XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Mercoledì 1 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

Audizione di esperti della materia (Giampiero Falasca e Marco Leonardi).
Damiano Cesare , Presidente ... 2 
Falasca Giampiero , Avvocato giuslavorista ... 2 
Leonardi Marco , Professore di economia presso l'Università degli studi di Milano ... 4 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 7 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 7 
Pizzolante Sergio (NCD)  ... 8 
Damiano Cesare , Presidente ... 9 
Falasca Giampiero , Avvocato giuslavorista ... 9 
Leonardi Marco , Professore di economia presso l'Università degli studi di Milano ... 10 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Documentazione presentata dagli esperti ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti della materia (Giampiero Falasca e Marco Leonardi).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, audizione di esperti della materia (Giampiero Falasca e Marco Leonardi).
  Diamo quindi il benvenuto all'avvocato giuslavorista Giampiero Falasca e Marco Leonardi, professore di economia presso l'Università degli Studi di Milano. Avverto che gli auditi hanno messo a disposizione della Commissione documenti (vedi allegato), dei quali autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna. L'avvocato Fava, del quale era prevista l'audizione, ha comunicato di non potervi prendere parte per motivi di salute. Nello scusarsi per la mancata partecipazione, ha comunque trasmesso un documento sui temi oggetto dell'indagine, che è a disposizione dei componenti della Commissione.
  Nel ringraziare ancora una volta i nostri ospiti, do loro la parola, cominciando dall'avvocato Falasca.

  GIAMPIERO FALASCA, Avvocato giuslavorista. Ringrazio il presidente e tutta la Commissione per l'invito particolarmente gradito e faccio i complimenti per il fatto che una volta tanto non si discuta dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Credo che siamo un po’ démodé, come dicevamo informalmente prima con il professor Dell'Aringa, in attesa dell'inizio di questa audizione ...
  Credo che il tema dei temi invece sia come rendere più efficienti ed efficaci i servizi per l'impiego. Faccio una premessa: credo che dobbiamo innanzitutto metterci d'accordo su quali siano le finalità dei servizi per l'impiego. Spesso cadiamo nell'illusione che i servizi dell'impiego servano per creare più occupazione, ma credo che sia una speranza mal risposta perché, anche se io sono bravo a far incontrare domanda e offerta, ma non c’è domanda e offerta di lavoro, non vado da nessuna parte !
  Credo che noi abbiamo bisogno di un sistema strutturato di servizi per l'impiego, per rendere più trasparente il mercato del lavoro e per rimettere in gioco le opportunità lavorative che purtroppo, come ogni anno ci dicono le indagini dell'ISFOL, sono totalmente gestite nell'informalità.
  Uno dei problemi dell'odierno mercato del lavoro è che non c’è parità di accesso alle opportunità lavorative e quindi un sistema strutturato servirebbe innanzitutto a questo.
  Nel periodo, purtroppo lungo, di crisi che stiamo attraversando si è scoperto che i lavoratori espulsi massicciamente dal ciclo produttivo hanno un drammatico problema di competenze e di ricollocazione nel mercato del lavoro, quindi abbiamo un bisogno estremo e purtroppo insoddisfatto di servizi che siano in grado di riformare le competenze.Pag. 3
  Abbiamo sentito tante volte dire che in 3-5 anni qualsiasi competenza viene completamente bruciata e va ricostruita, e oggi i lavoratori sono lasciati soli. In tutte le crisi, nelle grandi procedure di mobilità che stiamo gestendo in questi anni (personalmente sono stato coinvolto anche in qualcuna molto nota ultimamente), i lavoratori vengono accompagnati all'uscita con importanti somme economiche, ma non hanno un servizio di outplacement, non hanno un vero strumento per il rientro nel mercato del lavoro.
  Questa è la premessa, vado molto rapidamente. Cosa dobbiamo fare ? In quindici anni sono state fatte tantissime riforme, dal decreto attuativo della «riforma Bassanini», il decreto Montecchi (decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469) , passando per la «legge Biagi», passando per i vari provvedimenti del Ministro Damiano e arrivando ad oggi, spesso abbiamo insistito sempre sugli stessi concetti, cioè servizio pubblico, missione dei centri pubblici per l'impiego, che devono passare dal collocamento burocratico a un'attività di servizio, condizionalità, per cui il lavoratore può fruire dei servizi solo se partecipa; eppure, come dicono gli economisti, «il cavallo non ha bevuto», il sistema non è decollato.
  Un problema può sicuramente essere legato al fatto che abbiamo 7.000 persone nei centri per l'impiego e in Germania ce ne sono 70.000. Temo che evocare questo dato rischi di essere traducibile in una richiesta di 63.000 nuove assunzioni, che pure non sarebbe male per i dati occupazionali.
  Dovremmo cercare di colmare questo gap con un'innovazione anche nei modelli. Abbiamo, infatti, insistito moltissimo su un modello che sul piano teorico è ben costruito, ma sul piano pratico purtroppo non ce la fa per un'inadeguatezza di risorse, che purtroppo, se siamo realisti, non colmeremo mai, soprattutto nell'attuale contesto congiunturale di finanza pubblica, o forse perché è proprio il modello che non funziona; sto parlando del modello del centro per l'impiego pubblico, che eroga in maniera autosufficiente tutti i servizi.
  In altre esperienze desunte dalla comparazione (parto dalla Germania e dalla Riforma Hartz del 2003, ma ormai sono modelli diffusi ovunque) si è puntato sulla natura pubblica del servizio, non dell'operatore: natura pubblica del servizio e possibilità per tutti gli operatori pubblici e privati che siano accreditati di partecipare all'erogazione del servizio.
  Noi abbiamo scritto queste cose nelle leggi, nella «legge Biagi» c'era scritto e la normativa successiva l'ha confermato, ma poi, come al solito, partiamo bene e ci perdiamo nell'attuazione e nell'implementazione delle norme con un rinvio poco sensato alle Regioni che dovevano costruire i sistemi di accreditamento e non l'hanno fatto. Se quindi andiamo oggi sui territori regionali, tranne il caso della Lombardia e un inizio di sperimentazione nella Regione Lazio, sono pochissime le esperienze in cui si è costruito un servizio pubblico con operatori privati o pubblici che offrissero questi servizi.
  Dobbiamo fare quindi innovazione sui modelli, dobbiamo trovare il modo per costruire questi benedetti sistemi di accreditamento (se le Regioni non sono capaci, facciamolo in un altro modo) e dobbiamo destinare le risorse, che sono scarse ma non scarsissime, a chi eroga il servizio.
  L'esperienza della dote unica lombarda, che è perfettibile da tanti punti di vista, può sicuramente essere additata come un principio di best practice. È stato identificato un pacchetto di servizi di cui ciascuna persona che si rivolge alla rete regionale può fruire, è stato previsto un pacchetto di incentivi che vengono riconosciuti ai soggetti accreditati che offrono uno di quei servizi, è stata valorizzata la logica del risultato.
  Purtroppo indicare su questi temi una regione o l'altra è pericolosissimo perché si rischia subito di politicizzare la questione, che ha invece inevitabilmente una grossa sostanza tecnica. Non è mio compito affrontare questo aspetto, però sicuramente Pag. 4il modello lombardo è un modello che coniuga molte indicazioni dell'Unione europea e va guardato con attenzione, tant’è vero che la stessa Regione Lazio, con un sistema di accreditamento più recente, sta cercando di andare in quella direzione.
  L'ultima cosa: dovunque andiamo in Europa, quando parliamo di questi temi (anni fa feci un benchmark in giro per l'Europa per studiare questi sistemi), ci si rivolge sempre alla stessa persona, che parla con il disoccupato e da un lato gli dice cosa deve fare (il corso di formazione, rifare il curriculum) e dall'altro gli gestisce l'ammortizzatore sociale. È la stessa persona, non lo stesso ufficio.
  Noi abbiamo un sistema in cui il servizio per l'impiego è gestito dalle abolite o abolende Province e in futuro forse dalle Regioni, e l'ammortizzatore sociale è gestito dall'INPS. Soggetti più diversi non possono esistere come diffusione territoriale, come organizzazione interna, come missione istituzionale.
  Capisco che è un'impresa enorme arrivare a questo obiettivo, ma, se non arriviamo a un'integrazione piena tra politiche attive e politiche passive, stiamo facendo soltanto un grande dispendio di energie. Questo perché, in un'epoca in cui gli ammortizzatori sociali sono scarsi, noi dobbiamo finalizzarli e concentrarli solo sulle persone che partecipano alle misure di politica attiva.
  Se andiamo a vedere la legge, nella legge c’è scritto tutto sulla condizionalità, ma non riesce a funzionare perché questi due soggetti non si parlano o, comunque, fanno fatica a parlarsi. Credo, quindi, che servizio pubblico e non solo dell'operatore pubblico, e l'integrazione tra politiche attive e politiche passive siano le due grandi linee su cui si debba andare.
  C’è poi il tema proprio delle politiche attive, che è parallelo a questo, ma non vado oltre per non rubare troppo tempo. Dico solo che quindici anni di decentramento amministrativo e poi la revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione – non so neanche se chiamarlo federalismo – non hanno prodotto i risultati sperati. Le Regioni si sono convinte di operare come legislatori e hanno colto male il messaggio del Titolo V: avrebbero dovuto fare, invece, i gestori del servizio.
  Anche se non ci fosse stata questa patologia, l'idea di frammentare il nostro piccolo Paese in ventuno mercati del lavoro a livello regionale forse era troppo spinta. È probabile che un Paese come il nostro, che è grande come uno degli Stati federali degli Stati Uniti, non abbia bisogno di 21 organizzazioni dei mercati del lavoro e quindi l'idea dell'Agenzia unica non sia un'idea di centralismo e di ritorno al passato, ma sia un modello organizzativo coerente con il territorio che abbiamo.

  MARCO LEONARDI, Professore di economia presso l'Università degli studi di Milano. Ringrazio il presidente e la Commissione dell'invito e partirei da quello che ha appena detto l'avvocato Falasca.
  Credo che il punto principale per una riforma dei centri per l'impiego che abbia senso e voglia di farli funzionare sia in primis risolvere il disallineamento tra il sistema centralizzato dell'INPS, che paga i sussidi, e il sistema decentralizzato dei centri per l'impiego, gestiti ora delle Province e in futuro dalle Regioni e dalle Città metropolitane, che invece dovrebbero gestire le politiche attive.
  Se non si risolve questo problema alla radice, probabilmente il sistema avrà sempre un difetto di fondo. Credo, quindi, che l'Agenzia federale debba centralizzare il più possibile le attività almeno su tre fronti. Dovrebbe imporre e coordinare politiche attive con standard strettamente nazionali, come succede, del resto, nella maggior parte degli altri Paesi, nei quali la gestione del servizio magari è stabilita a livello locale ma lo standard è rigidamente stabilito a livello nazionale.
  I tre punti cardine potrebbero essere: l'accreditamento di enti pubblici e privati dei servizi con standard nazionali; tipologie di contratto con standard strettamente nazionali; sistema di remunerazione in Pag. 5relazione al risultato degli enti privati sulla base di costi standard gestiti e determinati nazionalmente.
  In prospettiva credo che, per risolvere alla radice il problema, l'Agenzia federale debba essere dentro l'INPS, perché, se è l'INPS che paga il sussidio, chi paga deve avere anche la responsabilità poi di gestirlo ed eventualmente di toglierlo.
  Credo quindi che l'Agenzia debba stare dentro l'INPS e potenzialmente in futuro anche i centri per l'impiego debbano in qualche modo dipendere dalla stessa agenzia, quindi direttamente dall'INPS, almeno avere un dirigente nominato centralmente.
  Nel programma dell'indagine conoscitiva che ci avete mandato chiedevate di riflettere non tanto sulle performances dei centri per l'impiego, quanto sugli esempi nazionali e internazionali che potrebbero migliorarne il funzionamento.
  Molti esempi di agenzie federali, come quelle svedesi, sono piuttosto centrali ma funzionano localmente, nominano localmente, insieme alle Province, i dirigenti locali e li sottopongono a vincoli di risultato molto stringenti, cioè determinano in maniera molto stringente la performance in termini di ricollocazione e di soddisfazione dei clienti, che devono avere i centri locali. La Commissione è gestita dal centro in collaborazione con la Provincia, ma la responsabilità è centrale e il dirigente nominato può essere rimosso per questa via.
  Il primo punto da affrontare, quindi, è la governance, il secondo riguarda cosa esattamente dovrebbero fare i centri per l'impiego e come si può migliorare quello che dovrebbero fare. Credo che nell'ambito dell'informatizzazione della pubblica amministrazione i centri per l'impiego potrebbero essere potenzialmente più facili da informatizzare, perché purtroppo i frequentatori sono sempre gli stessi o abbastanza simili.
  Poiché in tutti i Paesi esistono anche nel settore privato dei sistemi informatici molto ben funzionanti (se chiamate la Telecom, sanno già chi ha chiamato e perché, sanno già di cosa volete parlare sostanzialmente, perché hanno una ricostruzione delle chiamate passate), si potrebbe creare un numero verde centralizzato in cui raccogliere le informazioni ed evitare di perdere tempo recandosi al centro dell'impiego, come avviene oggi.
  La prima fase di accoglienza si potrebbe fare in maniera centralizzata, in modo che poi l'appuntamento al centro per l'impiego avvenga già con delle informazioni ben precise su cosa vuole la persona che si è rivolta al centro.
  Questo potrebbe essere un esempio molto chiaro e non particolarmente difficile di informatizzazione della pubblica amministrazione. Non è molto difficile, perché i centri per l'impiego hanno una platea abbastanza ristretta, una platea ricorrente, quindi è più facile fare una cosa del genere, diversamente da tanti altri servizi, che non sono adatti.
  A quel punto, è chiaro che con l'informatizzazione si libera tutta una serie di risorse per fare poi la vera attività del centro per l'impiego, che dovrebbe essere quella della profilazione e del target di intervento per l'individuo.
  Ci sono molte esperienze internazionali su come si fa la profilazione, c’è una letteratura molto vasta sulla profilazione internazionale e su un sistema di target di assegnazione dell'intervento migliore per la persona che si presenta al centro. Ci sono diversi sistemi per farlo, ci sono sistemi che più si fidano di metodi statistici e sistemi che fanno più affidamento sul colloquio individuale. Credo che sarebbe opportuno un sistema misto.
  Teniamo presente che, come evidenziava l'avvocato Falasca, i centri per l'impiego hanno evidenti limiti di personale, quindi è chiaro che quanto più noi riusciamo ad agire a livello statistico, tanto meno il colloquio personale appare importante. Quando questi sistemi statistici sono stati introdotti in altri Paesi, la prima reazione da parte del personale è stata quella di sentirsi superato dalla tecnologia e dal computer, per cui deve essere chiaro che non è così: è un servizio complementare di aiuto, non la sostituzione dell'operatore locale.Pag. 6
  Deve però essere imposto, perché altrimenti non credo che il servizio, con i numeri di dipendenti che abbiamo, sia sufficiente ad assorbire le attuali esigenze, come probabilmente non è sufficiente ad assorbire le richieste di Garanzia giovani, dal cui funzionamento attuale dovremmo già imparare molto, l'attuale struttura non è sufficiente per far funzionare adeguatamente i centri per l'impiego per tutti i disoccupati, non soltanto per chi usufruisce di Garanzia giovani.
  Sui sistemi di profiling e targeting c’è molta letteratura e c’è molto da imparare, ma questi sistemi statistici vanno adeguati all'Italia. Io non sposo alcun sistema internazionale in toto, però ci sono molte cose da imparare da diversi Paesi, perché le riforme dei centri per l'impiego hanno avuto luogo in diversi Paesi da una quindicina d'anni, quindi è chiaro che lì c’è da imparare.
  Credo che un'altra cosa debba essere molto chiara: da questo punto di vista non credo che possiamo imparare dal modello tedesco dei servizi pubblici per l'impiego, che è un modello quasi esclusivamente pubblico, con un numero di dipendenti dieci volte superiore al nostro, un numero di risorse dieci volte superiore, quindi presumibilmente non arriveremo mai, né possiamo puntare a un sistema tedesco.
  Tutti gli sforzi vanno indirizzati nel gestire la complementarietà con i servizi privati, ed è meglio stabilire subito che il modello è piuttosto quello olandese che quello tedesco, ossia un servizio pubblico che fa soltanto la profilazione e un servizio privato che fa praticamente in esclusiva il servizio di collocamento, ma con standard nazionali, gestiti dall'Agenzia federale, ben chiari e determinati.
  Se il centro per l'impiego pubblico fa la profilazione e i privati fanno il collocamento o le varie politiche attive, il controllo deve essere ferreo, molto severo, come del resto è in Olanda.
  Siccome in Olanda le agenzie private hanno un ranking pubblico, una valutazione pubblica su come funzionano, su quante persone hanno collocato, sulla soddisfazione delle persone che le hanno utilizzate, è loro interesse avere un'associazione delle agenzie private o del terzo settore.
  L'Olanda ha una grandissima quota di terzo settore: i servizi all'impiego sono assicurati non solo da soggetti profit, ma anche no profit, molto spesso gestiti dai sindacati, fatto molto interessante che potrebbe interessare anche l'Italia, laddove i sindacati, che perdono «clienti» nei CAF con la dichiarazione delle tasse precompilata, possono entrare nei servizi all'impiego.
  Di questo l'Olanda è un esempio, però esistono sistemi di tutela della reputazione, associazioni che vigilano per evitare che gli enti ne approfittino e rovinino la reputazione di tutti. Un'associazione delle agenzie private profit e no profit di servizi all'impiego che si autocontrolla a vicenda potrebbe essere un modello utile per l'Italia.
  L'agenzia federale dovrebbe gestire il rapporto con il privato, quindi l'accreditamento, ma anche fissare regole chiare sull'assegnazione delle diverse fasce di difficoltà del disoccupato. Qui la Lombardia ha fatto dei passi avanti, attuando un sistema di assegnazione a fasce con pagamento sulla base della difficoltà di ricollocazione, e un'assegnazione delle doti, che prima avveniva con il click day, che era un disastro, mentre adesso è basata sul dato storico: quanto più hai fatto meglio in passato, tanto più puoi avere delle doti da spendere, con delle quote che evitano l'accaparramento da parte di poche agenzie di servizi all'impiego.
  Il sistema lombardo per quanto riguarda l'assegnazione in fasce è molto utile da utilizzare. La cosa su cui bisogna essere molto severi nel caso in cui, come credo, si dovesse perseguire la collaborazione tra pubblico e privato con la distinzione dei compiti (il pubblico fa profilazione, il privato fa collocamento), è la valutazione del privato e, quindi, il pagamento sulla base del risultato, altrimenti è chiaro che i privati hanno un evidente incentivo, visto che nella maggior parte dei casi sono soggetti for profit, a fare profit sui soldi dello Stato.Pag. 7
  Se però il controllo e la valutazione sono molto seri ed esigenti, si possono limitare molto gli incentivi dei privati a scegliere i beneficiari più facili da collocare, «a parcheggiarli» su corsi di formazione che non collocano proprio nessuno e magari anche a manipolare risultati per far vedere che hanno collocato gente che in realtà non hanno collocato.
  Tutto questo si può imparare anche all'estero, visto che questi sono incentivi comuni a tutti i privati di tutto il mondo: scegliere i beneficiari più facili, parcheggiarli nella formazione e manipolare i risultati per apparire molto bravi nel collocare quando non lo sono. Su questi temi i sistemi di valutazione dei privati sono abbastanza avanzati e credo che si possa imparare molto.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

  RENATA POLVERINI. Grazie, presidente, solo per due cose che mi sono venute in mente durante il primo intervento, che citava la Regione Lazio. Essendomi occupata per qualche tempo di quella istituzione, stavo riflettendo che quella dei servizi per l'impiego è una delibera fatta con la mia Giunta sulla base del Libro bianco Lazio 2020.
  Voglio dare informazioni di dettaglio, che forse non lo è del tutto: l'assessorato che all'epoca si occupava di questo era un assessorato che metteva insieme il lavoro e la formazione, che non è consuetudine nelle Giunte regionali, perché all'assessorato del lavoro spesso si lasciano i problemi e con i fondi per la formazione si fanno attività diverse, ma non strettamente legate al processo di ricerca di posti di lavoro, di risoluzione delle vertenze che pure ci sono sui territori.
  Quella delibera, al di là del fatto che veniva da Europa 2020, nasceva da un Assessorato che teneva insieme questi due elementi. Nel momento in cui questi due fattori poi vengono di nuovo separati, probabilmente si fa fatica ad incrociare i dati.
  La questione che volevo evidenziare, pur avendo sempre rivestito quel ruolo istituzionale, è che io non credo che le Regioni dovessero occuparsi di tale materia e non credo nemmeno che non facendolo abbiano male interpretato il Titolo V: le Regioni hanno abusato del Titolo V, perché nascono come enti legislatori di programmazione delle attività del territorio, che, come nel caso del Lazio, si faceva attraverso le Province.
  Il problema delle Regioni (questo esula da quello che ci stiamo dicendo) è che troppo spesso da enti di programmazione sono diventati enti di gestione. Lo evidenziavo, visto che siamo qui per aiutarci vicendevolmente.

  CARLO DELL'ARINGA. Ringrazio gli esperti che ci hanno dato questo aiuto. Ho sentito cose che suonano come musica per le mie orecchie e che ho ripetuto continuamente fino alla noia (me ne scuso) durante altri interventi, quindi non vorrei ripeterle, ma vorrei sottolineare brevemente alcune cose.
  Ho usato talvolta la stessa immagine utilizzata dall'avvocato Falasca, e forse, avendone parlato insieme, può darsi che lui stesso me l'abbia suggerita, cioè che l'integrazione delle politiche implica proprio che il servizio alla persona (stiamo parlando di servizi alla persona come la sanità e la scuola) sia integrato: sono garante che tu sia aiutato con un sussidio, quindi ho un dovere nei tuoi confronti, ma anche tu hai un dovere che io rappresento e, quindi, ti devi attivare.
  Questo non significa poi che, se non ti attivi, ti tolgo il sussidio, perché anche nei Paesi in cui si ha un'integrazione forte più che altro assumono rilevanza la pressione psicologica che viene dai colloqui, e anche l'aiuto effettivo che il servizio di collocamento dà alla persona per trovare un altro lavoro.
  Se c’è questa integrazione addirittura nella persona, come ha detto bene l'avvocato Falasca, si fa fatica a immaginare che questa persona possa dipendere per metà dalla Regione e per metà dall'INPS. Questo sdoppiamento è un po’ complicato, dovrebbe Pag. 8essere un rapporto di lavoro in rete, non so cosa dovrebbe essere per giustificare il fatto che questa persona dipenda da due istituzioni.
  Una politica di integrazione ha bisogno di un'integrazione di carattere istituzionale, ancor prima che di governance è un problema di carattere istituzionale. Se poi il nostro Paese decidesse che i sussidi di disoccupazione e le politiche attive fossero gestiti a livello di Regione come in Svizzera, si può decidere anche questo.
  Penso che non avrebbe molto successo avere venti Regioni che gestiscono i sussidi di disoccupazione e le politiche attive; credo che sarebbe un disastro, però avrebbe una sua coerenza a tavolino. Altrimenti bisogna pensare a qualche sistema nazionale, dove «nazionale» non significa che le Regioni vengano escluse: nel disegno di legge delega all'esame del Parlamento è scritto che vi è una partecipazione.
  Per quanto mi riguarda potrebbero essere le stesse Regioni a fare un'Agenzia nazionale, rinunciando all'idea che ciascuno debba farla per suo conto. Questo è il punto: perché non farlo assieme ? Cerco di usare tutti gli argomenti convincenti per indurre a questa presa di coscienza.
  Non c’è dubbio che dal momento che, come è stato detto, non possiamo da un giorno all'altro assumere 60-70.000 dipendenti, possiamo fare qualcosa con la mobilità. Visto che adesso con la riforma della pubblica amministrazione dobbiamo andare anche su quel terreno: dovremmo senza dubbio utilizzare i privati, però qui c’è il problema della governance, del rapporto pubblico/privato.
  Non penso che sia fondamentale scegliere tra modello olandese, modello tedesco o modello inglese: credo che dovremmo confrontarci soprattutto con i Paesi più grandi, perché avere 2 milioni di disoccupati invece che 200.000 è dato importante, il numero fa la differenza. Ho sempre detto che in Svezia, in Danimarca, in Olanda, conoscono i disoccupati uno per uno, per nome e cognome, c’è un controllo sociale fortissimo.
  La nostra situazione è un po’ diversa, per cui in Inghilterra e in Germania fanno un tipo di «quasi mercato» anche diverso con bandi, gare, voucher, però il presidio è pubblico (mi sembra che su questo siamo d'accordo). Quanto debba estendersi questo presidio si può discutere, ma le stesse Regioni possono rientrare in gioco anche singolarmente, perché nessuno propone di togliere loro il fondo sociale o la formazione: è scritto nella Costituzione e non possiamo togliere tutte le politiche attive alle Regioni, perché costituiscono l'ossatura del servizio, dell'incontro tra domanda e offerta.
  Il servizio, dal momento che non potrà contare su 110.000 dipendenti, dovrà farsi aiutare dai privati, dalle regioni, dai comuni, con tutti i partenariati possibili e immaginabili a livello locale, ma è importante che la persona, che sta sul campo appartenga a una struttura unica nazionale, diretta anche dalle Regioni (non è un punto centrale).
  Il decentramento è amministrativo, perché gli obiettivi vengono impartiti dal centro, poi i programmi delle politiche attive possono essere stabiliti localmente. In Francia è così, c’è un partenariato a livello locale.
  Credo che questo sia importante. Purtroppo qualcuno ha detto che si può fare, ma noi dobbiamo vedere come sarà scritto il Titolo V; non sarà una passeggiata, perché, forse dovremmo fare qualche riflessione sulla formulazione del testo trasmesso alla Camera – è attualmente in discussione in Commissione –, che mantiene incertezza e confusione circa l'attribuzione dei poteri fra le Regioni e lo Stato.

  SERGIO PIZZOLANTE. In realtà anche l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori entra in questa nostra discussione, perché una cosa che non passa nel dibattito pubblico nazionale di questi giorni è che tutti gli interventi che si sta immaginando di mettere in atto si tengono l'uno con l'altro.Pag. 9
  Chi pensa di riformare l'articolo 18 nel senso dell'abolizione del reintegro e nello stesso tempo di riformare i sistemi di ricollocazione al lavoro e anche i sistemi di integrazione salariale, gli ammortizzatori sociali, deve considerare come siano tutti pezzi che si tengono l'uno con l'altro. In Italia tendiamo troppo spesso a dividere tutto, a dividere in compartimenti stagni, ma l'idea di una riforma complessiva del mercato del lavoro può essere vincente se ogni pezzo è strettamente integrato con l'altro.
  Io sono per l'abolizione del reintegro e, quindi, per una liberalizzazione dell'accesso al lavoro e dell'interruzione dei rapporti di lavoro, ma è chiaro che, nel momento in cui io promuovo questa idea e vado a riformare gli ammortizzatori sociali, è necessario prevedere anche tempi più brevi di integrazione del reddito rispetto ai tempi secolari di oggi della Cassa integrazione sulle diverse forme.
  È chiaro che queste due parti di riforma stanno in piedi e producono risultati positivi se funziona il sistema di collocamento al lavoro: sono tre parti che stanno insieme e stiamo cercando di riformarle tutte e tre. Questo messaggio però non passa, perché sembra che ci sia un accanimento di qualcuno su una parte e un accanimento di qualcun altro sempre sulla stessa parte.
  Il sistema funziona se noi riusciamo a cambiare le tre parti, e allora diventa fondamentale che le politiche attive funzionino, diventa il fondamentale che le politiche attive siano integrate con quelle passive. Gli argomenti che ho sentito qui oggi mi danno molta soddisfazione perché la battaglia sulla riforma dell'articolo 18, la battaglia sulla riforma degli ammortizzatori sociali, è vincente e produttiva se noi riusciamo a cambiare radicalmente anche il sistema di collocamento al lavoro.
  Penso, in particolare, al modello lombardo, alle due grandi linee generali, cioè la valorizzazione del concetto di servizio pubblico anziché di operatore pubblico, che è il grande equivoco politico e ideologico di questo Paese, al tema dell'integrazione tra politiche attive e passive, alla centralizzazione dei servizi, al tema della dote che mette in competizione chi offre servizi per l'impiego – quindi il pubblico e il privato – li stimola a produrre risultati. Non dobbiamo commettere l'errore di parlare di ognuna di queste politiche in modo separato, perché altrimenti non ne usciamo più. Noi produrremo dei risultati importanti, se terremo bene in mente il fatto che ogni parte del sistema serve a far funzionare l'altro, e in questo modo si rende più moderno il mercato del lavoro.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per una breve replica.

  GIAMPIERO FALASCA, Avvocato giuslavorista. Parto dall'ultimo spunto, perché quando ho fatto la battuta sull'articolo 18, mi è venuto subito in mente che in realtà, dimenticando quel numero, i servizi per l'impiego servono ancora di più in un periodo come questo in cui c’è una grandissima esigenza di transizione da un lavoro all'altro.
  Purtroppo in questi ultimi dieci anni abbiamo scoperto, sulla nostra pelle, che si può cambiare lavoro durante la propria vita lavorativa anche con l'articolo 18 (apro e chiudo parentesi), perché ci sono stati centinaia di migliaia di licenziamenti negli ultimi anni (forse milioni) a prescindere dall'articolo 18, e chi oggi resta senza lavoro purtroppo resta solo.
  Devo dire la verità: con tutti i limiti e con tutta l'assoluta settorialità del loro operato, forse se chi è rimasto senza lavoro ha trovato una mano, l'ha trovata nelle agenzie private, che operano alla ricerca di un profitto e quindi danno un servizio limitato solo ad alcuni.
  Si tratta di più di 2.000 sportelli che noi dobbiamo utilizzare, quindi è urgentissimo fare qualcosa e lavorare sull'integrazione tra gli operatori, che è l'unico modo per fare qualcosa, altrimenti continuiamo ad attivare procedure di mobilità dando una montagna di soldi alle persone, e le persone restano a casa per sempre, perché questo è il dramma che sta accadendo.

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  MARCO LEONARDI, Professore di economia presso l'Università degli studi di Milano. Non ho niente di particolare da aggiungere, se non ribadire che, se vogliamo politiche attive e politiche passive integrate, il primo problema da risolvere è quello della governance.
  A causa di quanto abbiamo fatto in passato, non potendo prevedere quello che sarebbe venuto nel futuro, siamo incastrati in un sistema che ha incentivi completamente disallineati, come direbbe un economista, in quanto c’è una testa e c’è una coda che non si parlano, laddove con la testa intendo il centro, l'INPS, chi paga i sussidi, e con la coda intendo la gestione decentrata dei servizi.
  Credo che questo sia il problema più urgente da risolvere e che da questo, imparando dalle esperienze straniere, si possano derivare le altre, ma il punto fondamentale è questo: riconoscere da subito, senza perdere tempo, che inserire la complementarietà dei privati nei servizi per l'impiego è un'urgenza, non è più un «se».
  Il problema è come farlo e come controllarli. Tutti gli sforzi devono essere indirizzati lì, ma mi sembra troppo tardi per pensare al «se». Grazie.

  PRESIDENTE. Mi pare che dall'audizione di oggi emerga la spinta a unificare pubblico e privato, da un lato, e i diversi soggetti che intervengono sul tema del lavoro, dall'erogazione delle prestazioni ai colloqui, alla ricollocazione. Mi pare una pista di approfondimento molto interessante.
  Nel ringraziare ancora una volta i nostri ospiti per il contributo fornito all'indagine, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.

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ALLEGATO

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAGLI ESPERTI

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