamente deve essere differenziato. Anche in queste audizioni si è osservato giustamente che in questa fase storica la differenziazione riscuote forti resistenze. Questo non avviene soltanto in Italia, ma ci sono tendenze diffuse al riaccentramento delle competenze.
  In realtà, il problema italiano è che l'equilibrio tra l'unitarietà dei princìpi, delle regole e dei diritti da garantire a tutti i cittadini e la differenziazione che riflette le peculiarità dei territori non ha mai funzionato. Non ha funzionato, come è noto, dopo la riforma del 2001, ma non ha funzionato nemmeno rispetto alle aspettative dei costituenti del 1947.
  Accenno appena al tema e cerco di spiegarlo. Le aspettative erano del tutto diverse. Per fare un solo esempio, secondo i costituenti da lì a poco si sarebbero elaborati grandi princìpi e immediatamente sarebbero state le Regioni a sviluppare l'innovazione dell'ordinamento, applicando quei servizi. Il governo del territorio avrebbe dovuto avere questa sorte. Invece, siamo rimasti con la legge urbanistica del 1942 e la disciplina urbanistica è stata frammentata in una serie di interventi episodici.
  Facciamo fatica a capire ciò che tiene insieme il sistema generale nazionale e ciò che serve ai territori.
  Passo alla seconda considerazione. A cosa serve la presenza in Parlamento dei rappresentanti delle Regioni, che pure hanno i poteri legislativi, e dei Comuni? A mio avviso, la funzione di questa presenza è creare un circuito virtuoso tra la sede dove le grandi regole unificanti si elaborano e si producono e i territori dove queste regole vengono sviluppate, attuate e implementate.
  Questo è un circuito che finora è mancato ed è fondamentale. Questo dà senso alla presenza degli stessi sindaci, che sono enti che non hanno poteri legislativi, ma sono il terminale avanzato dell'applicazione, dell'attuazione e dello sviluppo delle norme.
  Per quanto riguarda il ruolo delle conferenze in tutto questo, credo che sia netta, nel nuovo disegno costituzionale, una diversa vocazione, proiettata evidentemente sul versante legislativo del Senato e sul versante amministrativo e tecnico delle conferenze.
  Il tema è già stato notato, ma vorrei riportare qualche dato sul reale funzionamento delle conferenze. Nel 2015 la Conferenza si è riunita 28 volte, ma le commissioni si sono riunite 175 volte e ci sono state 183 riunioni dei coordinamenti tecnici interregionali e 129 riunioni di confronto tecnico con le amministrazioni.
  Nella grandissima parte del loro lavoro, le conferenze funzionano come motore della connessione tecnica e amministrativa puntuale del sistema amministrativo statale con il sistema amministrativo regionale e locale. È vero che c'è una percentuale, peraltro limitata, di questioni di grande Pag. 9respiro per le autonomie e per la legislazione statale, ma questa è davvero da ricollegare, come dice la Corte costituzionale, a quella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari. Potremmo dire che la Conferenza in questa fase ha assunto una funzione supplente impropria rispetto al disegno complessivo degli equilibri tra i vari soggetti.
  La Corte costituzionale ha escluso l'attività legislativa dalle procedure di leale collaborazione, ma qui abbiamo un nuovo impianto. Abbiamo una collaborazione che, attraverso il Senato, si svolge sul piano legislativo e una collaborazione di rango amministrativo, tecnico e gestionale.
  Per quanto riguarda il livello legislativo è già stato detto molto. Un problema che è stato sollevato in questa sede è la sorte della legislazione delegata. A mio avviso, concentrare nel Senato i pareri sui decreti legislativi mi pare non soltanto coerente rispetto al rango formale della fonte, ma anche opportuno, particolarmente in una fase in cui sono precisamente i decreti delegati a definire le discipline puntuali di riforme di grandissimo rilievo. Ovviamente il richiamo è alle numerose deleghe previste dalla legge n. 124 del 2015, al codice degli appalti e a molte altre riforme che procedono attraverso legislazione delegata, spesso in un quadro alquanto aperto di princìpi e criteri direttivi che sono stabiliti dal legislatore.
  La riserva al Senato del parere sugli schemi delegati, peraltro, può evitare ipotesi contrastanti tra gli orientamenti adottati dal Senato nell'esaminare il decreto e quelli eventualmente mantenuti in capo alle conferenze. Ci possono essere attriti che, a mio avviso, è meglio evitare. Del resto, nell'emanazione dei pareri di propria competenza, le Commissioni del Senato possono opportunamente avvalersi del contributo della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, in caso affiancata dagli apporti delle autonomie locali.
  Non mi pare che ci siano dubbi, invece, per quanto riguarda la partecipazione del «sistema delle conferenze» alla formazione dei regolamenti di competenza dello Stato, destinati, nel contesto del nuovo sesto comma dell'articolo 117, a riprendere spazi finora preclusi.
  La composizione del Senato e l'effettiva capacità di rispondere alle domande che adesso si pongono nel nuovo sistema dipenderà in larga misura dalla legge elettorale e dall'atteggiarsi della prassi. Queste dovranno puntare a conferire al Senato, a mio avviso, il più elevato livello di autorevolezza.
  Ribalto il ragionamento dell'amico Stelio Mangiameli: secondo me, è estremamente importante che partecipino i Presidenti. I Presidenti rappresentano l'intera Regione, sono normalmente membri del Consiglio, sono motore sostanziale dell'iniziativa legislativa, sono i più efficaci testimoni del funzionamento delle leggi e, dunque, i più competenti portatori delle esigenze di correzione e di innovazione, in quel circuito tra applicazione delle regole e loro correzione e rinnovamento.
  Quest'ultimo accenno si riferisce naturalmente alla presenza, pur minoritaria, dei sindaci. Il fatto che l'individuazione del sindaco, che rappresenta il livello di prossimità, sia affidata al Consiglio regionale può dar luogo alle scelte più diverse, ma certamente non gioverebbe all'autorevolezza del Senato la mancanza dei sindaci dei capoluoghi più rilevanti.
  D'altra parte, l'opportunità di prevedere la presenza in Senato di persone titolari di funzioni assai impegnative – quindi, l'ambizione funzionale – induce a riflettere anche sulle modalità di organizzazione e di funzionamento del Senato, che, nonostante le ristrettezze dei tempi (dieci giorni e poi trenta giorni) per deliberare le proposte di modifica, dovrebbero consentire di rendere operativamente compatibili i lavori parlamentari con le occupazioni istituzionali della carica rivestita.
  Ho avuto qualche occasione di contatto con il Senato francese, nel quale operano titolari di cariche molto rilevanti, come sindaci di grandi città o Presidenti di Regione. Hanno un equilibrio e una capacità di gestire entrambe le funzioni, con un'ottima organizzazione e un'ottima preparazione dei testi e dei lavori. Credo che siano portatori di una competenza particolare. Pag. 10
  D'altra parte, io sono stato in Conferenza dal 2000 al 2005 come coordinatore degli affari istituzionali. L'impegno che in quella fase i presidenti hanno dedicato alla Conferenza era spesso di due volte al mese o talvolta tre, e ogni volta ci si fermava a Roma più giorni. Il mio presidente Errani è stato contemporaneamente Presidente della Conferenza, amministratore molto impegnato e commissario straordinario al terremoto. Secondo me, il problema è organizzare. È un aspetto puramente operativo. È stata fatta questa obiezione, quindi tratto anche questo aspetto operativo, perché può essere utile.
  Per quanto riguarda il funzionamento delle conferenze, io credo che, una volta che sarà fortemente proiettato sul versante amministrativo e gestionale, la presenza dei Presidenti possa essere limitata ai casi di maggior rilievo. La gran parte dell'attività funziona attraverso commissioni tecniche e commissioni di assessori.
  Invece, per quanto riguarda la riforma del funzionamento, che è uno dei quesiti, credo che occorrano una maggiore bilateralità e una maggiore facoltà delle Regioni di incidere sull'ordine del giorno e sulle istruttorie tecniche. Credo che sarebbe utile anche prevedere un vicepresidente espresso dalle autonomie, che possa concertare con il Presidente i lavori e l'ordine del giorno.
  Per ciò che concerne le Assemblee regionali, io credo che la scelta di fondo della riforma costituzionale sia proprio quella di immedesimarle nel Senato. La scelta contenuta nel testo è di non inserire di diritto i Presidenti, il che non toglie, perché non c'è nessuna preclusione, che le Assemblee stesse possano mandare il proprio presidente, tenendo conto delle espressioni dell'elettorato, secondo quanto previsto dall'integrazione che è stata fatta da ultimo dal Parlamento.
  A mio avviso, soprattutto nel caso delle Regioni di maggiore consistenza nella propria rappresentanza, il Presidente esprime il punto di riferimento di una delegazione che comunque sarà più ampia e sarà espressione dell'assemblea.
  In ogni caso, nonostante ci sia questo stretto raccordo tra le assemblee e la composizione del Senato, io credo che il Senato e le sue articolazioni possano operare utilmente avvalendosi della collaborazione della Conferenza delle assemblee legislative.
  Mi fermo qui, presidente. In seguito vi invierò un testo.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, professore. È gradito un contributo scritto per i nostri lavori, anche ai fini della stesura del testo finale del documento.
  Non ci sono colleghi che intendono intervenire. Credo che le relazioni siano state più che complete ed esaustive. Ringrazio i professori per il contributo importante che hanno dato ai lavori di questa Commissione e all'indagine conoscitiva in corso.
  Colleghi, ricordo che giovedì 28 aprile si svolgerà l'audizione dei rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.
  Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.