XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 16 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marazziti Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA, NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1432  MURER, C. 1142  MANTERO, C. 1298  LOCATELLI, C. 2229  ROCCELLA, C. 2264  NICCHI, C. 2996  BINETTI, C. 3391  CARLONI, C. 3561  MIOTTO C. 3596  CALABRÒ C. 3586  E C. 3599  BRIGNONE: «NORME IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO E DI DICHIARAZIONI DI VOLONTÀ ANTICIPATE NEI TRATTAMENTI SANITARI»

Audizione della Consulta di bioetica.
Marazziti Mario , Presidente ... 3 
Riccio Mario , Dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona ... 3 
Marazziti Mario , Presidente ... 4 
Riccio Mario , Dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona ... 4 
Donatelli Piergiorgio , professore ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma ... 5 
Lecaldano Eugenio , professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma ... 6 
Marazziti Mario , Presidente ... 7 
Lecaldano Eugenio , professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma ... 7 
Marazziti Mario , Presidente ... 8 
Lecaldano Eugenio , professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma ... 8 
Marazziti Mario , Presidente ... 8 
Binetti Paola (AP)  ... 8 
Amato Maria (PD)  ... 8 
Calabrò Raffaele (AP)  ... 8 
Riccio Mario , Dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona ... 9 
Calabrò Raffaele (AP)  ... 9 
Mantero Matteo (M5S)  ... 9 
Colonnese Vega (M5S)  ... 10 
Marazziti Mario , Presidente ... 10 
Riccio Mario , dirigente reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Cremona ... 10 
Marazziti Mario , Presidente ... 10 
Riccio Mario , dirigente reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Cremona ... 11 
Marazziti Mario , Presidente ... 11 
Amato Maria (PD)  ... 11 
Marazziti Mario , Presidente ... 11 
Riccio Mario , dirigente reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Cremona ... 11 
Donatelli Piergiorgio , professore ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma ... 12 
Lecaldano Eugenio , professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma ... 12 
Marazziti Mario , Presidente ... 13 
Carnevali Elena (PD)  ... 14 
Marazziti Mario , Presidente ... 14 

Allegato 1: Documentazione consegnata dal dottor Riccio ... 15 

Allegato 2: Documentazione consegnata dal professor Lecaldano ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO MARAZZITI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Consulta di bioetica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della Consulta di bioetica, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto, C. 3596 Calabrò, C. 3586 Fucci e C. 3599 Brignone: «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari».
  Ricordo che oggi la Commissione prosegue il ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle proposte di legge in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari. È prevista l'audizione di rappresentanti della Consulta di bioetica, mentre il Consiglio superiore di sanità, già convocato per la seduta odierna, ha chiesto di poter intervenire in un'altra data.
  Per la Consulta di bioetica sono presenti Mario Riccio, dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona Eugenio Lecaldano, professore emerito, già ordinario di filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma e Piergiorgio Donatelli, professore ordinario di filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma, ai quali do il nostro benvenuto.
  Do quindi la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento delle rispettive relazioni.

  MARIO RICCIO, Dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona. Avremmo deciso di parlare cinque minuti ciascuno per lasciare il tempo residuo a eventuali domande.
  Iniziando io per primo, voglio portare i saluti della Consulta di bioetica, ringraziando la Commissione per l'invito, e in particolare i saluti del presidente, professor Mori, che oggi è trattenuto a Torino dal consiglio di facoltà.
  Vorrei fare, in questi cinque minuti, soltanto alcune riflessioni molto rapide. La prima riguarda l'utilizzo del termine «dichiarazioni» anziché «direttive», un argomento che penso approfondiranno i professori Lecaldano e Donatelli. Questa formula non avrebbe alcun significato perché il termine dichiarazioni è di tipo colloquiale. Niente, quindi, verrebbe riconosciuto giuridicamente al paziente.
  Questo mi induce a fare un'altra riflessione riguardo al fatto che una legge che dovesse ripetere il percorso della legge n. 40 risulterebbe inutile anche per loro, dato che verrebbe facilmente attaccata da ricorsi costituzionali, che sarebbero pronti al primo sentore.
  Vengo invece alle mie riflessioni personali, che sono racchiuse anche nella memoria scritta che lascio oggi per la consultazione di chi mi farà il piacere di leggerla. Io lavoro in terapia intensiva. Non vorrei che il termine dirigente creasse Pag. 4incomprensioni. Non sono responsabile di un servizio, ma un semplice medico turnista. In terapia intensiva il consenso del paziente è valutabile solo nel 10 per cento dei casi. È cioè possibile sondare la volontà soltanto dell'8 per cento dei pazienti ricoverati in terapia intensiva in Italia.
  Noi ricostruiamo regolarmente la volontà del paziente di terapia intensiva e questo vi porterà subito a pensare alla vicenda Englaro. Le volontà dei pazienti vengono ricostruite dai parenti, dai familiari, da chi è loro vicino.
  Un altro concetto fondamentale, sviluppato meglio nella memoria, è che le terapie, intese nel senso di trattamento sanitario, vengono sospese regolarmente negli ospedali e in particolare nelle terapie intensive. Mi sto riferendo a uno studio del Gruppo italiano per la valutazione degli interventi in terapia intensiva (GiViTI), che è un gruppo di studio dell'Istituto «Mario Negri». I trattamenti sanitari in terapia intensiva si sospendono. Più della metà delle 30.000 morti in Italia ogni anno in terapia intensiva – 18.600 per la precisione – è dovuta alla decisione sanitaria di interrompere, non iniziare o limitate le terapie.
  In Italia ci sono 150.000 ricoverati all'anno in terapia intensiva. Di questi, 30.000 muoiono. Abbiamo una delle mortalità più basse del mondo occidentale. Di questi 30.000 pazienti, 16.800 – tutti questi numeri sono contenuti nella relazione – muoiono in seguito a decisione clinica, cioè la decisione di un medico di non iniziare, interrompere o ridurre un trattamento sanitario. Non sto a sottolineare che tutto è trattamento sanitario, anche la terapia nutrizionale.
  Questo comportamento si attua perché molti di questi pazienti morirebbero comunque, a prescindere dalla forza dei trattamenti che noi potremmo fornire. In questo numero così elevato di 18.600 ci sono moltissimi casi Englaro, cioè ci sono molti pazienti a cui viene sospeso, non iniziato o ridotto il trattamento perché i parenti ci dicono che quel paziente non vorrebbe essere trasformato in un paziente cronico come nella vicenda Englaro, a cui continuo a fare riferimento perché possiate più facilmente comprendere.

  PRESIDENTE. Mi scusi, non ho capito la differenza nel riferimento tra la cifra di 18.600 e quella di 16.800.

  MARIO RICCIO, Dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona. Dei 30.000 morti all'anno in terapia intensiva, 18.600 muoiono in seguito alla decisione di interrompere il trattamento, in seguito a decisione clinica. Questi comportamenti non sono eutanasici, al contrario di come spesso sono riportati dal punto di vista mediatico, ma sono situazioni continue in terapia intensiva. Talvolta non si sospendono del tutto i trattamenti sanitari, ma si riducono a un livello tale che il paziente è comunque destinato a morire. Tutto ciò fa parte della cosiddetta «desistenza terapeutica».
  Io personalmente ritengo che tra continuare un trattamento sanitario dimezzato, che sappiamo porterà comunque il paziente a morte, e interromperlo decisamente e definitivamente non ci sia, dal punto di vista etico, grande differenza, tanto che mi sono permesso di coniare la definizione di «terapia ipocrita», laddove, ad esempio, si ventila un paziente con la metà dell'ossigeno necessaria a farlo sopravvivere. Non morirà subito perché non lo si stacca dal ventilatore, ma ritengo che sia ipocrita usare una frazione di ossigeno ridotta della metà. A quel punto è meglio sospendere direttamente il trattamento sanitario.
  Penso di aver concluso. Vorrei soltanto ricordare, uscendo dall'ambito più strettamente personale della terapia intensiva, che il problema dei pazienti non più capaci di intendere e volere – cioè non più competent – è un problema estremamente forte nel mondo occidentale. Uno studio recente dell'Alzheimer Report 2015 dice che in Italia 1,2 milioni di persone sono affette da alzheimer e altre demenze. Queste persone perdono la capacità di intendere e volere, anche giuridica, progressivamente e quindi potrebbero essere Pag. 5– io direi dovrebbero essere – informate della loro condizione e decidere se continuare i trattamenti anche quando non saranno più capaci di intendere e volere.
  Io mi fermerei qui. Grazie.

  PIERGIORGIO DONATELLI, professore ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma. Ringrazio il presidente e la Commissione. Io insegno filosofia morale e farò qualche rapida considerazione di sfondo teorico sulla scia di ciò che è stato detto dal dottor Riccio in modo molto preciso.
  Prima di arrivare al tema, anch'io direi direttive e non dichiarazioni.
  I temi del fine vita – la Commissione esamina un tipo di tematica – si inseriscono nella libertà di disporre del proprio corpo alla fine della vita, cosa che, a mio modo di vedere, è coerente con il quadro delle libertà e dei diritti costituzionali del nostro Paese. In maniera più vasta e profonda questo si inserisce nelle idee moderne di libertà e di autonomia. Mi sembra impossibile immaginare che, una volta entrati in ospedale, perdiamo tutti i diritti che attengono alla nostra integrità fisica e tutti i diritti che attengono al rispetto della nostra persona, vale a dire rispetto della nostra volontà, della nostra autonomia e del senso che abbiamo del nostro corpo.
  Non c’è dubbio che la medicina abbia acquisito il principio di autonomia, come si dice nel lessico della bioetica, gradualmente, essendo stata dominata per secoli, nella tradizione millenaria ippocratica, dal paternalismo, in base al quale il medico sa qual è il tuo bene; fa il tuo bene e non te lo chiede. Il paternalismo è crollato, e il fatto stesso che voi discutiate del consenso informato e che il consenso informato fa parte di tutte le legislazioni e delle regolamentazioni della medicina dell'Occidente significa il crollo del paternalismo, vale a dire che il medico deve certamente agire per il bene del paziente, ma deve chiedere il suo parere, il suo consenso e il suo punto di vista.
  Va anche detto che non si tratta semplicemente del rispetto della libertà e dell'autonomia. Il punto è, come diceva anche il dottor Riccio, che sono cambiate le modalità del morire nei Paesi avanzati dove c’è welfare, dove c’è ricchezza diffusa e dove c’è tecnologia medica. La morte è diventata un processo lungo, attraversato dalla conoscenza, nel quale possiamo anticipare le cose che ci succederanno e prevedere un certo decorso della malattia. Ci sono quindi sufficienti condizioni – almeno per alcuni – psicologiche, materiali e di tempo per pensare alla parte finale della propria vita.
  Per la prima volta nella storia dell'umanità c’è una duratura parte finale della vita, che diventa oggetto di scelte. È in questo contesto di trasformazione sociale e sociologica, ma anche psicologica ed emotiva, degli esseri umani che ha senso che le persone scelgano, sul proprio corpo, le terapie con le quali devono essere trattate. Non si tratta di scelte puntuali che riguardano alcuni giorni prima di morire. Riguardano mesi o anni.
  È una assoluta novità e solo rendendocene conto capiamo perché ha totalmente senso che le persone siano libere e siano educate per trovare la propria personalità nella parte finale della vita, così come hanno avuto modo di esprimere quella personalità in vita nel lavoro, negli affetti o nello svago.
  Tutto questo mi sembra che si iscriva nelle società democratiche. Le società democratiche amano la libertà delle persone, ma amano anche il pluralismo dei convincimenti profondi e delle visioni della vita. Nelle scelte di fine vita c’è non solo la libertà puntuale che riguarda il proprio corpo, l'integrità fisica, l’habeas corpus, secondo una tradizione occidentale – ma non solo – relativa al rispetto del corpo. C’è anche il fatto, come ho detto, che le società democratiche apprezzano che idealmente ciascuna testa porti con sé un cuore e una visione della vita e che non siamo una massa grigia e uniforme, come nelle immaginazioni e nelle realizzazioni collettivistiche o nelle società tradizionali. Le persone sono sia esistenze separate, cioè corpi separati, sia teste e visioni della vita separate.Pag. 6
  Questo si vede nelle scelte del fine vita, dove a parlare è una visione della vita, un senso della vita e della dipendenza. Ci sono persone che accettano la dipendenza da macchine o da altre persone, altre che la rifiutano. Ci sono diverse concezioni dell'intimità e della prossimità col proprio corpo. Tutto deve essere considerato in tali scelte. Le società democratiche non possono che apprezzare questo pluralismo.
  Come ultima considerazione, c’è un cambiamento della professione medica che procede in parallelo. La professione medica piano piano ha incorporato il fatto che l'intero apparato sanitario compie scelte che riguardano anche zone non esclusivamente mediche. Queste scelte di fine vita non sono solo scelte mediche. È fondamentale, altrimenti non si visualizza il problema legislativo relativo alle scelte di fine vita, come, ad esempio, le direttive anticipate.
  Non sono solo scelte nel migliore interesse del paziente. Se fossero solo scelte nel migliore interesse del paziente, la faccenda sarebbe molto meno dilemmatica e problematica e riguarderebbe, come in tante altre situazioni, solo l'interesse medico e il consenso. Qui c’è di più. Sono scelte nel migliore interesse del paziente, ma devono anche tenere conto di un di più, che attiene, come ho detto, al senso della propria vita e della propria morte e all'orizzonte terreno delle nostre esistenze, al modo in cui ciascuno e ciascuna di noi vuole onorare la parte finale della vita.
  A mio modo di vedere, quindi, non è possibile eludere questo punto di vista pensando di fare appello al migliore interesse con il divieto, ad esempio, dell'accanimento terapeutico, dell'abbandono terapeutico, della sproporzionalità di mezzi, espressioni della bioetica che ho trovato in varie proposte di legge all'esame della Commissione.
  Al di là del fatto che queste espressioni si potrebbero criticare, sono tutte espressioni che fanno riferimento alla buona pratica medica. Il punto è che la buona pratica medica deve incorporare un punto di vista ulteriore e non medico, che è quello del paziente su se stesso, un punto di vista umano, non specializzato, non medico: se volete, esistenziale.
  Quando entriamo in ospedale non smettiamo di essere umani e cittadini. Noi qui siamo esseri umani e cittadini con diversi compiti e professioni. Se entriamo in ospedale dobbiamo continuare a essere completamente essere umani e cittadini, e questo deve essere rispettato. In tale luce penso sia fondamentale che il nostro Paese abbia «direttive». Il termine dichiarazione non va bene nella sostanza perché si dichiara un'opinione, ma qui il punto non è dichiarare la propria visione delle cose. Deve essere qualcosa di vincolante perché in gioco c’è la sfera intima e non coercibile dell'esistenza. In secondo luogo, come diceva prima il dottor Riccio, devono essere comprese anche idratazione e alimentazione.
  Chiudo esprimendo il mio fastidio per un'espressione molto usata – di cui parlerà il professor Lecaldano dopo di me – e cioè «alleanza terapeutica». È usata in molte delle proposte di legge, ma non mi piace. Penso che con il paziente non si debba fare alcuna alleanza. L'alleanza è un'intesa, un accordo. Non serve. Vogliamo dal medico tutta la scrupolosità della sua professione. La professione medica è la più moralizzata tra le professioni liberali dei Paesi occidentali e questo deve seguitare a essere così.
  Non vogliamo un'alleanza, bensì una professione medica che ascolti e rispetti una volontà indipendente, nelle fonti e nella sua espressione, da quella medica.

  EUGENIO LECALDANO, professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma. Grazie dell'invito. Prima di tutto vorrei dire che mi muovo all'interno dei principi che sono stati già enunciati da entrambi coloro che mi hanno preceduto.
  Il breve testo che lascio è diviso in tre parti. Una parte riguarda principi abbastanza noti o ben noti, che sono quelli di un'etica centrata sull'autonomia e sull'autodeterminazione anche per quanto riguarda il fine vita. A questo proposito, Pag. 7anche se capisco bene che la questione non è attuale e non rientra nella nostra discussione, penso che in questo tipo di salvaguardia della libertà naturale degli esseri umani relativamente alla fine del proprio corpo sia compresa anche la possibilità di richiedere un'eutanasia attiva o volontaria, come cerco di argomentare nella parte di principio della mia memoria.
  Io spero che il Parlamento italiano riconosca alle sue cittadine e ai suoi cittadini questa libertà naturale relativa al corpo per quello che riguarda la cura, la fine e la morte. Libertà del proprio corpo significa permettere alle persone di lasciare direttive nelle quali si richieda di sospendere una serie di attività, comprese idratazione e alimentazione, affinché non vengono considerate e trattate come prigioniere delle regole e dei principi di uno Stato totalitario, che non tiene conto del loro modo di concepire la morte.
  Come il Parlamento perfettamente sa, visto che ci sono undici proposte di legge molto differenziate e questi punti sono presenti in alcuni testi, si tratta di un'esigenza di autonomia e di libertà che va riconosciuta ai cittadini e alle cittadine per il proprio corpo. Bisognerebbe quindi sempre capire che in una società come la nostra, che ha una Costituzione liberale, le minoranze – ammesso che lo siano – che intendono utilizzare le direttive anticipate per poter sospendere tutte le cure dovrebbero essere lasciate libere, se non danneggiano gli altri, di morire nel modo in cui per loro è naturale.
  Mi sembrerebbe un principio da salvaguardare. Spesso in questo Paese le leggi su questioni eticamente sensibili non sembrano essere ispirate, come mostra la legge n. 40 già richiamata, alla consapevolezza di cosa voglia dire muoversi come un Paese liberale e democratico, nella cui Costituzione le minoranze vengono garantite. La Costituzione ritiene che le cittadine e i cittadini di questo Paese vadano trattati in modo uguale e che a tutti vada garantita la libertà. Una delle libertà fondamentali è poter morire nel modo in cui si ritiene opportuno.
  Esaminando queste undici proposte di legge – buon lavoro, perché sono davvero molto diverse tra loro –, credo si possa rilevare che alcune di esse, come ha già detto il collega Donatelli, utilizzano un linguaggio che mi permetto di caratterizzare come ideologico, con riferimento, ad esempio, all'alleanza terapeutica o all'accanimento terapeutico. In un Paese democratico costituzionale, secondo me, non si può normare facendo passare una concezione ispirata a una legge naturale che prevedrebbe, come alcuni di questi provvedimenti dicono, che abbiamo un rapporto di vincolatività con il medico da quando nasciamo. Questa è ideologia.
  Io vi pregherei di non fare leggi che affermano principi sostantivi ideologici e che poi, come la legge n. 40 ha chiaramente mostrato, vengono rese non accettabili. Non ripeterei la storia della legge n. 40.

  PRESIDENTE. La ringraziamo, ma non stiamo facendo la legge n. 40.

  EUGENIO LECALDANO, professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma. Alcune delle formulazioni di queste proposte di legge sono però caratterizzate da analoghi principi sostantivi. Prescrivere, ad esempio, una concezione secondo cui la legge naturale direbbe che sono dipendente dal medico, il quale deve stabilire quali sono i miei interessi, è semplicemente un principio sostantivo.
  Una legge di questo tipo non regge più di quattro o cinque anni. Non si facciano leggi che, come la legge n. 40, danneggiano questo Paese creando oneri in termini di sofferenze e di costi ! Bisognerebbe che le leggi si ispirassero all'avanzamento dell'Europa e tenessero conto, cosa che non sempre si fa, del fatto che su tali questioni ci sono dei pronunciamenti della magistratura. Si vedano il caso Welby e il caso Englaro. Come si può fare una legge che non tenga conto, non dico del senso comune del Paese, ma di sentenze della Cassazione ?
  Io sono sicuro che all'interno del Parlamento e di questa Commissione esistono Pag. 8molte competenze e molte persone illuminate. Faccio appello a loro perché su questo punto facciano passare, in tempi decenti, una legge che non costituisca un'altra traccia del fatto che in Italia non possiamo affrontare questioni di diritti civili in modo libero.

  PRESIDENTE. La ringrazio, professore, anche se ho il dovere di dire che non solo i colleghi «illuminati» – non so a chi si riferisca –, ma tutti i membri di questa Commissione e di questo Parlamento hanno diritto al rispetto e a non essere considerati non illuminati.
  Mi scusi se faccio questa osservazione.

  EUGENIO LECALDANO, professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma. Mi scuso io.

  PRESIDENTE. Capisco che ci si appassioni. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Riccio (vedi allegato 1) e dal professor Lecaldano (vedi allegato 2).
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLA BINETTI. La prima riserva riguarda il termine «alleanza», che è il fondamento della relazione medico-paziente. Il giorno in cui il medico dovesse essere esclusivamente un notaio che applica o direttive del paziente o protocolli codificati, non saremmo più davanti a una scienza come la scienza medica, ma avremmo snaturato dall'interno qualunque tipo di sapere che si costruisce sugli elementi in cui convergono la soggettività del paziente e l'oggettività dei dati. Questo è il primo concetto che mi sento di contestare perché l'intero disegno di legge che io ho presentato, per esempio, ha il suo perno qualificante proprio nel concetto di alleanza.
  La seconda questione è che effettivamente il caso Englaro e il caso Welby hanno caratterizzato le ultime due legislature. Restano, tuttavia, due fatti da prendere in considerazione, ma anche da contenere con i limiti dovuti. Nel caso concreto mi chiedo perché, se si vuole considerare non solo sub specie medica, ma giustamente anche sub specie etico-antropologica tutta la tematica, sia necessario che a intervenire sia il medico, come accaduto nel caso specifico del dottor Riccio, quando il rifiuto delle cure presuppone che chiunque, senza bisogno di una laurea in medicina o di una competenza specifica, possa intervenire.
  Si vuole stravolgere il mandato del medico, che si iscrive a medicina per curare e possibilmente per guarire, ma certamente non per procurare la morte dei propri pazienti. Perché fare riferimento a questo, quando, non considerando un atto medico, qualunque paziente può smettere di mangiare o di prendere le medicine quando vuole ?
  Non c’è bisogno di un medico che codifichi tutto questo.

  MARIA AMATO. Ho sentito che tutte e tre le relazioni sono abbastanza chiaramente pro eutanasia.
  È il parere omogeneo della Consulta di bioetica ? È un parere maggioritario o è un parere personale ?

  RAFFAELE CALABRÒ. Vorrei fare due osservazioni e una domanda.
  Le due osservazioni sono di semiologia. Possiamo chiamarla alleanza terapeutica o trovare un altro nome, ma credo che chi esercita la professione di medico non possa disconoscere che, come diceva l'onorevole Binetti, non si tratta di accogliere la prescrizione del medico quanto di capirsi. Da una parte c’è l'esigenza e la richiesta del paziente, la sua conoscenza e il suo concetto della vita e delle sue prospettive. Dall'altra c’è una professionalità che deve portare altro.
  Chi ha l'esperienza della professione medica sa bene che un colloquio non basta. Sono tante le cose che bisogna dirsi e spesso bisogna tornarci su. Se ci basassimo solo sul primo colloquio con il paziente, che arriva imbottito di conoscenze Pag. 9apprese su internet a dirci qual è la sua conclusione, credo che non faremmo i medici. Parlare una volta con il paziente e una seconda e incontrarlo di nuovo non ci serve a convincerlo, ma ad allargare il suo panorama e trovare insieme l'alleanza terapeutica o comunque la vogliate chiamare.
  Il secondo concetto è l'accanimento terapeutico. Se il termine non vi piace, trovatene un altro. Il concetto, però, è che non ce la sentiamo di adottare terapie sproporzionate rispetto agli obiettivi, alle speranze e alle aspettative di vita del paziente. Possiamo anche non chiamarlo accanimento terapeutico, ma questo concetto è un dato di fatto, che il medico non può che realizzare. Se le terapie sono invece proporzionate, si apre il colloquio con il paziente per arrivare a valutazioni e conclusioni che siano reciproche.
  Mi pongo una domanda. Il dottor Riccio ha indicato dei numeri. Il 50 per cento dei soggetti che muoiono in terapia intensiva muore perché il medico determina la fine della terapia che sta eseguendo o la riduce.

  MARIO RICCIO, Dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Cremona. Il 62 per cento.

  RAFFAELE CALABRÒ. Benissimo. Mi auguro, per quello che lei sta dicendo qui, che questo avvenga perché il medico si rende conto che sarebbe accanimento terapeutico. Altrimenti, sarebbe una condizione fuorilegge e andrebbe denunziata !
  Non va detto in una situazione del genere, ma denunciato alla procura della Repubblica.

  MATTEO MANTERO. Intanto, non ho capito quali erano le domande del collega Calabrò. Pensavo fossero solo considerazioni.
  In risposta a quanto detto dalla collega Binetti, pur non essendo io medico e reputandomi anche piuttosto ignorante in materia, penso però che il dovere del medico non sia tenere in vita per forza tutti i malati, anche contro la loro volontà, ma alleviare le loro sofferenze e quindi rispettarne la volontà quando vogliono smettere di soffrire.
  Avrei alcune domande. Ci avete detto che nei reparti di terapia intensiva la sospensione delle cure viene fatta normalmente e che la volontà del paziente viene dedotta da quello che affermano i parenti. A mio avviso c’è un vuoto normativo in questa materia, ma voi lo sentite ? Sentite la necessità di un intervento legislativo in materia ?
  Per i pazienti a cui vengono sospese le cure, comprese idratazione e alimentazione, vengono utilizzate terapie palliative per ridurre le sofferenze ?
  Chi è a favore del mantenimento in vita a ogni costo dei pazienti in stato vegetativo permanente e così via ci dice che non è dimostrabile che questi pazienti non possano recuperare. Volevo chiedervi conferma su questo.
  Nella scorsa audizione, i palliativisti e il Comitato nazionale di bioetica hanno affermato che, a loro avviso, la direttiva anticipata di trattamento – io sono d'accordo con voi sul fatto che non debba essere una dichiarazione, ma una direttiva –, non dovrebbe consistere in un modulo precompilato, bensì dovrebbe essere fatta insieme al medico. Effettivamente non è facile. Nel testamento si decide a chi donare i propri beni, ma redigere un testamento relativo al fine vita non è facile proprio perché l'individuo molto spesso ignora quali siano le terapie a cui può essere sottoposto, a cosa rinuncia e così via. Cosa pensate di questo ? Il testamento biologico o la direttiva anticipata devono essere compilati insieme al medico curante oppure no ?
  I medici palliativisti ci hanno fatto notare che più che soffermarsi sulla DAT sarebbe importante valutare invece il percorso terapeutico, soprattutto con riguardo ai pazienti affetti da malattie degenerative, come ad esempio l'alzheimer. All'inizio della mattina si dovrebbe valutare insieme al malato il percorso terapeutico. Anche su questo chiedo il vostro parere.Pag. 10
  Infine, vorrei sapere come, a vostro avviso, dovremmo comportarci dal punto di vista normativo per quanto riguarda l'obiezione di coscienza dei medici rispetto alla sospensione delle cure.

  VEGA COLONNESE. Grazie per le considerazioni e lo studio che ci avete segnalato.
  La mia domanda è diretta. Vorrei sapere se esiste una statistica o un censimento di quante persone vorrebbero fare richiesta di testamento biologico, qualora ci fossero le condizioni. Mi riferisco alla coscienza del proprio stato fisico.
  Vorrei sapere quante sono, magari in percentuale, e quali difficoltà incontrano nel momento in cui vogliono seguire questo percorso.

  PRESIDENTE. Vorrei aggiungere una domanda stimolata da tutte e tre le vostre introduzioni e statement, dichiarazioni in questo caso.
  Mi pare comune a tutti e tre gli interventi – il professor Lecaldano ha parlato anche di tradizione liberaldemocratica – un'idea di corpo, di vita e di persona come bene indisponibile al medico, ma evidentemente anche ad altri, in quanto bene individuale.
  La domanda è abbastanza semplice, ma secondo me chiave. La nostra Costituzione è sicuramente liberaldemocratica, ma è anche altro. Quella liberale è una delle anime della Costituzione, ma vi è anche la tradizione culturale socialista e quella cristiano democratica. Tutte e tre hanno una visione improntata al forte rispetto della persona umana. La Costituzione raccoglie istanze della tradizione liberaldemocratica, ma non direi che l'intera Costituzione lo sia e che quindi ci dobbiamo ispirare a un'interpretazione che enfatizza una delle tre anime.
  Vengo alla domanda. Il corpo, secondo voi, è un bene esclusivamente individuale o è anche un bene sociale ? Parlo in chiave filosofica. Non mi permetto di farvi domande che includano una cultura medica. Non è necessaria, non vi è richiesta e non è richiesta neanche a noi. La vita, che da soli non ci si può dare, è un bene esclusivamente individuale o anche sociale, includendo essa relazioni e affettività ? Da questa risposta, a mio parere, discendono conseguenze diverse.
  Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MARIO RICCIO, dirigente reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Cremona. Necessariamente, in tre minuti risponderò solo alle domande che ricordo.
  Onorevole Binetti, se lei faceva riferimento alla sentenza Welby – che in realtà è la sentenza Riccio, perché l'imputato era Riccio – e al fatto che sia stato sentenziato che solamente il medico poteva interrompere i trattamenti sanitari, devo riconoscere che il giudice ha lasciato insoddisfatto anche me, benché possa sembrare paradossale. Con tutto il rispetto per il giudice che mi ha giudicato, ci sono molte zone opache, pur giudicate da giuristi competenti. La sentenza dice in effetti che solo il medico può interrompere.
  Mi permetta di dirle che mi ha stupito molto quando ha detto che chiunque può interrompere la terapia. Questo sembrerebbe affidato a una medicina ottocentesca. Piergiorgio Welby aveva bisogno di un atto medico collegato e cioè la sedazione. Era impossibilitato a spegnere il ventilatore perché paralizzato da anni e se non fosse stato sedato sarebbe morto in preda al soffocamento. Penso che sia stato un mio dovere personale e deontologico, prima ancora che giuridico, sedare Piergiorgio Welby. La mia deontologia è qualcosa sopra cui non passerei mai. Ogni medico ha la sua.
  Quanto all'eutanasia, risponderanno i filosofi circa la posizione della Consulta di bioetica. Mi è sembrato che ci sia stata una piccola polemica. Se la Consulta sostiene l'eutanasia, lo spiegheranno i professori Lecaldano e Donatelli. Io posso dire che ho seguito i vostri lavori e ho visto che, purtroppo, avete voluto staccare questo discorso.
  Non stiamo parlando di eutanasia.

  PRESIDENTE. La devo interrompere perché non è vero. Questa Commissione Pag. 11sta discutendo di dichiarazione anticipata di trattamento e afferisce solo a questa Commissione il dovere di portare avanti i propri disegni di legge.
  Il disegno di legge sull'eutanasia è assegnato congiuntamente alla Commissione giustizia perché include la riforma di discipline giuridiche relative al reato.
  Non l'abbiamo accantonato.

  MARIO RICCIO, dirigente reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Cremona. Mi correggo e chiedo scusa. So che è stato rimandato.

  PRESIDENTE. Sono notizie di stampa, non vere. Siccome siamo anche in diretta tv, ho il dovere di dire che nessuno rimanda niente.

  MARIA AMATO. Sono stata forse troppo sintetica. Ho sentito evocare l'eutanasia attiva. La domanda è se, in un gruppo di persone che è pro eutanasia, esistano sfumature nell'affrontare questo tema. Anche in un gruppo omogeneo possono esserci diverse sfumature su questo argomento ?
  Immagino che in mondi più ampi e più eterogenei si considerino altri problemi e per questo si discuta.

  PRESIDENTE. Avverto che la diretta sulla web-tv termina alle 15. La registrazione completa delle audizioni odierne sera però visibile sul canale satellitare della Camera nel fine settimana in differita.
  Prego, dottor Riccio.

  MARIO RICCIO, dirigente reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di Cremona. Rimando la risposta sull'eutanasia ai due professori perché la domanda mi sembra ricognitiva della linea della Consulta di bioetica e apprezzo l'interessamento. Posso dire che sono circa venticinque anni che la Consulta sostiene l'eutanasia.
  Onorevole Calabrò, i numeri che ho presentato non sono miei. Sono numeri che lei conosce sicuramente bene. Fanno parte di uno studio, stranamente non più ripresentato, del gruppo GiviTI e del gruppo di studio Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI), che lei conosce. Tra i 18.600 morti, ho motivo di ritenere e lo affermo con molta serenità e sicurezza che, nonostante gli indici predittivi di cui disponiamo, come lei ben sa essendo medico, mediante i quali sappiamo quale paziente morirà nelle successive 48 ore – ce lo dicono i numeri –, ci sono sicuramente dei casi Englaro. Lo sappiamo anche per nostra esperienza personale.
  Questo concetto lo continuo a evocare. L'ho anche scritto su riviste scientifiche e di bioetica, ma la magistratura non si è mai mossa, nonostante l'obbligatorietà dell'azione penale. Penso che questo non sia letto come lo legge lei, onorevole, ma che sia rispetto della volontà del paziente. Riconosco che il nostro percorso è molto più rapido di quello che ha seguito Beppino Englaro. Beppino Englaro ha impiegato 17 anni per farsi riconoscere tutore e rispettare la volontà di Eluana Englaro. Noi lo facciamo molto più rapidamente. È così. Non saprei dirlo in altra maniera.
  Alle tantissime domande, tutte molto puntuali, dell'onorevole Mantero vorrei rispondere innanzitutto tranquillizzandolo sul fatto che i pazienti in terapia intensiva non soffrono. Sono tutti pazienti cosiddetti «incapaci naturali». Hanno cioè perso la capacità, la sensibilità o la coscienza a causa, per esempio, di un'emorragia cerebrale o di un trauma cranico oppure vengono sedati. Non esiste più quella possibilità. Chi soffre in terapia intensiva sono i parenti e, se posso permettermi, anche il personale, che soffre non per una motivazione diretta, ma dal punto di vista fisico per il burnout e altre questioni che non interessano loro, ma chi lavora nella terapia intensiva.
  La sofferenza dei sanitari mi fa tornare in mente quanto ha detto giustamente il professor Lecaldano sull'alleanza. Io addirittura introdurrei un altro concetto e cioè la cosiddetta «giusta distanza» che ci deve essere tra il medico e il paziente. Onorevole Binetti, lei sa bene che nessun Pag. 12medico cura il proprio parente proprio perché vuole mantenere la giusta distanza dal paziente. Non potrei mai fare il lavoro di terapista intensivo se non fossi a volte «freddo» sulla gestione.
  Parlo di cose importanti, non di somministrare aspirine alla propria figliola, cosa che per altro non faccio senza chiamare prima il pediatra. Per cose importanti nessun chirurgo, in linea di massima, ha mai operato un parente. Nei casi importanti il medico vuole essere distanziato.

  PIERGIORGIO DONATELLI, professore ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma. Ringrazio la Commissione dell'attenzione.
  L'obiezione dell'onorevole Binetti è completamente sensata e ragionevole. Noi non vogliamo che la medicina diventi, con tutto il rispetto per queste altre professioni, come l'avvocatura o il notariato o come il lavoro degli architetti, che possono costruire anche una casa bruttissima per la discrezionalità totale dell'individuo nel suo rapporto con il professionista.
  Il professionista medico è di un altro tipo. Come dicevo, è la professione più moralizzata tra le professioni liberali e vogliamo che seguiti a esserlo. Il punto è che questa professione moralizzata, con tutto un sapere e un saper intervenire caratteristico, incorpora, soprattutto nella fase terminale, un tipo di opinioni, di scelte e di giudizio che non è medico.
  Ci si chiede se tenere in vita persone in condizioni vicariate e per lunghissimo tempo abbia senso. La risposta a questa domanda non deve gravare sui medici. Con questo rispondo all'onorevole Mantero che chiede se sia necessario un intervento legislativo. È necessario perché altrimenti queste scelte sono prese dai medici e si crea una zona grigia che non è positiva.
  Angelo Panebianco, in un articolo sul Corriere della Sera che fu discusso, disse che c’è bisogno di una zona grigia. Io sono completamente in disaccordo e penso che questa zona grigia sia sbagliata. Graviamo i medici di scelte che non sono loro e tendiamo a deformare la professione medica. I medici non possono diventare guide spirituali. Non possono avere in mano tutta la vita di una persona. Questo distrugge la professionalità medica. Sono scelte che devono essere lasciate ai pazienti.
  Perché sia così servono regole e questo è compito dei Parlamenti delle società democratiche. Servono regole chiare all'interno delle quali – voglio venire incontro all'obiezione dell'onorevole Binetti – la scrupolosità, le qualità personali e relazionali del medico predispongono le condizioni perché una persona possa fare scelte buone per sé.
  Dico solo una battuta sulla domanda del presidente – anche se mi piacerebbe tenere insieme una conferenza – circa il fatto che il corpo sia un bene individuale. Io personalmente penso che anche la componente liberale dovrebbe dire che il corpo è un bene sociale. Io parlo perché sono stato cresciuto con una lingua comune ed emozioni comuni. L'idea atomistica del corpo dell'individuo per me non ha senso, neanche filosoficamente. Penso, però, che proprio le tradizioni non atomistiche cristiana e socialista ci debbano aiutare in questi casi a stabilire le condizioni in cui gli individui possono scegliere per proprio conto.
  La democrazia, che per me è liberale, benché esistano le componenti cristiana e socialista, valorizza la scelta individuale e non il paternalismo o, idealmente, vuole creare le condizioni per cui le persone possano scegliere. Non sempre succede. Può darsi che si voglia delegare qualcun altro, ma idealmente le persone dovrebbero poter scegliere sulla propria vita con la propria testa e con il proprio cuore, pensando alla propria esistenza.

  EUGENIO LECALDANO, professore emerito, già ordinario di Filosofia morale presso «La Sapienza» Università di Roma. Per quanto riguarda l'alleanza terapeutica, il problema non è tanto per la dottrina in sé, che è una dottrina del tutto accettabile e filosoficamente piena di tradizione.
  Personalmente ritengo però che leggi che prevedano sostantivamente che i cittadini Pag. 13debbano condividere dottrine così forti e ramificate come l'alleanza terapeutica, argomentata in un disegno di legge filosoficamente importante quale quello Calabrò-Binetti come fosse una legge naturale, creano gravi difficoltà.
  Come ripeto, mi pare siano le leggi che nella nostra storia, che pure è una storia faticosa, hanno sempre meno presa. Per questo eviterei di inserire nelle leggi contenuti dottrinali e sostantivi, come per esempio l'alleanza terapeutica.
  I gruppi non esistono. La Consulta di bioetica converge su alcuni temi, tra cui l'eutanasia, sulla quale convergiamo, come ricordava Mario Riccio, da venticinque anni. Tuttavia, ogni persona concreta che fa parte della Consulta di bioetica il problema dell'eutanasia lo stabilisce come crede e ritiene. Nessuno di noi può pensare di prevaricare. Ognuno farà quello che crede e ritiene opportuno fare.
  Dal punto di vista dei valori, la Consulta ritiene che faccia parte dello sviluppo dell'autonomia che si richiede alle persone nel fine di vita inserire anche una richiesta di eutanasia attiva o volontaria. Non facciamo i pasticci che si vedono sempre tra eutanasia attiva e passiva. In Italia si tende a fare manipolazione su questi argomenti.
  Infine, anch'io trovo molto interessante la domanda del presidente, ma non credo di essere in grado di rispondere in modo adeguato. Personalmente penserei che il corpo individuale sia un bene di cui la persona può disporre, per esempio nelle condizioni di cura. Anche riprendendo la tradizione di Mill eccetera, pur con qualche difficoltà a collocarmi pienamente in questa tradizione, sono abbastanza contrario, senza spingermi a considerare il corpo come un bene sociale, a permettere, ad esempio, la vendita del proprio corpo. Sto con Giovanni Berlinguer. In questi casi penserei così.
  Queste limitazioni che metterei all'interno delle regole non implicherebbero, secondo me, la trasformazione del corpo in un bene sociale. Semplicemente stabilirei che la nostra società riconosce uguale trattamento e libertà per tutti e ritiene che in certe situazioni non ci sia uguale trattamento e libertà.

  PRESIDENTE. Stimolato, approfitto del fatto di essere colui che conclude questo incontro per riprendere la parola e mettere in circolazione alcune osservazioni.
  Mi sembrava interessante quanto diceva il professor Donatelli. Che la vita e il corpo abbiano anche un valore sociale e relazionale credo che sia un concetto difficilmente contraddicibile anche in base alla nostra esperienza personale, perché la relazionalità è parte di tutto questo. Lei dice però che il riconoscimento del diritto della persona individuale e dell'autonomia non può essere sostituito dal paternalismo.
  È mia convenzione che tra autonomia individuale e paternalismo ci siano tante sfumature e ragionerei su queste. Non vedo questa contrapposizione. Non è solo paternalismo medico perché non c’è solo il medico. C’è anche l'ambiente attorno; ci sono i parenti, gli amici e la relazionalità.
  La seconda osservazione da mettere in circolazione riguarda un articolo – è stato citato Panebianco – di Claudio Magris, uscito in questi giorni, sul fatto che un desiderio non è automaticamente un diritto. Siccome il desiderio come espressione della volontà è nel nostro caso un termine importante, ragionerei anche in questo senso. Magris evidentemente si riferisce ad altre vicende, ma mi pare che sia una riflessione che dovremmo fare anche in questo campo.
  Terza e ultima osservazione è che nell'espressione della volontà individuale e personale entra il tema della libertà. Nel caso di una malattia estremamente invalidante o deformante il problema è se esista libertà piena sotto la spinta di dolore, paura, solitudine e sofferenza, il che dipende anche da paradigmi culturali, dall'ambiente in cui si è vissuto, da quello che si respira intorno, dall'abbandono o dall'accompagnamento della comunità.
  Tutte le considerazioni di filosofia morale che abbiamo fatto oggi credo che debbano mettere insieme questi pezzi. Il discorso è più sfumato perché anche la Pag. 14scelta o il desiderio espresso presuppone una libertà che nei nostri casi può essere estremamente condizionata.
  Volevo solo socializzare, non averla vinta. Non c’è niente da vincere perché mi sembrano temi talmente complessi che dovremmo tenere presente tutto.
  Do la parola all'onorevole Carnevali, che ha chiesto di intervenire, ma l'avverto che non c’è tempo per altre risposte.

  ELENA CARNEVALI. Sarò molto breve. La questione dell'alleanza terapeutica mi ha molto colpito. Traduco con un esempio pratico ciò che io intendo per alleanza terapeutica, che in una proposta di legge comprende il fatto che ogni persona possa rifiutare, rinunciare o interrompere qualsiasi trattamento diagnostico e terapeutico.
  Detto questo, alleanza terapeutica potrebbe essere l'esempio che ha fatto prima il dottor Riccio e cioè il fatto che, nell'ambito di un'alleanza fiduciaria e di una scelta deontologica, si decide di praticare la sedazione del paziente perché possa affrontare la decisione che ha preso.
  Io intendo così l'alleanza terapeutica. Ho però visto molta fermezza nelle vostre dichiarazioni. Mi viene il dubbio che, per il carattere dottrinale che ha, forse possa essere interpretata in modo diverso.

  PRESIDENTE. Se vorrete scriverci, noi riceviamo e leggiamo tutto. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.

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