XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 29 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RAPPORTI DI LAVORO PRESSO I CALL CENTER PRESENTI SUL TERRITORIO ITALIANO

Audizione di rappresentanti dell'ISFOL.
Damiano Cesare , Presidente ... 2 
Varesi Pietro Antonio , Presidente dell'ISFOL ... 2 
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Centra Marco , Dirigente di ricerca dell'ISFOL ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 6 
Baruffi Davide (PD)  ... 6 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 6 
Miccoli Marco (PD)  ... 6 
Piccolo Giorgio (PD)  ... 6 
Albanella Luisella (PD)  ... 7 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Varesi Pietro Antonio , Presidente dell'ISFOL ... 7 
Centra Marco , Dirigente di ricerca dell'ISFOL ... 8 
Damiano Cesare , Presidente ... 9 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti dell'ISFOL ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISFOL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano, l'audizione di rappresentanti dell'ISFOL.
  Sono presenti il presidente Pietro Antonio Varesi, presidente, e il dottor Marco Centra, dirigente di ricerca. Avverto che i rappresentanti dell'ISFOL hanno messo a disposizione della Commissione un documento, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Ringrazio i nostri ospiti per la loro presenza.
  Do la parola al dottor Varesi per lo svolgimento della sua relazione.

  PIETRO ANTONIO VARESI, Presidente dell'ISFOL. Ringrazio molto il presidente e la Commissione per l'invito. È sempre un'occasione importante per l'istituto poter condividere alcune riflessioni sulle tematiche fondamentali del lavoro, che la Commissione affronta quotidianamente.
  Noi abbiamo preparato una nota, che sta per essere distribuita. Mi limito a poche parole introduttive e poi darò la parola al dottor Centra, che illustrerà più in dettaglio il documento.
  In verità, l'istituto si è già occupato del tema in passato, nel periodo fecondo 2006-2008, quando, mediante l'azione del potere esecutivo e le note circolari del Ministero del lavoro del 2006 (di cui il presidente ben sa, essendone stato promotore, in veste di Ministro), si giunse alla fissazione di regole su uno dei punti allora più controversi: la questione relativa all'ammissibilità dell'utilizzo, nel settore, dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
  Rispetto a quella stagione, alle riflessioni che allora abbiamo svolto e anche alle conoscenze che allora abbiamo cercato di acquisire, dobbiamo chiederci cosa è cambiato nel frattempo.
  Essenzialmente è intervenuta la grande crisi, che ovviamente ha inciso anche sul settore in esame, in primo luogo sul fronte delle imprese, che esercitano in larga parte in outsourcing questa attività, per la richiesta di ridurre i costi da parte dei committenti, che hanno subìto durante la crisi pesantissimi effetti negativi.
  In un settore in cui il costo è determinato in larga parte (circa il 70 per cento) dal costo del lavoro, ridurre i costi significa comprimere i costi del lavoro. Questo è l'effetto principale che noi registriamo sul profilo imprenditoriale.
  La crisi ha avuto anche degli effetti sul fronte dei lavoratori. La mancanza di opportunità occupazionali alternative ha reso disponibile alle imprese del settore manodopera con livelli di istruzione medio-alti. Pag. 3Questo è un fenomeno che, peraltro, nel periodo considerato è correlato a una tendenza diffusa nel mercato del lavoro: in mancanza di altre opportunità, anche chi è in possesso di titoli di studio medio-alti accetta opportunità lavorative non particolarmente adeguate rispetto ai titoli di studio stessi.
  La risposta che la pubblica amministrazione e che le forze politiche e sociali hanno dato è stata principalmente sul piano normativo. Come vedremo nell'illustrazione e come leggerete nel documento, sia il potere esecutivo, attraverso le circolari che ho richiamato, sia il potere legislativo, con alcuni interventi importanti – richiamo per tutti l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 – nonché la giurisprudenza hanno cercato di circoscrivere i fenomeni maggiormente negativi e di ricondurre le prestazioni di lavoro in questo settore a un quadro di tutele, di diritti e di protezioni accettabile da parte dei lavoratori.
  Come spesso accade, però, quando il diritto del lavoro impatta con l'innovazione tecnologica – consentitemi il riferimento a ciò che avviene in questi giorni a Milano tra i tassisti e Uber – emergono tutte le debolezze della costruzione giuridica che abbiamo messo in piedi nel passato.
  Con riferimento al settore di cui ci stiamo occupando, il diritto del lavoro si dimostra scarsamente efficace di fronte al fenomeno delle delocalizzazioni. Questo è forse il punto di maggiore difficoltà – direi quasi di «impotenza» – che il diritto del lavoro esprime.
  Sia le numerose problematiche del lavoro che questo settore presenta, e che sono state già illustrate nelle audizioni che voi avete avuto, sia la carenza di informazioni sistematiche nel settore mi inducono a segnalare la disponibilità dell'ISFOL a essere punto di riferimento per indagini specifiche sul settore, così come si fece nel 2008.
  Si potrebbe riprendere questo filone, che noi avevamo indagato e che continueremmo volentieri a indagare, se ci venisse richiesto, in modo da supportare l'eventuale costituzione e funzionamento di un osservatorio di settore, che abbiamo visto essere stato richiesto da molti, in grado di monitorare puntualmente e con continuità tutte le problematiche che io ho sinteticamente illustrato e che adesso verranno esplicitate in maniera più dettagliata dal dottor Centra.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Adesso passiamo la parola al suo collaboratore, Marco Centra, che ci illustrerà la sua relazione. Naturalmente la proposta del presidente Varesi è molto interessante e ci rifletteremo.
  Do la parola al dottor Marco Centra.

  MARCO CENTRA, Dirigente di ricerca dell'ISFOL Grazie, presidente. Noi abbiamo affrontato la questione del comparto dei call center, partendo da quello che l'ISFOL ha fatto e a cui ha fatto riferimento il presidente Varesi.
  Io ricordo in quella occasione un'ottima esperienza dal punto di vista di un ente di ricerca che collaborava con l'amministrazione e con il Ministro Damiano. In questo campo, non dico che c'era una giungla normativa, ma comunque non erano chiare le regole sui contratti applicabili.
  La questione del 70 per cento (c’è chi parla di oltre l'80 per cento) dell'incidenza del fattore lavoro sul costo di produzione dei call center ovviamente impone alle imprese, che competono sui costi, di comprimere il costo del lavoro.
  Negli anni precedenti alla regolamentazione della circolare del 2006, che porta il nome dell'allora Ministro Damiano, la compressione sul costo del lavoro avveniva fondamentalmente tramite l'applicazione di forme contrattuali flessibili che, oltre a essere flessibili, avevano anche un costo del lavoro inferiore e una più bassa imposizione fiscale e contributiva, e non avevano vincoli rispetto ai contratti collettivi.
  Io ho ascoltato con attenzione la relazione del presidente Costamagna di Assocontact, che partecipò nel 2006-2007 all'avviso comune che sottoscrissero parti Pag. 4datoriali e parti sindacali per mettere un po’ di ordine nella questione.
  Oggi, dopo parecchi anni, ci troviamo con un sistema regolamentato in modo che la compressione salariale ha altri margini per agire.
  Per gli operatori outbound, cioè quelli che fanno progetti di marketing legati a un tempo circoscritto, ovvero hanno un inizio e una fine, è ammissibile il contratto di tipo parasubordinato, mentre per gli operatori inbound questa cosa è inammissibile, perché si suppone che chi lavora ricevendo telefonate non sia legato ad alcun progetto che ha una fine. Presidente, mi corregga se interpreto male la sua stessa circolare.
  Successivamente sono stati fissati dei minimi retributivi, indipendentemente dalla forma contrattuale utilizzata, legati al contratto collettivo delle telecomunicazioni.
  Oggi ci troviamo in una situazione in cui alcuni vincoli e tutele per i lavoratori del settore sono ormai incontrovertibili e sedimentati. Quello che è accaduto durante la crisi è stato che i committenti, fondamentalmente quelli dei call center che lavorano in modalità outsourcing, cioè prendono delle commesse dal pubblico e dal privato per fare campagne di comunicazione o sondaggi (anche l'ISFOL utilizza i call center per fare le proprie indagini statistiche), vista la riduzione della domanda di beni e servizi, hanno spinto molto sull'attività di marketing e, quindi, anche di telemarketing.
  Ricordo anche che fino a qualche anno fa i servizi di outsourcing erano legati alle telecomunicazioni per oltre la metà del fatturato, mentre oggi anche altri settori utilizzano il marketing di tipo telefonico per cercare di aumentare le vendite.
  Ovviamente in un momento di crisi le imprese che cercano di aumentare le vendite chiedono prezzi stracciati e, quindi, c’è una compressione dei prezzi molto elevata.
  Nonostante ciò, il fatturato del settore dal 2012 al 2013 è aumentato e si prevede, per quanto ha detto la stessa Assocontact, un aumento cospicuo nel futuro. Questo non stupisce: è comprensibile che, in un momento di crisi, un settore che permette di aumentare le vendite ad altre imprese aumenti il proprio fatturato.
  Rimane la questione forte della compressione dei costi. Ho visto che il dibattito, sia da parte sindacale che da parte datoriale, assume questo tipo di elemento.
  Posti dei vincoli, posti dei minimi salariali fissati e posti dei vincoli forti alle forme contrattuali utilizzabili, negli ultimi anni la pressione sui costi di produzione si è scaricata sulla delocalizzazione. Ora molti call center (c’è chi parla del 10 per cento e chi del 15 per cento; i dati non sono precisi, però questo è l'ordine di grandezza), per quanto riguarda la parte operativa, ovvero proprio i centralini telefonici, vengono delocalizzati in Paesi vicini all'Italia, sia comunitari che extracomunitari, come l'Albania, la Tunisia e altri.
  L'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 ha cercato di porre delle limitazioni a questo esodo, fondamentalmente perché la partenza della parte operativa dei call center negli stabilimenti verso l'estero crea innanzitutto un depauperamento dell'occupazione nazionale. Peraltro, c'era anche la contraddizione che alcuni incentivi previsti per i call center venivano comunque percepiti dalle società che delocalizzavano. Questo è stato reso impossibile dal 2012, cercando di tamponare questo esodo.
  La cosa che si segnala fondamentalmente è che, non avendo più margine per comprimere il costo del lavoro sulla parte salariale, si comprime indirettamente ancora una volta la parte salariale spostando il lavoro nei Paesi dove la manodopera costa meno. Come sappiamo, è un processo comune a molti comparti. Anche la manifattura ha da tempo subìto processi di delocalizzazione verso i Paesi dell'est e ora addirittura verso la Cina.
  Da un lato, questo è un fenomeno lamentato dai sindacati. Da parte datoriale quello che si lamenta, ad esempio, è un'eccessiva (in termini relativi) imposizione della componente fiscale legata all'IRAP, perché ovviamente, essendoci un 70-80 per Pag. 5cento di costo del lavoro, legato al personale, l'IRAP è una voce importante nella parte di bilancio.
  Riguardo ai numeri e alle forme contrattuali utilizzate, faccio una brevissima premessa sulle difficoltà di stima che si hanno per capire quanti sono esattamente gli operatori dei call center.
  I call center sono in outsourcing o in house, ovvero ci sono società che hanno un call center interno e società che offrono servizi di call center ad altre società. Il tipo di contratto è fondamentalmente diverso: chi ha il call center in house ha un contratto di tipo subordinato, nella maggior parte dei casi a tempo indeterminato, part-time o full-time, mentre i call center in outbound o in outsourcing utilizzano contratti di tipo parasubordinato.
  I numeri ci dicono che coloro che fanno attività inbound sono intorno ai 45.000, mentre coloro che fanno attività outbound sono circa 35.000, per un totale di circa 80.000 addetti.
  Noi abbiamo contattato l'Istat (ho visto che è stata anche convocata da questa stessa Commissione) per richiedere delle stime, cosa che facemmo già in passato. In realtà, non dico che la professione sia marginale, ma c’è bisogno di una disaggregazione così elevata che i dati campionari di fonte Istat non la rendono attendibile, o meglio l'Istat non diffonde sistematicamente il numero di addetti, però, in virtù di una richiesta specifica, è possibile determinare sia l'ammontare sia il profilo degli addetti.
  L'ISFOL comunica, quindi, che è possibile ottenere questa stima tramite la statistica ufficiale, anche facendo chiarezza sui numeri, che non sempre coincidono da parte datoriale e da parte sindacale.
  Tra le altre questioni delicate che investono il settore, c’è quella della copertura degli ammortizzatori sociali. Fondamentalmente il settore, non facendo parte del sistema ordinario della cassa integrazione, si è rivolto quasi esclusivamente a strumenti in deroga, insistendo anche su fondi statali. Da più parti si avanza la richiesta di entrare a far parte del regime ordinario di cassa integrazione. Su questo noi abbiamo visto alcune stime fatte da parte sindacale. Di fatto, sembrerebbe esserci un risparmio dal punto di vista dei fondi destinati alla cassa integrazione in deroga.
  Un altro aspetto del profilo dei lavoratori che, secondo noi, insiste molto sul sistema di regolamentazione che si vorrà mettere in piedi per risolvere questa problematica, è dato dal fatto che prima il call center in molti casi era utilizzato per introdurre i giovani nel mercato del lavoro. Abbiamo detto che molti giovani laureati e molti giovani diplomati avevano una tendenza ad accettare i lavori, pur di entrare e rompere la forte inerzia del primo ingresso nel mercato del lavoro.
  Addirittura, alcune imprese con call center in house assumevano laureati nei call center, in modo che in sei mesi o un anno queste persone conoscessero il prodotto e l'azienda e poi, quando si aveva bisogno di professionalità specifiche, si pescava dal call center. Queste sono politiche che hanno avuto una ragion d'essere negli anni passati.
  Oggi il meccanismo del mercato del lavoro per quanto riguarda le opportunità dei giovani dotati di elevato capitale umano è stato alterato dalla crisi. Come ha anticipato il presidente Varesi, laureati, che prima trovavano delle opportunità di lavoro aderenti al proprio percorso formativo, oggi ne trovano meno e, quindi, sono disposti ad accettare altri lavori. Se questo percorso durava un numero limitato di anni, questo sacrificio era ammissibile.
  Quello che occorre verificare – e su questo l'ISFOL si propone di ripetere le indagini che ha svolto in passato sul tema – è che il radicamento di competenze elevate, in una professione che non richiede quel tipo di competenze, è, come l'ISFOL ha sempre detto in termini più generali, una perdita di capitale umano per l'intera collettività.
  Questo fenomeno nella crisi è stato ancora una volta accentuato e ha creato un elemento di inefficienza, che rischia di Pag. 6diventare, in generale per l'occupazione italiana, ma nello specifico per i call center, una situazione strutturale.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti dell'ISFOL. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  DAVIDE BARUFFI. Ho colto positivamente questa disponibilità a dare vita a un nuovo monitoraggio, magari attraverso un osservatorio, cosa di cui si potrà discutere.
  Io ho ascoltato considerazioni, valutazioni che hanno introdotto elementi, portati alla nostra attenzione, assolutamente ragionevoli e che ritornano anche nelle altre audizioni che abbiamo svolto. Chiediamo anche a voi sollecitazioni e suggerimenti, ad esempio, rispetto al tema dello spiazzamento normativo, che avete registrato e che registriamo. Ci sono soluzioni che possono essere messe in campo ?
  In secondo luogo, si è fatto riferimento al tema degli ammortizzatori sociali anche per un comparto di questa natura. Atteso che sarebbe comunque un passo avanti poter portare dentro la cassa integrazione guadagni comparti che sono fuori, in questo preciso momento una scelta di questa natura non sarebbe indolore per il settore.
  Certamente ci potrebbe essere un beneficio sulla fiscalità generale (vivaddio !), ma non è chiaro se il settore possa reggere, perché questo inciderebbe proprio sul costo della componente lavoro, che voi stessi, come gli altri, ci avete indicato essere il fattore di maggior criticità in questo momento, non tanto rispetto al mercato interno quanto al dumping che può essere esercitato con i processi di delocalizzazione che sono in corso e che vanno crescendo.

  CARLO DELL'ARINGA. Innanzitutto ringrazio per la relazione molto interessante.
  Sul tema degli ammortizzatori, la memoria non mi sorregge, ma credo che questi lavoratori dovrebbero essere in qualche fondo di solidarietà, forse in quello residuale, e quindi dovrebbero già avere una cassa.

  MARCO MICCOLI. Guardavo le tabelle contenute nel vostro documento. C’è una questione di genere (70 per cento femmine e 30 per cento maschi). Per quanto riguarda queste percentuali, nell'ultimo periodo la forbice si sta allargando o è costante ? Mi riferisco specialmente al periodo antecedente al decreto Damiano. Vi chiedo se avete questo dato.
  L'altra domanda riguarda le fasce d'età. Vedo che i lavoratori da 40 a 49 anni sono il 15 per cento e quelli oltre i 50 anni il 7,5 per cento. Per la Commissione è importante comprendere anche questo punto, perché credo che siano questioni che incidono sugli ammortizzatori sociali e quant'altro. C’è stato un cambiamento ?
  Specialmente nella prima fase, per quanto riguarda i call center, si registrava un elevato livello di accesso in questo settore come prima occupazione da parte dei giovani, magari anche in maniera temporanea. Vedendo queste tabelle, mi pare invece di capire che ci sia un'evoluzione rispetto all'età, che fa pensare che questo sta diventando un lavoro stabile da fare per un lungo periodo. Questo fa cambiare alcune percezioni che ci sono intorno a questa tipologia di lavoro.
  Vorrei capire se c’è uno studio rispetto ai tempi di permanenza dei lavoratori in questo settore, che mi pare si stiano allungando. Da queste tabelle mi pare di capire che ci sia questo tipo di evoluzione.

  GIORGIO PICCOLO. Faccio solo una constatazione, connessa a valutazioni emerse di frequente anche nelle altre audizioni che abbiamo svolto. Si arriva alla conclusione che, avendo messo ordine in questo settore tramite la disciplina dei minimi contrattuali e gli interventi che sono stati fatti dai precedenti Governi, chiaramente oggi la problematica si sposta altrove. Visto che parliamo di un settore in cui il 70-80 per cento del costo deriva dai costi del lavoro, è chiaro che il problema è la delocalizzazione. Questo è uno dei punti frequenti nella discussione, su cui penso che si debba in qualche modo intervenire. Questa è una constatazione.Pag. 7
  Ora passo alle domande. In primo luogo, non ho capito bene qual è lo scambio fra diritti e innovazione tecnologica. Se non ho capito male, l'innovazione tecnologia porta anche alla riduzione dei diritti.
  L'altra questione, che veniva richiamata anche dal mio collega, è rispetto ai call center e ai livelli medio-elevati d'istruzione scolastica e di professionalità. In alcune grandi aziende era un lavoro iniziale. Magari si pensava che fosse un lavoro limitato nel tempo e che si potesse in seguito fare altro, anche perché credo che sia complicato fare quel lavoro tutta la vita.
  Rispetto alla tabella 2, riportata nel documento che avete messo a disposizione della Commissione, vorrei sapere se c’è una fotografia della situazione all'inizio del fenomeno, ovvero 10-15 anni fa. Sarebbe importante conoscere anche la media di anzianità di servizio. Questo fenomeno è legato alla crisi più generale, quindi se faremo questa stima tra 15 anni, può darsi che avremo il 20-30 per cento di ultracinquantenni. Vorrei, quindi, sapere qual è la differenza rispetto ad una fotografia fatta precedentemente.

  LUISELLA ALBANELLA. La mia domanda riprende di fatto quanto hanno detto l'onorevole Marco Miccoli e anche il collega Giorgio Piccolo. Il ragionamento è questo: una volta questa tipologia di lavoro costituiva un lavoro di transito, un luogo di passaggio che i giovani utilizzavano per pagarsi gli studi.
  Ora è diventato qualcosa in più. Dopo gli anni 2007-2008, con la stabilizzazione di una vastissima quantità di lavoratori, assunti a tempo indeterminato, che ha dato una maggiore dignità a questi lavoratori, questa tipologia di lavoro è diventata stabile, in modo particolare, in percentuale, nelle realtà meridionali. Voi avete dei dati che definiscono questa problematica ?
  Ci sono due punti di criticità riguardo ai call center. Il primo è la questione delle delocalizzazioni, che da voi è stata citata. C’è un'impotenza nell'individuare una soluzione che possa frenare questo fenomeno che, come ben detto dal presidente, coinvolge vasti settori. Non è un problema che riguarda solo i call center, dove ovviamente c’è una ricaduta molto più consistente, ma anche altri settori.
  C’è poi una seconda criticità, che è quella delle gare al massimo ribasso, che da voi non è stato citato. Insieme alle delocalizzazioni, questa è la maggiore criticità. Come trovare delle soluzioni a questo problema ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  PIETRO ANTONIO VARESI, Presidente dell'ISFOL. Su alcuni punti cercherò di fare qualche riflessione. Il collega Centra interverrà su altre questioni, che sono più legate alle sue competenze specifiche.
  Innanzitutto faccio un ragionamento sul rapporto tra innovazione tecnologica e diritti, che, essendo un giurista, mi appassiona. Io vengo dal congresso dell'Associazione italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale che si è svolto all'Università La Sapienza questa mattina. Questo è un dramma per noi giuristi, perché noi abbiamo bisogno di istituzioni che pongano regole e che governino i fenomeni. L'innovazione tecnologica di cui stiamo parlando travalica i confini delle istituzioni e, quindi, facciamo fatica a individuare qual è il soggetto che possa porre in essere le regole in grado di governare il fenomeno.
  Tra l'altro, come diciamo nella nota depositata, i Paesi su cui si concentra la delocalizzazione sono, in alcuni casi, Paesi estranei all'Unione europea. Se fossero europei, si potrebbe pensare a una direttiva europea per governare il fenomeno, ma quando si è di fronte a Paesi come l'Albania o la Tunisia, o si siglano intese bilaterali, o si deve trovare una formula che consenta alle istituzioni di governare il fenomeno attraverso delle regole appropriate. Questo è più difficile nel momento in cui i Paesi che sono oggetto di queste delocalizzazioni sono al di fuori dell'Unione europea e al di fuori di rapporti, Pag. 8che non siano quelli bilaterali, tutti da costruire. Lo dico per chiarire tutta la mia difficoltà, che non è personale, ma è dei giuristi del lavoro, nell'affrontare questa materia.
  Sugli ammortizzatori sociali, concordo sul fatto che sia possibile cercare di costruire un sistema maturo di ammortizzatori sociali, a partire da quello che c’è, ossia dalla legge n. 92 del 2012. Veniva richiamato il tema dei fondi di solidarietà previsti dall'articolo 4 della legge n. 92 del 2012; il settore dovrà essere coinvolto dall'applicazione di questa normativa. Si tratta di capire in quale direzione intende incamminarsi.
  Poiché l'articolo 4 offre una gamma di soluzioni, il settore, secondo me, non può solamente venire a lamentarsi del fatto che non esiste un sistema di ammortizzatori sociali di tipo tradizionale (quelli del settore industriale), ma deve anche incanalarsi all'interno delle prospettive che ci sono.
  Nella nota che abbiamo messo a disposizione, infatti, si parla di strumenti di cui all'articolo 4 della legge 1992 o di nuovo conio Con l'espressione «di nuovo conio» intendo dire che si prendono quegli strumenti e li si adatta a settori particolari, come può essere questo, dove diventa particolarmente difficile trovare le risorse. Si passa dall'erogazione sostanzialmente gratuita degli ammortizzatori sociali, come abbia avuto con il sistema degli ammortizzatori in deroga, a forme che possono essere all'inizio in parte sussidiate, pur di avviare un sistema di ammortizzatori sociali specifico in quel settore.
  Sulla questione delle fasce di età, è vero – e i dati lo dimostrano – che non sono più solo i ragazzini che fanno questo lavoro. La fascia di età si sta innalzando. Questo fenomeno ha due facce. La prima faccia è quella dell'essere prigionieri dentro questo settore, perché non si trova altro o non si trova di meglio. La seconda cosa che vorrei sottolineare è che le normative che hanno concorso a migliorare la regolazione dei rapporti di lavoro – se guardate i dati sui tipi di rapporto di lavoro, vedete che sono meno drammatici di quelli che avevamo una volta – consentono anche a una quota di popolazione di stare dentro questo settore dignitosamente, con rapporti di lavoro sufficientemente tutelati. Infatti, ci sono molti rapporti a tempo determinato e molti a tempo indeterminato.
  Rimane la quota dei collaboratori a progetto, che invece rappresenta certamente il nucleo debole sotto il profilo della protezione sociale.

  MARCO CENTRA, Dirigente di ricerca dell'ISFOL. Concludo rapidamente. Cercherò di rispondere alle altre domande.
  Sulla permanenza nell'attività, noi abbiamo un dato di una ricerca fatta in passato, secondo cui questa è intorno ai 4,5 anni. Tuttavia, a integrazione di quello che ha detto il presidente Varesi, bisogna fare una distinzione. Nella condizione strutturale del settore, cioè in condizioni normali, quant’è la permanenza media ? Davvero è uno strumento di ingresso nel mercato del lavoro ? Probabilmente lo è per la maggior parte delle persone. Invece, in condizioni congiunturali complesse, dopo cinque anni di crisi che stanno massacrando il mercato del lavoro (considerate che i posti di lavoro persi dal 2012 al 2013 sono stati quasi altrettanti di quelli persi nei quattro anni precedenti), ovviamente chi ha un posto di lavoro, anche di quel tipo, se lo tiene.
  Anche se c’è una domanda di lavoro che non necessariamente richiede competenze specifiche, quelle di laureati o diplomati sono comunque competenze che non si rifiutano, perché è gente che ha un capitale umano di tipo generale: conosce l'italiano, sa parlare e sa porsi in maniera migliore di una persona con un'istruzione inferiore. Sono meccanismi che si alterano in base a un evento meramente congiunturale. Le due cose vanno trattate in questa maniera.
  Per quanto riguarda le fasce d'età, i lavoratori sotto i 34 anni sono il 60 per cento. Le donne sono più propense a fare questo lavoro in età più elevata, ma comunque il settore rimane di prevalente Pag. 9pertinenza della componente giovanile della forza lavoro.
  Per quanto riguarda la questione delle gare al massimo ribasso, abbiamo accennato nel nostro documento a questo problema. È quello che intendevo quando dicevo che in un momento di crisi il committente di una società di call center in outsourcing chiede prezzi stracciati, tramite le gare al massimo ribasso.
  Io so che l'Assocontact ha impugnato una gara del comune di Milano per una infoline. Come può non concordarsi con questa scelta ? Se il costo unitario orario ricavato dalla gara è inferiore ai minimi salariali fissati, ciò diventa impossibile. Tuttavia, le gare al massimo ribasso o si eliminano per legge o sono lecite.
  L'ISFOL utilizza moltissimo i call center, perché fa indagini statistiche. Dopo la circolare del presidente Damiano, allora Ministro, mettemmo nei nostri capitolati l'adeguamento sia alle forme contrattuali previste sia a minimi contrattuali che concordammo col nostro ufficio legale.
  Il turnover rimane elevato nel settore, in parte per caratteristiche proprie (ad esempio, se finisce un progetto di tipo outsourcing). Infatti, le parti stanno cercando di concordare la permanenza sul posto in discontinuità di committente. Questa probabilmente potrebbe essere una strada per risolvere il problema della precarietà di un tipo di contratto che può non essere a tempo indeterminato o di tipo subordinato.
  Credo di aver risposto a tutto.

  PRESIDENTE. Grazie. Approfitto per svolgere alcune considerazioni. All'inizio il presidente Varesi accennava alla possibilità, se qualcuno glielo chiedesse, di riprendere una collaborazione con l'osservatorio nazionale sui call center. Nelle audizioni precedenti, molte associazioni, tra cui Assocontact, hanno chiesto di ripristinare quell'osservatorio.
  Credo che, se siamo tutti d'accordo, come Commissione potremmo a nostra volta premere sul Governo, perché venga ricostituito questo osservatorio, che naturalmente dovrebbe vedere la partecipazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico e delle organizzazioni sindacali e d'impresa del settore. Secondo me, sarebbe una cosa molto importante. Magari si potrebbe concentrare l'attenzione su un'indagine che guardi ai nuovi fenomeni, a partire dalla delocalizzazione verso i Paesi esterni all'Unione europea e dalle gare al massimo ribasso.
  Sul massimo ribasso, che è un mio chiodo fisso, nella passata legislatura sono stati approvati miei emendamenti presentati su tale questione. Venivano approvati ma poi cancellati. Adesso non ricordo neanche più se le norme siano vigenti. Il punto è molto semplice: stabilire per legge che quando c’è il massimo ribasso ci sono due voci che vanno scorporate: una è il costo del lavoro e l'altra è il costo della sicurezza.
  L'obiezione delle stazioni appaltanti è sempre questa: come si fa a fare un calcolo ? Io dico che se non si fa un calcolo, è pigrizia burocratica ed è collusione con coloro che vogliono utilizzare i lavoratori in nero.
  Nella nuova delega sul lavoro in discussione al Senato c’è la questione del compenso orario minimo. Io non sono particolarmente favorevole, perché «ammazza» i contratti, ma sarei favorevole a un compenso orario minimo che serva a calcolare, sotto formula standard, il costo del lavoro, ad esempio nel settore dei call center, nelle gare al massimo ribasso. Se nella commessa occorre un milione di ore, moltiplicato per 6 euro all'ora lordi sono 6 milioni di euro che vanno scorporati. Il massimo ribasso si esercita sull'importo restante. Dipende dall'ammontare dell'appalto.
  Se invece dovessimo constatare che la legge fissa 6 euro minimi e ci vuole un milione di ore, che fa 6 milioni di euro, e Pisapia, che è pure amico mio e della mia parte politica, offre 5 milioni in tutto, io andrei da Pisapia per dirgli che sta creando lavoro nero. Questo è evidente, a meno che quell'imprenditore non decida di perdere una quota per conquistare un mercato.Pag. 10
  Queste sono distorsioni piuttosto crudeli. Poi non lamentiamoci se i nostri figli e nipoti sono costretti a subire un lavoro sottopagato e in nero, che elude regole di base. Non stiamo parlando di stipendi stratosferici. Stiamo parlando di un minimo sindacale.
  Mi sentivo di dire questo, perché l'indagine ovviamente stimola molte questioni. Se ci fosse un accordo fra tutte le forze politiche della Commissione, si potrebbe davvero dare una mano a questi giovani, perché questo è un settore ancora profondamente segnato da una componente giovane e soprattutto femminile e scolarizzata. Sono persone che hanno studiato e, quindi, sono quelle che di solito scappano dal nostro Paese, invece potremmo tenerle e farle lavorare.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.

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ALLEGATO

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