XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 8 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO IN TERMINI DI GENERE DELLA NORMATIVA PREVIDENZIALE E SULLE DISPARITÀ ESISTENTI IN MATERIA DI TRATTAMENTI PENSIONISTICI TRA UOMINI E DONNE

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Sabbadini Linda Laura , Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 6 
Di Salvo Titti (PD)  ... 6 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 7 
Damiano Cesare , Presidente ... 8 
Sabbadini Linda Laura , Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell'ISTAT ... 8 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 8 
Sabbadini Linda Laura , Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali ... 8 
Damiano Cesare , Presidente ... 8 

ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'ISTAT ... 9

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
  Ringrazio i nostri ospiti per la partecipazione e segnalo che sono presenti la dottoressa Linda Laura Sabbadini, Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali, la dottoressa Cristina Freguja, Direttore della Direzione centrale delle statistiche socio-economiche, la dottoressa Patrizia Cacioli, della Direzione centrale per la diffusione e la comunicazione dell'informazione statistica, il dottor Corrado Peperoni, dirigente dell'Unità operativa statistiche sul sistema pensionistico, il dottor Paolo Consolini, dirigente dell'Unità operativa EU-SILC (Integrazione delle fonti di dati sui redditi), la dottoressa Patrizia Collesi della Direzione centrale per la diffusione e la comunicazione dell'informatizzazione statistica e la dottoressa Micaela Jouvenal, dirigente della Segreteria per il coordinamento tecnico-scientifico e le relazioni istituzionali e internazionali della Presidenza dell'ISTAT.
  Do subito la parola ai nostri ospiti affinché svolgano la loro relazione.

  LINDA LAURA SABBADINI, Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT. Grazie. Noi abbiamo cercato di fornirvi nella documentazione che chiediamo di depositare un quadro ampio della situazione, in primo luogo, degli attuali pensionati, visto anche il contributo che forniscono al reddito familiare; in secondo luogo, delle coorti di lavoratori che si avvicinano alla pensione, cioè gli occupati tra i 58 e i 63 anni di età, per capire quali sono le disuguaglianze sul mercato del lavoro in questo segmento; e, in terzo luogo, degli occupati in generale, per capire quale possa essere la prospettiva delle lavoratrici alla luce delle dinamiche in atto sia dal punto di vista del mercato del lavoro sia dal punto di vista della conciliazione dei tempi di vita.
  Il primo dato che emerge – vado veloce su questo punto perché vi sono nel documento depositato molte tabelle – è che le differenze di genere tra i pensionati sono elevate e trasversali nel Paese, ma sono più grandi al nord per il peso maggiore delle pensioni di vecchiaia in questa parte del Paese.
  Le donne sono la maggioranza dei pensionati, ma assorbono soltanto il 44 per cento della spesa pensionistica. In particolare, il 25 per cento delle donne percepisce meno di 7.000 euro a fronte di un 25 per cento di uomini che ne percepisce 3.000 in più. Se si considera la metà delle donne, queste percepiscono meno di 11.800 euro, a fronte della metà degli uomini, che percepisce 6.000 euro in più Pag. 4delle donne. Il divario è effettivamente grande e bastano questi numeri per capirlo.
  Va detto, però, che le differenze di genere sono diminuite nell'arco di dieci anni. Dal 2004 al 2014, soprattutto per via dei cambiamenti generazionali in atto tra le donne e dell'arrivo di generazioni di donne in cui le pensioni di vecchiaia pesano di più, la differenza di genere è un po’ diminuita.
  Va anche detto che questa differenza di genere è diminuita soltanto di tre punti percentuali in dieci anni. È quindi un percorso molto lento e non è affatto scontato che si accentuerà. Va sottolineato inoltre che, se analizzata non sui redditi da pensione che si cumulano, e come sappiamo le donne hanno più redditi da pensione cumulati – l'1,5 per cento contro l'1,3 degli uomini –, ma sulle prestazioni, la differenza del 72,4 per cento del 2004 diventa del 65 per cento. È ovviamente più ampia.
  Le differenze di genere si alzano se si considerano in particolare i nuovi pensionati e arrivano al 51,2 per cento rispetto al 41,4 per cento. La causa è la più alta incidenza delle pensioni di vecchiaia tra gli uomini.
  Il problema della differenza di genere non è solo italiano. A livello europeo, l'analisi che abbiamo condotto sulla base dei dati dell'indagine campionaria sui redditi EU-SILC ci dice che il gap di genere per la fascia di età 65-79 anni arriva al 40 per cento. Il gap italiano è del 36 per cento. È un problema trasversale non soltanto alle zone del nostro Paese, ma anche all'interno dell'Europa.
  Questa criticità emerge anche nel tasso di copertura. Ci sono, cioè, più donne anziane che uomini anziani che non percepiscono alcuna pensione. Siamo al 17 per cento contro il 4 per cento, quattro volte di più.
  Le pensioni di vecchiaia rappresentano i due terzi delle prestazioni di titolarità maschile, mentre nel caso delle donne rappresentano solo il 41,7 per cento. Questo è l'elemento di vulnerabilità maggiore che riguarda le donne.
  Per di più, la disuguaglianza dei redditi da pensione è maggiore per gli uomini che per le donne. Questo vuol dire che la distanza tra i pensionati uomini che percepiscono la pensione più alta e i pensionati uomini che percepiscono la pensione più bassa è maggiore della distanza che c’è tra le stesse due fasce di pensione tra le donne.
  Ciò è dovuto alla storia lavorativa sia degli uomini sia delle donne. Come sappiamo, la struttura occupazionale di donne e uomini è diversa. Le donne sono più concentrate nei ruoli impiegatizi e gli uomini sono più numerosi delle donne sia nei ruoli operai sia nei ruoli dirigenziali e imprenditoriali, dove le donne accedono con più difficoltà. Questo fa sì che la disuguaglianza dei redditi da pensione sia maggiore tra gli uomini che tra le donne.
  Dai dati non dell'INPS ma dell'indagine sulle forze lavoro, che sono più recenti perché relativi al 2015, emerge che, se consideriamo i ritirati dal lavoro dal 2006 a oggi, con il passare degli anni è aumentata di molto la percentuale di persone che sono andate in pensione con 40 anni di contributi. Si è passati dal 10,6 per cento del 2006 alla maggioranza nel secondo trimestre del 2015 e questa tendenza è stata più accentuata per le donne.
  È importante sottolineare che, da una rilevazione che abbiamo condotto nel 2012, emergevano più di 500.000 persone che avevano dichiarato di non aver versato alcun contributo previdenziale, con un'incidenza più elevata sia tra le donne sia nel Mezzogiorno. Lo segnalo perché si tratta di una fascia di popolazione particolarmente vulnerabile anche in questo momento.
  Veniamo agli occupati più vicini alla pensione. Sono circa 2 milioni. Due terzi di questi occupati sono uomini e un terzo è costituito da donne. È importante dire che in questa fascia di età emergono 111.000 disoccupati, mentre il tasso di disoccupazione per questo segmento tra i 58 e i 63 anni è raddoppiato, passando dal 3 per cento del secondo trimestre del 2008 al 5,3 per cento.Pag. 5
  La cosa importante è che in questo segmento di popolazione le donne percepiscono un reddito da lavoro con un ammontare medio di 19.600 euro, 4.000 euro in meno degli uomini. Lo stesso gap tra le pensioni è quindi presente anche a livello salariale.
  Anche in questo caso la diseguaglianza della distribuzione del reddito è maggiore tra gli uomini che tra le donne. Così come abbiamo visto per le pensioni, nella struttura occupazionale degli uomini abbiamo più operai e dirigenti e meno ruoli intermedi. Questo fa sì che la distanza tra i redditi sia maggiore di quella che c’è tra le donne.
  Tra le donne la percentuale di lavoratrici dipendenti è più alta di quella degli uomini. Un quinto sono lavoratrici autonome, ma il loro reddito medio è più alto del reddito delle dipendenti: 20.000 euro contro 19.500 euro. C’è però un'elevata variabilità. La metà delle lavoratrici indipendenti, infatti, arriva a guadagnare meno di 12.000 euro, contro i 19.000 euro delle lavoratrici dipendenti. Abbiamo una fascia di lavoratrici indipendenti a capo di microimprese oppure collaboratrici a progetto, con un reddito annuale molto più basso delle dipendenti.
  Tra i redditi da lavoro autonomo le differenze di genere sono particolarmente elevate nei redditi più bassi. C’è una fortissima differenza tra i redditi più bassi percepiti dalle lavoratrici e dai lavoratori autonomi. Nel lavoro dipendente, invece, la differenza di genere è molto più accentuata nei redditi più alti. Questo è dovuto ovviamente al fatto che le donne hanno maggiori difficoltà a progredire nei percorsi di carriera. È un altro elemento fondamentale.
  Se consideriamo i dati del 2015, la retribuzione femminile da lavoro dipendente è inferiore del 25 per cento a quella degli uomini. Se consideriamo solamente il lavoro dipendente a tempo pieno, la differenza di genere nella retribuzione si riduce al 13 per cento perché gran parte della differenza di genere è spiegata dall'incidenza del part-time.
  È un elemento importante su cui riflettere anche per le prospettive future. Il part-time, come sappiamo, è una forma di lavoro particolarmente in crescita e soprattutto tra le donne. Nel mercato del lavoro ciò evidenzia un aspetto di «segregazione» femminile.
  L'ultimo punto che volevamo segnalare – contenuto all'ultimo paragrafo della relazione che vi abbiamo consegnato – è che il destino delle lavoratrici attuali come future pensionate è già scritto nel percorso lavorativo che hanno avuto. Ci sono alcune forti criticità.
  La prima a emergere è l'interruzione del lavoro soprattutto per gravidanza e nascita dei figli. Le interruzioni del lavoro continuano a essere un problema grave perché riguardano un quarto delle donne che hanno figli e soprattutto perché, in base agli studi che abbiamo fatto, il 60 per cento delle donne che interrompono il lavoro per la nascita di un figlio o per motivi familiari non rientrano nel mercato del lavoro prima di cinque anni, con conseguenze molto gravi dal punto di vista della futura pensione. È un primo elemento.
  Questa situazione sta peggiorando, in particolare per colpa della crisi. È significativo soprattutto il dato delle neo-mamme. Mettendo a confronto quelle che hanno avuto un figlio nel 2005 e quelle che l'hanno avuto nel 2012, emerge che il fenomeno dell'interruzione del lavoro all'indomani della nascita del figlio è cresciuta di 4 punti percentuali.
  Per questo segmento di donne e, in generale, per il lavoro femminile abbiamo un problema di precarietà maggiore. Se si analizza la storia lavorativa delle donne, la percentuale di donne che hanno sempre avuto un lavoro standard è del 61 per cento contro il 69 per cento degli uomini. Questo vuol dire non solo che le donne hanno una storia più frammentata, ma anche che questa storia più frammentata dipende dalle interruzioni per motivi familiari nonché da un maggiore ricorso al tempo determinato, a collaborazioni a progetto e così via.Pag. 6
  Un altro dato che va sottolineato e che può incidere in prospettiva sulla questione pensionistica è quello del part-time. Dal confronto tra i dati di oggi e i dati del 1993 emerge che il part-time è cresciuto dal 21 per cento a oltre il 30 per cento. La crescita dell'occupazione femminile negli anni Novanta è stata in gran parte frutto della crescita del part-time.
  Durante questi anni di crisi, se qualcosa è cresciuto nell'occupazione è stata l'occupazione part-time, anche se, in questo caso, è cresciuto esclusivamente il part-time involontario, non quello utilizzato come strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La stragrande maggioranza delle donne e degli uomini che lavorano part-time dichiarano, infatti, che vorrebbero lavorare a tempo pieno. Pur avendo una percentuale di part-time più bassa di quella dell'Europa, abbiamo una componente doppia di part-time involontario.
  Nell'arco di questi anni, comunque, l'incidenza del part-time sul totale degli occupati si è incrementata per la componente femminile di 10 punti percentuali. È un ulteriore elemento da tenere presente perché part-time significa retribuzione più bassa, ma anche pagamento di minori contributi e quindi, in futuro, pensioni più basse.
  A questo dobbiamo aggiungere il problema più ampio connesso al ricorso al part-time e alle interruzioni del lavoro per motivi familiari, cioè il problema più generale della conciliazione e dell'organizzazione dei tempi di vita. Siamo in un Paese in cui la divisione dei ruoli continua a essere molto rigida. Il 72 per cento delle ore di lavoro familiare della coppia è assorbito dalle donne. Le donne sono particolarmente sovraccariche e questo ovviamente genera il problema della tenuta dell'occupazione femminile sul mercato del lavoro.
  In più, le neo-mamme dichiarano un peggioramento della situazione della conciliazione dei tempi di vita tra il 2005 e il 2012. I primi segnali critici si evidenziano nell'offerta degli asili nido. Seppure in alcune zone essa abbia raggiunto un livello elevato, non lo ha raggiunto su tutto il territorio nazionale e questo crea problemi.
  Sappiamo però che tra le nuove generazioni i tassi di occupazione femminile sono cresciuti rispetto alle vecchie generazioni ed è evidente che queste nuove generazioni avranno, in prospettiva, maggiori opportunità sul fronte delle pensioni.
  Non possiamo vedere solo i dati negativi, ma la combinazione di tutti i rischi che ho messo in luce, che vanno dalla precarietà al part-time, alle interruzioni del lavoro per motivi di famiglia, è il nodo non sciolto della conciliazione dei tempi di vita che può compromettere la situazione.
  Si potrebbe creare uno scenario in cui i differenziali di genere delle pensioni non potranno essere risolti se, a monte, non si risolve il problema dei differenziali di genere nel mercato del lavoro, nell'organizzazione dei tempi di vita e nell'offerta di servizi sociali adeguati.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Sabbadini per il suo contributo e per la documentazione che ci ha consegnato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  TITTI DI SALVO. Intervengo brevemente, prima di tutto per ringraziare la relatrice dell'interessantissima relazione e l'ISTAT per il suo lavoro e per il fatto che esiste un dipartimento dedicato, che consente una lettura differenziata dei dati. È un ringraziamento per una scelta molto utile. Vorrei fare due considerazioni, che sono corroborate dalla relazione appena svolta.
  Quando si parla delle differenze salariali, soltanto chi non approfondisce pensa – è capitato anche in questa sede – che il tema sia quello della necessità di una legge che definisca la parità salariale, legge che in Italia, peraltro, esiste. Il tema continua a essere, invece, come è stato detto, quello Pag. 7della maternità e del lavoro riproduttivo e del modo in cui il lavoro riproduttivo viene normato in termini di struttura retributiva e di effetti sulla previdenza. Come detto, dietro la storia previdenziale delle donne e degli uomini c’è la storia lavorativa, che riflette esattamente l'una e l'altra.
  Dico questo per fare due considerazioni. C’è un tema, che questa Commissione conosce bene per averci lavorato molto, che riguarda il riconoscimento, in termini contributivi, del lavoro riproduttivo, ovvero maternità e lavori di cura. Sono state depositate varie proposte di legge in materia e una di queste proposte di legge, di carattere più generale, ha provato a farne una sintesi, ma è un tema ancora aperto.
  C’è un altro tema, che voglio richiamare, anche brevemente, perché è meno discusso. Molte imprese, tra cui alcune molto importanti, legano il salario aziendale alla presenza e definiscono la maternità come assenza. È evidente che ne deriva una strutturale differenza retributiva. Se la FIAT – si tratta di una di tali imprese – eroga il salario aziendale in base alle presenze e la maternità viene considerata assenza, è evidente che definisce una differenza salariale. È successo anche alle Poste, ma il sindacato è riuscito a far rientrare questa decisione.
  Penso che bisognerebbe favorire un accordo tra le imprese e le organizzazioni sindacali, magari con specifici incentivi, affinché la maternità venga riconosciuta, a tutti gli effetti salariali, come presenza.
  Termino qui per brevità, ma mi premeva dire queste due cose.

  MARIALUISA GNECCHI. Ringrazio anch'io l'ISTAT per la relazione. Non trovo però nel testo depositato né i dati sulla differenza tra uscita e rientro al lavoro per maternità né la parte relativa alla conciliazione, che sono stati esposti a voce. Se tali dati effettivamente non ci fossero, vi chiederemmo di mandarci un ulteriore contributo scritto perché ci interessa molto.
  Rispetto allo scopo di questa indagine, vorrei chiedervi di aiutarci ad avere un quadro completo, eventualmente con altro materiale che potrete farci avere in seguito. Apprezziamo molto il lavoro dell'ISTAT sulle differenze di genere. Ogni anno lo studiamo e l'abbiamo usato anche come base per proporre di effettuare questa indagine conoscitiva. Voglio porre l'attenzione sull'impatto delle riforme previdenziali e soprattutto della «manovra Fornero», che chiamo così, perché non è stata una riforma, ma solo un modo per trovare soldi con cui pagare il debito pubblico.
  Avendo innalzato l'età per la pensione di vecchiaia delle donne, l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 ha fatto sì che nel 2012 siano andate in pensione solo le donne che, con la «finestra Sacconi», avevano compiuto i 60 anni poco più di un anno prima. Nel 2014 c’è stata un po’ di ripresa nel numero delle donne che hanno avuto accesso al pensionamento, ma le cifre sui flussi pensionistici nei primi sei mesi di liquidazione del 2015, elaborati da ISTAT e INPS, ci riportano dati drammatici relativamente al numero di accessi al pensionamento di vecchiaia, sulla base di quanto disposto dal comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011.
  Siccome tale norma prevede che si possa andare in pensione o con un'anzianità contributiva di 20 anni e con una prestazione pari a una volta e mezzo l'assegno sociale oppure a 70 anni, se non riusciremo ad abrogarla, le donne andranno in pensione solo a 70 anni.
  Lo sappiamo e lo vediamo confermato dai dati, ma se voi, che siete una fonte autorevole, ci forniste il supporto necessario e ce lo forniste appositamente per questa indagine conoscitiva, avremmo più forza per riuscire ad abrogare un comma che è davvero contro le donne, come tutta la produzione normativa della scorsa legislatura è stata contro le donne da un punto di vista previdenziale.
  Ne avremmo veramente bisogno.

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  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola alla dottoressa Sabbadini per la replica.

  LINDA LAURA SABBADINI, Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell'ISTAT. Per quanto riguarda il tema della conciliazione e dell'uscita dal mercato del lavoro, trovate l'analisi nell'ultimo paragrafo della relazione scritta, dal titolo «Lavoratrici oggi, pensionate domani». Quel paragrafo riporta sia i problemi di conciliazione sia ciò che ho detto sull'uscita dal mercato del lavoro e le interruzioni per maternità.
  Per quanto riguarda, invece, la valutazione degli altri aspetti, pensavamo che i relativi dati li avrebbe forniti l'INPS.

  MARIALUISA GNECCHI. (fuori microfono) Tra la dottoressa Sabbadini e il Presidente dell'INPS c’è una significativa differenza di genere !

  LINDA LAURA SABBADINI, Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali. Che sia di genere non c’è dubbio.
  Comunque ci lavoreremo.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti per l'importante contributo fornito all'indagine e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.

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ALLEGATO

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