XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 9 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Silvestri Vincenzo , Vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 6 
Benini Romano , Esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro ... 6 
Damiano Cesare , Presidente ... 9 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 9 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 9 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 10 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 
Silvestri Vincenzo , Vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro ... 10 
Benini Romano , Esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
  Avverto che i rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro hanno messo a disposizione della Commissione un documento di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Sono presenti il dottor Vincenzo Silvestri, vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, e Romano Benini, esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro.
  Do la parola al dottor Vincenzo Silvestri per lo svolgimento della sua relazione.

  VINCENZO SILVESTRI, Vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro. Grazie, presidente. Vi porto i saluti della presidente Marina Calderone che sostituisco, in quanto aveva impegni che non ha potuto rimandare. Vi ringrazio per la convocazione e per la presenza in questo consesso, nell'ambito di questa indagine conoscitiva molto interessante riguardante la riforma dei servizi per l'impiego.
  Credo che oggi in Italia i consulenti del lavoro rappresentino l'espressione massima in ordine alla gestione dei rapporti di lavoro.
  La categoria dei consulenti del lavoro nasce proprio in considerazione della gestione dei rapporti di lavoro e dell'amministrazione del personale delle imprese. Ci occupiamo fondamentalmente di gestire i rapporti delle imprese, ovvero gestiamo persone occupate. Risolviamo i problemi delle imprese in ordine ai rapporti di lavoro in essere.
  Via via l'attività della professione si è sempre più evoluta e il legislatore ha spostato sempre più competenze alla professione, in virtù del ruolo che essa ha assunto in ordine alla gestione dei rapporti col personale. Immaginate che oggi la categoria gestisce circa il 70 per cento dei rapporti di lavoro in essere costituiti presso imprese attive. Non sono dati nostri, ma sono dati che provengono dalle banche dati dell'INPS.
  Questo ruolo sempre più riconosciuto nell'ambito della gestione del personale ha fatto cogliere al legislatore la potenzialità di questa professione. Ecco perché via via, come dicevo, sono state spostate in sussidiarietà alcune competenze.
  In particolare, con il decreto legislativo n. 276 del 2003 (la riforma Biagi) è stata data l'opportunità alla categoria di costituire un'apposita Fondazione dei consulenti Pag. 4per il lavoro, un organismo tecnico di promanazione del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, che, per il tramite di questa fondazione, svolge attività di mediazione e intermediazione.
  Pertanto, come dicevo, oramai non abbiamo soltanto il compito di gestire personale occupato in azienda (che in teoria non dovrebbe aver problemi), ma da diversi anni, in virtù della nostra evoluzione e delle nostre competenze, ci occupiamo anche di intermediare manodopera, di ricerca e selezione del personale e di formazione del personale stesso, sia in azienda sia per coloro in cerca di occupazione.
  La nostra Fondazione dei consulenti per il lavoro è costituita attraverso un meccanismo per il quale esercitano circa 2.200 delegati in tutto il territorio nazionale. Infatti, un'altra caratteristica di questa professione è di essere distribuita capillarmente sul territorio. Di conseguenza, abbiamo la possibilità di fornire servizi direttamente sul territorio, attraverso un rappresentante della categoria che è presente in ogni provincia.
  Nell'ultimo triennio abbiamo gestito circa 35.000 posizioni, che hanno dato circa 18.000 occupazioni permanenti, con dati tutto sommato abbastanza significativi.
  Forte è la nostra attività, per esempio, in ordine alla gestione dei tirocini. Ecco perché in questo momento siamo particolarmente impegnati sul territorio nazionale in ordine alla Garanzia giovani.
  Vorrei partire proprio da questa esperienza che stiamo facendo in materia di Garanzia giovani per cominciare a delineare brevemente la nostra attività. In seguito sarà il nostro collaboratore Romano Benini, che ha contribuito alla gestione e alla redazione di magna pars del documento che abbiamo depositato agli atti, a entrare più nello specifico.
  L'esperienza che stiamo facendo e che abbiamo già fatto nei tirocini, con Garanzia giovani si va sempre più delineando. Mi riferisco all'esperienza del rapporto con le Regioni. Oggi, come sapete, abbiamo un mercato del lavoro regionalizzato, che comporta un decentramento di normative, che sono differenti per ogni singola regione.
  Questo esiste per i tirocini e per l'apprendistato e oggi lo stiamo vedendo, come Fondazione Consulenti per il lavoro, nella Garanzia giovani, per la cui gestione occorre preventivamente che sottoscriviamo dei protocolli di intesa specifici con ogni singola regione, perché ogni singola regione si sta dotando di un meccanismo differente.
  Magari, andando a guardare nel concreto, le differenze sono lievi, ma fondamentalmente esistono, e questo comporta che ogni regione ha bisogno della sua gestione particolareggiata. Pertanto, occorre un database che contenga le venti differenti normative regionali per la gestione delle venti tipologie di Garanzia giovani nel territorio.
  Credo che questo, come è ampiamente descritto nel documento allegato, sia uno dei grandi temi su cui sicuramente occorrerà lavorare. Il Jobs act entra nel merito della vicenda. La riforma del Titolo V, appena uscita dal Senato l'8 agosto, affronta anch'essa la questione.
  Il problema delle competenze in materia di mercato del lavoro è uno snodo essenziale. Noi riteniamo che su certe materie ci debba essere la competenza esclusiva dello Stato. Eventualmente possono articolarsi con iniziative e organizzazioni di tipo regionale per lo sviluppo del territorio, ma fondamentalmente la tutela e l'organizzazione del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro devono essere accentrate allo Stato.
  Infatti, non è possibile che uno stesso soggetto debba avere venti differenti interlocutori a cui rivolgersi per potere operare nel mercato. Questo crea fragilità e discrasie e limita la possibilità di colloquiare in maniera corretta e soprattutto di creare sinergie di sistema. Questi limiti probabilmente stanno alla base delle difficoltà del nostro mercato del lavoro.
  In questo senso, non crediamo che il disegno che è stato fatto oggi in materia di riforma costituzionale in ordine ai servizi Pag. 5per l'impiego sia chiaro nel delineare esattamente questa competenza nazionale.
  Sicuramente l'agenzia unica è un punto di riferimento importante, ma la stessa deve essere dotata di meccanismi giuridici che le permettano di esercitare l'attività in maniera unitaria.
  Deve esserci un unico riferimento e un unico sistema di accreditamento, uguale per tutta Italia. Le singole regioni gestiranno i finanziamenti e la formazione, ma il criterio di operatività nel nostro sistema deve essere unico.
  Credo che questo sia fondamentale al fine di riuscire a risolvere uno degli snodi principali di questa categoria, per quanto attiene non soltanto – lo ribadisco – alla Garanzia giovani e ai tirocini, ma anche al grande problema dell'apprendistato, che dovrebbe rappresentare l'unico strumento d'inserimento giovanile.
  Conosciamo purtroppo i gravi problemi nell'utilizzo di questo strumento, che è estremamente scarso. Uno dei mali dell'apprendistato sta proprio nella difficoltà di doversi scontrare con le singole realtà regionali e di dover identificare esattamente quali sono le esigenze e i bisogni di ogni singola regione nella sua attuazione. Questo è un meccanismo che va razionalizzato.
  Mi avvio brevemente alla conclusione, prima di passare la parola a Romano Benini, per dare alcune indicazioni. Ovviamente non è questo l'unico problema che riscontriamo e abbiamo riscontrato nella tematica dell'attuazione dei servizi per l'impiego nel nostro ordinamento.
  In estrema sintesi, c’è il problema dell'adeguato finanziamento. Sappiamo che, anche in rapporto alle altre nazioni europee, l'Italia destina al finanziamento delle politiche attive delle quote di risorse piuttosto basse. Peraltro, la redistribuzione delle risorse va sicuramente a vantaggio delle politiche passive piuttosto che di quelle attive. In buona sostanza, come ben scriviamo nel documento, attraverso questo meccanismo in Italia si finanzia più la disoccupazione che l'occupazione.
  Questo piano va ribaltato, perché questo è un meccanismo fondamentale per rilanciare l'occupazione.
  Un'altra questione riguarda la condizionalità. La condizionalità oggi esiste. Ciò significa legare l'accesso al sussidio alla condizione che il lavoratore entri in un programma di attività e che accetti eventualmente le offerte formative o le offerte di lavoro alternative.
  In Italia questo c’è. Infatti, al disoccupato viene fatto firmare un patto di servizio al momento del suo censimento presso i centri per l'impiego. Tuttavia, questo patto oggi esiste soltanto sulla carta, nel senso che viene sottoscritto, ma poi non c’è nessuno che lo controlla, non c’è nessuna offerta formativa che viene inviata ai lavoratori e non c’è nessun offerta lavorativa alternativa. Di fatto, è una pura formalità.
  Si stima che, se invece la condizionalità fosse messa in pratica, ben il 20 per cento dei soggetti facenti parte del bacino attuale di utenza dei sussidi verrebbe a uscire dallo stesso, perché non accetterebbe l'offerta o non sarebbe in condizioni di rimanervi.
  Per quanto attiene alle agenzie di intermediazione, oggi funzionano quelle di somministrazione, ma queste fanno solo somministrazione. Invece, per le agenzie di pura intermediazione, come è, per esempio, l'agenzia della Fondazione Consulenti per il lavoro (infatti, noi possiamo svolgere soltanto attività di intermediazione, ma non siamo autorizzati a quella di somministrazione) è un momento parecchio difficile.
  Sulla scorta dell'esempio della Lombardia e della Dote unica lavoro, vanno pensati degli strumenti di incentivo al risultato. Occorre una remunerazione dell'agenzia a compimento della sua attività, ovvero una volta raggiunto l'obiettivo della collocazione del disoccupato. Ci deve essere, quindi, una dote unica, che viene redistribuita.
  Questa, in fondo, è un po’ la filosofia della Garanzia giovani. Non dimentichiamoci che Garanzia giovani è un finanziamento europeo che dovrebbe servire a Pag. 6riformare i servizi per l'impiego. In questa logica, dentro Garanzia giovani c’è, per esempio, la remunerazione.
  Un altro elemento fondamentale è la collaborazione. Questo è un Paese dei particolarismi (lo sappiamo). Un sistema di incentivi alle imprese, per quanto finanziato, non può essere l'unico strumento per risolvere il problema dell'occupazione nel nostro Paese, ma è uno degli snodi principali che va aggiunto a un meccanismo complessivo. Mi riferisco alla formazione, agli incentivi stessi e ai contratti di lavoro. Tutto il sistema si deve tenere attraverso un meccanismo di sintesi e di logica.
  Oggi quello che manca è una regia unitaria che ridisegni un po’ tutti questi meccanismi, che li metta a sistema e che li faccia diventare uno conseguenza dell'altro.
  Un'ultima annotazione, prima di passare la parola al dottor Benini, è relativa alle politiche di flessibilità. Poco fa con Romano Benini, nell'attesa, riflettevamo sul fatto che in questo Paese si parla di flessibilità da tantissimo tempo. Lo abbiamo datato. Si è cominciato a parlarne da prima, ma, più o meno, è dal «pacchetto Treu» del 1997 che in questo Paese si opera in termini di flessibilità. Addirittura si accusò di destrutturazione del rapporto di lavoro la «legge Biagi». Con la «legge Fornero» c’è stato un lieve rigurgito in controtendenza, ma è stata poca cosa. Adesso il «decreto Poletti» con la acausalità nel contratto a termine introduce un'ulteriore dose di flessibilità. A quanto pare non basta, perché l'Europa ci chiede ulteriore flessibilità.
  Se andiamo a vedere le statistiche occupazionali degli ultimi vent'anni, emerge che l'unico momento in cui in Italia si è incrementata un po’ l'occupazione è stato proprio con l'emanazione del «pacchetto Treu». Guarda caso forse, quello è stato l'unico momento in cui il Paese ebbe un incremento del prodotto interno lordo, a cui coincise anche un aumento dell'occupazione.
  Da quel momento c’è stato solo declino e, nonostante le robuste politiche di flessibilità fatte nel nostro Paese, si continua ancora a parlare di indici occupazionali molto bassi e si dice che bisogna ulteriormente flessibilizzare il rapporto di lavoro.
  Spesso si fa riferimento alla flexsecurity del cosiddetto «modello danese», cioè flessibilità in cambio di tutele. Fondamentalmente è questo che è mancato nel nostro sistema. Noi abbiamo avuto un esponenziale (ma a quanto pare non sufficiente, perché si continuerà) indirizzo a flessibilizzare sempre più il rapporto di lavoro e i contratti di lavoro.
  Tuttavia, se noi flessibilizziamo soltanto il contratto e il rapporto di lavoro e accanto non creiamo una politica di welfare per colui il quale è rimasto disoccupato, colui il quale ha soltanto uno spezzone di rapporto di lavoro o colui il quale cerca un'occupazione, che lo sostenga nei momenti di bisogno e nello stesso tempo lo accompagni a una ricollocazione, ovvero se operiamo come è stato fatto finora solo sul ramo della flessibilità, rischiamo di precarizzare soltanto il rapporto di lavoro.
  Precarizzare i rapporti di lavoro significa precarizzare il sistema, creando un'involuzione pericolosissima. Infatti, la buona flessibilità è un'ottima cosa, ma la flessibilità è anche indice di qualità del lavoro scarsa. È chiaro che, se io ho difficoltà a inserirmi nel mercato del lavoro, ho anche un'inevitabile tendenza a perdere competitività nel mercato. Dall'altro lato, il mercato del lavoro deve servire a questo.
  Riuscire a coniugare queste due cose, per quanto ci riguarda, può rappresentare la vera sfida di questo Paese.
  Se il presidente me lo consente, cederei ora la parola a Romano Benini per completare alcuni aspetti.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ROMANO BENINI, Esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro. Vi abbiamo distribuito tutta la documentazione e le elaborazioni conseguenti alle informazioni che vi abbiamo dato.
  Aggiungo solo alcune considerazioni, che servono anche in ragione dei vostri compiti di ammodernamento e di definizione Pag. 7delle soluzioni normative rispetto a queste questioni.
  In primo luogo, dovremmo aver chiaro tutti che il nostro mercato del lavoro, così come è, complessivamente non funziona. Al di là di qualche significativa buona esperienza in alcuni territori del Paese, secondo le indagini della Commissione europea, su 27 nazioni, l'efficienza del mercato del lavoro italiano sta al ventiquattresimo posto, quindi complessivamente il sistema non funziona.
  In secondo luogo, noi ci portiamo dietro scelte non fatte alcuni anni fa. È evidente che oggi, a fronte della crisi, si pagano le conseguenze di investimenti mancati, di scelte che non hanno funzionato o del fatto che non è stato messo in discussione ciò che non funzionava già alcuni anni fa.
  Da questo punto di vista, l'esortazione, anche nei documenti inviati, è che ciò che non funziona sia cambiato. Se ciò che non funziona resta tale, probabilmente le riforme stanno al palo.
  Ci sono quattro questioni che richiamo molto velocemente e che erano già state abbozzate.
  Lasciamo stare la possibilità di segnalarvi le buone prassi. Le buone prassi ci sono, soprattutto in alcune aree come le province autonome di Trento e di Bolzano, che, in controtendenza, hanno continuato a investire sui servizi per il capitale umano, per la formazione e per il lavoro, ma, ahimè, questo non fa sistema.
  Le questioni sono almeno quattro. La prima è la condizionalità, cioè il fatto che sia stabilita a livello nazionale la garanzia (parlo di garanzia, che è diritto e dovere, in quanto lo Stato si fa garante affinché un soggetto si comporti in un certo modo) che ogni persona che perde il lavoro abbia diritto a un'indennità se partecipa a interventi di attivazione organizzati dal sistema dei servizi.
  Questa procedura deve essere obbligatoria. Quando si fa la proposta al disoccupato, va accettata, e se il disoccupato la rifiuta viene cancellato dalle liste. È una cosa che sembra bizzarra, ma in realtà già il decreto legislativo n. 181 del 2000 (sto parlando del Paleolitico) quattordici anni fa l'aveva impostata. È una regola di fondo che c’è in tutta Europa. Non si capisce perché in Italia si faccia così fatica a introdurre un meccanismo di questo tipo.
  In realtà, la mia è una provocazione. Si fa fatica, perché per fare questo c’è bisogno di un sistema di servizi adeguato e strutturato, pubblico o privato che sia.
  Da questo punto di vista, faccio due considerazioni. Il nostro sistema pubblico è debolissimo ed è finanziato dieci volte meno rispetto a quelli tedesco, francese e inglese, mentre il sistema privato non ha quella cosa che è stato introdotta opportunamente in Garanzia giovani, cioè la remunerazione sulla base del risultato.
  Cosa voglio dire ? Se un imprenditore cerca un lavoratore in Italia, il sistema gli dà l'incentivo, ma lui vuole il lavoratore e non l'incentivo. Noi gli diamo sicuramente l'incentivo e poi magari il lavoratore se lo cerca per conto suo. Questa cosa non funziona.
  Pensate che in Germania gli incentivi alle assunzioni neanche ci sono. Se un imprenditore vuole un lavoratore c’è il voucher di ricollocazione, cioè lo strumento che gli dà esattamente la persona giusta al posto giusto.
  Il punto è che, da un lato, va ristrutturato e rafforzato questo sistema di servizi, perché altrimenti stiamo a piangere a fronte dei cattivi risultati di un sistema che non ha la forza per poter funzionare in un certo modo.
  Dall'altro lato, è evidente che il sistema privato, oggi tendenzialmente legato al business della somministrazione, fa investimenti sulle politiche attive, sui servizi alla domanda e via dicendo se ha un sistema che lo remunera. Per esempio, la dote della Lombardia è stata una premessa.
  Qual è il punto ? Questa logica non può che essere nazionale. Al di là del fatto che ci sia un'agenzia nazionale di riferimento o meno e che questi servizi siano in capo allo Stato o meno, il punto non sono i servizi, ma le politiche attive.
  Noi non possiamo – in questo senso il Jobs act ci lascia un po’ perplessi – avere Pag. 8un sistema in cui la formazione e le politiche attive, cioè gli strumenti che servono per mettere le persone sul mercato del lavoro, sono completamente in mano alle regioni, senza alcun contrappeso di nessun tipo. Questa cosa in questi dieci anni non ha funzionato. Se avesse funzionato, avremmo un'altra opinione, ma empiricamente se una cosa non funziona va cambiata. Nel Jobs act questo tipo di intervento inizialmente c'era. Poi abbiamo visto che al Senato è stato modificato.
  A questo proposito, c’è anche una considerazione da fare sul Titolo V. Credo che noi siamo l'unica nazione europea in cui se sei malato hai diritto a delle prestazioni sanitarie che hanno un livello garantito dall'articolo 117 della Costituzione, ma se sei disoccupato no. C’è qualcosa di strano, anche perché molti diventano malati quando sono disoccupati. La disoccupazione porta anche a quelle condizioni.
  Per poter intervenire sul mercato del lavoro certamente servono risorse, però occorre fare attenzione. Negli ultimi anni noi abbiamo avuto risorse, soprattutto al Centro-Sud, che abbiamo restituito, quindi evidentemente queste risorse vanno messe in una strumentazione che va rafforzata e va organizzata e su cui siamo clamorosamente in ritardo. C’è una restituzione del 40 per cento da parte di Calabria, Sicilia, Sardegna e Campania in queste settimane.
  Saranno circa 12 miliardi di euro i fondi europei che arriveranno dal 2014 al 2020 sul welfare per il lavoro. Queste risorse devono cadere in un sistema nazionale che abbia dei presidi nazionali forti, delle regole che valgono per tutti e che, più o meno, riconosca alcuni elementi fondamentali che a nostro parere fanno parte dei diritti di cittadinanza.
  Questa Garanzia giovani, giustamente, è stata fatta partire, perché se si aspettava che il territorio fosse pronto forse non sarebbe partita, ma è un po’ un sasso lanciato nello stagno e, oggi come oggi, si è organizzata in venti modelli diversi. In alcuni territori questo strumento darà dei risultati, in altri meno.
  È evidente che ci servono anche politiche e programmi nazionali, per cui un ragazzo che già ha avuto la sfortuna di nascere e crescere in un posto dove ci sono poche opportunità occupazionali abbia almeno un livello di servizio adeguato.
  Faccio un'ultima riflessione. Lo dicono tutti i dati: un'economia avanzata che lavora sulla qualità e non sulla quantità ha sempre più bisogno di risorse umane preparate. Altrimenti le imprese seguono la logica della precarizzazione, della dequalificazione o altre.
  La scelta dell'Inghilterra, della Germania e di tutti questi Paesi nel 2008, a fronte della crisi, è stata quella di sostenere il finanziamento allo sviluppo umano (innovazione, start-up creazione di impresa, tirocini, servizi per il lavoro e formazione). Il livello medio di aumento dell'investimento in questi Paesi è stato di circa il 25 per cento.
  Noi, invece, abbiamo diminuito l'investimento del 20 per cento sulla formazione e del 30 per cento sui servizi per il lavoro. Sui 28 miliardi di euro spesi per politiche del lavoro l'anno scorso, 22 miliardi sono finiti in indennità di disoccupazione e in interventi di politica passiva.
  È evidente che questo dato rappresenta un modello che va cambiato. Credo che il Jobs act sia forse una delle ultime possibilità che abbiamo per cambiare un sistema che, probabilmente, avrebbe dovuto essere messo in discussione e riformato già alcuni anni fa.
  Non serve andare in Germania. Ci si può avvicinare andando a Trento e a Bolzano, che, quantomeno geograficamente, fanno ancora parte della Repubblica italiana, oppure a Torino. Ci sono esempi di sistemi validi in cui, con risorse scarse, i risultati ci sono, e in cui una logica pubblico-privato può funzionare.
  Il privato oggi ha bisogno di lanciare una nuova prospettiva di consulenza all'impresa. I nostri imprenditori vanno anche educati a chiedere meno incentivi e a essere un po’ più attenti al personale che assumono. Per fare questo, però, c’è bisogno di un sistema che aiuti il privato ad averne dei vantaggi.Pag. 9
  Venti accreditamenti regionali per Garanzia giovani, per esempio, sono un limite. Questo, però, riguarda il Titolo V. Quando Garanzia giovani nacque, col Governo Letta, non era questa l'impostazione. Furono le regioni a febbraio a dire «no». Il Titolo V fa sì che non ci sia una Garanzia giovani, bensì venti. Questo porterà venti risultati diversi e già questo non è un buon traguardo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CARLO DELL'ARINGA. Ringrazio i nostri auditi, anche per la relazione scritta. Mi dispiace di non aver seguito la prima parte. Mi farò carico di leggerla.
  Vorrei intervenire sulle ultime cose che ho sentito, che sono molto interessanti. Anche se in parte sono risapute, fa sempre bene ripeterle.
  La condizionalità è, se non il punto centrale, uno degli obiettivi principali del Jobs act. Siamo uno dei pochi Paesi, o forse l'unico, ad averlo solo scritto sulla carta, come è stato detto, e a non averlo messo in pratica.
  Su questo vorrei fare alcune osservazioni. Probabilmente è stato già detto, ma va sottolineato: la condizionalità si può fare solo se sono integrate le politiche di sussidio e le politiche di attivazione.
  Pertanto, l'esempio di Torino e di Trento non serve. Serve per dire che vanno bene le politiche attive, ma non è il punto d'arrivo. Il punto d'arrivo è l'integrazione delle politiche, se si vuole realizzare la condizionalità e gestire in modo più efficiente un sistema di ammortizzatori che, peraltro, va riformato.
  Spendere ulteriori risorse per gli ammortizzatori, senza aver cercato di realizzare la condizionalità, significa andare controcorrente rispetto a tutto quello che ha fatto il resto del mondo.
  In secondo luogo, il garante della condizionalità è il pubblico ovunque nel mondo, tranne casi eccezionali. I sussidi di disoccupazione sono gestiti dal pubblico quasi in tutto il mondo. In Australia forse non è così, ma si tratta di casi eccezionali. C’è qualche caso in Inghilterra, ma è sperimentale. Questo va detto, perché è una cosa importante.
  Se la condizionalità è un punto centrale, traguardando l'obiettivo, che non sarà raggiunto domani, perché non abbiamo 5 miliardi di euro da spendere, certamente concentrarsi sulla condizionalità, sugli ammortizzatori e sui disoccupati con sussidio può essere un punto di partenza molto importante.
  Da questo punto di vista, l'integrazione riguarda la politica passiva e la politica di incontro tra domanda e offerta, non necessariamente gli strumenti di politica attiva in modo immediato.
  Nulla vieta che la formazione possa essere gestita da soggetti pubblici o privati terzi rispetto a chi realizza la condizionalità. Succede in molte parti del mondo, attraverso esperimenti di «quasi mercato» che vanno dal voucher ai bandi e alle gare. Si fa molto da questo punto di vista. Si tratta solo di capire se il «quasi mercato» è più efficiente del servizio diretto dal punto di vista delle politiche attive.
  A me sembra che queste osservazioni, se non le avete già presentate, potrebbero integrare utilmente quanto abbiamo ascoltato. Grazie comunque, perché l'intervento che ho sentito è molto utile.

  DAVIDE TRIPIEDI. Io voglio ribadire una cosa di cui il Movimento 5 Stelle è convintissimo: la flessibilità non porta posti di lavoro. Volevo ricordarlo. Dal «pacchetto Treu» alla «legge Biagi», abbiamo visto in che situazione siamo oggi, nonostante ci sia flessibilità massima. Infatti, siamo uno dei Paesi più flessibili che esistano oggi in Europa.
  Quale consiglio ci darebbe per migliorare fortemente i centri per l'impiego, evitando che si dia al privato la possibilità di coprire tutto il mercato della ricerca del lavoro ?
  Parlo in maniera semplice per farmi capire. Voglio ribadire che la flessibilità non porta posti di lavoro. Abbiamo già visto tutte le esperienze che abbiamo avuto in Italia e che non hanno funzionato.Pag. 10
  Condivido quello che ha detto il dottore: noi ci stiamo alla flessibilità, ma ci deve essere una protezione sociale, per cui, se io ho perdo il posto di lavoro, ho un reddito che mi permette di mantenere la dignità. Questo è uno dei nostri punti fondamentali.

  WALTER RIZZETTO. Vi ringrazio per la presenza.
  Oltre ad aver letto velocemente in questa sede il vostro documento, ho letto anche il documento che ci è stato inviato dall'Associazione nazionale dei consulenti del lavoro. Immagino che l'abbiate visto. Mi chiedo se lo condividete.
  In questo documento si parla anche di centri per l'impiego. Si parla, per esempio, di centri per l'impiego e politiche attive, per quanto riguarda coloro che frequentano i centri per l'impiego con l'utilizzo – questa è una particolarità – di un codice numerico. C’è scritto che il lavoratore, una volta entrato alla prima iscrizione al centro per l'impiego, «dalla propria postazione va ad interfacciarsi con il centro per l'impiego stesso».
  Mi ricollego a quanto ha appena detto il professor Dell'Aringa. Rispetto agli ammortizzatori sociali, in quel documento – immagino che siate una grande famiglia – c’è l'accenno al fatto della presentazione giornaliera del cassintegrato per avere questo sussidio.
  Per quanto riguarda le politiche attive di questo esecutivo sul mercato del lavoro, siamo assolutamente d'accordo sul fatto che se flessibilizziamo il mondo del lavoro ma non sedimentiamo una serie di politiche, che possono essere i centri per l'impiego e una serie di provvedimenti, facciamo un grande danno.
  Mi stupisce che, arrivati a questo punto, qualcuno dica che gli ammortizzatori vanno riformati. Siamo d'accordo sul fatto che gli ammortizzatori vanno riformati, ma al netto di andare a sottoscrivere, firmare e votare altri 730-740 milioni di cassa integrazione in deroga con il prossimo decreto «Sblocca Italia» (decreto-legge n. 133 del 2014). Peraltro, mi pare che la maggioranza all'epoca non votò favorevolmente su un emendamento del deputato della stessa maggioranza del Nuovo centrodestra per dare la possibilità anche ai privati di svolgere la formazione. Tuttavia, prendo atto che, se le idee sono cambiate in questo frangente, può addirittura andar bene.
  Faccio un'ultima considerazione, proprio perché li ho sentiti nominare. Vorrei capire la vostra posizione rispetto ai voucher, che, secondo me, in questo momento potrebbero aiutare, se fossero quantomeno aumentati in termini di capienza. Noi sappiamo tutti che i voucher arrivano a un annuale di 5.050 euro netti per 6.750 euro lordi. Vorrei capire la vostra posizione sui voucher, perché, secondo me, potrebbero essere un sistema che, se triplicato nei contenitori economici, potrebbe dare delle risposte sicuramente più interessanti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VINCENZO SILVESTRI, Vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
  Mi si chiede come contrastare – questo è stato il termine utilizzato – l'attività privata per rafforzare i centri dell'impiego.
  Se mi posso permettere, io credo che sia una concezione un po’ vetusta quella che mette in contrapposizione pubblico e privato. Io ritengo che questa sia una visione un po’ antica, che la «legge Biagi» ha tentato di superare.
  Io non credo che se il centro per l'impiego oggi non funziona sia colpa della presenza di un privato che rema contro e che impedisce che la funzione pubblica venga avvantaggiata. È tutt'altro che così. C’è un problema: il mercato del lavoro e i servizi per l'impiego nello specifico sono un meccanismo così complesso che ha bisogno, a mio modo di vedere, che ci sia una parte di cosiddetta «sussidiarietà» demandata al privato, che possa gestire servizi adeguati, in connessione col servizio pubblico.
  Io credo, invece, che oggi quello che manca sia la sinergia. Noi dovremmo sviluppare una sinergia completa. Oggi, come Pag. 11si diceva poco fa, le agenzie fanno solo somministrazione dell'attività privata, mentre di attività di intermediazione ne viene fatta molto poca, perché non c’è remunerazione, perché non c’è incentivo e perché non c’è coordinamento.
  Sono d'accordo sul fatto che la gestione del patto di servizio e, quindi, della condizionalità debba essere lasciata al pubblico, ma evidentemente, dando a ognuno le sue competenze e funzioni e dando una sinergia e un coordinamento al sistema, è grazie all'attività del privato che si possono realizzare e completare le condizioni. Bisogna cercare di allargare il più possibile le sedi di competenza e di funzioni per avvantaggiare il mercato del lavoro e la riduzione della disoccupazione.
  In ordine al meccanismo che è stato indicato nel documento dell'Associazione nazionale dei consulenti del lavoro, quello attiene a meccanismi tecnici. Oggi uno dei problemi in alcune regioni per il cittadino è quello – potrebbe sembrare banale, ma non lo è – di andare negli uffici di collocamento a rendere la disponibilità, cioè a firmare quel patto di servizio a cui facevo riferimento.
  Non vorrei dirlo, ma io vengo da una realtà, Palermo, che purtroppo si identifica ancora come una città del Sud, dove a causa della Garanzia giovani c'erano soggetti che all'alba andavano a prendere il turno per rendere la disponibilità.
  Questo è un altro aspetto che non abbiamo affrontato, ma che è accennato nel nostro strumento. È un problema di tecnicismi. Sicuramente si può intervenire fortemente nel miglioramento dei servizi tecnici, per facilitare la vita al cittadino e per creare un meccanismo virtuoso e un sistema fluido che possa permettere un miglioramento dei servizi.

  ROMANO BENINI, Esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro. In genere in Europa funziona il modello di collaborazione pubblico-privato. Il privato, però, collabora col pubblico se il pubblico esiste. In Italia noi abbiamo il problema che in alcuni contesti il pubblico non esiste, nel senso che non c’è un personale adeguato per poter fare quello che va fatto per la presa in carico.
  Ci possono essere anche modelli diversi. C’è chi sostiene che il pubblico deve lavorare solo sull'offerta e il privato sulla domanda. A mio parere, si deve lavorare insieme, avendo chiare sia l'offerta che la domanda.
  Noi riteniamo che il privato possa offrire un forte contributo se si specializza su alcune funzioni. Per «privato» si intendono le funzioni private, quindi anche un'università, delle fondazioni o delle strutture non privatistiche possono svolgere questa attività.
  Tuttavia, come diceva il professore, l'atto di responsabilità verso il disoccupato deve essere di un soggetto pubblico.
  Di solito in Europa questo soggetto pubblico è anche quello che eroga il trattamento di disoccupazione. Qui entra in gioco il rapporto con l'INPS. Infatti, questa cosa funziona se l'INPS non vive in un mondo separato dal contesto.
  Da qui sorge l'esigenza di un'integrazione pubblico-INPS-privato. Su questa triangolazione devono passare le politiche attive. Più i servizi funzionano e meglio si piazzano le politiche attive. Questo significa far lavorare le persone e non semplicemente trasferire indennità.
  Abbiamo modelli, servizi e strumenti che in Europa si sono quasi stratificati in questi anni. C’è un forte aumento delle tecnologie e dell'informatica. Noi pensiamo che tutto debba passare attraverso questa strumentazione che, a fianco al lavoro, riguarda anche la formazione per chi non è immediatamente occupabile.
  Per questo motivo la logica della Garanzia giovani è una bella logica. È un programma che tiene insieme tutto. Se una persona è in cerca di lavoro ed è occupabile, si cerca di aiutarla e di darle lo strumento per essere occupata; se non lo è, le si dà una formazione on demand.
  La soluzione su cui oggi voi state lavorando è in parte anche la soluzione per Pag. 12l'altro problema: l'utilità della formazione, di queste decine di miliardi di euro che diamo alle regioni e anche ai fondi interprofessionali per fare una formazione che deve essere utile.
  Lanciamo un segnale: per noi è importante che le regioni abbiano degli osservatori in grado di leggere, non ogni anno i dati di due anni prima che ci dà Unioncamere, ma ogni giorno i fabbisogni formativi e professionali delle imprese.
  Se io in questo momento so che a Brescia c’è bisogno di quattro carpentieri, forse organizzo l'attività formativa, gli do il tirocinio e li faccio lavorare, ma se io non so nulla faccio fatica a fare qualsiasi cosa, in primis la Garanzia giovani.
  Il problema è appunto dotarci di quella strumentazione che faccia in modo che quel poco di mercato del lavoro che, nonostante tutto, si muove, lo possa fare anche su canali legali e regolari.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo fornito all'indagine e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.

Pag. 13

ALLEGATO

Pag. 14

Pag. 15

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 32

Pag. 33

Pag. 34

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40

Pag. 41

Pag. 42

Pag. 43

Pag. 44