XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Lunedì 20 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MALATTIE RARE

Audizione di rappresentanti dei Centri regionali di riferimento per le malattie rare.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Moi Paolo , direttore del Centro malattie rare Sardegna ... 4 
Della Casa Roberto , componente del Centro di coordinamento regionale per le malattie rare Campania ... 4 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 6 
Remuzzi Giuseppe , coordinatore delle ricerche Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri ... 6 
Burlina Alberto , direttore UOC malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del centro regionale autorizzato per lo screening neonatale ... 8 
Capocaccia Riccardo , consulente dell'Istituto dei tumori di Milano ... 10 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 13 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 13 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 13 
Remuzzi Giuseppe , coordinatore delle ricerche Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri ... 13 
Burlina Alberto , direttore UOC malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del centro regionale autorizzato per lo screening neonatale ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 14 
Burlina Alberto , direttore UOC malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del centro regionale autorizzato per lo screening neonatale ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 14 

Audizione di rappresentanti di Farmindustria e di Federchimica ASSOBIOTEC:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 15 
Aringhieri Eugenio , presidente del gruppo biotecnologie di Farmindustria ... 15 
Palmisano Riccardo , vice presidente delegato di Federchimica ASSOBIOTEC ... 17 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 20 

Audizione di responsabili scientifici di case farmaceutiche (Sanofi, Novartis, Vertex, Dompè) e di rappresentanti del Gruppo di lavoro sui farmaci orfani (GLFO), del CEINGE-Biotecnologie avanzate, del Consorzio CNCCS-Scarl e dell'Osservatorio malattie rare Omar:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 20 
Baruchello Giacomo , amministratore delegato della Vertex ... 21 
Dang Patrizia , direttore medico della Vertex ... 21 
Baruchello Giacomo , amministratore delegato della Vertex ... 21 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 22 
Boano Luigi , oncology general manager della Novartis ... 22 
Fincato Gianluca , oncology medical director della Novartis ... 22 
Boano Luigi , oncology general manager della Novartis ... 22 
Allegretti Marcello , chief scientific officer della Dompè ... 23 
Piccinini Enrico , amministratore delegato Sanofi-Genzyme ... 24 
Ninci Mauro , direttore medico della Sanofi-Genzyme ... 25 
Capolino Perlingieri Ugo , portavoce del Gruppo di lavoro sui farmaci orfani (GLFO) ... 26 
Salvatore Francesco , presidente e coordinatore scientifico del CEINGE – Biotecnologie avanzate ... 27 
Ruoppolo Margherita , responsabile screening neonatale per le malattie rare del CEINGE – Biotecnologie avanzate ... 28 
Salvatore Francesco , presidente e coordinatore scientifico del CEINGE – Biotecnologie avanzate ... 28 
Di Lorenzo Pietro , amministratore delegato del Consorzio CNCCS-Scarl ... 29 
Ciancaloni Bartoli Ilaria , direttore responsabile dell'Osservatorio malattie rare OMAR ... 30 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 32 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 32 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 32 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 32 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 33 
Di Lorenzo Pietro , amministratore delegato del Consorzio CNCCS ... 33 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 33 
Ciancaloni Bartoli Ilaria , direttore responsabile dell'Osservatorio malattie rare OMAR ... 33 
Fincato Gianluca , oncology medical director della Novartis ... 34 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 34

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 16.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dei Centri regionali di riferimento per le malattie rare.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle malattie rare, l'audizione di rappresentanti dei Centri regionali di riferimento per le malattie rare.
  La Commissione prosegue le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle malattie rare, che è stata deliberata il 18 marzo scorso. Nella seduta odierna, alle ore 16 è prevista l'audizione dei Centri regionali di riferimento per le malattie rare, alle ore 17 l'audizione di rappresentanti di Farmindustria, Federchimica e Assobiotec e alle ore 17,45 l'audizione dei responsabili scientifici di case farmaceutiche, del Gruppo di lavoro sui farmaci orfani, dei rappresentanti del CEINGE biotecnologie avanzate, del Consorzio CNSS-Scarl e dell'Osservatorio malattie rare (OMAR).
  Per i Centri regionali di riferimento per la mattinata rare sono presenti il professor Paolo Moi, direttore del Centro malattie rare della Sardegna, il professor Roberto Della Casa, componente del Centro di coordinamento regionale per le malattie rare della Campania, il professor Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle ricerche all'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, il dottor Alberto Burlina, direttore dell'Unità operativa complessa per le malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del Centro regionale autorizzato per lo screening neonatale, e il dottor Riccardo Capocaccia, consulente dell'Istituto dei tumori di Milano, ai quali do il nostro benvenuto.
  Comunico infine che il professor Mauro Celli, responsabile per le malattie rare del Reparto di pediatria e neuropsichiatria infantile del Policlinico Umberto I di Roma, che era stato invitato all'audizione odierna, ha comunicato di non potere partecipare. Al professor Celli abbiamo fatto presente che potrà trasmettere alla Commissione una memoria inerente all'argomento, che poi sarà cura della presidenza della Commissione trasmettere a tutti i colleghi parlamentari.
  Lo stesso vale per i presenti, nel senso che, se ritenessero che alla fine dell'audizione sia emerso qualche elemento, per esempio attraverso le domande che i deputati rivolgeranno, che possa essere oggetto di brevi memorie integrative, la presidenza prende l'impegno di trasferire le informazioni a tutti i colleghi componenti della Commissione.
  Voi sapete quali sono le finalità dell'indagine conoscitiva che ci proponiamo. Sostanzialmente non è utile la premessa generale, che diamo per fatta e che abbiamo già ascoltato nelle precedenti audizioni, e che peraltro è già presente anche nelle osservazioni che avete letto nella Pag. 4lettera di invito. Quello che i parlamentari sono particolarmente interessati a sentire è la vostra esperienza sul campo ed eventuali suggerimenti che possono essere dati alla Commissione sul modo di operare specifico nel campo delle malattie rare.
  Do subito la parola ai nostri ospiti, in rapida successione, così come li ho nominati, affinché svolgano la loro relazione.

  PAOLO MOI, direttore del Centro malattie rare Sardegna. Buongiorno. La situazione sarda è la seguente. Non abbiamo ancora attivato il registro regionale, pur avendo stabilito una convenzione con il Veneto già nel 2012. Ci sono state resistenze di vario tipo che ci hanno impedito di arrivare all'attivazione vera e propria. A questo punto però vediamo il traguardo perché mancano soltanto i nominativi dei medici dei distretti, indispensabili per far partire l'attivazione. Io confido che nel giro di due settimane circa tutto dovrebbe partire.
  La professoressa Facchin e i suoi collaboratori verranno a svolgere una formazione in loco. I referenti e i direttori di distretto saranno tutti convocati per valutare il funzionamento di questo registro. Partirà solo il modulo per i certificati di esenzione, mentre i moduli con i piani terapeutici saranno attivati in un secondo momento.
  Dal punto di vista delle malattie rare, come sapete, in Sardegna ha grande prevalenza la talassemia, che per noi è la malattia più importante. Abbiamo anche malattie emorragiche, disordini ereditari trombofilici, neurofibromatosi, che penso sia diffusa anche in altre regioni, sclerosi laterale amiotrofica, cheratocono, atrofia muscolare peroneale e via dicendo, fino a considerare malattie estremamente rare, che in Sardegna sono abbastanza frequenti.
  Come ordine di grandezza, al momento sono iscritti nel registro 900 casi di talassemia e circa 200 casi delle altre malattie che ho citato.
  In Sardegna abbiamo una situazione di inbreeding perché siamo stati un isolato genetico per tanto tempo. Ci sono stati matrimoni tra consanguinei, anche se non diretti, e praticamente siamo quasi tutti parenti. Questo ha fatto sì che ci fosse una preponderanza di malattie rare.
  Il Centro regionale per le microcitemie è il catalizzatore e prende in carico la maggior parte dei pazienti sardi. Siamo un centro di riferimento per tutta la Sardegna. Come risulta dal rapporto che abbiamo inviato all'Istituto superiore di sanità nel 2012, i nostri pazienti erano il 75 per cento del totale della Sardegna.
  A parte la cura della talassemia e delle malattie congenite ed ereditarie in genere, abbiamo un reparto di genetica clinica, diretto dalla dottoressa Boccone, che segue una grossa fetta di pazienti. Si tratta di casi estremamente complicati perché richiedono approcci multidisciplinari, sono spesso pazienti affetti da ritardo mentale e sono difficili da gestire.
  Segnalo un problema alla Commissione e al presidente Vargiu. Stiamo adesso convertendo quello che era un ospedale dedicato prevalentemente alle microcitemie in un ospedale pediatrico. Stiamo concentrando tutte le professionalità pediatriche in questa struttura, ma ci mancano gli specialisti.
  I casi di malattie rare che vengono da noi devono essere smistati presso altri ospedali. Gli appuntamenti non sono giornalieri. Non c’è un percorso diagnostico che garantisca di concentrare gli esami in breve tempo perché al Centro microcitemico mancano le componenti specialistiche. Non c’è l'oculista. Non abbiamo la possibilità di eseguire i potenziali evocati. L'ortopedico viene una volta alla settimana. Mancano una serie di professionalità, che se fossero in loco, e so che la regione ha dato disponibilità per cercare di risolvere questo problema, faciliterebbero di molto le cose ai malati di malattie rare.

  ROBERTO DELLA CASA, componente del Centro di coordinamento regionale per le malattie rare Campania. L'organizzazione della Campania ricalca l'organizzazione di un gruppo di regioni che si sono consorziate, come adesso sta facendo la Pag. 5Sardegna, con il Veneto come capofila. Si è creato un registro comune di tipo informatizzato nel quale vengono inseriti i dati da parte dei centri certificanti.
  Nell'ambito della Campania è stata prevista la creazione di centri certificanti nelle cinque province e in più sono state incluse le strutture universitarie e alcuni ospedali con caratteristiche particolari di ultra specializzazione.
  L'aspetto sicuramente interessante è che lavorare sulle malattie rare ha permesso una razionalizzazione e un tentativo, quanto meno, di interazione fra i vari specialisti che si occupano delle stesse cose. Io sono un pediatra. Per molte malattie, in particolare le malattie genetiche e le malattie metaboliche, il punto di partenza è quello pediatrico. Un problema presente in tutta Italia, che andrà affrontato anche dal punto di vista organizzativo, è la necessità di prevedere, dopo l'età pediatrica, una figura che contempli le caratteristiche del pediatra, cioè un medico che si occupi di specialità diverse.
  L'organizzazione sanitaria, purtroppo, prevede per lo più che lo specialista dell'adulto sia uno specialista del singolo organo o del singolo tipo di patologia. Questo rende difficile il passaggio dall'età pediatrica all'età adulta inteso come gestione del paziente raro nella sua globalità. Sotto questo punto di vista, come già in altre esperienze italiane, stiamo cercando di creare ambulatori di transizione, cioè ambulatori che vedano il coinvolgimento del pediatra del centro certificatore e del medico dell'adulto più vicino alla patologia di cui è affetto il paziente.
  Dobbiamo anche dire che per molte patologie rare non esiste lo specialista dell'adulto sia perché sono patologie giovani sia perché, come dicevo prima, le caratteristiche tecniche della patologia stessa non si rispecchiano in un singolo medico. Se per esempio parliamo delle patologie che riguardano il metabolismo glucidico, lo specialista più vicino è il diabetologo, ma è molto lontano come cultura e approccio da questo tipo di pazienti.
  Tale sforzo si sta compiendo attraverso questi ambulatori congiunti ma, se c’è disponibilità da parte del medico specialista dell'adulto a venire in ambulatorio, è più difficile passare il paziente al reparto degli adulti perché il reparto è già impegnato a trattare patologie più tipiche. Questa secondo me è una delle sfide che dovranno essere vinte a livello nazionale sulla base di varie proposte e vari modelli esistenti in Italia.
  Qualcheduno ha creato, per esempio, l'epatologo dell'adulto che segue un certo tipo di patologie perché più affine, ma non c’è un aspetto univoco del trattamento e questo è sicuramente un problema non da poco.
  Il problema si ripresenta anche a livello di medicina di base sul territorio. Anche il paziente raro dal punto di vista teorico dovrebbe essere gestito in collaborazione con il pediatra di libera scelta e con il medico di medicina generale, ma tale coinvolgimento è oggettivamente complicato. È complicato forse perché i medici di base sono impegnati, soprattutto in alcuni periodi dell'anno, da attività molto più frequenti, più tipiche e meno particolari di quelle relative alle malattie rare.
  Dal punto di vista invece dell'organizzazione e della problematica della spesa sanitaria per le malattie rare, la Campania, come altre regioni, si è organizzata in maniera tale da prevedere che in prima battuta sia il centro che ha effettuato la diagnosi a gestire i farmaci più costosi. Successivamente si ritorna sul territorio. Se, per esempio, per alcune patologie si richiedono terapie infusionali con la persistenza in un reparto per diverse ore ogni settimana, una cosa è far spostare il paziente una cosa invece è andare del paziente.
  In questo momento, quindi, molte patologie complesse, che richiedono terapie enzimatiche, infusionali eccetera, sono gestite dal presidio della ASL più vicino alla residenza del paziente. Si sta anche cercando di compiere il passaggio che altre regioni, che sono più avanti di noi, hanno fatto tentando di portare al domicilio del paziente almeno quei farmaci non considerati Pag. 6farmaci ospedalieri. È un meccanismo che dovrà essere standardizzato in tutta Italia per non creare discrepanze notevoli.
  Come Campania, cioè come regione sottoposta a piano di rientro, ci troviamo a volte in difficoltà per le problematiche legate ai LEA. A voi è chiaramente noto che le regioni in piano di rientro non possono aggiungere nuovi LEA regionali. Capita, per esempio, che un paziente sia seguito in un'altra regione, come la Liguria o il Veneto, con un piano terapeutico che si avvale di LEA aggiunti da quella regione e non nazionali. Questo crea problemi di comunicazione con il paziente anche solo per spiegare perché non possiamo adottare un piano terapeutico che invece esiste.
  Inoltre – e speriamo arrivi presto il nuovo elenco delle malattie rare – alcune regioni non in piano di rientro hanno inserito tra le malattie rare patologie che non sono presenti nel decreto nazionale. Questo crea una disparità che andrà sicuramente sanata a livello centrale o di tavolo Stato-regioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Da questi primi due interventi si evidenziano già le prime differenze nelle risposte.
  Il dottor Della Casa è preoccupato del fatto che sia possibile avere malattie rare diverse da regione a regione. Non succede solo nelle malattie rare, ma è la certificazione di un sistema sanitario che va a velocità diverse, cosa che questa Commissione ha più volte avuto modo di acclarare, non solo in rapporto al fatto che una regione sia sottoposta o meno a piano di rientro, ma anche in rapporto alle risorse complessivamente disponibili nelle singole regioni italiane.
  La parola adesso va al dottor Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle ricerche presso l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.

  GIUSEPPE REMUZZI, coordinatore delle ricerche Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Riferisco molto brevemente della situazione in Lombardia. Penso che siamo stati i primi a occuparci di malattie rare. Quando abbiamo organizzato il primo convegno, erano più gli speaker e le persone che parlavano di malattie rare, inclusi i promotori della legge per le malattie rare degli Stati Uniti, delle persone che ascoltavano, questo per darvi un'idea di come allora le malattie rare fossero una specie di oggetto misterioso.
  Sono passati quindici anni. In Lombardia c’è un registro di tutti gli ammalati di malattie rare, per cui sappiamo esattamente dove sono. Abbiamo un'organizzazione di presidi della rete tale per cui tutti gli ammalati vengono riferiti ai centri a cui devono essere riferiti. Abbiamo un sistema di esenzione dal ticket. L'organizzazione, sul piano dell'attribuzione di competenze e dell'orientamento dei malati, è positiva.
  Il centro di informazione che l'Istituto Mario Negri ha presso il centro per le malattie rare ha ormai vent'anni di esperienza. Penso, quindi, che questi quindici anni trascorsi da quando il nostro Paese ha mostrato interesse per le malattie rare con il decreto n. 279 del 2001 possano rappresentare un momento per fare il punto su ciò di cui abbiamo ancora bisogno, premesso che molte regioni hanno operato un enorme sforzo organizzativo e di coordinamento e hanno creato reti. La nostra, da questo punto di vista, è assolutamente a posto.
  Il piano nazionale valido per il triennio 2013-2016 rappresenta, a nostro avviso, un documento sistematico e strutturato, che si innesta sulle strategie di pianificazione e di programmazione che sono state già messe in atto da tempo nel nostro Paese. In Italia era radicata la convinzione dell'assoluta importanza di un'adeguata gestione delle malattie rare, ma fino all'emanazione di questo piano mancava un provvedimento cornice che potesse dare unitarietà alle azioni intraprese. Adesso lo abbiamo.
  Penso che i problemi che rimangono siano in particolare tre e mi pare sia utile metterli in evidenza. Il primo è il mancato aggiornamento periodico dell'elenco delle malattie rare meritevoli di tutela, che ha Pag. 7prodotto di fatto una discriminazione tra i pazienti affetti da malattie rare inserite nella lista delle esenzioni e quelli che non lo sono.
  Le diverse politiche regionali e le disposizioni adottate delle aziende sanitarie locali sono tutte formalmente legittime, ma hanno prodotto disomogeneità nelle scelte assistenziali, con ripercussione negativa per gli ammalati, per i loro familiari e per chi li cura e li assiste.
  Non è ancora disponibile un registro nazionale rappresentativo e idoneo a favorire il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare e la programmazione delle politiche sanitarie. Dobbiamo dire apertamente che ci sono disomogeneità anche di impostazione tra regione e regione. Qualche regione ritiene che questo registro non sia utile. Altre invece, come noi, ritengono che, nonostante in Lombardia ci sia un registro molto avanzato di tutte le malattie rare, sia comunque importante avere un registro nazionale.
  Il problema è che un registro è una cosa complicata. Non basta dire che vogliamo avere un registro nazionale. Ci vogliono competenze di tutti i tipi, nelle quali, se volete, posso addentrarmi per darvi un'idea di come si realizzerebbe questo registro.
  Il Piano nazionale malattie rare è un documento esaustivo di indirizzo, che però non entra nella operatività. Non si sa bene, cioè, dove siano i fondi per realizzare quello che c’è scritto nel documento.
  Bisogna anche ricordare che, nonostante per molte malattie rare non ci sia una cura, i progressi che sono stati fatti recentemente nella comprensione dei meccanismi della causa delle malattie e soprattutto le conoscenze che crescono in maniera esponenziale nel campo della genetica fanno pensare che ci saranno nuove straordinarie potenzialità terapeutiche.
  A questo scopo è fondamentale aumentare i programmi di ricerca. Questo è un punto debole del documento perché la ricerca, ciò su cui si fonda la possibilità di curare malati di malattie rare, non è affrontata nel documento, soprattutto dal punto di vista delle risorse.
  Ci sono alcune priorità. Una è che l'assistenza in centri qualificati deve essere garantita dal Servizio sanitario nazionale a tutti i pazienti indipendentemente dalla possibilità di formulare una diagnosi conclusiva e di conoscere la prevalenza della loro malattia.
  L'identificazione di centri di riferimento, che nel caso delle malattie rare sono irrinunciabili per ragioni che ben conoscete, dovrebbe svolgersi, a nostro avviso, per gruppi di patologie accomunate da problematiche affini. È molto rischioso impostare l'accesso ai percorsi di cura esclusivamente sulla base dell'inserimento in un elenco. In questo modo, infatti, persone che hanno problematiche affini vanno bene se sono nell'elenco e vanno male se sono fuori dall'elenco benché le problematiche siano molto simili.
  È ancora più rischioso se questo elenco non viene puntualmente aggiornato, cosa che succede visto che l'ultimo aggiornamento è del 2001. Succede che i pazienti affetti da malattie rare non inseriti nella lista degli esenti si sentano esclusi e privati delle dovute attenzioni, e di fatto lo sono. L'elenco dovrebbe aiutare la programmazione sanitaria a individuare un sottogruppo di malattie per le quali sono previste agevolazioni in termini di partecipazione alla spesa sanitaria.
  Pur ridimensionandone il significato, è chiaro che in ogni caso l'elenco deve essere aggiornato per potersi confrontare sui dati utili e supportare i pazienti con equità. Non dobbiamo però avere il mito di questo elenco perché tante volte non corrisponde alle reali esigenze di trattamento.
  Un'altra cosa che voglio sottolineare è il ruolo centrale di AIFA nel determinare la definizione del prontuario farmaceutico nazionale, riconoscendolo come diritto per i cittadini di tutte le regioni e scoraggiando l'attuazione di prontuari regionali restrittivi. Penso che in generale in sanità la regionalizzazione non sia stata una grande idea, ma in questo campo è addirittura drammatica perché i pazienti sono pochi e non ha senso che regioni diverse facciano cose diverse.Pag. 8
  Per questo bisogna eliminare le differenze regionali nelle politiche di rimborso delle prestazioni sanitarie, creando eventualmente sistemi di compensazione. Un fondo nazionale, che costerebbe molto poco, potrebbe essere utile in una logica di compensazione per trattamenti ad alto costo – è stato fatto, per esempio, per l'epatite C –, ma anche per i farmaci in fascia C.
  I farmaci in fascia C di solito devono essere pagati, ma i malati di malattie rare possono averne bisogno tutti i giorni per sempre. È un supporto indispensabile, soprattutto per i sintomi di alcuni malati rari. Un accesso al fondo, condizionato dalla trasmissione dei dati di follow-up dei pazienti, potrebbe rappresentare l'occasione per aumentare il rigore nella valutazione dell'efficacia dei nuovi farmaci orfani.
  Una sorveglianza post-marketing, grazie all'adozione di registri coordinati dall'AIFA e indipendenti dall'industria, rappresenta la migliore garanzia per una corretta valutazione a lungo termine dell'efficacia del rapporto costo-beneficio dei trattamenti commercializzati. Secondo me, il Parlamento dovrebbe prendere atto del fatto che i registri creati dall'industria, che non sono registri obiettivi, ma registri che l'industria utilizza per vendere i propri farmaci; andrebbero assolutamente scoraggiati.
  Esistono dei farmaci estremamente efficaci che sono costosissimi, a tal punto che la maggior parte dei Paesi avanzati, come per esempio l'Inghilterra o la Svezia – ci capita di ricevere richieste dall'Austria, dall'Australia – non li rimborsano. Noi rimborsiamo tutto, ma dobbiamo avere un registro che sia tenuto dall'AIFA o dall'Istituto superiore di sanità. Non può essere fatto dall'industria perché l'unico modo per far cadere a un certo punto il prezzo, assolutamente ingiustificato nella maggior parte dei casi, di questi farmaci è avere dei concorrenti.
  Ma come potrebbero i concorrenti, che noi speriamo proporranno farmaci a prezzi molto inferiori, penetrare nel mercato se un'industria ha il suo registro e sa dove sono gli ammalati ? Porteranno i farmaci addirittura a casa, creando una situazione di dipendenza da quell'industria che non ci permetterà di avere il controllo sui prezzi.
  È importante, quindi, che questi registri siano gestiti dall'Istituto superiore di sanità, come in alcuni casi è stato fatto. Cito, per esempio, l'emoglobinuria parossistica notturna. Noi stiamo provando a farlo per la sindrome emolitico-uremica. Questo diventa, tra l'altro, uno strumento indispensabile di programmazione sanitaria.
  Da ultimo, anche se so che non è il momento in cui si è sensibili a queste cose, la mia idea è che, se i soldi che ci sono per la sanità fossero utilizzati bene, sarebbero più che sufficienti. Servono invece finanziamenti specifici dedicati a progetti di ricerca indipendenti nell'ambito delle malattie rare perché questo è l'unico modo per offrire rapidamente ai pazienti i benefici che derivano dai progressi della comprensione dei meccanismi responsabili delle malattie rare.
  In altre parole, le azioni previste dal Piano nazionale delle malattie rare, che è un piano molto buono e molto bello sul piano teorico, devono essere supportate e verificate con provvedimenti specifici che mancano.

  ALBERTO BURLINA, direttore UOC malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del centro regionale autorizzato per lo screening neonatale. Mi discosterò un poco dai miei colleghi perché nel Veneto c’è un centro di coordinamento delle malattie rare, ma c’è anche un'unità molto specifica – sono pochissime quelle presenti in Italia – che si dedica a una parte di queste malattie, cioè le malattie metaboliche ereditarie.
  Nel programma dell'indagine conoscitiva sulle malattie rare viene trattato un punto molto importante, cioè la prevenzione, che ricordo essere al momento ancora il fattore più importante nella lotta alle malattie genetiche attraverso lo screening neonatale metabolico allargato.Pag. 9
  Ho fatto inviare una minuta riguardante lo screening neonatale metabolico perché quello è un momento che riassume e rispecchia cosa si sta facendo e cosa succede nelle malattie rare in Italia. Lo screening di per sé è un'indagine che permette di riconoscere già dal primo o dal secondo giorno di vita soggetti che abbiano una malattia metabolica ereditaria. Questo gioca un ruolo importantissimo per due motivi.
  Il primo è che si identifica un soggetto e pertanto si possono attuare principi di terapia, anche se limitata, specifici. Questo è molto importante perché lo stesso soggetto diagnosticato potrebbe non avere bisogno di un percorso, che spesso non è chiaro o richiede molto tempo. Ne va della salute del paziente stesso.
  In Italia il programma di screening per queste patologie è partito a macchia di leopardo. Nel Veneto abbiamo cominciato nel 2000 con un progetto pilota. Altre regioni ci hanno seguito, ma pochissime. Il Veneto ha una delibera regionale per identificare quali malattie riconoscere – le possibilità diagnostiche attuali arrivano fino a centocinquanta malattie –, con quali tempi e con quali costi.
  È un aspetto molto importante. Un bambino che nasce oggi in Italia con una malattia rara, se nasce nel Veneto, ha la possibilità di essere riconosciuto, ma se nasce nel Friuli Venezia Giulia, una regione vicina al Veneto, non ha la stessa possibilità. Certamente il Friuli non è la sola regione. Ce ne sono molte altre perché solo un terzo della popolazione neonatale è coperta da questa indagine.
  Se guardo cosa succede negli altri Paesi europei in cui è stato introdotto lo screening, una cosa fondamentale è stata unificare il programma di screening a livello nazionale, onde evitare una gravissima sperequazione che ricade sulla popolazione.
  Nella minuta che vi ho fornito sono contenuti dati esatti al giorno d'oggi relativi alla popolazione a cui deve essere riconosciuto lo screening affinché ci sia un rapporto chiaro tra costi e benefici. Il costo di uno screening neonatale in Italia si aggira intorno ai 50-55 euro. Ovviamente questo costo è dimensionato su un bacino d'utenza che dovrebbe essere tra i 35.000 e i 40.000 nati.
  Attualmente per lo screening di alcune malattie previste dalla legge, quali la fenilchetonuria e l'ipotiroidismo, in Italia ci sono ventidue centri di screening, che è il numero più elevato non solo d'Europa, ma forse del mondo. Questo è molto importante perché non significa che più centri possono portare un risultato migliore.
  Nel Veneto abbiamo utilizzato un sistema totalmente computerizzato che consiste solamente in un'imputazione di dati, fatta nel centro di nascita del soggetto. Il dato non viene più corretto fino all'arrivo della goccia di sangue prelevata ed entro ventiquattro ore ogni ospedale collegato riceve automaticamente il risultato dell'esame del paziente.
  In questa maniera, aggiungendo una posta celere di tipo privato, in ventiquattro ore da Padova arriviamo fino a Cavalese nel Trentino. Tutto questo viene fatto in ventiquattro ore perché le attrezzature scientifiche disponibili hanno un tempo diagnostico di minuti due.
  Per un rapporto costi-benefici efficiente sono calibrate su un bacino di popolazione che deve andare da un minimo di 30.000 mila a un massimo di 50.000 nati. Questa razionalizzazione fa sì che il centro sia in grado di fare lo screening, di confermare nello stesso giorno la diagnosi e di iniziare il trattamento.
  È molto importante che il Piano per le malattie rare ponga in evidenza che tutto ciò non è un gioco, ma ha un fine assistenziale. È bene che lo screening sia rapido affinché il paziente ne tragga il massimo beneficio. Se i costi sono elevati, non possiamo non razionalizzare questa spesa. I centri dovrebbero avere un expertise tale da permettere di realizzare tutta la filiera. Quello che mi fa paura è staccare lo screening dal percorso assistenziale completo.
  Lo screening è il kick-off, la pedata, che deve essere precisa per essere efficace. A questo segue in tempi brevissimi l'accertamento diagnostico e la possibilità immediata Pag. 10di prendere in cura il paziente per effettuare la migliore terapia. Vi chiedo pertanto che nel Piano per le malattie rare questo sia evidenziato e che sia eliminata la mancanza di connessione tra tutti i passi che dobbiamo fare.
  Vedendo la parola screening, ma non vedendo l'assistenza per chi sta male, come pediatra con più di trentacinque anni di esperienza mi sento abbattuto. Purtroppo per molte di queste malattie – sarò molto schietto e sincero – il danno principale è il danno neurologico e, come sapete, il danno neurologico è spesso, non dico sempre, un danno irreversibile.
  Se dobbiamo spendere moneta, questa moneta deve essere spesa bene soprattutto per il paziente e non per la capacità di un laboratorio di saper fare tante cose belle. Bisogna dare un beneficio al paziente.
  Concludo dicendo che nella mia memoria è riassunto ciò che ho recentemente pubblicato sia per la Società italiana di pediatria sia per l'Associazione culturale pediatri. Insieme alla Società italiana di pediatria ho fornito un piccolo vademecum in modo che in ogni neonatologia siano presenti le informazioni necessarie. Va ribadito ancora che ci deve essere un programma culturale. Sapere cosa si fa e perché si fa penso che sia la cosa più importante.
  Vi ringrazio molto per avermi dato la possibilità di esprimere questi miei concetti.

  RICCARDO CAPOCACCIA, consulente dell'Istituto dei tumori di Milano. Vi ringrazio per avermi invitato a questa audizione e chiederei il permesso di mostrare per punti alcune diapositive.
  Vorrei proporre di includere in questa iniziativa un'esplicita considerazione della problematica dei tumori rari, che è in parte specifica e in parte sovrapponibile a quella delle altre malattie rare.
  Vado per punti. Innanzitutto, vorrei dare una definizione di tumori rari. Si intendono i tumori con incidenza inferiore a sei casi su 100.000 abitanti. Questa definizione corrisponde a un elenco, che è stato stilato da una commissione di esperti, di 196 entità clinicamente distinte, nel senso che ciascuna di esse necessita di uno specifico trattamento e di una specificazione di ricerca clinica.
  Ciascuna entità è definita in base a una precisa combinazione di sede e tipo istologico della lesione. Queste malattie presentano sia la complessità propria della patologia oncologica sia contemporaneamente le difficoltà, che voi tutti conoscete, delle malattie rare.
  In Italia si stimano 85.000 nuovi casi all'anno di tumori rari, il che significa un caso ogni cinque diagnosi oncologiche. Globalmente sarebbe la sede tumorale più frequente. Rispetto agli altri tumori hanno un'età di insorgenza più giovane, ma non infantile, intorno ai cinquanta, cinquantacinque anni, e una sopravvivenza molto inferiore a quella dei tumori frequenti: il 50 per cento a cinque anni anziché il 70 per cento.
  In totale, secondo stime recenti, il numero di persone in Italia malate di tumore raro con diagnosi tumorale è circa 750.000.
  La problematicità dei tumori rari rispetto ai tumori frequenti probabilmente è ben conosciuta da questa Commissione. C’è una maggiore difficoltà nella diagnosi per la limitata esperienza medica, visto il piccolo numero di casi che passano dal singolo presidio. Il conseguente ritardo della diagnosi comporta uno svantaggio prognostico. La ricerca clinica è altrettanto limitata perché c’è maggiore difficoltà ad arruolare un numero di pazienti sufficiente a dimostrare un effetto, purché sia, di qualche nuovo trattamento.
  Contemporaneamente vi sono limitazioni e disincentivazioni verso chi fa la ricerca farmacologica e la ricerca clinica, soprattutto le industrie, per problemi essenzialmente di mercato. Inoltre c’è un'esperienza clinica abbastanza scarsa su come si debbano trattare i pazienti e un ridotto numero di centri di riferimento in grado, a loro volta, di costruirsi l'esperienza necessaria.
  Rispetto alle malattie rare, ci sono, come dicevo, similitudini e diversità. Innanzitutto partiamo da una diversa definizione. Pag. 11Per i tumori rari è importante che la definizione si basi sul numero dei nuovi casi, cioè su un'incidenza minore di sei per 100.000, anziché, come per le malattie rare, di una prevalenza minore di cinque su 10.000.
  I numeri sono circa gli stessi. Se applicassimo ai tumori la definizione di malattia rara, avremmo all'incirca lo stesso numero di pazienti, ma metteremmo tra le malattie rare, ad esempio, l'adenocarcinoma del polmone semplicemente perché ha una sopravvivenza molto bassa. Non metteremo il tumore del testicolo perché ha invece una sopravvenienza molto alta.
  La definizione è tarata sulla storia naturale di queste malattie, una storia che è diversa, si tratta infatti di malattie dall'andamento sub-acuto, nel senso che hanno una serie di fasi, ciascuna diversa, e una progressione irreversibile. Se fallisce il primo intervento, non si riapplica lo stesso trattamento in seconda linea. Servirà un trattamento diverso perché il tumore ha sviluppato resistenza. Il trattamento di terza linea sarà ancora diverso e così via. Non passano mai attraverso le stesse fasi e alla fine hanno un esito di guarigione, di eradicazione o di decesso.
  Tali tumori hanno diversa origine perché solo raramente sono dovuti ad anomalie genetiche, ma condividono la stessa distribuzione di fattori di rischio dei tumori comuni. Condividono anche gli stessi problemi con riguardo alla ricerca clinica, alla diagnosi, alla cura, all'assistenza post-cura e alla riabilitazione. Ci sono quindi specificità e somiglianze con le malattie rare.
  Vediamo cosa è necessario fare per diminuire la discriminazione dei pazienti con tumore raro rispetto ai pazienti oncologici di tumori ben conosciuti. Innanzitutto, sul piano della ricerca, bisogna supportare l'uso di metodologie alternative. Spesso gli studi clinici controllati, che sono tipici per l'introduzione di nuovi farmaci, non possono essere fatti sui tumori rari perché è difficile arruolare un numero di pazienti sufficiente a dimostrare un effetto. Bisogna andare verso studi clinici osservazionali, ma rappresentativi di popolazioni.
  Occorre promuovere l'identificazione di centri di riferimento per la diagnosi e il trattamento. Come succede oggi e come si può vedere dagli studi, molti pazienti di tumore raro arrivano in centri periferici in cui vedono meno di un caso all'anno di quel tumore. Quando ci si mettono anche la particolarità di presentazione, la comorbilità e altri fattori, quei posti non hanno alcuna esperienza su come trattare queste persone. È quindi importante che il trattamento venga concentrato in centri che siano in grado di costruirsi mano a mano questa esperienza.
  Per fare questo sono necessarie conoscenza e informazione. Bisogna sostenere la rete dei registri dei tumori, che è uno strumento essenziale come, del resto, lo è la rete dei registri delle malattie rare, perché senza informazione sul luogo in cui i pazienti vengono trattati, sull'esito e sul trattamento non si possono decidere azioni informate ed efficaci.
  Occorre promuovere lo sviluppo e la condivisione di banche dati. La condivisione è importante. È inutile costituire banche dati se non possono essere messe in comune per la ricerca su un numero congruo di pazienti.
  Bisognerebbe promuovere e partecipare ai network di ricerca internazionali. Proprio a causa della rarità, più si estende e si mette in rete la conoscenza, più sono affidabili i risultati e più è facile trovare qualcosa di nuovo sulla cura o sul trattamento. Bisogna, quindi, promuovere e sostenere i reference network. I centri di eccellenza talora non sono sufficienti ed è necessario che a loro volta siano connessi tra loro per verificare la diagnosi e standardizzare i criteri di diagnosi, le linee guida di trattamento e così via.
  Ovviamente sono anche necessari la diffusione delle informazioni e il coinvolgimento dei pazienti in tutte le fasi del controllo dei tumori rari. Il paziente di tumore raro, come spesso succede al paziente di malattie rare, si sente svantaggiato rispetto al conoscente che ha avuto, Pag. 12per esempio, un tumore della mammella o un tumore del colon perché né lui né il suo medico sanno dove andare a sbattere la testa. È importante, quindi, diffondere l'informazione e coinvolgere le associazioni.
  Per quanto riguarda la rete nazionale dei tumori rari, parto dalla fine. In Europa si stanno lanciando reference network per il trattamento e la ricerca sui tumori rari. Queste reti non possono che appoggiarsi a reti analoghe a livello nazionale. Non si possono costruire a livello europeo da zero. È quindi necessario promuovere in Italia una rete nazionale dei tumori rari. Una c’è ed è operativa dal 1997. È limitata soltanto ai sarcomi, ma al momento non ha supporto, non ha finanziamento e strumenti per operare e per espandersi.
  Una rete nazionale servirebbe per la condivisione a distanza dei casi clinici e per la validazione e conferma della diagnosi. Una diagnosi corretta, che è indispensabile per un trattamento appropriato, necessita di essere vista a più livelli da esperti sempre più specializzati in una determinata patologia. Questo è possibile soltanto condividendo in rete, per esempio, i vetrini dei preparati istologici perché vengano confermati dagli esperti di quella patologia.
  La rete darebbe uniformità di applicazione delle linee guida e razionalizzazione dell'accesso ai centri di trattamento. Non sempre è necessario andare al centro di eccellenza. Qualche volta il paziente può essere trattato in un centro periferico purché connesso con il centro di riferimento. Ci sono vari esempi di reti nazionali che sono operative e finanziate in diversi Paesi europei, come Olanda e Regno Unito. Soprattutto in Francia che c’è una forte organizzazione per la cura dei tumori rari e sta dando frutti molto efficaci.
  Infine, vediamo quali possono essere le iniziative in ambito legislativo o amministrativo. Prima di tutto è necessario, come per le malattie rare, formalizzare un elenco di tumori rari. Un elenco esiste ed è stato sponsorizzato dalla maggior parte delle associazioni oncologiche a livello europeo. Non c’è bisogno di fare uno studio nuovo, ma è necessario che questo elenco venga preso in carico e formalizzato.
  A partire da questo elenco è possibile fare ulteriori passi, come per esempio un aggiornamento del decreto sull'uso compassionevole dei farmaci. Spesso i farmaci per i tumori rari non riescono a passare gli studi clinici di fase 2 o di fase 3 proprio per la difficoltà di arruolare un numero sufficiente di pazienti. Laddove esiste un consenso sull'uso compassionevole dei farmaci, è necessario che questi possano essere somministrati.
  Lo stesso vale per la somministrazione off-label. Mentre l'uso compassionevole è in genere a carico dell'industria farmaceutica, l'uso off-label sarebbe a carico del Servizio sanitario. Si tratta, però, di un'opportunità che, una volta sottratta all'improvvisazione e posta sotto il controllo di centri esperti di riferimento, non dovrebbe essere negata.
  Altra cosa importante è garantire il secondo parere nelle diagnosi di tumore. Un primo parere sbagliato porta spesso a un trattamento sbagliato e quindi a una recidiva e a un secondo trattamento, con danno per il paziente e maggiori costi per il Servizio sanitario nazionale. Si tratta di razionalizzazioni che comportano costi, ma anche risparmi in termini di risorse.
  Un'altra misura è quella di determinare soglie minime di volume di prestazioni per le strutture che operano i tumori rari. I nostri dati ci mostrano che i pazienti di tumori della testa e del collo trattati nei piccoli ospedali hanno il 50 per cento di rischio in più di non sopravvivere a 5 anni rispetto a quelli che si operano in ospedali con grandi volumi.
  Questo comporta una razionalizzazione e una minore spesa, concentrando le apparecchiature di radioterapia o le chirurgie specializzate in un numero inferiore di centri. Tutto questo può portare ad assicurare l'uniformità delle prestazioni, che nel caso delle malattie rare non sono dovute solo a disparità di reddito e di istruzione, ma sono anche territoriali. Regioni Pag. 13piccole o nazioni piccole hanno meno possibilità di assicurare un'assistenza appropriata.
  Se tutto questo viene fatto, una volta che si utilizza lo strumento dell'assistenza transfrontaliera, questa può avvenire non soltanto in modo passivo, cioè con migrazioni di pazienti di tumori rari che vanno all'estero, ma anche in modo attivo, sfruttando adeguatamente i centri di eccellenza e di esperienza presenti in Italia, quindi con un bilancio non necessariamente passivo, forse anche in attivo di questa migrazione sanitaria.

  PRESIDENTE. Grazie, quanto è stato espresso è stato molto chiaro ed esaustivo.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. È vero, le audizioni sono state esaustive, ma mi sono posta il problema di come risolvere contemporaneamente il problema della differenza di trattamento, che eticamente è discutibile, fra regione e regione, e allo stesso tempo corrispondere anche all'esigenza di essere tempestivi nella cura, perché non possiamo costringere le persone a vagare.
  Fra l'altro, anche se si spostano non è detto che sia garantita l'accessibilità. Ho seguito ad esempio l'unico caso in Italia di una bambina cui è stata diagnosticata una patologia rarissima; in Emilia Romagna è stato predisposto un provvedimento per assicurare il farmaco che arriva dal Giappone, ma quando la famiglia si sposta in un'altra regione, anche per una vacanza, non trova più il servizio sanitario che può assicurare questa terapia.
  Sottopongo un'ipotesi che non ho visto nel piano. Forse tutto questo risale al decreto n. 279, perché per curare questi pazienti bisogna che la malattia sia stata riconosciuta nel decreto e se questo non viene aggiornato, è come se quelle patologie non fossero riconosciute.
  Se un malato si presenta quindi in un vostro ambulatorio, nessuno lo respinge, ma lo curate e non vi preoccupate di sapere se quella malattia sia riconosciuta nel decreto. Penso che bisogna togliere questa condizione, cioè che per garantire i farmaci e i percorsi terapeutici occorra riconoscere quella patologia.
  Bisognerebbe stabilire un automatismo, perché il decreto è fermo da dieci anni per paura che i farmaci pesino sul sistema sanitario e si rischia di non curare le persone. Per queste patologie occorre stabilire una sorta di automatismo, altrimenti ciascuno di noi parlamentari fa una brutta cosa: presenta una proposta di legge per riconoscere una patologia, ma il sistema sanitario in verità si contraddistingue per il fatto che vengono curate tutte le persone, indipendentemente dalle patologie, anche nuove, che vengono riscontrate.
  Se si introducesse questa modifica, potremmo risolvere una parte dei problemi che avete posto ?

  MASSIMO ENRICO BARONI. Vorrei chiedere agli esperti presenti se abbiano avuto la possibilità nel corso del loro lavoro di avere rapporti con l'Istituto superiore di sanità, che è il centro di ricerca ma anche di regolazione, in particolare per quanto riguarda le linee guida di cura delle patologie che in Italia poi vengono emanate attraverso un decreto del Ministero della salute. Di fatto è un centro di ricerca e contemporaneamente di regolazione, quindi vorrei sapere se abbiano avuto questo tipo di rapporti, se li abbiano ritenuti soddisfacenti e continuativi nel tempo.

  GIUSEPPE REMUZZI, coordinatore delle ricerche Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Lavoriamo in strettissimo contatto con l'Istituto superiore di sanità, è stato fatto moltissimo, si potrebbe fare molto di più; il punto debole è il Registro nazionale.
  In questo momento non ci sono le competenze e le conoscenze per fare in modo che questo Registro nazionale funzioni bene come quelli di alcune regioni quali la Lombardia, il Veneto, la Toscana e l'Emilia.
  Quello che è stato detto prima sullo screening è importantissimo, ma vorrei Pag. 14rassicurare che non è una cosa che succede soltanto in Veneto, per quaranta malattie metaboliche c’è in Lombardia, in Toscana e in Emilia, e la questione non è solo fare lo screening neonatale, ma portarlo all'ospedale di riferimento nel giro di poche ore e seguire un percorso molto rigoroso, che è esattamente quello che è stato fatto in altre regioni. Come è stato detto, però, questo va esteso a tutte le regioni, cosa di grandissima importanza.
  Tenete presente quando si parla di malattie rare che non c’è un confine tra malattie rare e malattie non rare; è stato distinto prima tra tumori rari e tumori frequenti, ma quando ho cominciato a studiare le leucemie erano tre, adesso sono centotrenta, quindi capite bene che sono diventate molto rare. Man mano avanzano le conoscenze della genetica e man mano conosciamo singoli geni associati e addirittura ci saranno anche delle alterazioni legate all'espressione dei geni, per cui tutto diventa raro.
  La sordità non è una malattia rara ma, se andate a vedere i geni associati alla sordità, questa diventa una malattia rara. In questo senso il legame con l'Istituto superiore di sanità è estremamente importante per farvi vedere come questi problemi siano di fatto molto complessi.

  ALBERTO BURLINA, direttore UOC malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del centro regionale autorizzato per lo screening neonatale. Posso rispondere alla domanda dell'onorevole Miotto perché ho partecipato alla stesura della prima lista di malattie cosiddette rare e devo dire che in questi anni ho sofferto molto di questa stesura, perché o andiamo a un aggiornamento quasi quotidiano di questa lista oppure facciamo in maniera non voluta del male a certi pazienti.
  Di fronte ai continui progressi della scienza nell'individuare queste patologie, bisogna cambiare approccio. L'approccio che poteva andar bene quindici anni fa ora non è più attuabile perché non è possibile che ogni giorno qualcuno verifichi queste malattie, quindi bisogna porsi di fronte a queste malattie in maniera differente.

  PRESIDENTE. Posso chiederle quindi qual è rispetto alla domanda fatta dall'onorevole Miotto il suggerimento che potrebbe essere dato, perché bisogna porsi in maniera differente, ma come sarebbe utile porsi ?

  ALBERTO BURLINA, direttore UOC malattie metaboliche ereditarie dell'Azienda ospedaliera di Padova e direttore del centro regionale autorizzato per lo screening neonatale. Quando la malattia viene certificata da centri competenti diventa malattia rara, quindi dovrebbe partire un iter che automaticamente supporti questa forma di malattia rara indipendentemente dal fatto che sia inserita nel famoso elenco oppure no, perché per certificare una malattia rara, come evidenziato dal professor Remuzzi, ci vuole un'esperienza, una conoscenza che non sono possibili ovunque.
  Queste malattie di per sé già hanno un filtro che le identifica, a quel punto sono identificate come malattie rare e automaticamente dovrebbero seguire il flusso delle malattie rare.
  Questa è la via più rapida per non creare problemi forti ai pazienti anche in termini economici, perché le malattie rare costano moltissimo sia per quanto riguarda l'iter diagnostico che in termini di sofferenza e di stress continuo per quanto riguarda purtroppo i pazienti e i genitori che hanno un paziente affetto.
  È vero che ci sono alcune regioni, ma vi prego di fare un piano di screening nazionale che abbia una base uguale da Bolzano a Trapani, perché altrimenti le differenze sono drammatiche, catastrofiche per i pazienti.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per averci fornito una serie di indicazioni molto interessanti, alcune decisamente concrete.
  Qualora aveste l'opportunità di aggiungere qualche ulteriore utile elemento di riflessione anche di costo, perché potrebbe Pag. 15essere interessante avere idea dei costi. La proposta innovativa che faceva il dottor Burlina potrebbe rischiare di scontrarsi con l'idea di un allargamento con costi correlati non quantizzabili in modo preventivo, per cui potrebbe essere utile un approfondimento anche del suggerimento che lei ha dato, che trovo, come credo la collega Miotto, estremamente interessante rispetto alla domanda posta.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Farmindustria e di Federchimica ASSOBIOTEC.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di Farmindustria e di Federchimica ASSOBIOTEC. Sono presenti il dottor Eugenio Aringhieri, presidente del gruppo biotecnologie di Farmindustria, la dottoressa Maria Grazia Chimenti, responsabile gruppi specifici, e la dottoressa Nadia Ruozzi, capo area relazioni istituzionali.
  Per Federchimica ASSOBIOTEC sono presenti il dottor Riccardo Palmisano, vice presidente delegato, il dottor Andrea Moretti, responsabile relazioni istituzionali, e la dottoressa Francesca Agliozzi, della direzione centrale rapporti istituzionali di Federchimica.
  Come nell'audizione precedente, chiederei agli auditi di essere sintetici, in modo da lasciare spazio alle domande.
  Noi non abbiamo necessità di un inquadramento complessivo della problematica che, come avete visto dal programma dell'indagine che vi abbiamo inviato, già esiste ed è stata ribadita in audizioni precedenti, ma vi chiediamo il punto di vista specifico di ciò che voi rappresentate sul tema ed eventuali suggerimenti, che ci aiutino a capire quale deve essere la posizione finale della Commissione anche in relazione alla parte che voi meglio di noi conoscete di questo grave problema.
  Lascio quindi la parola al presidente del gruppo biotecnologie di Farmindustria, Eugenio Aringhieri.

  EUGENIO ARINGHIERI, presidente del gruppo biotecnologie di Farmindustria. Grazie, presidente, per questa introduzione e buon pomeriggio a tutti.
  Rappresento Farmindustria e mi permetto di trasmettere l'apprezzamento del presidente Scaccabarozzi per questa iniziativa, perché questa attenzione verso le malattie rare che questa Commissione ha sempre avuto e che ribadisce con questa indagine è sicuramente molto apprezzata.
  Quello delle malattie rare è un argomento che ci sta molto a cuore, perché indubbiamente rappresenta un bersaglio importante dei nostri sforzi, e nel tempo che mi è concesso, seguendo l'indicazione del presidente, cercherò di essere il più possibile conciso e di trattare tre argomenti.
  Colgo l'occasione per inquadrare quanto fatto nel nostro settore per quanto riguarda la ricerca e sviluppo in questo ambito, lo sforzo che Farmindustria in chiave di attività e di impegno sta facendo non solo nel campo della ricerca e, come lei suggeriva, alcune proposte che riteniamo importanti per creare un ecosistema favorevole allo sviluppo.
  La ricerca sicuramente rappresenta un'opportunità importante per quanto riguarda le malattie rare e non solo. La biotecnologia in questi anni ha sicuramente cambiato il passo della ricerca, creando le migliori condizioni, accettando la sfida che in alcuni settori sicuramente si è aperta e cercando di offrire sempre più terapie mirate ed efficaci per risolvere i problemi aperti. Oggi la ricerca rappresenta un fattore molto importante e la biotecnologia sotto questo punto di vista diventa un aspetto chiave. Attraverso il nostro impegno cerchiamo di assicurare un vantaggio competitivo sotto questo punto di vista.
  Il settore delle malattie rare soffre di un ulteriore ostacolo, che è legato alla sua specificità, all'eterogeneità di pazienti a al loro basso numero, che creano complicazioni addizionali nella ricerca. Nonostante questo, però, oggi l'Italia mette sul tavolo dei numeri che ne confermano l'efficacia. Oggi in Italia sono in corso 117 sperimentazioni Pag. 16cliniche mirate alle malattie rare che rappresentano il 20 per cento della ricerca complessiva.
  Questo risultato si inserisce in un'attenzione crescente a livello europeo. Dal 2012 quasi 1.500 designazioni di farmaci orfani sono state assegnate e più di 100 farmaci sono stati autorizzati. Il 2014 è stato un anno record e questo significa che sia nel nostro Paese che in Europa le malattie rare rappresentano sempre di più un bersaglio importante.
  Questo incoraggia, perché i progetti di sviluppo rappresenteranno sempre di più armi a disposizione del medico per combattere queste malattie, ma questo sforzo rappresenta oggi anche una realtà, perché ci sono già risultati importanti. Ne ricordo uno, quello ottenuto in una malattia neurodegenerativa cronica importante che colpisce bambini, la malattia di Pompe, che oggi ha sicuramente un rimedio terapeutico che prima non aveva. Questo è soltanto uno degli esempi importanti che ci ripagano degli sforzi.
  Questa patologia ha un'origine genetica, e mi fa piacere sottolineare come l'Italia abbia un'opportunità anche in questo settore. Oggi la terapia genica rappresenta una frontiera importante sulla quale concentrare i nostri sforzi e l'Italia ha recentemente conseguito un risultato importante, perché il primo farmaco registrato di terapia genica è frutto di una collaborazione pubblico/privato, in cui il privato è rappresentato da un'azienda italiana.
  Possiamo trovare in Italia anche altri casi di eccellenza in questo settore, perché troviamo università e fondazioni che esprimono un vero vantaggio competitivo in questa disciplina, garantiscono un'eccellenza e richiamano importanti investimenti, perché in questo settore troviamo un grande interesse da parte di multinazionali che hanno trovato competenze distintive, al punto da indirizzare su questo settore i loro investimenti. Questa quindi è un'area importante da tenere presente.
  La malattia rara rappresenta sicuramente una sfida importante, il saper fare in questo settore è molto più importante della leadership di costo e l'Italia oggi sta dimostrando nei fatti di avere le gambe per poter giocare questa partita. Ci sentiamo quindi di sottolineare che questo ecosistema va favorito, perché è un sistema complesso in cui non si vince da soli; tutti gli attori del sistema devono concentrare il proprio interesse per creare un ecosistema favorevole e favorire lo sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche in questo campo.
  Le malattie rare colpiscono un numero limitato di pazienti, ma sono tantissime, oggi sono più di 6.000, quindi è un fenomeno raro ma molto diffuso. Più di un milione e mezzo di famiglie oggi è colpito da questo problema e la capacità di avere uno strumento terapeutico rappresenta l'unico obiettivo.
  Oggi esistono problematiche legate a una diagnosi precoce, ad un'assistenza adeguata e anche sotto questo punto di vista Farmindustria ha raccolto questa sfida, cercando di lavorare insieme agli interlocutori coinvolti, facendo squadra e cercando di garantire il suo contributo.
  Mi fa piacere ricordare due progetti che vanno in questa direzione. Uno è «Conoscere per assistere», che dal 2009 Farmindustria sta portando avanti insieme ad Uniamo onlus con un triplice obiettivo: formare e quindi aiutare medici pediatri e specialisti nel mettere a punto un percorso diagnostico rapido ed efficace, creare un network tra i diversi specialisti e garantire loro una strumentazione di bordo che permetta di fronteggiare in modo sempre più adeguato le problematiche alle quali quotidianamente questi pazienti vanno incontro.
  Un altro progetto che mi piace ricordare e che va nella direzione della formazione a distanza è il tentativo di dare massa critica al nostro impegno sempre attraverso una collaborazione con centri di eccellenza, in questo caso l'ospedale Bambin Gesù con il professor Dallapiccola e l'accademia di medicina. Abbiamo realizzato un percorso di formazione a distanza degli operatori del settore, quindi medici di medicina generale, specialisti e Pag. 17pediatri. Oggi gli iscritti ai due moduli, uno di terapia genica e uno sulle malattie rare, sono più di 20.000.
  Anche in questo caso abbiamo cercato di assicurare il nostro contributo secondo una prospettiva che consideriamo molto importante, che mira a un miglioramento della qualità di vita del paziente che è spesso solo, senza avere le idee chiare per quanto riguarda i centri di riferimento.
  Il tema delle malattie rare è un tema centrale per noi, ne sentiamo la responsabilità, siamo convinti che questo possa rappresentare per il Paese una sicura opportunità. Oggi il settore industriale dedica grandissima attenzione, ma è convinto che il Paese offra una qualità della comunità scientifica tale da mantenere questo livello di attenzione. È un'opportunità che non dobbiamo perdere, ovviamente la finestra temporale è stretta e l'urgenza rappresenta sicuramente un aspetto da considerare.
  Come suggerito da lei, presidente, noi vogliamo anche lasciare su questo tavolo alcune proposte, che possono favorire e aiutare la nostra associazione, quindi le aziende che rappresentiamo a svolgere meglio il proprio lavoro.
  La prima proposta riguarda l'agevolazione fiscale. Oggi non esiste in Italia un meccanismo di agevolazione fiscale completamente dedicato alle malattie rare e riteniamo che questa possa rappresentare una delle proposte sicuramente utili ad attirare investimenti in questo settore nel nostro Paese.
  L'altra proposta che riteniamo utile lasciare su questo tavolo è una revisione dell'attuale normativa degli studi clinici. Secondo l'attuale normativa degli studi clinici, oggi non è possibile utilizzare per scopi registrativi i dati che emergano da studi spontanei. Riteniamo che questa sia una perdita importante di opportunità e quindi chiediamo che ci possa essere una revisione dell'attuale normativa degli studi, in modo da poter utilizzare al meglio i dati che arrivano in questa modalità di ricerca.
  Il terzo elemento che riteniamo importante riguarda i finanziamenti. Per quanto riguarda il finanziamento nazionale, una proposta per noi importante è quella di dare la possibilità anche alle imprese di accedere a finanziamenti nazionali per le malattie rare, cosa che oggi è riservata solo a università e fondazioni. Questa potrebbe rappresentare un'opportunità ed essere sviluppata attraverso una modifica dei bandi che potrebbero accogliere partenariati fra pubblico e privato. Per quanto riguarda infine i fondi europei, la possibilità di riservare parte dei fondi europei attualmente disponibili anche alle malattie rare.
  Queste sono le quattro proposte che desideriamo lasciare sul tavolo all'interno di un percorso nel quale riteniamo che un bel pezzo di strada sia stato fatto, ma che ci siano davanti a noi ancora sfide importanti con i pazienti al centro. Se lavoriamo insieme, potremo riuscirci, e noi come Farmindustria vogliamo assumere il nostro ruolo e la nostra responsabilità.

  RICCARDO PALMISANO, vice presidente delegato di Federchimica ASSOBIOTEC. Innanzitutto grazie mille per l'invito, presidente e onorevoli, anche a nome dei presidenti di Federchimica e di ASSOBIOTEC.
  Come detto in premessa, eviteremo qualsiasi tipo di inquadramento e poi lasceremo un documento di posizione che prevede anche alcune analisi numeriche dell'incidenza della biotecnologia, ma sia per la premessa da lei fatta, sia per l'eccellente e condiviso inquadramento fatto dal collega amico dottore Aringhieri, salterei la parte sull'importanza della biotecnologia per le malattie rare.
  ASSOBIOTEC riunisce una serie di imprese, fra cui alcune totalmente dedicate allo studio di farmaci orfani per malattie e tumori rari, quindi ci sentiamo fortemente impegnati su questo tema.
  Vorremmo esprimere anche noi un grande apprezzamento per l'interesse che non solo questa Commissione, ma il sistema sanitario e il Paese dedicano alle malattie rare e ai farmaci orfani, passando però immediatamente ad alcune aree di criticità. Noi apprezziamo il fast track già approvato per i farmaci orfani, però portiamo Pag. 18all'attenzione di questa Commissione il perdurare di latenze temporali fra l'approvazione europea, l'approvazione a livello nazionale e la disponibilità reale a livello dei diversi territori.
  Anche per i farmaci orfani continuiamo quindi ad avere una discriminazione per pazienti all'interno del territorio nazionale, a seconda della disponibilità e anche a seconda del centro. Posto il tema, quindi, avanziamo subito una piccola proposta. Dalla nostra esperienza quotidiana di aziende che ricevono richieste per farmaci orfani risulta evidente che i centri di eccellenza che si occupano di malattie rare e che quindi hanno in carico pazienti che non afferiscono magari al territorio hanno un aggravio sul loro budget di dipartimento o di ospedale che talvolta preclude un accesso rapido e tempestivo alle terapie.
  Questo, in malattie che sono non solo genetiche e spesso a rischio di vita, ma quasi sempre ingravescenti, progressive, è un problema non marginale.
  Una possibilità senza aggravio di costo potrebbe essere quella di spostare il budget per i farmaci orfani a livello regionale, per togliere enfasi sul singolo centro che ha meno pressione nell'instaurare una terapia, facendo in modo che i costi non vengano a gravare sul reparto, sul dipartimento, sul singolo ospedale che ha la «sfortuna» di avere un centro di riferimento, un centro di eccellenza.
  Togliendo enfasi dal singolo centro, portandola a livello regionale e diluendola su una spesa complessiva, probabilmente parte di questi ritardi di accesso verrebbe superata.
  Sempre in termini di accesso abbiamo sempre apprezzato molto la presenza e l'utilizzo della legge n. 648 del 1996, che ha consentito e ancora oggi consente a molti pazienti di avere un accesso addirittura prima dell'autorizzazione di immissione in commercio, prezzo e rimborso italiano, già sulla base di una prima approvazione in un altro Paese. È una norma di grandissima civiltà che in Europa trova pari soltanto nella cosiddetta ATU francese, utilissima per i pazienti ma molto apprezzata anche dalle aziende, che cominciano non solo a mettere a disposizione il farmaco, ma anche a fare un'esperienza nazionale sullo stesso prima ancora di avere negoziato il prezzo e il rimborso.
  Vorremmo segnalare che l'utilizzo della legge n. 648 negli ultimi anni è stato parzialmente distorto, andando a coprire bisogni più di tipo economico che reali clinical need dei pazienti affetti da malattie rare. L'accesso alla legge n. 648 delle aziende associate negli ultimi anni è stato più difficoltoso, quindi vorremmo segnalare che non si tratta di introdurre nulla di nuovo, ma si tratta di ritornare a un uso di eccellenza e a un'esperienza ormai di molti anni.
  Un terzo e ultimo tema in termini di bisogni, di proposte o di opportunità riguarda la parte diagnostica. Queste sono malattie per l'80 per cento genetiche, un 30 per cento di queste malattie genetiche porta purtroppo al decesso dei piccoli pazienti entro i 5 anni di età. Le indagini fatte da enti terzi, Cittadinanzattiva in primis, dimostrano che la latenza diagnostica purtroppo è molto elevata, fino ad arrivare ai 6-7 anni per avere una corretta diagnosi, e questo non è addebitabile alla competenza del pediatra o del medico di famiglia, perché la rarità porta moltissimi medici a non vedere neanche una di molte di queste malattie.
  Abbiamo apprezzato che nella legge di stabilità 2014 sia stato inserito un pilota con un finanziamento di 5 milioni, per testare l'allargamento degli screening neonatali ad un numero maggiore di malattie rare rispetto alle tre più uno fino ad oggi previste.
  Abbiamo apprezzato meno due cose. La legge di stabilità prevedeva una fase di implementazione a marzo del 2014, mentre la discussione è ancora in corso, siamo ad aprile del 2015. Nella successiva legge di stabilità non solo è stato reiterato ma anche raddoppiato il finanziamento a 10 milioni, però, viste le tante esperienze regionali di cui si può far tesoro, si dovrebbe arrivare più rapidamente all'implementazione di una linea guida nazionale, perché ci sono bambini oggi che Pag. 19nascendo al confine del cosiddetto «muraglione» tra la Toscana e l'Emilia-Romagna, se nascono di qua hanno 46 diagnosi, se nascono di là ne hanno 26, se nascono in una regione confinante che non cito non ne hanno nessuna o le 3 obbligatorie. Da qualche parte in Italia mancano anche le 3 obbligatorie, ma non voglio fare polemiche di questo genere.
  Almeno il diritto a conoscere la propria malattia genetica dovrebbe essere garantito ai neonati di tutta Italia, e, visto che il Parlamento ha preso in mano il problema, la legge di stabilità 2014 e quella del 2015 hanno stanziato un finanziamento, pensiamo che debba essere fatto con una certa urgenza. La letteratura dimostra che con lo screening neonatale si possono salvare molte vite ed evitare molte degenerazioni di danno di organo grazie a terapie dietetiche, che peraltro non costano niente, o farmacologiche, che sono messe a punto dalla ricerca di aziende nazionali e multinazionali che operano nel settore dei farmaci orfani.
  La seconda cosa che vorremmo segnalare è che ci sono state due commissioni, una istituita presso Agenas, come prescritto dalla legge di stabilità, l'altra presso il Ministero della salute; nella prima sono state incluse le associazioni di pazienti ma non sono state invitate le aziende di ricerca e sviluppo che, facendo la loro parte, potrebbero dare un contributo all'individuazione delle malattie, delle modalità, dei percorsi diagnostici, dei percorsi assistenziali, mentre dalla seconda commissione, quella presso il Ministero della salute, sono stati esclusi anche i pazienti.
  Siccome le aziende di biotecnologia che si occupano di farmaci orfani hanno stretti rapporti con le associazioni di pazienti, ci risulta che nel panel delle malattie attualmente individuate per il test dell'allargamento dello screening neonatale siano escluse tutte le malattie che hanno dei trattamenti farmacologici, laddove nella legge di stabilità vengono previste malattie che hanno dei sistemi diagnostici affidabili e terapie dietetiche o farmacologiche di comprovata efficacia.
  Il dottor Aringhieri citava la malattia di Pompe, per la quale nel caso dell'esordio infantile il farmaco è salvavita, nel senso che i bambini con esordio infantile non superano mai i 12-13 mesi di vita, il bambino senza farmaco non ha alcuna speranza.
  Dalla comparazione fra l'epidemiologia che in Italia valutiamo dalle richieste fatte all'azienda che ha i farmaci (non abbiamo la visibilità dei pazienti, ma sappiamo quali ospedali pediatrici chiedono il farmaco) con i Paesi in cui viene fatto lo screening neonatale emerge una discrepanza che ci induce a constatare come un certo numero di bambini venga perso perché la diagnosi non viene fatta in tempo. Non capiamo quindi come si possa escludere le malattie per cui c’è una terapia farmacologica; poteva essere l'incidenza per cui erano troppo rare, ma sono incluse malattie più rare di queste che hanno una terapia farmacologica.
  Chiederemmo quindi di essere coinvolti o comunque che fossero tenute in considerazione queste malattie, che sono in particolare malattie da accumulo lisosomiale.
  Un ultimo commento che si lega molto a quanto il dottore Aringhieri diceva sulla ricerca e sviluppo: noi abbiamo apprezzato molto almeno due cose fatte da questo Governo nell'ultimo periodo, cioè il credito d'imposta e il Patent box che aiutano ad attirare ricerca in Italia.
  Anche se non è questa la sede, vorremmo un Patent box non incrementale, vorremmo essere più competitivi rispetto agli altri Paesi europei, ma rispetto a non averlo questo è già un grande incentivo alle aziende di ricerca ad investire in questo Paese, che mantiene almeno due eccellenze: una in ricerca e sviluppo, dalla ricerca preclinica fino alla ricerca clinica dove siamo riconosciuti a livello mondiale come eccellenza, e il numero di pubblicazioni sulle malattie rare lo conferma; l'altra è quella della produzione, quindi della capacità dei tecnici italiani di produrre soluzioni terapeutiche anche sofisticate che è riconosciuta a livello mondiale.Pag. 20
  Accanto a questo apprezziamo il lavoro a cui stiamo partecipando con grande fiducia e grande entusiasmo essendo stati convocati dal Ministero dello sviluppo economico, che ha creato tre sotto-tavoli, «figli» del Tavolo per la farmaceutica, in particolare quello per l'innovazione e la ricerca al quale io partecipo.
  Vorremmo portare anche qui lo stesso tema, quello di avere una regia. In particolare, ho imparato proprio dal professor Dallapiccola, che il dottor Aringhieri citava, che non faceva politica, non parlava di Titolo V, ma diceva semplicemente che «la frammentazione è nemica della rarità». Laddove infatti si parli di grandi numeri (ipertensione arteriosa, diabete) anche su piccoli numeri si riescono a fare statistiche importanti. Sulla rarità, su malattie che hanno 50, 100 o 150 pazienti in tutto il Paese, una regia unica e sinergica, dalla ricerca preclinica, alla ricerca clinica, al finanziamento, all'ispezione ai siti di produzione, all'accesso porterebbe a non avere delle punte avanzate come il Patent box e situazioni che rimangono arretrate come l'ispezione a un sito produttivo. Fare prodotti biotecnologici non è esattamente come produrre un'aspirina e il tempo di approvazione di un sito produttivo è fondamentale per essere competitivi a livello mondiale, visto che siamo in un mondo globalizzato.
  L'ultimo tema è quello di continuare a lavorare in particolare sulle malattie rare, sui farmaci orfani con una regia il più possibile coordinata, che guardi tutto il percorso, che va dalla discovery alla ricerca preclinica, alla ricerca clinica, all'autorizzazione e immissione in commercio, quindi al fast-track per arrivare in commercio, inclusa la legge n. 648 e inclusi i tempi di negoziazione con l'Agenzia del farmaco, per arrivare all'accesso omogeneo a livello delle diverse regioni italiane e quindi cogliere la grande opportunità che sia gli indirizzi della ricerca attuale, sia le eccellenze italiane ci offrono.
  Non perdiamola soltanto perché magari abbiamo fatto eccellenti passaggi in alcuni pezzi del percorso, ma poi c’è un buco che magari non unisce. Cito solo il numero dei Comitati etici per l'approvazione delle sperimentazioni cliniche, dei quali già la legge Balduzzi prevedeva una forte riduzione. Nonostante una norma europea, abbiamo ancora una varietà di tempi di approvazione e di modalità burocratiche per l'approvazione che scoraggia chi fa ricerca a portare la ricerca nei centri italiani, che pure sarebbero eccellenti, perché il tempo è dannatamente importante per arrivare prima degli altri.
  Una regia unica perché la frammentazione, la polverizzazione non è amica della rarità.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Palmisano. Se non ci sono domande, ringrazierei i nostri ospiti e preciserei loro che qualora volessero integrare con qualche aspetto che potrebbero ritenere utile alla Commissione, gliene saremmo grati. Grazie per la disponibilità.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di responsabili scientifici di case farmaceutiche (Sanofi, Novartis, Vertex, Dompè), Gruppo di lavoro sui farmaci orfani (GLFO), rappresentanti del CEINGE-Biotecnologie avanzate, del Consorzio CNCCS-Scarl e dell'Osservatorio malattie rare Omar.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di responsabili scientifici di case farmaceutiche (Sanofi, Novartis, Vertex, Dompè), Gruppo di lavoro sui farmaci orfani (GLFO), rappresentanti del CEINGE-Biotecnologie avanzate, del CNCCS-Scarl e dell'Osservatorio malattie rare Omar.
  Diamo il benvenuto al dottor Giacomo Baruchello, amministratore delegato, e alla dottoressa Patrizia Dang, direttore medico della casa farmaceutica Vertex, al dottor Gianluca Fincato e al dottor Luigi Boano di Novartis, al dottor Marcello Allegretti e alla dottoressa Roberta Di Nicolantonio di Dompè Farmaceutici, al dottore Enrico Piccinini e al dottor Mauro Ninci di Sanofi, al dottor Capolino Berlingieri, portavoce del Gruppo di Lavoro Pag. 21sui Farmaci Orfani (GLFO), al dottor Pasquale Frega, amministratore delegato di Celgene, al professor Francesco Salvatore e alla professoressa Margherita Ruoppolo di CEINGE, al dottor Pietro Di Lorenzo e alla dottoressa Ezia Ferrarucci del Consorzio CNSS-Scarl, alla dottoressa Ilaria Ciancaleoni Bartoli dell'Osservatorio malattie rare Omar.
  Abbiamo cercato di accorpare nell'ultima audizione del pomeriggio stakeholder che riteniamo abbiano uno stesso angolo di visuale della tematica. Vi chiederei degli interventi molto brevi e focalizzati sul tema di attenzione eventualmente specifico dell'ente, dell'istituzione o dell'azienda che voi rappresentate, rimanendo nell'ambito dei 3-4 minuti di intervento, anche per consentire ai colleghi di fare eventuali domande.
  A nome dell'intera Commissione ringrazio gli auditi per la loro disponibilità odierna e lascio loro la parola.

  GIACOMO BARUCHELLO, amministratore delegato della Vertex. Grazie, presidente, con il suo permesso parleremo entrambi, pur rimanendo nel tempo assegnato. Avevamo mandato delle slide, ma andremo tranquillamente a braccio per non abusare del tempo della Commissione rispettando il mandato.
  Vertex è un'azienda biotecnologica impegnata in una singola malattia rara, che è la fibrosi cistica, che la dottoressa Dang descriverà brevemente con l'intervento che abbiamo messo a punto dal punto di vista terapeutico nella nostra proposta.
  Quello che caratterizza il nostro sforzo di ricerca è un orientamento su una cosiddetta «medicina di precisione» naturalmente genotipizzata, quindi particolarmente mirata. Seppure nel settore della fibrosi cistica esistano più o meno 500 mutazioni che producono la malattia, il farmaco che proponiamo offre per ora la possibilità di curare circa il 4 per cento dei pazienti e questa è una numerosità particolarmente esigua, perché arriviamo a circa 100 pazienti.
  Qualificheremo quindi per il segmento delle malattie ultra-ultra rare, quindi con due passaggi, e questo ha delle specificità anche del nostro modello di ricerca e del modo con cui operiamo sul settore.
  Con il suo permesso, presidente, lascerei la parola alla dottoressa Dang per qualche nota sulla patologia e sul farmaco.

  PATRIZIA DANG, direttore medico della Vertex. Per dare un quadro della patologia, in Italia abbiamo circa 5.000 pazienti con fibrosi cistica e, come ha detto il dottor Baruchello, lavoriamo su delle mutazioni molto specifiche, perché le mutazioni hanno dei meccanismi molto diversi.
  L'apripista è quello che si chiama gating, che è un difetto di apertura di un canale ionico e per questo abbiamo lavorato sulla mutazione più importante di questa categoria, però siamo sempre nel 4-5 per cento della popolazione fibrocistica. Questo perché abbiamo una molecola che riesce ad aumentare il tempo di apertura della proteina e quindi a ripristinare la funzione.
  Questo rappresenta una svolta nella fibrocistica, perché finora stavamo lavorando a livello sintomatico, mentre qui siamo in grado di correggere il difetto alla base della malattia.
  Nel nostro programma di ricerca abbiamo anche altre molecole, ma alcuni altri difetti sono complicati da gestire, quindi interveniamo con due molecole che lavorano in modo sinergico e cerchiamo di ampliare il numero di pazienti che possono beneficiare della terapia. Per il momento, però, la prima terapia approvata è Kalydeco Ivacaftor, che è stato approvato in mutazioni di gating, quindi non solo G551D ma altre che hanno lo stesso meccanismo (popolazione sempre piccola a livello mondiale, 5-6 per cento) e sono più numerose in Italia, approvato per pazienti che abbiano più di 6 anni di età.
  Un'altra combinazione è già stata depositata a livello europeo e ci apprestiamo ad ampliare la possibilità di cura di questa mattina.

  GIACOMO BARUCHELLO, amministratore delegato della Vertex. Tengo molto a rimanere all'interno del mandato, presidente, Pag. 22ma per qualsiasi domanda siamo a disposizione.

  PRESIDENTE. La ringrazio infinitamente e anche per i prossimi interventi, più che avere un'attenzione agli aspetti scientifici delle singole molecole che ogni vostra azienda produce, vorremmo che individuaste eventuali iniziative di carattere sistemico che possono essere suggerite alla Commissione, che non è tanto un recettore tecnico-scientifico quanto un recettore di carattere politico.

  LUIGI BOANO, oncology general manager della Novartis. Grazie, presidente, buonasera a tutti. Come Novartis vorremmo focalizzare l'attenzione in un ambito delle malattie rare, quello dei tumori rari.
  Novartis è una grande azienda che investe molto in ricerca in Italia, ha due siti di produzione, uno a Torre Annunziata e uno a Rovereto, e ha come mission quella di ricercare dei farmaci innovativi. In particolare, come oncologia l'azienda ha lanciato quindici anni fa la prima target therapy nel mondo oncologico, e come ambito oncologico ci occupiamo sia dei tumori solidi, sia in particolare da sempre di patologie rare, di malattie rare e anche nello specifico di tumori rari.
  È proprio sul versante dei tumori rari che vorremmo focalizzare alcuni concetti.

  GIANLUCA FINCATO, oncology medical director della Novartis. Grazie, presidente per questa opportunità. Vorrei spendere un minuto per fare il punto della situazione per quanto riguarda la distinzione tra malattie rare e tumori rari.
  Se vogliamo semplificare e dire con una parola qual è l'elemento distintivo, la malattia rara identifica dei pazienti che hanno generalmente una lunga sopravvivenza, sono malattie tendenzialmente di tipo cronico, mentre i tumori rari identificano una popolazione con una bassa sopravvivenza, e i dati pubblicati ci dicono che il 50 per cento della popolazione con tumori rari non sopravvive ai cinque anni.
  Nella nostra specifica attività di ricerca e sviluppo ci occupiamo del 76 per cento complessivamente di patologie rare, includendo sia i tumori che le malattie rare, e abbiamo una pipeline in Novartis Oncology che copre gran parte di tutte queste patologie.
  Il punto di domanda naturalmente è cosa questo significa specificatamente per il paziente, perché il centro della nostra attenzione dal punto di vista clinico è naturalmente il paziente e la domanda che ci poniamo è come possiamo aiutare il paziente, cosa serva al paziente a fronte di questa pipeline che noi abbiamo.

  LUIGI BOANO, oncology general manager della Novartis. Focalizzando il paziente con tumore raro, abbiamo pensato al percorso diagnostico del paziente stesso. A nostro modo di vedere occorrono dei centri specializzati per questi tumori rari, centri che abbiano le competenze adeguate perché stiamo discutendo di tumori dove l'incidenza è di pochissime centinaia di pazienti all'anno.
  Questi tumori devono avere un approccio multidisciplinare, quindi occorrono dei centri all'interno degli ospedali che siano in grado di fare una diagnosi rapida perché il tumore non ha tempo di aspettare, quindi occorre un trattamento, una capacità chirurgica e radioterapica. Qui è veramente fondamentale l'approccio multidisciplinare in centri di riferimento.
  La cosa fondamentale è che questi centri di riferimento siano connessi in rete tra di loro in Italia, in modo che i pazienti possano confluire in questi centri di riferimento, dove rapidamente vengano fatte le diagnosi e i pazienti non girino di centro in centro, magari periferico, prima di trovare la giusta e corretta diagnosi o il punto di riferimento.
  Dal punto di vista aziendale, che però ha una ricaduta sul paziente, queste reti sono importanti anche dal punto di vista della ricerca. Per un'azienda che fa molta ricerca sui farmaci per i tumori rari avere delle reti, avere dei centri di riferimento significa poter portare avanti una ricerca mirata per questi tumori in modo tempestivo, senza perdere troppo tempo.Pag. 23
  A differenza delle malattie rare, con il tumore non si ha tempo di aspettare e frequentemente purtroppo il paziente perde tempo girando di centro in centro, fin quando non trova il centro dove viene fatta la diagnosi corretta. Avere queste reti significa per il paziente avere una diagnosi rapida e nell'ambito dei tumori questo è assolutamente fondamentale. Abbiamo esperienze già esistenti in Italia in ambito ematologico, per esempio nel caso delle leucemie, dove i vari centri sono posti in rete tra loro e questo consente una diagnosi rapida, un follow up e un trattamento assolutamente adeguato.
  Dal nostro punto di vista, quindi, focalizzando la nostra attenzione su tumori rari e pensando quindi al paziente, sarebbe importante recepire l'elenco europeo dei tumori rari, cosa che attualmente non è stata fatta in Italia. Il registro è stato realizzato a livello europeo con il progetto RARECARE, in modo tale da identificare questi tumori rari, da favorire quindi per ciascuno di essi la nascita di reti, ove non esistenti, e nel contempo favorire la disponibilità dei farmaci per i pazienti presso questi centri di riferimento nel più rapido tempo possibile.
  Per quanto riguarda il commitment della nostra azienda, noi continueremo sicuramente a dare un grande impulso alla ricerca nell'ambito dei tumori rari per trovare delle soluzioni con degli outcome positivi per i pazienti.

  MARCELLO ALLEGRETTI, chief scientific officer della Dompè. Grazie, presidente, cercherò di stare nel tempo più breve possibile. Rappresento la Dompè Farmaceutici, un'azienda italiana che ha deciso di giocare la propria partita nel campo delle patologie rare, un'azienda con una lunga tradizione in Italia e all'estero nel settore primary, che dal 2006 ha deciso di cambiare veste dall'interno, puntando sull'innovazione e sulla capacità di generare soluzioni a patologie ad alto bisogno terapeutico.
  Abbiamo scelto il campo delle patologie rari per motivi che sicuramente nell'ambito della giornata sono stati ampiamente trattati, quali il bisogno terapeutico, il bisogno di conoscenza in questo settore e la possibilità di sviluppare reti di conoscenza.
  Oggi, a distanza di meno di dieci anni, abbiamo in corso 20 studi clinici internazionali che coinvolgono circa 120 centri in Europa e negli Stati Uniti. Non abbiamo sicuramente finito il percorso, ma siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto.
  Abbiamo scelto due aree terapeutiche di riferimento come rappresentazione di dove siamo. Una è il trapianto, l'altra riguarda patologie di area oftalmologica.
  Nell'ambito del trapianto abbiamo scelto il trapianto di isole pancreatiche, che è una procedura sperimentale. È veramente una condizione ultrarara e una prospettiva per i pazienti che vengono dal diabete giovanile, da una storia di diabete di tipo 1.
  Nella fase avanzata, quando perdono la possibilità di controllare la propria malattia con l'uso di insulina, questi pazienti hanno come alternativa il trapianto di pancreas. Purtroppo, il trapianto di pancreas ha ancora una determinata mortalità, associata alla complessità della procedura. Il trapianto di isole offre la possibilità di fare un'infusione delle cellule responsabili dell'insulina come alternativa al trapianto di pancreas.
  Noi abbiamo deciso di sviluppare una terapia farmacologica mirata che abbia la possibilità di proteggere l'isola nel contesto del trapianto, garantendo un'efficienza e cercando di colmare quel gap che ancora oggi separa il trapianto di isole dal trapianto di pancreas e che dieci anni di ricerca non hanno ancora colmato.
  Oggi abbiamo due studi di fase 3 in corso, con la prospettiva di avere i risultati il prossimo anno, condivisi con EMA ed FDA, che ci hanno veramente accompagnato in un percorso complesso per la natura della patologia che stiamo studiando. Abbiamo, infatti, la Orphan Drug Designation per una condizione che è davvero ultrarara.
  Il secondo aspetto riguarda l'oftalmologia. Nell'ambito oftalmologico Dompé è impegnata nello sviluppo del fattore di Pag. 24crescita nervoso, la molecola scoperta negli anni Cinquanta dalla professoressa Montalcini, che le è valsa il Nobel.
  Il fattore di crescita nervoso è un fattore che garantisce la proliferazione e il differenziamento di cellule nervose. Noi lo stiamo studiando nel contesto della cheratite neurotrofica, una patologia caratterizzata dalla perdita di innervazione corneale, con danno epiteliale, ulcere e perdita della vista.
  Adesso abbiamo completato il reclutamento dello studio di fase 2, il più grande che sia mai stato condotto in questa patologia. Anche in questo caso abbiamo cercato l'interazione con le autorità regolatorie sin dai primi passi – io credo che questo, nel contesto delle patologie rare, e i miei colleghi lo possono confermare, diventi fondamentale – interagendo con AIFA, EMA ed FDA dall'inizio.
  Abbiamo avuto il piacere, nell'ultimo incontro con EMA a novembre, di avere la conferma dell'eleggibilità del nostro programma al conditional approval, il che significa avere la possibilità di immissione accelerata sul mercato in virtù della rarità e del medical need, ossia del bisogno terapeutico, in quest'area.
  Ci sono, quindi, due aree che per noi sono molto importanti. Speriamo nei prossimi due anni, da una parte, di avere la conferma di poter portare ai pazienti delle soluzioni reali per patologie ad alto bisogno e, dall'altra parte, di poter dire di aver completato la transizione del modello che ci vede come operatori importanti nel contesto internazionale delle patologie rare.
  Se posso portare, invece, un'indicazione sistemica per chi si occupa di ricerca in questo settore, basandomi su ciò che ho sperimentato in questi anni, è chiaro che la visibilità dei nostri programmi, con riferimento a chi si occupa di patologie rare, è quasi inversamente proporzionale alla rarità. A mano a mano che si sa che esistono studi clinici, i pazienti spesso si avvicinano alle aziende nella ricerca di accesso ai prodotti, anche prima delle condizioni dettate dall'uso compassionevole e, quindi, dalla prova di concetto.
  Quello che abbiamo riscontrato è che in altri Paesi, a seconda delle linee-guida EMA, il medico, sulla base del named patient use, con un'autorizzazione centralizzata – nel Regno unito da parte dell'MHRA – può chiedere all'azienda l'accesso al farmaco. In Italia, invece, manca l'organo centrale. Il clinico può fare richiesta direttamente all'azienda, che però si trova poi nella condizione di dover prendere al 100 per cento la responsabilità della valutazione.
  Questo è un punto che io ritengo di importante attenzione per evitare, da una parte, di discriminare pazienti all'interno dei Paesi europei e, dall'altra, che l'azienda debba da sola valutare il caso e il giudizio del clinico.

  ENRICO PICCININI, amministratore delegato Sanofi-Genzyme. Buongiorno. Io sono qui insieme al dottor Mauro Ninci, il nostro direttore medico, come Genzyme.
  Genzyme fa parte del gruppo Sanofi dal 2011. Noi ci occupiamo di malattie rare da oltre vent'anni a livello italiano e da oltre trent'anni a livello internazionale. Ci occupiamo di terapie per malattie rare di tipo genetico, di malattie rare o ultrarare, in molti casi.
  I messaggi che noi vorremmo portare sono sostanzialmente due. Poi lascerò la parola, per la parte scientifica e di ricerca, al dottor Ninci.
  Un messaggio è senz'altro legato alla necessità di sviluppare un repertorio ancora più stretto fra pubblico e privato in termini di partnership su ricerca e sviluppo. In questo senso intendo anche tutte le difficoltà burocratiche che intervengono in termini di ricerca di base o di ricerca clinica applicata. Questo avviene anche un po’ per i diversi localismi che esistono nel nostro panorama nazionale.
  Il secondo punto, che forse è anche più importante e che credo sia stato citato in precedenti interventi in questa Commissione, è la necessità della diagnosi precoce.
  Un aspetto che noi notiamo, avendo a che fare con malattie che possono interessare poche decine di pazienti a livello italiano, è che spesso e volentieri essi Pag. 25hanno un orizzonte per arrivare alla diagnosi di 6-7 anni. È assolutamente estremizzato il periodo che porta alla diagnosi, quando invece sarebbero possibili sistemi o metodologie per arrivare a un'analisi molto precoce e, quindi, a un trattamento, se lo si ritiene necessario, altrettanto precoce. Questo riguarda tutto il filone degli screening neonatali, di cui immagino che la Commissione abbia già ampiamente discusso e sentito.
  In merito a questa parte, ossia alle malattie che noi trattiamo e agli ambiti di sviluppo che l'azienda ha in pista, lascio la parola al dottor Mauro Ninci, che sarà molto più preciso di me al riguardo.

  MAURO NINCI, direttore medico della Sanofi-Genzyme. Grazie, signor presidente e signori membri della Commissione. Come diceva il dottor Piccinini, Genzyme è un'azienda che da trent'anni si occupa di malattie ultrarare ed è stata pioniera nello sviluppare delle terapie enzimatiche sostitutive per alcune di queste patologie. Si tratta di proteine che servono a rifornire l'organismo degli enzimi che non è in grado di produrre, un filone di ricerca che tuttora ci vede impegnati in prima linea per portare terapie di questo tipo anche laddove oggi di terapie non ce ne sono – stiamo partendo adesso con uno studio di fase 2b nella Niemann-Pick di tipo C, che fino ad oggi non ha una terapia specifica disponibile – e per portare innovazione anche laddove la terapia è già stata resa disponibile da qualche decennio.
  Abbiamo appena registrato in Europa una prima terapia orale di prima linea per i pazienti affetti da malattia di Gaucher, potendo, quindi, consentire un trattamento parimenti efficace con una somministrazione orale, anziché con un'infusione endovenosa.
  Stiamo portando innovazione anche in termini di frontiere della medicina attraverso terapie sempre più specifiche per la singola malattia. Consideriamo, per esempio, la terapia genica per portare una soluzione definitiva in alcune patologie neuromuscolari per le quali ad oggi non esistono delle terapie specifiche.
  Abbiamo un progetto sulla SMA in collaborazione sia con partner dell'accademia, sia con partner aziendali e lo stesso facciamo, per esempio, nelle terapie di RNA interfering, in cui occorre, anziché stimolare la produzione di un prodotto genico che a oggi non funziona, stoppare la produzione di qualche prodotto che un gene impazzito produce in eccesso. In tal modo portiamo soluzioni che vengono veramente incontro alle singole necessità del singolo paziente.
  Ciò che accomuna tutte le patologie, come si è detto prima, è la necessità di poter intervenire precocemente da un punto di vista diagnostico per poter interagire velocemente dal punto di vista terapeutico. Questo a oggi è ancora uno dei problemi irrisolti nel mondo delle malattie rare.
  Ancora adesso, anche per le malattie che sono maggiormente conosciute, il gap tra la comparsa dei sintomi e la corretta diagnosi può essere di qualche decennio, in cui la malattia, purtroppo, erode le capacità di recupero del paziente e spesso e volentieri si va a intervenire laddove la terapia non può più portare i benefici che un intervento precoce avrebbe potuto dare.
  Abbiamo esempi anche qui in Italia fortuiti – fortunati, se vogliamo – di fratelli e sorelle affetti da una patologia che hanno avuto la possibilità di un intervento precoce e che hanno avuto una storia clinica, pur avendo la stessa mutazione genica, drammaticamente diversa, in termini sia di facies, il che aiuta sempre, sia soprattutto di caratteristiche cliniche, con un accumulo di disabilità decisamente inferiore.
  Noi abbiamo avuto delle collaborazioni sviluppate in Paesi stranieri sul newborn screening, che nella malattia di Pompe ha consentito non soltanto di confermare la bontà di un intervento terapeutico efficace, ma anche veramente di riscrivere la storia di malattia. Anche laddove i neonati diagnosticati clinicamente avevano sicuramente una storia naturale di malattia differente rispetto a quella nota nei pazienti non trattati, parliamo di pazienti Pag. 26che hanno una mortalità del 100 per cento a cinque anni che si è ridotta del 50 per cento grazie agli interventi terapeutici precoci.
  I pazienti diagnosticati attraverso il newborn screening e trattati praticamente entro la prima settimana dalla nascita hanno non solo una sopravvivenza del 100 per cento a cinque anni, ma anche e soprattutto una sopravvivenza senza necessità di utilizzo del respiratore nel 100 per cento dei casi, laddove la diagnosi clinica dà delle performance decisamente più ridotte. A cinque anni queste percentuali non vanno al di là del 20 per cento.
  Concludendo, l'istanza che si fa è di supportare, da una parte, la possibilità di una ricerca mirata anche a livello nazionale, con delle agevolazioni che ci consentano di competere efficacemente con i colleghi di altri Paesi anche all'interno dell'Europa e, dall'altra, di consentire misure che possano portare a una diagnosi precoce e, quindi, a un accesso precoce dei pazienti alle opportunità terapeutiche.

  UGO CAPOLINO PERLINGIERI, portavoce del Gruppo di lavoro sui farmaci orfani (GLFO). Sono l'amministratore delegato dell'Alexion e rappresento un gruppo di aziende, molto simili all'Alexion, dedicate quasi esclusivamente allo sviluppo e alla concezione di farmaci orfani globalmente. Le altre aziende sono la BioMarin, la Celgene, la Orphan Europe e la Shire.
  Vorrei premettere che, da questo punto di vista, io terrei a sottolineare che l'Italia è un Paese assolutamente all'avanguardia globalmente per quanto riguarda i farmaci orfani, ossia lo sviluppo di farmaci orfani e l'accesso a tali farmaci da parte dei pazienti italiani.
  Teniamo conto che i farmaci orfani non sono soltanto dei farmaci dedicati a una popolazione molto ridotta di pazienti, ma sono anche, come ha detto il COMP (Comitato per i farmaci orfani), farmaci per patologie estremamente gravi. Sono farmaci utilizzati in patologie molto gravi, che mettono a rischio la vita dei pazienti. Non ci sono soltanto pochi pazienti per la singola indicazione, ma si tratta anche di pazienti molto gravi.
  Molto è stato fatto. Le norme sono importanti. Basta guardare ciò che è accaduto negli anni a partire dal 2000, da quando esiste il Regolamento europeo. Oggi sono disponibili in Italia 79 farmaci orfani, di cui l'80 per cento viene rimborsato a carico del SSN. Sono numeri importanti.
  Vi dirò, però, che di questi 79 farmaci ben 74 sono stati sviluppati dopo l'introduzione in Europa del Regolamento n. 141 del 2000. Notate l'importanza di una legislazione a favore di questa classe di farmaci e l'impatto incredibile che hanno avuto negli ultimi anni le molecole che sono state messe in commercio in Europa e anche in Italia in grandissima parte.
  L'Italia, ritorno a dirlo, è un Paese assolutamente all'avanguardia. L'Italia ha una legislazione che permette anche l'accesso anticipato di alcuni farmaci sul mercato, grazie alla legge n. 648 del 1996. È veramente una caratteristica importante che, insieme alla Francia, noi abbiamo e in Europa è una conquista che va difesa.
  La legislazione italiana permette anche per i farmaci orfani un'altra possibilità importante a livello sistemico, come diceva prima il collega, ossia di avere un trattamento particolare per i farmaci orfani ai fini del rispetto dei tetti di spesa farmaceutici in Italia.
  Non da ultimo, un altro aspetto molto importante è che l'Italia, con la legge del fare, ha introdotto anche la possibilità di avere un percorso regolatorio estremamente accelerato – i 100 giorni – per permettere di avere un accesso ai farmaci orfani molto veloce.
  L'Italia è un Paese, sotto questo aspetto, incredibilmente ben attrezzato. I problemi in Italia non sono a livello di regolazione centrale. Eventualmente sono a livello regionale, dove alcune volte, a livello di singolo ospedale, ci possono essere seri problemi di accesso al farmaco. A livello sistemico, centrale, nazionale, invece, abbiamo sicuramente molte norme che aiutano l'accesso ai farmaci in Italia.Pag. 27
  Sviluppare i farmaci orfani non è facile. Nelle slide che ho consegnato si vede che su 1.100 designazioni di farmaci orfani in Europa da quando è in vigore questo Regolamento, ossia dal 2000 a oggi, soltanto 93 farmaci sono stati approvati. Soltanto 1 su 12, quindi, ce la fa. Non è una ricerca semplice. È una ricerca che ha grandi problemi.
  D'altra parte, c’è anche un lato molto importante, che molto spesso viene sottostimato. Secondo dati AIFA 2013, ben il 20 per cento degli studi clinici fatti in Italia rappresenta farmaci orfani. Il numero è assolutamente rilevante, al punto che soltanto le cinque aziende nel nostro piccolo gruppo hanno in Italia più di 100 siti in cui svolgono oggi studi clinici.
  Collegandomi all'ultimo pezzo del mio breve intervento, io non nascondo una certa preoccupazione. Il timore è relativo al concetto di hub and spoke, che molto spesso viene ripetuto da tante parti, in cui si vorrebbe relegare lo spoke semplicemente a centro prescrittore.
  Il problema è che i pazienti affetti da malattie rare non sono dei viaggiatori con un biglietto, ragion per cui si può essere sicuri che dallo spoke arriveranno all’hub. Molti di questi pazienti hanno segni e sintomi comuni, che non sono facilmente riconoscibili. Bisogna anche insistere nella formazione degli spoke. Bisogna insistere non soltanto sull'atto della prescrizione, ma anche sull'atto della diagnosi di queste patologie, altrimenti questi pazienti non arriveranno agli hub o, se vi arriveranno, vi arriveranno molto compromessi dal punto di vista clinico. Questa è una questione che noi vorremmo veramente sottoporre alla vostra attenzione, perché è un aspetto di primaria importanza dal nostro punto di vista.
  Inoltre, dovremmo anche avere un atteggiamento diverso per quanto riguarda i farmaci orfani a livello di dispensazione ospedaliera. Molto spesso questi farmaci creano dei problemi di approvvigionamento ospedaliero. Questo non è un problema regionale. C’è veramente una differenza di trattamento all'interno di ciascuna regione, ospedale per ospedale, che crea seri problemi ai pazienti che si trovano a vivere in prossimità di alcuni ospedali, addirittura nella stessa regione, con grandi differenze che non sono giustificabili dal nostro punto di vista.
  Per chiudere, noi siamo estremamente grati dell'attenzione che il legislatore italiano ha voluto dedicare ai farmaci orfani. Abbiamo una grande e bella legislazione in Italia. Noi stiamo facendo la nostra parte anche con la ricerca e lo sviluppo in questo Paese e vorremmo continuare a farla nei prossimi anni. Tuttavia, le conquiste vanno confermate di giorno in giorno. Spero, quindi, che l'attenzione sui farmaci orfani anche dal punto di vista del legislatore non cali nel futuro.

  FRANCESCO SALVATORE, presidente e coordinatore scientifico del CEINGE – Biotecnologie avanzate. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione. Cercherò di essere il più breve possibile.
  Contrariamente agli intervenuti precedenti, io sono presidente e coordinatore scientifico di un centro di ricerca e di attività sanitaria presente nella regione Campania costituito interamente da soci pubblici e non-profit.
  Noi lavoriamo, tanto per dire le dimensioni, in un'area di circa 10.000 metri quadri, con 220 addetti complessivamente. Abbiamo una ventina di aree di ricerca, tutte nelle scienze omiche, e una serie di piattaforme tecnologiche molto avanzate e alla frontiera delle conoscenze. Svolgiamo sia attività di ricerca scientifica, sia attività di assistenza sanitaria nel campo della diagnostica, soprattutto della diagnostica molecolare, a livello delle alterazioni primarie del DNA e dell'RNA, con studi che si rivolgono alle patogenesi molecolari derivanti da queste alterazioni.
  Tutto questo viene fatto, naturalmente, sulle malattie genetiche, sia quelle ereditarie, sia quelle acquisite. In particolare sul campo delle malattie ematologiche è stato già accennato qualcosa precedentemente. Noi facciamo parte di una rete nazionale e, in parte, europea che diagnostica queste malattie a livello degli acidi nucleici e le monitora anche giornalmente.Pag. 28
  Un altro campo di attività è quello degli screening, che hanno il pregio di poter cercare di individuare i malati con grande precocità, proprio in linea con quanto è stato detto da chi mi ha preceduto. Questi screening sono molto importanti. In particolare, finalmente in Campania abbiamo raggiunto la totalità dei neonati per lo screening della fibrosi cistica. Presenteremo il risultato l'11 maggio, tra qualche giorno, insieme a quasi tutte le altre regioni d'Italia che l'hanno pressoché raggiunto prima di noi. Ne mancano tre o quattro.
  Siamo, invece, abbastanza avanzati nel campo dello screening allargato delle malattie metaboliche. Si tratta di una cinquantina di malattie estremamente rare. Noi siamo nella Rete nazionale delle malattie rare e abbiamo, peraltro, anche una Fondazione CEINGE per le malattie rare, cui abbiamo dedicato la possibilità di divenire un IRCCS.
  Per quello che riguarda la diagnostica molecolare, vorrei che la professoressa Ruoppolo, con la sua capacità di sintesi, dicesse brevemente qualcosa sullo screening delle malattie metaboliche. Poi concluderò, anch'io brevemente, con qualche piccola proposta, se il presidente me lo consente.

  MARGHERITA RUOPPOLO, responsabile screening neonatale per le malattie rare del CEINGE – Biotecnologie avanzate. Grazie, presidente. Grazie ai membri della Commissione. Cercherò di essere il più breve possibile.
  Come detto precedentemente, il CEINGE è impegnato nello screening neonatale di malattie metaboliche ereditarie, quali acidemie organiche, difetti di beta-ossidazione e aminoacidopatie. La rete di laboratori che si occupa di screening neonatale è in grado di effettuare, al secondo o terzo giorno di vita, una diagnosi precoce, che, come giustamente osservato in precedenza da altri membri di questa Commissione, consente di impostare da subito una terapia adeguata, ovviamente offrendo l'opportunità di evitare scompensi metabolici acuti, che si traducono in danni neurologici, coma e alta mortalità.
  L’expertise di attività diagnostica e di ricerca ci ha consentito negli anni di sviluppare dei nuovi test per lo screening e di estendere anche tutta una serie di test diagnostici per la conferma del dato neonatale. Insieme alla diagnosi genetica questo dà modo di impostare una terapia opportuna sul neonato e di offrire poi consulenza genetica per le gravidanze successive.

  FRANCESCO SALVATORE, presidente e coordinatore scientifico del CEINGE – Biotecnologie avanzate. Volevo solo collegarmi a quanto detto per osservare che, come diceva la professoressa Ruoppolo, in connessione con questi screening e con l'accertamento primario della malattia noi abbiamo la conferma e l'estensione alla diagnosi molecolare per tutte le malattie rare, ad eccezione forse di quelle legate a geni molto grandi, per le quali ci stiamo attrezzando con le nuove tecnologie ad alta produttività, che già usiamo con pannelli di geni, in molti casi.
  Per quello che riguarda questo aspetto – mi riferivo a tutti gli interventi precedenti, che ho ascoltato con molto interesse e che già conoscevo in parte – ci avviciniamo a quella che è già stata indicata da qualcuno come medicina di precisione, la quale connette proprio direttamente la diagnostica alla possibilità terapeutica, attraverso la conoscenza della mutazione genetica o di altre alterazioni, nonché alla patogenesi molecolare, offrendo la possibilità di creazione di farmaci sempre nuovi per queste malattie.
  Se mi posso permettere, infine – e termino – osservo che nel campo diagnostico è molto importante l'integrazione di tante metodologie. Sarebbe necessario che questi centri diagnostici non fossero tanto numerosi, ma che fossero concentrati, proprio per cercare, a livello (secondo me) interregionale di creare il massimo delle competenze e delle capacità tecnologiche che possono creare poi rete tra di loro, ottenendo il massimo dell'efficienza possibile. I campioni biologici possono viaggiare molto più facilmente di quanto non Pag. 29possano viaggiare gli ammalati. Ecco perché la diagnosi è essenziale.
  Questo aspetto, affiancato alla ricerca sulle cause della malattia, conferisce ulteriore valore aggiunto a un centro di questo genere. Ricordo solo che anche lo sviluppo del vaccino dell'Ebola è stato fatto nel CEINGE da un gruppo separato, Okairòs, che è stato poi venduto alla Glaxo. Anche altri centri hanno partecipato con grandi meriti. Nel nostro CEINGE, con questo gruppo in particolare, con questi studiosi in particolare, noi abbiamo sviluppato uno dei vaccini dell'Ebola che sono possibilmente di grande attualità terapeutica.
  Se posso evidenziare un'altra possibilità, ricordo che specialmente per questi centri, che non hanno molti investimenti privati, o che non hanno alcun investimento privato, si pongono i problemi della defiscalizzazione delle ricerche e di tutte le attività, naturalmente accreditate e valutate molto rigorosamente, in termini di ricerca.
  Si tratta di un vecchio obiettivo, che non si è mai riusciti a raggiungere, ma che sarebbe molto importante. Se il Governo, il ministero e il Parlamento potessero, dato che stiamo per formulare delle leggi a livello parlamentare, catalizzare, attraverso delle incentivazioni, il rapporto tra le ricerche a livello di questi centri e le applicazioni terapeutiche a livello delle industrie, io credo che ci sarebbe un vantaggio reciproco comune perché si possa, creando queste liaison effettive, reali e concrete, cercare di andare avanti. Come già hanno detto alcuni, si opera già molto bene in Italia, ma si potrebbe e si dovrebbe fare sempre meglio.

  PIETRO DI LORENZO, amministratore delegato del Consorzio CNCCS-Scarl. Grazie, presidente. Il Consorzio CNCCS-Scarl è l'unico Consorzio che riunisca come soci il CNR e l'Istituto superiore di sanità, in cui il CNR e l'Istituto superiore di sanità esprimono presidente e vicepresidente, e l'IRBM Science Park, il socio privato, che esprime l'amministratore delegato, che sono io, in quanto presidente dell'IRBM.
  Lo scopo per il quale è nato il CNCCS – qui mi ricollego alla sua richiesta di fare un intervento sull'argomento sistemico – è stato quello di creare una banca dei composti molecolari. Da questa banca dei composti molecolari, realizzata in collaborazione con i 101 centri di ricerca del CNR, con i vari centri dell'ISS e con diverse università, è cominciata un'operazione di screening.
  Questa operazione di screening è andata a parare sulle malattie rare per un discorso «di mercato». Il Consorzio è senza fini di lucro, ma ha una peculiarità: nello Statuto del Consorzio è previsto che i soci pubblici non partecipino a eventuali perdite. Devo dire che perdite non ci sono state in questi anni, perché è stata fatta una scelta ben precisa, quella di collaborare con diverse industrie multinazionali e con fondazioni molto importanti, come la CHDI Foundation per il morbo di Huntington, la Michael J. Fox e la Bill & Melinda Gates.
  Noi abbiamo sviluppato un modello che, secondo me, può essere applicato moltissimo anche in altre situazioni, perché evidenzia tutte le potenzialità del pubblico, lasciando al privato la possibilità di operare. Devo dire che tutto quello che è arrivato dal pubblico da noi è stato moltiplicato per tre, perché abbiamo trovato sul mercato da parte di multinazionali o di fondazioni il doppio dei finanziamenti.
  Questo ci ha consentito di fare una serie di operazioni per quanto riguarda la ricerca traslazionale. In questo momento noi stiamo facendo scouting su diverse università italiane di eccellenza e su diverse università europee. Troviamo dei brevetti. Io mi sento di dire che l'università italiana è un'università di eccellenza.
  Tutte le volte che sento parlare in termini deludenti dell'università italiana mi ribello, perché non è così. Noi lo verifichiamo giorno dopo giorno: ci sono, all'interno dell'università italiana, delle eccellenze enormi. Noi stiamo cercando di mettere in rete, con la nostra banca dei composti, queste eccellenze e di creare una sinergia tra pubblico e privato, che ci Pag. 30ha portato a risultati molto importanti. Nel campo delle malattie rare soltanto un anno fa abbiamo scoperto il metodo per la misurazione dell'hungtintina nel sangue relativa al morbo di Huntington.
  In questi giorni – lo ricordo proprio per sottolineare la validità sistemica di questo Consorzio – la Banca europea degli investimenti ci ha offerto un finanziamento di 100 milioni di euro, a condizione che noi ne mettiamo altri 100. Stiamo preparando cinque progetti per fare questa joint venture con loro.
  Quale contributo può fornire il legislatore in questo settore ? Onestamente, senza avere alcuna presunzione, lo può dire la nostra esperienza. Il Consorzio pubblico-privato funziona a condizione che il pubblico controlli e il privato gestisca. Il pubblico non può e non deve rischiare soldi, ma deve mettere a disposizione del privato tutto il proprio know-how e il proprio prestigio.
  La settimana scorsa io ero col Commissario europeo per la ricerca e non mi sono dovuto presentare, perché arrivavo lì con la medaglietta del CNR e dell'ISS. Ero presentato di mio. È chiaro che poi bisogna lavorare, io ho la presunzione di dire, con una mentalità privatistica. Non si possono, cioè, utilizzare i soldi senza pensare all'esito finale e al prodotto finale in termini non di utili, ma sicuramente di utilità.
  Quello che posso chiedere è un'ulteriore integrazione tra il Ministero della salute e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Secondo me, e secondo quello che mi dicono i miei ricercatori, può essere molto utile un'integrazione per evitare duplicazioni e per rispondere ad alcune istanze europee.
  In questi giorni noi stiamo rispondendo a una richiesta della DG ricerca e impattiamo col fatto che la questione è di competenza del Ministero della salute. Pertanto, il Commissario per la ricerca europeo ha difficoltà a dialogare. Uniformare un po’ la legislazione italiana alla prassi europea forse potrebbe essere utile. Sono situazioni non insanabili o difficilissime, ma neanche da sottovalutare.
  Svolgo un'ultima notazione per integrare quello che diceva il presidente del CEINGE. L'intuizione che è stata sviluppata a livello accademico al CEINGE è stata realizzata con cinque anni di ricerca nei laboratori dell'IRBM a Pomezia. Oggi stiamo producendo per l'Organizzazione mondiale della sanità un milione di dosi del vaccino anti-Ebola. Ancora una volta, la collaborazione tra i vari enti di ricerca, le varie istituzioni accademiche e l'iniziativa privata può dare frutti importanti.

  ILARIA CIANCALONI BARTOLI, direttore responsabile dell'Osservatorio malattie rare OMAR. La ringrazio, presidente, per questa indagine conoscitiva e, in particolar modo, la ringrazio per aver deciso di chiamare in audizione l’Osservatorio malattie rare, più conosciuto come OMAR, che qui rappresento in qualità di direttore responsabile.
  Il contributo che intendo portare a questa indagine riguarda un tema un po’ diverso rispetto a quelli che abbiamo sentito oggi qui. Si tratta di uno dei punti indicati nel programma dell'indagine, ossia della modalità di sensibilizzazione dell'opinione pubblica per evitare il diffondersi di convinzioni erronee e di ingiustificati timori. Questo è uno degli oggetti di questa indagine. Da quanto abbiamo visto fino a oggi nessuno l'ha trattato in maniera specifica, ragion per cui io ho pensato di trattare questo argomento, perché riguarda il nostro ambito di lavoro.
  Osservatorio malattie rare è una testata giornalistica specializzata nel tema della malattie rare e dei tumori rari. Nato da un'iniziativa privata nel 2010 per raccogliere e verificare informazioni e farne poi oggetto di comunicazione, Osservatorio malattie rare in cinque anni è diventato un punto di riferimento per molti e diversi soggetti, arrivando oggi ad avere circa 10.000 lettori al giorno. Tutti possono accedere gratuitamente a questa testata, che è un'iniziativa di natura privata.
  OMAR è un punto di riferimento, in primo luogo, per i pazienti, che rappresentano il nostro primo e più importante target. Essi possono leggere in italiano Pag. 31informazioni che riguardano le patologie e approfondirle, se vogliono, attraverso link alle fonti scientifiche o agli atti pubblici.
  Inoltre, è anche un punto di riferimento per molti colleghi giornalisti e autori di trasmissioni televisive, i quali spesso ci chiamano per avere spunti, approfondimenti e informazioni, per assicurarsi che quello che stanno dicendo sia corretto. Questi temi, pur essendo oggetto sempre più frequente di comunicazione giornalistica, non sono poi tanto facili da trattare correttamente.
  Osservatorio malattie rare, inoltre, è divenuto uno strumento molto utile – di questo abbiamo conferma tutti i giorni dalle mail che ci arrivano – per i medici. Ovviamente, non parlo tanto dei medici specialisti dei centri di riferimento, che supponiamo sappiano benissimo cosa vanno a trattare, quanto dei tantissimi medici di base, dei pediatri, oppure semplicemente dei medici che operano in centri meno specializzati. Essi hanno la necessità di parlare con i loro pazienti un linguaggio chiaro e di avere, a loro volta, sotto mano delle informazioni veloci, mentre fanno una visita o ricevono una telefonata, in un italiano direttamente accessibile, per saper spiegare anche ai loro pazienti dove possono rivolgersi. Sicuramente non sono i medici di base o i pediatri di libera scelta quelli che possono poi veramente affrontare una patologia rara.
  L’Osservatorio malattie rare è diventato in questi anni uno dei punti di riferimento certamente anche per le istituzioni. Non è la prima volta che noi siamo in audizione. Ci fa molto piacere vedere che spesso sono i senatori o i deputati che ci chiamano per avere qualche informazione in occasione di interrogazioni e mozioni, o anche per la preparazione di un disegno di legge. Ci fa molto piacere poter portare il nostro piccolo contributo.
  Ovviamente, voglio specificare che, per quanto riguarda il contributo che possiamo fornire a livello legislativo, noi non siamo tecnici della legislazione, così come per quanto riguarda il contributo, l'aiuto e le spiegazioni che possiamo fornire alla classe medica, non vanno intesi come sostitutivi della formazione che i medici dovrebbero sempre più avere, ma come un aiuto veloce nel momento di difficoltà. Comunque i medici vedono tantissimi pazienti e non possono sapere tutto.
  Ho precisato tutto questo per tornare a una domanda: com’è che OMAR in questi anni è diventato un punto di riferimento per tutte queste categorie così diverse tra loro ? Secondo noi, il motivo sta nell'aver messo insieme non solo l'informazione, di cui si parla molto, e di cui si parla anche nel Piano per le malattie rare – avere informazione vuol dire avere tanti dati, corretti e verificati – ma anche la comunicazione di questa informazione.
  Se si hanno tante informazioni e di siti veramente informati in Italia – parlo di siti per semplificare – ce ne sono moltissimi, perché poi i pazienti e i medici arrivano a chiedere a una testata giornalistica delle spiegazioni ? Si tratta di spiegazioni che noi troviamo in questi siti istituzionali, ma che magari un utente non abituato, che li usa una tantum, non riesce a trovare, perché non li riesce a utilizzare o non sa, e spesso questo vale anche per i medici, che esistono database come quelli, fatti benissimo, di Orphanet e del Centro nazionale per le malattie rare.
  Che cosa manca a questi siti ? Non manca assolutamente l'informazione, tanto che noi prendiamo le informazioni per lo più da lì, ma integrandole con altre fonti, magari di livello internazionale. Manca un piano di comunicazione di queste informazioni. Quello che c’è non arriva all'utente finale e, se non arriva al paziente, gran parte dell'investimento che è stato fatto nel costruire quegli strumenti va poi perso.
  Quello che si potrebbe fare, chiaramente, non è impedire ai pazienti di cercare in rete, ma fare in modo, attraverso dei Piani di comunicazione connessi a questi grandi database, che il paziente, o anche il medico, possa veramente trovarli, ossia costituire un punto di incontro.
  Sappiamo che si può avere tanta informazione e non comunicarla, ma sappiamo anche che si può, paradossalmente, Pag. 32fare una comunicazione senza un'informazione, o una comunicazione basata su informazioni sbagliate. Il caso Stamina ce l'ha dimostrato. Ci ha fatto fare una figuraccia a livello internazionale, ha causato danni economici e ha causato prima di tutto, direi, dei danni ai pazienti. Quello è un esempio di comunicazione fatta in assenza totale di corretta informazione. Dovrebbe essere evidente quanto queste due cose vadano insieme.
  Purtroppo, va detto che nel Piano nazionale delle malattie rare, pur essendoci un capitolo sull'informazione, il tema della comunicazione non è molto approfondito. Si parla sempre di informazione e mai di comunicazione. Forse in questo senso ci potrebbe essere un'integrazione, soprattutto laddove si dice che il personale che fa informazione deve essere formato, ma non si spiega che tipo di formazione debba avere. Di nuovo, se si tratta di tecnici, fanno un'ottima informazione, ma manca la comunicazione. Forse andrebbe prevista, senza bisogno di grandissimi investimenti, perché spesso queste figure ci sono, un'integrazione con le figure della comunicazione presenti in queste strutture.
  Un aspetto su cui si può agire veramente in maniera più o meno immediata riguarda l'informazione sui trial clinici. I trial clinici sono quelle che noi comunemente chiamiamo sperimentazioni, cui i pazienti possono accedere.
  Tra le domande che più frequentemente ci fanno i pazienti ci sono le seguenti: quali sperimentazioni ci sono, dove andiamo, come facciamo ad accedervi, qual è la procedura ? Fino a poco tempo fa, più o meno tra il 2011 e il 2012, era attivo un sistema di AIFA, il Front End, che rispondeva molto bene e anche in maniera facilmente utilizzabile, a queste informazioni. Si andava sul motore di ricerca, si inseriva la patologia e si trovavano elencati i centri di riferimento a cui il medico del paziente poteva poi mandare tutti i dati necessari per capire – a libera scelta dei ricercatori – se il paziente potesse o non potesse entrare in quella sperimentazione.
  Oggi purtroppo, da ormai almeno un paio d'anni, questo sistema è sospeso e si cerca di far fronte a queste richieste come si può, come al solito, cercando nei grandi database internazionali. Essi, però, avendo una grande mole di dati, allo stesso tempo non sono aggiornatissimi e non sempre contengono le ricerche che vengono fatte in Italia. Pertanto, sono molto più difficili da utilizzare.
  Noi integriamo un po’ questi database con domande che facciamo agli specialisti, perché sappiamo conoscere quali sono le sperimentazioni e ci arrangiamo in questo modo. È ovvio, però, che una riattivazione e un potenziamento di questo servizio di AIFA sono assolutamente necessari, anche per evitare casi di nuove truffe a danno dei pazienti. Laddove non c’è una fonte ufficiale che certifica quali sono i trial clinici autorizzati, infatti, tutto può succedere e, purtroppo, l'abbiamo visto. Non stiamo parlando di mere ipotesi.

  PRESIDENTE. Grazie. Questo era l'ultimo intervento previsto. Abbiamo forse qualche minuto per fare domande, se per caso qualche collega parlamentare vuole porne qualcuna.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Io farei la stessa domanda che ho fatto a coloro che vi hanno preceduto. Anche oggi ho sentito nominare l'AIFA, l'EMA, l'FDA e i rapporti di collaborazione...

  PRESIDENTE. Scusi, le chiedo una cortesia. Se lei individua tra coloro i quali sono intervenuti la persona che, secondo lei, è più adatta a rispondere alla sua domanda, può essere utile.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Magari chi si sente più motivato a rispondere, la prima persona che vuole rispondere. Ovviamente, io sto seguendo un filo logico che adesso non ho il tempo di illustrare.
  Sono state nominate l'AIFA, l'EMA e l'FDA anche nei rapporti di collaborazione con le vostre figure. Volevo chiedere anche se qualcuno di voi ha trovato nella collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, Pag. 33che ovviamente ha determinate prerogative anche di tipo pubblico, alcune simili all'AIFA, altre diverse, una collaborazione continuativa o saltuaria e se si è trovato soddisfatto, oppure se auspica una collaborazione più stretta.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  PIETRO DI LORENZO, amministratore delegato del Consorzio CNCCS-Scarl. Se vuole, le rispondo io. Sono nostri soci ma la risposta non è viziata. Devo dire che la collaborazione sta funzionando molto, per due motivi. Innanzitutto perché abbiamo nel Comitato scientifico un gruppo di ricerca, i capi dipartimento, che si occupa di malattie rare e di malattie neurodegenerative, un altro settore che noi pratichiamo.
  Inoltre, abbiamo nel CdA il presidente e adesso il Commissario dell'Istituto superiore di sanità, ragion per cui ci riteniamo privilegiati, perché la collaborazione, come può immaginare, è molto corrente e molto corretta.
  In linea di massima, le devo dire che, malgrado una terribile carenza di mezzi, la collaborazione funziona molto bene. L'Istituto superiore di sanità funziona bene. Magari, se proprio devo essere cattivo, si registra qualcosa a livello amministrativo, ma quello è un altro discorso. A livello scientifico funziona molto bene.
  La collaborazione col privato è assolutamente positiva.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Presidente, mi scusi se faccio ancora una domanda. Mi interessa sapere, in particolare, come comunica l'Istituto superiore di sanità. Qualcuno ha parlato anche di comunicazione. Il problema delle malattie rare, lo vediamo, è anche un problema di scarsa comunicazione, nella possibilità anche di prendere in carico determinate battaglie, perché di questo si tratta poi. Essendo proprio specifica, la terminologia rara è estremamente di nicchia e riservata a una serie di persone che se ne occupano.
  Mi rivolgo proprio all'Osservatorio OMAR. Voi avete, secondo voi, una relazione significativa anche con le pubblicazioni a livello di sito, a livello di usability, come dicono gli anglosassoni, delle informazioni che pubblica l'Istituto superiore di sanità ? Magari si rivolge a livelli tecnicamente o scientificamente troppo alti per poter poi creare una filiera di informazione corretta nella diffusione dei problemi reali del Paese, tra cui sicuramente rientra il tema di cui trattiamo.

  ILARIA CIANCALONI BARTOLI, direttore responsabile dell'Osservatorio malattie rare OMAR. Grazie della domanda interessante.
  Per quanto riguarda l'Istituto superiore di sanità, devo dire che il livello di comunicazione è buono. Rispetto alla media riescono a fare delle comunicazioni stampa con un linguaggio piuttosto comprensibile, seppure con delle piccole pecche tecnologiche, ovvero richiedendo un po’ troppi passaggi all'utente. La comunicazione, però, è piuttosto chiara.
  Trovo un limite, invece – non voglio dire che sia grave, ma è sicuramente un limite – in ciò che viene comunicato. L'Istituto superiore di sanità, giustamente, comunica all'esterno ciò che fa, per esempio quando bandisce il premio Pegaso o quando pubblica una ricerca. Tiene anche, però, i registri dei pazienti, i cui numeri per lo più non vengono comunicati, perché ci sono i problemi nel fare i registri. Non lo fa, ovviamente, non perché non li voglia comunicare, ma perché la raccolta dei dati è stata sempre, non per colpa dell'Istituto superiore di sanità, ma soprattutto per la modifica del Titolo V, che è intervenuta dopo, piuttosto complicata, essendoci 20 sistemi da integrare poi in un unico database.
  L'Istituto superiore di sanità non comunica, invece, secondo me e secondo la nostra esperienza, in maniera dettagliata e realistica quali sono i centri di riferimento della Rete nazionale delle malattie rare, una rete il cui monitoraggio rientra tra i compiti dell'Istituto superiore di sanità. I pazienti effettivamente non riescono a trovare Pag. 34sul sito dell'Istituto superiore di sanità con facilità, non perché non ci siano, ma perché sono difficilmente accessibili a un utente non esperto, questi centri di riferimento.
  Forse pubblicare queste informazioni in tabelle e decreti, invece di mandare dei veri comunicati stampa con delle spiegazioni, come fanno per le loro iniziative, costituisce un limite. Noi cerchiamo di fare il possibile per integrare. Ci rendiamo anche conto che l'Istituto superiore di sanità e soprattutto il Centro nazionale delle malattie rare sono sicuramente sottodimensionati come personale e che ci sono dei problemi che l'Istituto superiore di sanità ha avuto in questo periodo, con cambi di dirigenza. È ovvio che delle difficoltà ci siano in questo senso.

  GIANLUCA FINCATO, oncology medical director della Novartis. Volevo fare solo un commento generale per rispondere anche alla domanda precedente.
  Dal mio punto di vista il rapporto di collaborazione – io sono appena rientrato in Italia dopo un'esperienza all'estero – è veramente ottimo. Se guardiamo la questione dal punto di vista del paziente, devo proprio dire che, riflettendo sugli studi di fase 1, che sono per noi molto importanti, in quanto identificano il paziente, la patologia e il modo di sviluppare il farmaco dalla fase preliminare, da parte di AIFA c’è stata un'ampia collaborazione. Abbiamo messo in piedi una serie di studi veramente numerosi in pochissimi mesi grazie al rapporto di collaborazione con AIFA.
  Se questa è la premessa per un futuro sviluppo molto positivo nel nostro Paese, al pari di quello che succede all'estero, siamo veramente in un'ottima situazione.

  PRESIDENTE. Bene. Io ringrazio tutti, sia i deputati che hanno avuto la pazienza di essere realmente interessati all'audizione, sia quelli che avranno ascoltato attraverso il circuito chiuso e la diretta televisiva i nostri lavori. Soprattutto ringrazio veramente di cuore tutti coloro che sono venuti come nostri ospiti e che ci hanno fornito senz'altro delle interessanti valutazioni sul tema che abbiamo in trattazione, devo dire anche con punti di vista fortunatamente piuttosto diversi, che aiutano i commissari a riflettere sul tema.
  Vi ringrazio di cuore. Anche sulla base di ciò che avete sentito, che avete rilevato o che rileverete dalle altre audizioni, se le vorrete leggere o seguire, se ritenete di avere qualche precisazione o qualche ulteriore elemento di valutazione da fornire alla Commissione, lo potete fare anche attraverso i canali informatici. C’è l'impegno della presidenza della Commissione a diffondere poi a tutti i commissari ciò che eventualmente voi vorrete far pervenire.
  Grazie di cuore della vostra disponibilità.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.10.