XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Mercoledì 8 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 4 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 7 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 7 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 8 ,
Da Villa Marco (M5S)  ... 9 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 10 ,
Nesi Edoardo (Misto)  ... 11 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 11 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 11 ,
Nesi Edoardo (Misto)  ... 14 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 14 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, che saluto e ringrazio.
  Prima di dare la parola al ministro, vorrei sottolineare come per noi quest'audizione sia importante. Oltre all'audizione già prevista dei ministri più competenti nel merito – domani ascolteremo il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la settimana prossima il nuovo Ministro dello sviluppo economico – la presenza del Ministro dell'economia e delle finanze secondo noi è particolarmente rilevante. Si tratta, infatti, di un tema, quello dello studio della trasformazione digitale nel nostro sistema produttivo e manifatturiero, che ha ricadute più generali. Parliamo dell'industria manifatturiera, ma sappiamo che nel mondo di oggi tra industria, servizi, attività finanziarie e di supporto e innovazione tecnologica c'è un rapporto come mai nel passato.
  Allora la presenza del ministro, che ha non solo una titolarità diretta e indiretta su tutti gli aspetti della nostra politica finanziaria ed economica, e quindi anche industriale, è particolarmente importante per avere anche un punto di vista più trasversale, sul nodo settoriale che vogliamo affrontare.
  D'altra parte, come ho avuto modo di anticipare al Ministro, abbiamo avuto l'idea di promuovere questa indagine conoscitiva perché il Paese è un po’ in ritardo sulla trasformazione digitale, non tanto nei processi, in parte già avvenuti anche nel nostro sistema produttivo, ma perché abbiamo bisogno di definire un approccio un più corale, di regia, di progetto, per costruire una via italiana all’«Industria 4.0» che tenga conto delle nostre specificità: la presenza di tante piccole e medie imprese, imprese artigianali, una capacità di fare filiera, in alcuni settori in modo particolare.
  Noi abbiamo delle nostre caratteristiche, a cui dobbiamo adeguare quest'evoluzione tecnologica e digitale che riguarda ormai una buona parte dell'Europa e la realtà del mondo produttivo industriale più avanzato. Questo è in breve il senso del nostro lavoro, che può intendersi anche come sollecitazione, spinta, all'azione del Governo perché assuma questo come uno dei punti essenziali non solo di politica industriale, ma di rivolgimento anche culturale di quello che c'è bisogno di fare per attrezzare il nostro Paese.
  È inutile nascondere che, anche se continuiamo giustamente a rivendicare con orgoglio che restiamo la seconda manifattura d'Europa, è altrettanto vero che questo ruolo impone, così come hanno fatto Pag. 4altri Paesi, di avere una visione d'assieme per adeguare gli strumenti di incentivazione finanziaria al modo in cui funzionano questi aspetti nella nostra ricerca, nel nostro sistema universitario, nel rapporto con i territori, nell'evoluzione dei nostri distretti, tutto dentro questa logica.
  Per questo, caro Ministro, per la sua presenza non scontata la ringrazio doppiamente e le cedo la parola.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio per quest'opportunità. Vorrei toccare rapidamente tre punti nella mia introduzione. Il primo è solo un flash su come abbiamo capito al MEF essersi prodotta e sviluppata la quarta rivoluzione industriale. Il secondo punto riguarda il ruolo della pubblica amministrazione nel processo di innovazione, il terzo le misure, in parte già proposte e attuate e altre come possibili sviluppi futuri, per affrontare il cammino verso l’«Industria 4.0».
  Stiamo assistendo alla quarta rivoluzione industriale, frutto della convergenza e dell'innovazione realizzata in campi diversi. C'è ampia evidenza di quanto le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, l'ICT, siano sempre più presenti nella vita dei singoli cittadini, ma nell'industria queste tecnologie entrano con articolazioni sempre più pervasive. L'intelligenza artificiale, la robotica, l’Internet delle cose, la stampa 3D, le nanotecnologie, le biotecnologie, sono esempi di campi di evoluzione delle tecnologie che giocano un ruolo sempre più importante nei processi produttivi. L'ingresso di queste tecnologie nei processi produttivi e lungo tutta la catena del valore delle imprese sta generando un nuovo paradigma di produzione, che si caratterizza per almeno quattro aspetti.
  Anzitutto, i diversi segmenti della catena del valore sono relativamente indipendenti, ma interconnessi tra loro grazie a uno scambio di informazioni che consente ai sistemi di prendere decisioni in modo automatico. In secondo luogo, la personalizzazione del prodotto, un tempo riservata a piccole unità produttive, diventa possibile anche nella produzione su larga scala. In terzo luogo, le risorse disponibili nel processo produttivo vengono allocate in modo più efficiente. In quarto luogo, ma non certo ultimo per importanza, la programmazione del lavoro diventa altamente flessibile e assegna alla forza lavoro – forse bisognerebbe dire al capitale umano – un ruolo strategico che la valorizza, ma che richiede competenze specifiche e capacità di adattamento.
  La trasformazione sottesa a questo nuovo paradigma richiede l'instaurazione di nuovi rapporti tra operatori, e in particolare tra grandi imprese e filiere della fornitura. Le filiere lineari si trasformano in reti diffuse in cui i beni materiali hanno un valore direttamente proporzionale alla quantità di informazione che sono in grado di incorporare. È l'informazione che il prodotto porta con sé che permette l'utilizzo corretto del prodotto nella nuova rete produttiva, che si caratterizza per la densità di funzione e transazioni che vi si svolgono.
  Se scorriamo l'elenco dei soggetti privati che hanno avuto maggiore successo in questi ultimi anni, troviamo che la principale fonte di informazione al mondo non produce contenuti informativi in proprio, che il più grande distributore di video non dispone di uno studio di registrazione né produce video, che la più nota insegna del commercio globale non ha un negozio, cioè un luogo fisico dove vendere la merce. Questo è uno sketch della globalizzazione, ma l'Europa è in ritardo in questi settori.
  Nessuno dei maggiori venti player digitali globali è europeo. Le cause di questo ritardo vanno ricercate in diverse ragioni. Una di queste è il ritmo di integrazione del mercato europeo, che rimane troppo lento, in particolare nel settore dei servizi. Un altro aspetto riguarda i mercati del lavoro, che restano frammentati e rigidi, che non promuovono la corretta allocazione del capitale umano. Tra le conseguenze di queste rigidità, c'è anche una dinamica insoddisfacente della produttività, che certo è difficile da misurare in tutte le sue componenti, ma è innegabile che su questo piano serva uno scatto in Europa, e certamente anche in Italia. Pag. 5
  Nel loro insieme, le cause alla base dell'assenza di grandi player europei in questo settore contribuiscono a spiegare la crescita relativamente bassa dell'Europa, una regione economica con forte tendenza all'invecchiamento della popolazione che può sviluppare tassi di crescita più elevati soltanto o principalmente investendo in innovazione. I policy maker devono, quindi, intervenire con urgenza per adattare il quadro regolatorio alle potenzialità offerte dal progresso tecnologico. Soltanto così le opportunità possono trasformarsi in investimenti, occupazione e crescita.
  Vengo adesso al ruolo del settore pubblico, o quello che mi piacerebbe chiamare una PA 4.0. Partiamo da una constatazione. L'innovazione è il risultato di un insieme di processi, il policy maker ha il compito spesso molto complesso di provare a mettere assieme fattori diversi e strumenti di politica nuovi per conferire dinamismo all'economia. Questo è il compito non soltanto a livello italiano, ma anche a livello europeo.
  Sul piano europeo, l'Italia sta da tempo promuovendo un'azione volta a rinnovare la formula efficace che in passato ha promosso la crescita e l'integrazione. L'Europa nel Dopoguerra è cresciuta perché ha abbattuto le barriere sia economiche sia culturali.
  Sul piano nazionale, il Governo interviene su più livelli: di indirizzo, legislativo, esecutivo. Nella propria funzione di indirizzo, il Governo indica una direzione e la pone all'attenzione della pubblica opinione e di un pubblico specialistico anche attraverso la ricerca e la produzione di studi e analisi. In questo modo, vengono sensibilizzati gli operatori privati, sollecitati a investigare le opportunità e le sfide dell'innovazione. Stiamo lavorando nelle diverse articolazioni dell'Esecutivo per fornire un orientamento in questo senso.
  C'è poi la dimensione legislativa, che a sua volta ha molte dimensioni. Il Governo, insieme al Parlamento, è promotore di un'azione regolatoria per facilitare l'emergere di standard. Questo è fondamentale, perché l'innovazione si propaga se i sistemi comunicano tra loro, e perché questo accada occorre stabilire le regole dell'interoperabilità, che consente appunto la comunicazione.
  Nella dimensione legislativa, il Governo può anche promuovere l'orientamento delle risorse finanziarie verso l'innovazione attraverso incentivi di tipo fiscale e il finanziamento di attività di ricerca. Su questo tornerò dopo, ma l'Esecutivo ha promosso le start up innovative con incentivi di tipo regolatorio, che semplificano la burocrazia per le imprese dotate di requisiti, e ha favorito gli investimenti in generale, con norme come il super-ammortamento, che si stanno rivelando efficaci.
  Infine, in quanto organo esecutivo, il Governo orienta l'azione della pubblica amministrazione, che fornisce servizi a famiglie e imprese. A fare da interlocutore all’«Industria 4.0», come accennavo, ci deve essere una pubblica amministrazione 4.0. Con questo ho in mente un'amministrazione capace di utilizzare le tecnologie per rendere i processi interni veloci ed efficaci, capaci di integrarsi con una realtà esterna del Paese e dei cittadini, un'amministrazione che asseconda le pratiche innovative già in uso presso i propri interlocutori, in alcuni casi sollecitando e anticipando l'innovazione, e contribuendo per questa via all'aumento della produttività.
  Consapevoli di questo, abbiamo collocato la riforma della pubblica amministrazione tra le priorità della strategia di Governo. La pubblica amministrazione può essere un motore della crescita, perché l'adozione di pratiche e tecnologie tipiche dell'economia digitale può fungere da stimolo al settore privato. Penso alla diffusione degli open data e ad altri campi nei quali la pubblica amministrazione ha saputo anticipare e stimolare il mercato: la fatturazione elettronica, l'informatizzazione del sistema doganale, lo snellimento dei meccanismi di acquisto basati su market place digitali, ma anche il processo civile telematico e il processo tributario telematico.
  Altro ambito nel quale il Governo può svolgere un ruolo decisivo nell'orientare le scelte e i comportamenti tramite la pubblica amministrazione è, ovviamente, il sistema Pag. 6 dell'istruzione. L'istruzione è la leva fondamentale per orientare la propensione all'innovazione e sviluppare le competenze necessarie a realizzarla. Come emerge da ampia evidenza internazionale, l'investimento in capitale umano è la misura strutturale che ha il maggior impatto sulla crescita nel lungo periodo.
  Naturalmente, però, ci sono anche altri elementi di intervento – questo è il mio terzo punto – che agiscono direttamente sul settore privato. Come ricordava il presidente, l'industria italiana è la seconda manifattura dopo la Germania e la sesta al mondo per esportazione. In particolare, il settore manifatturiero si sta trasformando e l'Italia deve cogliere questa fase come opportunità di sviluppo piuttosto che, ovviamente, come causa di arretramento. Abbiamo una posizione ancora forte e dobbiamo difenderla e migliorarla.
  Il settore manifatturiero italiano rappresenta il 15 per cento del PIL, a cui corrisponde un'occupazione di quasi 4 milioni di lavoratori e un numero di oltre 400 mila imprese, di cui, come è noto, 340 mila nella classe dimensionale fino a dieci addetti. Si stima, inoltre, che ogni addetto nel settore manifatturiero sia collegato a due occupati nei servizi associati.
  Il Governo intende mettere il settore produttivo nelle migliori condizioni per fronteggiare le sfide e cogliere le nuove opportunità della quarta rivoluzione industriale. La strategia del Governo si sviluppa lungo tre linee: il miglioramento dell'ambiente per le imprese, business environment; la fiscalità e la burocrazia; misure specifiche per l'innovazione.
  Sul primo punto, il business environment, il contesto, le infrastrutture, la scuola, l'università, il mercato del lavoro, la finanza per l'economia reale, le azioni si stanno concentrando sulla creazione di un sistema che favorisca la crescita e l'iniziativa imprenditoriale, che promuova merito ed eccellenza, che fornisca percorsi formativi all'avanguardia e strumenti di riqualificazione professionale adeguati, necessari a far fronte alle mutate esigenze e alle nuove opportunità. Non dimentichiamo che il capitale umano deve essere complementare ad altre infrastrutture immateriali e con infrastrutture intangibili, per esempio con la banda larga.
  Misure specifiche in questo senso comprendono l'impegno per le infrastrutture digitali, come il piano a banda ultralarga, le riforme della scuola e del mercato del lavoro, compreso il framework europeo per le competenze digitali. Vorrei ricordare che l'Italia ha adottato per prima l’e-Competence Framework come norma nazionale e ne ha promosso l'azione a livello europeo guidando i lavori del Comitato europeo di normazione.
  Il secondo livello è quello della fiscalità e della burocrazia, ovvero il modo in cui le istituzioni e la pubblica amministrazione operano secondo una regolamentazione e delle norme ispirate sempre più alla semplicità e alla trasparenza. In questo campo, le azioni si stanno concentrando sulla riforma della pubblica amministrazione, insieme alla riforma della giustizia civile e alla semplificazione delle procedure per l'adempimento fiscale, in un'ottica di cooperazione tra contribuenti e amministrazione.
  Misure specifiche comprendono i tagli alle tasse per imprese e famiglie, la revisione qualitativa e quantitativa della spesa, la semplificazione burocratica e normativa, la riforma della pubblica amministrazione, il nuovo codice degli appalti, l'introduzione della fatturazione elettronica, della dichiarazione dei redditi precompilata, del sistema d'identità digitale, della conferenza dei servizi telematici e altri, tra cui il rafforzamento del tribunale delle imprese.
  La politica dell'innovazione, terzo punto, è volta a stimolare direttamente gli investimenti in attività innovative ad alto contenuto tecnologico e digitale e gli investimenti in ricerca e sviluppo, che si affiancano a interventi per il sostegno alla nostra manifattura, come il super-preammortamento. In questo campo, misure specifiche includono l'istituzione delle categorie delle piccole e medie imprese e start up innovative, introdotte con l’Investment Compact 2015.
  In termini di governance, le Srl sono ora assimilate alle Spa, e possono quindi emettere Pag. 7stock options e accedere alle piattaforme di crowdfunding. Dal punto di vista fiscale, è previsto un credito d'imposta per spese in ricerca e sviluppo pari al 25 per cento dell'investimento, 50 per cento se congiuntamente con università, centri di ricerca e alcune categorie di imprese.
  È stato, inoltre, introdotto il patent box, con deduzione del 40 per cento nel 2016 e del 50 per cento nel 2017 di rendite da brevetti, marchi, software protetti da copyright, disegni e modelli giuridicamente tutelati. Sono in corso di definizione misure a favore del venture capital. Il piano nazionale di ricerca prevede, inoltre, un'area di specializzazione della ricerca applicata anche con proposte per le regioni.
  In conclusione, quella tecnologica è innanzitutto una rivoluzione dei processi, quindi è necessario che lo Stato in primo luogo si interroghi su come migliorare se stesso per essere di stimolo al resto della società e rendere l'azione di policy più incisiva in quest'ambito. Tener conto di questa realtà implica un dialogo continuo, che si evolve con elevata velocità. Non possiamo perdere opportunità di crescita e benessere.
  Concludo, infine, dicendo e ribadendo che nelle sedi europee il Governo italiano si adopera per sostenere l'idea di un'unione per l'innovazione che spinga tutti gli Stati membri e l'Unione nel suo insieme a investire sull'innovazione come leva strategica per il sostegno della produttività e della crescita.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il signor ministro.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LORENZO BASSO. Ringraziamo il Ministro per la sua esposizione nell'ambito della nostra indagine conoscitiva. È molto importante per noi, come diceva il presidente, avere anche l'opinione di chi ha il quadro macroeconomico, e quindi di chi può inquadrare le possibili azioni per sviluppare l’«Industria 4.0» all'interno di un quadro più esteso.
  Io parto dalla sua riflessione che questa è soprattutto una rivoluzione dei processi, che non può che chiamare in causa uno dei tessuti economici molto importanti per la nostra manifattura, e non solo, ossia quello delle piccole e medie imprese.
  La prima domanda è questa: è pensabile un'azione per avere incentivi fiscali così come avviene per quanto riguarda i beni strumentali materiali (imbullonati, attrezzature) per agevolare la costruzione di infrastrutture materiali che permettano la filiera all'interno delle piccole e medie imprese italiane con quegli strumenti innovativi che nella terza rivoluzione hanno interessato le grandi imprese?
  Penso agli ERP, gli Enterprise Resource Planning, a tutti quei software che hanno automatizzato la produzione manifatturiera e che sono stati per di più tarati sulla media e grande impresa. Non a caso, la maggior parte di questi sono di derivazione tedesca o americana. Un'incentivazione che permetta alle nostre piccole e medie imprese di lavorare su piattaforme informatiche, di interagire, quindi di crescere dimensionalmente a livello di filiera, attraverso questi software sarebbe molto importante, ma si scontra con gli elevati costi di questa tipologia di software. Riuscire a incentivarli attraverso politiche pubbliche potrebbe essere importante.
  La seconda domanda riguarda le infrastrutture. Lei ha richiamato il piano della banda ultralarga, che è fondamentale e su cui il Governo si è impegnato moltissimo. Vorrei mettere in rilievo la necessità che questo piano non riguardi soltanto le cosiddette aree a fallimento di mercato, ma accenda i riflettori sulle aree industriali. In tutto il Paese, non solo al sud, ma anche in molte aree del nord Italia, della Lombardia e del Veneto, in zone industriali, dove c'è una forte necessità di avere la possibilità dell'accesso, siamo ancora molto indietro. Queste non sono aree a fallimento di mercato, ma aree in cui l'arrivo della banda ultralarga, ma anche delle infrastrutture wireless, sarebbe fondamentale.
  Infine, mi scuso se penso sempre alle risorse, ma avendo lei di fronte non possiamo che pensare al ruolo strategico che il Pag. 8MEF può avere anche nell'agevolare l'accesso alle risorse e a quelle per la formazione. Questa rivoluzione industriale – lei lo ha ricordato – chiama in causa la componente della conoscenza, e quindi della formazione professionale. È una grandissima opportunità, un'opportunità che dobbiamo cogliere, ma sicuramente avrà nella fase di transizione una grande richiesta di formazione del personale, già ampiamente utilizzato all'interno delle industrie della manifattura, per una riqualificazione professionale che permetta di accedere alle nuove tecnologie.
  Quali incentivi possiamo immaginare per il management, che ha bisogno di un grande lavoro, ma anche per il livello operaio, per incentivare appunto le aziende ad aderire a eventuali percorsi formativi che permettano di cogliere appieno le opportunità della rivoluzione industriale e di non lasciare a casa, nella fase di transizione, persone che non sono in grado di adoperare le nuove tecnologie?
  Queste sono le tre questioni su cui penso che sarebbe importante per la Commissione avere da parte sua un quadro e capire le possibili leve di finanziamento da parte del MEF.

  GIANLUCA BENAMATI. La mia domanda verteva su una parte dei quesiti posti dall'onorevole Basso, quindi non li ripeterò nello specifico, ma cercherò di articolare un intervento più generale.
  Ringrazio anche a nome del gruppo del Partito democratico il Ministro per la sua esposizione, che ha dato conto non solo di una filosofia verso «Industria 4.0», ma anche di una filosofia e di una pratica di lavoro che in questi anni è stata messa in campo a supporto delle aziende. Molte delle questioni menzionate relativamente alle politiche attive per l'impresa sono già realtà. Noi siamo reduci da una visita in Germania, dove in alcune conversazioni con il Governo regionale del Baden-Württemberg il tema del credito d'imposta alla ricerca italiana è stato considerato da alcuni degli esponenti presenti un modello virtuoso. È chiaro che sappiamo che siamo sui rapporti incrementali sugli operatori, che in futuro vorremmo marciare con una politica verso un riordino complessivo di questo credito d'imposta volumetrico sulle attività di ricerca, ma quello è stato un modello virtuoso, perché ha dato alle aziende il senso delle attività che svolgevano mediante un giusto riconoscimento economico nel settore.
  Nell'ambito delle cose che ha detto riconosciamo già un impulso di sostegno al sistema manifatturiero italiano, che deve rimanere una delle colonne portanti della nostra economia. Lei diceva bene, però – su questo vogliamo sentire le sue parole – che siamo di fronte a un bivio della storia. Mi scusi se uso un'espressione così enfatica, ma la manifattura italiana deve anzitutto giocare la sfida dell'innovazione digitale, poi vincerla, se vuole rimanere competitiva nel mondo ai livelli di quella attuale e crescere, anche cogliendo gli obiettivi del 20 per cento di prodotto interno di manifattura nel 2020, ma rimanere quella fonte di benessere e di creazione di ricchezza per il nostro Paese che è stata fino a oggi.
  In questo il presidente indicava un nostro sentire che si è consolidato durante queste audizioni. Dico con chiarezza che c'è una sfida duplice per l'Italia. Non è unitaria dal punto di vista delle imprese. Ci sono aziende che lavorano e operano nell'ambito delle grandi catene del valore nazionali e internazionali, purtroppo molto spesso internazionali, perché i grandi player nazionali di guida sono meno numerosi che in realtà come la Germania, ma ci sono anche in Italia aziende a partecipazione pubblica che possono avere un ruolo importante su questo.
  C'è poi un mondo della piccola e media industria e dell'artigianato, che definirei anche artistico, quella piccola e media azienda italiana che oggi fronteggia la globalizzazione in un modo che oscilla tra la risorsa e la paura. Si aprono mercati grandissimi per i nostri prodotti: ci deve essere la capacità di coglierli. Allora, ci sono due sfide differenti tra chi è già nelle grandi catene di valore e chi, invece, deve avere nella digitalizzazione la possibilità di trovare un modello autonomo di crescita. Pag. 9
  Torno, a questo punto, e allargo un po’ il tema dei quesiti, se mi consente il signor ministro, del collega Basso. Su questo ci sono dei temi di grandi infrastrutture e non torno a dire quello che diceva il collega Basso. La banda larga è necessaria e lo è in tutte le parti del Paese, là dove ci sono piccole e medie aziende che possano accedere, ma sono necessari anche investimenti mirati.
  La formazione deve essere specifica. Il tema della digitalizzazione, soprattutto nelle piccole e medie aziende, diventa drammatico. Abbiamo messo in atto alcune misure con i voucher per la digitalizzazione, e simili. Su questi forse bisognerebbe cercare di essere ancora più efficienti. C'è un tema di crescita di dimensioni delle nostre aziende. Abbiamo sempre supplito con la soluzione della rete di aziende alla loro dimensione, signor ministro. Probabilmente, ulteriori misure per gli accorpamenti potrebbero essere utili. Serve, quindi, una serie di misure ad hoc, che sono nell'alveo di quanto stiamo facendo ma finalizzate alle tecnologie dell'industria digitale.
  Visto che abbiamo sentito che la Germania ha un insieme di risorse, che non è infinito – anche la Germania inizia a porre il problema delle risorse – anche da un punto di vista di incentivazione, pensa che un insieme di misure dedicate, magari nell'ambito di un piano nazionale, possa avere un suo contenuto specifico?
  Ritiene, vedendo anche i modelli tedeschi, che al di là delle considerazioni che ha svolto – assolutamente condivisibili – sulla razionalizzazione e il cambiamento dei processi, sulla digitalizzazione e l'efficientamento della pubblica amministrazione, assolutamente necessari, che anche in Italia possano avere una valenza strumenti associativi per la conoscenza sostenuti in parte dal pubblico, come abbiamo visto in Germania, dove esistono associazioni e piattaforme tra le realtà coinvolte, aziende, sindacati, università, governi regionali? Servirebbe a creare la consapevolezza e a dare informazione alle realtà economiche, guardando quindi anche un po’ a un modello di diffusione dell'informazione.
  Lo chiedo a lei, signor ministro, come lo chiederò al Ministro Calenda, perché il suo sotto questo aspetto, come lei capisce, è un Ministero chiave, e non solo – mi consenta di dirlo – per il tema sempre annoso delle risorse, ma anche per quello delle impostazioni generali, non ultimo per il fatto che il suo ministero controlla anche le partecipazioni delle grandi aziende di Stato, che in questo settore possono giocare un ruolo veramente importante.
  Questi sono i due temi per me: l'allargamento al tema delle incentivazioni in piani specifici, misure ad hoc, e le modalità condivise per la diffusione dell'informazione e della consapevolezza su questo processo, che non possiamo permetterci di non affrontare in maniera vincente.

  MARCO DA VILLA. Ringrazio il signor ministro per l'audizione su un tema, l’«Industria 4.0», che stiamo seguendo ormai da qualche mese e che vede una convergenza di interessi, di attenzione e di orientamento abbastanza trasversali rispetto ai vari gruppi parlamentari.
  Altri temi che ha citato nella sua relazione introduttiva, come l'attenzione alle start up, ci vedono d'accordo, cui anche il Movimento 5 Stelle ha contribuito a livello emendativo, sicuramente un tema importante, che riteniamo fondamentale per il futuro sviluppo industriale manifatturiero del Paese. Ci sono, però, delle azioni, delle prese di posizione del Governo che assolutamente non ci convincono e per le quali siamo qui a chiederle di cercare di convincerci, se riuscirà.
  Durante le audizioni dei soggetti che abbiamo, appunto, ascoltato, sono stati posti diversi temi, e mi preme porre l'attenzione su due in particolare. Il rappresentante del Governo tedesco, a una domanda sulle modalità con cui si può diffondere la cultura dell’«Industria 4.0» tra le piccole e medie imprese italiane, ha risposto chiaramente che un approccio dall'alto verso il basso, dal centro, dallo Stato verso le imprese, non funziona, che non è un modello che si può imporre dall'alto, ma che piuttosto ha bisogno di prossimità nel territorio, Pag. 10 di contaminazione tra impresa e impresa. Questo è il primo tema.
  Un altro tema posto dai soggetti auditi, in realtà con approcci radicalmente diversi, è stato quello delle ricadute della cosiddetta nuova rivoluzione industriale sull'occupazione. Alcuni sostengono che essa porterà una maggiore occupazione, e comunque che alcune tipologie di lavori, quindi anche alcune fasce di lavoratori, saranno penalizzate, con un saldo positivo nel totale, ma che avrà ripercussioni nei confronti di alcuni lavoratori. Altri hanno radicalizzato di più l'aspetto problematico delle ricadute sull'occupazione dicendo che si andrà verso un maggiore sviluppo dell'automazione, e quindi verso una diminuzione dell'occupazione.
  Alla luce di queste due riflessioni si pone la mia richiesta di chiarimenti. Trovo non coerente rispetto alle prospettive che ci dà l’«Industria 4.0» alcune scelte del Governo. La prima è relativa alla riforma della pubblica amministrazione, quella che sta tagliando di fatto le gambe alle camere di commercio.
  Prima si parlava dell'esigenza della prossimità delle imprese al territorio per diffondere più velocemente il nuovo approccio alla manifattura e all'industria, quindi con la riforma delle camere di commercio così come pensata dal Governo, cioè con un taglio netto del diritto annuale e una compressione anziché la previsione di nuove funzioni proprio alla luce di questi nuovi sviluppi. Noi troviamo che questa sia una scelta, appunto, miope, con l'ulteriore ricaduta della riduzione di personale, che, in caso di trasferimento agli altri enti dello Stato, andrebbe a gravare sulle casse del suo ministero, invece che essere autofinanziato dal diritto annuale, come è stato fino a oggi.
  Quanto all'altro aspetto, ahimè, c'è stata già una sua chiara dichiarazione su una visione del futuro e una capacità di affrontare quelle che saranno le ricadute sociali di questa rivoluzione: mi riferisco al reddito di cittadinanza. Secondo noi, il reddito di cittadinanza è uno strumento di welfare che deve essere presupposto di qualsiasi scelta, perché ci garantisce un cuscinetto rispetto alle ricadute che avrà questa nuova rivoluzione industriale.
  Bene che vada, sarà un semplice strumento che utilizzeranno quei pochi che non potranno godere dei nuovi posti di lavoro creati dall’«Industria 4.0», ma secondo noi è assolutamente importante che invece si preveda uno strumento comunque universale. Anche le tipologie di lavoro che subiranno questa nuova rivoluzione non potranno essere ricollocabili nella consueta forma di lavoro dipendente dell'operaio della fabbrica e così via. Questo avrà ricadute sui piccoli imprenditori, sulle piccole partite IVA, per i quali attualmente non è prevista tutela da questo punto di vista.
  Secondo noi, questo è uno strumento fondamentale, necessario, in carico al suo Ministero per affrontare con lungimiranza questa nuova in rivoluzione industriale dell’«Industria 4.0». Da un lato, quindi, c'è lo smantellamento del sistema camerale, che garantisce una prossimità alle imprese, almeno per come si è rivelato dall'esperienza tedesca – noi ci basiamo sull'audizione del rappresentante del Governo tedesco – dall'altro, ci sono le implicazioni occupazionali, e quindi l'importanza di avere uno strumento che possa tutelare i cittadini rispetto a questa novità.

  ADRIANA GALGANO. Ringrazio il ministro per la sua relazione, che contiene molti elementi condivisibili, talmente condivisibili che è importante che vengano declinati nella realtà.
  Se devo rifarmi alla legge di stabilità dell'anno scorso, vedo che le indicazioni che abbiamo dato sono invece diverse, e cito un esempio. Noi di Scelta Civica avevamo presentato un emendamento secondo il quale gli ammortamenti accelerati fossero finalizzati anche all'acquisto di software per incrementare la produttività, ma il Governo ha deciso di lasciarli solo per beni strumentali, secondo un modo di produrre del Novecento, non del 2016! Addirittura si riduceva l'investimento negli acquisti di informatica e di software della pubblica amministrazione.
  Quello che chiediamo è, invece, benché le linee che ha delineato siano assolutamente condivisibili, che trovino poi un riscontro Pag. 11 nelle future decisioni che assumerà il Governo. È assolutamente indispensabile.
  Tra le tante audizioni che abbiamo avuto qui alla Camera, cito quella dei rappresentanti del Politecnico di Torino, secondo i quali la grande difficoltà di far nascere questa nuova industria nel nostro Paese è nella scarsità della domanda di innovazione. Se non la incentiviamo attraverso ammortamenti o gli acquisti delle aziende pubbliche, come avviene in altri Paesi, difficilmente potrà nascere da sola.
  Un'altra delle difficoltà di cui, sempre durante le audizioni, abbiamo preso coscienza è il fatto che in Italia – cito quello che ci è stato detto, relata refero – 4 mila miliardi di euro sono di ricchezza privata, e solo l'1 per cento è investito in aziende innovative. Le chiediamo, quindi, anche di valutare la riduzione delle tasse su investimenti in capitali di rischio di aziende innovative.
  Infine, è molto importante che per lo sviluppo di questo settore vi sia un sistema manageriale. L'azienda di due o tre persone è chiaramente troppo piccola per trasformazioni di questo tipo. Dobbiamo pensare ad aziende che crescono e acquisiscono professionalità. Per fare questo, un'altra delle proposte era la riduzione del cuneo fiscale per il middle management, quello che manca in molte piccole e medie aziende.

  EDOARDO NESI. Ringrazio il signor ministro per la relazione e gli chiedo se e quando sarà possibile abbassare le tasse e il costo dell'energia per le aziende.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Padoan per la replica.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio tutti per queste osservazioni e per queste domande. Proverò a rispondere nell'ordine in cui sono state poste. Se dimenticherò qualcosa, vi prego di farmelo notare, così potrò tornarci. Ovviamente, molte delle domande si sovrappongono, quindi proverò a raggruppare i temi.
  Parto dall'onorevole Basso, che ha posto questioni poi sollevate da altri. Quali sono le misure che si possono assumere per incentivare, in particolare, l'attività innovativa? Sono state indicate, per esempio, misure di incentivazione di quello che si può chiamare il capitale immateriale, quindi non solo beni strumentali, ma capitale immateriale o capitale materiale ma legato alle tecnologie dell'informazione. Questo si può sempre fare, ma io porrei una questione precedente.
  Che cosa vogliamo, qual è l'obiettivo dell'intervento pubblico? L'obiettivo dell'intervento pubblico è incentivare le imprese a incorporare nuove tecnologie dell'informazione per migliorare la produttività. Come ho accennato nella mia introduzione, come lo stesso presidente ricordava – banalizzo un po’ e mi scuserete – la semplice acquisizione di nuove tecnologie dell'informazione non garantisce che da ciò derivi un aumento di produttività se non c'è allo stesso tempo un cambiamento dei processi.
  Paradossalmente, lo vediamo in modo molto evidente nella pubblica amministrazione, macchina di processi, che appunto produce servizi attraverso processi spesso eccessivamente complicati. Che cosa sto dicendo?
  Non bisogna per questa ragione evitare di agevolare fiscalmente l'acquisizione di software. Bisogna creare incentivi affinché all'acquisizione di software corrisponda anche un processo di revisione manageriale. Questo a sua volta può in alcuni casi richiedere un aumento della dimensione minima, e significa per esempio che accanto agli incentivi all'informatizzazione devono essercene di normativi o di governance che spingano le imprese ad aumentare la dimensione minima. Come sappiamo, spesso può trattarsi di una barriera, magari implicita, magari culturale, che molte imprese non vogliono superare.
  Questo richiede, ancora, la possibilità dell'impresa di aumentare non solo la dimensione materiale, ma quella finanziaria, e può essere collegata a incentivi per singola impresa ad andare sui mercati a raccogliere capitale, che non sia semplicemente Pag. 12 capitale bancario, quindi debito, che poi deve essere restituito e non ha un impatto permanente sull'impresa.
  Tutto ciò serve a dire che è evidente, date le risorse – scusate questa precisazione, ma visto il mio attuale lavoro è inevitabile che la faccia – si può sempre immaginare di introdurre misure che colpiscano e realizzino l'obiettivo di un aumento della produttività.
  Detto questo, qualcosa già è stato fatto. Abbiamo introdotto la categoria delle piccole e medie imprese innovative. Sembra facile a dirsi, ma definire se un'impresa sia innovativa o meno è elemento che si può declinare in vari modi.
  Noi abbiamo voluto dare una definizione ampia di impresa innovativa individuando alcune funzioni: l'acquisizione di software, l'acquisizione di processi nuovi, l'acquisizione di capitale umano qualificato, elementi tutti insieme necessari per produrre innovazione e produttività. È sufficiente, però, che ci siano almeno alcune componenti di questo insieme di ingredienti innovativi per qualificare un'impresa innovativa, e quindi concedere benefìci fiscali in questo senso.
  Questo è proprio per dare l'idea che l'innovazione è un processo che richiede molte dimensioni. Questo è l'approccio che abbiamo voluto seguire. Prima le agevolazioni fiscali riguardavano le cosiddette start up, imprese che arrivano e si buttano nel mare del mercato per la prima volta. Abbiamo voluto estendere questo. Sarebbe molto importante non solo avere nuove imprese che si buttano sul mercato, ma imprese già esistenti che decidono per un upgrade della loro attività innovativa. Questa è una prima linea di direzione su cui ci siamo mossi.
  In questa categoria generale – non lo dico per sfuggire a domande specifiche, ma mi ricollego ad esempio alla domanda dell'onorevole Galgano – si possono anche immaginare agevolazioni relative al cuneo fiscale per il middle management, se ho ben capito. Questo va nella direzione di una maggiore ricchezza, di una maggiore capacità manageriale. Fa parte dell'investimento in capitale umano. Possiamo sempre ragionare su questo particolare aspetto.
  Mi ricollego a quello che ricordava l'onorevole Benamati degli osservatori tedeschi che dicevano che c'è una buona pratica in Italia con il credito d'imposta, e così via. Fa sempre piacere saperlo, ma al di là del piacere che si può provare in questo, un elemento che ho appreso da questo lavoro è che molto spesso si costruisce una misura con la massima buona volontà e la massima buona intenzione di fare la misura che serve, ma poi scopriamo che è disegnata male, è fatta male, non si collega con altre misure già esistenti.
  C'è anche un meccanismo di ricerca del disegno, e quindi si arriva all'eventuale conclusione che qualche misura, che tra l'altro deve essere finanziata, su cui magari sono stati messi dei soldi, non funziona bene: bisogna avere il coraggio di dire che è una misura sbagliata, che bisogna toglierla di mezzo e usare quelle risorse per una misura disegnata meglio.
  Su questo, naturalmente, c'è un continuo monitoraggio nell'ambito del cosiddetto filone di attività che chiamiamo finanza per la crescita, che il MEF porta avanti da tempo in collaborazione con il MISE. C'è una componente di automonitoraggio, cioè ci chiediamo se alcune misure funzionino o meno. Ripeto che in questo contesto c'è la necessità di guardare a misure che tra loro si completano. La categoria di piccole e medie imprese innovative serve a identificare le potenzialità di imprese che vogliono diventare più innovative e che magari fanno dei passi in quella direzione, che vanno sostenute.
  In questo contesto, a volte delle misure non necessariamente pensate per sostenere l'innovazione hanno un effetto positivo sull'innovazione stessa. Le misure che, per esempio, in questa fase particolare del ciclo e della crescita economica sostengono l'investimento, come l'ammortamento accelerato, che da questo punto di vista sta funzionando bene, possono avere un impatto innovativo superiore a quanto si possa ritenere.
  Un'impresa che oggi decide di investire, di introdurre nuovo capitale, probabilmente Pag. 13 per lungo tempo anche a causa della recessione è rimasta incagliata in una tecnologia obsoleta. Nel momento in cui decide di investire, di introdurre nuovi macchinari, banalmente lo fa scegliendo quelli che sono a livello della tecnologie più elevata. C'è, quindi, una componente innovativa nella «semplice» attività di investimento che si sposa con incentivi direttamente destinati all'innovazione.
  Questo mi porta a un altro punto generale, sollevato in particolare dall'onorevole Benamati – almeno, è uno stimolo che prendo dalle sue osservazioni – che ha a che fare con la diffusione della tecnologia. La valutazione più recente da parte delle principali istituzioni internazionali, dall'OCSE al Fondo monetario, si pone la questione per l'Italia e per i Paesi avanzati del perché l'attività innovativa recente sia in diminuzione, e perché quindi la produttività stenti a crescere.
  È stato identificato – vale soprattutto per un Paese come l'Italia – il seguente problema. Non è tanto che in un Paese manchino attività di innovazione o imprese innovative: il vero problema che produce una scarsa produttività è che queste imprese innovative fanno vita a sé stante. C'è una frattura della struttura industriale, per cui la diffusione delle nuove tecnologie, dalle imprese cosiddette sulla frontiera alle imprese in ritardo, non avviene più, c'è una separazione crescente, fenomeno molto preoccupante che, se non sanato, non produce produttività per l'intero sistema, ma solo per delle nicchie.
  Questo mi porta a dire che bisogna immaginare misure che permettano non solo alle imprese di introdurre innovazioni, ma anche di apprendere processi, prodotti, attività innovative già adottate da imprese esistenti o magari da imprese più grandi, che però non sono collegate, per usare un altro termine incentivi a rafforzare le filiere, le reti. Questo mi porta alla questione dei meccanismi che possono facilitare la diffusione a rete dell'innovazione.
  Su questo ci sono state due domande specifiche da parte dell'onorevole Da Villa. Quanto alla questione delle camere di commercio come meccanismo utile per l'attività dal basso piuttosto che impostava dall'altro, sono molto d'accordo sull'idea che debba esserci una componente «orizzontale» nella diffusione, per cui si pone il problema di quali siano le istituzioni più adatte a diffonderlo.
  Quello delle camere di commercio è un ruolo valutato all'interno dalla riforma della pubblica amministrazione, con implicazioni di risorse. Qui si tratta – provo a dirlo così – non certamente di negare il ruolo positivo di soggetti che facilitano l'aggregazione orizzontale e le reti, di chiedersi se l'attuale strutture delle camere di commercio sia quella più efficiente e non si possano pensare delle altre.
  È un tema estremamente importante su cui bisogna valutare un trade off tra risorse che possono essere destinate ad attività efficienti e altre che non lo sono, ma comunque prendo atto di questa segnalazione e vorrei ribadire il fatto che non c'è una visione preconcetta «contro» le camere di commercio, ma una valutazione di efficienza di questo tipo di istituzione.
  Detto questo, mi sembra che abbia ricordato citando la testimonianza di operatori tedeschi, che recepisco, il problema che appunto il top down di per sé funziona male. Ricordo anche il fatto banale che c'è una tradizione storica italiana della cultura dei distretti, i quali spesso nascono per meccanismi di aggregazione non necessariamente legati alle camere di commercio, ma ad altre istituzioni. La mia reazione al punto che lei solleva è: cerchiamo di capire quali sono tutti i soggetti aggregatori, quelli che producono reti, quali i modelli che funzionano meglio, se c'è un ruolo per risorse da allocare, e valutiamo in questo senso.
  Sempre l'onorevole Da Villa pone l'altra questione importante del ruolo del reddito di cittadinanza, se ho ben capito, come strumento utile a facilitare – lo dico con parole mie – la riallocazione del lavoro del capitale umano anche a seguito di processi di innovazione. Qui gli aspetti sono due.
  Un primo aspetto è, e sono d'accordo con lei, soprattutto in una fase di trasformazione tecnologica accelerata come quella dell’«Industria 4.0», che si pone un Pag. 14problema di gestione della riallocazione non tanto del posto di lavoro, ma del lavoratore, quindi c'è innanzitutto una possibilità di riqualificazione, di ricostruzione del capitale umano. C'è così un problema di gestione della transizione.
  L'altro aspetto riguarda l'individuazione dello strumento ottimale. Io sono sicuramente a favore della necessità di avere strumenti di riqualificazione. Sono meno convinto che il reddito di cittadinanza non altrimenti definito sia lo strumento più adatto. Mi pare che il reddito di cittadinanza sia uno strumento di tipo generale, non necessariamente orientato a questa situazione. È ovvio che, se generalizzato senza altri criteri, pone un problema di sostenibilità di finanza pubblica estremamente serio. È chiaro che c'è questa dimensione.
  Il problema di come sostenere la riallocazione del capitale umano, soprattutto adesso, è un problema rilevante che merita assolutamente analisi. Ricordo che, nell'ambito del Jobs Act nella sua completezza, quest'aspetto è pure trattato che vi sono risorse dedicate.
  È stato citato sempre dall'onorevole Benamati di sfuggita, ma è un punto importante, il ruolo delle aziende partecipate. È chiaro che le aziende partecipate da parte dello Stato che hanno una valenza globale hanno anche un ruolo estremamente importante di innovazione diretta al loro interno, ma anche indotta.
  Vorrei sottolineare che in questo caso l'innovazione non è soltanto quella tecnologica, ma anche quella organizzativa. Il fatto che queste imprese si rivelino essere imprese che hanno una valenza, una competitività globale, ha anche a che fare con la strategia aziendale, che è estremamente importante. Anche questo è un fattore di innovazione dal punto di vista del Paese estremamente importante.
  Riprendo un punto importante sollevato dall'onorevole Galgano. A volte, sono le imprese che non hanno sufficiente domanda di attività innovative. Questo è un problema che a ha che fare, secondo me – di nuovo uso parole mie – con la voglia dell'impresa di crescere, con la voglia dell'impresa, che magari è arrivata a un limite tecnologico, di fare un salto qualitativo e di introdurre nuove tecnologie nell'impresa stessa, che però richiedono rivoluzioni anche dei processi, ma soprattutto, se questo implica investimenti, richiedono apporto di capitale.
  In questo caso, che cosa può fare la politica pubblica? Può non solo incentivare eventualmente l'adozione di nuove tecnologie, ma come dicevo anche la propensione all'aumento dimensionale, non direttamente legato alla tecnologia, ma che ha a che fare con la trasparenza del modello di governance, l'accesso al mercato dei capitali e così via.
  Dico questo perché nel filone finanza per la crescita sono state introdotte varie misure in questo senso. Anche se non c'è un impatto diretto sull'attività innovativa, si mette l'impresa in condizione di recepire e assorbire meglio attività innovative.
  Probabilmente, mi sono dimenticato di alcune delle domande, e chiedo scusa, in questo momento non le ho tutte sottomano.

  EDOARDO NESI. Il costo dell'energia. Le ho chiesto, in particolare, se e quando si può pensare di ridurre le tasse e i costi dell'energia che gravano sulle aziende.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. L'imposizione sull'impresa è stata già abbassata direttamente e indirettamente con le misure sull'IRAP e il costo del lavoro. Nella legge di stabilità 2016 già si prevede una diminuzione a partire dal 2017 delle imposte sulle imprese. In generale, quindi, l'imposizione sull'impresa è oggetto di abbassamento, naturalmente sempre alla velocità consentita dei vincoli di bilancio.
  La questione dell'energia è un punto estremamente importante. Proprio prima di venire qui guardavo dei dati sul costo dell'energia in Italia a confronto col costo dell'energia in altri Paesi: purtroppo, l'Italia ha sicuramente un costo dell'energia più elevato rispetto alla media europea, a Paesi che hanno costi dell'energia molto più bassi, come la Francia, anche per la diversa struttura dell'offerta energetica. Pag. 15
  Qui ci sono due aspetti, uno legato alla scelta della tecnologia che produce energia e uno legato alla prospettiva dell'integrazione europea.
  Personalmente, ritengo che un mercato unico dell'energia sarebbe la strategia più adatta per abbattere il costo dell'energia, perché permetterebbe non solo e non tanto l'impostazione di tecnologia da altri Paesi, come già avviene in alcuni casi, ma soprattutto la diffusione di tecnologie di produzione di energia tali da generare economie di scala, e quindi abbattere i costi dell'energia in questo modo.
  Naturalmente, c'è sempre l'aspetto fiscale, e cioè l'introduzione di agevolazioni fiscali, ma qui mantengo il cappello di Ministro dell'economia e delle finanze, c'è un problema di risorse. Comunque, personalmente favorirei, soprattutto nel medio termine, un passo decisivo verso il mercato interno dell'energia, su cui c'è un ampio accordo, almeno a parole, a livello politico tra molti Paesi europei. C'è minore pressione in questo momento, probabilmente è qualcosa che andrebbe ripresa e accelerata per lo sfruttamento di economie di scala anche sul piano energetico a livello europeo.

  PRESIDENTE. Voglio solo aggiungere una considerazione, naturalmente ringraziando il Ministro Padoan per il suo contributo prezioso.
  Come dicevo, ascolteremo domani la Ministra Giannini, poi il Ministro Calenda la settimana prossima. Sappiamo che il Ministro Calenda – vi accennavamo anche prima – ha in mente di riesaminare, riordinare il sistema degli incentivi sugli investimenti alle imprese per vedere quali sono effettivamente strumenti e obiettivi più efficienti e quelli che, invece, mostrano qualche criticità.
  Tutto questo, secondo me, si deve concretizzare nel ri-orientamento di una parte degli incentivi nei confronti degli specifici aspetti oggetto del dibattito che abbiamo svolto in questa sede. È evidente che per un processo di queste dimensioni abbiamo bisogno di un intervento di riordino del sistema degli incentivi per le imprese. Questo vale per gli investimenti.
  Abbiamo un problema gigantesco sulla formazione, perché non è in corso nessun processo. Anche questo l'esperienza tedesca ci ha spiegato in tutti i modi, nell'incontro con il Baden-Württemberg era evidente il tema formazione/investimenti.
  Abbiamo il problema di mettere un po’ di ordine nel sistema plurale della ricerca. Tra CNR e università, il sistema spesso spreca risorse, nel senso che non specializza funzioni e specializza risorse. Abbiamo il problema di un governo generale, complessivo dell'insieme dei problemi.
  Le segnalo solo questo per dirle grossomodo quali sono secondo noi, arrivati a questo punto dei nostri lavori, le scelte e le questioni principali sulle quali occorre ragionare. Perché sono importanti? Perché quando arriveremo anche alla legge di stabilità futura, è evidente che sarebbe nostro compito quello di dire anche al Governo che su questo terreno si può forse fare un lavoro più utile.
  Naturalmente, la leva che muove tutto questo è duplice: da una parte, c'è la crescita di produttività delle nostre imprese. Abbiamo sentito i dati di quest'innovazione tecnologica, in condizioni di far aumentare la produttività di imprese importanti del 30 per cento oggi e fino al 50 per cento, e questo significa che siamo di fronte a una rivoluzione tecnologica in grado di incrementare la produttività a un punto tale che rende di nuovo conveniente riportare in Germania, in Francia, in Italia, una parte delle lavorazioni che sono fuori.
  Con questi livelli di crescita della produttività il costo del lavoro ha naturalmente un costo inferiore, e questo consente quel reshoring che una parte importante di Paesi già fa, e quindi soprattutto il dare una prospettiva a quel tessuto di piccole e medie imprese, le quali, se non rinnovano e rinnovando non crescono, è evidente che si trovano un po’ spiazzate da questo nuovo posizionamento dell'industria europea e dell'industria mondiale.
  Questo era il senso del nostro incontro. La ringrazio davvero. Le invieremo i risultati dei nostri lavori, il documento conclusivo dell'indagine alla cui presentazione è ovviamente invitato a partecipare. Contiamo Pag. 16 su un Ministro dell'economia e delle finanze attento a le priorità sopra richiamate, che non sono nostre, ma del Paese.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.