XVII Legislatura

XIII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 12 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sani Luca , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE RICADUTE SUL SISTEMA AGROALIMENTARE ITALIANO DELL'ACCORDO DI PARTENARIATO TRANSATLANTICO SU COMMERCIO E INVESTIMENTI (TTIP)

Audizione dei rappresentanti della Campagna Stop TTIP, dell'Associazione Fairwatch e di Slow Food.
Sani Luca , Presidente ... 3 
Scaffidi Cinzia , Vicepresidente Slow Food Italia ... 3 
Di Sisto Monica , Vicepresidente dell'associazione Fairwatch ... 4 
Mazzoni Elena , Portavoce della Campagna Stop TTIP Italia ... 7 
Sani Luca , Presidente ... 8 
Zanin Giorgio (PD)  ... 8 
Bordo Franco (SEL)  ... 9 
Dal Moro Gian Pietro (PD)  ... 9 
Zaccagnini Adriano (SEL)  ... 11 
Dal Moro Gian Pietro (PD)  ... 11 
Sani Luca , Presidente ... 12 
Scaffidi Cinzia , Vicepresidente Slow Food Italia ... 12 
Di Sisto Monica , Vicepresidente dell'associazione Fairwatch ... 13 
Sani Luca , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCA SANI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti della Campagna Stop TTIP, dell'Associazione Fairwatch e di Slow Food.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle ricadute sul sistema agroalimentare italiano dell'accordo di partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), dei rappresentanti della Campagna Stop TTIP, dell'Associazione Fairwatch e di Slow Food.
  Saluto i nostri ospiti, invitandoli a presentarsi all'inizio dell'intervento.

  CINZIA SCAFFIDI, Vicepresidente Slow Food Italia. Grazie, presidente, sono Cinzia Scaffidi, vicepresidente di Slow Food Italia. Come evidenziato nel documento lasciato agli atti, le nostre perplessità riguardano il fatto che un trattato coinvolga Governi nell'impegno di aprire strade ulteriori al libero commercio, dove rispetto alla lista delle priorità passa in secondo piano tutto quello che è tutela dei cittadini e dei loro diritti, tra i quali quello all'informazione, oltre che al benessere e alla sicurezza alimentare, e invece assume preminenza il libero commercio.
  Se i fatturati diventano l'obiettivo, ci sembra che si sovverta il senso stesso del ruolo che i Governi devono avere.
  A parte una considerazione complessiva sulla difficoltà di reperire informazioni su questo trattato, sul fatto che molte cose avvengono in assenza di comunicazioni e informazioni riguardo a quanto sta succedendo, il primo elemento di preoccupazione riguarda l'arbitrato, che darebbe la possibilità di mettere sullo stesso piano due soggetti che hanno ruoli diversi e potenze di fuoco diverse, come, in particolare, l'esercito di avvocati di un'azienda contro un Governo che potrebbe essere accusato di aver preso decisioni lesive del profitto della stessa azienda.
  Spesso però le decisioni lesive del profitto sono decisioni a tutela dei cittadini, in quanto riguardano le etichette, la protezione ambientale, gli obblighi delle aziende a rispettare determinati elementi di cautela.
  Il fatto che su questa base ci sia il via libera a un arbitrato di questo genere ci sembra quindi pericolosissimo in generale, e ancora più se pensiamo ad alcuni Paesi europei che sono molto deboli dal punto di vista economico e quindi non andranno a infilarsi con serenità in vertenze di questo tipo.
  Per quanto riguarda la parte più specificamente di nostra competenza, quindi tutto l'agroalimentare, ci sembra che questa conciliazione della mentalità europea con quella statunitense rischi di essere una conciliazione al ribasso.Pag. 4
  L'Unione europea ha una tradizione e una cultura politica riguardo al cibo che è improntata alla cautela e alla sicurezza alimentare, e sicuramente ha un più elevato livello di tutela rispetto al sistema statunitense, quindi l'esigenza di armonizzare induce a temere che si armonizzi scendendo al livello degli Stati Uniti e non elevando gli Stati Uniti al livello dell'Europa.
  Questo significa, ad esempio, che tutte le normative sull'etichettatura saranno ostacolate più di quanto già non lo siano già, che sarà difficile individuare la presenza di OGM, l'origine e le metodologie zootecniche usate per l'allevamento, dagli ormoni agli antibiotici. Si abbasserà cioè la soglia di allarme, perché ci sono due filosofie diverse a confronto: da un lato c’è un'Europa che dice che, fino a quando non si dimostra che questa cosa è sicura, non la si mette in commercio, dall'altra gli Stati Uniti che invece sostengono che, fino a quando non si dimostra che ti ammazza, si può mangiare e si può vendere. Quella statunitense è una filosofia distante dalla nostra e sicuramente più facile da adottare.
  C’è inoltre la questione di chi fa i controlli, che in Europa sono sempre autorità ufficiali, mentre negli Stati Uniti si tratta quasi sempre di analisi private delle aziende stesse che forniscono i dati per il controllo, e anche questo non è rassicurante.
  Sul prodotto in Europa si tende a privilegiare la filiera, quindi tutti i passaggi devono essere concertati in modo da giungere a un prodotto sicuro; negli Stati Uniti si lavora di più sul prodotto finale, utilizzando processi termici o chimici a prodotto finito, in modo da essere certi di eliminare eventuali virus e batteri. Ciò significa però sottrarre attenzione a tutta la filiera, mentre il made in Italy è basato sulla qualità che si realizza nei singoli pezzi della filiera, e non si tratta solo di un made in Italy di rappresentanza, ma tutto questo sistema consente di fare reddito a piccole e medie aziende che rappresentano un pezzo importante di questa partita.
  In Italia vi sono aziende che raramente superano i 10 dipendenti (circa il 2 per cento), il 5 per cento circa delle aziende esportano quasi sempre verso Paesi europei. Se quindi stiamo facendo tutto questo lavoro del trattato per poche grandi aziende in grado di esportare fuori dall'Europa, stiamo lavorando per il bene di pochi, quando la politica dovrebbe invece lavorare per il bene comune.
  Questi sono i temi che ci stanno più a cuore, non è solo un senso politico, ma è anche un senso economico perché ovviamente i piccoli saranno costretti a lavorare e a subire le pressioni di prodotti meno cari, che saranno però meno costosi perché di qualità inferiore.
  Su questo noi non vorremmo andare, ma non vediamo vie d'uscita nella struttura di questo trattato e quindi crediamo che il «no» totale in questo momento sia l'unica soluzione, perché purtroppo all'interno di questa negoziazione non c’è alcuna possibilità di compromesso. Grazie.

  MONICA DI SISTO, Vicepresidente dell'associazione Fairwatch. Grazie, buonasera. Sono Monica Di Sisto, uno dei portavoce della Campagna Stop TTIP e vicepresidente dell'organizzazione Fairwatch che da oltre dieci anni lavora sui negoziati commerciali e climatici.
  Come molte organizzazioni internazionali soprattutto negli Stati Uniti hanno fatto, noi abbiamo accettato la sfida di entrare nei negoziati come portatori di interessi, come stakeholder, e da quell'osservatorio privilegiato abbiamo ritenuto importante, insieme a ormai oltre 300 organizzazioni in tutta Italia, aprire un dibattito nel Paese su questo trattato, perché dall'agosto 2013 abbiamo constatato come non vi fosse sufficiente attenzione ai risvolti positivi del trattato, ma soprattutto a quelli negativi, che sono anche quelli più preoccupanti, sulla nostra vita quotidiana.
  Innanzitutto, vi ringraziamo perché questo è l'unico spazio parlamentare di dibattito su questo tema, che invece all'interno delle democrazie europea è uno dei temi «alti» nell'agenda del dibattito Pag. 5politico, quindi il fatto che voi abbiate scelto un tema come quello dell'agricoltura come chiave per ragionare sulla sostenibilità del trattato per noi è prezioso perché parla alla vita quotidiana delle persone.
  Non vi nascondo che, verificando il polso del Paese (personalmente dall'inizio della campagna ho partecipato ad oltre cento incontri pubblici pieni di gente; sabato scorso a Milano eravamo in 300 alla Camera del lavoro per lanciare il comitato locale della campagna), vi è una preoccupazione che spesso non trova un'interlocuzione adeguata e non si traduce in slogan ma affonda le sue radici nella concretezza dei dati. Per questo ci siamo permessi di inviarvi tanto materiale, tra cui un dossier curato dalla mia associazione, che riunisce i dati ufficiali relativi al trattato e ai possibili impatti sul tema agricolo e cerca di focalizzarsi su alcuni punti. Uno di questi – lo riprendo direttamente da Cinzia Scaffidi perché lo ritengo importante – è quale modello di ristrutturazione del sistema produttivo euro-statunitense sia sotteso nel trattato. Sicuramente un dispositivo normativo che cerca di liberare le filiere dall'impaccio della democrazia crea problema nell'analisi condivisa, tema per noi centrale, perché il trattato va a definire dopo la firma una vita autonoma per almeno tre organismi. Il primo è l'arbitrato, di cui ha parlato Cinzia Scaffidi, un altro è un organismo per la cooperazione normativa tra noi e gli Stati Uniti, all'interno della quale un non meglio precisato livello tecnico-politico per l'Europa è confinato alla sola Commissione europea, ma non riusciamo a capire né a quale livello, né con quale coinvolgimento dei Parlamenti nazionali stabilirà anno per anno una lista di regole difficili da armonizzare (su sollecitazione non dei Parlamenti, dei sistemi statuali e della stessa Unione europea, ma dei portatori di interesse). Questo crea una preoccupazione non solo tecnica, ma anche normativa, democratica.
  Rispetto al tema specifico dell'agricoltura è chiaro che una cooperazione normativa a un non meglio precisato livello tecnico-politico, senza la possibilità di commisurare queste regole con i sistemi produttivi e gli impatti sui sistemi produttivi nazionali (perché manca nel testo legale che riguarda questo capitolo) significa aprire un baratro inquietante, perché non riusciamo a comprendere come i livelli regolativi nazionali potrebbero essere coinvolti in questo spazio.
  È vero che l'agricoltura ha una parte di competenza europea, ma ha anche ampia competenza rimasta sui territori, quindi, mentre il commercio l'abbiamo completamente affidato alla Commissione europea, non così è stato per i sistemi produttivi nazionali (riteniamo a ragione).
  Altro tema è quello dei flussi commerciali. Noi abbiamo fatto un'analisi attenta dei flussi commerciali e il ridisegno delle filiere che passa attraverso il trattato è quello che descriveva Cinzia Scaffidi. Come evidenziato da organizzazioni dei produttori come la CIA, che ha pubblicamente aderito a un nostro evento presso l'ILO a cui ha partecipato anche il Viceministro Calenda, dopo l'embargo di importazioni dalla Russia abbiamo bisogno di materia prima agricola per la trasformazione.
  Questo rispecchia una certa tendenza del made in Italy italiano a utilizzare materia prima straniera di diversa provenienza, trasformarla in made in Italy e fare di questo la gran parte delle nostre esportazioni, recuperando quel pezzo di reddito agricolo che non c’è più nelle aziende, perché occupato da tutti gli ammortamenti generati da una cattiva interpretazione degli aiuti europei. Se infatti fai un capannone ricevi dei soldi, però quel capannone ha un mutuo che ormai occupa oltre la metà del reddito agricolo disponibile in azienda, quindi paghi i debiti e non incassi niente di quello che importi.
  Questo prezzo, che non si può abbattere perché è bloccato dagli ammortamenti, è in larga parte superiore a quello che possono garantire le grandi aziende statunitensi, perché l'azienda media statunitense è un'azienda grande rispetto al sistema agroalimentare europeo, in particolare italiano, anche perché non lavora Pag. 6secondo la qualità richiesta a noi e oltretutto può contare su un sistema di sussidi nazionali, che è stato riclassificato in sede WTO, ma è intatto nelle quantità. Ormai è legale perché hanno un team legale straordinario che è riuscito a riclassificarlo, ma è assolutamente intatto dagli anni della formazione della WTO.
  È una competizione impari, e infatti quando Bertelsmann Foundation fa i conti sulle potenziali importazioni ci dice che al massimo riusciremmo a esportare dal 60 all'80 per cento in più come sistema Europa, però importeremmo il 118 per cento in più dagli Stati Uniti e subiremmo una media di rediction, cioè di spostamento dei flussi commerciali intraeuropei, del 40 per cento.
  I dati della Bertelsmann evidenziano che come Italia esporteremmo un meno 60 per cento rispetto alla Germania, per non parlare dell'impatto sulle relazioni con la sponda sud del Mediterraneo.
  Il trattato non può essere affrontato ideologicamente come una partita di pallone (esportazioni sì, importazioni no), ma il punto è capire quale sia il suo impatto sul nostro sistema produttivo. Su questo, purtroppo, al di là dell'iniziativa meritoria di questa Commissione, non c’è niente, perché gli unici dati prodotti sull'Italia sono quelli del rapporto del Ministero dello sviluppo economico commissionato a Prometeia, che sull'agricoltura dice poco o niente, e lo dice male. Cioè, dice quello che sappiamo tutti, cioè che ci sarà un impatto forte sulla produzione di base, ma in non dice quanto questo aumento di importazioni si tradurrà in una deindustrializzazione, una deruralizzazione del nostro Paese. Questo purtroppo l'abbiamo dovuto fare come associazioni, incontrando le categorie e costruendo un puzzle delle informazioni ricevute. Nessun Paese si è presentato così sguarnito all'appuntamento con il TTIP, e questo è quello che ci causa maggiore inquietudine.
  Concludo con una notizia e un appuntamento importanti. Una delle iniziative che sta conducendo la campagna consiste nel proporre alle amministrazioni locali un ragionamento sul TTIP e approvare mozioni di sfiducia. Comuni importanti come quello di Milano l'hanno approvata di recente e questo dimostra che nel Paese c’è preoccupazione, perché la mancanza di un ragionamento condiviso crea inquietudine, stato d'animo che mi sento di rafforzare riportandovi quanto è successo nell'ultimo confronto con la Commissione al quale possiamo partecipare come associazione, al tavolo agroalimentare all'inizio dello scorso febbraio, in occasione dell'ottavo round negoziale.
  In quel tavolo si sono presentati tanti marchi italiani con indicazione geografica (IG), quali formaggi o salumi, ma anche produzioni di latte del nord Europa, di carni francesi, di formaggi tedeschi. Quando il tema delle indicazioni geografiche è stato presentato ai negoziatori americani, segnalandolo come una possibilità per qualificare le produzioni tipiche americane, la risposta è stata una grassa risata. La negoziatrice americana ha infatti risposto alle organizzazioni di categoria che per loro Asiago e Parmigiano sono nomi comuni come ombrello e scarpa.
  Se il 70 per cento delle nostre esportazioni è collocato in quel settore e, anche con un accordo piccolo come quello con il Canada abbiamo avuto delle difficoltà a ottenere una protezione complessiva delle IG, tanto che ne sono passate soltanto 4 o 5 delle 266 IG italiane, per cui avremmo un'assoluta reciprocità tra prodotti con gli stessi nomi prodotti negli Stati Uniti e in Italia senza alcuna possibilità di tutela che non sia la tutela del marchio singolo, che gli Stati Uniti riconoscono, capite che stiamo veramente facendo un salto nel vuoto. Persino i nostri prodotti vincenti potrebbero trasformarsi in apripista per flussi commerciali di dubbia derivazione, senza considerare il tema dei prezzi per cui, se il mio vicino di casa, che è uno studente incapiente o spesso precario, trova il formaggio grattugiato Mamma Rosa allo 0,50 nello scaffale del supermercato non si pone il problema se sia parmigiano reggiano, perché costa meno, ha un sapore che conosce, lo mette sulla pasta e salva la spesa di quella settimana !Pag. 7
  Questo nel medio periodo rappresenterà una catastrofe per le nostre produzioni. Sappiamo che già quest'anno ci saranno 110.000 forme di parmigiano reggiano in meno in produzione per tenere un prezzo che sia remunerativo per i produttori locali.
  L'invito per voi, nostri rappresentanti e soprattutto amministratori, è di approfondire il tema come state facendo, ma anche di farvi intermediari tra queste preoccupazioni e i giusti interessi del nostro Paese, cercando di interpretare gli interessi il più possibile condivisi.
  Grazie a questa iniziativa vi chiederemmo di intensificare il dibattito nel Paese, fare il possibile per elevare la qualità e la rappresentatività del dibattito nazionali, perché il fatto che non si affronti in prima serata nei talk show, nei programmi rivolti alle casalinghe, è problematico.
  Noi siamo ottimisti perché il trattato è molto in ritardo, quindi pensiamo che le legittime preoccupazioni che crescono in Europa e negli Stati Uniti lo rallenteranno, non siamo convinti che gli Stati Uniti concederanno ad Obama il fast track, visto che c’è una forte resistenza anche tra i democratici.
  Il 18 aprile svolgeremo una grande giornata di mobilitazione transatlantica per rappresentare tutte le ragioni ed entro maggio vorremmo organizzare qui in Parlamento una giornata di dialogo sul TTIP, chiedendo la collaborazione di tutti i parlamentari che hanno interesse a confrontarsi con i propri colleghi europei su questo tema.
  Vi chiediamo quindi un aiuto e vi ringraziamo ancora per la disponibilità.

  ELENA MAZZONI, Portavoce della Campagna Stop TTIP Italia. Sono Elena Mazzoni, un membro della campagna Stop TTIP. Dopo quello che ha detto Monica Di Sisto non ho molto da aggiungere, voglio semplicemente fare un appello per l'ambito che mi riguarda, che non è la parte agricola, in quanto seguo gli aspetti giuridici del trattato, quindi l'aspetto riguardante l’Investor state dispute settlement (ISDS), questa fase della cooperazione normativa.
  Girando l'Italia e seguendo i comitati e la partecipazione delle persone alle iniziative ci rendiamo conto che la mancanza di informazioni sul trattato crea molte problematiche anche a chi nel trattato crede, quindi vuole sostenerlo (ho partecipato a incontri con europarlamentari favorevoli). Questa mancanza di trasparenza, di dati certi e di documentazioni «governative» rende difficile sia la nostra opposizione, che è però ferrea, sia confrontarsi su dati certi.
  Nel girare l'Italia si percepisce comunque che la gente è molto sensibile a questo argomento, nonostante la mancanza di comunicazione e di chiarezza. Quando si parla di punti come il lodo arbitrale e l'ISDS i cittadini sono veramente spaventati e la prima domanda che fanno riguarda l'eventuale perdita di democrazia, perché percepiscono come principalmente con l'ISDS gli Stati sovrani perdano la capacità di fare leggi a tutela dei cittadini di fronte a un interesse di tipo economico e commerciale.
  Questa è la loro maggiore preoccupazione, di fronte alla quale non siamo assolutamente in grado di dare rassicurazioni.
  Servirebbe a tutti avere maggiore chiarezza su questi punti, quindi non solo sull'agroalimentare, ma avere delle garanzie ed essere rassicurati che rispetto a questo attacco continuo alla democrazia che noi vediamo nel trattato, ma anche nel CETA e nel TISA, perché il TTIP ha tanti simpatici fratelli. Si tratta di un attacco che sul territorio potrebbe essere risolto o reso meno problematico qualora ci fossero maggiore trasparenza e documentazione.
  Sicuramente la cosiddetta «cooperazione normativa», al di là dell'ISDS, è ciò che ci preoccupa maggiormente, perché, al di là della vaghezza di cui è ancora connotata, sarebbe una concreta via di fuga dal controllo pubblico. Uno Stato si troverebbe costretto a negoziare con le lobby multinazionali quelle che sono norme di tutela per i cittadini.Pag. 8
  Quello che il TTIP va a intaccare, le cosiddette «barriere non tariffarie», è quello che maggiormente preoccupa i cittadini, come possiamo constatare girando per l'Italia, e i cittadini sono elettori di tutti. Vorrei sottolineare questo aspetto, perché il cittadino quando è preoccupato vota altro o non si reca a votare. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO ZANIN. Vorrei esprimere delle considerazioni ed evidenziare alcuni elementi. Appartengo al Partito Democratico e quelli del mio Gruppo sanno che provengo dalla componente estremista, che avrebbe preso il «no TTIP» a scatola chiusa.
  Innanzitutto, siamo davvero convinti che su questa vicenda della trasparenza non ci siano invece delle zone virtuose che sono state attivate dall'Unione europea ? Questa è la prima e unica grande campagna a livello europeo su cui si è costruito un tentativo di allargamento della base consensuale attraverso delle fasi di ascolto.
  Sicuramente Slow Food ha delle reti di collegamento sovranazionale e mi permetterei di suggerire se questa del TTIP non possa essere in potenza una delle prime vere sfide per la cittadinanza europea, in un contenitore Europa in cui le sfide comuni sono spesso affrontate a partire dalle posizioni di presidio nazionale, dove gli interessi uniformi di tutti i cittadini dell'Unione europea difficilmente entrano nel novero delle decisioni.
  Rendiamo quindi questo dibattito non soltanto un dibattito pubblico più largo e più trasparente, ma anche in grado di superare le barriere nazionali, perché questa è una grande occasione per costruire una leva di cittadinanza europea.
  Secondo aspetto: tutti gli indicatori degli studi economici evidenziano come questo trattato possa garantire benefici di natura economica. È chiaro che la ragione strategico-politica di questo trattato è l'aumento di un baricentro di scambio reciproco tra due sistemi ad alto livello di industrializzazione quali quelli nordamericano e nordeuropeo, che cercano di entrare in una stagione di globalizzazione matura.
  Penso che questo su scala geopolitica vada osservato con grande attenzione, perché il dumping speculativo dei prodotti che giungono dal sud del mondo anche sulle nostre tavole è un tema che va affrontato, il TTIP non riguarda soltanto l'agroalimentare, dunque stiamo attenti a non considerare con la lente dell'agroalimentare ciò che invece viene costruito da altri pezzi del mercato. Avete preso in considerazione questo aspetto ?
  Vi pongo delle domande per ragionare insieme, perché le audizioni servono a questo. Non è che ci si fidi poco delle qualità del prodotto nazionale ? Rovesciando il paradigma, invece che temere di essere invasi, visto che abbiamo qualità da proporre e il criterio è quello di aumentare le libertà nello scambio, la capacità di offensiva della qualità tipica del made in Italy e del profilo che Slow Food presidia hanno una forza espansiva oltre oceano che altrimenti non avrebbero ?
  Dobbiamo chiederci se questo trattato non sottoponga a regole di mercato un valore aggiunto per i cittadini americani. Me lo domando perché non dobbiamo guardare solo il bicchiere mezzo vuoto, ma possiamo guardare, attraverso l'abbattimento di regole che oggi creano inciampo a livello di mercato, la parte potenzialmente costruttiva. A volte ci vuole fiducia per immaginare che attraverso meccanismi inevitabilmente rischiosi si possano produrre orientamenti di segno positivo.
  Questa è una domanda che pongo, non una convinzione definitiva, però me la pongo perché è evidente che il prevalere delle buone idee dipende da fattori prevalentemente extraeconomici, le buone idee non camminano sulla base delle scelte economiche. È vero, il simil-Parmigiano a 50 centesimi è uno dei temi, ma non può essere l'unico, c’è una diversa prospettiva.
  Me lo domando se valuto il tema sotto un profilo vitivinicolo, laddove le attese sono enormemente positive, quindi domandiamoci Pag. 9cosa ne pensino i nostri produttori e come vivano questo passaggio.
  È chiaro che il tallone d'Achille di questa vicenda è l'arbitrato, l'elemento che incontestabilmente si presenta come un profilo di debolezza del trattato e bisognerebbe capire come uscirne, dal momento che un trattato transattivo di questo genere avrebbe immediate ricadute anche su altri trattati bilaterali, perché detta delle regole.
  Non ho fatto delle domande specifiche, ma ho cercato di fare un ragionamento. Io sono la pars destruens del Gruppo, lascio la parola alla pars construens.

  FRANCO BORDO. Se non riesco ad acquisire la risposta in diretta, l'acquisirò dagli atti. Dalle audizioni che abbiamo già avuto e da incontri esterni emerge un ragionamento che mi interessa in modo particolare. C’è anche chi è propenso a questo tipo di accordo perché l'Italia trasformi la sua agricoltura, il suo sistema di produzione agricolo-alimentare in un Paese in trasformazione.
  Cade tutta una serie di barriere, cade anche tutta una serie di caratteristiche nazionali (DOP, IGP), perché nella logica di questo scambio simili prodotti non avrebbero grande valore, se non quello di marchi affermati come il Parmigiano, che comunque ha già i problemi prima accennati, per cui si procederebbe a trasformazioni prendendo materie prime altrove e mettendo il bollino made in Italy. È un problema che considerate un'ipotesi lontana, surreale, o un rischio reale a cui il nostro Paese può andare incontro ?
  Viene citato come esempio positivo l'accordo Italia-Canada sul prosciutto crudo: mi date una vostra valutazione ?
  La trasparenza nell'informazione sul trattato: penso che si sia partiti con un grave problema di segretezza, oggi è soddisfacente il livello di accesso alle informazioni o è ancora insufficiente ?
  Se l'Europa non dovesse sottoscrivere il trattato TTIP, come sistema Paese vedo anche dei problemi nella nostra produzione, perché constato che l'Italia è il quarto Paese come capacità di esportazione verso gli Stati Uniti, dopo Francia, Paesi Bassi (questo onestamente mi ha lasciato basito) e Germania, quindi mi chiedo quali siano le possibilità di scalare questa classifica e di scavalcare almeno i Paesi Bassi.

  GIAN PIETRO DAL MORO. Ringrazio anch'io gli auditi per questa occasione di confronto.
  Epurate le affermazioni che personalmente sento un po’ ideologiche (crisi della democrazia e via dicendo) e che quindi vorrei eliminare dalla discussione rimanendo sui contenuti, vedo ombre e incertezze.
  La discussione deve partire dagli elementi oggettivi, e siamo anche intervenuti in questo senso con i colleghi parlamentari europei per avere la certezza dell'informazione e dei dati oggettivi, perché spesso si viaggia su elementi molto incerti.
  Adesso riceviamo gli atti con maggiore frequenza, mentre all'inizio non era così, è stato un obiettivo raggiunto. La partecipazione ai lavori di alcune organizzazioni come la vostra, seppur senza la possibilità di intervenire, è un altro segno di trasparenza. Non c’è mai fine all'esigenza di maggiore trasparenza, però bisogna anche trovare un punto di equilibrio finché c’è la democrazia rappresentativa.
  Esprimo una preoccupazione rispetto al vostro intervento: siamo in un mercato globale e il problema è non la globalizzazione, ma la mancanza di regole. Il tema quindi è che siamo dentro la globalizzazione e sappiamo che al suo interno le competizioni oggi avvengono tra continenti, laddove neppure la Germania pensa di poter competere sul mercato mondiale giocando una partita come Stato europeo più forte.
  C’è stata una discussione all'interno del Governo e del Parlamento americano perché avevano di fronte due ipotesi: aprire una trattativa al di là del Pacifico e aprire una trattativa al di là dell'Atlantico, ci sono due mondi diversi. Hanno scelto con molte difficoltà interne di partire da Oltreatlantico, anche se nell'ultimo FISE, soprattutto grazie ai conservatori che si Pag. 10sono dimostrati molto critici su questa ipotesi di partire dall'Atlantico, la discussione è ancora aperta.
  Vorrei quindi che prendessimo in considerazione che, se per qualsiasi ragione si dovesse interrompere la trattativa, gli americani avrebbero la possibilità di farla con l'altra parte del mondo. Vorrei che nei dati oggettivi ci fosse anche questo elemento di valutazione, perché non mi accontento di individuare i dati positivi e negativi di un eventuale accordo tra Europa e America, ma vorrei anche conoscere i dati negativi per noi nel caso in cui l'America lo facesse con gli altri, perché in un libero mercato ci sono anche conseguenze diverse.
  Questa è la mia prima preoccupazione, perché le informazioni di cui dispongo evidenziano una forte resistenza all'interno delle discussione americana su questo accordo, Obama si sta avviando alla fine del mandato in una situazione non felice, c’è un dibattito all'interno del Partito democratico americano, quindi si sta affermando l'idea che tutto sommato la cosa possa essere procrastinata alla nuova presidenza americana, ma non vorrei che la nuova presidenza potesse partire dall'altra parte invece che da noi.
  Ci sono due sfaccettature diverse, perché, come ha detto giustamente il collega Zanin, un conto è il tema agroalimentare e un conto il resto. I prodotti non sono infatti solo diversi: il prodotto agroalimentare entra dentro la salute dei cittadini. Come Commissione agricoltura ci occupiamo di questo, però certo non vi sfugge che la valutazione complessiva riguarderà non solo il settore agroalimentare, ma tutto.
  Anch'io ho partecipato a qualche dibattito su questo tema nel nord del Paese e il 90 per cento delle domande riguarda l'agroalimentare, però corriamo il rischio di guardare la realtà su con un occhio chiuso e uno aperto, mentre bisogna fare una valutazione complessiva perché il sistema Paese ha una serie di altre opportunità.
  Siamo molto preoccupati per il tema dell'arbitrato per la debolezza che qualche Stato potrebbe avere da questo punto di vista, ma anche la nostra non è un'isola felice perché gli italiani per sfamarsi importano più di quello che producono. Non produciamo a sufficienza latte e carne e ci arriva di tutto, ieri abbiamo fatto delle audizioni sul latte UHT e sulle mozzarelle e vi lasciamo immaginare cosa sta arrivando !
  Lo dico perché vorremmo chiedervi di tirarci fuori dal bianco e nero, in quanto spesso i dibattiti su questo tema non aiutano perché la materia è complessa, mette insieme legislazioni diverse, procedure e organizzazioni, e il compito principale spetta a organizzazioni come la vostra e a chi è deputato a fare le leggi nell'individuare temi di confronto che stiano sui fatti e sui contenuti.
  Anche all'interno delle organizzazioni che si occupano del settore agroalimentare non c’è infatti uniformità di vedute sebbene, a differenza di noi che dobbiamo difendere un interesse collettivo, per natura difendano un interesse particolare ben definito. Nonostante questo, però, si trovano su posizioni molto diverse.
  L'odierna audizione è servita a confrontarci e credo che invitare al tavolo anche soggetti di opinioni diverse, presidente, possa essere utile al confronto, perché altrimenti corriamo il rischio di ripetere quanto è accaduto nella discussione sugli OGM, laddove per alcuni di noi andava tutto bene e per altri sarebbero stati pericolosissimi, e alla fine due scienziati hanno espresso tesi opposte.
  Non dobbiamo solo ascoltarci a vicenda, ma dobbiamo soprattutto aprire un dibattito e un confronto, perché la democrazia nasce non dall'alimentazione delle proprie convinzioni e dall'esasperazione delle piazze, ma dall'individuazione di un punto di sintesi e di raccordo. Ci sarà una serie di passaggi molto lunghi prima di giungere a una decisione finale.
  Credo che da questo punto di vista il Parlamento italiano, anche per la dimensione e il peso che il Partito Democratico oggi possiede come primo partito socialista all'interno del Parlamento europeo, possa giocare un ruolo importante grazie alla Pag. 11presenza di suoi protagonisti che partecipano ai tavoli del settore agroalimentare. Grazie.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Cercherò di essere breve. Se, come è stato detto dai colleghi del PD, c’è preoccupazione per la parte dell'ISDS, inviterei i colleghi a sollecitare in Commissione politiche europee se non in Assemblea una nuova risoluzione, che riesca a essere più puntuale sulla parte degli arbitrati, perché la mozione che abbiamo votato in Assemblea sostanzialmente avalla il sistema degli arbitrati internazionali, e l'avete votata senza i dovuti rilievi critici che invece altri Paesi hanno apportato in altre mozioni.
  Votare una cosa e dire una cosa differente non è coerenza, magari l'approfondimento aiuta, quindi approfondiamo questa parte critica del trattato e trattiamola in Commissione politiche europee se non ce la facciamo con la calendarizzazione dei tempi in Assemblea. Questo è un mio invito.
  Concordo che la globalizzazione senza regole porta a una situazione ingestibile e che ci sono chiare contrapposizioni di forza, alle quali è difficile tener testa senza l'unità dell'Europa e magari di un blocco economico più forte, ma credo che si cerchi di chiedere che gli standard europei vengano estesi agli Stati Uniti e non ridotti al lumicino, evitando che con gli arbitrati internazionali i Parlamenti e i Governi non siano più in grado di estendere le garanzie e le tutele sull'ambiente e sui lavoratori perché una multinazionale può fare causa allo Stato sovrano.
  Questa è una minaccia democratica, perché il sistema degli abitati internazionali è pericolosissimo, e svincolare questo sistema dall'impatto sull'agroalimentare non credo che sia corretto. I dati economici possono essere visti, approfonditi, analizzati e interpretati da ognuno a suo modo, ma c’è anche una questione democratica che il trattato solleva con l'ISDS, che va sempre rimarcata perché è fondamentale.
  Se infatti si approva un trattato con il modello degli abitati internazionali, quello sarà il modello per tutti gli altri continenti, quindi non lo possiamo fare noi con gli Stati Uniti, perché poi diventa il modello per tutti ed è già in vigore con gli accordi bilaterali.
  Se questo deve essere il trattato modello, che sia fatto veramente bene o vi sia almeno una mediazione digeribile, perché se venisse attuato sarebbe distruttivo per la democrazia, sarebbe una finestra su uno scenario post-democratico.
  Si tratta soprattutto di agroalimentare, ma è proprio vero che i servizi non sono inclusi nel TTIP ? E poi vorrei conoscere anche l'impatto sul mondo del lavoro agricolo e sul mondo del lavoro in generale, perché le deregolamentazioni portano sempre a una riduzione dei posti di lavoro, non a un incremento, quindi ci sarà un impatto negativo sul mondo del lavoro.
  Credo che non siano da meno i rilievi del collega Dal Moro in merito all'esigenza di valutare gli eventuali dati negativi per noi qualora Cina e Stati Uniti siglassero questo trattato. Concordo sull'opportunità di svolgere un eventuale approfondimento, anche se non è facile, ma comunque non anteporrei vantaggi economici derivanti dall'averlo fatto noi piuttosto che la Cina con gli Stati Uniti a un radicale abbassamento degli standard qualitativi europei. Preferirei piuttosto rimanere in un'Europa che mantiene degli standard qualitativi alti sui quali si confronterà con gli altri continenti piuttosto che cedere immediatamente a un trattato al ribasso (al momento sembra trattarsi di questo) per non vedere dati economici negativi che poi – mi permetta il collega Zanin – sono veramente irrisori, in quanto la crescita del PIL stimata è dello 0,5 in 27 anni. Se poi anche l'occupazione non beneficia del trattato, a questo punto non è globalizzazione matura, ma è capitalismo maturo.

  GIAN PIETRO DAL MORO. Solo una precisazione perché sono stato chiamato in causa dall'onorevole Zaccagnini: noi abbiamo votato la risoluzione perché abbiamo ancora questa idea di democrazia rappresentativa, cioè siamo rappresentati da parlamentari del Partito Democratico, Pag. 12abbiamo fatto delle audizioni, sono venuti Paolo De Castro e altri che ci hanno portato delle informazioni, abbiamo affrontato questa criticità con loro e c’è stata condivisione. Volevo precisarlo perché c’è coerenza nella scelta della risoluzione.

  PRESIDENTE. Volevo rappresentare che l'indagine conoscitiva si concluderà con un documento finale che la Commissione dovrà approvare e anche che non possiamo prendere iniziative per altre Commissioni. Se altre Commissioni vogliono svolgere altre indagini conoscitive, sono naturalmente libere di farlo.
  Vi raccomanderei la sintesi perché gli argomenti sono tanti, e vi ricordo che eventuali approfondimenti e contributi possono arrivare alla Commissione anche in forma scritta, oltre ai documenti che ci avete già inviato.

  CINZIA SCAFFIDI, Vicepresidente Slow Food Italia. Ribadisco, anche a nome di tutti, la disponibilità a riaprire la discussione, a tornare per eventuali approfondimenti. Gli argomenti messi sul tavolo sono tanti, ma bisogna non perdere di vista il senso complessivo. Se ragioniamo su un pezzo di economia quale le esportazioni dobbiamo valutare se sulla base di quello valga la pena di incrementare il tasso di industrializzazione, a cui sono andati sicuramente incontro gli Stati Uniti e un pezzo dell'Europa anche nel settore agricoltura.
  Gli americani ridono sui marchi perché hanno i brand, che sono molto diversi, e, mentre c’è un pezzo di mondo che si fida del luogo, del posto, della storia di un prodotto, un pezzo di mondo, quello dell'Europa del nord e degli Stati Uniti, si fida invece di una marca e sulla base di quel brand prende le sue decisioni di acquisto anche dal punto di vista alimentare.
  Non è un caso ovviamente se la maggioranza delle DOP si trova nell'Europa del sud e nell'Europa centrale, mentre nell'Europa del nord non ce ne sono e fuori dall'Europa non hanno idea di cosa siano, perché quel tipo di cultura alimentare è andata in un'altra direzione.
  Il tipo di cultura alimentare che noi abbiamo difeso ha protetto non soltanto le qualità intrinseche dei prodotti finiti, ma anche paesaggio, turismo, salute pubblica, fertilità e salubrità delle acque, e in tanti posti non è riuscita a difenderli perché è passato l'altro modello, ovviamente laddove era più facile farlo passare, perché nelle pianure è più facile far passare un modello industrializzato di agricoltura che provoca poi tutto quel danno ma ha un altro fine.
  L'agricoltura industrializzata ha infatti come fine il mercato e quindi deve produrre merce da vendere, e lo fa egregiamente in quanto quella merce può essere acquistata e venduta continuamente. L'altra agricoltura, quella che come associazione andiamo difendendo, produce cibo, e quindi produce elementi di salubrità a trecentosessanta gradi per le persone, per i lombrichi, per i pesci. È qui che si scontra un modello politico fondamentale di dove stiamo andando e che tipo di agricoltura abbiamo in mente per questo Paese e per questo continente.
  Siamo nell'anno dell'Expo, ci stiamo dicendo un sacco di belle cose sull'Expo, facciamo tavoli sulla sovranità alimentare e sul diritto alla conoscenza, diciamo Nutrire il pianeta, energia per la vita ma ci dobbiamo ricordare che il corredo di comunicazioni che un Governo e un continente dovrebbero fornire nella stessa epoca storica dovrebbe avere coerenza, quindi non possiamo da un lato preoccuparci della sostenibilità e dall'altro decidere di industrializzare tutto e diventare un Paese di trasformatori.
  A parte gli elementi tecnici di contenuto di quel trattato, c’è un elemento formale e politico: qui ci viene detto di prendere o lasciare, o prendi tutto così come te lo stiamo dicendo o ce ne andiamo dai cinesi. Non va bene che ci dicano così, perché spacchettare questo trattato e scegliere le parti da prendere e quelle da eliminare sarebbe già un grandissimo Pag. 13passo avanti, mentre se cominciamo a dire no all'arbitrato non si può più fare !
  C’è qualcosa che non funziona dal punto di vista della democrazia e della partecipazione, perché non puoi dirmi che mi vendi questa casa nella quale ci sono alcune stanze con aria tossica e altre in cui starò benissimo, però devo prenderle tutte. Il rapporto tra Stati democratici non può funzionare in questo modo, perché stiamo parlando del trattato non tra gli Stati Uniti e l'ultima dittatura dimenticata al fondo di chissà quale continente, ma degli Stati Uniti e dell'Europa, cioè di una catena di Governi che hanno fatto della democrazia, della partecipazione, della rappresentanza il senso del loro stare insieme.
  Che tutto questo debba costruirsi su un insieme di regole e di trattative che alla fine incrementano del 5 per cento le esportazioni e vanno a beneficiare il 5 per cento delle aziende italiane, non riesco a capire come possa essere una cosa a cui dedicare tutto questo fervore normativo.
  Non credo che il ragionamento cambi passando dall'alimentare al tessile, senza contare poi che l'agricoltura è coinvolta in entrambi. Non importa se riguarda l'alimentare o altro, perché è un modello a cui fare riferimento. Magari proviamo a spacchettare l'alimentare nel senso dei contenuti, ma non è possibile, per questo ho esordito dichiarando che purtroppo è costruito in modo che uno possa dire solo no, perché dire «sì, ma...» non è possibile.

  MONICA DI SISTO, Vicepresidente dell'associazione Fairwatch. Rapidamente sul tecnico. Innanzitutto le barriere tariffarie: se gli Stati Uniti e l'Europa hanno dei problemi hanno già un luogo per risolverli, che è l'Organizzazione mondiale del commercio di cui sono entrambi membri.
  L'80 per cento dei benefici del trattato (lo dice la Commissione europea, non lo diciamo noi) deriva dall'armonizzazione dei regolamenti, che però non sono regolamenti di tipo commerciale ma sono essenzialmente la modalità diversa in cui noi produciamo e proteggiamo, caratterizziamo i nostri prodotti.
  Nell'analisi del Centre for economic policy research (il CEPR è l'ente di analisi che ha istruito tutta la parte antecedente al TTIP, la parte europea) su queste barriere non tariffarie troviamo etichettature trasparenti, controlli alle dogane, controlli di sicurezza, controlli lungo le filiere, il marchio CE sui frullatori, e sono queste le cose che creano problemi al commercio tra noi e gli Stati Uniti.
  L'ho definito problema democratico perché è un problema legato non a come settiamo il commercio, ma a come scegliamo di tutelare la salute di quel consumatore che compra il frullatore se vede il marchio CE e sa che non si brucerà perché ha la terza spina.
  C’è anche un problema democratico con la trasparenza, perché, se i vostri colleghi del Parlamento europeo vogliono vedere il testo, devono entrare in una stanza del Parlamento europeo (prima dovevano andare addirittura all'Ambasciata americana), la reading room, vengono perquisiti, non possano avere alcuna riproduzione meccanica del testo, si vedono consegnare dei fogli che non possono essere fotocopiati su cui prendono degli appunti personali.
  Voi siete uomini di legislazione e sapete che un testo legale se è privato dell'allegato tecnico è praticamente incomprensibile, e anche per me che guardo negoziati commerciali da oltre quindici anni, se non ho con me i trattati (Maastricht, Lisbona) a cui si fa riferimento negli articoli, è difficile comprendere il filo logico di quel testo se non posso portarlo fuori per ragionarci sopra.
  Gli Stati Uniti hanno scelto un'altra modalità di consultazione dei testi perché hanno un set di esperti che oltre ai congressisti ricevono questo testo nel loro computer, e lo possono controllare.
  Dopo la crescita di questo movimento di opposizione, con il passaggio alla nuova Commissione c’è stata la famosa operazione trasparenza, anche perché erano state ricevute 150.000 risposte contro l'arbitrato Pag. 14in seguito alla famosa consultazione pubblica, quindi si era capito che era un problema su cui vi era attenzione da parte dell'opinione pubblica europea.
  Sono stati quindi pubblicati i testi legali di pochissimi capitoli in discussione, peraltro solo i nostri, quelli europei, e gli stessi parlamentari europei non possono vedere i testi di negoziato degli Stati Uniti, ma li vedono soltanto i pochi che fanno parte del set negoziale.
  Io ne ho visti alcuni nei computer dei miei colleghi di oltreoceano che fanno parte del set degli esperti, quindi a Bruxelles ci siamo confrontati, perché loro hanno la possibilità nel disclaimer di consultare gli esperti in grado di aiutarli a costruire la loro posizione, firmano questo impegno e noi siamo i terzi tenuti alla riservatezza sui contenuti, infatti su quelli non pubblicati non ho mai scritto un rigo, però ho visto ad esempio l'offerta agricola degli Stati Uniti nell'ultima tornata negoziale.
  Un parlamentare europeo non la può vedere, neanche uno della Commissione sul commercio estero, e non può vedere neanche l'allegato tecnico legato al testo di proposta europea. Questo è un tema democratico, non è ideologico (del resto io insegno alla Gregoriana e per me ideologia è una parola esotica del vecchio secolo e non mi appartiene), perché ragiono sulla effettiva agibilità di questi spazi di trasparenza.
  Io incontro la Commissione europea perché la mia associazione si è registrata come lobbista, come portatore di interessi: è ridicolo, ci dovreste andare voi, voi che siete i nostri rappresentanti dovreste essere democraticamente convocati almeno una volta al mese o comunque avere possibilità di leggerlo, visto che vi occupate di temi sensibili.
  Sono preoccupata perché ho già visto questo film nel 2005 con la liberalizzazione del settore tessile e la fine dell'accordo multifibre. Avevamo fatto una campagna europea come questa di ragionamento sul multifibre, alcuni del sindacato italiano avevano obiettato che la qualità del tessile made in Italy era talmente forte che saremmo riusciti a competere nel mondo anche se fossero saltate le regole che regolavano il mercato globale del tessile. Noi ribattevamo che di fronte a una bocca di fuoco di esportazioni come quelle cinese e indiana non saremmo usciti vivi, perché non avevamo la struttura produttiva adatta a reggere una botta di questo tipo, che è la stessa osservazione che facciamo adesso non solo nell'agroalimentare, perché lo studio di Prometeia già citato evidenzia lo stesso problema nella meccanica di precisione, nella chimica di consumo, nel tessile, nell'abbigliamento e in altre categorie. Ce ne sono alcune che invece hanno delle possibilità.
  Gli indicatori con cui sono stati fatti questi conti sono gli stessi dell'epoca e sono gli indicatori della Banca mondiale, quelli secchi import/export. Se usate gli indicatori dell’United nations conference on trade and development (UNCTAD), l'agenzia delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo, come le ha usate un'università americana, emerge che entro il primo anno il TTIP in tutta Europa farà perdere 1 milione di posti di lavoro.
  La fine del multifibre in Italia ha causato nel primo anno la perdita di 250.000 posti di lavoro, entro il secondo anno di oltre i 400.000, e non sono stati più recuperati, ci siamo deindustrializzati in quel settore. Questa è la nostra paura perché il film l'abbiamo già visto: la qualità non regge se non hai una struttura produttiva in grado di competere con quella modalità integrata nelle filiere globali, che è quella degli Stati Uniti, che ha già desertificato tutto quello che poteva desertificare alla base.
  La nostra non è quindi una preoccupazione di anime belle, ma è una preoccupazione numeri alla mano, che ci spaventa ancor di più perché nell'affrontare un cambiamento di questo tipo il Congresso americano si dota di un fondo di garanzia (l'ha fatto con l'ultima manovra finanziaria) per promuovere investimenti pubblici che sostengano la struttura produttiva industriale statunitense nell'approccio al TTIP, perché ci sono dei settori che anche da loro perderanno, e noi in Pag. 15Europa non pensiamo a niente che non sia il vecchio fondo sulla globalizzazione che abbiamo usato anche noi italiani ma è piccolo e inadatto alla velocità con cui ci servirebbero questi soldi.
  L'Italia manca di un piano di sviluppo industriale dal 2005 e per quanto riguarda i fondi europei sappiamo come sono stati utilizzati quelli dello sviluppo rurale, sappiamo i problemi che abbiamo su tutti i capitoli, e questa è la nostra situazione.
  Personalmente ritengo che pensare in termini di globalizzazione sì-globalizzazione no sia come un derby Roma-Lazio. Vi è invece la necessità di dotarsi di strumenti di intervento concreto qualora gli impatti fossero forti come noi prevediamo, ma constatiamo l'impossibilità di dotarcene perché siamo l'Italia e siamo nelle condizioni che tutti conosciamo, e ciò ci crea un'inquietudine di sistema, non un'inquietudine «calcistica».
  Per questo consideriamo importante moltiplicare le occasioni di confronto. Io parlo pochissimo con attivisti, incontro soprattutto imprenditori, produttori, sindacalisti che ci chiedono incontri riservati per i loro quadri, perché non hanno possibilità informative e formative su questi temi.
  Voi capite che questa è una supplenza che un cittadino comune come me fa, una supplenza ridicola di fronte a una situazione come questa, che richiederebbe non spot alla RAI o una road show dei nostri ministri, ma un ampio tavolo come quello che avevamo chiesto al Ministero delle attività produttive, a cui siedano insieme CNA, noi, Confindustria e al quale tutti portino i loro dati, dicano che l'Italia è questa, questo è lo scenario, A B e C come in tutte le analisi previsionali e da questo parta una sintesi politica che spetta solo a voi, non a noi. Grazie.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.