XVII Legislatura

XIV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 30 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tancredi Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE E L'EFFICACIA DELLE POLITICHE DELL'UE IN ITALIA

Audizione del professor Gianfranco Viesti, ordinario di economia applicata presso la facoltà di scienze politiche dell'Università di Bari.
Tancredi Paolo , Presidente ... 3 
Viesti Gianfranco , Ordinario di economia applicata presso la facoltà di scienze politiche dell'Università di Bari ... 3 
Tancredi Paolo , Presidente ... 14 
Buttiglione Rocco (PI)  ... 14 
Occhiuto Roberto (FI-PdL)  ... 15 
Tancredi Paolo , Presidente ... 17 
Viesti Gianfranco , Ordinario di economia applicata presso la facoltà di scienze politiche dell'Università di Bari ... 17 
Tancredi Paolo , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLO TANCREDI

  La seduta comincia alle 15.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Gianfranco Viesti, ordinario di economia applicata presso la facoltà di scienze politiche dell'Università di Bari.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione e l'efficacia delle politiche dell'Unione europea in Italia, l'audizione del professor Gianfranco Viesti, ordinario di economia applicata presso la facoltà di scienze politiche dell'Università di Bari.
  Do il benvenuto al professor Viesti a nome della XIV Commissione e del presidente Bordo, che purtroppo per un impedimento improvviso non è oggi presente e mi ha pregato personalmente di rivolgerle i suoi più cari saluti.
  Questo incontro segue l'audizione svoltasi lo scorso 16 luglio del professor Perotti, che ci ha esposto le sue ipotesi sull'utilizzo dei fondi strutturali.
  Il tema in discussione, sul quale si è aperto un dibattito sui mezzi di informazione a cui ha preso parte anche il professor Viesti, ci sta particolarmente a cuore e riguarda la qualità e l'efficacia della spesa cofinanziata dai fondi strutturali e di investimento.
  Abbiamo necessità di approfondire le cause che sino a oggi hanno impedito al nostro Paese di avvalersi fino in fondo delle risorse della politica di coesione e di comprendere quali sono stati i ritardi accumulati e come mai non riusciamo a spendere fino in fondo i soldi che l'Unione europea mette a disposizione del nostro Paese.
  Do la parola al professor Viesti per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANFRANCO VIESTI, Ordinario di economia applicata presso la facoltà di scienze politiche dell'Università di Bari. Nel ringraziarvi per l'invito, tengo a sottolineare la rilevanza dell'indagine conoscitiva in corso, che verte su una politica relativamente poco conosciuta, ma che ritengo sia la più importante politica di sviluppo, quanto a dotazione finanziaria, che si realizza oggi nel nostro Paese.
  Allo stesso tempo, la politica di coesione è la più importante politica messa in atto dall'Unione europea. Sappiamo che copre circa un terzo del bilancio dell'Unione europea, rappresentando il principale strumento che i 28 Paesi hanno adottato per raggiungere alcuni dei propri obiettivi.
  Peraltro, si tratta della politica europea più consolidata, disponendo di proprie regole, di una propria esperienza e di una propria strumentazione molto rodata, che è molto importante e che di solito nel nostro paese viene un po’ trascurata.
  Recentemente sono stato in America latina a un foro intergovernativo sulle politiche di sviluppo regionale, che lì adesso sono al centro dell'attenzione, essendo legate ai processi di democratizzazione Pag. 4e di decentramento. Le politiche dell'Unione europea sono il punto di riferimento per alcuni Paesi molto importanti, come il Brasile e il Messico.
  D'altra parte, queste politiche, come forse molti ricorderanno, sono state varate nel 1989, su iniziativa dell'allora Presidente della Commissione Jacques Delors e anche su impulso di Tommaso Padoa Schioppa.
  Si temeva allora che con il mercato unico e l'integrazione comunitaria l'Europa potesse non costituire un bene per tutti e che, in particolare, i vantaggi sarebbero arrivati soltanto ad alcune aree, ad alcuni Paesi e ad alcune imprese dell'Europa, con il manifestarsi di fenomeni di polarizzazione.
  La politica di coesione veniva ritenuta allora come il principale complemento ai processi di integrazione e di liberalizzazione comunitaria. Oggi questa politica è ancora più importante. Come tutti sappiamo, l'introduzione dell'euro, la crisi internazionale e le nuove regole di bilancio stanno rendendo ancora più dispari lo sviluppo all'interno dell'Unione europea. Lo sappiamo bene da italiani. Ci sono delle grande differenze tra Stati e tra regioni. Dunque, queste politiche rappresentano il principale antidoto al fatto che dall'Europa traggono beneficio soltanto alcuni Paesi europei.
  Inoltre, questa politica è esattamente quanto sta chiedendo il nostro Paese. Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, prima il Governo Monti, poi il Governo Letta e infine il Governo Renzi, hanno ripetutamente chiesto all'Unione europea di aumentare lo sforzo di investimento nei singoli Paesi membri e, in particolare, di incrementare lo sforzo di investimento infrastrutturale dell'Unione europea.
  La cosiddetta «clausola degli investimenti», che tenderebbe a escludere tali risorse dal computo dei parametri del deficit e del debito pubblico, posta dall'Italia in molte occasioni con qualche successo, sia nel Consiglio del dicembre 2012 che nell'ultimo Consiglio di fine giugno scorso, chiede proprio che venga esclusa anche la parte di cofinanziamento nazionale delle politiche di coesione dal calcolo del deficit.
  Parliamo dunque di una politica molto importante e allo stesso tempo di una politica che nel nostro Paese è oggetto di una comunicazione – se posso permettermi – molto sciatta e disinformata. Naturalmente i meccanismi di comunicazione hanno le loro regole, per cui possono esserci al riguardo problemi di interpretazione o interessi legittimi a che questa politica si metta in atto o meno. Infatti, soprattutto in un periodo in cui le risorse sono scarse, se una politica non si mette in atto, se ne intraprendono altre e, quindi, chi non è beneficiario di quella politica è ben contento che non si operi in tal modo.
  Vorrei subito spazzare via il dubbio di coloro che ritengono che l'Italia paga all'Unione europea più di quanto riceve. Questo ragionamento, diffuso nell'ultimo periodo, è un ragionamento contabile, nel senso che è basato sul calcolo dei versamenti che ciascun Paese fa all'Unione Europea in base alle regole comunitarie e al calcolo ex post, come si dice in economia, ovvero effettuato alla fine di ogni anno, in relazione alla quantificazione della spesa comunitaria.
  È tuttavia un ragionamento senza alcun senso economico, perché questi pagamenti e questi incassi non sono delle transazioni per la singola misura. Ci potremmo tenere i soldi e effettuarle per conto nostro. Questi pagamenti e questi incassi rappresentano le regole del club europeo e sono dunque legati all'essere membri dell'Unione europea.
  Occorre considerare anche i vantaggi che derivano dall'essere membri dell'Unione europea, soprattutto per le nostre imprese, e che derivano dal mercato unico, dal commercio, così come dallo sviluppo dei Paesi dell'Europa orientale.
  I Paesi dell'Europa orientale sono beneficiari netti, cioè ricevono più di quanto pagano. È giusto che sia così, perché hanno un livello di reddito più basso. Tuttavia, i pagamenti europei a questi Paesi danno vantaggi anche a noi, cioè ai Pag. 5Paesi pagatori, perché aumentano la domanda e, quindi ci permettono di esportare i nostri beni.
  Insomma, si può essere legittimamente a favore o contro l'Unione europea, ma se siamo a favore dell'Unione europea, questi pagamenti rappresentano, non un calcolo contabile, ma la traduzione in pratica dell'essere membri di un'unione.
  Perché noi siamo membri dell'Unione Europea ? Per molti motivi ideali e politici, ma anche per motivi economici. Infatti, ci conviene moltissimo. Recentissimi studi sul Regno Unito hanno mostrato senza dubbio che qualora quel Paese uscisse dall'Unione europea ne riceverebbe un danno enorme. Sono questi vantaggi e questi danni che vanno comparati ai contributi che noi versiamo.
  Per quanto attiene alla politica di coesione o dei fondi strutturali, rilevo che si tratta di una politica molto complessa, perché prevede interventi di risorse pubbliche in una vasta gamma di aree di investimento. Si tratti di investimenti infrastrutturali, o di investimenti nelle risorse umane, attraverso l'istruzione o la ricerca scientifica, si tratta sempre di spesa per investimento e non di spesa corrente.
  Come tutti noi sappiamo, le regole comunitarie fanno sì, per molti buoni motivi, che ai denari che ci vengono da Bruxelles ciascuno Stato debba aggiungere propri denari per cofinanziare queste politiche.
  La domanda che occorre porsi è: queste politiche sono utili ? La risposta è che sono certamente utili, perché hanno innanzitutto un effetto di breve termine, quando questi denari sono spesi e provocano un effetto di sviluppo delle attività economiche, ma soprattutto hanno un effetto nel lungo termine, nel momento in cui le attività entrano in funzione, creano nuovi servizi e, quindi, un miglioramento della qualità della vita per i cittadini o della competitività delle imprese.
  Nel primo momento si paga l'installazione di nuovi binari e il fatto che si spenda in binari sostiene l'economia. Naturalmente i binari si posano affinché su questi binari circolino dei treni. Quando i treni possono circolare sui binari, si ottiene un miglioramento dei servizi disponibili per i cittadini e per le imprese.
  Sono quindi politiche che, come tutte le politiche di investimento, richiedono tempo perché i loro effetti siano misurati. Queste misurazioni sono compiute sotto l'egida comunitaria da una serie di istituzioni piuttosto prestigiose che partecipano ai lavori della Commissione europea.
  Circa dieci giorni fa la Commissione europea ha presentato la sesta relazione periodica sulla coesione, per la quale sono stati necessari circa due anni di lavori preparatori e che conferma questi dati. Per esempio, ci dice che con la programmazione 2014-2020 il PIL dell'Italia centro-settentrionale dovrebbe crescere dello 0,1 per cento all'anno e il PIL dell'Italia centromeridionale dovrebbe crescere dello 0,2-0,3 per cento all'anno.
  Questi risultati naturalmente sono parametrati alla dimensione di questi fondi e alla dimensione delle economie. I dati che ho citato, per Paesi come quelli baltici, che sono Paesi molto piccoli nei quali le risorse comunitarie sono più ampie, sono alcuni punti percentuali di crescita.
  Naturalmente i risultati più tangibili si possono vedere andando a esaminare area per area dove questi fondi intervengono di più. La stessa Commissione europea segnala, nella citata relazione, pubblicata circa dieci giorni fa, che negli ultimi anni in Italia sono aumentati di circa un milione i cittadini che dispongono di nuovi servizi di depurazione, ed è aumentato di circa un milione il numero di cittadini italiani connessi alla banda larga. Sono stati inoltre creati circa 47.000 posti di lavoro, naturalmente un numero molto limitato, ma che deve tenere conto degli anni in cui queste politiche sono state fatte; e, infine, sono state avviate 4.000 nuove imprese.
  Molto interessanti per l'Italia sono i dati relativi alla raccolta differenziata. Nel Mezzogiorno negli ultimi sette anni è passata dal 10 per cento al 24 per cento. Buoni risultati si sono registrati anche nella scuola.Pag. 6
  I numeri sono tuttavia molto bassi. In un paese di 60 milioni di abitanti, un milione di abitanti in più è connesso alla banda larga e ciò dipende dalla circostanza che questi fondi, pur essendo rilevanti, rispetto alle dimensioni dell'economia italiana sono relativamente contenuti, considerata anche la circostanza che ci vuole tempo per valutarne gli effetti.
  Questo, però, dipende anche da un'altra circostanza interessante e politicamente molto sensibile che voglio sottoporre all'attenzione di questa Commissione: le politiche comunitarie sono per loro principio addizionali rispetto alle politiche che ciascun Paese fa nel proprio territorio. I soldi comunitari si devono, quindi, aggiungere alle risorse già destinate da ciascuno Stato membro per realizzare le stesse politiche. Ne rafforzano, dunque, l'impatto, perché si aggiungono a quelle altre.
  Questo è un tema molto importante e sensibile, perché ha a che fare con la distribuzione territoriale delle risorse. Vi è ampio consenso sulla circostanza che questa addizionalità nel nostro Paese non è verificata, nel senso che le politiche comunitarie si sostituiscono a spesa ordinaria, nazionale e regionale. È possibile affermarlo sulla base di documenti ufficiali e delle verifiche intermedie che si fanno sull'addizionalità.
  Non è solo il caso dell'Italia ma ciò avviene anche in altri Paesi. Tende ad avvenire di più in Paesi, come l'Italia e la Germania, nei quali queste politiche sono più intense in alcune aree rispetto ad altre. In Paesi, come era la Spagna di un tempo o come è oggi la Polonia, questa addizionalità di per sé è garantita, perché le politiche coprono l'intero territorio nazionale.
  Naturalmente ciò si può affermare anche perché, nonostante vi sia un grande sforzo di investimento comunitario, il totale degli investimenti pubblici che si realizzano, per esempio, nelle aree del Mezzogiorno negli ultimi anni è in significativa flessione, come dimostrano i dati ufficiali del Dipartimento per le politiche di coesione.
  Allo stesso tempo, sappiamo che il principale braccio nazionale di intervento che avrebbe dovuto accompagnare e precedere il braccio comunitario, che è quello che all'epoca si chiamava FAS (Fondo Aree sottoutilizzate 2007-2013), in realtà è stato estremamente ridotto rispetto alla sua dimensione iniziale e, quindi, le politiche comunitarie hanno finito per sostituire politiche nazionali.
  Dunque, nella valutazione degli effetti di queste politiche non si può che tenere conto di questa circostanza, ovvero della loro dimensione e del fatto che sono sempre meno accompagnate da politiche nazionali.
  Naturalmente una domanda inevitabile ed insieme opportuna è quella relativa alla qualità di queste politiche. Date le circostanze che ho sommariamente richiamato sulla quantità delle risorse, la domanda che tutti gli italiani giustamente si pongono è se queste risorse sono indirizzate in modo adeguato e soprattutto se sono spese in maniera positiva su progetti di qualità.
  Ritengo che per tutte le politiche pubbliche i cittadini e ancor più i rappresentanti politici hanno ogni diritto di sapere come vengono spese le risorse e anche di avere conto dei risultati che con queste risorse si ottengono.
  Il tema della valutazione della qualità delle politiche è particolarmente sentito nel caso delle politiche in questione, cioè dei fondi comunitari e dei fondi strutturali, perché questi fondi sono sempre accompagnati da intense attività di valutazione preliminare, cioè ex ante, o successiva, a diversi livelli: a livello di insieme o a livello di specifiche misure.
  Pertanto, sono davvero sorpreso che ci sia chi sostiene che queste politiche non vengono valutate. Mi piacerebbe di più che si sostenesse che bisogna valutare anche le altre politiche pubbliche italiane, dato che, a mio personale avviso, è giusto che i deputati e i cittadini sappiano l'effetto che hanno le politiche sanitarie piuttosto che le altre politiche.
  Queste sono politiche oggetto di intensa valutazione. Non è sicuramente questo l'ambito nel quale passare in rassegna Pag. 7queste attività di valutazione. Ho recentemente visto un'ottima valutazione del fondo sociale degli ultimi anni nelle regioni Toscana e Sardegna, che è un esempio di buona valutazione. Come sempre, possono esserci buone e cattive valutazioni.
  Cito soltanto un dato, che mi sembra significativo: una delle valutazioni delle politiche di coesione in Italia, realizzata dal professor Guido Pellegrini dell'Università La Sapienza di Roma e da altri suoi colleghi, ha vinto la settimana scorsa il Martin Beckmann Award, che è un premio che viene dato al miglior studio di tutto il mondo sulle politiche regionali da parte dell'Associazione mondiale di scienze regionali, premio che verrà consegnato al professor Pellegrini prossimamente.
  Non è certamente compito mio difendere le attività di valutazione, ma, nella mia qualità di professore universitario e per quanto mi sono occupato della questione, mi sento onestamente di dire che mi sembra priva di riscontro l'affermazione che queste politiche non vengono valutate o vengono valutate male. Naturalmente molto più opportunamente di me potrebbero rispondere di questo le autorità italiane competenti al riguardo. Esiste un'unità di valutazione degli investimenti pubblici presso il Dipartimento per la coesione che ha una lunga esperienza, e potrebbe eventualmente presentare i dati di queste valutazioni.
  C’è però un punto che credo possa interessare alla Commissione, cioè che con queste politiche in realtà noi non facciamo cose nuove. Molto spesso quello che facciamo è aumentare il finanziamento su politiche ordinarie fatte dal nostro Paese. Con i fondi strutturali nel campo ferroviario non si fanno ferrovie a lievitazione o teleferiche, ma si aggiunge finanziamento alle opere che RFI, il Gruppo Ferrovie dello Stato, normalmente realizza.
  Dunque, occuparsi dei risultati ottenuti da queste politiche significa occuparsi in generale della qualità delle politiche pubbliche nel nostro Paese. Questo è un argomento molto importante e molto interessante, soprattutto in un periodo, come l'attuale, di risorse molto scarse, nel quale le risorse devono essere allocate presso le destinazioni migliori e più utili.
  Quello che voglio dire è che queste politiche sono più che altro una lente che ci permette di vedere forze e debolezze del nostro Paese nel campo delle realizzazioni infrastrutturali, delle attività di ricerca e delle attività di istruzione, che sono un problema in sé.
  Spesso si tende a dire che la qualità di queste politiche è bassa, come se fossero altro rispetto alle politiche pubbliche in generale del nostro Paese. Non è così: nella stragrande maggioranza dei casi questi denari finanziano strade, ferrovie, attività nel mondo dell'istruzione, asili-nido e, dunque, interventi sulla qualità dei quali naturalmente si potrebbe aprire una discussione molto importante e molto utile.
  Mi spingo fino a dire che la circostanza che queste politiche (gli asili nido, le ferrovie) siano cofinanziate dai fondi europei aggiunge materiale per la nostra valutazione, ci fa capire – ripeto – quali sono le forze e le debolezze del nostro Paese in tutti questi campi.
  Se, ad esempio, il nostro Paese nel campo dell'alta velocità ferroviaria impiega più risorse-chilometro o molti più anni-chilometro rispetto ad altri Paesi – tema molto interessante, – non è colpa dei fondi europei, che tra l'alto sono stati interessati solo per la Roma-Napoli. Questa è un'affermazione che possiamo fare anche grazie ai fondi europei, dato che, in virtù delle regole comunitarie, disponiamo di molte informazioni in più.
  Su questo aggiungo un ulteriore punto: l'Italia è un Paese nel quale, come ben sappiamo, tendiamo molto spesso a interrogarci e ad accusarci delle nostre colpe e a dimenticare i nostri meriti. Nel campo delle politiche europee, l'Italia è sicuramente all'avanguardia fra tutti i 28 Paesi nel campo della trasparenza, che è un altro elemento politicamente molto importante per i cittadini e per i rappresentanti politici.
  Infatti, l'Italia dispone di un sistema informativo, che si chiama «Open coesione», Pag. 8che è il migliore fra tutti i Paesi europei e consente a ogni cittadino, a ogni deputato e a ogni giornalista di avere moltissime informazioni di dettaglio sui singoli progetti, cosa che non c’è per le altre politiche pubbliche italiane. Dunque, almeno dal punto di vista della trasparenza, le modalità di esecuzione dei fondi europei dovrebbero essere prese ad esempio per altre politiche.
  Arrivo quindi al il vero grande punto debole di queste politiche, ovvero la loro enorme lentezza realizzativa, che è una circostanza ormai risaputa. Il nostro Paese spende assai più lentamente degli altri Paesi europei queste risorse. Questo è naturalmente un problema in sé, perché queste risorse vanno spese ordinatamente, e ciò è emerso in maniera evidente soprattutto negli ultimi tre o quattro anni. Con la grande recessione che c’è stata in Italia, aver speso più rapidamente queste risorse avrebbe sicuramente aiutato.
  Questa è una criticità indubbia. Complessivamente l'Italia è nelle ultimissime posizioni dei 28 paesi come velocità di spesa. Le regioni del Centro-Nord, così come le regioni del Mezzogiorno, sono piuttosto indietro a confronto con le regioni europee loro pari. Ci sono in particolare tre regioni italiane, Campania, Calabria e Sicilia, nelle quali i ritardi sono particolarmente forti.
  Tornerò nelle conclusioni su questo aspetto, ma naturalmente desidero sottolineare una questione: ritardare e fare le cose sbagliate non sono sinonimi. Quello che può succedere è che a volte fare in fretta può portare a scegliere cose sbagliate, ma questo sicuramente non è il caso di queste politiche, che purtroppo in Italia sono lentissime.
  Le due circostanze non sono legate. Per esempio, nell'attuale programmazione sono inclusi alcuni grandi progetti che riguardano la regione Campania, che sono progetti di grande qualità al loro interno. Mi riferisco ai progetti per il porto e per i trasporti. Questi progetti sono in fortissimo ritardo. Sono due circostanze diverse. Se quanto programmato non si realizza, naturalmente avere ideato tali progetti non porta a nessun risultato.
  Perché l'Italia è in ritardo ? Lo è da sempre ? La risposta a questa domanda è no. Il nostro Paese – anche a questo riguardo sono disponibili tutti i dati – aveva segnato un significativo miglioramento delle sue capacità, indicativamente nel periodo 2000-2008. Il vecchio ciclo 2000-2006 aveva conosciuto un miglioramento progressivo e anche l'impostazione del nuovo ciclo si era caratterizzata per una certa rapidità.
  Immagino che tutti i membri della Commissione lo sappiano. Rispetto a un ciclo di programmazione che copre sette anni (2000-2006) la spesa si può fare nei due anni successivi e, quindi, fino a fine 2008. Nel caso specifico, c’è stata un'ulteriore proroga concessa a tutti i Paesi europei fino al 30 giugno 2009. Che si spenda nel 2008 una risorsa del 2000-2006 è, quindi, una cosa assolutamente normale.
  Cosa è successo dopo ? Questo ciclo di programmazione, cioè il 2007-2013, ha fatto registrare un drastico peggioramento. In particolare, nei primi cinque anni della nuova programmazione sono state spese risorse pari esclusivamente al 15 per cento delle disponibilità. È questo che ci ha staccato nettamente dall'Europa.
  Naturalmente non sto dicendo che prima si andasse benissimo. L'amministrazione italiana, per motivi che analizzeremo, non tende a essere particolarmente rapida. Tuttavia, c’è stato un peggioramento. Questo è importante. Naturalmente, se vogliamo essere ottimisti, così come le cose peggiorano, poi possono migliorare, ma comunque vogliamo capire perché questo è accaduto.
  Questo grande ritardo nel primo quinquennio è omogeneo su tutto il territorio nazionale e riguarda sia le amministrazioni centrali sia le amministrazioni regionali ed è dunque diffuso.
  Questo è un problema che ha provocato negli ultimi anni alcuni interventi di emergenza, perché, come tutti probabilmente sanno, se le risorse comunitarie non vengono spese entro i due anni successivi alla fine del ciclo di programmazione, queste Pag. 9risorse non si possono più spendere e, quindi, devono essere restituite all'Unione europea.
  Dunque, al tema del ritardo, che è di per sé un elemento negativo, si somma con l'andare del tempo un possibile pericolo di perdita di risorse. Anche in questo caso segnalo che questo pericolo non si è mai sostanzialmente verificato nel nostro Paese. C’è stata una perdita di risorse relativamente piccole nel 1989-1993 e nel 1994-1999, ma il nostro Paese non ha fortunatamente una storia di perdita di risorse comunitarie, ma ha certamente una storia di tempi di attuazione molto lenti.
  Tuttavia, anche questo vale, perché l'opinione pubblica, giustamente molto preoccupata circa le sorti del Paese e dei posti di lavoro, quando sente che si perdono risorse pubbliche ne è particolarmente risentita, soprattutto in un momento come l'attuale nel quale la pressione fiscale è alta, si pagano molti soldi e si dice che poi questi soldi vengono sprecati. Non è così, o quantomeno non è stato così finora, perché queste risorse non sono state sostanzialmente mai restituite all'Unione europea.
  Naturalmente quando c’è stata una rinnovata attenzione a queste politiche, in particolare con il Governo Monti, il ritardo accumulato era particolarmente forte e l'allora Ministro Barca ha operato una manovra formale per evitare questo pericolo.
  Questa manovra, sulla quale, se riterrete, posso darvi alcune indicazioni successivamente perché non vorrei prendere troppo tempo in questa relazione, è la cosiddetta «manovra del Piano di azione e coesione».
  È molto importante ricordare un punto politico di fondo di questa manovra. Questa manovra non toglie risorse alle aree di destinazione. Semplicemente le sposta da un contenitore europeo a un contenitore nazionale. Le sottrae, dunque, a questa ghigliottina sui tempi, ma le lascia a disposizione dei territori.
  Al tempo stesso, già con il Ministro Barca sono state avviate intense attività di monitoraggio, di task force e di sostegno alle amministrazioni nella spesa.
  Questa attività è poi proseguita in maniera molto intensa con il Governo Letta. In particolare, il ministro Trigilia ha provveduto nel dicembre 2013 a una manovra molto significativa di riprogrammazione, cioè ha cambiato la destinazione delle risorse, sottraendole a interventi la cui tempistica era particolarmente preoccupante e destinandole a interventi la cui tempistica era compatibile con la fine del 2013.
  Un ministro della Repubblica una volta ha sostenuto la tesi in base alla quale questi ritardi della spesa erano dovuti alla circostanza che gli amministratori delle regioni del Sud erano dei cialtroni.
  Credo che, aldilà del giudizio che ciascuno può avere, l'analisi dei ritardi di questa spesa sia particolarmente interessante e non banale e ci dica molte cose su come funziona il nostro Paese.
  Vi è una vera e propria filiera del ritardo e, quindi, brutte notizie sull'Italia. Un primo passo di questa filiera è un ritardo politico, di cui sono direttamente responsabili le classi dirigenti politiche. Ci sono state programmazioni molto lunghe e ritardi nel varo della decisione politica rispetto a quello che viene fatto.
  A giudizio di alcuni (giudizio sul quale è difficile avere dati scientifici), da una parte delle classi dirigenti politiche questo ritardo è stato voluto, per poter avere successivamente le mani libere nella destinazione di questi fondi. Non si è voluto programmarli tutti all'inizio, in modo da tenerli pronti e questo ha fatto ritardare. C’è, quindi, una prima fase molto importante di ritardo politico.
  C’è poi una seconda fase assolutamente centrale di ritardo amministrativo, cioè nella traduzione della decisione politica in interventi fino al loro avvio. Questa fase è resa molto complessa dalla circostanza che le regole europee sono molto complicate. Le regole per la spesa di questi fondi sono estremamente complesse, ancora più Pag. 10complesse delle regole nazionali italiane, e, quindi, certamente non agevolano la rapidità.
  Questo ritardo amministrativo è legato anche alla circostanza che con queste risorse si fanno tanti interventi. Nelle conclusioni tornerò sulla circostanza delle risorse disperse tra tanti o pochi interventi. Mi limito a un'affermazione: se si fanno tante cose, le capacità amministrative sono sotto stress. Fare pochi interventi può essere meglio o peggio che farne tanti, ma certamente è molto più semplice da un punto di vista amministrativo.
  Il moltiplicarsi degli impegni porta a un grande stress, soprattutto per le amministrazioni regionali e in particolare per quelle del Mezzogiorno, che sono più deboli amministrativamente e non ce la fanno, e non ce l'hanno fatta, a gestire questi impegni. Intendo la preparazione dei bandi, il controllo delle domande e tutti gli adempimenti amministrativi legati all'impiego di questi soldi.
  Mi verrebbe da dire: «magari fosse colpa solo delle amministrazioni periferiche». Il Ministro Barca in una sua audizione in Parlamento ci ha ricordato che nel 2011 una delibera del CIPE richiedeva 160 giorni prima della sua pubblicazione. Dunque, la filiera del ritardo amministrativo è, purtroppo per noi, diffusa sia a livello centrale che a livello periferico. Certamente non aiuta la carenza a livello centrale di un centro tecnico di aiuto che possa sostenere le amministrazioni regionali.
  Siamo al bando. Siamo alla traduzione della decisione politica in attività amministrativa. Direi che non siamo a cavallo, perché ci sono grandi ritardi operativi nelle progettazioni, nelle gare, nelle aggiudicazioni. Purtroppo, come ben sappiamo, in questo Paese è molto semplice che gli interventi vengano bloccati per ricorsi al TAR o per contenziosi tra le amministrazioni e le imprese.
  Vale ricordare un aspetto purtroppo molto preoccupante: tra gli interventi con maggior ritardo ci sono quelli delle Ferrovie e dell'ANAS, cioè di due grandi centri di competenza nazionale che hanno tutte le capacità di fare i progetti e di fare i bandi. Eppure questi interventi soprattutto negli anni passati sono stati in assoluto quelli più in ritardo.
  Dunque, per arrivare alla realizzazione, al collaudo e all'apertura di un'opera ci vuole tanto tempo. È stato stimato, purtroppo per noi, che per la realizzazione di opere di importo superiore ai 50 milioni di euro ci vogliono più anni di quelli compresi in un ciclo di programmazione.
  Questo, a mio avviso, non è un problema dei fondi europei. Questo è un problema dell'Italia. Noi siamo un Paese nel quale, un po’ di più al Sud ma a tutte le latitudini, i ritardi sono molto evidenti.
  Vi sono poi ulteriori criticità di corruzione, come quelle messe in evidenza da recenti cronache.
  A tutti questi ritardi se ne è aggiunto un altro, cioè la circostanza che, come vi ho già ricordato e come certamente saprete, questi fondi europei per una parte vengono dal bilancio comunitario e, in quanto tali, sono esentati dalle regole europee di finanza pubblica, ma per un'altra parte devono essere cofinanziati e, quindi, i soldi escono dalle casse dello Stato o delle regioni. Questo cofinanziamento è soggetto alle regole del Patto di stabilità interno italiano, che sono diventate molto più stringenti.
  Pertanto, alla fine di tutta quella filiera del ritardo politico, amministrativo e operativo che vi ho detto prima, è capitato spesso negli ultimi anni che le opere e gli interventi si sono bloccati perché le amministrazioni, in particolare regionali ma anche comunali, pur disponendo delle risorse in cassa, non potevano spenderle a causa del Patto di stabilità.
  Infine, quando le cose vanno male, vanno male, nel senso che parte di questi interventi sono, per esempio, per l'innovazione delle imprese e per sostenere l'occupazione e le assunzioni. Naturalmente, quando il clima congiunturale è quello che stiamo vivendo in questi anni, la domanda di interventi da parte delle imprese si abbassa e, quindi, anche l'utilizzo di questi fondi si riduce.Pag. 11
  Dunque, dall'analisi di questa filiera dei ritardi, che ho compiuto in maniera scientificamente dettagliata in un volume che si chiama «Senza cassa», pubblicato dall'editore Il Mulino un paio di anni fa e che è disponibile, non emergono buoni dati sull'Italia.
  Certamente ci sono dei problemi che attengono specificamente a queste politiche e che attengono specificamente alle amministrazioni regionali, in modo particolare del Mezzogiorno. Tuttavia, non sono queste le uniche cause. Queste politiche mettono a nudo alcuni problemi rilevanti complessivi del nostro Paese.
  Oggi, a fine luglio 2014 siamo in un momento topico, perché dobbiamo concludere spesa e rendicontazione delle risorse del ciclo di programmazione 2007-2013, che, per le regole che ho già ricordato, va terminata entro il 31 dicembre 2015, ma, allo stesso tempo, siamo all'avvio di un nuovo ciclo di programmazione.
  Il mio giudizio sulla situazione attuale è di estrema preoccupazione. Sul 2007-2013 vi ho già detto delle attività messe in atto dal Governo Monti e dal Governo Letta per accelerare la spesa, cosa che è stata ottenuta, per togliere dalla tagliola comunitaria una parte delle risorse, per aumentare i controlli e per inviare delle task force, soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia.
  Tuttavia, questo non ci mette al riparo dalla possibilità disastrosa che alla fine dell'anno prossimo si debbano restituire queste risorse all'Europa.
  Ciò non ci mette al riparo anzitutto perché questa attività tecnica richiede ulteriori sforzi e va portata avanti ancora alla fine di quest'anno e per tutto l'anno prossimo con grande attenzione, ma soprattutto per un motivo molto semplice: stando alle regole attuali è impossibile che quei soldi vengano spesi; ciò perché la parte di cofinanziamento nazionale non può essere spesa. Questa parte di cofinanziamento nazionale, secondo una ricostruzione recentemente fatta dal Sottosegretario Delrio in Senato, ammonta a poco più di 2 miliardi nel 2014 e a 4,5 miliardi nel 2015 solo per la parte regionale. Le amministrazioni regionali non sono in grado, per le regole del Patto di stabilità interno, di spendere queste risorse.
  Ad esempio, il Centro studi Confindustria, in un suo interessante rapporto su queste politiche pubblicato qualche settimana fa, ha stimato che nel 2015 per poter completare degli interventi il Molise e la Puglia dovrebbero destinare integralmente il proprio bilancio a questo cofinanziamento. Dovrebbero interrompere tutte le spese sanitarie e tutte le altre spese delle amministrazioni regionali e destinare tutte le risorse in cassa esclusivamente al cofinanziamento.
  Le risorse esistono come competenza. È un problema di possibilità di cassa legato al Patto di stabilità interno. Di questa circostanza i Governi precedenti erano ben consci. Infatti, fu realizzata una norma grazie alla quale alcuni ammontare di cofinanziamento per il periodo 2012-2013-2014 venivano esclusi dalle regole del Patto di stabilità. Ancora per il 2014 vi è un'esenzione di un miliardo di spesa, che consente alle amministrazioni di spendere e di fare investimenti, continuando a svolgere le loro altre attività.
  Incidentalmente questa finestra di opportunità è stata totalmente utilizzata nel periodo 2012-2013. Questo «porta acqua al mulino delle amministrazioni», che tendono a dire che quando c’è possibilità di spendere loro spendono.
  Comunque sia, questa finestra di opportunità manca totalmente per il 2015 e in misura rilevante per il 2014. Se, dunque, il Parlamento nella sua sovranità o il Governo non disporranno ragionevolmente presto una modifica delle regole del Patto di stabilità, che consenta di impegnare fisicamente e, quindi, di spendere le risorse di cofinanziamento, non si porteranno a casa questi risultati.
  Se questi risultati non si portano a casa, è un disastro. È un disastro perché si fanno meno investimenti pubblici in Italia, soprattutto in un momento di grande crisi, ma è anche un disastro politico del tutto indipendente – se lo posso dire – da questioni di schieramento per l'Italia in Europa. Infatti, rappresenterebbe Pag. 12uno smacco colossale per il nostro Paese che, impegnato da anni a richiedere flessibilità, nuove regole e potenziamento degli investimenti, sarebbe costretto ad ammettere all'Unione europea che come Paese non è stato in grado di spendere.
  Uno dei motivi per cui vi ringrazio molto di questa audizione è che si tratta di un tema estremamente urgente. Solo Confindustria continua a insistere con una certa attenzione su questo tema, ma vedo una pericolosa disattenzione. Siamo alla fine di luglio.
  Concludo con la parte delle mie preoccupazioni relative al prossimo periodo di programmazione. Mi consentirete di esprimere un'opinione del tutto personale. Personalmente, per la complessità di queste politiche e per il momento particolarmente importante in cui siamo, ho ritenuto una decisione onestamente opportuna quella presa dai Primi Ministri Monti e Letta di nominare un ministro con la responsabilità di questa politica. Nell'attuale Governo non c’è un ministro responsabile di questa politica. La delega è stata attribuita al Sottosegretario Delrio, il quale però ha anche altre deleghe e che, lo sappiamo, è una persona estremamente impegnata.
  Una mia preoccupazione, anche per il futuro, nasce dalla circostanza che, per motivi che non conosco, nell'attuale compagine governativa non si è ritenuto di assegnare una responsabilità politico-tecnica ministeriale a questa tematica.
  Visto che i guai vengono tutti insieme, vi è anche una certa incertezza organizzativa. Su proposta del Ministro Barca e su attuazione del Ministro Trigilia, è stata varata l'Agenzia per la coesione, che sarebbe dovuta intervenire proprio per far fronte a queste emergenze sia del passato sia del futuro, con l'idea che sarebbe dovuta diventare attuativa il 31 marzo di quest'anno.
  Di questa agenzia non ho particolari notizie. Abbiamo appreso dai giornali che è stato nominato un direttore, però, forse per una mia mancanza, non trovo traccia nei documenti ufficiali disponibili sui diversi siti ufficiali e non mi sono chiari il compito effettivo attribuito a questa agenzia, né i suoi rapporti con il Dipartimento per le politiche di sviluppo, presupposti affinché la struttura tecnica centrale funzioni bene.
  Il funzionamento del centro è fondamentale: aiuta molto le regioni e gli altri ministeri e può diffondere buone pratiche. Personalmente ritengo che una maggiore chiarezza sui compiti, sui ruoli e sulla composizione dell'agenzia e sui suoi rapporti col Dipartimento siano importanti, anche nella prospettiva di chiusura del ciclo di programmazione 2007-2013.
  Dato che i guai non vengono mai da soli, come ben sapete, nelle ultime settimane si è aggiunta a tutti questi problemi una grande offensiva politica contro queste politiche. Quella che si è sviluppata non è, infatti, una polemica scientifica e non ha particolari connotati di scientificità, ma è una polemica politica, del tutto lecita. Ciascuno è portatore di interessi. Ci sono siti di economisti e i principali giornali quotidiani. Ciascuno è portatore dei propri interessi e, quindi, chi ritiene, per una propria valutazione politica, che le misure delle politiche di coesione non debbano essere fatte, ha tutto il diritto di sostenere queste tesi.
  Naturalmente quando a sostenere queste tesi sono un grande quotidiano di informazione o persone che hanno delle platee molto ampie la forza comunicativa di questa posizione è molto visibile.
  Sono molto sorpreso che di fronte a questa posizione non vi sia stata una reazione né da parte delle autorità politiche responsabili di questi interventi né da parte delle autorità tecniche. Quando si è affermato che queste politiche sono uno spreco e uno scandalo, perché non si sa che fine facciano i soldi, – affermazioni che io personalmente ritengo del tutto lecite democraticamente ma totalmente infondate dal punto di vista scientifico –, io mi sarei aspettato che da parte degli organi tecnici e degli organi politici responsabili di queste politiche si fosse detto ai cittadini che le cose non stanno così. Non spetta certamente a un professore Pag. 13universitario di qui o di lì controbattere a questo. Questo mi ha molto sorpreso.
  Sempre dalle colonne del quotidiano La Repubblica e del sito La voce è venuta una forte richiesta di tagliare il cofinanziamento nazionale delle politiche per il 2014-2020, in un modo, come sempre, molto intelligente, presentandolo come un possibile risparmio.
  Naturalmente ognuno ha l'idea di risparmio che ritiene. Questo è un risparmio sugli investimenti, sull'istruzione, sulla ricerca e sulle infrastrutture. È, dunque, un risparmio sulle cose che molti economisti ritengono essere quelle più importanti per il nostro Paese e per rilanciare l'attività economica. È, dunque, un risparmio del tutto originale.
  Sarebbe come se venisse pubblicato un rapporto dell'INVALSI in cui si dice che una scuola ha problemi negli apprendimenti e si proponesse, non di migliorare gli apprendimenti in quella scuola, ma di chiuderla.
  Quello che non si dice e spiace in questa tesi è che questo taglio del cofinanziamento avrebbe un effetto territoriale univoco, dato che, per regola comunitaria, il cofinanziamento nel Centro Nord non può, giustamente, essere ridotto sotto il 50 per cento, ma può essere ridotto soltanto nel Mezzogiorno.
  Ripeto che può essere del tutto lecito sostenere che non bisogna più spendere niente del Mezzogiorno, tantomeno le politiche comunitarie, ma almeno bisognerebbe dirlo. Il taglio del cofinanziamento comporterebbe una riduzione stimabile in circa 10 miliardi di euro di investimenti pubblici esclusivamente nel Mezzogiorno.
  Naturalmente su dove allocare gli investimenti pubblici ognuno ha l'opinione che ritiene. Tuttavia, oggi vengono presentati degli ulteriori dati della SVIMEZ che mostrano come la parte meridionale del Paese stia soffrendo in maniera particolarmente intensa della recessione. Dai dati SVIMEZ resi noti oggi pare che il Sud sia in recessione almeno fino a fine 2015.
  Dato che il Sud è in recessione fino a fine 2015, l'idea di ridurre il modesto sforzo attualmente in corso per rilanciare l'economia è, a mio personale avviso, estremamente negativa e credo che sia oggettivamente estremamente pericolosa, perché gli esiti di questa crisi sarebbero del tutto imprevedibili se dovesse durare ancora a lungo.
  Spero di avervi fornito qualche indicazione utile, esprimendo apprezzamento per lo svolgimento di questa audizione. Si tratta di una materia piuttosto complessa tecnicamente ed anche eminentemente politica. Giudico indispensabile che la politica riprenda pieno controllo su questi interventi, cioè compia le scelte politiche che ritiene.
  Si vuole tagliare il cofinanziamento ? È una scelta politica. Si vuole mantenere il cofinanziamento ? È una scelta politica. Non vi è alcun motivo tecnico per cui si debba o non debba fare. Vi ho già ricordato come il Ministro Barca abbia operato tecnicamente spostando dei fondi europei, ma non compiendo alcuna scelta politica, perché il totale delle risorse dedicate era sempre lo stesso.
  Temo che il grande fumo sollevato intorno a queste politiche serva a nascondere un dato di fondo: queste sono delle politiche importanti che richiedono un'assunzione di responsabilità in prima misura da parte dei decisori politici.
  Per esempio, nella parte centrale del 2013, il Ministro Trigilia ha compiuto una scelta politica molto rilevante, cioè, anche per i motivi che in parte vi ho illustrato, ha ritenuto che nel prossimo ciclo di programmazione andasse fortemente ridotto il peso degli investimenti infrastrutturali e andasse aumentato invece il peso degli interventi a favore delle imprese o delle persone. Questa è una scelta politica molto importante.
  Questa scelta presuppone che lo sforzo infrastrutturale, in particolare del Mezzogiorno d'Italia, sia sopportato dall'attuale Fondo sviluppo e coesione (che fa parte di quei famosi 100 miliardi o 200 miliardi), il quale però è totalmente bloccato dalle attuali regole di contabilità. Dunque, vi è un problema politico: è stata fatta la scelta di ridurre il peso delle infrastrutture, ma Pag. 14se non si attiva il Fondo sviluppo e coesione le infrastrutture non si portano a termine.
  Lo stesso Ministro Trigilia, come ha ricordato recentemente in un'intervista a un quotidiano siciliano, aveva puntato a un'enorme semplificazione dei quadri di programmazione, concentrando gli interventi in massimo 50 azioni, una scelta a mio personale avviso del tutto opportuna per i motivi che ho illustrato in precedenza.
  Il documento che è stato inviato dall'attuale Governo all'Unione europea comprende 336 azioni. Anche questo è un tema politico rilevante. Non è semplice ridurre le azioni, perché significa dire che una cosa è più importante di un'altra. Soprattutto in un momento di risorse pubbliche scarse, non si scherza. Ridurre gli interventi per la difesa del suolo, per l'acqua o per le scuole significa innescare dei meccanismi pericolosi. Purtuttavia, una concentrazione è importante, ma questa scelta non è tecnica. Questa è una scelta eminentemente politica, dalla quale la politica del nostro Paese si è completamente separata.
  Vi sono pressioni sull'utilizzo di questi fondi, soprattutto da parte delle amministrazioni regionali, per avere carta bianca e per avere un bouquet molto vasto di azioni a disposizione, ma questo toglie un grande problema di scelta politica su quale sia la strategia nazionale.
  Ci sono modalità, che hanno a che fare anche con il possibile funzionamento dell'Agenzia della coesione, per ricondurre questi interventi a maggiore coerenza e per stabilire degli accordi. In questo documento del ciclo di programmazione ci sono degli ottimi strumenti di monitoraggio e degli ottimi strumenti di target.
  Insomma, sono politiche importanti. È del tutto possibile migliorarle tecnicamente lungo linee che in parte ho esplicitato, ma questo miglioramento tecnico è impossibile se la politica non si riappropria di questi interventi e non discute quali sono priorità e strumenti che poi l'amministrazione nella fase tecnica si incaricherà di attuare.
  Il messaggio che spero di avervi trasmesso, come mia personale opinione, è che non solo sono politiche estremamente utili, ma sono anche politiche estremamente interessanti, grazie alle quali nei prossimi anni si potrà contrastare significativamente la crisi in corso.
  Non sono politiche semplici e non si fanno schioccando le dita, ma richiedono, sia da parte dell'amministrazione sia da parte dei decisori, un impegno significativo. Non vengono attuate semplicemente mettendo una firma ma ci vuole impegno.
  Non è vero che non possono che produrre disastri, perché così non si è verificato. Credo che di questo siano ben consci tutti coloro che hanno avuto a che fare in un modo o nell'altro con queste politiche. Sono una grande carta che abbiamo a disposizione, che però sta a noi, a tutti i livelli, saper utilizzare.
  Vi ringrazio molto per l'attenzione e sono a vostra disposizione per qualsiasi chiarimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il professore per il dettagliato intervento e ricordo che, nel corso dell'esame degli accordi di partenariato, la Commissione ha evidenziato molti dei problemi cui oggi Lei ha accennato e messo in luce.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Nel ringraziare il professore per quanto ha detto, che è stato veramente illuminante, vorrei chiedere il suo parere su un'impressione che ho ricavato dalla sua relazione. Noi stiamo cercando di spostare in misura sproporzionata i costi del riaggiustamento del bilancio pubblico sulle regioni meridionali. Spesso si dimentica che sono fondi che hanno una finalità specifica: ridurre la differenza di sviluppo fra aree territoriali del Paese.
  La caduta dell'impegno su questi fondi, quella totale che qualcuno auspica o quella parziale che è più probabile, in un certo senso già in corso, ovvero l'idea che il cofinanziamento viene ridotto, per cui Pag. 15non avremo più il 50-50, ma il 75-25, che può anche essere un'idea disperata per riuscire a spendere i fondi che rischiamo altrimenti di perdere, comporta comunque una caduta dell'attenzione verso l'obiettivo di rendere tutti gli italiani egualmente partecipi delle possibilità e delle opportunità che derivano dall'essere dentro il più grande mercato che ci sia oggi al mondo.
  Mi sembra che questo, come il professore ha già detto, sia aggravato da un altro fattore, come lei ha detto bene: questo investimento, che dovrebbe essere aggiuntivo, in realtà non lo è.
  Mi permetto di offrirle una spiegazione politica del ritardo, oltre a quelle che lei ha dato. Io ho l'impressione che il ritardo dipenda anche da altri due fattori. Uno è una specie di accordo implicito con l'Unione europea. Arrivati all'ultimo momento noi mettiamo in campo i cosiddetti «progetti-sponda» e nessuno andrà troppo per il sottile, perché altrimenti rischiamo di non poter utilizzare i fondi.
  In questo modo si ottiene che, anche prima di un'eventuale possibile riduzione del cofinanziamento, si vanifica in parte importante la funzione propria di questi fondi.
  L'altra spiegazione credo che sia legata allo stato difficile della politica nel Mezzogiorno, con partiti che sono ridotti a coalizioni provvisorie. Questo porta alla mancanza di un indirizzo unitario per lo sviluppo, rafforzando quella che era già una tendenza implicita nelle regole che ci siamo dati di forte valorizzazione del momento regionale.
  Il risultato è appunto quella proliferazione di progetti, la quale è anch'essa un elemento di appesantimento della macchina amministrativa quando questa deve realizzare gli interventi.
  Mi permetto di dissentire con lei su un punto: non credo che la differenza delle regole fra Italia e Spagna derivi dal fatto che la Spagna è un Paese che ha degli squilibri territoriali assai minori di quelli italiani. Io ho l'impressione che è una scelta politica che a suo tempo il Governo spagnolo ha fatto ed è riuscito a portare in sede europea, perché la differenza fra l'Andalusia e Barcellona non è molto diversa da quella tra Milano e la Calabria.
  Ho sempre avuto l'idea che sono mancate una visione programmatoria delle regioni e anche una visione generale da parte dello Stato italiano. Siamo all'inizio dell'economia della conoscenza. Puntare sul collocare le infrastrutture dell'economia della conoscenza al Mezzogiorno, con alcuni interventi, pochi e qualificati, probabilmente avrebbe fatto assai meglio allo sviluppo meridionale e avrebbe consentito di recuperare molto più il ritardo di sviluppo rispetto agli interventi parcellizzati, fatti spesso avendo di mira, non il risultato economico, ma il risultato elettorale dell'intervento.
  Vorrei chiederle un giudizio su queste due affermazioni. Inoltre, non faremmo bene, secondo lei, rispettando le regioni e la loro autonomia, a creare una gestione unitaria con i presidenti delle regioni e un ministro competente ? Serve un ministro, il quale decida su pochi grandi programmi che riguardano tutto il Mezzogiorno e che hanno una forte capacità di dare impulso allo sviluppo. Non ritiene che sia questo il percorso lungo il quale dovremmo avviarci ? Grazie.

  ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, professore, per la lucidità e la chiarezza della sua analisi e anche per la sua capacità sintetica.
  Vorrei rivolgerle solo un paio di domande in ordine alla questione della lentezza della spesa di queste risorse, non prima però di averla ringraziata anche per aver fatto chiarezza su due aspetti che secondo me sono fondamentali e che spesso vengono sottovalutati dalla politica nazionale.
  Mi riferisco all'assenza dell'addizionalità di queste risorse, a cui aggiungerei anche che spesso c’è una dequalificazione della spesa di queste risorse. Infatti, anche le risorse per investimenti, quelle del vecchio FAS, a volte sono state utilizzate per finanziare spesa corrente, anziché spesa per investimenti.
  Forse questa è una ragione ulteriore della proclamata inefficacia di queste risorse, Pag. 16atteso che proprio i dati che lei ricordava prima, che sono quelli riferiti alla relazione dello SVIMEZ di oggi, che ripete il solito rosario delle cose che non vanno nel Mezzogiorno, ci restituiscono una minore spesa per investimento nell'anno in corso rispetto agli anni precedenti proprio nelle regioni del Mezzogiorno.
  È assai apprezzabile il fatto di focalizzare l'attenzione sulla circostanza che queste risorse da straordinarie diventano a volte ordinarie e sono spese anche in maniera inappropriata per spesa corrente anziché per investimenti.
  Allo stesso modo, vorrei ringraziarla per l'accento che ha posto in ordine alla preoccupazione sul disimpegno che per questo ciclo di programmazione è possibile se non si opera nella direzione di modificare il Patto di stabilità.
  Come il professore di certo sa, le modifiche al Patto di stabilità o intervengono per una decisione della Commissione su stimolo del Governo nazionale, oppure intervengono perché evidentemente si trova una copertura per finanziare. Trovare una copertura che – mi pare di capire – dovrebbe essere di 4,5 miliardi per il 2014 e di 2 miliardi per il 2014 significa in sostanza, se non fare una manovra, fare parte di una manovra.
  Non le chiedo di esprimere un giudizio su questa mia considerazione, ma dalla sua relazione a me pare di rintracciare una sorta di schizofrenia nelle decisioni degli ultimi governi nazionali. Da un lato si invoca una maggiore semplificazione delle procedure.
  Ricordo che il ministro Barca – io provengo da una parte politica opposta a quella di Barca – lavorò per ottenere dalla Commissione una semplificazione delle procedure che in qualche modo fosse utile a risolvere parzialmente il problema della lentezza.
  Da un lato, l'ex ministro, come lei diceva, chiede che si riducano le azioni a 50, poi però le azioni diventano 336, forse proprio per dare la possibilità di finanziare con queste risorse interventi ordinari che andrebbero invece finanziati col bilancio dello Stato.
  Siccome mi pare di capire che una delle ragioni della lentezza della spesa, oltre che al livello politico e al livello amministrativo, appartenga proprio alla complessità delle regole stabilite dall'Europa, vorrei sapere se lei ritiene che per il nuovo ciclo di programmazione (2014-2020) il livello di complessità sia diminuito rispetto al vecchio ciclo, oppure avremo ancora una volta lo stesso problema.
  Lo dico anche perché l'unica parte della relazione illustrata dalla quale mi sento di dissentire è quella nella quale lei, professore, diceva che non sempre la lentezza della spesa e la qualità della spesa sono sinonimi. Io faccio il parlamentare, ma ho fatto anche il consigliere regionale e ho esperienza del fatto che spesso, per evitare il disimpegno, si portano a rendicontazione degli investimenti che non hanno alcun requisito di qualità. Parlo dei cosiddetti «progetti coerenti», che una volta si chiamavano «progetti-sponda». Pertanto, non è proprio vero che alla lentezza della spesa non si somma ordinariamente una scarsa qualità della spesa.
  Come diceva il collega Buttiglione, forse andrebbe rivisto anche il meccanismo della programmazione. Le regole dell'alternanza nel governo delle regioni spesso determinano una condizione per cui chi viene dopo azzera tutto quello che ha fatto chi c’è stato prima, e a volte anche questo determina una sorta di lentezza ulteriore.
  Infine vorrei sapere se il professore ritiene che uno dei percorsi per limitare questa lentezza consista proprio nel chiedere delle deroghe ordinarie o straordinarie alle regole finora seguite.
  Ha appena ricordato come queste politiche siano consolidate, ma anche la lentezza è consolidata. Il professore diceva che noi siamo un Paese dove i ritardi sono cronici. Attesa questa spiacevole specificità del nostro Paese, non ritiene che si possa chiedere alla Commissione, per il tramite del Governo nazionale, di intervenire con un sistema di deroghe, anche ordinarie. Mi riferisco, per esempio, allo schema applicato Pag. 17da Barca per il Piano di azione e coesione, che in sostanza recuperava delle risorse destinandole a poche specificità, anche in deroga alle procedure ordinarie della spesa.
  Nelle spese per l'innovazione tra il bando e l'erogazione delle risorse spesso viene meno anche il presupposto per cui l'impresa chiede l'investimento, perché l'investimento in innovazione, intanto che vengono erogati i denari, diventa quasi obsoleto. Relativamente ad alcune di queste risorse, per esempio quelle per l'innovazione alle imprese e quelle per gli incentivi al lavoro, non ritiene che forse sia più utile intervenire attraverso meccanismi automatici ? Penso, per esempio, ai crediti d'imposta per le imprese o per l'assunzione di nuovi lavoratori.
  Forse questo sarebbe anche un modo per risolvere il problema della lentezza e per evitare che alcune patologie nella qualità e nelle procedure della spesa di queste risorse siano presenti al punto tale da rendere inefficace questa spesa. Ringrazio il professore per la sua attenzione.

  PRESIDENTE. Vorrei porre anche io alcuni quesiti al professore.
  Il primo riguarda l'incipit iniziale sulla questione della percezione sia della spesa strutturale sia dell'istituzione Unione europea. Io ritengo che ci sia un problema, anche riguardo alla spesa, di legittimità democratica dell'Unione, su cui, secondo me, bisogna andare avanti.
  Rispetto al discorso contabile, che è diverso dal discorso di competenza che si fa (contributore netto, beneficiario netto e via dicendo), se si andasse verso un'Unione europea con un'imposizione propria e un bilancio proprio, forse questo si potrebbe risolvere, dal punto di vista della percezione, ma anche della qualità dell'azione dell'Unione europea. Come lei sa bene, questo è uno dei grandi temi, su cui però attualmente siamo fermi.
  Anch'io sono stato un amministratore regionale e, quindi, ho vissuto le difficoltà anche nel periodo di programmazione precedente. Per «periodo precedente» intendo il DOCUP, quello che si è chiuso nel 2007 e la cui rendicontazione, come lei giustamente diceva, è finita due anni dopo.
  È chiaro che con la progressiva riduzione della spesa pubblica per investimenti in tutti i settori è stato inevitabile, e secondo me non necessariamente deprecabile, che i fondi strutturali abbiano assunto una caratteristica sostitutiva più che addizionale. Naturalmente questo è dipeso da scelte politiche.
  Naturalmente io penso che il meccanismo tanto deprecato dei progetti-sponda sia stato abusato, ma non crede che uno strumento simile debba essere messo in campo ? Tutto sommato, quelle risorse andavano a finanziare una spesa per investimenti che le regioni e gli enti locali avevano fatto.
  Ritengo, quindi, che non sia proprio da buttare via, anche se è vero, come diceva il collega prima di me, che naturalmente poi ci siamo trovati di fronte a una parte della spesa di fondi strutturali che non rispondeva a una programmazione, a un piano generale o a un'idea di sviluppo ben programmata e ben comunicata. Insomma, è chiaro che esiste il problema della perdita delle risorse.
  Infine, vorrei un suo commento sull'idea che va circolando sempre di più sulle testate che lei ha ricordato, ma anche da parte di esponenti istituzionali, concernente la possibilità di finanziare una manovra in autunno con la riduzione della quota nazionale di cofinanziamento, producendo sicuramente uno svantaggio competitivo per il Sud.
  Dagli articoli che ho letto sembrava che si riducesse solo la quota di cofinanziamento e invece il plafond delle risorse europee fosse uguale. Invece, nel periodo – è bene dirlo e io credo che lei lo possa attestare – ci sarebbe una riduzione anche del trasferimento da parte dell'Unione europea e, quindi, una perdita netta di risorse, non solo della parte di cofinanziamento, ma dell'investimento generale.
  Do quindi la parola al professor Viesti per la replica.

  GIANFRANCO VIESTI, Ordinario di economia applicata presso la facoltà di Pag. 18scienze politiche dell'Università di Bari. Nel ringraziarvi per le vostre osservazioni, cercherò di essere rapido, chiedendo scusa se non riuscirò a soddisfarvi integralmente.
  Concordo con quanto rilevato dagli onorevoli Buttiglione e Occhiuto, le cui osservazioni consentono di chiarire meglio quanto ho illustrato.
  La Spagna è certamente un Paese molto interessante, perché ha intrapreso una politica unitaria e ha usato i fondi europei per cofinanziare grandi politiche di sviluppo nazionali. Hanno scelto di realizzare molte infrastrutture. Certamente prima, quando era un Paese, come si diceva un tempo, «Obiettivo 1», i soldi europei sono stati tanti e, quindi, hanno consentito di moltiplicare queste risorse, cosa che invece in Italia non è avvenuta.
  Rilevo che un in un periodo di crisi come questo e di difficoltà sociali così forti, è grave e ingiustificabile la lentezza, il tenere le risorse inutilizzate.
  Rispetto ai molti punti sollevati dall'onorevole Buttiglione, tenderei innanzitutto a ricordare che queste sono politiche nazionali. Ormai con il ciclo 2014-2020, il Centro-Nord pesa per circa un terzo delle risorse e, con le difficoltà dei bilanci ordinari, importanti capitoli di spesa per le imprese, per l'istruzione e per la ricerca, anche in regioni forti come la Lombardia o l'Emilia, fanno capo a queste politiche. C’è una componente di equilibrio meridionale e c’è una componente di politiche regionali in tutto il Paese.
  Ciò non toglie, però, che, come diceva l'onorevole Buttiglione, è molto importante che vi sia una strategia nazionale. Noi abbiamo oscillato un po’ troppo tra l'affermare che qualsiasi cosa facciano le regioni, purché la mettano in atto per conto proprio, è buona e il dire, invece, l'esatto contrario, ovvero che le regioni compiono solo disastri e tutto va riportato a decisioni a livello centrale.
  Anche da questa esperienza possiamo trarre insegnamenti per la realizzazione di un federalismo ben temperato, con opportune modalità di raccordo fra centro e periferie, per le quali, per esempio, il centro metta in atto le grandi reti e le regioni o le autorità locali compiano i progetti di sviluppo locale. C’è bisogno, però, di un forte raccordo.
  Io mi associo certamente alla critica nei confronti delle amministrazioni regionali per tante loro mancanze, però segnalo che negli ultimi anni quello che è mancato è stato il potere centrale. Le regioni hanno fatto male, anche perché sono state lasciate sole. Questa è una grande responsabilità che ci portiamo dietro. Sono venuti meno il raccordo centrale, lo stimolo, il monitoraggio, il premio e la punizione che il centro può applicare.
  È molto importante anche il discorso, apparentemente tecnico, ma in realtà politico, su Agenzia e Dipartimento per lo sviluppo: occorre provare a ridisegnare una relazione virtuosa centro-periferia che non sia né «da Roma vi comando» né «liberi tutti, ognuno fa quello che vuole».
  L'onorevole Occhiuto ha toccato un punto politico estremamente importante: assicurare la copertura del cofinanziamento nell'ambito del Patto di stabilità interno, con le cifre disponibili per il 2014 e il 2015, è una decisione di grande rilievo, essendo peraltro le cifre assai corpose.
  Nel rispetto delle opinioni di tutti, ritengo che non mettere in atto investimenti e perdere queste risorse comunitarie sia molto peggio del poter trovare una copertura. Quello che, però, mi spiace è che questa discussione politica non sia aperta fra gli uni e gli altri. Poi si deciderà come si ritiene, ma ripeto che si tratta di una decisione di grande rilievo politico.
  Su un quotidiano si è affermato che il nostro Paese dovrebbe fare meno spesa corrente e fare più investimenti. Poi, però, sullo stesso quotidiano si afferma che dobbiamo tagliare il cofinanziamento, che è esattamente il contrario di quello che si è sostenuto un attimo prima. Ciò è estremamente rilevante. La cosa che dispiacerebbe di più sarebbe perdere queste risorse per consunzione, perché non si è voluto decidere.
  Riguardo alle nuove regole, faccio presente che l'Italia ha molto contribuito. Il rapporto fatto da Fabrizio Barca prima di Pag. 19essere ministro per l'Unione europea ha contribuito molto a orientare tali nuove politiche.
  Non saprei dire se sono molto più semplici, però certamente rappresentano una novità estremamente importante anche per l'Italia, che è quella degli obiettivi, nel senso che si compie ogni sforzo per portare l'interesse di queste politiche dalla spesa (che balza agli occhi perché sappiamo a quanto ammonta) al risultato: quanti chilometri di fognature o di ferrovie oppure quanti corsi di lingue per i bambini delle elementari.
  Si tratta di chiamare le amministrazioni a rispondere su dei target che sono alla loro portata e che devono rendicontare ai cittadini. Quello che potrebbe migliorare molto in questa nuova programmazione è esattamente l'obbligo per queste politiche di rispondere ai cittadini in termini di risultati concretamente ottenuti.
  L'onorevole Occhiuto citava anche l'intervista del Ministro Trigilia sulle 50 azioni e la circostanza che con l'attuale Governo si sia passati a 336 azioni. Ci sono dei processi su cui è difficile dare un'opinione e certamente non sta a me dare giudizi, però anche questo è un po’ il frutto della caduta di attenzione politica. Averne 50 o 336 non è la stessa cosa (può essere giusta l'una o può essere giusta l'altra), però si tratta di un dato importante. Dunque, è significativo che sia passata la nostra attenzione come un aspetto tecnico, quando invece si tratta di una scelta di fondo.
  Non chiederei alla Commissione deroghe particolari, ma certamente proverei a far funzionare meglio questi strumenti. Se queste politiche continueranno a non funzionare, il messaggio che noi ne trarremo non è che i fondi europei non funzionano ma è che l'Italia non funziona. Essi sono una bella spia per comprendere come si possono mettere in atto azioni concrete. Facciamole con intelligenza, facciamole con flessibilità, ma cerchiamo di farle.
  Peraltro, questi fondi ci obbligano a pensare anche in maniera un po’ più lungimirante. Faccio questo esempio: il quotidiano Il Mattino di Napoli sta insistendo da alcuni giorni con una notizia molto interessante, secondo la quale, nell'ultima deliberazione del Consiglio dei ministri sui fabbisogni standard dei comuni, il fabbisogno standard per asili-nido e istruzione equivale al fabbisogno storico. Sembra una fase tecnica che non si capisce, ma la sostanza è che nel Mezzogiorno il diritto agli asili-nido è pari a zero, perché non ci sono asili-nido.
  Cosa c'entra questo con i fondi strutturali ? C'entra enormemente, perché ai fondi strutturali spetta costruire gli asili-nido, ma se poi costruiamo gli asili-nido a Scampia, dove forse servono, e poi il comune non ha le risorse, non dico come a Reggio Emilia, ma almeno per cominciare ad avere un analogo servizio, l'efficacia dei fondi si azzera. Questa non è colpa dei fondi europei, ma è colpa del raccordo con i meccanismi di spesa ordinaria.
  Riguardo a quanto sottolineato dal presidente, concordo sulla questione delle risorse proprie dell'Unione europea. Non è un caso che non ci siano, perché i grandi Paesi contributori hanno un'arma di ricatto nei confronti del livello comunitario, dato che le regole attuali fanno sì che sono i Governi a dover staccare un assegno, mentre invece ci sono tantissime proposte sulle risorse proprie, per cui, ad esempio, una quota dell'IVA potrebbe andare direttamente a far funzionare le istituzioni.
  I progetti-sponda meriterebbero una discussione un po’ più approfondita, perché in prima battuta non sono condivisibili, ma nel tempo rappresentano anche un passaggio di risorse da un ciclo all'altro. Non dico che siano una cosa buona, ma possono essere anche dei meccanismi che consentono di superare le criticità.
  Con i fondi europei, contrariamente a quello che è scritto in un libro di grande successo, sono stati costruiti nel Mezzogiorno gli aeroporti, che sono una cosa importantissima, a Catania, Cagliari e Bari, grazie alle risorse liberate dai progetti-sponda. Dunque, tecnicamente ci sono modalità per ridurre questi rischi.
  Riguardo alla questione del cofinanziamento, che mi pare di grande attualità, rilevo che vi sono due possibilità: se da un Pag. 20lato si vuole fare una manovra tecnica che sposti nel tempo o cambi destinazione ad alcune risorse, questo attiene alla tecnica e non provoca effetti. È esattamente quello che ha fatto il ministro Barca, che ha blindato nel Piano di azione e coesione una parte del cofinanziamento. Naturalmente, essendo il cofinanziamento sul periodo 2014-2020, si può anche pensare di spostarlo un po’ più avanti.
  Questa è una questione tecnica, che non ha alcun impatto politico, ma temo che non sia di questo che si sta parlando. Si sta parlando invece di una grande decisione politica, che è quella di ridurre la spesa per investimenti solo nel Mezzogiorno di 10 miliardi per i prossimi anni. Questa è la questione.
  Si può essere d'accordo o meno, ma bisogna sapere in primo luogo che parliamo di spesa in investimenti pubblici, cioè quella che il nostro Presidente del Consiglio chiede a Bruxelles che sia aumentata, della quale abbiamo bisogno e che è concentrata nella parte più debole del territorio.
  Si può decidere di tagliare ugualmente questa spesa, ma naturalmente è una decisione politica di grandissimo rilievo. Soprattutto, con la congiuntura attuale, sarebbe una decisione estremamente forte, della quale chi eventualmente là sosterrà o la appoggerà dovrà prendersi ogni responsabilità.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il professor Viesti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.50.