XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Mercoledì 17 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Gentile Michele , Responsabile per il lavoro pubblico e le politiche della contrattazione della CGIL ... 3 
Carraro Paolo , Funzionario del Dipartimento mercato del lavoro della CISL ... 5 
Loy Guglielmo , Segretario confederale della UIL ... 7 8 
Bitti Fiovo , Segretario confederale dell'UGL ... 8 9 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 10 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 
Gentile Michele , Responsabile per il lavoro pubblico e le politiche della contrattazione della CGIL ... 10 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Sono presenti, per la CGIL, Corrado Barachetti, responsabile del mercato del lavoro, Michele Gentile, responsabile per il lavoro pubblico e le politiche della contrattazione, e Federico Bozzanca, segretario nazionale della funzione pubblica; per la CISL, Paolo Carraro, funzionario del dipartimento del mercato del lavoro; per la UIL, Guglielmo Loy, segretario confederale, e per la UGL, Fiovo Bitti, segretario confederale.
  Avverto che gli auditi hanno messo a disposizione della Commissione alcuni documenti, dei quali autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Nel ringraziare ancora una volta i nostri ospiti della loro presenza, do la parola a Michele Gentile, responsabile per il lavoro pubblico e le politiche della contrattazione della CGIL.

  MICHELE GENTILE, Responsabile per il lavoro pubblico e le politiche della contrattazione della CGIL. Vorrei fare un breve intervento partendo da alcuni dati raccolti da una relazione presentata venti giorni fa.
  A proposito dei centri pubblici per l'impiego, la Germania ha una dotazione complessiva di 9,112 miliardi di euro, la Francia di 5,147 miliardi, l'Italia di 397 milioni di euro. I centri per l'impiego in Germania sono 1.081, in Francia 1.047, in Italia 556. Gli addetti in Germania sono 110.033, in Francia 49.407, in Italia 8.713, di cui circa 1.200 con contratti a tempo determinato in scadenza al 31 dicembre 2014, per i quali un emendamento presentato dal Governo al Senato, nel corso della discussione del disegno di legge di stabilità, prevede la proroga utilizzando il Fondo di rotazione per la formazione professionale e l'accesso al Fondo sociale europeo.
  A ciò aggiungerei quanto la I Commissione di questo ramo del Parlamento ha approvato in sede di prima lettura della riforma costituzionale, modificando l'articolo 117, nel senso di prevedere, al secondo comma, lettera o), che la materia della tutela e sicurezza del lavoro e delle politiche attive del lavoro sia attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato.
  Infine, come terzo tema, ricordo quanto contenuto nella legge nota come «Jobs Act» in tema di Agenzia per l'occupazione, in cui si dice che si provvede con risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e che a questa Agenzia sono attribuite competenze gestionali in materia di servizi per Pag. 4l'impiego, politiche attive e ammortizzatori.
  Ora, a me pare che le questioni che ho appena elencato, nel loro essere rapsodiche, ma anche nell'idea che è loro sottesa, delimitano una particolare situazione che proverei a spiegare in questo modo. In una fase così drammatica dal punto di vista della tenuta occupazionale, ma anche delle politiche attive per il lavoro – che il presidente conosce bene – i punti che qualificano il sistema pubblico, anche riguardo all'incrocio domanda-offerta, sono assolutamente carenti.
  Poiché si sente parlare molto di «modello tedesco», credo che il tema dal quale non si sfugge, al di là degli assetti istituzionali e di qualche escamotage che di volta in volta viene utilizzato, sia in che modo si costruiscono effettivamente non solo le politiche, ma anche le sedi nelle quali esse devono essere esplicate.
  La gestione affidata ai centri territoriali per l'impiego, con l'incertezza anche dal punto di vista istituzionale, che mi pare la questione più drammatica, fa sì che qualsiasi discussione in relazione alle politiche attive del lavoro non possa che partire da quali sono i soggetti e quali le funzioni dei soggetti destinati a gestirle, oltre che dalla loro definizione vera e propria.
  Su questo punto siamo in presenza di una grande pluralità di voci. La valutazione è che, accanto alla mancanza di politiche per il lavoro, esiste anche una profonda e grave sottovalutazione della capacità, da parte dei soggetti pubblici, di poter intervenire sul territorio, in ragione di quel rapporto, che pure viene indicato nel documento che ha dato vita a questa indagine conoscitiva, tra soggetti pubblici e privati in tema di qualità delle politiche del lavoro.
  La mia impressione è che, nella situazione data, stante la qualità e la natura dei soggetti pubblici, questo rapporto non sia tra uguali, poiché il soggetto pubblico rincorre quello privato. In una situazione come questa, con la mancanza di un soggetto pubblico che assicuri effettivamente politiche di qualità, il tema dei centri per l'impiego può diventare la drammatica deriva di una politica occupazionale, industriale e di intervento sui servizi pubblici che rischia di rimanere sulla carta.
  Aggiungerei altri due temi. Innanzitutto, nei centri per l'impiego, come in tutti i soggetti pubblici o parapubblici che intervengono in tema di politiche attive del lavoro, proliferano i rapporti di lavoro non a tempo indeterminato.
  Questa Commissione, prima che il «Jobs Act» venisse approvato dall'Aula, ha prodotto una modifica rispetto al testo proveniente dal Senato con la quale si dice – vado a memoria – che sia l'ASpI (Assicurazione sociale per l'impiego) sia il salario orario minimo sarebbero stati estesi anche ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa fino al loro superamento. Queste quattro parole – «fino al loro superamento» – sono importanti, se dietro ognuna di esse c’è un'idea. D'altra parte, non può che essere così, vista la funzione del Parlamento.
  A questo riguardo, vorrei provare a dire che nella pubblica amministrazione, ma anche dentro i centri per l'impiego queste configurazioni lavorative – in particolare parlo dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa – sono diffusissime. Secondo i dati del Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, nella pubblica amministrazione esistono circa 30.000 contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Siamo, quindi, molto d'accordo con quelle quattro parole: fino al loro superamento.
  Il Presidente della Commissione dice che il Governo si è impegnato con la Commissione stessa, per cui mi auguro che a partire dal primo provvedimento attuativo del «Jobs Act», che secondo quanto abbiamo letto stamattina dovrebbe essere adottato tra il 24 e il 25 dicembre, non ci si limiti solo ai Co.co.pro., come abbiamo letto sui giornali, ma si vada oltre prevedendo il superamento anche di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, secondo quanto è chiaramente scritto nella legge appena pubblicata in Gazzetta Ufficiale.Pag. 5
  Ci auguriamo, pertanto, che in quel provvedimento ci siano norme dalle quali si evince che effettivamente si va al superamento di quei contratti, consapevoli del fatto che ciò significa trovare una soluzione per i circa 30.000 contratti di collaborazione coordinata e continuativa che attualmente esistono nelle pubbliche amministrazioni, ma anche – penso a Italia Lavoro – in quei soggetti parapubblici, quali le società per azioni a totale capitale pubblico, che impiegano personale di questo tipo. Insomma, questo fenomeno ha ormai una dimensione quantitativa e qualitativa imponente, la cui soluzione determina il funzionamento dei centri per l'impiego e degli altri soggetti che a vario titolo dovrebbero entrare nell'Agenzia per l'occupazione.
  Infatti, l'Agenzia per l'occupazione – almeno per come è definita dall'articolo 1, comma 3, lettera c) della legge n. 183 del 2014 – è un soggetto a composizione mista. Peraltro, se la riforma costituzionale è quella in lettura alla Camera, credo che anche la lettera c) abbia bisogno di una revisione perché non ha senso un'agenzia che abbia le caratteristiche lì indicate.
  Approfitto per dire – non si tratta esattamente del tema dell'indagine, ma è utile ragionarci – che nel «Jobs Act» è prevista un'altra agenzia, la cosiddetta «Agenzia per i servizi ispettivi», che mette insieme INPS, INAIL, Ministero del lavoro, ma non ASL, vigili urbani, Carabinieri e Guardia di finanza. A questo proposito, vorrei lanciare un appello per evitare che nei prossimi quattro anni non ci fossero più ispezioni. Infatti, se questa agenzia dovesse vedere la luce, solo per le complicazioni regolamentari e organizzative che sono collegate a essa rischiamo che per i prossimi quattro anni le ispezioni sul lavoro cessino. Mi riferisco, in particolare, a quelle da parte dei tre soggetti che dovrebbero far parte dell'agenzia. Ecco, questo è un tema molto complesso e delicato che credo non possa non riguardare la sensibilità democratica della Commissione lavoro della Camera dei deputati.

  PAOLO CARRARO, Funzionario del Dipartimento mercato del lavoro della CISL. Ringrazio la Commissione per averci voluto ascoltare. Abbiamo analizzato anche noi i dati della ricerca che da ormai quasi un anno e mezzo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato, che ci danno un quadro desolante in confronto all'intera Europa. Abbiamo, però, un'ulteriore aggravante, avendo letto con attenzione il «Jobs Act», dovuta al fatto che anche questo capitolo della riforma è a costo zero.
  Se il capitolo esclude dei finanziamenti – il collega ha ricordato quale sia stato in questi anni il tipo di investimento sul piano sia finanziario sia delle risorse umane – dobbiamo partire da un presupposto diverso, quello di utilizzare ciò che abbiamo, ma muovendo da un altro punto di vista. In questo caso, l'esempio più solido è il modello olandese. Occorre, cioè, partire dal presupposto che ormai quasi ogni cittadino è in condizioni di usare un supporto informatico. Tuttavia, questo è il primo punto su cui siamo carenti rispetto agli altri Paesi europei. Infatti, in questi anni i diversi sistemi regionali informatici sono stati costruiti in maniera isolata; alcuni non sono nemmeno funzionanti e soprattutto – cosa più interessante – non erano in relazione tra loro, il che escludeva aprioristicamente l'incontro tra domanda e offerta.
  Dalle rarissime chiacchierate fatte con il Ministero, grazie alla Garanzia giovani (Youth Guarantee) che dovrebbe essere – come ancora speriamo – un importante percorso per ricostruire un modello di servizi per l'impiego, non fermandoci ai risultati, ma agli indirizzi che in alcuni casi sono stati dati, ci risulta che sia stato approntato un sistema unico informatico che dovrebbe consentire non solo un accesso più facile e più diretto all'utenza, ma anche la costruzione di un sistema di incontro tra domanda e offerta sostenuto dalla struttura pubblica.
  Ci chiedevate un giudizio rispetto alla sinergia che sarà indispensabile creare tra soggetti pubblici e privati che già operano o potranno operare nel sistema. A questi, Pag. 6aggiungiamo anche diversi altri soggetti, in primo luogo tutto ciò che riguarda, da una parte, il sistema della bilateralità e, dall'altra, visto che parliamo di politiche attive del lavoro, quella che a oggi è l'unica politica attiva del lavoro presente in Italia, ossia i Fondi interprofessionali per la formazione continua.
  Tenuto conto di questo, il riferimento del sistema informatico è fondamentale. È necessario, infatti, un sistema unico che consente alle strutture regionali, ai centri per l'impiego e ai singoli operatori di poter gestire per la prima volta l'incontro tra domanda e offerta. Su questo siamo anche in ritardo rispetto al sistema EURES (European Employment Services), ovvero al sistema europeo che legge questo tipo di approccio sull'incontro domanda-offerta.
  Credo che avere investimenti possa rimanere solo una speranza, almeno nei prossimi anni, quindi diventa fondamentale la costruzione di quello strumento che apprezziamo e che il «Jobs Act» individua nell'Agenzia nazionale per l'occupazione. Questo strumento ci piace perché, sebbene con grave ritardo, ripropone, con regimi diversi, la stragrande maggioranza dei modelli funzionanti che sono in Europa.
  Dotarsi di un'agenzia nazionale vuol dire avere un luogo dove vengono fissati, tra l'altro, gli standard minimi di fruibilità e dove ci sia una vera azione di coordinamento, ricordando che alle regioni deve restare un ruolo di programmazione. Dopodiché, a seconda di come il Titolo V della parte seconda della Costituzione e la legge n. 56 del 2014 verranno risistemati e ridefiniti, dovremo individuare quelli che oggi sono definiti molto genericamente gli «ambiti ottimali», che potrebbero ricalcare le attuali province.
  Tuttavia, dato per scontato che l'Agenzia nazionale sia unica, come pensiamo debba essere, c’è bisogno di riconsiderare tutti i modelli che fino a oggi sono stati la realtà nel nostro Stato, fino ad arrivare alla gestione dei centri per l'impiego. Pertanto, secondo noi, è proprio attraverso l'Agenzia nazionale che si deve costruire questo nuovo modello.
  In questa fase ci appassiona meno – sarà poi importante al momento giusto – che nella costruzione di questa agenzia nazionale si tenga conto delle provenienze, delle peculiarità di alcuni istituti di ricerca o delle agenzie strumentali del ministero del lavoro. Oggi, è fondamentale che si parta sia perché i numeri prima ricordati ci collocano all'ultimo posto per investimenti e risorse umane sia perché le risorse umane che abbiamo a disposizione sono in una fase – uso un termine duro – quasi di abbandono rispetto alla funzione svolta.
  In Italia, l'ex ufficio di collocamento, oggi centro per l'impiego, è un luogo che non viene più riconosciuto dal cittadino. Infatti, una delle certezze che abbiamo in questo Paese è che fino a oggi (per essere fiduciosi) non è stato quello il luogo nel quale si è trovato il lavoro. Quindi, per ripristinare questa condizione ben venga l'iniziativa dell'agenzia e la riforma del modello, prendendo come riferimento delle buone pratiche a livello europeo. Per quanto ci riguarda abbiamo citato il modello olandese, ma non dimentichiamo che anche a livello territoriale abbiamo delle buone pratiche, come la «Dote unica lavoro» utilizzata in Lombardia. Sebbene questo territorio non rappresenti in maniera esaustiva il nostro Paese, questo modello di gestione, per la sua flessibilità, è in grado di produrre dei buoni risultati se adottato su tutto il territorio.
  Inoltre, c’è bisogno di una seconda fase rispetto alla Youth Guarantee. Abbiamo visto con favore l'ingresso di questi 1,5 miliardi di euro nel biennio, quindi di risorse fresche. A nostro avviso, il problema non è tanto nei risultati rispetto all'occupazione e ai colloqui, ma nel fatto che non si è colta l'opportunità di utilizzare queste risorse anche per anticipare una riforma del modello dei servizi per l'impiego. Affinché questo avvenga, c’è bisogno che rispetto ai soggetti (gli attuali 8.700 circa, implementati da forze fresche) sia svolta un'azione non solo informativa, ma anche una vera e propria campagna formativa perché a oggi sono – ripeto – a un livello di totale abbandono.Pag. 7
  Infatti, sono poche le realtà, soprattutto nel sud Italia, all'interno delle quali quegli 8.700 vengono realmente utilizzati, al di là dei risultati, per funzionale funzioni in questione, essendo spesso adibiti a mansioni diverse. Su questo è, dunque, importante realizzare un ulteriore monitoraggio e fare delle scelte precise.
  Sotto questo aspetto, l'azione dell'agenzia nazionale rivestirà particolare importanza proprio perché le linee guida di questo percorso dovranno essere decise a livello nazionale, individuando gli standard minimi e lasciando il resto agli altri soggetti istituzionali. A questo proposito, ricordiamo che per noi i servizi per l'impiego devono avere sempre e prevalentemente un quadro pubblico di riferimento. La sinergia con il privato è importante, ma il modello di riferimento deve essere quello pubblico. Su questo ci si deve, quindi, appoggiare, facendo sì che ci sia anche un sistema di incentivazione, come in molti altri Paesi, esclusivamente sulla base dei risultati, creando delle griglie apposite per le diverse difficoltà di collocazione dei soggetti nei vari territori, risultato di cui dovrà fruire sia il pubblico sia il privato proprio perché questo tipo di incentivazione deve essere anch'essa bilateralmente distribuita.
  Per ora mi fermo qui. Grazie.

  GUGLIELMO LOY, Segretario confederale della UIL. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione. È assolutamente condivisibile la volontà del Parlamento di proseguire, attraverso la Commissione, un'azione di analisi conoscitiva su un tema fondamentale che riguarda il lavoro. Si tratta, infatti, di una strumentazione necessaria per cercare di dare risposte ai soggetti più fragili e più deboli del mercato del lavoro, ovvero ai disoccupati e a chi rischia di perdere il posto di lavoro.
  Abbiamo depositato agli atti un documento, accompagnato da uno strumento di analisi che speriamo possa essere utile ai vostri lavori.
  Comincio con una considerazione di carattere generale. È inutile negare che questa stagione di lavoro della Commissione è profondamente intrecciata con ciò che è avvenuto in relazione all'approvazione della legge delega ed è fortemente condizionata da ciò che avverrà nelle prossime settimane, mesi e (temo) anni, relativamente al testo dei decreti che seguiranno l'approvazione della legge delega.
  Il progetto politico che ha accompagnato il disegno di legge delega – lo dico senza nessuna polemica – prevede, con uno slogan, di «passare dalle tutele sul posto di lavoro a quelle nel mercato del lavoro». Tuttavia, partendo da questo assunto, che può anche essere condiviso in linea teorica, oggi ci ritroviamo in un percorso che prevede la diminuzione reale delle tutele in costanza di rapporto di lavoro, attraverso un irrigidimento della concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria e la compartecipazione economica delle imprese interessate dall'utilizzo della cassa integrazione, insieme ad altri provvedimenti che oggettivamente tendono a diminuire il peso e l'importanza della cassa integrazione.
  Queste misure sono accompagnate da un presunto allargamento delle tutele alla fine del rapporto di lavoro, mentre avrebbe dovuto comportare che ci fosse una strumentazione adeguata a rispondere e a concludere il ragionamento politico che il Governo ha legittimamente posto (con la presa in carico della persona).
  Oggi, in tempi rapidi avremo un decreto legislativo che, attraverso il contratto a tutele crescenti, potrebbe incentivare maggiormente l'uscita dal lavoro – lo dico senza nessuna polemica – aumentando la facilità di licenziamento. Inoltre, i decreti attuativi relativi agli ammortizzatori sociali dovranno, coerentemente con la delega approvata, ridefinire al ribasso la protezione della cassa integrazione.
È difficile non prevedere che ciò comporterà un maggiore movimento tra impresa e disoccupazione e – speriamo – anche al contrario tra disoccupazione e rientro in un altro lavoro.
  Il presupposto di un ragionamento di questo tipo avrebbe dovuto comportare che lo strumento con cui governare questi Pag. 8processi fosse messo in campo prima che si manifestassero gli effetti della maggiore flessibilità in uscita e della riduzione degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.
  Questo si può condividere o meno, tuttavia, la cosiddetta flexsecurity ha una sua nobiltà nel senso di una minore rigidità nel rapporto di lavoro, bilanciata, però, da una capacità della comunità, dello Stato o di quelli che possiamo sinteticamente definire «servizi per l'impiego» di assumere, accompagnare e aiutare la persona nella ricerca di una nuova attività.
  Tutto questo non ci sarà in tempi brevi per motivi logici e pratici, nonché di carattere normativo. Infatti, è evidente che l'aver incardinato la legge delega, la riforma costituzionale e la legge n. 56 del 2014, senza un coordinamento tra gli interventi, comporterà un prevedibile indebolimento dei servizi per l'impiego per come li conosciamo oggi, senza un'adeguata sostituzione della funzione che oggi, nel bene e nel male, è affidata alle province.
  Se il tema è l'agenzia nazionale, ovvero riportare in mano allo Stato le competenze esclusive su questa materia, significa che passeranno, a essere buoni, uno o due anni, visto che questi sono i tempi di una riforma costituzionale.
  In terzo luogo, occorre considerare che, contemporaneamente, sta partendo la programmazione dei fondi europei che, come veniva ricordato, avendo noi risorse invariate, costituiscono le uniche risorse disponibili per il lavoro, la formazione e così via. In sostanza, avremo un treno che parte, cioè la nuova programmazione, ma non avremo l'architettura istituzionale adeguata.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RENATA POLVERINI

  GUGLIELMO LOY, Segretario confederale della UIL. Nel frattempo stiamo riducendo le funzioni amministrative delle province senza aver individuato l'istituzione che le sostituirà nell'erogazione di questi servizi. Pertanto, l'architettura istituzionale, la mancanza di risorse e la situazione generale dei servizi per l'impiego comporteranno che l'attuazione pratica della seppur nobile visione dalla riforma ci sarà tra anni.
  Allo stesso tempo, per scelta politica, si è deciso di favorire una maggiore mobilità nel lavoro e tra lavori; tuttavia, senza la seconda parte della flexsecurity, è difficile pensare che questo disegno possa riuscire.
  Non spendo parole su ciò che sta avvenendo nel mondo reale, cioè nei servizi pubblici e nelle province, riguardo alla legge n. 56, per la mancanza di certezza per chi vi lavora, il rischio della mobilità del personale, la riduzione contestuale di trasferimenti a comuni, città metropolitane e regioni che, inevitabilmente, impatterà anche sull'erogazione di servizi essenziali come questi. Insomma, l'incrocio di tutti questi fattori ci fa essere molto preoccupati.
  L'invito che stiamo rivolgendo alla Commissione e al Parlamento è, perciò, quello di verificare se ci sono le condizioni, nei prossimi mesi, per una rivisitazione razionale dei vari percorsi che si stanno intrecciando su un tema così delicato, che – ripeto – doveva, a nostro avviso, essere la premessa di qualsiasi riforma del mercato del lavoro. Infatti, l'idea della flessibilità e della mobilità avrebbe avuto un senso (condivisibile o meno) se si fossero messi in campo strumenti reali, capaci di accompagnare le persone che non hanno o rischiano di perdere il posto di lavoro.

  FIOVO BITTI, Segretario confederale dell'UGL. Anche noi ringraziamo la Commissione per l'opportunità di parlare di un aspetto importante per il mondo del lavoro. Premesso che il rafforzamento dei servizi per il lavoro è necessario e non più rinviabile, vorremo centrare l'attenzione su alcune grandi incognite iniziali che non sono state risolte con la legge 10 dicembre 2014, n. 183.
  Il primo punto riguarda la questione delle risorse. Come è noto, per finanziare Pag. 9la legge delega il disegno di legge di stabilità stanzia 2,2 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Questi fondi dovrebbero servire a finanziare tutta la legge delega, ma è chiaro che non sono sufficienti, visto che essa contiene l'universalizzazione degli ammortizzatori sociali e l'estensione della platea delle beneficiarie delle tutele per la maternità, che sono provvedimenti molto costosi. Ora, se vogliamo avere servizi efficienti dovremmo cercare di arrivare quantomeno alla media dei principali Paesi europei in rapporto al prodotto interno lordo, quindi, servirebbero fra i 3,5 e i 3,8 miliardi di euro per i soli servizi per l'impiego.
  La seconda incognita, alla quale hanno già accennato i colleghi, è relativa alle competenze istituzionali e alla riorganizzazione degli stessi servizi sul territorio. Siamo anche noi d'accordo sulla costituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione, ma essa si inserisce in un contesto particolarmente complesso, con una riforma costituzionale in fieri che è destinata a cambiare lo scenario in tempi più o meno brevi.
  In fase di audizione sul disegno di legge delega chiedemmo la costituzione di agenzie regionali sul modello dell'agenzia nazionale in modo da creare un'uniformità di organizzazione. Pensiamo, quindi, sia necessario riflettere su questo aspetto quando sarà il momento dei decreti legislativi.
  Il terzo nodo è relativo al coinvolgimento delle parti sociali, che attualmente è previsto soltanto nella fase iniziale di lancio dell'Agenzia nazionale per l'occupazione. Per contro, crediamo che sia necessario coinvolgere le parti sociali in maniera più stringente, forse anche a livello di governance.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  FIOVO BITTI, Segretario confederale dell'UGL. La quarta incognita riguarda il ruolo sinergico fra operatori privati, pubblici e altri soggetti autorizzati o accreditati. Ferma restando l'importanza di sostenere e finanziare il servizio pubblico, è evidente che è necessario, importante e significativo rafforzare queste sinergie. Va, però, evitata una logica di bad e good company, nel senso che non è possibile convogliare le persone più difficili da collocare verso il servizio pubblico e quelle più facilmente collocabili verso il privato.
  La quinta e ultima incognita è relativa al fatto che ci siamo resi conto che i servizi sono mediamente inefficienti, ma esistono anche degli importanti casi di efficienza, per cui crediamo che sia fondamentale valorizzare questi aspetti. Come hanno anticipato i colleghi, esistono delle eccellenze, quindi dovremmo cercare di valorizzarle in questo percorso.
  Infine, vorrei fare brevemente alcune considerazioni su Garanzia giovani. Abbiamo dato uno sguardo ai dati del monitoraggio aggiornati all'11 dicembre 2014 da cui si evince che la risposta dei giovani non è mancata, dal momento che sono state presentate oltre 343.000 domande, anche se avrebbero potuto essere di più. Inoltre, negli ultimi tre mesi la componente femminile è in crescita, il che è un segnale importante perché sappiamo del ritardo della partecipazione delle donne al lavoro.
  È, però, finora mancato, in maniera abbastanza evidente e clamorosa, il collegamento con le aziende. Del resto, questo è un gap strutturale che ci portiamo dietro da tempo. Infatti, se è vero che i giovani non cercano lavoro passando per i centri per l'impiego o per le altre agenzie, è anche vero che le stesse aziende non si rivolgono con frequenza ai centri per l'impiego.
  Le prese in carico sono circa 117.000, pari al 34 per cento, tuttavia si evidenzia un dato di ritardo soprattutto per le regioni meridionali, escluse le isole, ma anche per regioni come Piemonte e Lazio. Ecco, anche questo deve far pensare.
  Inoltre, tra le circa 117.000 persone che sono state già censite e prese in carico, ben 82.000 rispondono a profili medi e medio-bassi; quindi, il 70 per cento delle persone iscritte a Garanzia giovani che sono già Pag. 10state contattate dai centri per l'impiego ha un profilo medio e medio basso, cosa che ci dà da pensare riguardo alla difficoltà di collocarle.
  In definitiva, crediamo che sia necessario uno sforzo in termini di risorse per allineare i nostri servizi per il lavoro agli standard europei. È importante rafforzare gli elementi dell'informazione e della formazione, nonché cercare di favorire in ogni modo la transizione scuola-lavoro. Peraltro, questa Commissione ha approvato un emendamento alla legge delega in materia di lavoro, in cui si insiste proprio su questo aspetto.
  Infine, occorre ridurre il gap territoriale e sostenere in ogni modo la collocazione e la ricollocazione dei soggetti deboli, ovvero dei lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Ringraziamo le organizzazioni sindacali per questa chiara esposizione. Anche noi, per quello che ci riguarda, abbiamo già detto più volte che tra le competenze delle province la parte più importante era proprio la gestione dei servizi per l'impiego. Sappiamo, quindi, che bisognerebbe puntare molto sulla riorganizzazione dei servizi e lavorare in modo efficace per l'incontro domanda-offerta, soprattutto in un periodo di crisi occupazionale come quello attuale, sia per la disoccupazione giovanile sia per quella delle persone meno giovani. È chiaro che è fondamentale puntare alla riqualificazione, alla formazione professionale e all'individuazione dei profili ricercati dal mondo del lavoro.
  All'inizio del suo discorso, Michele Gentile ha parlato dei possibili emendamenti in discussione al Senato rispetto al personale delle province. Se avessimo la bacchetta magica e potessimo impegnare nei centri per l'impiego tutto il personale delle province, neppure arriveremmo agli standard della Germania. Tuttavia, bisogna tener conto anche dei profili professionali che servono per avere dei servizi per l'impiego che possano essere all'altezza della sfida attuale.
  Poiché la nostra Commissione si occupa del lavoro pubblico e privato, ci interessa capire se avete delle idee o delle proposte rispetto al personale delle province, in relazione ai possibili esuberi che si potrebbero creare. Del resto, rispetto agli esuberi nella pubblica amministrazione previsti dai provvedimenti del 2012 per alcune fattispecie si teneva conto dei requisiti «pre-Fornero» per il pensionamento, ma più si va avanti e più diventa difficile tornare a requisiti di 3-4 anni fa, come probabilmente sarà quando questo personale dovrà cessare la propria attività e avremo ancora «salvaguardati», ovvero persone che ancora non rientrano nei requisiti delle salvaguardie già approvate.
  Ecco, mi piacerebbe sapere se avete delle idee a questo proposito e se le avete fatte presenti ai ministri competenti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MICHELE GENTILE, Responsabile per il lavoro pubblico e le politiche della contrattazione della CGIL. Innanzitutto, il Governo ha pensato bene di presentare gli emendamenti al Senato, il che significa che, con la logica che ben conosciamo, quando il testo arriverà qui verrà posta la fiducia. Basta leggere i giornali. A ogni modo, proprio alla luce della discussione che è avvenuta in questa Commissione sul «Jobs Act», sarebbe bene porre questo tema.
  Comunque, per evitare di fare una lunga e complicata discussione, mi limito a dire che l'emendamento presentato dal Governo alla legge di stabilità fa saltare la riforma Delrio. Infatti, una riforma complessa non si può fare perché lo chiedono due noti giornalisti di un quotidiano a tiratura nazionale, visto che parliamo di redistribuzione di funzioni pubbliche, non di chiusura di aziende, cosa che richiede un processo complicato da attuare.
  Invece, il Governo ha sommato all'attuazione della legge Delrio il taglio di un Pag. 11miliardo di euro di spesa. A questo punto, l'insieme di questi due dati rischia di determinare una situazione per la quale è ipotizzabile – senza molto pessimismo – che a giugno dell'anno prossimo avremo le province in dissesto finanziario, senza nessuna funzione vera ancora ricostruita.
  Per giunta, il quadro è di per sé già inquietante perché i numeri di cui parliamo, cioè 20.000 unità in mobilità, sono «spannometrici», dal momento che potrebbero essere anche maggiori. Partiamo, poi, dal fatto che in quell'emendamento il Governo ha deciso che dal 2 gennaio le dotazioni organiche delle province si riducono del 30 e del 50 per cento. Ora, poiché i dipendenti delle province sono mediamente 50.000, facendo una media tra le due riduzioni, arriviamo più o meno a 20.000, che è un numero astratto, nel senso che non c’è un'identificazione effettiva.
  In ragione del fatto che si è aperto un braccio di ferro tra Governo e Regioni, questo rischia di essere un numero che si accompagna a funzioni che corrono il pericolo di non essere più esercitate. Tra queste, la questione dei centri per l'impiego ha una sua peculiarità perché viene sottratta al riordino per il fatto che si dice che c’è una legge, cioè il «Jobs Act». A questo punto, aggiungerei che c’è anche una riforma costituzionale, che non è poca cosa rispetto alla collocazione dei centri per l'impiego.
  Infatti, un conto sono i centri per l'impiego delle province su funzioni che rimangono alle regioni, un altro sono i centri per l'impiego in relazione alle funzioni concernenti la tutela e la sicurezza del lavoro e le politiche attive del lavoro che passano alla legislazione esclusiva dello Stato. Sono due modelli totalmente diversi.
  A questo proposito, ricordo che nel disegno di legge delega presentato dal Governo al Senato c'era scritto che l'Agenzia nazionale per l'occupazione era a governance plurima e che aveva la gestione delle competenze in materia. Invece, nel testo trasmesso alla Camera l'attribuzione «delle competenze» è diventata attribuzione «di competenze», proprio perché a quel tempo si era evidenziato che, a Costituzione vigente, l'Agenzia nazionale per l'occupazione non può assume competenze affidate alle regioni.
  Oggi, come diceva Gugliemo Loy, il fatto che i tre temi – «Jobs Act», riforma costituzionale e legge Delrio – non sono stati coordinati fra di loro determina una situazione che rischia di portare a una paralisi. Per giunta, abbiamo un problema grave di personale che «balla» tra le province, le quali a giugno non avranno più le risorse (già oggi la provincia di Vibo Valentia non paga gli stipendi da quattro mesi). Con il taglio di un miliardo di euro, le nostre previsioni, che sono ottimistiche rispetto ad altre, parlano di 34 province che andranno in dissesto finanziario, nelle quali ci sono i centri per l'impiego, che allo stato attuale svolgono funzioni che la legge affida alle province.
  Quindi, ci troviamo in un «paradosso istituzionale» in base al quale la lotta alla disoccupazione, che dovrebbe essere il centro di un'iniziativa politica, rischia di essere, unitamente al personale addetto, la vittima sacrificale di un processo che, invece, va in tutt'altra direzione.
  Dico una cattiveria, ma consentitemi di affermare che bisognerebbe sapere di che cosa si parla. Insomma, le riforme istituzionali non le fanno i giornalisti; sono cose serie che riguardano le funzioni, le persone e i cittadini. Invece, ho l'impressione che ci si faccia prendere la mano da costituzionalisti dell'ultima ora, per cui alla fine si fanno questi pasticci.
  Oggi ci troviamo in una situazione nella quale alla domanda: «i centri per l'impiego da chi dipendono ?» dobbiamo rispondere che non si sa. In questo momento, dipendono dalle province, poi, forse, dall'Agenzia nazionale ? Direi di no, ma se passerà la riforma costituzionale forse sì. Nel frattempo, però, le risorse vengono tagliate e il personale viene messo in mobilità.
  Rispetto al tema dei requisiti pre-Fornero – sul quale so che l'onorevole Gnecchi è molto sensibile, ma, come sa, lo è anche l'organizzazione che immodestamente, Pag. 12insieme agli altri due colleghi, oggi rappresento – vi è un emendamento presentato al Senato che cerca di affrontare un problema attualmente vigente. Infatti, il decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dal decreto n. 101 del 2013, dice che in caso di riduzione delle dotazioni organiche uno dei mezzi da utilizzare per affrontare questo problema è il pensionamento sulla base dei i requisiti pre-Fornero.
  Il Governo, però, ha pensato bene di non fare proprio questo emendamento. La morale è che abbiamo circa 20.000 persone per le quali non sappiamo quale possa essere un futuro credibile, da un punto di vista sia dell'occupazione sia del reddito, dal momento che il taglio di un miliardo di euro delle risorse delle province produce degli effetti diversi da provincia a provincia, ma in tutti i casi una riduzione della capacità di spesa sulle funzioni proprie delle stesse. Ciò avverrà in ragione – ripeto – del taglio di un miliardo di euro e della permanenza dei dipendenti a carico delle province fino a quando non si capirà a chi passano le loro funzioni.
  In questo quadro, quelle poche risorse dei centri per l'impiego – cioè i 324 milioni di cui dicevo poc'anzi – rischiano di essere tagliate anch'esse. I 60 milioni che vengono presi dai Fondi per la coesione per prorogare i rapporti di lavoro a tempo determinato tirano la coperta dell'utilizzo di tali fondi anche per quanto riguarda il tema degli ammortizzatori in deroga da parte delle regioni. Questo è il quadro che si prospetta.
  Sono d'accordo con l'onorevole Polverini; forse sono troppo pessimista, ma temo che quando questa discussione approderà alla Camera i tempi per la discussione saranno abbastanza ristretti per poter sollevare un tema di questa natura. Tralasciando i giudizi di merito rispetto alla legge del «Jobs Act», credo che questa Commissione debba sollevare quel tema perché, avendo essa stessa rilevato diversi problemi, le tocca affrontare di nuovo gli stessi nodi, partendo anche da quanto oggi le quattro organizzazioni sindacali hanno detto in questa sede in riferimento al rapporto fra le politiche e chi materialmente gestisce questi processi.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi. Abbiamo concluso la nostra audizione, dalla quale sono emersi diversi spunti che ci trovano molto attenti e sensibili.
  Purtroppo, gli elementi di incertezza rimangono perché, se dovessimo constatare che, nel momento in cui il Governo spinge giustamente verso le politiche attive per favorire l'incontro domanda-offerta, si tagliano, come sembra stia accadendo, le risorse per i centri per l'impiego è evidente che esiste una contraddizione, che non può essere surrogata o sostituita dalla necessità di un incontro fra azione pubblica e privata per quanto riguarda agenzie e quant'altro opera nel mercato del lavoro.
  Sono state poste anche delle domande, oltre alle riflessioni. Posso dire quanto, peraltro, già riportato dai giornali, ovvero che per quanto riguarda la delega lavoro aspettiamo i primi decreti. Se saranno approvati il 24, vuol dire che saranno comunicati a Camera e Senato non prima del 29 dicembre. Dal momento della loro assegnazione decorrerà il termine per il parere, cioè un mese. Camera e Senato agiscono in parallelo, non in sequenza, quindi entro la fine di gennaio dovrebbe essere dato il parere, che, come sappiamo, non è vincolante.
  Noi ci stiamo sforzando di aiutare il Governo ad andare in una certa direzione, vale a dire per fare in modo che, accanto al primo decreto, che dovrebbe riguardare il contratto a tutele crescenti, con tutte le problematiche che ruotano attorno a esso e che è inutile riprendere, dovremmo avere un decreto o almeno un lineamento o un indirizzo riguardo all'ASpI. In particolare, chiediamo che l'ASpI sia portata, indipendentemente dall'età e dal rapporto di lavoro, da 18 a 24, mesi per tutti. Questo potrebbe essere un fatto che non risolve, ma sicuramente, di questi tempi, aiuta. Insomma, è un fatto positivo. Come sapete, c’è un coro dei diversi partiti nel chiedere al Senato ulteriori risorse per Pag. 13quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. Se ci fosse un segnale, che per il momento non vedo, anche questo aiuterebbe.
  Personalmente, sono d'accordo con quanto diceva Loy sul fatto che sarebbe stato opportuno avere prima gli ammortizzatori e poi trattare il tema dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Tuttavia, stiamo cercando di capire se c’è una contemporaneità fra contratto a tutele crescenti e riforma dell'ASpI e degli ammortizzatori.
  Lo stesso vale per quanto riguarda il tema sollevato sui co.co.co. e co.co.pro, ovvero il famoso «disboscamento». Infatti, da una parte, vorremmo un «disboscamento» drastico, ma dall'altra abbiamo una preoccupazione perché non possiamo dire a tutti coloro che sono lavoratori coordinati e continuativi o a progetto che da domani non avranno più il lavoro. Bisogna garantire un allunaggio morbido, un passaggio graduale, che è mancato nella riforma delle pensioni al tempo del Ministro Fornero.
  Insomma, che fine fanno quei lavoratori ? È giusto – ripeto – superare quella tipologia contrattuale. Tuttavia, quei lavoratori che fine fanno ?
  Per quanto riguarda il settore pubblico c’è una condizione, nel privato un'altra. Il contratto coordinato e continuativo è il rapporto madre; il lavoro a progetto è una specie del medesimo contratto, quindi non si può pensare di agire sull'uno e non sull'altro, dal momento che il lavoro a progetto nel decreto legislativo n. 276 del 2003 è ricompreso all'interno delle collaborazioni coordinate e continuative.
  Vi sono, perciò, diverse problematiche che ci preoccupano, per cui abbiamo inserito nella legge n. 183 del 2014 «fino al loro superamento», con una sorta di estinzione graduale. Tuttavia, quel flusso occupazionale che era caratterizzato dal lavoro a progetto, che potrebbe riguardare gli associati in partecipazione o altre fattispecie, dove verrà convogliato ? Nel contratto a termine, che è più costoso, o nel contratto a tutele crescenti, che è forse equivalente dal punto di vista della convenienza ? Questo, però, è solo per le assunzioni nel 2015, quindi cosa succederà per il 2016 ?
  Ecco, sono tutte problematiche estremamente complesse, come il tema altrettanto delicato che avete sollevato della Youth Guarantee perché c’è una sproporzione fra la quantità di risorse utilizzabili (1,5 miliardi di euro) e il risultato occupazionale che fin qui si sta producendo a cerchi concentrici.
  Del resto, se abbiamo 300.000 persone che rispondono a una mail, 200.000 rintracciabili, 100.000 colloquiabili e 10.000 collocabili o collocati, è evidente che 1,5 miliardi di euro sono troppi per un risultato così modesto. In definitiva, le contraddizioni non mancano. Noi tutti abbiamo chiesto al Presidente del Consiglio di interpellare le organizzazioni sindacali. Non sarà molto, ma venerdì è previsto un confronto con CGIL, CISL, UIL, UGL, Confindustria, R.ETE. Imprese Italia e altre organizzazioni. Quindi le parti sociali saranno ascoltate.
  Mi auguro che siate in grado di esprimere a quel tavolo un'opinione unitaria su due o tre questioni. D'altronde, come dico sempre, se si portano 45 questioni nessuno ascolta, ma, se se ne portano una, due o al massimo tre, qualcosa si riesce a strappare. Sicuramente, una questione importante da sollevare riguarda le risorse per gli ammortizzatori sociali.
  Vi ringraziamo come sempre della vostra collaborazione. Vi ricordiamo che questo è un piccolo luogo di ascolto, che non conta molto, ma ci teniamo in esercizio, sperando che i tavoli più importanti riescano a darvi le risposte che vi aspettate.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

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