XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Giovedì 23 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Seguito dell'esame del
documento conclusivo.

Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 3 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 7 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 7 ,
Da Villa Marco (M5S)  ... 7 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 8 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 9 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 10 ,
Ricciatti Lara (SI-SEL)  ... 10 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Seguito dell'esame del
documento conclusivo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali», il seguito dell'esame del documento conclusivo.
  Ora, se siete d'accordo, darei la parola al relatore che ieri ha indicato i criteri di metodo con cui ha lavorato, per cui forse varrebbe la pena avere qualche dettaglio di merito ulteriore che aiuti per la lettura del testo.

  LORENZO BASSO. Grazie, presidente. Ieri abbiamo soltanto introdotto il metodo di lavoro con cui abbiamo condiviso lo schema e abbiamo cercato di costruire il documento.
  Vorrei aggiungere ancora solo un accenno sul metodo, rispetto a una tradizione consolidata di fare il documento conclusivo come un documento che tenga conto di tutte le audizioni. Questo è stato fatto, nel senso che il documento contiene, essendo appunto un'indagine conoscitiva, gli aspetti, le criticità e le proposte che sono pervenute dalle decine e decine di audizioni che abbiamo fatto, però la scelta è stata quella di non fare semplicemente la sommatoria di queste sintesi, ma di provare ad articolarle all'interno di un documento realmente sintetico, per quanto voluminoso, che contenesse e provasse a sistematizzare molti dei contenuti che ci sono stati offerti.
  Il documento tiene conto, quindi, di queste elaborazioni e di altri documenti che abbiamo chiesto, anche in maniera più puntuale, ai soggetti istituzionali. Penso, per esempio, al contesto economico del capitolo secondo che è stato richiesto all'Istat e che contiene alcuni scenari con un focus, in particolare su determinati settori industriali e sui temi dell'occupazione e della produttività, per avere appunto la possibilità di inquadrare questo fenomeno all'interno del contesto economico nazionale e globale, in cui stiamo lavorando.
  Un'altra doverosa premessa è un ringraziamento agli uffici perché questo documento, come avete visto, è particolarmente ampio e corposo e c'è stato un grande lavoro degli uffici per fare non solo lo sforzo consueto di sintesi di tutte le audizioni, ma anche quello di elaborazione e di creazione appunto di una proposta originale.
  Il documento è stato così articolato.
  Il primo capitolo illustra sinteticamente il contenuto del documento stesso e le sue finalità, riprendendo il programma iniziale dell'indagine, nonché l'elenco delle audizioni e delle missioni svolte.
  Nel secondo capitolo viene presentato il contesto economico in cui ci muoviamo, quindi i dati forniti dall'Istat e integrati da parte del Servizio Studi della Camera e del Servizio Biblioteca sul contesto internazionale e sulle dinamiche dei settori industriali, in particolare di quelli che hanno visto negli ultimi anni una forte crescita oppure quelli che stanno soffrendo per obsolescenza tecnologica o di mercato. Inoltre, ci sono gli indici di produttività e di occupazione, nelle principali economie europee, e un focus, in particolare, sul nostro Paese.
  Il terzo capitolo prova a fare appunto una sintesi e a sistematizzare il pensiero su «Industria 4.0». Siamo partiti dall'inquadramento storico, quindi dalla motivazione di questa quarta rivoluzione industriale. Abbiamo chiamato la nostra indagine conoscitiva, all'inizio del nostro percorso, «Industria 4.0», ma credo che sia oramai patrimonio comune e di tutti che il termine «industria» nel senso classico sia limitativo rispetto al fenomeno che stiamo studiando perché molto spesso viene associato alla fabbrica taylorista, mentre questo nuovo paradigma economico ci parla di una produzione puntuale, particolare e di un prodotto, che ha delle caratteristiche, pur in un complesso di regole manageriali molto preciso e molto industriale, e che supera l'idea la produzione di massa industriale novecentesca.
  Abbiamo dato, quindi, una definizione che tenga conto sia dell'inquadramento storico di questa quarta rivoluzione industriale sia dei paradigmi tecnologici e sociali che presuppone. Abbiamo, quindi, specificato che questa rivoluzione tecnologica poggia sul presupposto della rivoluzione digitale e di internet, come chiave di volta per la possibilità di accedere a nuove tecnologie.
  Abbiamo provato a fare una sintesi delle principali tecnologie abilitanti, emerse durante le audizioni, quindi l’Internet of things, il cloud, il cloud computing, smart manufacturing, cyber-security, big data, data analytics, la robotica avanzata, la realtà aumentata ed altre, cercando di trovare per ognuna di esse una definizione che possa inquadrare queste tecnologie, ma specificando sempre che si tratta di un set di tecnologie non finito, appunto perché siamo all'interno di una rivoluzione, quindi, oggi, abbiamo semplicemente elencato quelle che, durante le audizioni, sono sembrate più promettenti o quelle su cui c'è un maggiore sviluppo.
  Abbiamo fatto un focus su alcuni settori, che abbiamo audito e che hanno già nel nostro Paese un grande stato di avanzamento, in particolare su quello che l’automotive e su quello dell'edilizia. C'è stata l'audizione che abbiamo svolto sul BIM (Building Information Modelling), quindi sulle nuove tecnologie applicate all'edilizia, e quella sul settore medicale, sia dal punto di vista farmaceutico sia dal punto di vista della chirurgia robotica.
  Abbiamo fatto un focus, poi sui nuovi modelli di business abilitati da queste tecnologie e da questa rivoluzione industriale. Parliamo, infatti, non soltanto di tecnologie, ma appunto di nuovi paradigmi economici. Abbiamo fatto un focus sulla sharing economy, la circular economy e le nuove strategie di mercato, quindi sul superamento dell'idea soltanto di vendita e dell'idea di un modello di business basato sull'affitto di componenti, il cosiddetto «modello Xerox». Abbiamo introdotto non soltanto il lato tecnologico, ma anche il cambiamento dei paradigmi economici.
  Abbiamo poi analizzato i progetti internazionali ed europei che già sono stati avviati. Queste schede, fornite dal Servizio Biblioteca, sono particolarmente significative e credo che siano un contributo importante che possiamo dare anche alla lavorazione che poi il Governo dovrà fare, perché analizzano i progetti già avviati dagli altri Paesi manifatturieri, in particolare da alcuni Paesi importanti, come Germania e Giappone, che abbiamo anche avuto modo di audire nelle audizioni, ma anche di altri Paesi, i cui progetti sono meno conosciuti, ma già avviati.
  Non mi dilungo su ogni singola scheda per Paese, ma dico semplicemente che, da questa lettura delle varie schede, noi possiamo evincere, per esempio, come vi siano alcuni Paesi che hanno fatto scelte di progetti a neutralità tecnologica, quindi senza sposare una tecnologia, o a neutralità di settore, quindi senza implementare una politica settoriale, in alcuni settori precisi. Penso, per esempio, alla Germania e alla Francia. In altri, invece, come la Cina e la Corea, quindi soprattutto i Paesi asiatici, questo è stato declinato molto di più nella scelta di alcuni settori da implementare e a cui dare maggiori risorse. Si tratta di modelli differenti con anche risultati diversi.
  Abbiamo poi fatto un'analisi degli indirizzi già adottati dall'Unione europea, quindi un richiamo ai provvedimenti del cosiddetto «pacchetto della digital single market», della digitalizzazione delle imprese, e abbiamo fatto un focus sul quadro italiano, quindi sulla disciplina, sugli elementi informativi nel settore della ricerca e dello sviluppo, sulla politica delle start-up e delle PMI innovative, sulla strategia e sugli interventi normativi, relativi all'infrastruttura di comunicazione.
  Questa lunga premessa era fondamentale per inquadrare il fenomeno perché, all'interno delle audizioni, abbiamo sentito come, sia a livello imprenditoriale che accademico, le impostazioni fossero diversificate e le letture fossero disomogenee. Spero appunto di aver fornito uno strumento utile per la lettura del quadro complessivo del fenomeno.
  L'ultimo capitolo è quello su cui mi auguro ci possano essere anche il maggior dibattito e la maggior possibilità di modificare, implementare e strutturare la nostra proposta, perché è su quale via italiana dare a «Industria 4.0», sulla base appunto di quegli elementi di quello che avviene in altri Paesi e delle caratteristiche economiche che abbiamo analizzato sul quadro italiano.
  Abbiamo, quindi, provato a fare un'analisi SWOT, un'analisi delle opportunità, dei rischi, dei punti di forza e dei punti di debolezza, prendendo spunto da tutte le indicazioni che sono emerse dalle nostre audizioni, per giungere a una proposta operativa.
  La prima ipotesi di proposta, che è quella che lascio al dibattito la Commissione e che spero si possa ulteriormente rinforzare e strutturare, è stata immaginata su cinque pilastri.
  Il primo, quello della governance del sistema Paese, è emerso durante – credo – quasi tutte le audizioni. Esistono eccellenze ed esistono sicuramente avanguardie su molte delle tecnologie o su molti dei nuovi modelli di business, ma manca una cabina di regia che metta insieme tutti i soggetti interessati. Mi riferisco, prima di tutto, ai soggetti istituzionali, perché anche a livello governativo non esiste ancora un luogo dove i vari ministeri interessati scambiano informazioni e progettualità in questo campo, ma anche alle istituzioni e ai soggetti protagonisti di questa rivoluzione, quindi i lavoratori, le imprese e le forze sociali ed economiche.
  Questa è la prima proposta, cioè quella di ritrovare una cabina di regia che, nell'ipotesi avanzata e su cui apriamo la discussione, noi immaginiamo più snella e leggera rispetto al modello di cabina di regia tedesca, quella della piattaforma 4.0, per le caratteristiche del nostro Paese e per la possibilità di avere una rivoluzione che sia non top-down, quindi con un'indicazione dirigistica, ma che permetta di far emergere e far conoscere, quindi con un'opera di cross-fertilization, le migliori esperienze maturate sul territorio.
  Il secondo pilastro è un forte indirizzo per realizzare le infrastrutture abilitanti. Abbiamo discusso a lungo, durante le audizioni, della necessità di avere una rete a banda ultralarga in tempi rapidi e che sia diffusa sul territorio. Noi abbiamo messo un accento, in particolare, sulla necessità che questa sia a servizio sicuramente delle aree a marginalità di mercato, a fallimento di mercato, ma anche per le aree industriali che hanno bisogno di raggiungere quelle performance che sono già negli obiettivi europei e che alcuni Stati, nei loro programmi, hanno già superato.
  Riguardo ad altre infrastrutture, penso al fatto che abbiamo marcato l'infrastruttura wireless e 5G, perché esiste un problema anche di latenza e non solo di velocità. Penso alle infrastrutture per l'efficientamento energetico e alla pubblica amministrazione che è una delle infrastrutture abilitanti, quindi non deve solo fornire più efficienza nella risposta alle imprese, ma deve essere anche il luogo che fornisce alcune delle infrastrutture di questa rivoluzione che sono i dati.
  La pubblica amministrazione italiana è la più grande fonte di dati del nostro Paese, ma la maggior parte di questi dati non sono accessibili. I dati, messi a disposizione, possono essere non soltanto un motivo di trasparenza, che è quello che ovviamente su cui tutti puntiamo e per cui è stato anche varato da poco il Freedom Of Information Act, ma anche dati utili per l'analisi di mercato. Mi riferisco a ciò che negli Stati Uniti d'America viene fornito attraverso dati che sono raccolti dalle grandi multinazionali, mentre nel nostro Paese molti di questi dati sono patrimonio dello Stato, per cui devono essere dati sicuri e anonimizzati, ma che possono essere a disposizione delle nostro mondo economico. Penso, per esempio, a tutti i dati sulla sanità.
  Il terzo pilastro che abbiamo individuato è quello che riguarda le competenze digitali. Abbiamo visto come una delle priorità sia in assoluto quella di affrontare il tema delle competenze digitali che servono a questo mondo, quindi la possibilità di svolgere e incrementare sia i corsi di studio universitari STEM, legati più a discipline scientifiche, informatiche, ingegneristiche e tecnologiche, ma anche come queste competenze digitali debbano essere presenti all'interno dei corsi di studio di tutte le altre professioni. Nello stesso tempo, servono anche competenze digitali a livello diffuso e di culture, quindi un rafforzamento dei progetti per il pensiero computazionale nelle scuole anche per un riallineamento della didattica che tenga conto di queste nuove competenze.
  Su questo, c'è stata l'audizione della Ministra Giannini che ci ha dato molti segnali positivi. Sia dalla maggioranza che dall'opposizione, anche se c'è stato chi ha dato una lettura con maggiore diffidenza sulla realizzabilità del progetto e chi magari con maggiore fiducia, credo che ci sia stata un'unanimità di consensi sul fatto che questa sia una delle sfide che potrà anche rispondere al tema occupazionale, che è una delle conseguenze inevitabili su cui si sta dibattendo anche rispetto all'adozione di queste tecnologie.
  Il quarto pilastro è quello imperniato sulla ricerca, quindi che prevede in particolare un rafforzamento della ricerca. Abbiamo individuato i due filoni emersi, quindi sia un rafforzamento della ricerca diffusa delle università, all'interno di quello che deve essere un sistema di adozione indipendente, a parte l'università dei filoni di ricerca promettenti, sia quello di concentrazione di risorse in alcuni grandi centri di eccellenza che possano competere a livello internazionale sui grandi asset del futuro.
  L'ultimo punto che abbiamo individuato è quello degli standard aperti, dell’open innovation. Abbiamo analizzato, nel corso delle audizioni, come il nostro sistema economico sia diverso per la presenza molto forte delle micro e piccole-medie imprese e di come sia necessario riuscire ad abilitare anche questo tessuto imprenditoriale molto vasto, per cogliere le opportunità dovute alle nuove tecnologie. È, quindi, necessaria in questo senso un'azione forte perché ci siano standard aperti, quindi, come alcuni Paesi propongono, non piattaforme chiuse, che andrebbero a vantaggio in particolare delle grandi e grandissime aziende capo filiera, ma standard aperti di interoperabilità che permettano all'intero tessuto socio-economico e imprenditoriale del nostro Paese di poter dialogare e parlare, quindi entrare all'interno di dinamiche di business con l'intero sistema economico.
  Si tratta di una forte accentuazione sull’open innovation e sugli standard aperti e sul fatto che bisogna cercare di abbattere le barriere che possano frenare questa innovazione, quindi una serie di raccomandazioni al Governo perché, nell'opera di regolamentazione e nell'opera di incentivo, tenga prioritariamente conto del tema dell'abbattimento delle barriere preesistenti, sia di livello normativo sia di livello economico.
  Questi cinque pilastri, a mio giudizio, rappresentano un mix originale, rispetto ai progetti presenti in altri Paesi, che sono basati appunto sulla peculiarità del nostro sistema imprenditoriale.
  Riterrei utile concludere il documento con osservazioni di carattere politico che dovrebbero essere l'auspicio di come vediamo il nostro tessuto economico nei prossimi vent'anni, se adotteremo questa quarta rivoluzione. Ho ritenuto più opportuno non presentarlo qui perché fosse appunto frutto del dibattito che nasce in queste nostre discussioni, per essere quindi l'elemento di unificazione finale e l'auspicio con cui vogliamo indirizzare il Governo a intraprendere questo piano per «Industria 4.0» che, il Ministro Calenda, come ci ha annunciato, presenterà in autunno per inserire i relativi interventi nel disegno di legge di stabilità 2017. .

  PRESIDENTE. Grazie. Invito i colleghi a intervenire.

  ADRIANA GALGANO. Intanto faccio i complimenti al relatore e agli uffici, ma anche al Presidente che li ha supportati, perché ritengo sia stato un lavoro poderoso. Mi riservo di leggerlo con più attenzione perché ovviamente queste sono state giornate intense.
  Io ho scorso velocemente il documento, mentre il relatore leggeva, per cui, rispetto ai cinque pilastri, proporrei di aggiungerne un altro relativo alla domanda di innovazione. Lo dico perché quello che è emerso da molti interventi è che in Italia non c'è domanda di innovazione, quindi possiamo fare tutte queste cose ma, prima che le piccole aziende apprendano di che cosa si tratta, il rischio è che il treno sia già passato. Ricordo che abbiamo chiesto anche al Ministro Padoan informazioni sull'acquisto di innovazione da parte delle aziende partecipate e dell'amministrazione pubblica o ammortamenti su misure volti a incentivare investimenti in software per aumentare la produttività. Ciò, a mio avviso, dovrebbe essere inserito nella parte propositiva del documento. Mi auguro non accada che poi, nella legge di stabilità, o non troviamo niente o troviamo altre misure: è importante che in questa fase la Commissione dia un'indicazione precisa.
  L'altra questione su cui vorrei che si discutesse con maggiore attenzione è il fatto che siamo d'accordo sull'approccio bottom-up, però dobbiamo anche considerare che non esiste il settore dell'industria del software nel nostro Paese.
  In un recente incontro sulla riforma della «buona scuola» in cui, tra l'altro, era presente anche il collega Paolo Coppola, ci hanno riferito che per l'insegnamento del code sono previste unicamente tecnologie Microsoft. Ci siamo riservati di approfondire la questione, però riteniamo assolutamente prioritario sviluppare questo tipo di industria nel nostro Paese. Su questo, noi dobbiamo fare una riflessione e, secondo me, dobbiamo prendere una decisione, posto che appunto mi riservo di approfondire le questioni e di avanzare proposte più articolate.

  MARCO DA VILLA. Grazie, presidente. Ringraziamo anche noi il relatore per il lavoro svolto.
  Il documento è arrivato in questi giorni, quindi lo stiamo vedendo e stiamo preparando comunque un nostro contributo. Credo che anche dalla precedente fase, soprattutto di audizioni e sulla base delle domande che abbiamo posto, possa essere chiaro su quali punti noi cercheremo di dare un contributo che possa essere accolto nell'ambito di un documento condiviso e finale.
  Vorrei dirne una per tutte. Noi crediamo, riprendendo in parte lo schema con cui è stata redatta la parte conclusiva del documento, cioè le proposte e le linee di intervento necessarie, che la parte sulla formazione debba tener conto di quegli aspetti – come peraltro viene riferito anche nel documento – sottolineati dai sindacati e da molti soggetti auditi, sulle modalità con cui affrontare «Industria 4.0». Mi riferisco a chi comunque farà fatica o non riuscirà immediatamente a reinserirsi nel mondo del lavoro con l'avvento di «Industria 4.0».
  Mi sembra di poter individuare, appunto sul piano della formazione, magari come postilla conclusiva, una questione rilevante: che fare per chi non potrà accedere ai nuovi percorsi formativi? Dovremmo, quindi, proporre strumenti di welfare, che ovviamente poi ognuno declinerà secondo la propria sensibilità politica, ma che comunque non possano essere dimenticati.
  Un altro aspetto più di carattere generale, anche se credo comunque possa essere condiviso e letto tra le righe del documento, è l'importanza che tutta questa operazione possa creare una filiera virtuosa tra le imprese italiane, nell'ambito del concetto stesso di filiera produttiva. Come è accaduto anche in passato, spesso il rischio è che, quando si incentivano alcuni settori con i contributi pubblici, di fatto, quei contributi arricchiscono, invece, produzioni o comunque realtà che si sono sviluppate all'estero. Un'attenzione su questo punto deve essere che veramente il contributo non sia solo per lanciare un settore, ma tenga conto di una filiera che si deve sviluppare – non dico «concludere» in Italia, perché poi deve essere anche rivolta all'esportazione – e essere veramente un volano, cioè non fatta di interventi puntuali su determinati settori.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola agli altri colleghi, vorrei riprendere tutti e due i temi che ha sollevato l'onorevole Basso per aggiungere una riflessione.
  Sul primo, quello della formazione, il convegno del Politecnico di Milano, cui ha partecipato Lorenzo Basso, ha fornito dei dati sulla qualità della forza lavoro particolarmente interessanti. Non li conosco nel dettaglio, perché non ho visto la base di valutazione statistica che è stata utilizzata, però, in sostanza, si può affermare che i due terzi della forza lavoro sono in condizione di riqualificarsi e che c'è una parte della forza lavoro che noi riteniamo – per questo dicevo di valutare bene come fare – non in condizione, per età, per rigidità, di riqualificarsi sulla fabbrica intelligente, quindi il primo problema è questo.
  Vi è poi un 10 per cento della forza lavoro, di cui avremmo bisogno, che non si trova. Abbiamo cioè sia il problema di riqualificare o vedere come ricollocare chi non ce la fa sia quello di mettere in campo quei percorsi formativi, che consentano di trovare nuove professionalità e competenze, che una fabbrica e una filiera interconnessa hanno oggi e spesso non si trovano.
  Voglio allargare il ragionamento per dire che credo che dobbiamo in qualche modo – poi, vediamo come – mettere assieme la circolarità di un percorso che è davvero molto complesso.
  Sul secondo aspetto ho riflettuto in questi giorni, partendo dal fatto che – parliamo di una fabbrica media o grande – una fabbrica interconnessa prevede per forza una maggiore interconnessione pure con le filiere, che sono parte della catena del valore di questa azienda. Questo determina, il fatto che queste aziende che sono in filiera, siano, appunto perché molto più connesse di prima, in qualche modo «meno autonome», nel senso che possiamo immaginare che non solo si interconnette rigidamente, sia pure in uno schema flessibile, un'azienda, come la Porsche che abbiamo visto, ma tutti i fornitori e subfornitori della Porsche agiscono in una interconnessione che in qualche modo li lega sempre di più alla fabbrica madre. Già oggi è così, ma è chiaro che un aumento del livello di interconnessione le rende ancora più vincolate.
  Questo apre immediatamente il problema di quelli che stanno fuori dalla filiera perché, paradossalmente, oggi, se tu hai un'azienda che produce la stessa cosa e non sei in filiera, puoi provare a competere con chi sta nella filiera dell'azienda madre, per dire «io posso produrre la stessa qualità a costi inferiori», ma domani, quando la filiera sarà tutta interconnessa, con gli investimenti già fatti, diventa, anche se questa è una mia valutazione o ipotesi, più difficile da fuori poter entrare nel circuito. La mia riflessione deriva più che altro dal tentativo di capire – e in qualche modo provare a prevedere – come il mutamento dell'azienda madre determinerà a cascata un comportamento diverso, rispetto a oggi, di tutte le piccole e medie aziende collegate. Dico questo per offrire il mio contributo al tema perché non dobbiamo pensare solo a come cambia l'azienda madre, ma anche a come cambia tutto il mercato di riferimento alla creazione di valore.
  Il terzo aspetto, invece, è il fatto più positivo. Alla Porsche ci hanno spiegato che già con l'interconnessione di oggi hanno recuperato il 30 per cento di e che, se portano alle estreme conseguenze il processo di mutamento, il guadagno di produttività può arrivare al 50 per cento, per cui non ha più senso produrre all'estero. A quel punto, conviene che tutto quello che si può ri-importare e reinserire (reshoring) venga fatto perché, per quanto il costo del lavoro è più basso, come in Polonia o da un'altra parte, il gioco non vale la candela: tu fai grandi investimenti e abbassi drasticamente la produttività, per cui, a quel punto, tutto quello che poi riportare dentro i confini nazionali tu lo porti.
  Questo è un mutamento epocale, se ci riflettiamo, perché cambia davvero il paradigma, su cui, negli ultimi trent'anni, è andata avanti non l'internazionalizzazione dell'economia, che è un'altra cosa, ma il decentramento produttivo, in cerca di costi del lavoro e diritti più bassi, quindi anche questo è un altro scenario totalmente aperto, ma non campato in aria, perché effettivamente c'è stato detto esattamente quello che vi ho sinteticamente riferito.

  CHIARA SCUVERA. Grazie, presidente. Vorrei anch'io ringraziare Lorenzo Basso per il lavoro davvero straordinario e corposo che ha fatto e soprattutto penso che questa sia appunto un'occasione per fare anche una proposta di lungo periodo, come Commissione.
  Lo dico perché, come è emerso in vari interventi, abbiamo l'occasione non tanto di delineare una parte della politica industriale, ma – e, secondo me, deve emergere molto forte nelle conclusioni – di chiedere e di promuovere una nuova visione della politica industriale.
  È chiaro che da troppi anni – mi permetto di dirlo – manca una politica industriale ma, con l'indagine conoscitiva e gli atti conseguenti del Governo e del Parlamento, si ha anche l'opportunità, non tanto di indirizzare, ma di promuovere una nuova visione e un grande progetto per il Paese, per la rigenerazione urbana, per l'efficientamento energetico e per la mobilità ecosostenibile, chiaramente con tutti i problemi sull'impatto occupazionale, di cui abbiamo parlato, e lo sforzo che si deve fare sulla formazione professionale.
  Lo sforzo che si deve fare, nel nostro Paese che purtroppo si è distinto, come diceva la collega Galgano, per scarsi livelli di innovazione, originati anche da un depauperamento del sistema di ricerca e sviluppo, e chiaramente la mancanza anche di personale qualificato. Certo, sarà retorico dirlo e lo diciamo sempre, quindi non utilizzo l'espressione «capitale umano», ma penso a giovani ricercatori che non hanno avuto la possibilità di mettere a servizio del nostro Paese le proprie competenze, quindi, come diciamo anche nel corso dell'analisi presentando i dati dell'Unione europea su questo fronte rispetto al nostro Paese, ci dovrà essere chiaramente un investimento importante anche in ricerca e sviluppo e in promozione del lavoro di ricerca.
  Riservandomi anch'io di intervenire successivamente, dico che, in questo senso, leggendo anche cosa è stato fatto negli altri Paesi, bisognerà iscrivere «Industria 4.0» in una strategia più ampia. A me ha convinto molto – chiaramente dalla lettura, che poi si potrà approfondire – quello che è stato fatto in Svezia, dove si è partiti da un'agenda strategica per l'innovazione nella produzione, quindi è stata fatta un'analisi di impatto sull'ambiente e sul lavoro nonché chiaramente su tutte le ricadute.
  Di queste, noi ne avremo di importanti anche per settori forti, come per esempio la sanità, quindi penso che si debba partire da lì e che si debba iscrivere «Industria 4.0» in quel quadro, per costruire la governance non solo in modo diffuso, come giustamente diceva già Lorenzo Basso, quindi non solo col Governo e con gli attori istituzionali, ma con tutti i protagonisti e i soggetti che potranno influire in questa partita.
  Oltre alla cabina di regia e di promozione, perché appunto la governance deve essere il più diffusa possibile, bisogna mutuare anche quei modelli di alleanze tra categorie e forze sociali, con un ruolo preminente e importante delle università anche per l'elaborazione della strategia.
  In Francia, è stata fatta l'alleanza per il futuro, per industria con il futuro, quindi lì c'è una governance veramente molto interessante, così come la Germania e altri Paesi, per esempio la stessa Svezia, hanno attivato delle forme associative che è poi articolano sul territorio il progetto.
  Io penso che questo sia veramente molto importante perché, se ci fosse uno scollamento, rispetto al Paese, dell'operazione che si fa sulla politica industriale, quindi, se non c'è una diffusione di questa grande strategia di Paese, questa potrebbe essere non governata e soprattutto poi non essere efficace, come ci proponiamo.

  PRESIDENTE. Siccome dopo dobbiamo svolgere l'Ufficio di presidenza, le chiedo gentilmente di essere breve.

  LARA RICCIATTI. Grazie. Cercherò di essere breve, ma vorrei lasciare alcune riflessioni di questo primo confronto, rispetto a un documento che di fatto nessuno di noi, a parte il relatore che è stato bravissimo, conosce nel dettaglio. Ho due considerazioni che, nello sfogliare ed ascoltare la relazione del collega Basso, vorrei condividere insieme a voi.
  Partendo da un presupposto, la prima considerazione è che, nonostante gli studi umanistici con quelli scientifici generalmente «stonano», io penso che la vera sfida per il Governo italiano, ma anche per tutta la classe dirigente, quindi non solo politica e non solo governativa, debba essere che «Industria 4.0», di fatto, deve diventare una cultura dell'idea di politica industriale di questo Paese e che non deve essere solo una norma. Lo dico perché, se non ricordo male, è stato appunto il Ministro Calenda a teorizzare che non si possa pretendere che le imprese si adattino a questo percorso, ma di occorre trasformare «Industria 4.0» in una sorta di nuova cultura imprenditoriale, per cui si produce cultura e si spinge decisamente, di fatto, verso un'idea diversa, rispetto alla quale gli imprenditori, quelli più avanti nell'età, verosimilmente rischiano di riuscire difficilmente ad allinearsi. Per questo motivo, ricollocherei il tema dell'innovazione all'interno di una premessa politica che il relatore Basso immagino ci presenterà e non, tra virgolette, «nella sesta parte» di questa indagine conoscitiva. Lo dico perché penso che l'innovazione debba essere uno dei canali, sui quali è necessario far camminare questo processo di trasformazione in atto e non una componente.
  Mi permetterei, solo se questo è possibile, perché, come vi ripeto, sto cercando di dare un contributo positivo, di provare a fare un ulteriore passaggio di studio e di approfondimento, rispetto a come introdurre una nuova idea di politica industriale in Italia.
  Suggerirei di fare una breve e veloce fotografia di come, oggi, vive il nostro tessuto imprenditoriale. Bisogna cercare anche di conoscere quali sono le differenze e, per esempio, quanti sono i tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello sviluppo economico, per capire in quale modo il sistema imprenditoriale italiano possa assorbire tali trasformazioni e adattarsi nonché uniformarsi appunto a questa filosofia.
  Dico questo perché ho notato che il relatore Basso, nella quarta parte del documento conclusivo, riporta appunto il dibattito sulle ricadute occupazionali, che di fatto è un tema che noi non possiamo per nessuna ragione al mondo non prendere in considerazione e non spingere a una riflessione ovviamente, perché è uno dei pilastri, se pensiamo al sistema di sviluppo imprenditoriale. Tuttavia, c'è un altro aspetto che vorrei capire, provando a osservare velocemente tutto il tessuto, non solo le grandi imprese. Voi siete andati in missione alla Porsche, però, se io pensassi all'Italia, magari penserei alle piccole e piccolissime imprese italiane. Ci dovremmo chiedere come aiutare quelle piccole realtà, di cui di solito vediamo che il numero anche di organico è sotto le cinque persone e, per esempio, visto che il tessuto imprenditoriale italiano per il 95 per cento è composto da questa tipologia di impresa, come aiutare queste piccole realtà, che di fatto sono una caratteristica quasi tutta italiana e a volte sono anche localizzate in determinate regioni, ad applicare «Industria 4.0». Vi sono determinati settori in cui si assiste – e su questo, invece, «Industria 4.0» può essere utile – ad un'assoluta difficoltà nel ricambio generazionale e nella guida di queste piccole – uso con un termine novecentesco – botteghe. I padri, oggi, non sanno a chi affidare quell'attività perché ci sono i figli che non vogliono proseguire nella piccolissima impresa di famiglia. Allora, «Industria 4.0» può essere, di fatto, il ponte che permette a un giovane di continuare a svolgere magari quella attività imprenditoriale che oggi, in determinati settori rischia di saltare perché non c'è continuità generazionale. Dovremmo provare a fare questa fotografia veloce di quale sia la situazione in Italia perché, forse, potrebbe essere un valore aggiunto.

  PRESIDENTE. Onorevole Ricciatti, vorrei solo aggiungere una considerazione. Quanto lei chiede è esattamente quello che abbiamo chiesto all'Istat la cui elaborazione è presentata al capitolo 2 della proposta di documento in esame.
  Rinvio il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.50.