XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 31 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
De Santis Giuseppina , Assessore alle Attività produttive della regione Piemonte ... 3 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
De Santis Giuseppina , Assessore alle Attività produttive della regione Piemonte ... 3 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 5 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 5 ,
Becattini Lorenzo (PD)  ... 6 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 6 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 7 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 7 ,
De Santis Giuseppina , Assessore alle Attività produttive della regione Piemonte ... 7 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 9 

Audizione del Prof. Antonino Rotolo, Prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 9 ,
Rotolo Antonino , prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna ... 9 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 9 ,
Rotolo Antonino , prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna ... 9 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 12 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 12 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 13 ,
Becattini Lorenzo (PD)  ... 14 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 14 ,
Rotolo Antonino , prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna ... 14 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 15 ,
Rotolo Antonino , prorettore per la ricerca dell'università degli studi di Bologna ... 15 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 16 

Allegato 1: Documentazione depositata dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 17 

Allegato 2: Documentazione depositata dal prof. Antonino Rotolo, prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche, attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su Industria 4.0: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
  Ringrazio e saluto la dottoressa De Santis, assessora alle attività produttive della regione Piemonte, e tutti coloro che in rappresentanza della Conferenza sono qui presenti, la dottoressa Lo Bello, l'onorevole Brandara, il dottor Alessandrini, la dottoressa Pavese e il dottor Schifini.
  Darei subito la parola alla dottoressa De Santis, che ringrazio e saluto.

  GIUSEPPINA DE SANTIS, Assessore alle Attività produttive della regione Piemonte. Quanto tempo ho per il mio intervento introduttivo?

  PRESIDENTE. Dieci minuti.

  GIUSEPPINA DE SANTIS, Assessore alle Attività produttive della regione Piemonte. Perfetto.
  Ringrazio a nome di Conferenza delle Regioni per l'opportunità di quest'audizione su un tema assolutamente cruciale per il nostro sistema economico, per la nostra manifattura. In questo momento Conferenza delle Regioni ha consegnato un documento di posizionamento sul tema Industria 4.0 approvato oggi dalla Conferenza dei presidenti. Nello stesso tempo, la Conferenza delle Regioni ha avviato un lavoro autonomo su questo tema all'interno dei piani attuativi della strategia di specializzazione intelligente nazionale, la S3 nazionale, nella quale convergono investimenti nazionali e delle regioni, uno dei cui assi portanti è proprio il tema fabbrica del futuro, Industria 4.0.
  Considerato il tempo a disposizione e il fatto che sicuramente una serie di questioni è ampiamente nota, che peraltro in linea di massima Conferenza delle Regioni condivide sia il documento iniziale del Parlamento e della Commissione attività produttive sul tema sia, per quello che è oggi noto, l'iniziativa che sullo stesso tema sta avviando il Governo – giusto ieri la Ministra Guidi diceva che il documento dovrebbe essere pubblicato e messo in consultazione a partire dal 29 aprile – eliminerei la parte descrittiva di contesto, e proverei a trarre alcune conclusioni e a enunciare delle linee di lavoro su cui le regioni hanno condiviso delle posizioni comuni.
  Il primo punto è che il tema della fabbrica intelligente investe la sfera della policy delle politiche industriali sotto molteplici dimensioni e profili. Riguarda non soltanto le imprese di maggiori dimensioni, ma anche, per come è fatto il nostro tessuto Pag. 4produttivo, le PMI e l'artigianato. Riguarda le politiche per la ricerca, riguarda moltissimo le politiche della formazione. Riguarda le politiche per i servizi pubblici primari, il public procurement innovativo, le infrastrutture. Dal punto di vista delle infrastrutture, chiaramente il punto assolutamente determinante è la realizzazione in tempi rapidi dell'infrastruttura a banda ultralarga, precondizione per la quale si può parlare effettivamente di fabbrica del futuro.
  L'insieme di queste cose richiede, naturalmente, strategie nazionali, ma ha anche importanti ricadute, soprattutto per il modo in cui è fatto il nostro Paese, il nostro sistema produttivo, sul livello territoriale e regionale. Quest'insieme di temi deve, appunto, poi trovare collocazione, meccanismi operativi e implementazione su territori e su sistemi economici anche ampiamente diversi.
  La convinzione delle regioni, non particolarmente originale – la ripeto perché credo sia il punto di partenza per tutti – è che quello che si intende sinteticamente come Industria 4.0, digitalizzazione della manifattura, sia assolutamente essenziale, un passaggio assolutamente cruciale nei prossimi anni per mantenere la competitività del nostro sistema produttivo. In assenza di questo, dobbiamo sapere che, se sbagliamo questo passaggio, potremo assistere di nuovo a fenomeni di deindustrializzazione pesante, rispetto a un sistema in cui la manifattura rappresenta comunque il 15 per cento del PIL – ricordiamo che era il 20 per cento nel 2001 – e rappresenta oggi un'occupazione di 4 milioni di persone, ossia il 23 per cento della forza lavoro totale. Qui stiamo davvero parlando di una delle spine dorsali del nostro Paese.
  Gli approcci che i diversi Paesi hanno avuto a questo tema sono stati diversi. Oggi vediamo in Italia che alcuni grandi comparti si sono già mossi autonomamente in questa direzione, con metodologie di lavoro e di organizzazione diverse. Pensiamo all'automotive, alla cantieristica navale, all'aerospazio, un caso anche singolare. In Italia, infatti, non esiste una grande domanda pubblica per l'aerospazio, ma esiste una capacità delle imprese altamente competitive e altamente specializzate.
  In questi comparti lo smart manufacturing è partito per forza propria. Certamente, il tema è anche – torno a quello che dicevo prima – la questione delle filiere, cioè che questi processi dagli integratori di sistema passino, si costruiscano, recuperino e facciano crescere le intere filiere produttive.
  La composizione del nostro manifatturiero vede ai primi posti la fabbricazione dei beni strumentali. Penso al caso di una regione come il Piemonte, ma certamente non l'unica. È uno dei luoghi tipici dove si esprime il paradigma dello smart factory, ma dobbiamo anche immaginare che occorre lavorare molto – da questo punto di vista, è importante proprio la funzione della dimensione regionale – sulle dinamiche di relazione tra PMI e grandi imprese, in modo da ricostruire l'intero modello della catena di produzione, che va dalla progettazione, lungo tutta la supply chain fino alla produzione all'interno della fabbrica, fino alla distribuzione di servizi al cliente. Sono tutte queste le cose che effettivamente cambiano.
  L'obiettivo più difficile da realizzare è quello di mettere insieme l'hardware industriale, nostro tradizionale punto di forza nell'ambito della meccatronica, con il software gestionale e con le nuove piattaforme di comunicazione tra macchina e macchina e tra macchina e uomo.
  Da questo punto di vista, bisogna avere in mente questo quando si pensa all'intera cassetta degli attrezzi, tool kit, delle politiche industriali, a cominciare dalle politiche di sostegno agli investimenti.
  Le esperienze che ci sono state finora a livello italiano hanno a che fare, da un lato, con l'iniziativa MISE, in corso di definizione; dall'altro, nel recente passato, con il cluster tecnologico nazionale Industria 4.0, al quale in una forma o in un'altra ha partecipato la maggior parte delle regioni attraverso i propri distretti produttivi.
  In questo momento, occorre anche fare uno sforzo per concentrare gli investimenti e portare a sistema una serie di esperienze che sono state svolte finora. Se questo è Pag. 5d'interesse della Commissione, possiamo fornire anche della documentazione aggiuntiva. Svariate regioni hanno fatto già delle attività in quest'ambito. La regione Piemonte, per esempio, sta chiudendo un bando da 40 milioni di euro proprio sui temi di Industria 4.0, ma parlo di questa semplicemente perché la conosco direttamente.
  Nel frattempo, è partito a livello di regioni un approfondimento per individuare temi comuni e possibili, programmi operativi da portare a cofinanziamento su fondi collegati alla S3 nazionale, da portare a cofinanziamento nazionale, provando a fare un'operazione simile a quella che si è fatta sulla cosiddetta space economy, in cui si è fatta una ricognizione delle competenze presenti nei diversi territori, delle progettualità presenti nei diversi territori, che avessero invece però valore strategico nazionale. Si è scelta una modalità per cui ci sia un 50 per cento di finanziamento privato, un 25 per cento regionale e un 25 per cento nazionale. Si potrebbe provare a pensare di fare un'operazione analoga sul tema smart factory.
  Vorrei tornare ancora soltanto su due questioni. Una è che la smart manufacturing può essere una grande opportunità per superare i limiti della piccola dimensione, che costringono e indeboliscono l'impresa italiana. Sono immaginabili modelli cooperativi anche innovativi, che si avvalgono appunto di strumenti come il cloud, la banda ultralarga, proprio per un upgrade non soltanto alle dimensioni, ma anche alla qualità dell'aggregazione, della rete tra imprese. Si costruisce in questo modo un sistema industriale meno frammentato, meno geograficamente disperso, e anche possibilità significative di collaborazione tra il nord e il sud del Paese.
  L'altra questione assolutamente cruciale sulla quale bisognerà riflettere è che, se questo deve essere, come noi vogliamo e speriamo, un processo di crescita del nostro sistema economico, occorre riflettere sull'impatto che questo processo ha sulle persone che nelle imprese lavorano, rispetto alle quali cambia le competenze necessarie, le modalità di relazione, la formazione. È chiaro che questo processo innovativo da un lato crea grandissime nuove opportunità di lavoro, dall'altro ne distrugge.
  È evidente che un pezzo della competitività, da un lato, delle opportunità per le persone, dall'altro, passa dalla capacità di ripensare completamente i meccanismi non soltanto di formazione, ma probabilmente anche proprio di relazione tra le persone all'interno della fabbrica. Anche da questo punto di vista, bisognerà cercare di condurre su questo tema un ragionamento che metta insieme strumenti policy, prospettive e orizzonti di livello nazionale e, invece, ricadute e concretizzazioni, interventi di livello locale. È importante perché questa sia davvero un'opportunità di crescita e non imponga dal punto di vista del lavoro delle persone dei prezzi che non sarebbero accettabili e che rappresenterebbero in realtà il fallimento di questa trasformazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa De Santis.
  Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANLUCA BENAMATI. Ho ascoltato e, nel mentre ascoltavo, devo dire che consultavo anche il testo della memoria che ci è stata consegnata, che mi pare effettivamente riassuntiva per tanti aspetti della situazione. Fa anche un punto della situazione europea, dei diversi Paesi, abbastanza condivisibile.
  Ascoltavo con attenzione e condividevo anche molte delle riflessioni, a partire da quella iniziale, che si ricongiunge poi anche a quella finale dell'assessore, cioè il tema che, se perdiamo un'occasione di questo genere, il Paese, che già sta arretrando in termini di manifattura in questa crisi, si troverà – lei ha usato il termine «deindustrializzazione» – a modificare proprio il profilo dell'industrializzazione esistente.
  Questo ci riporta alla sua riflessione finale sulla qualità dell'occupazione e sul rischio di perdere posizioni, ma rischio che credo – questa è la prima domanda – Pag. 6anche lei valuti, come molti di noi, come molto più pericoloso anche in termini di occupazione se non si affrontasse questo problema. Come assessore regionale ha anche esperienze su questo e vorrei conoscere la sua opinione. Ci sarà un grosso problema di formazione professionale per le nuove tipologie di operatori nel settore, appunto, dell'industria digitale. A fronte anche di un percorso di formazione e di riconversione, con nuove figure professionali, può esserci una tenuta dell'occupazione e vorrei sentire qualcosa in più sulle sue opinioni.
  Inoltre, pongo una questione molto semplice, molto banale. La risposta forse si evince anche dalla presentazione, ma vorrei che lei la inquadrasse meglio. Anche nella memoria mettete in risalto quale può essere una struttura di intervento nazionale per sostenere questo programma. Il Governo col ministero deve declinare un programma nazionale di intervento a sostegno di Industria 4.0, che sarà l'insieme di una serie di misure che andranno dal sostegno all'innovazione interno alle aziende al sostegno alla formazione, all'accesso ai sistemi di rete, alla digitalizzazione, all'infrastrutturazione del Paese, tutte cose che lei ha detto perfettamente.
  Il vero valore aggiunto del sistema regionale in questa sfida, in questo programma che dobbiamo ancora costruire – le regioni hanno molte competenze su questi temi – quale potrebbe essere?

  LORENZO BECATTINI. La ringrazio per l'esposizione per noi molto interessante, come lo è capire il punto di vista su questo tema della Conferenza delle Regioni. A tal proposito, vorrei sottolineare un punto che trovo nella relazione, che mi sembra sia uno spaccato interessante sotto il profilo del ruolo delle regioni in relazione a Industria 4.0.
  Poiché si fa riferimento a grandi temi, come quelli più propri per poter sviluppare queste tematiche Industria 4.0, la meccanica, i mezzi di trasporto e l'aeronautica, in realtà dovendo ricavare uno spazio regionale, a fronte di una materia molto europea, anche collegandomi alle osservazioni del collega Benamati, non potrebbe essere questo spazio molto interessante da coltivare il cosiddetto artigianato digitale?
  È una materia comunque prevista in Costituzione ed è molto vicina al campo di operatività delle regioni. In questo modo, si potrebbero dedicare forze, intelligenza e risorse dal punto di vista delle regioni in maniera specifica a questa tematica, propria della piccola e media impresa, e propria anche del nostro modo di essere italiani su questo fronte, naturalmente ragionando sulle risorse necessarie, che sappiamo esistono sulla base sia del programma Horizon in essere sia del ruolo dell'Artigiancassa sia della nuova Sabatini, ma anche delle varie finanziarie regionali che accompagnano lo sviluppo dell'artigianato in tutta l'Italia.
  Forse è anche un sistema, e concludo per rendere un po' più uniforme quest'Italia, dove ci sono grande differenziazioni dal punto di vista del nord, del centro e del sud sul tema delle attività produttive.

  LORENZO BASSO. Vorrei fare solo una domanda. Dal suo intervento e anche dalla nota che ci avete lasciato mettete giustamente in rilievo il ruolo della formazione, della formazione professionale, che sappiamo è in capo alle regioni. Sappiamo, però, anche quanto sia diversificata all'interno del territorio nazionale e quanto questo sistema vari da regione a regione.
  Soprattutto in vista di quelle che saranno le grandi esigenze di qualificazione di professioni che in parte non esistono ancora, in parte vanno fortemente rafforzate – il cambiamento, in particolare, riguarda la manifattura e l'esigenza di passare da persone che realmente lavorano sul prodotto, sul pezzo, a operatori che lavoreranno sempre più con un'interfaccia – ritenete debba esserci un diverso approccio dal punto di vista legislativo rispetto a tutta la parte della formazione professionale? Quale può essere il contributo che, a livello parlamentare prima ancora che governativo, ritenete possa essere utile per aggiornare il sistema della formazione professionale all'interno delle regioni per venire incontro alle esigenze di qualifica che la nuova industria richiede?

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  GIANLUCA BENAMATI. Chiedo scusa, ma vorrei fare una breve considerazione ad integrazione del mio intervento. Mi pare che le domande che sono venute da noi, anche dal collega Becattini, sul ruolo regionale siano importanti, ma l'assessore ha colto un punto che molto spesso stimola la mia curiosità, quindi chiedo se c'è un'opinione specifica in merito.
  Spesso non è evidenziato nelle audizioni il fatto che il tessuto delle aziende italiane è piccolo e medio. Affrontano, quindi, questa sfida in maniera particolare. All'interno di questo tessuto, già ricco e numeroso, ci sono però delle differenze profonde, cui accennava anche il collega Becattini, tra aziende che sono, nella catena del valore, segmenti alti, grandi produttori, quindi con una specifica funzionalità asservita a una progettualità, e altre con una produzione che confina con l'artigianato di valore.
  Ho visto che, siccome lei è assessore, ha toccato questo tema, dicendo che le aziende non devono solo crescere dimensionalmente, ma anche in qualità. Questo è un tema che si adatta molto alle piccole aziende che gestiscono prodotti in proprio, che possono avere in questo una sfida vincente: a queste due tipologie diverse di azienda possono corrispondere diversi approcci di intervento?

  PRESIDENTE. Prima di passare alle risposte, vorrei fare anch'io una considerazione.
  Riflettendo sul modello tedesco – stasera ci sarà presso l'ambasciata tedesca un incontro col viceministro tedesco e il Ministro Guidi esattamente dedicato al tema della nostra discussione – emerge che la forza di quel modello consiste nel fatto che c'è, una volta deciso un obiettivo e indicati gli strumenti, una forza di sistema straordinaria. Il Governo centrale, i Länder, le parti sociali, le imprese piccole e grandi, i centri di ricerca e le università, tutti cooperano in maniera ordinata come loro sanno fare, ma anche in maniera molto forte, come loro sanno fare, attorno a quest'obiettivo. Essendo partiti per primi, hanno già realizzato delle cose importanti.
  Se devo riflettere sulla situazione che abbiamo in Italia, la prima cosa che mi viene da chiedere è questa: come riusciamo a far sì che le regioni, che hanno in materia di politica industriale e non solo le competenze, non siano un attore che si aggiunge a tante altri soggetti, ma elemento che faccia parte di un sistema organico? Vi siete posti questo tema? Potete porvelo? Questo tema può essere declinato, come suggerisce Becattini, con una particolare attenzione verso il profilo dell'artigianato e della piccola e piccolissima impresa?
  Oppure come evitiamo che, per esempio, l'attenzione ai cluster che ci sono, ai segmenti delle filiere industriali, che in molte regioni ci sono, in molte altre meno, non venga a sovrapporsi, ma venga invece calata dentro un quadro in cui si operi tutti assieme? Diversamente, il rischio è quello di regioni che fanno una cosa, regioni che ne fanno un'altra – abbiamo mille esempi – per cui poi si rischia disperde la forza che un sistema attorno a queste cose totalmente orizzontali, come si sarebbe detto una volta, dovrebbe avere. Questa era la questione che mi premeva evidenziare, perché è una questione importante, anche da far emergere nel rapporto che dobbiamo avere sia con il Governo sia con le imprese al termine di questa indagine conoscitiva.
  Do ora la parola alla nostra ospite per la replica.

  GIUSEPPINA DE SANTIS, Assessore alle Attività produttive della regione Piemonte. Cercherò di rispondere alle domande poste in ordine.
  Quanto al tema del rischio di perdere posti di lavoro, in un convegno in cui si ragionava di questo, non so chi riassumeva questo tema dicendo che, se facciamo la digitalizzazione della manifattura, rischiamo di perdere posti di lavoro; se non la facciamo, perdiamo la manifattura direttamente. Se devo vedere una serie di cose che ci sono in giro per l'Italia, se si vedono i numeri dell'export, se si vede chi e come è sopravvissuto alla crisi e il fatto che, nonostante la distruzione che c'è stata, dei soggetti, non sono tutti grandi beninteso, sono addirittura cresciuti in questi anni, sono convinta che dobbiamo vivere questo come un'opportunità, non come una maledizione che ci è caduta in testa. Pag. 8
  Poi è chiaro che richiede un profondo rinnovamento delle competenze, del sistema delle relazioni, di cento cose, probabilmente anche del sistema degli incentivi, degli strumenti di policy, di tutto quel che si vuole, ma la cosa peggiore sarebbe affrontare questo passaggio dicendo che ci è capitata un'altra disgrazia. Chiedo scusa per la rozzezza, per la poca raffinatezza dell'espressione, ma in realtà ci è capitata un'opportunità.
  Qual è il valore aggiunto del sistema regionale? In qualche modo rispondo anche alla domanda del presidente: non è un mistero per nessuno che le regioni vengono considerate un oggetto ingombrante e fastidioso in questo momento. Quello che vedo e mi sento di dire è che l'Italia è un Paese molto diverso, in cui i territori sono organizzati diversamente. A mio parere, i problemi non sono soltanto quelli dei diversi livelli di governo.
  Il problema è quello – richiamava giustamente l'esempio tedesco – di individuare degli obiettivi condivisi, ma questo riguarda non soltanto regioni, province, comuni, città, Stato, comunità montane e così via, ma il sistema della ricerca, l'università, il sistema delle rappresentanze datoriali e sindacali. È un passo che dobbiamo fare tutti come Paese.
  Detto questo, se siamo capaci a farlo e se ognuno prova a portarlo a casa propria, la dimensione del territorio è quella, dove alla fine tutti questi processi si concretizzano. Avio, che ha una delle fabbrica di additive più straordinarie in Europa, ce l'ha però a Cameri, in Piemonte, né a Düsseldorf né a Portici. Un'interlocuzione su quel livello territoriale – nel caso di specie, la regione Piemonte ha di sicuro senso, perché l'azienda si rivolge, quando ha bisogno di persone, a quei centri per l'impiego, a quelle agenzie di formazione, a quelle università. Poi certamente cerca dove trova il cloud, la banda larga, le competenze, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che anche all'interno di questi meccanismi si creano luoghi fisici dove si sedimentano investimenti, competenze, persone, reti di relazioni.
  In questo senso, non è affatto secondaria la dimensione territoriale, anche perché ci portiamo dietro appunto pezzi di storia che sono diversi. Certamente, questa dimensione territoriale va intesa come un pezzo di valore che uno porta a un processo, e non come la difesa di un pezzo di identità. Allora davvero non serve a nulla.
  Il lavoro che stiamo cercando di fare, che per esempio abbiamo fatto con buoni risultati su Aerospazio, che stiamo avviando e sui cui risultati, se alla Commissione interessa, vi terremo aggiornati, sulla fabbrica intelligente, factory of the future, è proprio questo: quello di individuare tra le regioni delle cose da fare insieme e da fare insieme con il Governo. Peraltro, c'è un tema di duplicazione degli investimenti o di fare delle cose che sono sotto soglia, sotto massa critica.
  La questione dell'artigianato digitale è sicuramente affascinante. Sicuramente la manifattura intelligente rappresenta un'opportunità per un pezzo della manifattura italiana, che è quella che sta tra l'artigianato ad alto valore aggiunto, il segmento premium dell'artigianato, e la produzione personalizzata. Non mi convince l'idea che tutto l'artigianato possa diventare digitale o che possa avere senso che lo Stato si occupi delle grandi imprese e le regioni delle piccole e degli artigiani. Per come vedo che si organizza il mondo col quale interloquisco nel mio mestiere di assessore, come si organizzano le filiere, come sono composti questi nuclei di innovazione e di impresa, non mi pare che la differenza si possa tagliare così nettamente, con da una parte i grandi, di cui si occupa lo Stato, e dall'altra gli artigiani, di cui si occupa la regione.
  Quello, per esempio, dell'additive di Cameri è caso di qualcosa nato da una società di sei persone, poi comprata da Avio, che è diventata quello che è diventata, ma non so se quello in origine si potesse definire piccola impresa, artigiano, design, servizio innovativo. Una cosa di cui dobbiamo avere ben cognizione è che tutte queste distinzioni sfumano in questo contesto, tendono a sfumare. Pag. 9
  Da un lato, l'idea di smart manufactoring coinvolge e connette dal design alla manutenzione dell'oggetto nelle mani del consumatore, con tutto quello che ci sta in mezzo; allo stesso modo, questa compartimentazione rigida sulla base di imprese, artigianato, servizi, manifattura, design, non dico che perda di significato, ma sfuma molto. Credo che, quindi, il punto importante per il senso della domanda, che cosa possono fare le regioni, sia che possono lavorare per costruire e sostenere le filiere sul territorio e per mettere insieme quelle componenti anche di formazione e di qualificazione delle persone, fondamentali e che stanno in un posto, sono lì, e sulle quali le regioni hanno direttamente responsabilità e strumenti di intervento.
  Forse ho risposto a tutto o forse non ho risposto a niente.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Ci risentiremo magari più avanti al termine dell'indagine conoscitiva. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1)
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Prof. Antonino Rotolo, prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su Industria 4.0: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione del Prof. Antonino Rotolo, prorettore per la ricerca dell'università degli studi di Bologna.
  Do subito la parola al professor Antonino Rotolo.

  ANTONINO ROTOLO, prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna. Ho portato, come mi è stato detto, una memoria scritta che lascio agli atti della Commissione.

  PRESIDENTE. La ringrazio, la memoria verrà ora messa in distribuzione per i colleghi della Commissione. Al termine della sua illustrazione potranno esserci eventuali domande da parte dei commissari.

  ANTONINO ROTOLO, prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna. Innanzitutto, vi ringrazio, perché è un onore essere qui e poter presentare la visione dell'università di Bologna su questo tema.
  La presentazione che vi illustro, che elabora il documento che vi faranno avere gli uffici, presenta la visione che ha la nostra università sul tema Industria 4.0, come la affrontiamo noi, come la vediamo.
  Per poter partire e potervi spiegare perché abbiamo questo taglio, bisogna posizionare Bologna. Lasciamo stare il posizionamento del ranking – non tutte le università vogliono essere prime, noi siamo tra quelle – al di là della questione prima o seconda, l'elemento che sento di sottolineare, e questa slide riporta alcuni dati, è la caratteristica generalista dell'università di Bologna, università che copre tutti i saperi, e quindi dà un taglio molto preciso anche al problema Industria 4.0, probabilmente strategico per il sistema Paese.
  Il nostro è un sistema che ha ricchezze non solamente nell'ambito tecnologico, ma anche in ambiti che non sono quelli tecnologici, che però interagiscono in maniera efficace con la tecnologia e l'Industria 4.0. L'approccio è, quindi, quello transdisciplinare, dell'interazione, e nella presentazione alla fine vi sottolineerò soprattutto una tematica importante: quella del rapporto tra l'industria culturale e creativa e l'Industria 4.0, secondo noi davvero strategico per poter mettere in grado il sistema Paese italiano di competere con l'Europa.
  Faccio presente che Industria 4.0 è nata in Germania con un taglio manifatturiero forte, che evidentemente vale molto anche per noi italiani. In Italia abbiamo, però, oltre a questa componente, altre componenti che devono essere valorizzate.
  Questa è un'immagine che vi dà un po' il senso di che cosa stiamo parlando. È uno schema in cui abbiamo identificato le grandi sfide e i grandi stakeholder della partita dell'Industria 4.0, la fabbrica, il lato alto a sinistra, da dove nasce l'idea di Pag. 10Industria 4.0 in Germania, con l'introduzione di tecnologie digitali che potessero rendere più efficiente e nuova l'impostazione. Ci sono, però, poi altri angoli da prendere in considerazione: la rete delle relazioni produttive in senso ampio, l'individuo e l'abitare, il contesto in cui si vive, la città e il territorio antropizzato.
  Questi interagiscono attraverso quattro idee macro, che secondo noi sono quelle che devono essere prese in considerazione: l'automatica e la robotica, che ha un classico link con le attività manifatturiere italiane – nella regione Emilia-Romagna c'è una fortissima presenza di robotica e meccatronica, e quindi l'ambito sicuramente qui è fondamentale – ma anche altre tecnologie che devono essere messe a sistema, come l'Internet delle cose, Internet of things. La sfida è come il cliente possa partecipare alla produzione delle merci, quindi esiste un sistema, una ricerca ecologica in quell'ambito, che va messa a sistema.
  Ci sono il cloud e l'intelligenza artificiale, che in qualche modo consente una visione innovativa della rete delle relazioni produttive. Lì la sfida è fare lo sharing degli investimenti, le reti di impresa, tanto strategiche per il tessuto delle piccole e medie imprese italiane. Poi c'è l'Internet of behaviours, che si sente meno ma è altrettanto importante, la cui sfida è seguire le filiere di produzione e il loro ciclo di vita e di uso. Chiaramente, qui si inserisce la smart city.
  Tutte queste quattro sfide non possono essere sviluppate separatamente. Non posso avere fabbriche 4.0 se non ho un contesto di città, una filiera produttiva, una relazione nuova coi consumatori non allineata. Secondo me, è come costruire un palazzo all'interno di un contesto disabitato. Bisogna mettere a sistema. Le sfide per noi, a Bologna, sono queste. Questo è in sintesi il quadro della nostra visione di Industria 4.0 cui stiamo lavorando.
  Vi sono poi alcuni aspetti, come quello della ricerca, dell'innovazione e della formazione. Concluderò con il tema dell'industria culturale, sul quale vorrei avanzare una proposta strategica. Su questo Bologna vorrebbe in un certo senso anche candidarsi come leader in Italia nella ricerca.
  Quanto a ricerca e sviluppo attuale nell'ambito di Industria 4.0, appunto integrazione tra saperi, tecnologie e conoscenze diverse, il tema è tecnologico, ma anche organizzativo. È necessario far interagire ambiti che in questo momento interagiscono poco. Lì vi ho messo tre esempi: robotica e innovazione sociale, inclusione sociale, cyber security, sicurezza informatica, la logistica nell'organizzazione delle filiere produttive. Non ultima, c'è la cura delle persone anziane cloud computing, con cui si possono concepire tecnologie che aiutano le persone anziane a vivere e a comunicare a distanza con coloro che si prendono cura degli anziani.
  C'è il tema delle tecnologie di health, che tra l'altro avrebbero un impatto estremamente efficace nella riduzione dei tempi di ospedalizzazione per le persone anziane. Molte delle cose che in questo momento si fanno in ospedale si possono fare a casa con ausili efficaci di tecnologia digitale. Industria 4.0, quindi, non è solo fabbrica, ma servizi, è anche questo.
  Poi ci sono altri temi che nelle slide vi presento. Ve ne menziono alcuni: l'analisi delle ricadute sociali, il design, il food supply chain, tema anche questo fondamentale. Anche lì l'applicazione va perseguita, perché è un'eccellenza italiana l'agrofood, dove abbiamo molto da dire e che possiamo collegare efficacemente con l'ambito dell'industria culturale.
  C'è poi il tema giuridico, dei diritti di Internet, dei modelli di tutela dei diritti per la protezione delle opere di ingegno. Qui c'è anche l'aspetto giuridico che va studiato per mettere in funzione le tecnologie dell'Industria 4.0. La promozione dell'idea dell'open source è indicata anche dagli organi comunitari, è quella la direzione a cui la Commissione europea ci indirizza, quanto meno noi nell'ambito della ricerca. Facciamo molta fatica a sviluppare un modello integrato.
  Poi ci sono chiaramente temi più classici, come la produzione additiva e il rapid prototyping una delle idee di base dell'Industria 4.0, cioè accorciare i tempi dei Pag. 11prototipi. Ci sono altri temi, ma su questo possiamo sorvolare.
  Qui sono elencati alcuni dei nostri stakeholder, ovviamente nomi che conoscete: Lamborghini, Carpigiani, Ducati, Marchesini e altri, Technogym, ma questa chiaramente è la nostra connotazione territoriale. Con questi e su questi lavoriamo già da molto tempo. Cercheremo di lavorare sempre intensamente, ma questa è una specificità del bolognese.
  Vorrei essere più proattivo e passare dalla ricerca e dall'innovazione al tema della formazione. Non si può promuovere il sistema dell'Industria 4.0 senza formazione adeguata. Noi partiamo da un gap digitale e di preparazione abbastanza netto. Intanto, sappiamo bene e l'OCSE ci dice che c'è una diretta correlazione tra formazione e innovazione sociale e tecnologica. La competitività parte da lì. Bisogna farne molta e fatta bene.
  C'è poi un'urgenza. In Italia, abbiamo un basso numero di laureati STEM, Science, Technology, Engineering and Mathematics. Chiaramente, questo è un tema che ci svantaggia. Sono venticinquesimi in Europa, comunque sicuramente nei Paesi OCSE. C'è un tema che va affrontato, e come? Innanzitutto, bisogna promuovere formazione specifica sull'Industria 4.0 con un respiro multidisciplinare. È chiaro che bisogna dare le basi tecniche e tecnologiche fondamentali. Noi partiamo male come sistema Italia su questo fronte, ma dobbiamo declinare la formazione tecnica in quella direzione: advanced design, future studies. Il documento che vi ho consegnato contiene qualche elemento in più.
  Poi c'è, altro aspetto fondamentale, la formazione di innovation management. Bisogna, come stiamo facendo con la Bologna business school, formare il personale già occupato con responsabilità di management. Se non si lavora lì, abbiamo la testa che non sa dove andare. La formazione va dai giovani ai manager, e bisogna farla a livello diffuso. Non possiamo costruire una rete tecnologica o una rete di ricerca e innovazione senza il personale umano che faccia la differenza. Insisto molto, quindi, sul tema della formazione. Il tema della ricerca e dell'innovazione è fondamentale. Senza quello non c'è la sostanza, ma la sostanza è fatta di tecnologia, di organizzazione e di risorse umane.
  L'ultimo aspetto, progetto che stiamo lanciando nell'università di Bologna, è sviluppare competenze trasversali. Tutte le lauree, un'idea già molto presente negli Stati Uniti, tutte le formazioni, le discipline devono avere una formazione di imprenditorialità 4.0. I laureati in discipline umanistiche hanno spesso idee fantastiche, ma non sanno articolarle in progetti imprenditoriali. Faccio presente che questo tipo di profilo e formazione è cruciale per il sistema Italia. Uno dei nostri patrimoni più importante è quello culturale, dove le tecnologie nuove possono davvero essere il valore aggiunto.
  Mi avvio alla conclusione – ho cercato di essere abbastanza rapido e, se avrete bisogno di qualche chiarimento, mi rendo disponibile molto volentieri – proponendovi una traiettoria innovativa sul paradigma Industria 4.0. Come sistema Italia possiamo dare una traiettoria comunitaria al senso dell'Industria 4.0, l'industria culturale e creativa 4.0.
  Innanzitutto, cogliamo l'interazione tra saperi, tecnologie e conoscenze diverse. Valorizziamo saperi in questo momento anche un po' marginalizzati. Soprattutto, incidiamo su una partita che, secondo le stime di Unioncamere, ha una consistenza di circa 226 miliardi di euro. L'industria culturale, infatti, sia in senso stretto sia con le sue ricadute – sono dati che avete, ancora più aggiornati, io mi sono basato su alcune fonti, tra cui quelle di Unioncamere – ha una dimensione importante. Qui la nostra industria in senso lato può davvero rappresentare un valore aggiunto.
  Faccio presente che l'interazione tra tecnologia digitale e patrimonio culturale è anche riconosciuta dalla Commissione europea, per esempio, in Horizon 2020, e quindi c'è una partita da giocare internamente all'Italia ma in diretta connessione con gli indirizzi politici della Commissione europea e dell'Unione europea. Per noi questo è chiarissimo come università di Bologna. Pag. 12
  A questo punto, come si fa? Questo è il tema. Che cosa si può fare? Bologna ritiene di poter giocare un ruolo di leadership su questa partita, perché è un'università eccellente generalista, cioè è in grado di portare tra i migliori ingegneri, tra i migliori informatici, ma anche tra i migliori archeologi, tra i migliori storici dell'arte, tra i migliori storici della musica, tra i migliori studiosi di letteratura greca e latina e così via. Come si fa?
  Adesso abbiamo il progetto di costruire un lab virtuale molto ampio, che mette a sistema, dà accesso, valorizza in maniera digitale e interattiva – è un progetto di mandato, con il nostro nuovo rettore, Francesco Bertini, su questo punto si vuole costruire uno degli aspetti di mandato nei prossimi sei anni – le risorse culturali e gli spazi architettonici (patrimonio librario, museale, linguistico), le arti visive (cinema, spettacolo, e a Bologna abbiamo la cineteca, famosa nel mondo, perché ha tutte le grandi pellicole da tutto il mondo), i beni culturali e il design.
  Si parla di costruire tecnologie che rendano accessibile, navigabile e utilizzabile da parte di tutti, oltre che da parte dei ricercatori, tutto il patrimonio culturale attraverso tecnologie come la modellazione 3D degli ambienti sociali degli edifici e dei manufatti o lo sviluppo di interfacce fisiche e virtuali immersive, che appunto danno l'impressione di esserci dentro, pure a veicolo linguistico ibrido, come le realtà aumentate, che si usano anche nel gaming, i giochi elettronici che i nostri figli utilizzano spesso. Sono tecnologie che possono essere sviluppate a partire da quello che già si sa per mettere a rete e rendere accessibile al mondo intero tutto il nostro patrimonio culturale.
  Chiaramente, questo ha un duplice impatto: nella ricerca, nella promozione, nella conoscenza del nostro patrimonio. Diventa, quindi, anche un volano formidabile per l'attività turistica, per rendere conoscibile il nostro patrimonio, ma è anche uno strumento di ricerca e innovazione. Quando si vogliono studiare i manoscritti antichi, i nostri manoscritti medioevali con i glossatori, Irnerio, Accursio, gli strumenti digitali li rendono ancora più accessibili e maneggevoli. Sono molto difficili, delicati da maneggiare. Quando i nostri colleghi americani vengono a trovarci a Bologna, vogliono vedere queste cose.
  Noi crediamo che in generale sul tema interazione tra tecnologie digitali e industria culturale si possa giocare davvero un ruolo di leadership del sistema Paese in Europa, oltre che contribuire in maniera significativa al sistema produttivo italiano, non dimenticandoci però anche l'aspetto manifatturiero, perché questo è un tessuto economico fondamentale. L'avvertenza è, però, che questo tema dalla manifattura va sviluppato se lo si mette a sistema con tutto il quadro di Industria 4.0, quindi le filiere di distribuzione, la rete delle riprese, l'abitazione, il sistema urbano, soprattutto scommettendo molto sulla formazione. Senza quella non c'è innovazione. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  LORENZO BASSO. Ringrazio il prorettore per l'interessante contributo che ci ha portato.
  Vorrei porre quattro quesiti. Il primo riguarda la cosa che si sta sviluppando, come è emerso anche nelle ultime audizioni tenute, ossia questa italiana che sicuramente deve includere quest'approccio interdisciplinare, questa peculiarità che davvero può essere quella che possiamo portare come Paese all'interno di questa rivoluzione industriale. In particolare, però, sull'industria culturale, come lei sa, siamo indietro rispetto a un Paese come l'Inghilterra, a Londra in particolare. Lì, nonostante non abbiano il patrimonio e la storia del nostro Paese, hanno sviluppato le nuove tecnologie per la fruizione dei beni culturali in maniera molto forte.
  Crede che potrebbe essere utile, rispetto anche a uno sviluppo – penso all'industria privata, ma al contributo dell'università – creare incentivi come l'«Art-Bonus» non soltanto per la conservazione, ma anche Pag. 13per la fruizione dei beni culturali? Quello potrebbe essere un incentivo vero o è una questione più di mancanza, in questo momento, di professionalità, e quindi di formazione? C'è sicuramente quello, ma possono esserci già in nuce quelle competenze in grado di essere agevolate da un intervento del genere?
  La seconda domanda riguarda la formazione, uno dei temi che abbiamo affrontato fortemente. Lei parla della formazione universitaria per le nuove competenze, della formazione interna alle aziende, in particolare per chi deve guidarle. Prima abbiamo ascoltato anche i rappresentanti delle regioni. Questa tipologia di industria, nelle varie accezioni che ci ha mostrato in maniera molto estesa, è in grado oggi di aver anche una formazione cosiddetta professionale, quella che oggi è la formazione professionale non universitaria? Se sì, quali passi secondo lei devono essere compiuti per avere centri di competenza in grado di fornire quella professione per quella tipologia di professioni, che comunque non escono dall'università?
  La terza e ultima domanda è quella che più mi interessa. Mi scuso se la rivolgo solo a lei, come non ho fatto coi docenti precedenti, ma lei ci ha rappresentato una visione che ha maturato la vostra università sulla possibilità di caratterizzarsi, di contribuire alla crescita di quest'industria all'interno del Paese: esiste un sistema di relazioni tra le grandi università italiane che si sta confrontando in questo momento su questi temi? Il rappresentante della Repubblica federale tedesca ci ha raccontato come in Germania esista già un sistema di governance molto forte tra centri di ricerca, università, imprese e istituzioni. Esiste oggi almeno un tavolo all'interno dell'università e dei centri di ricerca e una rete informale di professori, universitari, come lei, che sta approfondendo questi temi? Esiste qualcosa di più strutturato? Se sì, ha prodotto già dei contributi che possono essere portati all'attenzione di questa Commissione?

  GIANLUCA BENAMATI. Dico francamente che i temi posti nella sua relazione sono soddisfacenti. Portano anche a punti di vista che vanno un po' al di là della visione tradizionale della digitalizzazione di sistemi manifatturieri. Fanno più riferimento alla digitalizzazione complessiva dei nostri sistemi di vita e anche, in certa parte, dei servizi. La ringrazio per questo tipo di visione, che anche delle peculiarità che possono farci riflettere, possono far riflettere su quella che anche il collega Basso definiva, come tra noi discutiamo spesso, una via più italiana allo sviluppo di Industria 4.0, utilizzando quest'etichetta come una coperta un po' stretta che va a coprire un letto molto più largo di dimensioni, ma che contiene anche altre cose.
  Su questo anch'io ho due o tre questioni da sottoporle. Lei ha dichiarato che la digitalizzazione dell'industria deve accompagnarsi al sempre maggior uso dei sistemi digitali nella vita corrente, quindi per i consumatori, per gli acquisti, per le realtà della città. Questo implica anche una differenza comportamentale e di vita che – lo dico francamente – in tutte queste audizioni ha fatto notare solo il sindacato, dicendo che, a fronte dell'affermarsi di un modello digitale per la produzione, ci saranno comunque delle modifiche anche nella società, nei modi di comportarsi.
  Su questo, però, a parte quest'osservazione che ci tenevo a farle, ha indicato tra i diversi settori manifatturieri anche uno che non è spesso richiamato in queste aule, quello agroalimentare. Forse noi parliamo molto di automotive e di altro anche per cultura di Commissione, ma l'agroalimentare è un grande settore industriale del nostro Paese. Vorrei che spendesse qualche parola in più. Lei vede un potenziale successo nell'applicazione dei sistemi di digitalizzazione in questo sistema che per la nostra Regione, ma anche per il Paese, è estremamente importante?
  Poi ha parlato della formazione. Avevo già inteso anche dal rettore che la formazione è un punto forte dell'Università di Bologna. Questa idea mi viene quindi confermata, perché non c'è solo il tema importante dei laureati in discipline tecnologiche e matematiche, ma anche un tema più diffuso, e anche qui lei ha messo in luce alcuni punti che sono critici, ma che spesso Pag. 14non vengono visti. Il nostro tessuto aziendale che deve affrontare questa sfida è spesso piccolo e va utilizzato o in rete o in dimensioni anche consortili, ma comunque spesso non ha un management adatto. Questo non viene fatto notare molto spesso.
  Lei ha indicato l'esistenza a Bologna di corsi e di scuole di formazione per management esistente, non per la formazione di management, ma per l'adattamento italiano della dirigenza degli amministratori, dei direttori delle aziende ad affrontare questo nuovo paradigma. Lei pensa che questo, al di là dell'esperienza bolognese, sia un fattore chiave nella riuscita di questa sfida per il Paese? Che questo vada immaginato? Anch'io, come il collega Basso, penso che la formazione abbia due livelli: un'altra formazione a livello di tecnici e matematici, ma anche di management, e una formazione più diffusa anche a livello professionale, che deve essere gestita in maniera differente, e su questo mi rifaccio alla domanda del collega.
  L'ultima questione è sull'industria culturale. Credo di avere inteso, ma credo che sia limitativa come interpretazione, che si parlasse di sfruttare al meglio le nostre potenzialità nel settore storico-monumentale. Credo di aver capito, ma vorrei essere confortato da lei: proprio la nostra capacità di operare in questo settore della cultura, che però è a 360 gradi (dalle arti visive al cinema, alle produzioni di questo tipo, allo sfruttamento dei beni artistici e culturali, a una serie di attività che si collegano anche con altri campi, come il turismo) potrebbe trarre un vantaggio dalla digitalizzazione e dare luogo alla nascita o al rafforzamento di un settore nazionale?
  Vorrei, però, capire e che lei ci faccia comprendere meglio che non si tratta solo dello sfruttamento migliore delle nostre capacità, ma anche proprio di un'opportunità che vedete proprio come opportunità di nascita di nuove aree. Lei parlava di design, di caratteristiche che, messe in rete, possono far nascere anche nuove aziende e far mantenere al Paese certe peculiarità. Il design italiano, l'automotive negli anni è sempre stato un asset importante per il Paese. Da questo punto di vista, crede che qui si debba investire di più?

  LORENZO BECATTINI. Ho una sola domanda, molto centrata su questa sua ultima considerazione sulle tecnologie digitali e l'industria culturale. Per uno che viene da Firenze, questo è naturalmente interessante. Mi fa molto piacere, però, che quest'argomento nasca nell'ambito dell'università più antica che esiste, quella di Bologna. Probabilmente, questo tema insomma sta anche nel DNA di chi lavora in ceti ambiti. Tante volte abbiamo delle idee interessanti, ma non riusciamo a coltivarle bene sul piano organizzativo. Mi interessa capire meglio, anche se lei l'ha già in parte tratteggiato, come questa cosa che ha una logica, che è importante, possa far sì che l'università di Bologna, che è il promotore, possa interagire con il sistema pubblico, quello degli enti locali, e con un sistema privato, che deve comunque essere parte di questo processo.
  La guardo anche con gli occhi di chi, analizzando da Firenze, vede delle eccellenze, sempre sul fronte culturale, che alla fine, possono essere tante, ma le nostre sono quattro: il patrimonio artistico, il tema linguistico con la Crusca, quello della moda, nata a Firenze, e infine il grande valore delle produzioni musicali e così via.
  Mi ha fatto venire in mente anche una osservazione di carattere storico, e quindi termino con una battuta. In realtà, tante volte le disgrazie possono generare delle innovazioni, e rammento una cosa che lei conosce bene, cioè di quando, giovandosi di una peste a Ferrara, i Medici trasferirono il Concilio nel 1439 a Firenze, e nacque, con la presenza dei grandi e dotti greci, l'Accademia neoplatonica, elemento sul quale si generò poi il Rinascimento. Tante volte siamo stati bravi sfruttando qualche disgrazia piuttosto che una sistematicità di progetti.

  PRESIDENTE. Do la parola al prorettore per la replica.

  ANTONINO ROTOLO, prorettore per la ricerca dell'Università degli studi di Bologna.Pag. 15 Molto bene, avete fatto molte domande. Cercherò di rispondere in maniera adeguata, ma immagino veloce, vero presidente?
  Quanto al primo punto, gli incentivi, servono perché spesso, soprattutto all'inizio, su certe partite, come quella dell'industria culturale cui faceva riferimento, si fa molta fatica a spiegare le opportunità a medio e lungo termine che queste hanno. Le risorse secondo me ci sono. Questa è una risposta che, evidentemente, è la politica a dover dare. Da studioso, posso dirvi sulla base della mia esperienza che gli incentivi sono uno strumento che può servire.
  Sul tema della formazione – ce la fanno le aziende, ce la fa il sistema produttivo? Non sempre, perché è difficile gestire da soli questa partita, primo per ragioni strutturali, ossia le piccole e medie imprese, ma lì ci sono delle modalità per gestire queste cose. Cito un esempio velocissimo, un'idea a cui stiamo lavorando a Bologna.
  C'è poi il tema delle star-tup, ma il problema non sono solo le startup, bensì dare una mano alle piccole aziende che lavorano nella cerchia che serve l'indotto delle medie e grandi aziende. Bisogna «incubarle» lì, fare in modo che l'università si allei con la media e grande azienda e vada a fare formazione e innovazione nelle piccole aziende attraverso il supporto della grande, che ha interesse a rafforzare le piccole aziende, senza le quali tutto l'indotto e tutta la prima fascia della produzione sulla quale si basa quella della grande azienda salta per aria.
  Un modello interessante è quello di fare formazione in alleanza con le grandi aziende che hanno interesse a supportare il tessuto delle piccole e medie aziende. Non sempre è così, ma in alcuni casi l'abbiamo verificato nel nostro territorio. Per esempio, Marchesini Group ci ha chiesto questo tipo di azione. Chiaramente, questa è una possibilità, ma dimostra che si possono inventare delle modalità in cui per la formazione, laddove non è possibile farla direttamente dentro l'azienda perché non ce la fa, si possono innescare meccanismi interessanti, in cui l'università e il sistema produttivo insieme possono agire direttamente.
  Quanto alla nostra visione dell'industria culturale, certo che c'è una rete. Esiste una rete nazionale, così rispondo anche all'ultimo intervento, esistono dei contatti. Andrei ancora oltre: esistono già reti europee. Io sono andato in Austria, in Germania, in Inghilterra, e lì la Digital Humanities, che rappresenta solo una parte piccola, è molto più avanti. Loro hanno meno cose di noi, evidentemente, ma il punto è che le reti ci sono e noi dobbiamo presidiarle. Noi non lavoriamo out of the blue, ma lavoriamo in un contesto già ben definito.
  Quanto all'agroalimentare, certo è un tema fondamentale a livello direi italiano, per la nostra regione lo è in maniera molto chiara. Il tema del supply chain management, cioè del controllo della filiera, dei processi a distanza, è un valore anche per le nostre specificità. Noi abbiamo il tema fondamentale della tracciabilità dei prodotti dell'agroalimentare. Come voi ben sapete, è un tema fondamentale per noi.

  GIANLUCA BENAMATI. Ne siamo consapevoli.

  ANTONINO ROTOLO, prorettore per la ricerca dell'università degli studi di Bologna. La mia risposta è: questo tema è fondamentale per l'agroalimentare. Non è un caso che l'ho citato, non solo come regione.
  Quella per il management è una formazione chiave? Certo che lo è. È fondamentale, necessaria. Senza di questa non riusciamo ad avviare a breve termine... A lungo termine, è chiaro, investiamo sui giovani, le future figure apicali saranno quelle, ma se nel breve e medio termine non forniamo la dirigenza attuale...
  Ancora, certo che non si vuole valorizzare il vecchio senza proiettarsi sul futuro. Questo è un ambito dove si fanno e si devono fare aziende nuove, perché l'ambito è più ampio (moda, design), poi perché sulla storia si può costruire impresa innovativa, nuova. Non si tratta di mettere a disposizione in maniera statica qualcosa che c'è, che però non evolve. La risposta, quindi, è sì, è proprio questa la sfida, Pag. 16altrimenti non sarebbe industria culturale 4.0, ma valorizzazione digitale di qualcosa di statico. Questo non deve accadere.
  Infine, certo non si può fare una cosa del genere se non si fa rete, sistema a livello nazionale. Il senso della proposta di Unibo è di lavorare di leadership non significa che voglia fare le cose da sola, ovvio che no. La forza di questo tipo di prospettiva esiste se si mette in rete il sistema Italia dell'industria culturale. In questo senso, si riesce a lavorare in un partenariato pubblico-privato che funzioni. La sostenibilità di quest'idea passa attraverso la rete.
  Mi viene da dire che il dato macro economico è chiaro: non investire lì dal punto di vista di chi studia queste cose è una tendenza un po' suicida secondo me. Da questo punto di vista, credo esistano le condizioni di sostenibilità per farlo.

  PRESIDENTE. Mentre il collega Becattini parlava di Bologna come la più vecchia università d'Europa e io pensavo: la più vecchia banca d'Europa. Una ancora va bene, l'altra non se la passa molto bene, ma tutte e due sono ancora vive!
  Ringraziamo il prorettore e gli auguriamo buon lavoro.
  Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato 2).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.25.

ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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