XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 17 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

Audizione di rappresentanti di Confindustria.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Albini Pierangelo , Direttore dell'Area lavoro e welfare di Confindustria ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Piccolo Giorgio (PD)  ... 7 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 8 
Damiano Cesare , Presidente ... 9 
Albini Pierangelo , Direttore dell'Area lavoro e welfare di Confindustria ... 9 
Damiano Cesare , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione dei rappresentanti di Confindustria. Diamo il benvenuto al dottor Pierangelo Albini, Direttore dell'area lavoro e welfare, al dottor Giulio De Caprariis, Vicedirettore dell'area lavoro e welfare, e alla dottoressa Martina Dezi, delle relazioni esterne.
  Do, quindi, la parola al dottor Pierangelo Albini affinché svolga la sua relazione.

  PIERANGELO ALBINI, Direttore dell'Area lavoro e welfare di Confindustria. Desidero ringraziare il presidente e gli onorevoli deputati, com’è di consuetudine ma in modo non formale, per aver voluto ascoltare Confindustria su questi temi.
  Innanzitutto, è molto positivo lo sforzo di comprendere le cause che impediscono ai diversi attori presenti nel nostro mercato del lavoro di operare in modo sinergico e garantire il buon funzionamento di tale mercato. Sappiamo bene che la scarsa efficacia del sistema dei servizi per l'impiego nel suo complesso si traduce in alti tassi di disoccupazione, in disagio sociale e in maggiori costi per il finanziamento degli ammortizzatori sociali. Il tema delle politiche attive per il lavoro, quindi, sempre più dovrà essere declinato in modo sinergico e integrato con quello delle politiche passive.
  In Italia per recuperare e migliorare i livelli di occupazione precedenti alla crisi occorrono certamente adeguate politiche macroeconomiche di sostegno alla domanda e, pertanto, un diverso orientamento europeo di politica economica. Servono, però, anche miglioramenti sensibili nella struttura dell'offerta e sappiamo bene che, anche sul piano politico, le due questioni sono strettamente intrecciate. Di qui l'importanza delle riforme strutturali, tra cui quella del mercato del lavoro. Un mercato del lavoro fluido e ben funzionante non crea direttamente nuovi posti di lavoro, ma li distribuisce meglio, con maggiore trasparenza e soprattutto con maggiore giustizia sociale.
  Istituzioni economiche e sociali ben funzionanti sono una delle condizioni per generare e mantenere quel clima di fiducia così importante per favorire le iniziative economiche e influenzare le scelte di localizzazione degli investitori, tema che oggi è di grandissima attualità.
  Il primo punto che vorrei invitarvi a considerare riguarda la debolezza delle reti formali di collocamento. L'agenda della riforma del mercato del lavoro ha diversi capitoli, quali la regolazione della flessibilità in uscita, la gestione del rapporto di lavoro, l'architettura e il funzionamento Pag. 4degli ammortizzatori sociali, il disegno e l'efficienza delle politiche attive e l'efficienza dell'infrastruttura complessiva che governa l'incontro fra domanda e offerta di lavoro.
  In Italia la modalità prevalente di ricerca del lavoro – vi ricorre infatti il 77 per cento dei disoccupati – è rivolgersi alla rete informale fatta di amici, parenti e conoscenti oppure – è il caso del 65 per cento dei disoccupati – proporsi direttamente. Sono due dati importanti su cui riflettere. Solo il 32 per cento si rivolge ai servizi pubblici per l'impiego e il 18 per cento alle agenzie private per il lavoro. Sono i dati anticipati nel nuovo rapporto del CNEL sul mercato del lavoro che verrà presentato a giorni.
  Se facciamo un confronto internazionale, si scorge la grande differenza esistente fra il nostro Paese e gli altri Paesi europei. Anche negli altri Paesi europei è ampio il ricorso ai canali informali, ma la modalità prevalente di ricerca del lavoro è quella di rivolgersi ai canali formali di ricerca, che siano pubblici o privati. In Germania vi ricorre l'82,3 per cento dei disoccupati, contro una percentuale del 40,6 per cento che invece utilizza le reti amicali e parentali; nel Regno Unito il 62 per cento e in Francia il 58 per cento.
  Sempre guardando al panorama europeo delle percentuali di coloro che hanno trovato un'occupazione dipendente ricorrendo ai canali formali di intermediazione pubblici e privati, emergono dati che devono farci riflettere. Per i servizi pubblici si va dal 15 per cento della Finlandia al 3,1 per cento dell'Italia, con una media europea del 9,4 per cento. La quota media europea delle persone collocate da un'agenzia privata è l'1,8 per cento. C’è un minimo dello 0,3 per cento in Grecia, un massimo del 2,9 per cento in Olanda, mentre il valore che riguarda l'Italia è pari a 0,6 per cento.
  Dietro queste differenze vi sono certamente anche difformità relative alla struttura complessiva dei Paesi e le risorse finanziarie e umane inserite nei servizi per l'impiego. Benché questi confronti vadano presi con le pinze perché bisognerebbe sempre comparare sistemi omogenei, alcune situazioni sono piuttosto evidenti. Quando si sottolinea, ad esempio, la disparità di risorse umane e finanziarie tra le agenzie pubbliche per il lavoro del sistema federale tedesco e quelle italiane, occorrerebbe tenere presente che le prime svolgono attività, come la gestione delle politiche passive, che in Italia sono affidate a soggetti diversi dai centri per l'impiego.
  Questo non è solo un problema di omogeneità nel confronto internazionale. È un problema sostanziale, forse il problema dei problemi. Il coordinamento stretto e l'integrazione fra i soggetti che gestiscono le politiche attive e i soggetti che erogano i sussidi al reddito dei disoccupati è infatti lo snodo fondamentale per l'efficacia dell'intero sistema, sistema che richiede la condizionalità della partecipazione alle politiche attive e la disponibilità ad accettare le posizioni di lavoro offerte ai fini del sostegno al reddito da parte delle persone in cerca di prima occupazione.
  L'esame delle esperienze europee offre sicuramente utili spunti di riflessione in questa direzione. L'ultimo studio a proposito della Rete europea dei servizi pubblici per l'impiego pubblicato dall'EEPO nel giugno scorso, ad esempio, partendo dal presupposto che i servizi pubblici all'impiego devono ragionare in termini di business come un'impresa, giunge a evidenziare molte tematiche che sono ben presenti nel dibattito italiano sui servizi pubblici per l'impiego.
  Ne voglio sottolineare quattro. In primo luogo, il collocamento pubblico deve orientarsi maggiormente sul versante della domanda. In secondo luogo, bisogna sottolineare l'importanza del collegamento fra coloro che erogano politiche attive e gli erogatori delle politiche passive. È questo l'elemento che mettevo in evidenza poco fa. Anche in questo report si vede molto bene la grande differenza che esiste tra quello che succede in Italia e quello che succede in Germania o nei Paesi scandinavi o anche in Francia e in Spagna, dove Pag. 5i servizi sono molto più integrati, la dispersione è minore e il coordinamento è più efficace.
  La terza annotazione riguarda le performance e gli obiettivi che ci poniamo. Abbiamo l'abitudine di concentrarci sulle performance piuttosto che sui risultati delle attività che svolgiamo, come avviene invece in Germania e nel Regno Unito. Il quarto elemento, di cui si è occupata in qualche occasione anche la televisione pubblica dando evidenza del fenomeno, riguarda la nostra scarsa propensione a mettere i servizi a diretto contatto con il pubblico. Dovremmo essere molto più esposti al contatto diretto.
  C’è un tema di impostazione complessiva e di impianto, ma c’è anche un tema che riguarda la frammentazione istituzionale dei soggetti chiamati a operare su questo fronte. È il primo elemento di debolezza su cui insistere. L'Italia è a macchia di leopardo. Ci sono regioni e province dove i servizi funzionano in modo corretto e adeguato e dove le istituzioni sono ben integrate. Bisogna avere il buon senso di dire che non siamo all'anno zero e che molte cose sono state fatte. Tuttavia, non ovunque si registra lo stesso livello di integrazione e di funzionalità, il che va a danno dell'efficienza complessiva.
  Almeno dal punto di vista dell'impianto concettuale, la rete istituzionale è enormemente frammentata. C’è il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con i suoi enti strumentali, ISFOL e Italia Lavoro; ci sono gli assessorati regionali, provinciali e comunali e le agenzie regionali per il lavoro; ci sono i centri per l'impiego; c’è l'INPS: tutta una serie di soggetti che a vario titolo, o sul versante delle politiche attive o su quello delle politiche passive, si occupano di questi temi e molto spesso faticano a operare in sinergia.
  La prima questione da affrontare è molto probabilmente quella di organizzare tutti questi soggetti in una rete e soprattutto governare questa rete attraverso un'integrazione più completa, che risalga nella filiera fino al mondo della scuola. Le iniziative di alternanza scuola-lavoro che stiamo tentando di introdurre sulla scorta del «decreto Carrozza» (decreto-legge n. 104 del 2014), sono elementi che devono indurci a lavorare per costruire una migliore integrazione.
  Crediamo che il tema vero sia quello di una gestione operativa delle politiche attive più concentrata e razionalizzata in un unico soggetto. In tal senso, l'idea di costituire l'agenzia nazionale ci convince a condizione che – come spesso si dice in queste circostanze – non sia semplicemente il pretesto per introdurre un ulteriore elemento di complicazione, ma sia davvero uno strumento in grado di garantire un minimo di governance e faccia i conti con un sistema che, per effetto del Titolo V, distribuisce le competenze tra istituzioni di livelli diversi.
  In questo individuiamo un elemento di particolare criticità. Nel documento che, se di interesse della Presidenza e della Commissione, vi faremo avere troverete alcune esemplificazioni molto concrete, visto che mi pare che il taglio dell’ indagine sia quello di cercare di capire cosa succeda in pratica. Avrete modo di rendervi conto che alcune delle cose che sto dicendo e che dirò trovano riscontri oggettivi nelle prassi e nelle modalità operative dei nostri servizi per l'impiego, anche a livello di distribuzione delle competenze tra istituzioni.
  Quando parliamo, ad esempio, di stage, le imprese di Confindustria, che in molti casi sono multilocalizzate, hanno a che fare con venti discipline diverse per le procedure di inserimento dei giovani attraverso lo stage, cosa che francamente è già difficile da spiegare a chi lavora in Italia e meno che mai a un investitore straniero.
  C’è un altro tema collegato alle competenze che il Titolo V attribuisce alle regioni che rappresenta anch'esso un elemento di riflessione. Mi riferisco agli accreditamenti degli operatori privati. È evidente la necessità di stabilire regole che abbiano uniformità sul territorio nazionale, ma oggettivamente si capisce meno perché ciascuna regione senta il bisogno di elaborare, sopra la disciplina Pag. 6nazionale, procedure, prassi e vincoli che non si giustificano e non si spiegano. È un elemento di riferimento di cui tenere conto.
  L'impressione è che il presunto pareggiamento tra soggetto pubblico e soggetto privato, che abbiamo faticosamente costruito o tentato di costruire in questi anni dal «pacchetto Treu» in avanti, nella sostanza dei fatti non c’è. Non è garantita una sostanziale parificazione fra il pubblico e il privato perché c’è la preminenza delle agenzie pubbliche su quelle private. Non so se questo ubbidisca a un disegno scientificamente razionale, ma nei fatti è così. Nel documento che vi faremo avere sono citati due esempi. Uno riguarda le procedure per l'assunzione dei lavoratori in mobilità; l'altro riguarda il modo in cui – è tema di attualità – una delle principali regioni di questo Paese, il Piemonte, ha dato attuazione alla «Garanzia giovani».
  Non voglio annoiare la Commissione con aspetti di dettaglio contenuti nel nostro documento. Tuttavia, se avrete la bontà e la pazienza di prenderne visione, vi renderete conto che le procedure operative poste in atto sul territorio sono tali da mettere seriamente in difficoltà le agenzie private che operano in questo settore e costringerle a dipendere dai centri per l'impiego. Questo non solo introduce una problematica di costi e di complicazioni burocratiche; alla lunga genera anche uno svantaggio per il Paese perché non si riescono a mettere a fattore comune le informazioni che provengono da due fonti differenti.
  Ad esempio, non si aggiustano mai le banche dati e non si mettono effettivamente in relazione soggetti pubblici e privati perché di fatto non si riesce a fare rete. Già non riescono a fare rete a livello informatico i nostri centri per l'impiego sul territorio. Molto spesso non si va al di là dei confini delle regioni e le terre di confine sono terre di nessuno. Meno che meno siamo vicini all'aver realizzato una infrastrutturazione di tipo informatico delle reti che consenta ai soggetti privati e pubblici di accedere alle stesse banche dati con la stessa rapidità ed efficienza.
  Ammetto che anch'io ignoravo alcuni aspetti. Mi sono stati raccontati perché mi rendessi conto della grande discrepanza che esiste tra l'inserimento dei curricula ai fini della «Garanzia giovani» e l'incontro fra la domanda e l'offerta. Mi sono accorto che per un soggetto privato fare una ricerca attraverso un codice fiscale è praticamente impossibile.
  Dobbiamo puntare a far sì che i soggetti che operano in questo mercato abbiano alta professionalità e siano certificati per la loro serietà. Dopodiché dobbiamo consentire loro di accedere alle banche dati in modo non criptato.
  Mi dicono che per la «Garanzia giovani» bisogna chiedere ai centri per l'impiego, che fanno delle ricerche cercando di incrociare i curricula vitae che più o meno incontrano le richieste. Dopodiché le agenzie private devono contattare questi ragazzi attraverso i curricula, dove spesso non sono indicati tutti i riferimenti utili per convocarli. Così il tempo passa e le procedure si allungano.
  Abbiamo evidenziato alcuni aspetti di impostazione e di mera operatività che, a nostro giudizio, bisognerebbe correggere. In conclusione, vorrei sottolineare pochissimi punti per tirare le fila del ragionamento.
  La prima delle nostre conclusioni è che il collocamento privato e il collocamento pubblico devono essere equiparati sostanzialmente e non solo formalmente. La seconda è che per mettere mano a questi sistemi e far lavorare questo mondo per progetti, bisogna cominciare a misurare e a premiare i risultati e non l'attività che si fa.
  La terza conclusione è che occorre un minimo di snellezza nelle procedure. Non possiamo avere soggetti con un accreditamento nazionale che fanno fatica nelle singole regioni e che a ogni iniziativa devono ricominciare daccapo con l'accreditamento e la certificazione. A chi fa impresa in questo settore ciò sembra un Pag. 7modo per ostacolare la leale competizione all'interno di un mercato che dovrebbe funzionare.
  Il quarto elemento riguarda la necessità di introdurre un modello operativo per la gestione dei flussi dei disoccupati. Potremmo prendere a riferimento quanto succede per la «Youth guarantee», ma correggendo alcune storture e cercando di costruire progettualità specifiche partendo da qui. Si potrebbe cominciare a lavorare sui servizi per l'impiego non con l'obiettivo di rifondare da zero il sistema, cosa straordinariamente difficile, ma puntando sulle eccellenze, sulle aree dove si può più facilmente operare e su alcuni progetti, provando a sperimentare modelli di cooperazione che sul territorio qua e là abbiamo visto affermarsi.
  L'ultimo tema – penso di sfondare una porta aperta – è il tema dei temi. I dati riferiti al 2011 che sono stati pubblicati da ultimo sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ci dicono quanto poco spenda questo Paese per le politiche attive per il lavoro. Di quei 4,9 miliardi di euro è davvero pochissimo ciò che viene destinato ad aiutare le persone a trovare un'occupazione. In un Paese che fa fatica a crescere, che non ha una prospettiva di crescita, che ha una base occupazionale che si riduce e che ha bruciato il 25 per cento della propria capacità produttiva bisogna rimodulare il sistema delle tutele in generale e in modo particolare gli ammortizzatori passivi. Spostare risorse da una parte all'altra deve portarci necessariamente a ridisegnare gli ammortizzatori sociali per economizzare e cominciare a investire su questo.
  Credo che questi siano, in estrema sintesi, i punti sui quali Confindustria desidera richiamare l'attenzione della Commissione. Come dicevo, il documento che trasmetteremo è molto più analitico e contiene anche elementi di gestione e di vita pratica che possono aiutare a meglio comprendere le ragioni di quanto da me affermato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Albini e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO PICCOLO. Ringrazio il dottor Albini per la sua relazione, che trovo molto importante. Io vorrei dialogare con lei sulle premesse che faceva, al di là di questioni come la «Garanzia giovani» e altre politiche messe in campo.
  È chiaro che non si tratta solo dell'offerta o della mancanza di strumentazione per l'offerta, ma bisogna portare avanti una politica macroeconomica e una politica attiva per il lavoro. Un punto mi ha colpito molto. Lei ha parlato di pari opportunità e quindi di trasparenza e giustizia sociale. C’è però una questione che riguarda l'impresa. Le parlo per esperienza personale e territoriale, cosa che potrebbe fare la differenza. Io ho vissuto queste esperienze personalmente.
  Quando lei dice che il 32 per cento dei disoccupati si rivolge al sistema pubblico e il 18 per cento ai privati significa che c’è sfiducia. Il disoccupato non ha fiducia nell'istituzione che gli potrebbe dare la possibilità di competere e trovare un lavoro. Ho però scoperto negli anni passati, quando si fece la riforma del collocamento e nella sola provincia di Napoli si iscrissero a quelle liste – redatte con criteri su cui è meglio non approfondire – 500.000 disoccupati, che, nonostante le delibere che si fecero per agevolare l'offerta e la domanda, gli imprenditori facevano solo chiamate nominative e mai numeriche. Perché ?
  La rete informale di cui lei parlava non è solo familiare. C’è un'altra rete tale per cui dare lavoro diventa per l'imprenditore la possibilità di fare favori a chi dà l'appalto, al politico e così via. Spesso si utilizzano le società private non per selezionare lavoratori, ma per assumere dei nomi forniti da qualcuno. Oltre alle politiche attive, dobbiamo dare al Paese un segnale. Credo che l'imprenditoria debba dare il segnale che il lavoro è un diritto e che, anche in questa situazione di minore offerta e maggiore domanda, la selezione garantisce le pari opportunità.Pag. 8
  Dobbiamo spingere sulla «Garanzia giovani» e su altre politiche. Se ci sarà la ripresa, come mi auguro, dobbiamo dare un segnale a tutti i livelli. Devono darlo le parti sociali e anche voi, per il ruolo che svolgete, affinché si affermi questo tipo di indirizzo. È vero che si deve sburocratizzare, velocizzare e togliere tutta una serie di vincoli affinché le imprese abbiano l'opportunità di scegliere chi assumere. Però la scelta deve avvenire per merito e non per una decisione assunta a monte, come succede almeno nelle nostre realtà. È questo l'elemento più negativo che crea la sfiducia.
  Nessuno pensa di trovare un'occupazione tramite un'agenzia pubblica o privata.

  CARLO DELL'ARINGA. Ringrazio il dottor Albini per il suo intervento, in attesa di leggere il documento che ci verrà trasmesso. Penso che si aggiungerà a quelli che abbiamo già raccolto per completare il quadro (oltre alla documentazione che verrà depositata nelle prossime audizioni). Vorrei soprattutto condividere alcuni commenti su cose che sono state dette nella parte iniziale e nella parte finale dell'intervento.
  Nella legge delega in materia di lavoro c’è un progetto ambizioso di revisione degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive. È ambizioso e non può essere che così, visto che addirittura per gli ammortizzatori sociali si vuole allargare la platea ed essere più generosi dal punto di vista dei sussidi. È giusto, ma ciò deve accompagnarsi necessariamente a uno strumento di attivazione. Condivido quindi appieno quanto è stato detto, anche in precedenza, sull'integrazione delle politiche e sulla realizzazione del principio di condizionalità.
  Ricordiamo che le riforme Hartz per l'80 per cento hanno fatto questo in Germania, dopo che anche quel Paese aveva attraversato un periodo buio dal punto di vista della funzionalità dei servizi all'impiego. Le riforme Hartz sono nate dopo lo scandalo dei dipendenti dei servizi all'impiego che denunciavano avviamenti che non c'erano stati. Da allora le cose sono cambiate e di molto. Se parliamo del modello tedesco dobbiamo avere in mente essenzialmente politiche del lavoro più efficaci.
  Sul piano della domanda, l'approccio del mio collega è giusto. Occorre maggiore impegno da parte delle imprese, ma in Germania ci sono 6.000 dipendenti dei servizi per l'impiego che lavorano in quattrocento imprese private convenzionate con i centri per l'impiego, e si fidano a vicenda. Le imprese si rivolgono al servizio pubblico perché sanno che rende loro un buon servizio, anche sul piano della selezione. Eppure è gratis. Fa concorrenza sleale alle agenzie private, ma nessuno si lamenta. Sono soldi pubblici che ritornano come risparmi pubblici perché condizionalità non vuol dire mandare la gente allo sbaraglio, bensì trovare effettivamente dei posti di lavoro. Bisogna però conoscere il mercato del lavoro, le imprese e i fabbisogni professionali. È qui che sta l'investimento.
  Giustamente il dottor Albini ha parlato di confronti internazionali su efficienza ed efficacia dei servizi per l'impiego. Bisogna fare attenzione perché in Svezia i servizi per l'impiego fanno anche le politiche attive e sono tanti per quello e così pure in Germania. In Italia il 70 per cento dei lavoratori fa certificati. Dobbiamo ricordare anche questo. Occorre prestare grande attenzione a che il confronto non sia unidirezionale e a non concludere che i nostri centri per l'impiego collocano solo il 2 per cento degli iscritti, fanno schifo ed è inutile investirvi.
  Se si arrivasse a questa conclusione, si dovrebbero tirare fuori anche gli altri dati che mostrano come spendendo poco si ottiene poco e spendendo meno si otterrà sempre di meno. I pubblici dipendenti saranno anche sfaticati, fannulloni e quant'altro, ma c’è un problema di risorse, di professionalità e di formazione. Non si deve quindi banalizzare il discorso con confronti banali e mi fa piacere che sia stato detto che il risultato va messo in relazione con le risorse investite.Pag. 9
  Vorrei sottolineare un punto e chiudo. Mi riferisco alla frammentazione. L'elenco che ha fatto il dottor Albini è quasi incompleto. Non ci sono solo le province, i centri per l'impiego, le regioni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Adesso si aggiungono anche le città metropolitane. Si aggiungono categorie settoriale che vogliono fare le proprie politiche. Tutti vogliono il loro giocattolo. In Germania non è così. I länder non mettono becco nella gestione dell'Agenzia nazionale; intervengono solo i comuni per la parte di assistenza. Ci sono però i partenariati a livello regionale per la programmazione delle politiche attive.
  Nessuno vuole togliere alle regioni la formazione e i fondi strutturali, ma la rete non può essere fatta solo con i calcolatori e le banche dati. In questo deve entrare anche l'INPS, che non può limitarsi a fornire la banca dati. Politiche integrate vuol dire che ogni dieci giorni qualcuno chiama il disoccupato per decidere il da farsi, proporre un percorso, e così via. Queste sono risorse ed è ciò che significa integrare le politiche.
  Queste audizioni servono anche per fare un po’ di cultura e conoscenza, che serve a tutti, al Parlamento e al Governo, per non fare altri pasticci. La condizionalità è da quindici anni che la scriviamo nelle norme, indicando i livelli minimi delle prestazioni. Il decreto legislativo n. 181 del 2000 di quattordici anni fa o «la legge Fornero» stabilisce che le regioni devono assicurare la condizionalità. Ma se non la fanno, mandiamo i carabinieri ? Ci vuole un soggetto istituzionale. I tedeschi lo dicono. Ci vuole una chiara responsabilità, non si possono diluire le competenze, sennò è come la storia del cerino acceso, del free riding. Perché uno dovrebbe preoccuparsi di far risparmiare i soldi a un altro ?
  Non è compatibile con gli incentivi. Dal momento che non abbiamo 5 miliardi di euro da investire nelle reti e che abbiamo sempre detto che la pubblica amministrazione si basa sulla mobilità, è possibile fare un programma di mobilità per rinforzare i centri per l'impiego affinché diventino una rete nazionale, lasciando alle regioni tutti i soldi per la formazione e le politiche attive ? Si fa esternalizzazione. Questa rete in Germania fa esternalizzazione, che siano le regioni, i comuni o i privati. Io sarei d'accordissimo.
  L'accreditamento non può non avere regole nazionali, che si ricorra al voucher o alle esternalizzazioni e ai contracting-out, come fanno in Inghilterra, dove utilizzano poco i voucher e più il contracting-out con poche grandi imprese private di collocamento. Questo si può vedere. Ci sarà ampio spazio per il privato perché il pubblico non sarebbe in grado, ma per costruire il cuore del sistema, l'ossatura, la responsabilità bisogna partire con il piede giusto. Non possiamo accontentarci di progetti e progettini in quei centri dell'impiego che funzionano a livello provinciale.
  Se vogliamo una strada significativa, non la realizzeremo in cento giorni. Ce ne vorranno forse mille. Ma deve essere avviata questa iniziativa.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola al dottor Albini per la replica.

  PIERANGELO ALBINI, Direttore dell'Area lavoro e welfare di Confindustria. Non vorrei aver dato un'impressione parziale della riflessione che Confindustria svolge su questi temi, considerando il fatto che siamo convinti di essere in una fase di necessaria svolta.
  Abbiamo costruito una legislazione, un sistema e una politica di protezione con gli ammortizzatori sociali funzionali a un certo modello di economia e a un certo modello di relazioni industriali e abbiamo investito moltissimo nella protezione degli insider e pochissimo nella mobilità tra posti di lavoro o nella facilità di ingresso nel mondo del lavoro.
  Mi è chiarissima l'idea che lo stato di necessità ci impone di fare un'inversione di marcia e sono assolutamente convinto che nel progettare questa inversione di marcia occorra avere in mente Pag. 10il quadro sul quale vogliamo esercitarci. Dico soltanto, per dare un senso alla considerazione che l'onorevole Dell'Aringa muoveva su quanto ho detto, che occorre fare attenzione – anch'io lancio un warning – a non partire con un progetto faraonico quando la politica del passo dopo passo, a cui vedo siamo passati, mi sembra più prudente e a noi più confacente.
  Quando mi capita di parlare ai ragazzi nelle università e chiedo dove andranno a cercare un posto di lavoro dopo la laurea, nessuno mi risponde che si rivolgerà a un centro per l'impiego e so benissimo che il nostro è un Paese che coltiva la rete delle conoscenze, una rete che impernia il nostro vivere comune e la vita di tutte le società. La ricetta non può essere però quella di tornare alla richiesta numerica. La soluzione deve essere quella di costruire un sistema che funzioni.
  Nutro grande rispetto per gli sforzi compiuti dal settore pubblico quando le competenze sono passate dal Ministero alle province o alle regioni perché ho visto la grande fatica che hanno dovuto compiere le istituzioni territoriali per dotarsi di competenze professionali adatte alla gestione burocratica di quel collocamento obbligatorio, a cominciare da un personale che avesse un minimo di competenza nei colloqui psico-attitudinali e sapesse distinguere un astronauta da un palombaro. Ho visto gli sforzi che sono stati compiuti in alcune parti del territorio nazionale.
  La Confindustria non pensa certo che il pubblico debba scomparire a beneficio del privato. Il pubblico deve garantire una condizione paritaria. Deve consentire anche a chi non conosce nessuno e non è figlio di qualcuno che ha amicizie influenti di potersi presentare a una persona in possesso delle qualità professionali utili a insegnargli come redigere il curriculum e come relazionarsi con chi è alla ricerca di un'eccellenza. Verrebbe facile dire che, visti i sistemi di protezione che abbiamo in Italia, le imprese preferiscano assumere qualcuno che conoscono, ma non voglio fare polemiche. È solo una battuta. In realtà è evidente che le imprese cercano persone eccellenti, di qualità. Dobbiamo quindi strutturare un sistema di collocamento pubblico e privato che offra ai cittadini questa opportunità.
  Sono convinto che, avendo poche risorse, si debbano compiere delle scelte. Poiché questo è un mercato nel quale il privato arriva molto bene ad alcuni segmenti e molto male ad altri, cioè i segmenti più deboli, quelle popolazioni che definiamo soggetti svantaggiati e che hanno più difficoltà a entrare o a ricollocarsi nel mercato del lavoro, lo Stato è necessariamente chiamato a fare quello che il privato non fa. In questo senso dico che c’è grande equilibrio.
  Siamo perfettamente consapevoli del fatto che tutto questo cambia nella misura in cui nelle relazioni industriali con le nostre controparti noi siamo in grado di cambiare il sistema di gestione delle crisi e delle eccedenze, compiendo scelte di un certo tipo. Il tema della condizionalità, come l'onorevole Dell'Aringa sa molto bene, è come un cane che si morde la coda. Quando si tratta di fare un accordo con le organizzazioni sindacali in presenza di un esubero, si individuano tra le popolazioni eccedentarie coloro che hanno già i requisiti per la pensionabilità o che sono «volontari», che manifestano cioè una non opposizione al provvedimento. È evidente però che queste popolazioni che «accettano» di essere collocate in mobilità al posto di un padre di famiglia di trentacinque anni che deve pagare il mutuo fanno fatica a entrare nella logica di rimettersi in discussione anziché aspettare la pensione con l'indennità di disoccupazione e l'integrazione che l'azienda dà, quando l'accordo sindacale che regge questo modello è un altro.
  Io ho l'onestà intellettuale di dire che abbiamo costruito dei modelli di protezione e di relazione funzionali all'idea che le persone si assumono, possibilmente a tempo indeterminato, e si accompagnano fino alla pensione e che, se non vi si riesce, bisogna inventarsi tutto e il contrario di tutto pur raggiungere quel traguardo. Oggi Pag. 11non è più così. Come amo ripetere, qualcuno ha spostato il bordo della piscina in là di cinque anni. Il pensionamento è più lontano e le situazioni di contorno sono molto diverse. Bisogna ripensare il modello e lavorare tutti per l'occupabilità delle persone.
  In questo i servizi per l'impiego hanno grande parte.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di Confindustria per il contributo fornito all'indagine e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.