XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 12 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE E SULLE PRINCIPALI PROBLEMATICHE IN MATERIA DI ENERGIA

Audizione di rappresentanti di Federchimica.
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 2 
Rauhe Erwin , Vicepresidente di Federchimica ... 2 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 6 
Vignali Raffaello (PdL)  ... 6 
Benamati Gianluca (PD)  ... 6 
Vallascas Andrea (M5S)  ... 7 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 7 
Rauhe Erwin , Vicepresidente di Federchimica ... 7 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 10 

Audizione di rappresentanti di Energia concorrente:
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 10 
Gatti Giuseppe , Presidente di Energia Concorrente ... 10 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 14 
Benamati Gianluca (PD)  ... 14 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 14 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 14 
Gatti Giuseppe , Presidente di Energia Concorrente ... 14 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ETTORE GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 14.10.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Federchimica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Federchimica.
  Li ringrazio per la loro presenza e do subito la parola al vicepresidente di Federchimica Erwin Rauhe per la relazione introduttiva.

  ERWIN RAUHE, Vicepresidente di Federchimica. Buongiorno. Signor presidente, grazie per l'opportunità che date alla nostra federazione di esporre qui degli argomenti che riguardano la strategia energetica nazionale e le implicazioni che questa ha sulla nostra industria.
  Partirei parlando del settore della chimica, semplicemente per ricordare che la chimica è una delle nostre industrie portanti, fonte di scienza e d'innovazione, e sottolineando il fatto che la chimica può contribuire e contribuisce anche al miglioramento della qualità della vita, dei consumi energetici e dell'impatto ambientale, attraverso le soluzioni che può offrire.
  Mi preme sottolineare uno specifico argomento di cui si discute ormai da un po’ di tempo: la chimica da fonti rinnovabili. A questo proposito, ricordo che esistono alcune materie prime che arrivano dall'agricoltura (scarti alimentari, rifiuti organici, alghe e biomasse) dalle quali, attraverso impianti chimici di bioraffinerie, ricaviamo sostanze e prodotti chimici differenti, dalla chimica di base alla chimica di specialità, come agrofarmaci o tensioattivi detergenti, ma anche biocarburanti.
  Bisogna sottolineare che queste bioraffinerie e questa chimica da fonti rinnovabili utilizzano degli scarti o dei prodotti non in concorrenza con la food value chain, cioè con la filiera alimentare.
  Per quanto riguarda l'industria chimica in Italia, ricordo che le industrie chimiche italiane generano un fatturato di circa 53 miliardi di euro. Siamo uno dei settori ad alto utilizzo di manodopera, con oltre 115 mila persone addette direttamente nel settore. Contiamo che per ogni persona addetta direttamente, occorre considerare dalle quattro alle sei persone che lavorano nell'indotto. Mi preme anche sottolineare che le nostre maestranze sono tutte altamente qualificate.
  Per quanto riguarda la domanda interna, segnalo che il settore chimico in Italia genera un volume di circa 63 miliardi di euro. Ciò significa che siamo in presenza di un 4 per cento circa del prodotto interno lordo. L'Italia è il quarto Paese a livello europeo per importanza del settore chimico, contribuendo al 10 per Pag. 3cento della ripartizione chimica europea, e arriviamo al settimo posto a livello mondiale.
  Possiamo dividere la produzione chimica in Italia in due grandi blocchi. Il primo blocco, costituito da chimica di base e fibre, purtroppo, anche per un problema di costi energetici e di approvvigionamento energetico, sta perdendo peso specifico nell'industria chimica italiana, a vantaggio della chimica fine, specialistica e per il consumo, che invece, anche essendo a più alto valore aggiunto, tende a aumentare la propria presenza.
  Ricordo che negli ultimi anni nella chimica di base alcune realtà, anche molto conosciute, hanno chiuso o sono decresciute significativamente. Nonostante questo, il mercato chimico italiano resta un mercato estremamente importante e tutti gli attori, sia nazionali che internazionali, sono presenti sul nostro territorio.
  Per quanto riguarda l'utilizzo delle fonti energetiche e della chimica in quanto tale, ricordo che vi sono due principali fonti di approvvigionamento. La prima è il virgin-nafta, dal quale si ottengono propilene, etilene, butadiene e gli aromatici, e in conseguenza tutti i prodotti chimici derivati. Negli ultimi anni si è inserito come fonte anche il gas naturale, dal quale possiamo ottenere propilene, etilene e, conseguentemente, tutta la filiera dei prodotti derivati da queste due materie prime di base.
  Questo ci porta anche a sottolineare un altro argomento, quello relativo allo shale gas, che così prepotentemente è apparso sul mercato negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, crea una minaccia, facendo una concorrenza molto forte alla chimica europea.
  Ricordo che le fonti energetiche di cui noi parliamo hanno nella nostra industria un doppio utilizzo, sia come fonte energetica primaria, che come materia prima, perché attraverso la trasformazione di questi prodotti otteniamo i prodotti chimici con i quali alimentiamo tutta la filiera chimica.
  Parlando di consumi di energia dell'industria chimica in Italia, è possibile rappresentare lo sviluppo di quello che definisco un percorso virtuoso, in quanto, attraverso gli obiettivi che erano stati dati per la riduzione dei consumi energetici di un 20 per cento, fatto 100 il 1990, oggi ci troviamo a un indicatore di 55. Significa che abbiamo ampiamente superato gli obiettivi, attraverso sforzi spontanei fatti dall'industria, ovviamente anche perché l'energia rappresenta un elemento di costo significativo per la nostra industria. Di questo parlerò successivamente.
  Nel bilancio nazionale dei consumi di fonti energetiche, l'industria rappresenta circa un terzo. Di questo terzo, un 25 per cento è attribuibile all'industria chimica. Ribadisco però che quest'energia non è utilizzata soltanto come fonte energetica (elettricità o vapore), ma anche come materia prima. Più del 50 per cento dei consumi energetici riguardano le materie prime, che vengono trasformate in altri prodotti.
  Anche nel campo dell'emissione dei gas serra, l'industria chimica italiana ha fatto i suoi compiti a casa: siamo passati da un consumo specifico pari a 100 nel 1990, a un valore di 36 nel 2011. Anche in questo caso, a fronte di un obiettivo del 20 per cento di riduzione per il 2020, a oggi siamo già a oltre il 67 per cento di riduzione.
  Come emissioni assolute, l'industria chimica rappresenta soltanto un 2,1 per cento, essendo i settori maggiormente emittori i trasporti e l'industria energetica nel suo complesso.
  Il motivo per cui siamo tanto sensibili alla questione dei costi e dei temi energetici è abbastanza chiaro: la nostra industria è molto dipendente dall'estero, per cui l'esportazione e l'internazionalizzazione di queste industrie sono molto avanzate. Contemporaneamente, tra i grossi settori industriali, siamo quelli maggiormente soggetti alla sensibilità dei costi energetici. Infatti, le variazioni dei costi energetici nei nostri settori hanno conseguenze dirette sui nostri conti economici, in quanto il totale dei consumi energetici incide addirittura in maniera superiore al costo dalla manodopera nei nostri bilanci.
  Chiaramente i costi energetici incidono in maniera diversa a seconda del settore. Pag. 4Vi sono prodotti per i quali l'energia conta fino al 47 per cento dei costi di produzione, e altri per i quali l'impatto è inferiore. In termini assoluti, il valore dell'energia nella chimica rappresenta oltre il 5 per cento del totale dei nostri costi.
  Quando facciamo un confronto con i nostri competitor europei, vediamo che l'Italia ha il costo energetico maggiore. Fatta 100 la UE esclusa l'Italia, noi soffriamo un costo di 138. Questo ovviamente ha una ripercussione diretta sui nostri conti economici.
  Anche per quanto riguarda il gas naturale, cioè l'altra fonte di materia prima e energia, ci troviamo al di sopra della media europea, fortunatamente in misura minore rispetto all'energia elettrica (intorno al 10 per cento).
  Se consideriamo complessivamente tutti questi fattori, vediamo che energia e clima rappresentano elementi determinanti per la nostra industria e per il nostro settore. Ovviamente anche l'internazionalizzazione, cioè gli effetti che arrivano dalle scelte fatte a livello internazionale, ha delle conseguenze significative sulla nostra attività.
  Le criticità sono quelle evidenziate dal documento sulla politica energetica nazionale, che è vincolata alle scelte europee, cioè al famoso Pacchetto energia e clima 20-20-20. A tali vincoli ovviamente vanno aggiunte le decisioni nazionali, che hanno indebitamente accelerato l'incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che ha portato a un'esplosione dei costi e messo in crisi la gestione del mercato elettrico.
  Scaricare questi oneri addizionali di sovvenzione dell'energia da fonti rinnovabili ha conseguenze dirette sulle capacità competitive delle industrie, che devono affrontare non solo una realtà nazionale, nella quale la regola è uguale per tutti, ma anche delle realtà internazionali in cui, come abbiamo visto, l'industria italiana sconta un onere che arriva a essere del 30 per cento superiore a quello dei nostri competitor.
  La difesa delle specificità nazionali, inoltre, ostacola l'integrazione dei mercati, a sua volta resa difficile dalla sempre maggiore interferenza del sistema regolato sul mercato libero.
  Iniziamo ora a vedere i nostri temi. Quale futuro costruire ? L'Europa sta discutendo gli obiettivi del 2030, partendo da una visione di lungo termine (al 2050), che si basa sul raggiungimento di un accordo globale vincolante sulla riduzione delle emissioni.
  Tuttavia, quest'accordo allo stato attuale non è né raggiunto né scontato. In assenza di questo, l'Europa deve definire obiettivi alternativi di politica climatica. Gli obiettivi alternativi dovrebbero tenere conto delle esigenze di protezione della competitività e del peso decrescente delle emissioni europee sul bilancio globale. Una scelta europea isolata avrebbe grosse conseguenze sulla capacità concorrenziale dell'industria europea e conseguentemente su quella italiana, in aggiunta a una diminuzione delle emissioni dell'Europa sul totale delle emissioni a livello globale.
  Ricordo però che, come ho già avuto modo di sottolineare, l'industria ha comunque fatto la sua parte, perché ogni aumento dell'efficienza energetica ha conseguenze dirette sul nostro conto economico. Conseguentemente, abbiamo impostato quelle politiche che già oggi hanno permesso di superare gli obiettivi europei.
  Quando guardiamo le politiche a breve e medio termine, occorre considerare, oltre agli obiettivi che si intendono raggiungere, anche le interazioni e le possibili contrapposizioni tra esse. Per noi di Federchimica la priorità è ovviamente la riduzione dei gas ad effetto serra (primo livello), sempre tenendo conto degli obiettivi complementari, ossia la produzione di energia da fonti rinnovabili e il miglioramento dell'efficienza energetica e degli standard accettabili e operativi per i biocombustibili (secondo livello).
  Se allarghiamo il campo di azione agli interventi in settori non industriali, possiamo riferirci in particolar modo ai trasporti, con un maggior utilizzo di carburanti alternativi, quali GPL e GNL, che – ricordo – hanno un impatto molto limitato in termini di emissioni di gas serra.Pag. 5
  Mi preme sottolineare, infine, il tema dell'efficienza energetica. Molti dei consumi energetici e delle conseguenti emissioni di gas a effetto serra derivano da un non ottimale utilizzo del patrimonio immobiliare, che genera una fortissima dispersione. Con interventi di efficientamento energetico nei trasporti e negli altri settori a maggiori emissioni, potremmo raggiungere in maniera molto veloce obiettivi superiori a quelli che raggiungeremmo con ulteriori regolamentazioni, che renderebbero la nostra industria meno competitiva.
  Dobbiamo anche pensare alla questione della sicurezza di approvvigionamento. Credo che su questo sia già stato fatto molto, anche nel campo del gas, con misure che sono state recentemente introdotte. Ovviamente va da sé che dovrebbe essere una politica diretta alla crescita economica sostenibile del sistema produttivo industriale italiano. Da parte dell'industria, anche in questo senso, è già stato fatto molto.
  Noi di Federchimica, come abbiamo espresso anche in sede comunitaria, siamo favorevoli a mantenere l’Emission Trading System (ETS) come strumento fondamentale di politica ambientale. Dobbiamo però insistere per alcune necessarie modifiche che rendano meno sensibili questi certificati alla fluttuazione dei cicli economici. Attualmente abbiamo il problema delle emissioni ex ante che, se il ciclo economico si sviluppa diversamente, subiscono effetti distorsivi.
  Dobbiamo escludere interventi dirigistici non compatibili, evitando di penalizzare la produzione in Europa rispetto alla delocalizzazione, perché questo settore è un'industria che opera a livello globale. Ovviamente è molto importante che l'Europa mantenga il suo ruolo in questo settore, che peraltro è estremamente avanzato, sia in termini tecnologici che di innovazione. Dobbiamo inoltre affrontare il problema di come trattare le emissioni indirette di CO2.
  Vi è chiaramente una disomogeneità dei prezzi su base regionale. Dobbiamo accelerare l'integrazione dei mercati energetici, per avere dei prezzi allineati. Oltre a questo, dovremmo avere anche una sicurezza negli approvvigionamenti.
  Per quanto riguarda gli oneri eccessivi delle fonti di energia rinnovabili che, come abbiamo detto, dal nostro punto di vista sono una fonte importante di produzione di energia, dobbiamo rendere sostenibile per il consumatore industriale, ma anche per il cittadino, il costo delle incentivazioni.
  Su questo ci permettiamo di fare tre proposte concrete. La prima è trasformare il pagamento di una parte significativa dell'incentivo in esenzione d'imposta. Ciò comporterebbe dei costi a carico dello Stato solo in presenza di aziende in utile, perché l'esenzione d'imposta opera riguarda l'utilizzatore finale e non si concretizza in un'erogazione ex ante a tutti i produttori.
  La seconda proposta è includere i produttori da fonte rinnovabile nei meccanismi di bilanciamento della rete, con una chiara partecipazione nei costi. Infine, proponiamo di rivedere il sistema incentivante per le fonti rinnovabili termiche, tenendo conto dell'impatto ambientale degli inquinanti tradizionali. Ci riferiamo in particolare alla questione del particolato.
  In conclusione, come Federchimica vorremmo sottolineare i seguenti aspetti. Il primo aspetto è la necessità di una effettiva internazionalizzazione delle nostre imprese, molte delle quali operano su più mercati, con una conseguente forte vulnerabilità per le differenze dei costi energetici tra Paesi europei ed aree geografiche mondiali. Quando vengono prese decisioni d'investimento si guardano tutti gli elementi di costo, anche quelli energetici, che giocano un ruolo fondamentale per il nostro settore.
  Il nostro è un settore fortemente innovativo e dove la professionalità gioca un ruolo fondamentale, dove la ricerca è un fattore fondamentale di crescita. Gli obiettivi della SEN richiedono contributi specifici dal settore chimico. Riteniamo, come settore, di poter contribuire in maniera positiva all'individuazione delle risposte atte a raggiungere gli obiettivi della Strategia energetica nazionale.Pag. 6
  Nonostante gli importanti risultati raggiunti nella riduzione dei consumi energetici ed idrici, il settore nel suo complesso continua ad essere penalizzato, nella sua capacità di competere, dai differenziali di prezzo. Quando noi produciamo in Italia abbiamo un onere aggiuntivo su una parte significativa dei nostri costi che arriva fino al 30 per cento rispetto ai nostri concorrenti europei, e molto oltre quelli rispetto ai concorrenti internazionali, soprattutto se pensiamo agli sviluppi dello shale gas negli Stati Uniti.
  Come Federchimica, vorrei ringraziare per l'opportunità che ci avete concesso, signor presidente e signori onorevoli, e lasciare agli atti della Commissione il documento di risposta alla consultazione SEN indetta dal 2012. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per la vostra esposizione. Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  RAFFAELLO VIGNALI. Innanzitutto ringrazio il dottor Rauhe e Federchimica per l'esposizione molto chiara. Peraltro, come forse sapete, abbiamo affrontato il problema del settore della chimica in Assemblea poche settimane fa, sottolineando, tra le varie cose, l'importante contributo della chimica e i risultati che ha raggiunto, anche in termini di sostenibilità.
  Peraltro, a breve partirà un'indagine conoscitiva sulla green economy. Credo che il sistema della chimica italiana potrà avere molto da dire, anche in termini di conoscenza per il Parlamento, rispetto a tutte le novità che sono nate e che si stanno sviluppando in questi anni.
  Io avrei tre domande su temi cui lei ha già accennato. Innanzitutto, vorrei sapere come considera Federchimica la situazione europea, in relazione alle attuali politiche in tema di clima e di energia.
  Lei, al termine del suo intervento, ha detto che la chimica, soprattutto la chimica di base, si confronta con difficoltà crescenti, dovute agli alti costi energetici dell'Europa, e dell'Italia in particolare, e anche alla minaccia dello shale gas negli Stati Uniti. Vorrei sapere quali possono essere le prospettive, anche di crescita, della chimica italiana, che per noi resta un comparto decisivo.
  Credo che sul sistema regolatorio abbiamo fatto qualche passo avanti, soprattutto nel mercato del gas, in termini di concorrenza, maggiore liquidità e sviluppo degli scambi a breve termine. La stessa efficienza energetica ovviamente può essere un grande driver, che vede la chimica non solo come utilizzatore di energia, ma anche come fornitore di soluzioni per l'efficientamento energetico. Mi riferisco ai prodotti della nostra chimica.
  Da questo punto di vista, vorrei capire quali possono essere, secondo voi, le opportunità su questo fronte per il sistema, in particolare con riferimento alle piccole e medie imprese.

  GIANLUCA BENAMATI. Proseguo sulla linea del collega Vignali. Ringrazio anch'io il vicepresidente di Federchimica, che ha presentato quest'ampia riflessione.
  C’è una prima cosa che noto, essendo un ingegnere chimico e avendo vissuto sulla mia pelle i disastri della chimica negli anni ’90. Credo che sia un dato estremamente positivo e di soddisfazione vedere che oggi il settore della chimica, nelle sue declinazioni (chimica di base e chimica di alta specialità), ha raggiunto volumi così significativi per l'economia interna del Paese. Parliamo di 25 miliardi di esportazioni, che rappresentano circa il 7-8 per cento di tutto il volume complessivo esportato nel 2012. Mi hanno sempre insegnato (forse erroneamente) che dal progresso della chimica si identifica anche il progresso di un Paese.
  Dopo questa specie di «amarcord», anch'io vi inviterei a qualche ulteriore approfondimento. Quest'indagine conoscitiva ha lo scopo non solo di ascoltare determinati soggetti per avere un quadro generale (che sarebbe già un obiettivo utile per questa Commissione), ma anche di raccogliere indicazioni effettivamente applicabili, efficaci e realistiche al Governo, e tradurre eventualmente l'insieme dei suggerimenti in azioni e proposte.Pag. 7
  Per questa ragione, vorrei sapere se ho ben capito alcuni aspetti, e chiedervi un approfondimento. Dal punto di vista energetico, il settore della chimica è interessato più che altro al tema pesante dell'energia elettrica. Per quanto riguarda il gas, che è in parte materia prima e in parte energia, c’è ancora un valore un po’ più alto rispetto alla media europea, ma è nell'energia elettrica che c’è una forte differenza.
  Su questo, a parte il tema dell'efficientamento, ho apprezzato il fatto che abbiate presentato proposte molto concrete. Magari ci è sfuggito nella discussione e su questo vorrei ausilio per qualche ulteriore chiarimento. Relativamente ai costi dell'energia elettrica, i temi che ponete sono, da un lato, la questione delle fasce protette, e quindi la debolezza del libero mercato e, dall'altro, le rinnovabili e la veloce crescita degli oneri.
  Sapete che oggi le capacità disponibili e il pagamento delle stesse sono temi importanti per il Paese. Uno dei vostri suggerimenti, che peraltro mi sembra ragionevole, è quello di far partecipare maggiormente le fonti rinnovabili agli oneri di gestione della rete, e soprattutto agli oneri di bilanciamento. Vorrei essere sicuro di aver capito bene che questa è una delle vostre indicazioni. Peraltro, su questo tema vi inviterei ad approfondire maggiormente la questione, perché è uno dei punti centrali sui quali ci stiamo arrovellando, dato che gli oneri di sistema generali pesano molto.
  Concludo con una questione che riguarda anche altri settori, a parte la chimica. In questo momento, ci stiamo occupando anche di siderurgia, in relazione all'atto europeo d'indirizzo sulla strategia siderurgica europea. La mia domanda verte sul ruolo della ricerca, sia di prodotto sia di processo e di sistema, che ovviamente ha la finalità di migliorare la qualità del prodotto, ma anche quella di condurre a risparmi di sistema, per esempio in campo energetico.
  Ho visto che dai vostri dati emerge che questa è un'industria virtuosa, che ha fatto molto negli ultimi anni. Ci sono azioni che possono essere immaginate, anche di assistenza per un ulteriore sviluppo e miglioramento in questo settore ?

  ANDREA VALLASCAS. Anch'io ringrazio Federchimica per averci fornito la documentazione, in particolare quella relativo alla consultazione sulla Strategia energetica nazionale, che ho potuto leggere.
  Voi avete citato il problema del costo dell'energia, che risulta molto alto rispetto alla media dei Paesi UE. Secondo voi, questo non potrebbe essere uno stimolo interessante per investire sulla ricerca, proprio in merito al risparmio energetico, sia nel campo dell'energia elettrica che in quello dell'energia termica ?
  Leggendo il documento non capisco cosa intendiate per sviluppo sostenibile riferito alla produzione nazionale di idrocarburi. Intendete sostenibile in senso economico o ambientale ? Secondo me, prima di investire nella produzione nazionale di idrocarburi bisognerebbe fare una premessa, ossia l'investimento dovrebbe essere subordinato allo sviluppo di un piano industriale prima ed energetico poi, per capire dove è realmente necessario intervenire.
  A proposito di piani, voi sposate l'utilizzo del GPL e non del metano (per lo meno questo emerge dalla lettura del documento). Vorrei capire per quale motivo. Avete in mente un piano di sviluppo ?
  Inoltre, noto che manca un riferimento diretto agli accumulatori chimici, che penso siano di vostra competenza.
  Infine, in merito alla produzione di bioenergia, citate i residui agricoli. Lei ha affermato che non entrano in concorrenza con i prodotti alimentari. Quest'affermazione mi sembra un po’ ambigua. Vorrei capire, ad esempio, se il mais che rimane invenduto rientra nella categoria dei residui agricoli oppure no. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Rauhe per la replica.

  ERWIN RAUHE, Vicepresidente di Federchimica. Ringrazio gli onorevoli che sono intervenuti per questa serie di domande. Pag. 8Cercherò di essere estremamente breve e succinto, perché ho percepito che c’è una certa pressione sul tempo. Le risposte richiederebbero molto più tempo (forse riusciremmo a riempire il pomeriggio), ma non credo che sia questo lo scopo dell'audizione.
  Su clima e energia, parlando anche della situazione europea, direi che vi è stata una politica basata sugli aumenti di costi, come mezzo per innescare le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi. Tale modalità si è rilevata completamente inadeguata, per esempio, per gestire e affrontare le crisi macroeconomiche mondiali. Questo è sotto gli occhi di tutti ogni giorno. Questo ovviamente ha influito anche sugli sviluppi negativi per quanto riguarda la parte europea.
  A questo si è aggiunta l'aggravante di cui ho parlato: nelle regolamentazioni europee abbiamo i permessi dell’Emissions Trading System (ETS) ex ante e non ex post, che chiaramente sono indipendenti dalla politica o dalla situazione economica effettiva.
  Per quanto riguarda la chimica di base e le prospettive della chimica italiana, come ho accennato, ovviamente la chimica di base, che è fortemente esposta ai costi energetici, ha perso molto terreno nei nostri Paesi. È vero che certe questioni degli anni 1960 e 1970 hanno lasciato degli strascichi. Credo però che anche la chimica sia evoluta moltissimo. Assistiamo a una progressiva riduzione della chimica di base, anche per effetto dei costi energetici.
  In tema di prospettive generali per la chimica italiana, permettetemi di essere per un momento leggermente ottimista: la mancanza della chimica di base ha fatto sì che in Italia si sia sviluppata una grossa chimica di specialità, nei settori più altamente innovativi, con una fortissima propensione alla ricerca.
  Io faccio sempre un esempio molto banale: quando vado da un cliente tedesco con un'innovazione mi chiede chi altro la usa; quando vado da un cliente italiano mi chiede se è vero che l'ho data solo a lui, perché vede nell'innovazione la capacità di avanzare.
  Nel complesso, quindi, la situazione è positiva; tuttavia, alcune politiche possono pesantemente influenzarla. Ci riferiamo in particolare ai costi diretti e indiretti di una politica energetica nazionale, che può avere conseguenze anche sulle decisioni industriali.
  L'ultima domanda riguarda l'innovazione. A me piace fare un esempio: per ogni tonnellata di CO2 emessa nel processo di produzione di un prodotto chimico, durante la vita utile di questo bene noi arriviamo a contribuire a un risparmio di tre volte superiore a quanto è stato emesso durante il ciclo produttivo. Ad esempio, sostituendo materiali nuovi, compositi e leggeri che alleggeriscono il peso degli aerei e delle macchine, si realizza un efficientamento energetico che mi permette di ridurre il consumo specifico del mezzo di trasporto. Un altro esempio è l'isolamento della casa, che riduce il consumo per scaldare e per rinfrescare, fattore molto importante nel nostro Paese.
  Sulla chimica di specialità ho già risposto, dicendo che siamo un Paese che ha una certa innovazione in campi molto specifici. Questo settore contribuisce al 4 per cento del PIL e all'8 per cento delle esportazioni. Credo che questi siano dati che dovremmo ricordare e sottolineare.
  Evidentemente vi sono dei temi complessi. Dobbiamo aiutare quest'industria a mantenere questa sua capacità d'innovazione nonché i posti di lavoro diretti e indiretti, e a contribuire positivamente al PIL e alle esportazioni.
  Vengo ora ai temi di energia specifici. È vero che sul gas sono stati fatti grossi passi in avanti, soprattutto con i primi allineamenti ai costi energetici del gas sui mercati nazionali, con una borsa che diventa sempre più liquida, ma che ha ancora bisogno di supporto, perché si sviluppi completamente e diventi ancora più liquida.
  Sui bilanciamenti di rete chiediamo che vi sia una contribuzione. Infatti, ricordo che le fonti rinnovabili hanno il grosso difetto che se il vento non spira o il sole non splende la produzione è effettivamente ridotta, e noi conteniamo comunque a consumare l'energia di settore.Pag. 9
  In relazione alla ricerca, abbiamo fatto molto in campo di processi chimici. Quel risparmio che abbiamo menzionato, sia di consumo specifico di energia che di emissione di gas serra, è dovuto a miglioramenti fatti dall'industria, che hanno portato un grosso efficientamento dei processi e dei prodotti nel sistema.
  Per quanto riguarda il prodotto, credo di sfondare porte aperte dicendo che solo attraverso una forte incentivazione alla ricerca possiamo arrivare a sostenere anche settori tecnologicamente avanzati, favorendo la capacità creativa. Ricordo che l'Italia nel settore chimico ha anche preso un premio Nobel, non proprio di secondaria importanza, che ancora oggi ci permette di essere un Paese avanzato e osservato dal resto del mondo.
  Rispondo ora alle domande specifiche sui risparmi energetici. Ovviamente puntiamo molto sul risparmio energetico. Lo abbiamo fatto come industria, per quanto era nelle nostre mani. Ci sono altri settori, come l'edilizia abitativa, dove si potrebbe fare molto, ottenendo dei risparmi significativi.
  Relativamente alla sostenibilità di una produzione nazionale di idrocarburi, credo che oggi nessuna strategia, neanche per un'industria, possa più essere pensata a prescindere dalla sua sostenibilità. La sostenibilità di una strategia sta nell'equilibrio tra le necessità del sociale, le necessità ambientali e le necessità economiche. Se riusciamo a mantenere questo triangolo, abbiamo la capacità di fare una strategia. Anche a livello nazionale questa potrebbe essere una fonte. È un tema molto complesso, che però potrebbe contribuire all'accesso a fonti energetiche a costi ragionevoli per il sistema Paese, lasciando all'interno del nostro territorio risorse che oggi diamo agli Stati produttori per importare energia, con le quali potremmo finanziare un ulteriore avanzamento del nostro Paese, sempre in tema di sostenibilità.
  Per quanto riguarda GPL e metano, noi non siamo contro il metano. Anche il metano va benissimo. Probabilmente nell'esposizione è un tema che è stato un po’ trascurato, ma sicuramente anche il metano trova il nostro appoggio, perché per il settore dell'autotrazione è un'altra di quelle fonti a bassissima emissione o emissione zero di gas a effetto serra.
  Sulla bioenergia, a me piace ricordare che nel mese di ottobre è stato inaugurato a Crescentino il primo impianto europeo, o forse mondiale, di una bioraffineria di seconda generazione. Cosa significa seconda generazione ? Non prendiamo in considerazione il mais, che sia utilizzato o inutilizzato. Usiamo lo stoppino che resta nel campo di grano, di riso o di granturco dopo il raccolto. Raccogliamo questo stoppino, che viene prima triturato e poi fermentato da parte dei microrganismi, per alimentare la centrale di bioraffinazione.
  C’è poi lo sfalcio delle massicciate ferroviarie, che avrebbe un doppio effetto. Innanzitutto avrebbe un effetto di protezione ambientale, perché la massicciata viene indebolita dalle radici.
  Pensiamo anche a quello che sta avvenendo nei nostri boschi, dove manca la micromanutenzione a causa dell'abbandono delle campagne. Tutto questo potrebbe diventare materia prima per le bioraffinerie.
  Questo non ha nulla a che fare con la catena alimentare. È convinzione della nostra federazione e dell'industria chimica che, se andiamo verso una bioraffineria o prodotti bio anche nel settore chimico, questo può avvenire solo in mancanza di concorrenze con la catena alimentare.
  Resterà sempre una chimica di nicchia importante, in cui l'Italia ha dei vantaggi competitivi sul resto dell'Europa, con gruppi come Mossi &Ghisolfi, Versali e Novamont, che sarebbe un peccato sprecare. Resterà sempre una chimica importante ma di nicchia. Il resto arriva dalla chimica tradizionale, rispetto alla quale le decisioni che arrivano anche da questa Commissione possono fare in modo che la nostra industria resti competitiva.
  Sugli accumulatori chimici devo ammettere che non ho una risposta da dare immediatamente, perché prima devo capire esattamente quali aspetti approfondire.

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  PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente e la delegazione di Federchimica. La sua esposizione è stata molto interessante. Terremo conto delle cose dette. Buon lavoro e grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Energia Concorrente.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Energia Concorrente.
  Do la parola a Giuseppe Gatti, presidente di Energia Concorrente.

  GIUSEPPE GATTI, Presidente di Energia Concorrente. Grazie, presidente. Innanzitutto ringrazio la Commissione per aver voluto sentire anche la nostra associazione, che raggruppa alcuni tra i principali produttori italiani di energia elettrica, caratterizzati dall'avere, da un lato, un parco di generazione particolarmente moderno, realizzato negli ultimi anni e ad alto livello di efficienza e, dall'altro, una significativa presenza anche nella produzione di energia da fonti rinnovabili. Disponiamo di circa 11 mila megawatt di potenza complessivi, di cui 500 megawatt da fonti rinnovabili, prevalentemente eolico.
  Ringrazio altresì la Commissione per il lavoro che sta svolgendo di approfondimento e di ripresa dei temi della Strategia energetica nazionale. Da parte nostra non c’è nessuna nostalgia dei piani energetici nazionali di una volta. Ciò nondimeno, da tempo ravvisiamo l'esigenza di disporre di un quadro di riferimento fondamentale, soprattutto per l'azione legislativa e di Governo.
  Negli ultimi anni la mancanza di questo quadro di riferimento ha generato una proliferazione di norme scarsamente coerenti tra loro, che hanno recato non pochi danni al corretto funzionamento del mercato e del sistema elettrico italiano.
  Questo stato di frammentazione e d'interventi casuali e non coordinati, senza rendersi conto degli effetti che ciascuna di queste misure avrebbe prodotto sul sistema nel suo complesso, è stato uno dei principali limiti dell'azione del governo dell'energia nell'ultimo decennio. Riteniamo quindi estremamente importante che questo metodo venga superato, recuperando una capacità di analisi complessiva del sistema.
  Con particolare riferimento al settore elettrico, riteniamo che oggi uno degli obiettivi fondamentali di questo scenario, con cui rendere coerente l'azione legislativa e esecutiva, sia innanzitutto considerare con estrema importanza il problema del differenziale di prezzo che si è determinato fra l'Italia e il resto d'Europa.
  È un problema tanto più grave in quanto l'Europa nel suo insieme lamenta a sua volta un differenziale di prezzo rispetto agli Stati Uniti. Il caso italiano è dunque un caso particolarmente grave, all'interno di una situazione difficile, che compromette la competitività del sistema industriale europeo e di quello italiano in particolare.
  Al riguardo vorrei ricordare gli elementi fondamentali che generano questo differenziale di prezzo fra l'Italia e l'Europa. Per dare alla Commissione un punto di riferimento, ricorderò che se consideriamo gli ultimi otto anni (a partire dal 1o gennaio 2006 al 30 settembre 2013), fra l'Italia e la Germania nella produzione di base c’è stato un differenziale di 25 euro/megawattora. Ciò significa che l'Italia ha avuto un prezzo di borsa per l'energia di base mediamente intorno ai 70 euro/megawattora, contro i 45 euro/megawattora della Germania. È un differenziale estremamente elevato.
  Questa distanza o spread (se vogliamo usare un termine finanziario oggi di moda) discende innanzitutto dal diverso mix di combustibili, e quindi dalle diverse tecnologie fra l'Italia e gli altri grandi Paesi industriali europei. In Francia, Germania, Inghilterra e Spagna oltre il 60 per cento della produzione elettrica è assicurato da un mix, diverso da Paese a Paese, tra carbone e nucleare.
  In Italia il nucleare, come sapete, è completamente assente, e il carbone non Pag. 11genera più del 15-16 per cento della nostra energia. Per contro l'Italia, rispetto alla media europea, ha un peso molto più rilevante e assolutamente preponderante del gas naturale che, come vedremo, ha molti vantaggi, ma ha anche uno svantaggio fondamentale: è il combustibile più costoso. È certamente il combustibile meno inquinante e quello che genera costi d'investimento fissi, ma rispetto ai costi variabili è indubbiamente il combustibile più caro.
  Questo primo elemento determina un gap strutturale tra l'Italia e gli altri Paesi, che nel breve periodo non è certamente facile colmare. C’è un secondo elemento, che riguarda non più i costi di produzione dell'energia, ma i cosiddetti oneri di sistema, cioè tutti gli altri oneri che gravano sulla bolletta elettrica. Questi oneri hanno assunto un peso crescente, tant’è che oggi possiamo dire con un certo grado di approssimazione (ma non troppa), che la bolletta è composta per metà dai costi dell'energia e per l'altra metà dai costi di sistema.
  Se ciascuno di voi guarda la sua bolletta da privato cittadino, vedrà che se ha più di 3 chilowatt di potenza impegnata, la voce «servizi di vendita», che riguardano l'energia, è inferiore alla voce «servizi di rete», che sono i costi accessori.
  Purtroppo, presidente, è terribilmente vero. È vero ormai anche per il sistema industriale e, in particolare, per le piccole e medie imprese, dove ancora i costi di rete non superano i costi di vendita, ma si stanno drammaticamente avvicinando. In questa seconda voce abbiamo due elementi da considerare. In primo luogo, c’è un peso crescente e rilevante dell'incentivazione alle fonti rinnovabili. Ho detto all'inizio che i nostri associati sono anche produttori di energia da fonti rinnovabili. Quindi abbiamo ben presente il contributo positivo che può venire dalle fonti rinnovabili. Tuttavia, negli ultimi anni c’è stato uno sviluppo incontrollato, in particolare del fotovoltaico, che – non dimentichiamo – ha un apporto di produzione di energia elettrica estremamente modesto. Un impianto fotovoltaico in Italia mediamente produce energia per non più di 1.300-1.350 ore all'anno, su 8.760 ore dell'anno solare.
  Il fotovoltaico ha acquistato un peso preponderante. Si stima che nel 2013 sono circa 13 miliardi i costi dei servizi di rete. Di questi un po’ più di 10 miliardi sono destinati al sostegno delle rinnovabili, di cui il 6,7 per cento al fotovoltaico.
  C’è ancora un altro elemento da considerare, che grava sempre sugli oneri di sistema. Mi riferisco ai costi di trasmissione e di distribuzione, che sono particolarmente elevati in Italia, e soprattutto nascono in un contesto di prezzo assicurato e garantito, che esonera il distributore da qualunque rischio di mercato, arrivando a situazioni paradossali che derivano dall'accentuarsi, in conseguenza della crisi economica, del fenomeno della morosità.
  Chi vende energia elettrica non incassa più dal cliente che viene fornito, che non sempre può essere interrotto con rapidità, mentre il distributore continua a percepire gli oneri di distribuzione da parte del venditore. L'elemento paradossale è dato dal fatto che il venditore non incassa per il bene che vende (energia elettrica o gas), ma paga il trasporto del bene che non viene venduto. L'attività di trasporto e distribuzione è completamente esentata da ogni rischio commerciale e di mercato.
  Ridurre il costo della bolletta elettrica è un obiettivo comune a tutti, anche agli operatori. Siamo in una situazione paradossale, in cui da un lato soffre il consumatore, e dall'altro non sta bene il produttore. Non siamo in una situazione in cui alla sofferenza del consumatore si contrappone la gioia del produttore. Anche il produttore sta soffrendo. Dunque l'obiettivo di far scendere i costi dell'energia è comune alle imprese da un lato e ai consumatori dall'altro.
  Questo obiettivo può essere raggiunto fondamentalmente in due modi: in primo luogo, cercando di ridurre l'intensità energetica per unità di prodotto e, quindi, spingendo fortemente sull'efficienza energetica; in secondo luogo, attraverso una sorta di spending review (consentitemi il termine) della bolletta elettrica.Pag. 12
  Dobbiamo ripulire la bolletta elettrica di tutti gli oneri impropri che oggi gravano, o cercare di limare tutti gli oneri che possono essere contenuti. Quando parlo di oneri impropri, mi riferisco a quella serie di agevolazioni che oggi vengono date soprattutto ai grandi consumatori, sovente impropriamente chiamati «energivori». Queste agevolazioni non sono correlate all'intensità energetica per unità di prodotto.
  Oggi una grande industria metalmeccanica, per la quale il costo dell'energia sul costo di produzione non incide più dell'1-2 per cento, gode di agevolazioni di cui non gode il piastrellaio di Sassuolo, per il quale l'energia elettrica invece rappresenta dal 30 al 50 per cento dei suoi costi di produzione.
  A nostro avviso, è quindi necessario ridurre la serie di agevolazioni che sono state date negli anni con interventi assistenziali a pioggia. Mi riferisco alla cosiddetta «interrompibilità» o «superinterrompibilità», che consiste nel riconoscere un premio a chi è disposto a interrompere o a sospendere la fornitura di energia, quasi che l'Italia fosse un Paese sottosviluppato, mentre invece ha un'ampia capacità e anzi una sovraccapacità di produzione di energia elettrica. Non credo che sia necessario premiare la disponibilità a interrompere il servizio.
  Alla cosiddetta interrompibilità e superinterrompibilità si aggiungono poi i cosiddetti «servizi virtuali», cioè gli elettrodotti virtuali. Si sono accumulati negli anni sussidi alle grandi imprese, che penalizzano soprattutto il tessuto portante dell'economia industriale italiana, cioè la piccola e media impresa.
  Una riconsiderazione razionale di tutti questi oneri dovrebbe consentire, a nostro avviso, per un verso di rendere più equo il sistema, e per un altro di riuscire a contenere gli oneri che i consumatori finali sopportano per il funzionamento del nostro sistema.
  Nell'ambito di questa spending review, dobbiamo considerare che anche le modalità di funzionamento del mercato devono essere riconsiderate alla luce dei cambiamenti strutturali che sono verificati negli ultimi anni. Mi riferisco in particolare al grande sviluppo che hanno avuto le fonti rinnovabili, in particolare quelle non programmabili (eolico e fotovoltaico). Ricordo che dal 2010 al 2013 la potenza installata da queste fonti non programmabili è passata da 10 mila a oltre 25 mila megawatt, e quindi è più che raddoppiata nel giro di tre anni.
  Questo pone nuovi problemi al sistema elettrico, perché dobbiamo essere in grado di garantire la fornitura anche quando all'improvviso, o comunque in modo non programmato, s'interrompe la capacità di generazione dell'eolico e del fotovoltaico. Abbiamo una limitata capacità di previsione sul giorno dopo di quale sarà la ventosità e di quale sarà l'apporto del solare, ma certamente non siamo in grado di programmarle e non siamo in grado neppure di intervenire di fronte alle modificazioni meteorologiche, che possono occorrere da un giorno all'altro, scombinando qualunque previsione.
  Abbiamo quindi bisogno di un parco di generazione che sia pronto a entrare immediatamente in esercizio quando viene meno l'apporto dell'eolico e del fotovoltaico. Sotto questo profilo, gli impianti a cicli combinati a gas se, da un lato, scontano il fatto di essere alimentati da un combustibile particolarmente caro, dall'altro, presentano il vantaggio di avere un'estrema flessibilità e di poter entrare in esercizio in tempi rapidi.
  Il difetto di base degli impianti a carbone o nucleari è che si prestano poco a fare «ginnastica» (essere spenti e riavviati), ma hanno bisogno di funzionare su base continua. Gli impianti a gas non hanno un'elasticità totale, ma nessun impianto elettrico ce l'ha, se non gli impianti di pompaggio idraulici, in cui aprite una valvola e potete immediatamente mettere in funzione una turbina. Tutta la generazione termoelettrica ha bisogno di tempi per poter avviare la centrale, ma i tempi delle centrali a gas sono molto più limitati di quanto non siano i tempi di un impianto a carbone o di un impianto nucleare.
  Peraltro, questi impianti vanno tenuti pronti, e quindi accesi, anche quando non Pag. 13sono pienamente in funzione, perché se voglio che entrino in funzione all'improvviso, quando viene meno l'apporto del solare e dell'eolico, devo averli già attivati qualche ora prima.
  C’è un costo di questa funzione di backup o di riserva (chiamatela come volete), che oggi il sistema non riconosce. Ciò rende particolarmente pesante la situazione dell'industria elettrica italiana, la quale rappresenta un asset importante per il Paese, anche perché, come dicevo, negli ultimi anni c’è stato un quasi totale rinnovo del parco elettrico.
  Per darvi soltanto un numero di riferimento, pensate che ancora a metà degli anni ’90, prima che partisse il processo di liberalizzazione del mercato, che ha innescato un grande ciclo di investimenti e di rinnovo del parco di generazione, il rendimento medio delle centrali elettriche italiane, alimentate allora prevalentemente a olio combustibile, era inferiore al 40 per cento. Oggi il parco di generazione basato sui cicli combinati a turbogas ha un grado di efficienza superiore al 53-54 per cento.
  C’è stato un salto enorme, che ha permesso di consumare meno combustibile, avere meno emissioni e impattare meno sull'ambiente, a parità di energia elettrica prodotta o, se preferite, a parità di combustibile e di emissioni, di produrre molta più energia di quanta se ne producesse un tempo.
  C’è stato un cambiamento quantitativo, ma anche fondamentalmente qualitativo, del parco elettrico italiano, che oggi deve essere salvaguardato. Fin quando il mercato non riconosce i servizi di flessibilità e di riserva che vengono garantiti dalla generazione termoelettrica, c’è un rischio reale che molti di questi impianti vengano chiusi, perché non sono in grado di sostenere i costi. Questo comprometterebbe la sicurezza del sistema elettrico, che è il secondo obiettivo base che riteniamo debba essere riconosciuto dalla Strategia energetica nazionale. Occorre garantire la sicurezza del sistema, attraverso il pieno funzionamento degli impianti, che garantiscono la flessibilità, e attraverso un adeguato sviluppo dell'infrastrutturazione di base del Paese.
  Oggi purtroppo scontiamo il fatto (e questo incide sugli oneri in bolletta) che la rete italiana presenta ancora diverse situazioni d'instabilità e soprattutto di congestione o di colli di bottiglia. Uno su tutti, per esempio, è la debole connessione tra la Sicilia e il continente. Da anni è in progetto il raddoppio della connessione; i lavori sono cominciati, ma proseguono con estrema lentezza, anche per le difficoltà e le opposizioni che incontrano a livello locale.
  Questa strozzatura fra Sicilia e Italia, per il meccanismo di formazione dei prezzi regionali, genera sulla bolletta degli italiani un costo medio tra i 2 e i 3 euro/megawattora. Sto parlando di 2 o 3 euro su un prezzo medio di 70 euro. È quindi un valore non indifferente.
  Se non rimuoviamo questi ostacoli, se non interveniamo sulla rete, non garantiamo la sicurezza del sistema e non riusciamo a migliorarne le condizioni economiche.
  Come dicevo prima, gli operatori di rete, Terna in particolare, incontrano sovente notevoli difficoltà nello sviluppare i propri interventi, per il dilagare della cosiddetta sindrome NIMBY ovunque nel nostro Paese. Questo comporta una revisione profonda dei meccanismi autorizzativi e della struttura autorizzativa in generale, ma comporta anche, a nostro avviso, una revisione di carattere costituzionale sulla ripartizione delle competenze.
  L'infausta riforma del Titolo V della Costituzione, che ha generato poteri concorrenti, o in alcuni casi esclusivi a favore delle regioni, in materia di energia, ha fatto sì che le regioni non riescono a governare i processi e lo Stato non ha la capacità di definire e poi di far rispettare le scelte che compie. Il risultato lo stiamo pagando tutti, con un grosso ritardo nelle opere di infrastrutturazione e nella realizzazione della spina dorsale elettrica del Paese.
  Quindi, al di là delle misure di carattere strettamente energetico, anche riforme di carattere istituzionale che diano maggiore certezza e celerità al processo autorizzativo, a nostro avviso, possono concorrere utilmente a migliorare la qualità del sistema elettrico italiano.
  Grazie, signor presidente.

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  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANLUCA BENAMATI. Ringrazio il professore per questo contributo, che è effettivamente nello spirito di quest'audizione: un'analisi generale del sistema e qualche proposta.
  Vorrei chiedere, in ogni caso, alcuni chiarimenti. Il tema dei costi dell'energia, soprattutto quella elettrica, e il riordino della bolletta vanno un po’ di pari passo. Detto ciò, ci sono diverse ragioni per cui gli oneri dell'energia elettrica sono così elevati. Mi pare che lei, professore, si sia soffermato su diversi di questi.
  Lei ha introdotto il tema del riordino delle agevolazioni. Mi sembra estremamente interessante, perché nel corso di queste audizioni se n’è parlato poco. Lei ha detto una cosa che mi ha colpito particolarmente: di fronte a poco meno di 100 gigawatt di impianti, avendo una richiesta di potenza giornaliera che è meno della metà, è previsto il pagamento dell'interrompibilità di sistema. Questo è vero. Rispetto a questo coacervo di contributi, vorrei sapere se nella vostra elaborazione avete già identificato qualche altro settore.
  La seconda questione che vorrei affrontare riguarda la situazione della rete. Lei ha parlato degli investimenti necessari e dello stress a cui è sottoposta la rete, con l'aumento veloce delle fonti energetiche rinnovabili, che hanno la caratteristica, per loro natura, di essere fortemente intermittenti.
  C’è innanzitutto un tema di costi. Dall'altro lato, c’è quello degli investimenti per il rafforzamento della rete. I due o tre euro al megawattora di cui parlava per la connessione con la Sicilia sono un esempio, ma ce ne sono altri. Dall'altro lato, c’è soprattutto un tema di adeguamento per un'integrazione di sistema più complessiva di queste fonti, il cui costo, secondo molti, andrebbe in parte riversato sugli operatori. Io ho capito che questa è anche la sua opinione. Secondo lei, in che misura potrebbero essere chiamati a contribuire ?
  Chiudo qui il mio ragionamento sugli interventi sulla rete, perché sarebbe troppo lungo. Ho una domanda, forse anche un po’ provocatoria e un po’ irrituale. A fronte di questo sistema intermittente, abbiamo il problema di dover fornire comunque in parallelo una capacità equivalente, in grado di intervenire in servizio nel momento in cui le forme intermittenti cessassero, per qualsiasi motivo, di funzionare.
  A questo si lega il tema dei sistemi a gas, che con i cosiddetti decreti Marzano e Bersani sono stati praticamente rinnovati tutti. È vero che normalmente un impianto fotovoltaico lavora 1.300 -1.400 ore all'anno e che anche una grande centrale a gas oggi – se tutto va bene – lavora su in questo ordine di cifre.
  C’è un tema oggettivo di compensazione del servizio, che gli inglesi chiamano capacity payment. Noi parliamo di pagamento della disponibilità, che è una brutta frase, però è qualcosa che effettivamente è richiesto. Le faccio una domanda brutale. Secondo lei, come si fa, senza gravare sulla fiscalità generale e senza aumentare la bolletta, a mettere nel conto il tema del pagamento della disponibilità ?

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Vorrei aggiungere soltanto una domanda rispetto a quelle che ha appena posto il collega Benamati, sfruttando l'occasione della presenza del professor Gatti, avendo chiaro il quadro che ci ha delineato.
  Sempre in materia di costi dell'energia e dell'obiettivo di riduzione, che credo sia condiviso da tutti, vorrei conoscere la sua opinione rispetto all'ipotesi di cui si è parlato in queste settimane, anche in merito ad alcuni provvedimenti che dovrebbero essere predisposti da parte del Governo. Mi riferisco all'idea dell'emissione di bond, con l'abbassamento nell'immediato dei costi, che sarebbero spalmati nel medio termine.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Gatti per la replica.

  GIUSEPPE GATTI, Presidente di Energia Concorrente. Onorevole Benamati, se Pag. 15non le dispiace, parto dalla fine, ossia dalla provocazione, che raccolgo pienamente.
  Anche a me piace poco l'espressione capacity payment, perché dà l'idea che debba pagare comunque la capacità, indipendentemente da quello che ne faccio. Non vorrei che si generassero equivoci al riguardo e infatti trovo più appropriata l'espressione che ha usato l’Authority nella sua proposta: capacity market.
  Ci sono due problemi. Innanzitutto dobbiamo trovare il modo di remunerare questa disponibilità degli impianti e questa flessibilità in tema di mercato. Il sussidio non deve essere attribuito in maniera generalizzata a tutti, purché abbiano capacità, ma in base alla flessibilità di questi impianti e alla loro effettiva tenuta a disposizione.
  Credo che da questo punto di vista siano necessari meccanismi selettivi di asta, sulla base di una riserva predeterminata dei gestori di rete, che dichiari ex ante qual è la capacità di cui si ha bisogno, zona per zona del Paese. Questo problema è relativamente limitato. Basta trovare dei meccanismi a carattere di mercato.
  Più complicata è la questione che giustamente lei pone: dove prendiamo i soldi per pagare tutto ciò, senza aumentare la bolletta ? Io credo, da un lato, si potrebbe fare un'opera di pulizia, ovvero di spending review, sulla bolletta elettrica, cominciando a eliminare una serie di agevolazioni; dall'altro lato, si dovrebbero porre alcuni oneri (in seguito le dirò quali), anche a carico dei produttori di rinnovabili. Sono oneri che mettiamo anche a carico di noi stessi. Recuperiamo magari da una parte, ma paghiamo dall'altra, quindi è un discorso assolutamente non di bottega. Credo che in questo modo, a parità di costo della bolletta, sia possibile avere un riequilibrio di struttura dei costi, che possa individuare le risorse da destinare al capacity market.
  In particolare, per quanto riguarda il produttore da fonti rinnovabili, qualche onere di sbilanciamento va messo anche a loro carico, come li pagano i produttori da fonti convenzionali. Lo spiego per i suoi colleghi, che forse sono meno a conoscenza. Se faccio un programma di produzione e non lo rispetto e la rete si è predisposta al mio programma, pago se produco di più o produco di meno rispetto a quello che avevo programmato, così come pago di più o di meno in funzione dei clienti, se questi ritirano di più o di meno di quanto il loro fornitore aveva programmato.
  Capisco che, nel caso delle fonti non programmabili, ci sia l'esigenza di una tolleranza maggiore. Mentre un impianto termoelettrico convenzionale può essere dosato quasi al millimetro, su un impianto eolico, se ho sbagliato la previsione sul vento, ci posso fare poco o nulla. Tuttavia, siccome le capacità predittive stanno aumentando, e aumentano i sistemi di regolazione e di controllo, un qualche onere di sbilanciamento, a mio avviso, va posto anche a carico delle fonti rinnovabili.
  Lei mi chiedeva se, oltre al caso degli interrompibili, ce ne sono altri. Ci sono eccome. Cominciamo a considerare il fatto che, per esempio, per quanto riguarda la componente A3, cioè il sostegno alle rinnovabili, sopra gli 8 gigawatt/ora al mese non si paga più nulla. C’è poi il discorso dei cosiddetti «elettrodotti virtuali», che si sono persi nelle nebbie. C’è tutta una gamma ampia di agevolazioni, rispetto alle quali certamente il decisore politico ha una prima scelta, perché in alcuni Paesi si sono fatte scelte radicalmente diverse. Tuttavia, bisogna fare scelte razionali e consapevoli.
  Faccio un esempio per tutti: in Germania si è deciso che gli oneri per le rinnovabili sono totalmente a carico delle famiglie, e si è scaricato tutto sulla bolletta del cliente residenziale, esentando completamente tutto il sistema industriale. Questo ragionamento a prima vista può apparire assolutamente iniquo ma, se ci pensate, ha una sua razionalità (non sto difendendo quel sistema). Non è un caso che in Germania anche le associazioni dei consumatori e il sindacato tedesco siano a favore di questo sistema. Il ragionamento è che meglio non compromettere la competitività dell'industria tedesca e garantire l'occupazione, anche se questo si deve scontare pagando molto di più sulla bolletta Pag. 16domestica. Non sto dicendo che sia la scelta migliore, ma è una scelta razionale. Molto meno razionale è il caso italiano, in cui invece si scarica un po’ sulle famiglie e un po’ sulle imprese, senza un chiaro criterio.
  Non voglio dare suggerimenti, in quanto queste sono decisioni di carattere politico, ma pongo il problema di una razionalità nella scelta, che si scelga in base all'intensità energetica, che si spalmi sulle famiglie o sulle imprese.
  A proposito delle famiglie, siamo sicuri che tuteliamo veramente i redditi inferiori, mantenendo più basse le bollette per i consumi in base alla potenza impegnata fino a 3 chilowatt, mentre quando si superano i 3 chilowatt la bolletta sale subito, perché gli oneri di sistema diventano subito più alti ? Siamo così sicuri che la famiglia composta da un single o da una coppia senza figli, magari con un buon livello di reddito, a cui sono sufficienti 3 chilowatt, abbia più bisogno di sostegno sociale rispetto a alla famiglia con quattro figli, che ha bisogno di 6 chilowatt, perché altrimenti non riesce a gestire gli elettrodomestici che ormai sono comuni a qualunque livello di reddito ?
  Noi ci trasciniamo eredità del passato, senza averle rimesse in discussione. La soglia dei 3 chilowatt è nata negli anni 1970, in un contesto socioeconomico completamente diverso. Quando parlo di spending review, intendo anche riconsiderare tutti questi fenomeni. Credo che se riconsideriamo tutto, senza aumenti degli oneri ma con una loro più equa distribuzione, i fondi per sostenere il capacity market si possono trovare.
  Credo di aver risposto, sia pur sinteticamente, all'insieme delle questioni poste dall'onorevole Benamati.
  Rispondo all'onorevole Peluffo sui bond. Sarò molto onesto al riguardo: come associazione, non abbiamo affrontato il problema. Non mi sottraggo alla risposta, ma le posso dare solo una mia opinione personale. Personalmente, ritengo che sia un delitto intergenerazionale. A mio avviso, non ha nessun senso far finta che ci costi un po’ meno, perché lo spalmiamo su trenta invece che su vent'anni. Paghiamo fino in fondo e non lasciamo l'incarico alle future generazioni. Non vorrei si ripetesse la storia del debito pubblico italiano, con cui pensavamo di fare grandi cose facendole pagare ai nostri figli e ai nostri nipoti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professore e i colleghi per quest'interessantissima discussione e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.