XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 30 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI:

Audizione di rappresentanti di Unioncamere.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Gagliardi Claudio , Segretario generale di Unioncamere ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 6 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 6 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 

Audizione di esperti della materia (Tito Boeri, Roberto Cicciomessere, Michele Colasanto).
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Boeri Tito , Professore di economia presso l'Università commerciale «Luigi Bocconi» ... 7 
Cicciomessere Roberto , Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego ... 11 
Colasanto Michele , Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento ... 14 
Damiano Cesare , Presidente ... 15 
Colasanto Michele , Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento ... 15 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 15 
Colasanto Michele , Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 16 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 16 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 17 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 18 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 18 
Damiano Cesare , Presidente ... 18 
Cicciomessere Roberto , Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego ... 18 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 19 
Cicciomessere Roberto , Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego ... 19 
Boeri Tito , Professore di economia presso l'Università commerciale «Luigi Bocconi» ... 19 
Colasanto Michele , Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento ... 20 
Cicciomessere Roberto , Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego ... 21 
Colasanto Michele , Ricercatore di sociologia economica dell'Università cattolica di Milano e Presidente dell'Agenzia del lavoro delle provincia di Trento ... 21 
Damiano Cesare , Presidente ... 21 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dai rappresentanti di Unioncamere ... 22 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata da Tito Boeri ... 62 

ALLEGATO 3: Documento presentato da Roberto Cicciomessere ... 68 

ALLEGATO 4: Documento presentato da Michele Colasanto ... 126

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

    La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Unioncamere.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione di rappresentanti di Unioncamere.
  Ringraziamo il dottor Claudio Gagliardi, Segretario generale, la dottoressa Tiziana Pompei, Vicesegretario generale, il dottor Domenico Mauriello, funzionario, e il dottor Guglielmo Labor, dirigente dell'ufficio stampa. Avverto che i rappresentanti di Unioncamere hanno messo a disposizione della Commissione un documento (vedi allegato 1), di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Do quindi la parola al Segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi.

  CLAUDIO GAGLIARDI, Segretario generale di Unioncamere. Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per questa opportunità di intervenire nell'ambito di questa indagine conoscitiva che a nostro parere costituisce un passaggio importante per consentire una più efficace programmazione degli interventi attraverso i quali favorire il superamento del problema occupazionale.
  Mettiamo a disposizione della Commissione un documento, che mira essenzialmente a sottoporre alla vostra attenzione un contributo di conoscenza e di dati che parte dall'esperienza delle Camere di commercio e alcune proposte nell'ambito dell'analisi che da anni conduciamo sul mercato del lavoro su un elemento fondamentale: come intervenire in maniera organica per superare le numerose asimmetrie di cui soffre il nostro mercato del lavoro.
  Il fatto che, nonostante l'attuale situazione di difficoltà anche e soprattutto sul versante occupazionale, che negli ultimi anni fa registrare una flessione importante della domanda di lavoro espressa dalle imprese, si debba ancora registrare un disallineamento tra ciò che le imprese ricercano e ciò che il mercato del lavoro riesce a garantire in termini di offerta è un problema annoso che si riscontra a livello internazionale, ma nel nostro Paese è particolarmente grave.
  Unioncamere lo rileva attraverso un sistema di indagine ormai quasi ventennale, realizzato in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il sistema informativo Excelsior, che rileva in maniera continuativa, ormai ogni tre mesi, presso le imprese italiane di tutti i settori economici e di tutte le dimensioni la domanda di lavoro che esse esprimono, le difficoltà che incontrano e i profili professionali che stanno cercando.
  Da questo tipo di indagine emerge come ancora ancora oggi, benché in fortissimo calo rispetto al passato, le imprese Pag. 4non riescano a realizzare circa il 10 per cento delle assunzioni che vorrebbero proprio a causa del disallineamento tra la domanda e l'offerta.
  La documentazione che depositiamo evidenzia tre livelli di questo disallineamento su cui sarebbe utile intervenire, a cominciare da un disallineamento che riguarda il tema delle competenze. Le imprese manifestano difficoltà a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno, perché i profili professionali che si presentano alla selezione dal punto di vista delle competenze, della preparazione e dell'esperienza non hanno caratteristiche tali da assicurare un efficace inserimento nel mercato del lavoro.
  Tra i tanti dati che troverete nella documentazione ve ne cito uno eclatante. È vero che è diminuita la difficoltà di reperimento in generale, ma le imprese giudicano di difficile reperimento il 20 per cento dei profili professionali ricercati con una qualificazione universitaria, quindi c’è un disallineamento di competenze.
  Viene quindi chiamato in causa il sistema della formazione. Se si vuole intervenire efficacemente sul mercato del lavoro, bisogna intervenire contemporaneamente sul sistema della formazione, per metterlo in condizione a tutti i livelli, dalla formazione professionale alla formazione universitaria, di conoscere la domanda delle imprese.
  Per far questo, serve un lavoro continuativo di profilatura delle caratteristiche delle imprese (imprese esportatrici, imprese innovatrici, imprese dei diversi settori economici). Nel nostro Paese è necessario un sistema organico, che in maniera integrata con il sistema della formazione permetta di reperire questa informazione.
  Il secondo disallineamento conseguente al primo è il disallineamento nell'orientamento. Se è vero che è difficile reperire il 20 per cento dei laureati e la difficoltà è collegata alla carenza di competenze, abbiamo invece un 17 per cento di richieste delle imprese per le quali le carenze sono collegate a una difficoltà di offerta, quindi non si trovano lavoratori con quelle caratteristiche o strutture in grado di formarli, quindi disallineamento delle competenze e disallineamento dell'orientamento.
  Il terzo disallineamento, che voi conoscete sicuramente anche perché altre audizioni lo hanno messo in evidenza, riguarda i canali attraverso cui si aiuta il mercato del lavoro a far incontrare domanda e offerta. Mentre normalmente gli indicatori che avete a disposizione riguardano i canali che seguono le persone in cerca di occupazione, il nostro apporto riguarda i canali che l'impresa utilizza per trovare i propri collaboratori.
  Il 62 per cento dei canali ancora oggi seguiti dalle imprese è rappresentato da canali di natura informale, e questo denuncia un problema eclatante, mentre i centri per l'impiego riescono a intermediare quote che si aggirano tra il 2 e il 3 per cento dell'occupazione. Se, in generale, i dati che abbiamo anche da altre fonti indicano un 4 per cento di occupati che trova lavoro attraverso i centri per l'impiego, quando consideriamo il dato dal punto di vista delle imprese, l'utilizzazione di questo canale risulta inferiore.
  Il problema rilevante da sottolineare a proposito dei canali di assunzione è legato all'importanza del canale dei tirocini e degli stages, pratica che in Italia riguarda ancora una quota molto contenuta dei giovani sotto i 29 anni. Solo il 4 per cento delle persone in questa fascia di età fa pratica in azienda attraverso questi canali, mentre a livello europeo abbiamo quote almeno triple di giovani che accedono a questi canali (12,9 per cento).
  Abbiamo esempi particolarmente efficaci come il mercato del lavoro tedesco, dove il 22,1 per cento dei giovani sotto i 29 anni ha la possibilità di condurre un'esperienza lavorativa e formativa in azienda, e questo è un formidabile canale che facilita il migliore incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro. In Italia abbiamo una crescita ancora contenuta, che stima 310.000 tirocinanti e stagisti l'anno scorso in attività nelle nostre imprese, ed è importante rilevare come il 10 per cento di queste esperienze si tramuti in assunzioni.Pag. 5
  Questo quadro di asimmetrie fa emergere i punti sui quali è più utile intervenire, con un'ulteriore sottolineatura: a pagare maggiormente per queste asimmetrie sono naturalmente i soggetti meno attrezzati, in particolare le imprese di minori dimensioni.
  Un mercato del lavoro che, nonostante le difficoltà occupazionali, ancora vede i maggiori flussi di assunzioni nelle piccole imprese, trova queste ultime in maggiori difficoltà sia nell'erogare formazione in entrata per colmare le competenze che mancano, sia per trovare i canali giusti per reperire le competenze e riuscire ad essere competitive.
  Per superare tutti i gap del nostro mercato del lavoro servono politiche attive con una forte regia nazionale – non c’è dubbio – perché questo tipo di politiche non può essere lasciato all'autonoma decisione dei singoli territori, ma deve coinvolgerli in una regia unitaria.
  Per questo vediamo positivamente l'idea dell'Agenzia nazionale per il lavoro con qualche caveat, laddove una regia nazionale di questo genere ha bisogno di un altrettanto forte rete sul territorio, perché senza un radicamento sui territori avrebbe difficoltà ad intervenire.
  Deve quindi garantire una serie di politiche attive per il lavoro che integri una regia nazionale forte, unitaria, con reti territoriali pubbliche e private integrate, che all'interno di questa strategia unitaria vengano misurate e finanziate sulla base dell'efficacia degli interventi che riescono a realizzare, non più esclusivamente sul processo di attività che mettono in campo, ma sui risultati che questo processo riesce a conseguire.
  Sulla base di quell'analisi che prima provavo a sintetizzare, quindi, serve una rete territoriale fortemente integrata, perché in tutte le esperienze di forti centralizzazioni e di regie nazionali non si dimentica che non esiste un unico mercato del lavoro, ma esistono tanti mercati del lavoro in rapporto alle differenze territoriali e al mix di attività economiche che in questi mercati del lavoro si svolgono o devono essere promosse.
  Riteniamo che soltanto una conoscenza diretta di quei territori, integrata in una regia nazionale, possa dare i risultati auspicati per contribuire a superare quei gap. Ogni area va studiata e sostenuta con specifici interventi.
  Questa rete territoriale deve essere la più vicina possibile al mondo delle imprese, perché più lo conosce da dentro e più sarà in grado di rilevarne gli effettivi fabbisogni, quindi non una rete burocratica (consentitemi il termine), ma una rete che conosca le imprese, perché anche le migliori esperienze che possiamo mutuare da altri Paesi testimoniano come questi servizi abbiano una forte caratterizzazione proattiva: escono dai servizi e raggiungono le imprese per far emergere i bisogni e agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
  Per questo tipo di rete riteniamo che anche il soggetto pubblico Camere di commercio possa essere di utile supporto, se integrato con altri soggetti, proprio perché, in quanto è il più vicino alle imprese, è fortemente radicato sui territori e, quindi, è in grado di tradurne i fabbisogni.
  Un'ulteriore questione che riteniamo meriti un'attenzione che oggi le priorità non hanno consentito di darle è il tema dell'autoimpiego. Sappiamo che questa è un'opportunità che, specialmente in momenti di crisi economica come quelli che stiamo attraversando, si rivela importante per i giovani, se pensiamo che in termini di mercato del lavoro almeno un quarto dell'occupazione fa riferimento all'occupazione autonoma indipendente e che un terzo delle iscrizioni alle Camere di commercio (più di 400.000 iscrizioni di imprese ogni anno) è di giovani sotto i 30 anni.
  Si tratta, quindi, di un'opportunità rilevante per questi giovani e avremmo auspicato che negli interventi che si sta tentando di mettere in campo avesse un maggior rilievo e un'attenzione dedicata. Crediamo che per le caratteristiche del nostro Paese e per la storia del nostro tessuto imprenditoriale avere a disposizione una rete di punti di accesso su tutto il territorio che possa offrire in maniera Pag. 6omogenea servizi a chi intenda sviluppare un'idea imprenditoriale sia un diritto da garantire, e riteniamo che il luogo naturale a cui rivolgersi al momento di far nascere un'impresa sia la Camera di commercio.
  Per questo in autonomia abbiamo fatto nascere ottantasette sportelli a partire dal mese di maggio, dedicati a un contributo straordinario per favorire l'occupazione nella chiave dell'autoimpiego, sportelli nei quali offriamo una serie di servizi che vanno dall'orientamento all'assistenza per realizzare un business plan, per adempiere alle pratiche amministrative, fino all'accompagnamento al credito e al microcredito, immaginando che un servizio universale di questo genere cambierebbe parte della cultura del nostro Paese.
  Pensate che dalle indagini dell'Istat sulle forze lavoro risulta che circa 130.000 giovani in cerca di lavoro vorrebbero considerare l'opzione di creare un'impresa, ma non lo fanno per le difficoltà nell'ottenere le informazioni giuste, nell'accedere al mercato del credito, per la paura delle difficoltà burocratiche. Crediamo che tra le politiche attive per l'occupazione un servizio pubblico dedicato a questo tipo di funzione possa rappresentare un contributo importante.
  L'ultima questione riguarda il sistema della formazione. Come dicevo prima, il gap riguarda anche la carenza di competenze, quindi politiche attive per il lavoro che non garantissero un sistema di apprendimento permanente sarebbero politiche monche sia per la collocazione, sia per la ricollocazione.
  Modelli efficaci come quello tedesco possono essere molto importanti da questo punto di vista. Conoscete tutti il sistema duale tedesco, che prevede un giorno dell'anno in cui chi ha fatto dei percorsi nel sistema duale (stiamo parlando di centinaia di migliaia di giovani che ogni anno trascorrono i tre quarti della loro formazione direttamente in azienda) sostiene un esame per la certificazione delle competenze nelle Camere di commercio attraverso standard comuni, condivisi a livello nazionale.
  Ritengo che un modello di questo genere sarebbe un supporto importante per affrontare le difficoltà occupazionali di questo momento.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Gagliardi. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CARLO DELL'ARINGA. Vorrei innanzitutto ringraziare l'Unioncamere per averci ricordato i tratti salienti dell'attività che ha svolto in tutti questi anni per un miglior funzionamento del mercato del lavoro italiano. Conosco l'indagine Excelsior fin dalla sua nascita e apprezzo il contributo che ha dato alla conoscenza del problema dei fabbisogni professionali.
  Voglio sottolineare che, come ricordato dal Segretario generale alla fine del suo intervento, in altri contesti nazionali le Camere di commercio svolgono un ruolo fondamentale garantendo quel sistema di alternanza scuola/lavoro che ha avuto così grande successo nel ridurre la disoccupazione giovanile in quei contesti.
  Il sistema camerale ha alle spalle iniziative importanti nell'ambito dei tirocini, degli stages e dell'alternanza scuola lavoro, e quindi c’è solo da sperare che questo cambiamento di clima culturale, che comincia ad affacciarsi anche nel nostro Paese, evidenziando la grande utilità di individuare un filone di formazione al lavoro all'interno dei percorsi scolastici, possa essere l'inizio di un grande cambiamento nel nostro Paese, nell'ambito del quale le Camere di commercio, per la loro storia e l'esperienza maturata, possano dare un contributo fondamentale.
  Nell'immediato, anche ieri sera il Presidente del Consiglio ha ricordato che nella legge delega c’è questa idea di rafforzare le politiche attive del lavoro, un'Agenzia nazionale, ci sono esempi significativi in altri Paesi, ma i nostri partner dell'Unione monetaria sono molto più avanti di noi e noi dobbiamo muoverci molto velocemente, il che significa anche fare tesoro di quanto abbiamo fatto sinora.Pag. 7
  Indagini come Excelsior fatte nell'ambito di Unioncamere possono quindi essere recuperabili in una logica di rafforzamento delle politiche del lavoro, che richiederanno un presidio pubblico ma anche nazionale. Fra parentesi, il successo dell'indagine Excelsior è dovuto a un approccio top down, in seguito rafforzato sul territorio, ma l'intuizione di avere qualcosa in comune su tutto il territorio nazionale è stata il suo grande valore aggiunto. La ramificazione poi è fondamentale, perché i mercati del lavoro sono diversi, quindi anche questo approccio bottom-up deve avere il suo spazio.
  Credo, quindi, che nell'ambito di una futura agenzia, che dovrà avere necessariamente un'ossatura nazionale per garantire efficacia e presenza uniforme sul territorio, visto anche il gap che ci separa dagli altri Paesi europei soprattutto come capacità di risorse da mettere in campo nel breve periodo, dovremo far tesoro di tutto quello che esiste.
  D'altra parte, è quello che si è cominciato a fare con Garanzia giovani, dove le grandi competenze e professionalità che ha il sistema camerale per quanto riguarda la nascita delle imprese sono state utilizzate come una misura fondamentale del piano Garanzia giovani, che sta in parte arrancando proprio per la mancanza di una forte ossatura nazionale pubblica di smistamento dei giovani verso coloro che sono in grado di fornire dei servizi.
  Magari quelli in grado di fornire servizi ci sono, ma manca questa capacità di raccolta, di accoglienza e di smistamento. Questa è la cosa fondamentale da fare, poi ci sono altri soggetti in grado di dare una mano in questa alleanza tra pubblico e privato o anche il terzo settore, come è stato ricordato ieri sera dal Presidente del Consiglio.
  Unioncamere ha un'eredità importante in questo campo e una potenzialità ulteriore nel campo della formazione, che sarà uno degli assi portanti dei servizi da dare ai giovani. Spero che con l'impegno di tutti si possa sfruttare quanto di buono è stato fatto in questo campo, quindi il modo in cui, in questa presentazione, è stato delineato il futuro di forte impegno che ci aspetta è un quadro in cui io mi identifico molto.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, ringrazio i nostri ospiti per il contributo fornito all'indagine e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di esperti della materia (Tito Boeri, Roberto Cicciomessere, Michele Colasanto).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione di esperti della materia. Sono presenti il professor Tito Boeri, ordinario di economia presso l'Università commerciale «Luigi Bocconi» di Milano, Roberto Cicciomessere, ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego, e Michele Colasanto, professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento, accompagnato dalla dottoressa Antonella Chiusole, direttore della medesima Agenzia.
  Avverto che gli auditi hanno messo a disposizione della Commissione documenti (vedi allegato 2) dei quali autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Ringrazio ancora una volta i nostri ospiti e do loro la parola, cominciando dal professor Boeri.

  TITO BOERI, Professore di economia presso l'Università commerciale «Luigi Bocconi». Grazie, presidente, grazie di questa opportunità. Ho preparato alcune diapositive che deposito agli atti della Commissione, non potendo proiettarle.
  Credo che questa indagine conoscitiva sia molto importante, perché affronta un nodo cruciale per le politiche del lavoro in Italia: l'assenza di un'infrastruttura che possa in qualche modo garantire l'attuazione Pag. 8delle politiche attive del lavoro. Queste servono da una parte ad attivare le persone in cerca di lavoro e a spingerle a un comportamento più attivo e attento alle opportunità presenti sul mercato, dall'altra a raccogliere informazioni, a rafforzare i contatti con il mondo delle imprese, per censire le opportunità di impiego che si aprono all'interno del nostro Paese.
  Questa attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro oggi in Italia viene svolta soltanto da agenzie private, spesso con dei limiti oggettivi. I dati sono peraltro eloquenti. Se consideriamo i dati delle indagini campionarie presso le famiglie e le persone in cerca di lavoro, si constata come non ci sia stata una modifica nei comportamenti: l'intermediazione del servizio pubblico dell'impiego è attorno al 2-3 per cento, non ci sono state variazioni dopo l'entrata in campo di operatori privati, come se l'operatore pubblico non si fosse sentito minimamente messo sotto pressione o in competizione con le agenzie private.
  Se comparati a quelli di altri Paesi, i dati presenti in un documento della Banca mondiale ci pongono al livello della MENA Region, (Egitto e Paesi del Medio Oriente), nei quali si ha un livello di intermediazione pubblica pari al nostro e il canale privilegiato per ottenere un lavoro è quello delle conoscenze familiari.
  Questo rimane il dato principale per il nostro Paese: quindi un livello di intermediazione molto basso e, una capacità di raccogliere informazioni sulle opportunità di impiego da parte delle imprese molto bassa, laddove le imprese continuano a vedere nel servizio pubblico dell'impiego più un ostacolo che un aiuto per riempire i posti vacanti.
  Abbiamo rilevanti ritardi nella capacità dei centri per l'impiego di assolvere alle funzioni loro assegnate con il decreto legislativo n. 181 del 2000, funzioni che tre quarti di questi sono in grado di svolgere solo sulla carta, mentre concretamente solo il 50 per cento sembra svolgerle.
  Se consideriamo in particolare i patti di servizio, solo il 17 per cento dei centri per l'impiego è in grado di ottemperare alle funzioni assegnate dalla legge. Si tratta di un serio problema di mancanza di un'infrastruttura in grado di attuare ciò che la legge ha previsto rientri nelle sue funzioni.
  Chiaramente, in questo c’è un problema connesso al dimensionamento del personale del servizio pubblico per l'impiego. Se noi rapportiamo il carico di lavoro e il numero di disoccupati per addetto ai centri per l'impiego, troviamo che l'Italia con 300 disoccupati per addetto è solo al di sotto della Serbia con i suoi 326 disoccupati per addetto, mentre altri Paesi come l'Armenia, la Croazia, la Romania, l'Ungheria, la Moldavia e il Montenegro hanno rapporti molto migliori del nostro, sebbene siano Paesi con tassi di disoccupazione non bassi.
  Sicuramente c’è un problema di sottodimensionamento dei nostri centri per l'impiego, quindi di quantità di persone che lavorano nei centri, ma c’è anche un problema di qualità, in quanto non troviamo le competenze richieste.
  Abbiamo bisogno di laureati che abbiano competenze di natura psicologica, in grado di rapportarsi con persone che hanno subìto il trauma della perdita del posto di lavoro e di motivarle, abbiamo bisogno di esperti di marketing, che insegnino come vendersi meglio, perché cercare lavoro è una professione. Gran parte degli addetti ai centri per l'impiego non possiede però né la laurea, né le competenze necessarie.
  È davvero importante, nel momento in cui la Camera interviene con questa indagine conoscitiva, porre al centro il problema del personale dei centri per l'impiego. Qui c’è un problema sia di dotazione numerica che di competenze qualitative e di allocazione sul territorio nazionale, e, purtroppo, anche di stringenti vincoli di bilancio e di limiti delle assunzioni nel pubblico impiego, per cui gran parte di queste esigenze dovrà essere recepita cercando di migliorare l'attuale distribuzione di dipendenti pubblici sul territorio nazionale.
  Credo che alcune agenzie oggi esistenti in Italia, la cui funzionalità può essere messa Pag. 9in discussione, potrebbero contribuire a migliorare in maniera significativa la dotazione di personale di qualità dei centri per l'impiego. Parliamo di 8.713 addetti per circa 3.300.000 disoccupati !
  Per aumentare la dotazione dei centri credo che parte del personale di agenzie come Italia Lavoro, che oggi occupa circa 1.240 impiegati, delle 250 persone che lavorano presso l'Isfol e degli 80 dipendenti presso il CNEL potrebbe contribuire a migliorare l'attività dei centri per l'impiego, alcuni con una posizione frontale, altri per una posizione di dirigenza. Hanno sicuramente molte più competenze delle persone che attualmente operano presso i centri per l'impiego.
  Ho provato a fare simulazioni quantitative evidenziando che, se dovessimo distribuirli nei centri dove c’è un rapporto tra disoccupati e staff più pesante, riusciremmo ad affrontare la situazione delle regioni con maggiori criticità, a partire dalla Campania per arrivare alla Puglia, riuscendo a migliorare il rapporto tra disoccupati e personale dei centri per l'impiego.
  Se non c’è la volontà politica di affrontare il nodo della dotazione di risorse umane dei centri e dei servizi per l'impiego, qualsiasi riflessione sul miglioramento dell'efficienza dei centri per l'impiego è destinata a non tradursi in atti concreti. Possiamo procedere per via legislativa ad assegnare nuovi compiti, a prevedere nuove funzioni dei centri per l'impiego ma, se non abbiamo chi è capace di farsene carico, non andremo da nessuna parte.
  È altresì fondamentale dotarsi di strumenti di valutazione delle politiche del lavoro, altra carenza molto grave del nostro Paese. Abbiamo tentato molte misure di politica attiva del lavoro, abbiamo utilizzato molti strumenti di incentivazione alle assunzioni e ogni anno si sono introdotti nuovi schemi per la creazione di nuovi posti di lavoro e per la conversione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
  Credo che anche nell'ambito della riforma del lavoro attualmente al Senato, che prima o poi verrà in discussione anche alla Camera, si prevedano incentivazioni fiscali per la conversione dei rapporti di lavoro, ed è davvero sorprendente che, a fronte di tutte queste misure, non ci sia mai stata una raccolta sistematica di informazioni per permetterci di valutare se queste politiche siano state efficaci. Soprattutto per un Paese che ha i vincoli di bilancio dell'Italia e non può permettersi di sprecare risorse penso questo è un grave errore.
  È molto importante che, nel rilanciarne l'attività, si garantisca ai centri per l'impiego la possibilità di far funzionare le varie forme di condizionalità loro assegnate dalla legge, che sono legate sia ai cosiddetti DID, sia ai patti di servizio, sia in genere all'apparato sanzionatorio.
  Bisogna fornire un servizio a coloro che si iscrivono e chiedono al centro per l'impiego un'assistenza nella ricerca qualificata di un posto di lavoro, ma al tempo stesso permettere al centro per l'impiego di sanzionare l'eventuale lavoratore che non sia motivato, rifiuti offerte congrue, non abbia un comportamento adeguato, recandosi sistematicamente presso il centro o partecipando alle offerte di politiche attive proposte.
  Questo è il do ut des che è alla base delle esperienze internazionali di maggiore successo nel rapporto con i lavoratori. Oggi non diamo questa possibilità, non viene quasi mai utilizzata e soprattutto nelle realtà con una presenza dei disoccupati meno frequente presso i centri per l'impiego queste sanzioni vengono meno utilizzate.
  È molto importante anche andare nella direzione di un'unificazione dei servizi pubblici per l'impiego. Il cosiddetto Jobs Act contiene – almeno sul piano formale – un principio che ritengo giusto, quello di andare verso una struttura federale del servizio pubblico per l'impiego, che superi l'attuale frammentazione che è causa di inefficienze.
  Questo ci avvicinerebbe alla casistica internazionale: laddove in Francia, in Germania, in Olanda e nel Regno Unito le strutture di natura federale che gestiscono Pag. 10le politiche attive del lavoro sono strutture fortemente integrate, laddove il carattere federale è importante anche perché tali politiche devono essere integrate con le politiche passive.
  La lezione che abbiamo imparato è che la separazione tra politiche attive e politiche passive non ha senso, le due cose devono marciare di pari passo perché le politiche attive sono uno strumento di attivazione di chi riceve il sostegno pubblico, e vediamo che in tutti i Paesi si spende di più in politiche attive laddove si spende di più anche in politiche passive, quindi le due cose devono marciare di pari passo e possibilmente essere collegate anche ad altre amministrazioni.
  Quando in Italia ci daremo degli strumenti più efficaci anche di assistenza sociale di ultima istanza, l'amministrazione che gestirà quegli aiuti alle persone in condizioni di indigenza dovrà essere rapportata e integrata con la macchina che fa funzionare le politiche attive del lavoro.
  Un'agenzia federale è molto più in condizione di fare queste cose di quanto non lo siano agenzie locali che hanno poi strumenti diversi, variegati nel territorio (abbiamo di fatto venti normative diverse sul territorio nazionale).
  Dato che l'indagine conoscitiva credo riguardi anche il problema della Garanzia giovani, lasciatemi dire una cosa al riguardo. Temo che noi dobbiamo a questo proposito constatare un fallimento, peraltro annunciato, perché sappiamo che i compiti che la Garanzia giovani assegnava al nostro Paese erano compiti che questa struttura del servizio pubblico integrato aveva già dimostrato di non essere in grado di svolgere, cioè il fatto di poter offrire a tutti i giovani dei colloqui di orientamento, delle opportunità di impiego.
  La condizione congiunturale e strutturale del nostro Paese rende questo compito ancora più arduo: nel momento in cui c’è poca domanda di lavoro è molto difficile riuscire a creare queste opportunità per i più giovani, ma c’è proprio un problema strutturale di funzionamento del nostro servizio pubblico per l'impiego che fa sì che anche in condizioni congiunturali più favorevoli avremmo difficoltà a far fronte agli impegni assunti nell'ambito della Garanzia giovani.
  Considero necessaria una grande iniezione di realismo e una presa d'atto di questa situazione. Per evitare che i fondi assegnati al nostro Paese che dovrebbero andare ai giovani finiscano interamente a intermediari privati, rischio fondamentale di questa operazione, dovremmo sfruttare le opportunità oggi presenti sul territorio nazionale che, seppur limitate, potrebbero essere l'inizio di un'operazione molto importante, al fine di migliorare la transizione dalla scuola al lavoro.
  Come sapete, abbiamo un forte problema di disoccupazione intellettuale, abbiamo questo paradosso per cui spesso i laureati fanno più fatica a trovare lavoro di chi ha un diploma (almeno nei primi anni dopo l'uscita dal sistema dell'istruzione), abbiamo il fallimento dell'esperienza dei trienni universitari, per cui credo che dovremmo puntare su una struttura che già oggi esiste: le strutture tecniche superiori che offrono corsi che stanno funzionando molto bene.
  La platea è ancora molto ridotta, ma sono in grado di formare quelle competenze intermedie che oggi vengono maggiormente richieste dal mondo delle imprese. È una struttura agile che non richiede ulteriori fondi perché queste strutture ci sono già, con personale accademico dell'università italiana, quindi già assunto, e con tutta la flessibilità perché, qualora si valutasse che quel corso non è in grado di garantire opportunità di impiego, si può tranquillamente abolirlo e trasformarlo in un altro corso.
  Chiaramente questi centri devono essere legati alla situazione specifica del territorio e coinvolgere le imprese presenti sul territorio, ma ad esempio al sud, laddove si occupano dei beni e delle attività culturali e turistiche, riescono a costruire dei profili professionali intermedi veramente molto richiesti sul mercato del lavoro.Pag. 11
  Credo quindi che oggi dovremmo dare la possibilità ai giovani che ricevono queste risorse attraverso la Garanzia giovani di spenderle per seguire dei corsi di questo tipo, che richiedono tra l'altro fin dall'inizio una compresenza in aule universitarie e in aziende, così da poter essere immediatamente inseriti in esperienze di lavoro.
  Si tratta non di un tirocinio fine a sé stesso, che comunque è una cosa importante, ma di un tirocinio davvero formativo, anche perché in questo caso, a differenza dei tanti contratti formativi che abbiamo messo in piedi nel nostro Paese, c’è un controllo del formatore da parte dell'azienda, che ha tutto l'interesse che il formatore faccia bene il suo mestiere, e c’è un incentivo a chi forma, all'università a controllare che l'azienda svolga altrettanto la formazione sul posto di lavoro.
  Questo controllo reciproco potrebbe essere alla base di una vera trasmissione di conoscenze a coloro che partecipano a questi corsi. Ritengo quindi che bisognerebbe davvero muoversi in questa direzione e che sarebbe un modo di evitare il fallimento annunciato della Garanzia giovani, facendo in modo che non diventi unicamente un modo per foraggiare intermediari privati all'interno del nostro mercato del lavoro. Scusate se ho sforato rispetto ai tempi a disposizione.

  ROBERTO CICCIOMESSERE, Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego. Signor presidente, credo che il punto di partenza sia comune: la scarsa capacità dei centri pubblici per l'impiego di trovare lavoro in tempi accettabili per i disoccupati che si rivolgono a queste strutture.
  Nel documento che ho lasciato agli atti si individua un indicatore per misurare nel confronto europeo il livello di efficacia dei servizi pubblici. Questo è basato sostanzialmente sugli occupati dipendenti che hanno trovato lavoro attraverso i CPI in Europa, che in Italia sono pari al 2,6 per cento della platea dei disoccupati registrati, che sono circa 2.200.000, mentre questa quota sale al 19 per cento nel Regno Unito e in Germania e al 56 per cento in Svezia, dove l'attività di intermediazione dei servizi è molto più efficace.
  Credo che oggi la situazione dell'Italia non sia più tollerabile rispetto al passato anche perché tante risorse non riescono ad aiutare le persone in cerca di occupazione a trovare un lavoro. Ognuno dei 33.000 fortunati che sono riusciti a trovare una occupazione attraverso i centri per l'impiego è costato infatti 93.000 euro di politiche attive, mentre in Germania i 417.000 che hanno trovato lavoro attraverso i servizi pubblici sono costati un terzo (37.000 euro).
  Sollevo anche un'altra questione, perché con l'ampliamento dei beneficiari e la durata del sussidio degli ammortizzatori determinato dalla «riforma Fornero» e gli ulteriori ampliamenti della platea dei beneficiari prevista dal Jobs Act la spesa per l'integrazione del reddito dei disoccupati è diventata e diventerà ancora più insostenibile in futuro.
  Già nel 2012 la spesa italiana per il sostegno al reddito dei disoccupati e dei lavoratori sospesi, quindi sia sussidi di disoccupazione che Cassa integrazione, era pari al 5 per cento del PIL, 24 miliardi di euro, quindi superiore sia alla media europea che a quella della Germania (0,9 per cento del PIL) e molto maggiore di quella del Regno Unito (0,3 per cento del PIL, 5,3 miliardi di euro).
  Bisogna osservare come la maggioranza dei Paesi europei riesca a contenere la spesa per ammortizzatori sociali, perché riduce al massimo il tempo di transizione dallo stato di disoccupato sussidiato a quello di occupato. Nel Regno Unito la percentuale di disoccupati che cessa di percepire il sussidio dopo tre mesi perché ha trovato un lavoro è pari al 55 per cento, che sale al 75 per cento a 6 mesi.
  In Italia non partiamo da una situazione così drammatica, perché il 31 per cento (sono dati INPS, quindi certi all'unità) dei percettori delle indennità di disoccupazione che adesso si chiama ASpI trova lavoro con i propri canali, non certo attraverso il centro per l'impiego, entro tre mesi e il 48 per cento entro 6 mesi, quindi non è impossibile pensare di poter raggiungere Pag. 12gli standard europei rafforzando la capacità dei servizi pubblici e privati per il lavoro; non siamo in una situazione così drammatica, esistono le condizioni concrete per ottenere dei risultati.
  È quindi importante comprendere le ragioni dell'inefficacia dei centri per l'impegno pubblici per individuare le eventuali soluzioni. Ritengo, signor presidente, che le cause principali dell'inefficacia dei centri per l'impiego nell'intermediazione dei disoccupati siano quattro.
  La prima e più importante, già sollevata da Tito Boeri, è che il numero degli operatori in rapporto agli utenti è inferiore alla soglia minima considerata necessaria in Europa per offrire un servizio efficace ed efficiente alle persone in cerca di lavoro e alle imprese. Gli addetti ai centri per l'impiego in Italia sono poco più di 9.000 e ognuno dovrebbe assistere 250 disoccupati, cosa che mi sembra improbabile. In Germania questo rapporto è di 1 a 26, grazie ai 110.000 addetti.
  Nel Regno Unito ognuno dei 78.000 operatori del Jobcentres Plus ha in carico solo 20 jobseekers, mentre in Olanda, Paese che esternalizza ai privati gran parte delle politiche del lavoro, il rapporto fra operatori e utenti sale a 131. Questo dovrebbe essere l'obiettivo dell'Italia in un sistema in cui (la mia opinione è diversa da quella di Tito Boeri) c’è un'attiva collaborazione fra i servizi pubblici e i servizi privati.
  Per meglio capire questo aspetto credo sia utile tenere presente che nel Regno Unito tra la telefonata con cui il disoccupato chiede il primo appuntamento per ottenere il sussidio e il colloquio stesso passano 10-14 giorni (dati della Commissione europea); questo giovane si deve recare ogni due settimane al centro per l'impiego e ogni due settimane deve riferire in un colloquio della durata di 7-10 minuti su almeno dieci attività di ricerca che ha fatto, altrimenti scattano le sanzioni. Questo aiuta a capire cosa significa avere 250 disoccupati per operatore o 20 come nel Regno Unito, altrimenti non si capisce perché questo rapporto non funziona.
  Accennava prima Tito Boeri alla Garanzia giovani, che è operativa dal 1o maggio. Sono 203.000 i giovani che si sono iscritti, 63.000 sono stati convocati e 43.000 hanno ricevuto il primo colloquio, quindi dopo cinque mesi solo il 20 per cento è stato convocato. Da una parte abbiamo quindi 10-14 giorni tra la richiesta telefonica o via internet e il colloquio, qui abbiamo il 20 per cento che è fortunato e riesce ad avere un colloquio.
  Non sorprende, quindi, che in Italia la spesa annuale dedicata ai servizi per l'impiego sia insignificante, pari allo 0,03 del PIL (meno di 500 milioni di euro), mentre in Francia è dieci volte superiore (5 miliardi), nel Regno Unito ammonta a 6 miliardi solo per i servizi per l'impiego, non tutta la spesa per le politiche del lavoro, in Germania a 9 miliardi e in Olanda, Paese che utilizza il modello basato sull’outsourcing competitivo delle politiche del lavoro ai privati, si ha la spesa più elevata per i servizi per il lavoro, 0,37 per cento del PIL, pari a 2,2 miliardi.
  L'Italia spende 500 milioni per circa 2,2 milioni di disoccupati, di persone che si sono recate al centro per firmare il DID, i Paesi Bassi spendono 2,2 miliardi per 570.000 disoccupati registrati ! Questo dato sui Paesi Bassi mette in evidenza una cosa che credo debba essere chiara: l'esternalizzazione ai privati dei servizi per il lavoro non è gratuita.
  Anche se in tutti i Paesi europei, ma anche in alcune regioni italiane, come il Piemonte, la remunerazione è legata in gran parte al risultato occupazionale, esiste comunque un costo non confrontabile con la gestione dello stesso servizio con dipendenti.
  Se quindi l'Italia adottasse il modello olandese, come auspico, affidando ai privati le attività di intermediazione dei disoccupati che il centro per l'impiego pubblico non riesce ad occupare entro 6 mesi (il modello del Regno Unito prevede 12 mesi), dovremmo avere circa 19.000 addetti e spendere per i servizi pubblici e privati circa 5 miliardi.
  Nel Regno Unito c’è il Work Programme, che è stato affidato ai privati, ha Pag. 13un certo successo e costa circa 800 milioni di euro all'anno. Si tratta di un programma rivolto ai disoccupati di lunga durata, alle persone disabili e ai giovani problematici. Il risultato è che viene occupato il 36 per cento, mentre prima il Job Centre riusciva a occupare il 25 per cento di questo target difficile.
  La seconda causa dell'inefficacia dei centri per l'impiego è altrettanto importante: l'assenza nei centri di servizi per le imprese. La maggioranza dei centri pubblici italiani non offre alle imprese un servizio essenziale, la copertura dei posti vacanti, quindi non è in grado di proporre offerte di lavoro ai disoccupati registrati e si limita a erogare misure di orientamento e di formazione. Al contrario, tutti i centri pubblici europei hanno due tipi di clienti, i disoccupati, che devono essere aiutati a trovare un lavoro, e i datori di lavoro, ai quali far coprire i posti vacanti.
  In Francia gli addetti alle imprese sono pari al 33 per cento, nel Regno Unito al 51 per cento; quindi bisogna ampliare gli operatori, anche perché senza il cliente impresa non si può fare intermediazione, perché si conoscerebbe solo l'offerta e non la domanda di lavoro.
  La terza causa riguarda la questione centrale già sollevata da Tito Boeri: l'erogazione congiunta delle politiche attive e passive, che consente a tutti i Paesi di esercitare la condizionalità nell'erogazione del sussidio al comportamento attivo del beneficiario e di ridurre quindi i comportamenti opportunistici e il lavoro nero.
  Quando nel Regno Unito un giovane ogni due settimane deve attivarsi e attivare i dieci contatti e colloqui procurati dal centro per l'impiego, evidentemente non ha molto tempo per fare il lavoro nero. In Italia, invece, le politiche passive sono di competenza statale, pagate dall'INPS, mentre le Regioni attraverso le province erogano i sussidi. La Regione non ha quindi un interesse specifico nell'abbattere il costo dei sussidi di disoccupazione.
  La quarta causa è che l'Italia spende male le risorse. Diversamente da quanto si pensi, l'Italia ha una spesa complessiva per le politiche del lavoro fra le più elevate in Europa, l'1,7 per cento del PIL nel 2011, che è allineato sostanzialmente alla media europea, ma che nel 2012 è salito al 2 per cento del PIL (stiamo parlando di 31 miliardi) e supera in valore percentuale la Germania (1,7 per cento del PIL) che, avendo un PIL maggiore, spende 44 miliardi.
  Il problema è anche un altro: il nostro Paese spende male queste ingenti risorse. Considerati pari a cento i 31 miliardi complessivi per le politiche del lavoro, in Italia se ne spendono il 2 per cento per i servizi per il lavoro, il 18 per cento per le politiche attive, e l'80 per cento per i sussidi di disoccupazione, quindi ammortizzatori e prepensionamenti.
  Nel Regno Unito si spende il 46 per cento per i servizi (in Italia il 2 per cento), l'11 per cento per le politiche attive (in Italia il 18 per cento) e solo il 43 per cento per i sussidi (in Italia l'80 per cento, perché da noi la durata del periodo di disoccupazione è maggiore). Da questo dato emerge un'altra considerazione: non si può prevedere di aumentare ulteriormente la spesa, bisogna ridurre alcune spese e aumentarne altre.
  Anche la capacità di intermediazione dei servizi privati è modesta, le agenzie per il lavoro intermediano circa il 5 per cento degli occupati, ma gran parte è costituita da lavoratori interinali, quindi la quota di persone intermediate con altre imprese è molto bassa. In generale il modello cooperativo fra servizi pubblici e agenzie non ha funzionato, anche perché ci sono tante normative.
  Vado velocemente alle proposte. A mio avviso bisogna adeguare il personale dei centri per l'impiego portandolo a 20.000 addetti, nell'ambito di un modello cooperativo con le agenzie, ricondurre alla competenza dello Stato le politiche del lavoro, diversificare le competenze degli addetti che devono operare anche sulla domanda, abbattere le incombenze amministrative, intervenire sulle politiche attive.
  Ci sono due grandi voci di spesa nelle politiche cosiddette «attive», gli incentivi all'impresa: una costa 1,5 miliardi di euro ed è costituita dalla (legge n. 407 del 1990 Pag. 14relativa ai disoccupati oltre i 24 mesi) l'altra costa 1,7 miliardi e si riferisce agli apprendisti. La prima credo che serva per mantenere nello stato di disoccupazione e, quindi, nel lavoro nero, il lavoratore, finché matura i 24 mesi di disoccupazione, al termine dei quali viene assunto dall'impresa che nel Mezzogiorno ottiene la completa eliminazione dei contributi. Bisogna anticipare l'abolizione della Cassa integrazione. Rispetto alla questione che è stata affrontata anche da Tito Boeri, esistono oggi risorse effettive come quelle di Italia Lavoro e di altre agenzie nelle quali sono presenti 1.500-2.000 operatori competenti di politiche del lavoro, che potrebbero essere immediatamente attivati per il rafforzamento dei centri per l'impiego.
  Queste persone che attualmente lavorano per Italia Lavoro potrebbero consentire l'operazione auspicata di trasferire da altre amministrazioni pubbliche personale che però deve essere formato.

  MICHELE COLASANTO, Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento.
  La materia è evidentemente densa e appassionante, ma una delle qualità consiste nel renderla in modo sintetico. Ringrazio di questa occasione che mi permette di esprimere una valutazione di ordine generale, una preoccupazione, fermo restando che condivido le considerazioni di base avanzate precedentemente, in particolare per quanto riguarda la qualità e la quantità dei servizi prestati in questo Paese.
  La preoccupazione riguarda il fatto che già altre volte i servizi per l'impiego sono stati messi in discussione in questo Paese (almeno due o tre volte) e questa volta ho la sensazione che il problema sia ancora più serio, perché, come avviene del resto in Europa, le politiche sono fatte di misure e servizi.
  Le misure e gli interventi che sembrano dare maggiori garanzie di efficacia immediata si traducono in milioni di euro spesi per questo gruppo o quel target appaiono più interessanti agli occhi di un osservatore politico che non i servizi, specialmente se i servizi non funzionano.
  Temo che, se questa volta non riusciamo a dare una svolta alle politiche attive e ai servizi in particolare, la delegittimazione sarà particolarmente più forte che non in altri casi. Quel 3 per cento di indice di penetrazione (possiamo chiamarlo così tecnicamente), di capacità intermediazione, la dice lunga rispetto a quello che accade in altri Paesi: nelle comparazioni statistiche, siamo sostanzialmente penultimi in quanto la solita Grecia viene dopo di noi.
  Bisogna anche dire una cosa importante: se, come io credo, hanno valore le indagini svolte dall'ISFOL sulla capacità o incapacità del pubblico, ma anche sulle difficoltà del privato a realizzare azioni di intermediazione, bisogna stare attenti, nel senso che immaginare un maggiore impegno dei privati può essere utile.
  Io lo ritengo utile, perché in provincia di Trento (non posso non far riferimento all'esperienza da cui provengo) abbiamo definito recentemente una rete di servizi, che fra l'altro ricomprende in modo privilegiato gli enti bilaterali, perché gestiscano prevalentemente quote di politica attiva in particolare e anche pezzi di politica passiva, però dai dati che ci fornisce l'ISFOL la capacità intermediazione delle agenzie private è lo 0,6 per cento rispetto a un 3 per cento del pubblico.
  Il rischio di privilegiare i privati senza fare un patto con questa realtà e riuscire a capire quanto possa essere importante e utile il coinvolgimento mi sembra da tenere in considerazione.
  Questo tanto per non ripetere i soliti mantra, che abbiamo bisogno di dati anche legati a processi di realtà.
  Convengo che il punto di debolezza nell'intermediazione è la difficoltà che hanno le imprese a rivolgersi ai centri per l'impiego. Le imprese, quindi, non comunicano, soprattutto non offrono soprattutto le famose vacancies, e d'altra parte non abbiamo sistemi informativi in grado di rilevarle (lo fa il sistema Excelsior, ma approssimativamente), mentre in altri Pag. 15Paesi le vacancies sono la misura della capacità dei servizi per l'impiego di essere efficienti da parte, se e quanto sono in grado di definire le vacancies e di intervenire nell'intermediazione; infatti, anche in un Paese dove la disoccupazione è quella che è, i media e gli studi di settore ci raccontano quotidianamente che esistono posizioni di lavoro non ricoperte.
  Mi sembra che per migliorare la gestione dei servizi per l'impiego occorra non solo investire di più in uomini e risorse, ma anche adottare modelli organizzativi diversi. Ho lasciato agli atti una memoria che riguarda l'Agenzia del lavoro di Trento, che è unica nel suo genere, e – prevengo l'obiezione – disponeva di risorse, però c’è un modello organizzativo che è sopravvissuto per trent'anni nel bene e nel male, un modello concertativo perché le linee sono formulate dalla Commissione provinciale per l'impiego...

  PRESIDENTE. Non si può più dire la parola «concertativo» !

  MICHELE COLASANTO, Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento. Abbia pazienza, ho fatto studi di un certo tipo e continuo a farli, quindi ritengo che il corporativismo e il neocorporativismo siano le cose da evitare in questo Paese, ma la concertazione forse...

  CARLO DELL'ARINGA. È memoria o nostalgia ?

  MICHELE COLASANTO, Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento. Io non ho memorie né nostalgie da proporre a questa Commissione, io ho un'esperienza che naturalmente conosce le sue difficoltà e ho un Consiglio di amministrazione con la presenza delle parti sociali che è di tipo co-decisivo: si fa addirittura co-decisione sulle politiche.
  Sembra che in questi anni abbiamo fatto qualcosa di buono e la memoria forse può darne conto insieme alla disponibilità di risorse. Voglio dire che occorre che i centri abbiano una forma organizzativa che consenta loro, come avviene in altri Paesi, di giocarsi la propria responsabilità.
  In altri contesti le agenzie lavorano per obiettivi, con dei contratti di servizio, con stanziamenti di budget annuali e con la resa dei conti: alla fine di ogni anno si discute perché gli obiettivi indicati inizialmente non siano stati raggiunti. Se la disoccupazione sale, non può essere colpa di un centro per l'impiego, però, se sale più di quanto si è immaginato...
  L'autonomia organizzativa (l'agenzia di Trento ha un'autonomia anche amministrativa) consentirebbe di lavorare per obiettivi, di identificare target e di giocarsi una responsabilità che altrimenti in questa dizione generale di pubblico si stempera. Mi sembra importante attuare la condizionalità che è stata richiamata; il problema è che la si evoca normativamente ma non la si realizza: la si può realizzare se si tengono insieme politiche attive e politiche passive.
  Nella sua peculiarità e particolarità, la Provincia di Trento ha ottenuto una delega in materia di ammortizzatori sociali (per prestazioni migliorative, peraltro, non è una vera e propria delega: si poteva fare forse qualcosa di più, ma lo Stato così ha voluto) e questa contestualità di politiche attive e passive, che vengono gestite attraverso l'INPS ma su responsabilità della provincia, consente di immaginare una sostanziale applicazione del principio di condizionalità. Conosco, infatti, nome e cognome di coloro che non rispondono al patto di servizio che viene stipulato e, se voglio, posso intervenire.
  Ci vuole anche la cultura dell'intervenire, di non avere timore, mentre forse la cultura diffusa è diversa. Stiamo realizzando Garanzia giovani su quattro linee sulle quali è inutile scendere in dettagli.
  Non so se dappertutto sarà un fallimento, perché abbiamo appena iniziato, abbiamo 3.000 iscritti, che vengono chiamati Pag. 16e ai quali si prospetta loro un appuntamento. Il 30 per cento dei chiamati non risponde all'appello, non si presenta, non si giustifica, e la metà è comunque rappresentata da giovani provenienti da altre regioni, quindi la contendibilità sarà l'altra questione, dovendosi capire se funziona sul piano amministrativo e della progettazione.
  Convengo sulla valutazione delle politiche, noi abbiamo fatto delle esperienze di valutazione di impatto per la formazione dei disoccupati, che sono state recensite anche nel sito de La voce, e abbiamo visto che è un'esperienza interessante; non sempre la formazione serve, però riusciamo a capire quando serve, per chi serve e per chi non serve. Per i giovanissimi ad esempio serve poco, per le donne e per gli immigrati serve moltissimo, perché la probabilità di occupazione aumenta dopo aver seguito un corso di un certo tipo.
  Sugli incentivi, invece, non abbiamo valutazione e io ho l'impressione che noi siamo ciechi di fronte agli incentivi, non abbiamo strumenti per capire se servano, se l'effetto «peso morto» funzioni. Nella sede di Trento saremmo arrivati alla conclusione di provare a non erogare incentivi, perché abbiamo la sensazione che non siano gli incentivi a convincere un imprenditore ad assumere. Si tratta, comunque, del dibattito in atto in questi giorni.
  Per la valorizzazione del filone tecnico del nostro sistema formativo, credo che sia un problema che abbiamo finalmente scoperto dalla «riforma Moratti» in poi, perché è stata la riforma Moratti che ha rimesso in gioco gli studi tecnici contro una liceizzazione in merito alla quale anche il Ministro Berlinguer aveva tentato qualcosa.
  Il problema è l'istruzione terziaria non accademica: in questo Paese manca un livello di istruzione tecnica superiore non accademica, da non dare all'università (lo dice un professore universitario), perché noi facciamo un altro mestiere, non prepariamo tecnicamente se non in alcuni casi specifici.
  Abbiamo la grande capacità di creare classe dirigente, ma per dare quei quadri intermedi di cui hanno bisogno le piccole e medie imprese forse occorre un tipo di formazione non accademizzata. Questa è la mia esperienza, che data ormai qualche anno.
  Riassumerei le considerazioni puntuali sulle cose che ho detto. Da una parte abbiamo questo grande scenario desolante di questi centri che sembrano non rispettare alcun requisito europeo, dall'altra parte però abbiamo alcune indicazioni precise, che non costano eccessivamente, come ad esempio quella di recuperare personale da altre amministrazioni, che mi sembra il minimo del buonsenso.
  Per quanto riguarda la formazione per i disoccupati, che riteniamo tutti molto costosa e di difficile attuazione anche alla luce dei problemi che abbiamo con il Fondo sociale, la messa in campo del sistema formativo pubblico potrebbe essere interessante, così come potrebbe essere interessante la messa in campo delle stesse università soprattutto per i disoccupati con mansioni elevate.
  Il punto fondamentale è che il sistema formativo pubblico si metta in questa prospettiva, accetti di lavorare anche per le politiche del lavoro, come avviene in altri Paesi, e che anche l'università accetti di farlo. Non mi si risponda che l'università è troppo grande per i territori di questo Paese che sono troppo piccoli.
  Credo che da questo punto di vista sia necessario qualche input politico, che certo costa politicamente, ma economicamente non costa poi tanto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

  DAVIDE TRIPIEDI. La prima domanda al professor Colasanto. Secondo lei, come mai il 30 per cento delle persone che ha ricevuto una comunicazione della Garanzia giovani non ha risposto, e come avviene la comunicazione al lavoratore ?
  Se nei centri per l'impiego ci sono laureati che non hanno una formazione ad hoc per aiutare i disoccupati a cercare lavoro, professor Boeri, se lo Stato non dà uno Pag. 17strumento ai centri per l'impiego per far sì che i propri componenti abbiano una formazione elevata, non è certo colpa dei lavoratori.
  Vorrei rivolgere una domanda di carattere tecnico a tutti gli auditi. Il 90 per cento delle aziende italiane è costituito da piccole e medie imprese e le assunzioni non funzionano certo attraverso i centri per l'impiego. Vi cito la mia esperienza: ho trovato lavoro dal parrucchiere che mi ha detto che un idraulico aveva bisogno di un garzone, e così funziona per il resto delle imprese. Avete un'idea per far sì che queste piccole imprese si rivolgano direttamente al centro per l'impiego ?

  CARLO DELL'ARINGA. Più che domande, vorrei esprimere qualche riflessione anche per ringraziare dei contributi che mi vedono simpatizzante, visto che anch'io mi sono a lungo interessato di questi problemi, per cui questa sera mi sentivo sdoppiato, in quanto da una parte mi sento un politico, ma dall'altra condivido molte delle osservazioni fatte.
  C’è un fattore politico di carattere culturale, alla base del fatto che solo il 2 per cento della spesa è destinato ai servizi, mentre il resto è utilizzato per trasferimenti, incentivi o sussidi. Il Paese preferisce queste cose, la politica interagisce con il Paese, ne è influenzata e fatica a influenzarlo.
  Ormai siamo in concorrenza, si è scelta la strada del welfare condizionato, non c’è altro modo per finanziarlo se non renderlo condizionato, e noi facciamo una fatica tremenda.
  Anche se è cinico dirlo, la Garanzia giovani, se non altro, ha agevolato l'avvio di un cambiamento di cultura, perché ha attirato l'attenzione: metterà in luce quei pochi casi che funzionano e che dimostreranno che in Italia, volendo, si può fare una politica attiva (sarà Trento, sarà Torino, sarà Pordenone). Negli altri casi, soprattutto per condizioni ambientali, in particolare in certe regioni del Mezzogiorno, emergeranno le forti carenze.
  Questo ricorda quanto è successo in Germania prima delle riforme Hartz, nate dopo lo scandalo dei centri per l'impiego che falsificavano i dati sul collocamento per dimostrare il loro grado di performance. Hanno impiegato 4-5 anni per rimettere tutto a posto, e avevano già l'Agenzia nazionale almeno da settanta anni !
  Aver attirato l'attenzione su queste tematiche può essere utile: infatti si nota, se non altro, che per la prima volta in una legge delega appare in modo più stringente di quanto non apparisse nella «legge Fornero» questa volontà di fare un'Agenzia nazionale, che metta insieme l'ASpI con le politiche attive.
  È un passaggio culturale importante, non basta, perché chi è fuori si accorge che il dibattito in questo momento in Parlamento riguarda altre cose, che si parla di aumentare la dotazione per gli ammortizzatori sociali, non di investire un altro miliardo per fare l'Agenzia nazionale, si dice anche che la Cassa in deroga rientrerà, ma sarà difficile se al contempo non ci sarà una politica attiva forte, che sia in grado di realizzare la condizionalità, perché deve essere fatta anche in modo autorevole.
  In Germania ci sono 6.000 dipendenti che lavorano nelle imprese e fanno un servizio alle imprese. Queste si rivolgono ai centri per l'impiego perché ricevono un servizio e anche gratis ! Questo è il modo in cui manifestano le vacancies, non perché viene detto loro, ma perché a loro conviene.
  Questo è un processo culturale di cui siamo solo agli inizi e c’è ancora molto da fare. D'altra parte, non c’è alternativa a questo, e non si tratta solo delle politiche attive, ma dell'integrazione tra politiche attive e passive, come avete giustamente detto.
  Nessuno però ha osservato che per fare l'integrazione bisogna togliere all'INPS tutti gli ammortizzatori, cosa quasi più difficile di togliere alle regioni le politiche attive. Sperando in un nuovo presidente dell'INPS molto sensibile a queste tematiche, magari si può fare un passo avanti, ma la grossa resistenza è lì, e l'integrazione non si fa con i computer: in Germania Pag. 18la stessa persona dà il sussidio e ricorda al lavoratore che ogni dieci giorni deve venire a valutare quanto potrebbe fare.
  Da lì viene fuori un sussidio assistenziale, non solo assicurativo per i disoccupati di lunga durata, ma a quel punto però un mini job va bene, ci aggiungo anche 300 euro se ha difficoltà familiari (pagare l'affitto e il cibo) e si arriva anche a 1.000 euro al mese, ma, se non si accetta, la stessa persona lo sospende per tre settimane, poi per sei e poi per dodici e poi per sempre.
  Il sussidio assistenziale in Germania è dato senza limiti di durata. Dura per sempre ? Niente affatto: un posto di lavoro si trova prima o poi. Pensate se dovessimo introdurre in Italia un sussidio senza limiti di durata: quanto costerebbe secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato un sussidio senza limiti di durata ?
  Questo è un problema di cultura e di politica al contempo. Crediamo che l'aiuto debba essere dato in termini di risorse, di soldi, di incentivi alle imprese per assumere e sussidi alla gente per campare, ma questo non ce lo possiamo più permettere e saremo sempre in ritardo rispetto a quello che possiamo fare.
  In Germania hanno impiegato quattro anni, noi in 1.000 giorni riusciremo a fare qualcosa !

  IRENE TINAGLI. Una domanda velocissima al professor Boeri e una rivolta a tutti. In merito a Garanzia giovani lei formulava l'interessante suggerimento di utilizzare le scuole tecniche, ma, visto che fin dall'inizio non riuscivo a capire come far funzionare una cosa del genere dal momento che l'infrastruttura non aveva funzionato per tutti questi anni, ha poi aggiunto che altrimenti si rischia di foraggiare intermediari privati.
  Al di là della volontà di foraggiare i privati, ci chiediamo se anche lì non stia funzionando niente, se ci siano operazioni di monitoraggio. Se invece ci fosse modo di farlo funzionare, potrebbe essere una modalità. Non ho questi dati e sarei interessata a conoscerli.
  Abbiamo parlato dei sussidi, degli ammortizzatori, dei servizi e delle politiche attive, ma non del tema della formazione che è collegato, perché tutte queste attività si collegano a programmi di formazione. Capisco che questo è un mare magnum, però mi chiedevo se aveste un'idea di come utilizzare quel tipo di risorse, se ci siano analisi di impatto e quanto si potrebbe reperire per indirizzarlo verso politiche attive che funzionino meglio o per rafforzare questi centri per l'impiego. Vorrei chiedere infine se soprattutto in base alla sua esperienza a Trento l'integrazione funzioni con i vari soggetti privati sul territorio, non solo agenzie ma anche cooperative (l'ho visto in Toscana) o università, laddove a volte c’è un problema di comunicazione e di gelosia dei dati, se possa esistere un modello virtuoso da incentivare o rendere più cogente. Grazie.

  CLAUDIO COMINARDI. Vorrei porre una domanda piuttosto semplice. Personalmente da utente ho visto peggiorare la qualità del servizio dei centri per l'impiego in corrispondenza con la liberalizzazione delle agenzie interinali.
  Vorrei sapere se questo vi risulti, anche perché in base alla mia esperienza spesso nelle agenzie interinali si svolge un lavoro dozzinale, non mirato a incrociare in maniera qualitativa la domanda con l'offerta.
  Questa è una delle questioni che si dovrebbero tenere in considerazione valutando le qualità e le richieste dell'utente. Il centro per l'impiego deve avere infatti non un monopolio, ma una forza prevalente rispetto ai suoi concorrenti.
  Vorrei sapere se ci siano delle formule per garantire questa centralità, perché purtroppo le agenzie interinali non si possono mettere al bando.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per una breve replica.

  ROBERTO CICCIOMESSERE, Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego. Il problema centrale è quello della sostenibilità del sistema di flexsecurity con l'attuale struttura di servizi per il lavoro.Pag. 19
  Credo che non ci sia sufficiente comprensione su questo: l'aumento della flessibilità in uscita deve essere compensato con ammortizzatori che coprano una platea sempre maggiore, e questo produce un costo. O si interviene riducendo il costo dei sussidi oppure non si arriva da nessuna parte, quindi credo che le soluzioni che ho cercato di individuare siano obbligate. Per quanto riguarda il problema dell'INPS, attenzione: se carichiamo i centri per l'impiego anche delle procedure amministrative di gestione degli interventi di integrazione del reddito, ci vogliono 80.000 dipendenti !

  CARLO DELL'ARINGA. Si spostano quelli dell'INPS !

  ROBERTO CICCIOMESSERE, Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego. Si può usare il modello svedese, utilizzato anche in Italia in alcune occasioni, in cui il centro per l'impiego autorizza il sussidio e lo revoca in caso di infrazione e l'INPS lo paga.
  Sono più del 50 per cento in alcune regioni le persone convocate che non si sono recate ai centri per l'impiego. Credo che dipenda dal fatto che non c’è stata pubblicità e che la quota di laureati è molto elevata, quindi si tratta di persone che probabilmente hanno meno urgenza di altre di trovare un lavoro.
  Per quanto riguarda le piccole e le grandi aziende. Noi abbiamo un'idea strana del mercato del lavoro e non ci rendiamo conto che ogni anno ci sono 10 milioni di assunzioni e 10 milioni di cessazioni, perché ragioniamo in termini di stock medi, ma questo deriva dal saldo che può essere positivo o negativo, quindi ci sono assunzioni, ci sono vacancies da coprire.
  L'ultima questione attiene al problema della formazione professionale, nell'ambito degli ITS (Istituti tecnici superiori), in particolare per quanto riguarda i NEET. Gran parte dei NEET sono giovani che hanno abbandonato gli studi e hanno al massimo la licenza media. Per costoro sarebbe fondamentale proporre l'apprendistato di primo livello per la qualifica e il diploma professionale. Sono nato in una regione vicino alla sua, a Bolzano, dove l'apprendistato duale funziona benissimo e il tasso di occupazione giovanile è il 40 per cento, mentre nel resto d'Italia è il 19 per cento.

  TITO BOERI, Professore di economia presso l'Università commerciale «Luigi Bocconi». L'onorevole Tripiedi mi chiedeva se dessi la colpa ai dipendenti dei servizi pubblici per l'impiego per il loro basso livello di istruzione: certamente no, non è una loro responsabilità e credo che anche persone con un basso livello di istruzione possano essere di grande aiuto nella gestione e nel funzionamento dei centri.
  Esiste però un problema se in regioni come la Sicilia, dove si concentra gran parte della disoccupazione nazionale (più del 10 per cento), solo il 9 per cento dei dipendenti dei servizi pubblici per l'impiego è costituito da laureati, perché le competenze richieste per aiutare le persone che cercano lavoro spesso si acquisiscono con livelli di istruzione superiori a quello di scuola secondaria, in quanto psicologia e marketing sono davvero molto importanti.
  Bisogna quindi investire in quella direzione, il che non significa che queste persone non abbiano un ruolo da svolgere, ma bisogna avere più persone in grado di aiutarle e di dare questi servizi ai disoccupati.
  Condivido anche la considerazione sulle piccole e medie imprese che tendono a preferire canali di reclutamento di natura informale, però, se consideriamo anche altri Paesi con una struttura economica simile alla nostra, come i Paesi dell'est europeo, vediamo che il grado di intermediazione dei servizi pubblici per l'impiego è nettamente superiore, quindi non è detto che avere una struttura dominata dalle piccole imprese debba togliere loro qualsiasi ruolo.
  Credo che questo avvenga per altre ragioni, legate all'inefficienza dei servizi Pag. 20pubblici per l'impiego e a una cultura della gestione di queste imprese di tipo familistico, ma questo è un tema che ci porterebbe lontano.
  Onorevole Dell'Aringa, condivido molte delle sue considerazioni, sono particolarmente d'accordo sul fatto che l'INPS deve avere un ruolo, quindi quando si parla di cambiare le amministrazioni, il discorso dell'INPS è molto importante, perché nell'integrazione tra politiche attive e passive anche le sedi e il personale dell’ INPS potranno avere un ruolo importante da svolgere.
  L'onorevole Tinagli mi chiedeva degli istituti tecnici superiori, che credo abbiano un ruolo molto importante da svolgere. Le esperienze di cui disponiamo in Italia sono estremamente incoraggianti circa la loro capacità di fornire la formazione oggi richiesta dal mondo delle imprese, tra l'altro anche utilizzando personale accademico, che non richiede costi aggiuntivi. In Italia, tra l'altro, abbiamo troppe sedi universitarie, quindi serve un modo per far fronte a questa anomalia.
  Non penso che gli intermediari privati abbiano un ruolo negativo, anzi è molto importante che ci siano e che facciano di più. La mia preoccupazione è unicamente che questi soldi della Garanzia giovani vadano ai giovani e non vorrei che finissero unicamente nelle mani di intermediari. Siccome quelli pubblici non funzionano, finirebbero in quelli privati, ma non c'era un'accezione negativa nel fatto che fossero privati: vorrei soltanto che non finissero nelle mani degli intermediari.
  Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Cominardi, la concorrenza è importante, ma la pressione competitiva derivante dagli intermediari privati si è dimostrata del tutto insufficiente a migliorare le prestazioni dei servizi pubblici per l'impiego. Il grado di intermediazione è rimasto lo stesso da quando abbiamo permesso alle agenzie interinali, prima forma di collocamento privato, di entrare in funzione.
  Penso che in Italia il settore pubblico continui a operare come se fosse in condizione di monopolio anche se non lo è, che occorra un controllo amministrativo molto serrato e indicatori di performances, come ricordato anche prima dal professor Colasanto.

  MICHELE COLASANTO, Professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento. Anch'io non vorrei essere stato frainteso, in quanto non mi preoccupa la presenza di operatori privati. Tra l'altro, nell'esperienza che faremo a Trento su Garanzia giovani utilizzeremo pubblico e privato, delle cordate di centri di formazione professionale e agenzie per l'impiego; abbiamo un modello di accompagnamento al tirocinio e al lavoro di questo tipo, anche perché i centri non ce la farebbero mai.
  Anche negli altri Paesi il sistema pubblico/privato funziona in modo integrato. È vero però che le aspettative sul privato finora non sembrano aver corrisposto a un sostanziale miglioramento in termini di prestazioni, non dico di qualità ma di quantità: il tasso d'intermediazione rimane bloccato anche con la presenza dei privati. Ci auguriamo che non sia così in futuro.
  Per quanto concerne il ruolo del sistema formativo pubblico, raccogliendo il suggerimento del professor Boeri, anche le università devono concorrere al sistema, però ho ricevuto dei rifiuti e mi sono molto arrabbiato quando qualche Rettore di università (non dico quale) mi ha risposto: « i miei professori insegnano già tanto e quindi per carità, se li metto anche a fare docenza... poi con questi disoccupati, che si sa che è gente un po’ lazzarona...»; non ha detto proprio così, lo dico io per colorire la vicenda, ma in parte è così.
  Noi abbiamo fatto un'esperienza con il pubblico non accademico con gli EDA, i Centri territoriali permanenti per l'educazione degli adulti. A Trento abbiamo trasferito la formazione alla lingua italiana degli immigrati ai centri pubblici, che prima andavano a bando e la cosa è Pag. 21andata benissimo; sono stati tutti contenti, i centri avevano un ruolo, le performances sono state apprezzate.
  Credo che questo si possa ripetere con gli istituti tecnici, e che il mix di popolazione adulta e popolazione giovanile sia interessante. Il difetto della formazione per disoccupati o cassintegrati è che le classi non sono omogenee, non riusciamo a costruire classi di pari livello dal punto di vista dei prerequisiti, di competenze di tipo alfanumerico, e quindi abbiamo una situazione inefficiente e le prestazioni diventano insoddisfacenti.
  Questo avviene perché il costo è elevato ma, se trasferissimo sul pubblico questo costo della formazione senza mettere tutto a bando, forse riusciremmo a utilizzare anche la capacità del pubblico di intervenire.
  Per quanto riguarda Garanzia giovani mi assocerei alle considerazioni del professor Dell'Aringa, in quanto Garanzia giovani ha messo in discussione il famoso modello di transizione mediterranea dei sociologi. Noi siamo mediterranei in tutto e anche nella transizione: prima scuola e poi lavoro. A Bolzano fanno così, ma a Trento c’è molta formazione professionale triennale perché il modello è diverso...

  ROBERTO CICCIOMESSERE, Ricercatore a contratto ed esperto di valutazione dei centri per l'impiego, Anche il tasso di occupazione giovanile è diverso !

  MICHELE COLASANTO, Ricercatore di sociologia economica dell'Università cattolica di Milano e Presidente dell'Agenzia del lavoro delle provincia di Trento. Sì, certo, è diverso. Il trasferimento sul pubblico forse potrebbe aiutarci.
  Le procedure del Garanzia giovani sono un po’ rigide, perché sono i ragazzi che sul portale si iscrivono e ricevono pressoché automaticamente una convocazione da parte del centro. Bisogna migliorare questa prestazione che non è ancora personalizzata.
  Non so perché il 30 per cento non si è presentato, ma bisogna capirlo. D'altra parte, quando il 50 per cento delle richieste viene dalla Sicilia o dalla Puglia, immagino che qualcuno si perda anche per strada !
  Una modalità per cercare di integrare anche l'INPS, che abbiamo evocato anche a Trento, è quella di fare sedi comuni, centri per l'impiego e sportelli periferici INPS, metterli insieme anche fisicamente in modo tale da favorire questa condizionalità, che altrimenti rischia di essere penalizzata dal fatto che chi sta dalla parte dei centri per l'impiego deve cancellare una persona e, se questa non è sostenuta psicologicamente, diventa complicato decidere di cancellarle l'indennità.
  C’è da dire che tutto questo è più facile quando esiste un reddito di cittadinanza e, infatti, nella virtuosa Trento c’è un reddito di garanzia che copre le povertà.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.

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