XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 24 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Jacono Vito , Consigliere nazionale delegato alle aree Commercialista del lavoro e Previdenza della professione ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 5 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 5 
Prataviera Emanuele (LNA)  ... 6 
Albanella Luisella (PD)  ... 6 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 6 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Jacono Vito , Consigliere nazionale delegato alle aree Commercialista del lavoro e Previdenza della professione ... 7 
Di Pace Lorenzo , Presidente del Gruppo ODCEC Area Lavoro ... 8 
Damiano Cesare , Presidente ... 8 

Audizione di rappresentanti dell'UPI:
Damiano Cesare , Presidente ... 8 
Chiama Carlo , Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI ... 8 
Damiano Cesare , Presidente ... 11 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 11 
Chiama Carlo , Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 
Albanella Luisella (PD)  ... 12 
Chiama Carlo , Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI ... 13 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 13 
Chiama Carlo , Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI ... 13 
Damiano Cesare , Presidente ... 13 

Allegato 1: Documento presentato dai rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 14 

Allegato 2: Documento presentato dai rappresentanti dell'UPI ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

    La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione dei rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
  Avverto che i nostri ospiti hanno messo a disposizione della Commissione un documento (vedi allegato 1), di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Sono presenti, e li ringraziamo, il dottor Vito Iacono, Consigliere nazionale delegato alle aree Commercialista del lavoro e Previdenza della professione, il dottor Lorenzo Di Pace, presidente del Gruppo ODCEC Area Lavoro, e la dottoressa Simona D'Alessio, portavoce.
  Do la parola al dottor Iacono per lo svolgimento della sua relazione.

  VITO JACONO, Consigliere nazionale delegato alle aree Commercialista del lavoro e Previdenza della professione. Grazie, presidente. Innanzitutto ringrazio, a nome del Consiglio nazionale dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, per l'invito. Porgo i saluti del presidente, il dottor Gerardo Longobardi, che purtroppo non è potuto intervenire ai lavori di questa Commissione in quanto, in concomitanza di questa giornata, era stato indetto il Consiglio nazionale.
  Io rappresento, all'interno dei commercialisti, l'area commercialista del lavoro che affronta quotidianamente nei confronti delle imprese nostre clienti la materia che trattiamo oggi. In particolar modo, ci troviamo ad affrontare la questione delle imprese in crisi, delle operazioni straordinarie e delle operazioni di procedure concorsuali, dove riscontriamo quotidianamente la perdita di posti di lavoro.
  Viviamo costantemente all'interno delle aziende questo disagio. Ci rendiamo conto che ogni giorno vengono persi dei posti di lavoro e che le persone che si immettono sul mercato non sempre riescono a trovarne uno nuovo.
  Bisogna porsi la seguente domanda: che cosa fa un dipendente nel momento in cui perde il posto di lavoro ? Qual è il primo punto di riferimento che trova all'interno delle strutture ?
  A parte le politiche passive che vengono regolamentate dallo Stato, dove solo alcuni possono trovare dei sostegni, quali l'indennità di disoccupazione e la cassa integrazione, il primo punto di riferimento sono i centri per l'impiego.Pag. 4
  Nel momento in cui un lavoratore perde il proprio lavoro, quale situazione si trova davanti ? Il più delle volte si trova davanti un operatore che raccoglie dei dati molto sintetici, che però spesso non confluiscono in una banca dati messa a disposizione di chi fa domanda di lavoro.
  Succede, quindi, che il dipendente che ha perso il proprio posto di lavoro fornisce dei dati e spesso si trova di fronte un operatore che non ha quella professionalità che invece si trova nelle agenzie per il lavoro o nelle società di somministrazione, che il più delle volte sono private. Queste ultime, per verificare le notizie e le qualità del lavoratore che ha perso il lavoro, hanno uno schema completamente diverso dalle richieste avanzate dall'operatore del centro per l'impiego.
  Questo non vuol dire che dobbiamo eliminare i circa 550 centri per l'impiego sparsi per l'Italia perché, anzi, questi svolgono una funzione fondamentale nel reperire i dati. Queste strutture dovrebbero rappresentare la prima porta a cui deve bussare il dipendente nel momento in cui perde il proprio posto di lavoro.
  Una soluzione che si potrebbe ipotizzare, allora, qual è ? Bisogna fondamentalmente creare una banca dati unica, che possa creare una interlocuzione tra l'offerta e la domanda di lavoro. Questo come può avvenire ? In un unico modo. Nel momento in cui realizzo un'unica banca dati, auspicabilmente gestita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali stesso, delegando le funzioni di raccolta dati ai centri per l'impiego; questi ultimi, secondo la nostra modesta opinione, dovrebbero essere muniti di personale attuale e formato, in modo da riuscire a raccogliere i dati che poi serviranno alle agenzie private che interloquiscono con le aziende che necessitano di forza lavoro.
  Dico questo, perché non è ipotizzabile fare tutto all'interno. Il soggetto pubblico può raccogliere i dati e metterli a disposizione; e tutti, le aziende e i professionisti, possono attingere a quei dati-notizie, che però devono essere uniformi. Diversamente, in mancanza di un dato uniforme, si tratta di dati disomogenei che non servono a nessuno.
  Questo potrebbe permettere ai centri per l'impiego di svolgere un'attività che oggi è gestita male, che è quella della riconversione del dipendente che ha perso il lavoro, con una nuova formazione e una nuova collocazione. Anche noi professionisti ci mettiamo a disposizione per formare nuove figure professionali.
  L'ente pubblico che interloquisce direttamente con le scuole e le università, spesso crea corsi di formazione o di riqualificazione che non collimano con le esigenze del mercato. Quante volte leggiamo che ci sono aziende che cercano figure professionali e non le trovano sul mercato ? Ciò sta a significare che manca la formazione. Tuttavia, di formazione ne viene fatta in continuazione. Molto probabilmente quella formazione viene fatta male e i soldi vengono spesi male, perché non si rispettano le esigenze del mercato.
  Spesso sentiamo dire che bisogna prendere come modello qualche Paese straniero. Tanti parlano della Germania.
  Anche in questo caso ci permettiamo di sottolineare un aspetto fondamentale. Stiamo parlando di dati disomogenei. Il 90 per cento delle imprese in Italia, che sono circa 5,5 milioni, ha meno di cinque dipendenti; solo il 3 per cento ha più di quindici dipendenti. In Germania è diametralmente l'opposto: ci sono poche aziende e di dimensioni enormi.
  Parlare, allora, di modelli di altri Paesi non sempre collima con la realtà italiana, perché fondamentalmente il tessuto economico dell'Italia è formato da microimprese. Le aziende che arrivano fino a cinque dipendenti difficilmente si avvalgono di una struttura per la selezione del personale. Il più delle volte fanno il porta a porta o hanno l'amico dell'amico, ma comunque non si rivolgono a strutture.
  Spesso si leggono dati che non hanno una fonte di verità. Si dice che i centri per l'impiego riescono a collocare il 3 per cento delle domande di lavoro e le aziende private ne collocano solo il 7 per cento. È vero che è un dato stranissimo rispetto Pag. 5all'Europa, però è altrettanto vero che le nostre aziende sono completamente diverse.
  Io ho cercato di rappresentare lo stato di fatto delle figure che interagiscono sul mercato per il lavoro, private e pubbliche.
  In questo momento la propensione è per le aziende private che collocano le figure dipendenti in cerca di lavoro e hanno maggiori chance. Infatti, spesso le agenzie per il lavoro e le società di somministrazione sono multinazionali, sono aziende che hanno una specializzazione e interloquiscono anche con Paesi vicini all'Italia. Esse riescono ad avere una dimensione che qualsiasi soggetto pubblico non riuscirebbe ad avere, perché hanno in mano un profilo e un'analisi del mercato delle imprese che sono completamente diverse.
  Alla luce di queste considerazioni, la proposta è di analizzare la situazione attuale e di utilizzare lo schema attuale, però con un unico soggetto che gestisca tutti gli operatori e a patto che ci sia uniformità. Oggi come oggi, un cittadino che si reca presso il centro per l'impiego di Bari non interloquisce con quello di Venezia, perché i dati non si travasano. C’è una mancanza di comunicazione tra centri per l'impiego che è aberrante. Pertanto, la piattaforma deve essere unica.
  Occorre, inoltre, consentire l'accesso a tutti i soggetti, pubblici, privati e professionisti, i quali devono trovare delle segnalazioni e delle specifiche che siano omogenee per tutti. Non ci può essere uno che raccoglie dati in un modo e un altro che li richiede in un altro modo.
  Ben venga il libretto elettronico del lavoro, un progetto nato diversi anni fa e mai attuato. Non è da confondere con il libretto del lavoro, che è stato abolito. Quel libretto cartaceo è sepolto e non lo vogliamo di sicuro riesumare.
  Come nasce il libretto elettronico del lavoratore ? Nasce dai dati che vengono raccolti da tutti questi organismi, privati o pubblici che siano. È un elemento automatico. Nel 2014, con i sistemi informatici esistenti, è assurdo che non vi siano una connessione e un'interlocuzione tra le varie parti.
  Io ho terminato. Resto a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Iacono.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  WALTER RIZZETTO. Ringrazio i nostri ospiti. Per l'ennesima volta abbiamo assistito a un'analisi rispetto ai centri per l'impiego, nello specifico quelli pubblici (abbiamo parlato poco di agenzie private). Abbiamo avuto lo spaccato di una situazione che non ci soddisfa. Più che porre una domanda, vorrei formulare una valutazione.
  Attualmente ci sono 8.600 impiegati nei 500 centri per l'impiego, che – lo ricordiamo sempre – hanno un costo di 470 milioni di euro all'anno più 137 milioni di euro all'anno per il non allineamento degli stessi. Quest'ultimo è un dato che tutti dimenticano. Non dico che siano una spesa, però è sempre un elementi a carico del pubblico.
  La prima proposta che avanziamo (è già stata presentata e depositata una proposta di legge del Movimento 5 Stelle sul tema) riguarda la stabilizzazione degli operatori di questo settore. Molto spesso, infatti, l'interlocutore si trova di fronte a persone che svolgono un lavoro precario, che due settimane dopo non saranno più nel proprio posto e alle quali gli interessa poco di «skillare» in maniera egregia l'interlocutore che cerca un lavoro.
  Nell'indagine conoscitiva che abbiamo svolto in seno a questa Commissione lo scorso anno, se non ricordo male, abbiamo scoperto che sono meno del 2 per cento le transazioni svolte dai centri per l'impiego che vanno a buon fine nel settore artigianato, che è sempre stato un asset fondamentale per la ricerca e la richiesta di lavoro in Italia e che soffre di una crisi assolutamente gravissima. Due persone su cento trovano un lavoro, molto spesso neanche stabile.Pag. 6
  Per quanto riguarda la piattaforma, siamo assolutamente d'accordo. Mi pare, però, che una piattaforma già esista, ma non venga utilizzata. I centri per l'impiego sono già stati dotati di una piattaforma di interscambio tra aziende e Stato centrale (chiamiamolo così) rispetto a dei papabili feedback che gli stessi centri per l'impiego devono dare.
  In Italia si soffre del 43 per cento di disoccupazione giovanile e di quasi il 13 per cento di disoccupazione globale, ma è un dato falsato, perché in realtà è più ampio. Molto spesso coloro che restano disoccupati e non trovano lavoro, non chiedono neanche un assegno o un aiuto, quindi non conosciamo neanche i numeri reali.
  Per quanto riguarda le politiche attive che i centri dell'impiego devono applicare, abbiamo svolto una seduta informale con un'organizzazione tedesca che si occupa di questi centri e abbiamo capito esattamente come si può migliorare la politica attiva del centro per l'impiego, che deve essere quasi come un'azienda che va in cerca dei propri clienti.
  Concludo con il tema della formazione di coloro che lavorano all'interno dei centri per l'impiego. Purtroppo, ricordo (e credo che lo ricorderete tutti) che l'ex Ministro Giovannini un anno fa disse che avrebbero mandato una task force di mille formatori in tutti i centri per l'impiego italiani, ma non è stato fatto nulla di tutto questo. Dovremo necessariamente trovare un'altra forma di formazione per coloro che ci lavorano.
  Ho una domanda velocissima: secondo voi, esiste già una piattaforma ? A me risulta di sì.

  EMANUELE PRATAVIERA. Vorrei argomentare meglio la domanda che sto per porre, ma per motivi di tempo e per evitare di annoiare i colleghi, visto che rivolgo spesso questa domanda ai nostri uditori, mi limiterò a porla brutalmente.
  Chi viene espulso dal mercato del lavoro di fatto non ha gli strumenti per occupare le nuove posizioni che si possono aprire. Infatti, il mercato del lavoro si è evoluto; molto spesso chi rimane senza occupazione ha iniziato a lavorare in un'azienda ed è rimasto sempre lì, e di fatto non possiede gli strumenti formativi per una propria ricollocazione.
  Secondo il vostro autorevolissimo parere, visto che avete il polso della situazione, vivendola quotidianamente con gli imprenditori e con i lavoratori stessi, quale può essere un suggerimento da dare alla Commissione per fare in modo che i centri per l'impiego e tutto il sistema che si occupa dell'allocazione di risorse umane possano ovviare a questo che, secondo me, è il problema cruciale ? Al di là della mancanza pratica di un numero sufficiente di posti di lavoro nuovi, mancano anche delle professionalità che si possano impiegare.

  LUISELLA ALBANELLA. Condivido quanto ha detto il mio collega Rizzetto: per rendere efficienti i centri per l'impiego dovremmo in ogni caso stabilizzare i precari che vi lavorano, altrimenti non ha senso.
  Sono d'accordo con voi rispetto al fallimento del click day. In Sicilia abbiamo avuto un esempio devastante. Il fallimento del piano giovani in Sicilia è stato qualcosa da dimenticare. Ora si sta cercando di trovare una soluzione, ma quello che è successo è stato devastante, sia dal punto di vista dell'immagine sia per il fatto che i giovani per l'ennesima volta vedono che le istituzioni sono distanti. Il fallimento è anche da questo punto di vista.
  Vi pongo una domanda su una questione particolare, che molto probabilmente non ho ben compreso io. Quando voi parlate di un'unica banca dati, che deve essere omogenea, fate riferimento a dati che devono scaturire sia dal pubblico che dal privato ?

  IRENE TINAGLI. Il mio è più uno spunto per un dibattito che una domanda. Collegandomi a questa domanda sulla banca dati, mi chiedo se l'auspicio non sia tanto di una banca dati che sia a disposizione e che deve essere alimentata da diversi soggetti, quanto piuttosto abbia Pag. 7caratteristiche simili a quelle di una cartella medica.
  Se esiste già una cartella medica digitale di un paziente, il medico o altri medici possono alimentarla e il paziente stesso può registrarvi le vaccinazioni e i trattamenti, cosicché chiunque possa vederla e conoscere la sua storia medica. Una cosa analoga potrebbe essere una cartella virtuale associata a ciascun lavoratore, dove inserire le informazioni che potrebbero essere consultate da agenzie pubbliche e private.
  Questo era uno dei motivi per cui io avevo sollecitato questa indagine conoscitiva, ma si fa un po’ fatica a farlo emergere. Se e come si può arrivare a un sistema in cui le agenzie private, le cooperative e i servizi pubblici possono fare sinergia e lavorare insieme ?
  Il punto non è fare una guerra ideologica e contrapporre l'investimento nei centri pubblici a quello nelle agenzie private. Il punto è che abbiamo una rete di servizi pubblici che ha bisogno di una riqualificazione e forse di una ridefinizione dei ruoli, ma su cui bisogna investire; abbiamo però anche delle agenzie accreditate e delle agenzie private che stanno già svolgendo questo lavoro. Come possiamo farle lavorare insieme nell'interesse dei lavoratori ? Esistono degli esperimenti anche nella vostra esperienza ? Da alcune parti già ci sono, però sono delle eccezioni.
  L'idea è capire come migliorare questa cooperazione. Un sistema informatico di questo tipo forse potrebbe aiutare.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Jacono per la replica.

  VITO JACONO, Consigliere nazionale delegato alle aree Commercialista del lavoro e Previdenza della professione. Rispondo molto sinteticamente. Perché sono partito dalla fotografia dei 550 centri per l'impiego, che effettivamente occupano 9.000 dipendenti in Italia ? Sarebbe troppo facile dire: «chiudiamo i centri per l'impiego e troviamo un'alternativa». A nostro avviso, invece, noi possiamo utilizzare questa rete.
  Qual è oggi il problema ? Mi riallaccio alla questione della banca dati, cercando di spiegare il meccanismo. Il problema è che se il pubblico non conosce le esigenze del privato, che è l'agenzia per il lavoro, i dati che vengono raccolti e immessi nel sistema non sono omogenei.
  Perché parlo di banca dati unica e di una piattaforma ? Da chi deve poter essere utilizzata ? Deve essere utilizzata dai centri per l'impiego, in quanto soggetto pubblico (ma anche da altre figure pubbliche) e dalle agenzie per il lavoro, che sono autorizzate dal Ministero e spesso sono riconosciute territorialmente.
  Sappiamo bene che ci sono tutte le problematiche connesse alla privacy. Se dicessimo che il sistema deve essere aperto a tutti, anche alle imprese, correremmo il rischio di proporre un progetto inattuabile.
  Io parlo dei professionisti perché, come possiamo accedere al cassetto fiscale di ogni contribuente, analogamente potremmo accedere per esaminare, per conto dei nostri clienti, eventuali offerte di lavoro.
  Il problema qual è ? L'apparato pubblico e i dipendenti devono essere formati per raccogliere quei dati essenziali che possono essere messi a disposizione del privato. Il privato ha tutto l'interesse ad accedere a quella banca dati per vedere se sul mercato del lavoro c’è la disponibilità di determinate figure che hanno già uno screening primario.
  Che cosa succede dopo ? Solitamente c’è il colloquio di lavoro svolto dall'agenzia per il lavoro stessa per conto del proprio cliente. L'agenzia compie un lavoro suppletivo che non si può chiedere al pubblico, perché è una formazione che va al di là della mera formazione iniziale.
  Nel momento in cui si riesce a fare questa banca dati, che io ho chiamato «libretto elettronico del lavoratore», all'interno abbiamo una cosa fondamentale, che è il codice fiscale. Al suo interno inseriamo tutte le attitudini, la formazione, il percorso scolastico, i corsi di formazione a cui ogni dipendente può accedere, anche per effetto della sua posizione Pag. 8di disoccupato, e i precedenti rapporti di lavoro. Si potrebbe mettere anche un flag dove si dice se è positivo o negativo, ovvero un qualcosa con cui si riesce a capire la scheda informatica, come avviene per la cartella medica di un paziente. A quel punto abbiamo messo assieme pubblico e privato.
  Non so se ho risposto a tutti.

  LORENZO DI PACE, Presidente del Gruppo ODCEC Area Lavoro. Vorrei aggiungere una cosa, venendo incontro a quello che diceva l'onorevole Rizzetto. I centri per l'impiego sono fondamentali e anche la formazione del personale è fondamentale. Non dimentichiamoci di tutti coloro che sono in condizioni svantaggiate, come i disabili, che dovrebbero avere un percorso più agevolato. Il centro per l'impiego può essere un fattore determinante, almeno per queste tutele.
  Come diceva il consigliere, occorre guardare ai professionisti non come soggetti che devono intermediare la manodopera (questo a noi non interessa), ma come ipotetico collante e come strumento che può agevolare l'incontro tra domanda e offerta. Qualche esempio nei nostri ordini territoriali già esiste. Possiamo essere comunque un punto di riferimento.

  PRESIDENTE. Mi pare che il tema delle banche dati che colloquiano e vengono messe a disposizione sia fondamentale. È un nostro sogno.
  Possiamo discutere su quali soggetti debbano interagire e abbiamo capito la vostra proposta, ma sicuramente la collaborazione pubblico-privato è fondamentale. Se continua la gelosia dei dati dei centri per l'impiego, delle agenzie e delle università, noi avremo i giovani che si rivolgeranno in modo sconnesso nella speranza di trovare un lavoro.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'UPI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione dei rappresentanti dell'UPI.
  Sono presenti il dottor Carlo Chiama, coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro, il dottor Piero Antonelli, direttore generale; e la dottoressa Samantha Palombo, responsabile dell'area welfare dell'Unione delle province d'Italia.
  Avverto che i nostri ospiti hanno depositato un documento (vedi allegato 2), di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Do la parola al dottor Carlo Chiama per lo svolgimento della sua relazione.

  CARLO CHIAMA, Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI. Buongiorno a tutti. Innanzitutto tengo a rivolgere un ringraziamento, come Unione delle province d'Italia, per questa audizione.
  Anche dal punto di vista personale è l'occasione per tracciare un bilancio di fine mandato. Io sono assessore al lavoro e alla formazione professionale della provincia di Torino da cinque anni e sono coordinatore degli assessori dell'Unione delle province italiane.
  Siamo in una fase ben nota di trasformazione dei nostri enti dalle vecchie alle nuove province o, come nel mio caso, dalle province alla città metropolitane. Certamente i servizi per l'impiego sono una delle funzioni importanti che noi abbiamo gestito in questi anni. Pertanto, è il momento anche per fare un bilancio complessivo.
  Mi sembra che lo scopo dell'indagine conoscitiva promossa dalla Commissione fosse, non solo e non tanto, la fotografia della situazione dei servizi per l'impiego pubblici nel nostro Paese, ma soprattutto un'analisi per cercare di capire quali sono i fattori che producono maggior efficienza ed efficacia dei sistemi e quelli che, invece, sono i gap e gli handicap che vanno Pag. 9superati in una nuova ridefinizione di governance delle politiche dei servizi.
  Noi abbiamo presentato un documento, che è abbastanza sintetico da poter essere letto agevolmente dai commissari, ma è profondo, nel senso che dietro a ogni affermazione che noi facciamo c’è un lavoro, ci sono delle considerazioni e ci sono delle valutazioni che, peraltro, sono quelle dei soggetti nazionali ed europei che si occupano di queste politiche.
  È evidente che per ragionare sull'efficienza e sull'efficacia dei servizi, il tema della quantità delle risorse messe in gioco è uno degli elementi fondamentali. Nel documento ci sono dati che sono conosciuti. Fondamentalmente noi sappiamo che nel nostro Paese si investe sulle politiche del lavoro un ordine di grandezza in meno che in altri Paesi europei, come Germania, Francia, Inghilterra, Olanda e Danimarca. Un ordine di grandezza vuol dire dieci volte. C’è, quindi, un problema di quantità di risorse che vengono messe in gioco per una politica e per i servizi, ma c’è anche un problema di come vengono allocate e distribuite queste risorse.
  In Italia il costo dei servizi è intorno al 2 per cento delle risorse che si spendono per il lavoro; il costo delle politiche attive per il lavoro è intorno al 18 per cento del totale delle risorse e il restante 80 per cento sono le politiche di sostegno al reddito, ovvero le politiche passive.
  Come mettiamo in evidenza nel documento depositato, con un grafico assolutamente esplicito, in questi ormai cinque anni di crisi, a differenza di quello che è avvenuto negli altri Paesi europei, in Italia si è disinvestito sulla crisi, nel senso che queste risorse si sono ridotte. Questo sicuramente non ha migliorato le possibilità di performance dei servizi per l'impiego.
  Sappiamo che l'intermediazione della domanda e dell'offerta ad opera dei servizi in generale nel nostro Paese è bassa; tendenzialmente è meno della metà di quello che avviene in Europa. Se poi depuriamo dal dato della somministrazione l'intermediazione, dai nostri dati risulta che è leggermente più efficace il sistema pubblico, tenendo conto anche delle AFOL (Agenzie per la formazione, l'orientamento e il lavoro) della Lombardia. Comunque, complessivamente l'intermediazione organizzata è molto bassa nel nostro Paese.
  Certamente, la questione è come rendere più efficienti ed efficaci i servizi, per andare verso un modello europeo di organizzazione delle politiche per il lavoro, che veda una gestione più funzionale del mercato del lavoro.
  Noi individuiamo una serie di fattori di criticità che vanno presi in considerazione. Innanzitutto, è mancata la condizionalità dell'erogazione delle politiche passive alle politiche attive. Questa è una cosa che noi possiamo verificare in modo molto cogente all'interno dell'attività dei nostri servizi. Le persone si rimettono in gioco e vengono a chiedere un sostegno nel momento in cui stanno terminando gli ammortizzatori sociali, ovvero nella fase finale, mentre invece ci vogliono tempi, metodologie e azioni che richiedono che questo avvenga all'inizio del periodo di ammortizzatore sociale.
  Il fatto che non ci sia un obbligo di condizionalità è uno dei problemi che noi abbiamo riscontrato. Ovviamente l'obbligo di condizionalità è l'obbligo per la persona di fruire di determinati percorsi, ma è anche l'obbligo per la pubblica amministrazione di metterglieli a disposizione.
  Non sono mancati, da questo punto di vista, programmi nazionali di riferimento. Forse l'esempio più significativo c’è stato negli anni passati, quando per utilizzare le risorse del Fondo sociale per la cassa in deroga è stata richiesta dall'Europa la condizionalità delle politiche attive e passive, però, cessata quella situazione, il meccanismo si è interrotto.
  Certamente servono delle risorse in più per la gestione dei servizi, anche perché in tema di finanza pubblica locale siamo in una situazione di significativa difficoltà.
  Serve lavorare molto sull'integrazione fra sistema pubblico e sistema privato dei servizi. Da questo punto di vista, la nostra valutazione è che non c’è contraddizione e non c’è concorrenza tra i servizi pubblici Pag. 10e i servizi privati, ma c’è complementarietà. Devo dire che in genere questo viene riconosciuto dagli operatori privati, i quali riescono a offrire servizi, performance e azioni nel momento in cui c’è una forte regia pubblica e c’è collaborazione tra servizi pubblici e privati.
  In alcune realtà provinciali in particolare (penso a quella che gestisco io a Torino) la collaborazione tra servizi pubblici e privati si è sviluppata molto. In alcuni casi diventa difficile capire se un'intermediazione della domanda e dell'offerta è stata operata dal servizio pubblico o dal servizio privato. Quando la collaborazione è congiunta e quando sulla richiesta di una vacancy intervengono in modo collaborativo il servizio pubblico e il servizio privato, che riescono a fare il giusto matching, è difficile dire di chi sia il merito. Il merito probabilmente è della buona collaborazione che si può creare.
  L'altro fattore importante è che bisogna pensare a modalità di erogazione delle politiche che siano preminentemente sul risultato piuttosto che sul processo, ovviamente attraverso un'adeguata profilazione dell'utenza, in modo che questo fenomeno non porti a valorizzare solo le figure più forti sul mercato del lavoro, ma possa essere, invece, anche a favore delle figure più deboli, che hanno bisogno di maggior sostegno.
  Noi vediamo che oggi il servizio sul territorio nazionale è a macchia di leopardo, fondamentalmente per due fattori. Il primo è che abbiamo venti modelli regionali diversi di programmazione delle politiche attive del lavoro. Ci sono modelli che hanno spinto verso l'integrazione pubblico-privato. Penso alla Lombardia, ma anche al Piemonte, al Veneto e ad altre regioni centrali, che hanno agito ognuna con modalità diverse. Ci sono regioni che hanno puntato su una forte regia pubblica e hanno messo risorse a disposizione e altre che non l'hanno fatto. I risultati da questo punto di vista si vedono e sono abbastanza eloquenti. Nelle valutazioni di ISFOL, Unione europea e Commissione ci sono tutti i numeri.
  Il fattore preminente è quello della programmazione e della forte regia pubblica. Il secondo fattore è che, per quanto riguarda la gestione diretta dei servizi, ci sono province che hanno investito di più in termini di qualità e competenze del personale e in termini di strutture, anche in collaborazione con i comuni. Infatti, sono i comuni che devono mettere a disposizione delle province le strutture dei centri per l'impiego. È chiaro che se la collocazione è vicina ai servizi ed è adeguata rende più funzionale il lavoro.
  Abbiamo visto in particolare che c’è una maggiore efficacia nel raggiungimento dei risultati quando c’è, come dicevo prima, l'integrazione fra sistema pubblico e sistema privato, e anche quando c’è l'abbinamento tra la gestione delle politiche attive del lavoro e dei servizi per l'impiego e la gestione delle politiche di formazione professionale. Infatti, la formazione professionale è uno degli elementi dirimenti per consentire alle persone di rimettersi in gioco nel mercato del lavoro.
  La formazione professionale deve avere diverse sfaccettature. Ci deve essere una tipologia molto incentrata sulla riqualificazione veloce della persona e, quindi, sulla ricollocazione, quando ci sono da adeguare delle competenze che non sono più aggiornate. Un'altra tipologia si ha quando invece vanno rafforzate in modo significativo le competenze per percorsi anche lunghi, per l'ottenimento di qualifiche che precedentemente mancavano. Se invece pensiamo ai giovani inattivi, occorrono politiche che consentano loro di rientrare in percorsi di formazione e di istruzione scolastica.
  Noi abbiamo visto che dove queste politiche sono state gestite dalla provincia, in modo sinergico e abbinato con i servizi per l'impiego e le politiche attive, i risultati sono stati migliori.
  In sintesi, noi ci rendiamo conto che, nel momento in cui il Governo e il Parlamento vogliono cercare di adeguare il nostro sistema dei servizi ai sistemi europei, diventa dirimente la questione della Pag. 11governance. L'ultimo punto che noi affrontiamo nel documento è proprio il modello di governance che noi proponiamo.
  Noi pensiamo che ci siano due fattori fondamentali. Il primo è la distinzione tra i soggetti istituzionali che programmano l'impiego delle risorse e quelli che li gestiscono, perché è un meccanismo in cui deve essere consentita e diventa dirimente la valutazione dell'efficacia degli interventi che vengono fatti. È, quindi, necessario che ci sia una distinzione fra i soggetti. Infatti, difficilmente qualcuno può programmare e gestire contemporaneamente, perché non sarebbe un soggetto terzo.
  Questo è tanto più vero quanto più il sistema dovrà essere un sistema di servizi integrati pubblici-privati con remunerazione sulla base del risultato, dove ci deve essere un elemento di garanzia verso i soggetti privati che non ci sia un'azione negativa nei loro confronti.
  Chi programma non gestisce. Noi riteniamo che la gestione debba avvenire il più vicino possibile al territorio, perché si deve integrare nelle reti sociali su esso presenti.
  Noi pensiamo a dei piani di intervento legati principalmente alla condizionalità degli ammortizzatori sociali, programmati dal Governo attraverso il supporto di un'agenzia nazionale, di cui c’è grande bisogno, anche per coordinare il sistema dei centri per l'impiego. Pensiamo anche a un forte ruolo delle regioni sulle politiche attive. Crediamo, però, che il livello più efficace per la gestione dei servizi sia l'ente di area vasta, comunque riformato, ovvero la città metropolitana e la nuova provincia.
  Potrebbe non essere il modello ideale, ma sicuramente è il modello possibile nel nostro Paese. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  IRENE TINAGLI. Il tema non è solo il coordinamento tra soggetti pubblici e privati che operano nella stessa provincia o area vasta, ma anche il funzionamento del coordinamento tra province diverse o regioni diverse.
  Infatti, il mercato del lavoro oggi è sempre meno localizzato. Soprattutto per i giovani che hanno meno vincoli familiari e hanno la voglia e la possibilità di spostarsi, si moltiplicano le possibilità se si ha la capacità di interagire su territori molto diversi su scala nazionale.
  Vorrei capire se su questo fronte ci sono suggerimenti, se il coordinamento funziona o meno, e che problemi ci sono, se ce ne sono.
  In secondo luogo, vorrei sapere quale impatto prevede per la legge n. 56 del 2014, cosiddetta «legge Delrio», almeno nel medio periodo. Mi sembra che si possano aprire dei margini di incertezza e che si possano aumentare le differenze fra regione e regione, perché magari ogni regione affronterà questa riallocazione di funzioni in maniera diversa.
  Infine, vorrei sapere quali sono la vostra opinione e i vostri suggerimenti su un'agenzia nazionale. Voi parlavate di una gestione vicina al territorio. Un'agenzia nazionale può essere utile ? In che termini e con quali modalità ?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Chiama per la replica.

  CARLO CHIAMA, Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI. Non l'ho citato prima, ma sicuramente, in tema di collaborazione tra servizi pubblici e servizi privati, diventa determinante la questione dell'accreditamento dei servizi privati all'interno di un sistema.
  Diverse regioni hanno definito modalità di accreditamento diverse per i servizi privati. Certamente – lo vedo nella mia regione – una cosa è ragionare con gli operatori accreditati nel sistema regionale e altra cosa è ragionare semplicemente con gli operatori autorizzati a livello ministeriale.
  I sistemi di accreditamento devono scremare e devono definire soglie di qualità Pag. 12e di certezza dei livelli e delle capacità delle prestazioni. Io credo che debbano essere definiti anche modelli di valutazione e veri e propri ranking sulla capacità e l'efficacia dei servizi, anche di quelli pubblici e non solo di quelli privati.
  Per quanto riguarda l'interoperabilità dei sistemi, diventa assolutamente dirimente l'infrastruttura informatica, che oggi è certamente ancora carente.
  C’è il tentativo all'interno del piano di Garanzia giovani di rendere interoperabili i sistemi, però, per esempio, nella mia regione, per quanto riguarda la banca dati anagrafica dei disoccupati, che da noi si chiama SILP (Sistema lavoro Piemonte), la singola provincia può visualizzare solo la sua banca dati e non quella di altre province o di altre regioni.
  Infatti, quando noi facciamo le chiamate per figure particolarmente elevate, le mettiamo in una visibilità pubblica all'interno del sito istituzionale della provincia e dei centri per l'impiego, perché possano essere prese in considerazione anche candidature che arrivano da altre province o da altre regioni.
  Nell'ambito della forte regia nazionale di cui parlavo, certamente ci deve essere un'unica infrastruttura informatica a disposizione di tutti, pubblici e privati, per consentire il dialogo e il passaggio di tutti i dati.
  Questo vale anche rispetto alla rete EURES. Credo che abbiate fatto anche un'indagine specifica su questo. Da noi in provincia di Torino operiamo con tre o quattro persone della rete EURES. C’è assolutamente la necessità di rafforzare questa struttura, perché effettivamente significa dare più opportunità ai nostri giovani.
  Quanto all'impatto della «legge Delrio», per il momento rimane tutto fermo fino alla definizione del Jobs act, perché è stato previsto nell'accordo tra Governo, regioni ed enti locali. Il rischio principale che io vedo in questo momento riguarda le risorse. Noi abbiamo tutte le province e le future città metropolitane in una fortissima tensione finanziaria. O le città metropolitane e le nuove province partono con una disponibilità, senza necessariamente dover uscire dal patto di stabilità e andare in default, oppure diventa difficile.
  Vedo anche un'altra preoccupazione: nel momento in cui si decide di allocare in altri livelli istituzionali i servizi per l'impiego, non è automatico che se si spostano gli uffici i soldi che servono per pagare quegli uffici si spostano di conseguenza. Infatti, quegli uffici non ci sono più, se in questo momento le province e le future città metropolitane sono già tendenzialmente tutte in default.
  Per quanto concerne l'agenzia nazionale, noi pensiamo a un sistema in cui si rafforzino paradossalmente le competenze di tutti. L'agenzia nazionale deve fare una vera valutazione sull'efficacia dei sistemi. Deve essere prevista la sostituibilità, che di fatto non c’è mai stata.
  Non l'ho detto prima: noi pensiamo che debbano essere definiti in modo preciso dei livelli essenziali delle prestazioni in modo che si possa fare una valutazione cogente. Dopodiché, qualora non si raggiungano i livelli essenziali delle prestazioni, ci deve essere un intervento sostitutivo, perché chiaramente i servizi devono essere garantiti a tutti. Noi pensiamo a un ruolo forte dell'agenzia nazionale, pur pensando anche a un ruolo forte delle regioni, per quanto riguarda la programmazione delle politiche legate al mercato del lavoro locale, con la gestione dei servizi pubblici affidata agli enti di area vasta.

  PRESIDENTE. Anche in questo caso è emerso il problema cruciale dell'incontro tra agenzie private e sistema pubblico e, quindi, di banche dati a disposizione che siano, possibilmente, comuni.

  LUISELLA ALBANELLA. Mi è piaciuta questa considerazione in merito all'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ma chi decide se vengono rispettati ?

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  CARLO CHIAMA, Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI. Deve esserci un meccanismo di valutazione, che non si basi, come è avvenuto finora per quasi tutte le politiche, semplicemente su come sono state impiegate le risorse, quindi su dati di bilancio o parametri, ma piuttosto sui risultati, ovvero sulla collocazione delle persone e anche sugli effetti di carattere più sociale.
  Oggi, utilizzando le banche dati, è possibile fare molte valutazioni interessanti. C’è uno studio della provincia di Torino, per esempio, fatto sulle comunicazioni obbligatorie, che dimostra che le persone che si sono servite dei servizi di secondo livello del centro per l'impiego hanno maggiori chance di ritrovare lavoro rispetto a quelli che non usufruiscono dei servizi.
  Io credo che, anche con l'Associazione di valutazione italiana, si possano fare cose molto pregnanti.

  IRENE TINAGLI. È possibile avere quello studio ?

  CARLO CHIAMA, Coordinatore nazionale degli assessori provinciali al lavoro dell'UPI. Lo trovate nel sito della provincia di Torino. Bisogna cercare: «Osservatorio del mercato del lavoro della provincia di Torino». Lo studio s'intitola «Non solo collocamento».

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo fornito all'indagine e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.

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