XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 22 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Abrignani Ignazio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE E SULLE PRINCIPALI PROBLEMATICHE IN MATERIA DI ENERGIA

Audizione di rappresentanti di Finco (Federazione industrie prodotti impianti servizi e opere specialistiche per le costruzioni).
Abrignani Ignazio , Presidente ... 3 
Artale Angelo , Direttore generale di Finco ... 3 
Gallo Vanessa , Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili ... 5 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 5 
Gallo Vanessa , Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili ... 5 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 6 
Gallo Vanessa , Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili ... 6 
Paoletti Giovanni , Presidente di Anfus – Associazione nazionale fumisti e spazzacamini ... 6 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 7 
Crippa Davide (M5S)  ... 8 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 9 
Artale Angelo , Direttore generale di Finco ... 9 
Gallo Vanessa , Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili ... 10 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 12 
Artale Angelo , Direttore generale di Finco ... 12 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 12 
Artale Angelo , Direttore generale di Finco ... 12 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti di AIGET (Associazione italiana grossisti di energia e trader) e di Fire (Federazione italiana uso razionale dell'energia):
Abrignani Ignazio , Presidente ... 12 
Governatori Michele , Presidente di AIGET ... 12 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 15 16 
Di Santo Dario , Direttore di Fire ... 16 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 20 
Crippa Davide (M5S)  ... 21 
Bianchi Mariastella (PD)  ... 22 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 23 
Governatori Michele , Presidente di AIGET ... 23 
Di Santo Dario , Direttore di Fire ... 25 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 26 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti di Fire ... 27 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti di AIGET ... 44

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IGNAZIO ABRIGNANI

  La seduta comincia alle 13.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Finco (Federazione industrie prodotti impianti servizi e opere specialistiche per le costruzioni).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Finco (Federazione industrie prodotti impianti servizi e opere specialistiche per le costruzioni).
  Penso di dover dare la parola al dottor Artale, direttore generale di Finco, in rappresentanza della quale sono inoltre presenti il dottor Cimmi, la dottoressa Patrizia La Monica, la dottoressa Vanessa Gallo di Fiper, Giampaolo Valentini e Giovanni Paletti di Anfus, cui chiederei di svolgere una breve relazione introduttiva di circa di dieci minuti, in modo da lasciare spazio alle domande da parte dei commissari che vorranno intervenire.
  Do quindi la parola al dottor Angelo Artale.

  ANGELO ARTALE, Direttore generale di Finco. Grazie, presidente. Sarò anche più breve. La numerosità della delegazione non deve indurre a credere che la nostra esposizione sarà lunga in proporzione al numero delle persone presenti. Occorre precisare che Finco raggruppa 32 associazioni e che, quindi, abbiamo già fatto una sintesi.
  Alcuni degli onorevoli presenti ci conoscono e sanno che Finco, la Federazione industrie prodotti impianti servizi e opere specialistiche per le costruzioni, raggruppa 32 associazioni, 8 mila aziende e circa mezzo milione di dipendenti.
  Dividerò la mia brevissima introduzione in due parti. Sotto il profilo del risparmio e dell'efficienza energetica, faccio riferimento alle misure che sono state oggetto del recente decreto n. 63, convertito poi in legge, il cosiddetto ecobonus. Esso ha anche alcuni riflessi sulla legge di stabilità, che ci soddisfano per alcuni versi e, come vedremo poi, meno per altri.
  Seguirà poi una parte più lunga per quanto riguarda, invece, il processo di approvvigionamento dell'energia, con riferimento alla parte termica. Abbiamo cercato, anche in questo caso, di limitare il tema, proprio per consentire agli onorevoli presenti, auspicabilmente, di richiedere chiarimenti e porre domande.
  Per quanto riguarda la prima parte, quella dell'efficienza energetica, noi plaudiamo, come quasi la gran parte, se non la totalità, delle associazioni alla proroga dell'ecobonus. Teniamo a dire che l’ecobonus, dal nostro punto di vista, si inserisce pienamente nella Strategia energetica nazionale.Pag. 4
  Peraltro, con l'occasione, nella documentazione che abbiamo mandato e che vi lasceremo preannuncio che sono espresse due posizioni generali di Finco. Una riguarda appunto l’ecobonus e la seconda la nostra risposta all'indagine pubblica del MiSE di un po’ di tempo fa sulla Strategia energetica nazionale. Ci sono poi tre documenti specifici riguardanti tre associazioni da noi rappresentate, ossia Fiper, Anfus e Federesco. Quest'ultima, per la verità, ha solamente lasciato la documentazione.
  Per tornare all’ecobonus, esprimiamo compiacimento, ma rileviamo anche, e questo è scritto nella nota che lasciamo, sei criticità. Non le cito tutte, per brevità. Mi concentro sulla prima.
  Per quanto riguarda soprattutto l'antisismica, il lasso di tempo biennale è troppo poco. Di fronte a quest'affermazione, la contro-affermazione potrebbe essere che c’è un problema di risorse pubbliche. Noi abbiamo più volte argomentato che certamente questo problema esiste, ma che vi sono molti altri aspetti su cui si potrebbero operare tagli. Secondo noi, questa non è una misura di soldi a pioggia, ma di seria politica industriale.
  Sotto questo profilo noi proporremmo una durata fino al 2020, seppure scalando, perché indubbiamente il 65 per cento è una percentuale piuttosto impegnativa per l'Erario. Tengo a sottolineare che una buona parte del cosiddetto reddito sottratto è, in realtà, generata proprio da queste agevolazioni. Questo è un primo punto.
  Il secondo punto è che a volte si va ultra petita. Nella legge di stabilità l'articolo 6, comma 7, nel momento in cui proroga questa misura, fa riferimento non all'articolo 15 della legge in vigore, ma all'articolo 14 del decreto-legge, il che è un po’ singolare.
  La differenza non è irrilevante. Nell'articolo 15 si inserivano – siamo in Italia e non in Svezia – anche le schermature solari, oltre alla microgenerazione e al risparmio idrico. Facendo riferimento, invece, all'articolo 14 del decreto legge – io l'ho segnalato, come Finco, sia al presidente della Commissione Finanze, Capezzone, sia al presidente della Commissione Ambiente, Realacci, che hanno presentato una risoluzione bipartisan. Si salta il principio che era stato posto dal legislatore nel momento in cui disponeva che entro la fine dell'anno si sarebbero dovuti rivedere questi ecobonus e allargarli ad altri settori. Questo non è stato fatto.
  Il terzo punto – sorvolo gli altri tre per brevità – è la durata della detrazione. Mia madre ha 85 anni e non farà gli infissi, perché in dieci anni non recupera la detrazione. Porto un esempio vero. Grazie degli auguri, ma è quello che ha detto lei. Prima chi aveva più di 75 anni aveva cinque anni di tempo. Non si capisce perché non sia stata conservata questa misura. A parte l'esempio folcloristico, ancorché vero, questo aspetto vale anche per gli incapienti. Occorre la possibilità, almeno con riferimento agli interventi più importanti, di fissare una tempistica di ammortamento della spesa diversa a scelta del contribuente.
  Questi sono i tre punti. L'ultimo punto di carattere generale è che va sfatato un mito. Si sente sempre parlare a favore delle agevolazioni, ma a patto che siano realmente efficienti. Voglio dire molto chiaramente che tutte le agevolazioni sono efficienti con riferimento agli interventi, anche cambiare un singolo componente. È chiaro che è più efficiente cambiare l'intero cappotto ma, poiché parliamo dei soldi dei cittadini, è come chiedere a una persona: «Vuoi una Fiat 500 o una Ferrari ?» Tutti risponderebbero: «Una Ferrari, ma se mi dai i soldi».
  È un po’ – scusate il termine – ridicolo sostenere che bisogna punire gli interventi puntuali. Bisogna piuttosto premiare chi fa interventi a pieno edificio. Sottolineo il fatto che in alcune fattispecie non è possibile fare interventi a pieno edificio. È facile farli in una villetta mono o bifamiliare, ma in un condominio capite che ci sono problematiche diverse. Rappresentando i soggetti che producono isolanti, naturalmente auspichiamo gli interventi a pieno edificio, ma non vogliamo che siano puniti coloro che fanno interventi su un Pag. 5singolo componente. L'intervento sul singolo componente, ancorché meno efficiente di un intervento pieno, è comunque più efficiente rispetto alla situazione che trova e comunque offre lavoro nuovo o mantiene quello che c’è, il che non è poco, di questi tempi, per una filiera italiana, come quella, per esempio, delle schermature solari.
  Inspiegabilmente, in un Paese in cui si spende più energia per proteggersi dal caldo che dal freddo, per via del riferimento all'articolo 14 del decreto-legge invece che all'articolo 15, ancora una volta, nonostante tutte le assicurazioni, questa filiera è stata cassata. Speriamo in voi per il prosieguo.
  Per mantenermi nei termini indicati dal presidente cedo ora la parola – ribadendo che è a disposizione la documentazione che vi abbiamo mandato via e-mail e che abbiamo consegnato anche sotto forma cartacea –, alla dottoressa Gallo di Fiper per l'illustrazione del tema dell'approvvigionamento energetico, soprattutto sotto il profilo termico.
  Se abbiamo poi altri due minuti parlerà anche il dottor Paoletti di Anfus, perché rappresenta una categoria eccentrica, nel senso positivo del termine, e poco conosciuta, sulla quale sarà bene che sentiate alcune parole.

  VANESSA GALLO, Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili. Chiedo se si possono proiettare le slide o se le avete tutti a disposizione.

  PRESIDENTE. Noi le abbiamo tutte. Sono state inviate a tutti.

  VANESSA GALLO, Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili. Innanzitutto, ringrazio per la possibilità che avete concesso a Fiper di essere qui. Come è a tutti noto, il tema delle biomasse è di estrema attualità. Proprio domenica pomeriggio c’è stato un sequestro in Lombardia, la regione da cui provengo, di un impianto a biomasse perché utilizzava rifiuti non pericolosi.
  Per quanto ci riguarda, il fatto di poter identificare chiaramente la definizione delle biomasse da utilizzare a fini energetici è un tema di primaria importanza. Nel mare magnum delle diverse biomasse ci sono le biomasse legnose e quelle derivanti da rifiuti. Quello che ci preme in quest'audizione è fare riferimento esclusivamente a quelle che vengono definite biomasse legnose vergini, per intenderci il legname e i suoi cascami derivanti da segherie, potature o altri tipi di materiali.
  In breve, la nostra è la federazione che riunisce i teleriscaldamenti alimentati a biomassa legnosa vergine, ossia tipicamente i riscaldamenti che nascono su iniziativa locale. Stiamo parlando di zone rurali appenniniche e montane. Siamo piccoli, ma tanti e rappresentiamo circa il 90 per cento del comparto dei teleriscaldamenti a biomassa.
  Non vi tedio con i numeri dei megawatt, perché li potrete vedere nella documentazione che vi abbiamo consegnato. In questa sede ci preme sottolineare che occorre fare in modo che all'interno della Strategia energetica nazionale si ponga effettivamente in percentuale un peso maggiore al comparto termico. Già a suo tempo il Piano d'azione nazionale attribuiva al termico un'allocazione del 44,4 per cento. Poi, come vedremo successivamente, la SEN, seppure nelle intenzioni premiasse la produzione di energia termica ed efficienza, ha di fatto abbassato questo target. Uno dei nostri obiettivi è fare in modo che la rivisitazione di questa strategia premi effettivamente l'uso virtuoso delle biomasse legnose vergini in ambito termico o in assetto co-generativo, ossia con produzione combinata di energia termica ed elettrica.
  Perché puntare sulle FER termiche del teleriscaldamento ? Sicuramente noi siamo portatori di interesse, ma non lo diciamo soltanto noi. È uscito un parere dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas che ha stimato quanto costa produrre un chilowattora di energia elettrica da fonte rinnovabile, scindendo i diversi scenari tra produzioni di fotovoltaico, elettrico, efficienza energetica e produzione di energia Pag. 6termica. A parità di chilowattora possiamo vedere che da tempo – purtroppo, è stato anche oggetto di speculazioni – viene favorito il fotovoltaico a discapito delle tecnologie più performanti per il sistema Paese, perché costavano meno, in termini di produzione di energia termica, in questo caso, o di efficienza energetica.
  Ribadiamo un concetto, che ha già ripreso l'AEEG, invitando a investire, visto che le risorse sono poche, nelle tecnologie più performanti. Ricordo che la direttiva 20-20-20 riconosce pari dignità alla produzione di chilowattora elettrico e di chilowattora termico. Il nostro obiettivo è fare in modo che il Governo faciliti il raggiungimento dell'obiettivo a costi inferiori. Non chiediamo nient'altro che fare economia di scala.
  Per arrivare alla sintesi dell'audizione odierna, quello che noi proponiamo è di rivedere proprio la SEN nell'allocazione degli obiettivi nella ripartizione tra termico ed elettrico. L'energia termica nella SEN è definita al 20 per cento, quella elettrica dal 35 al 38 per cento. Noi chiediamo di rivedere i target e, quindi, di privilegiare – è un privilegio relativo, perché di fatto si tratta di equiparare – ossia di attribuire un maggior peso all'energia termica e di ridurre la produzione di energia elettrica. Come abbiamo visto con il decreto ministeriale del 6 luglio, in effetti c’è stato un bello start up degli impianti a biomassa per piccoli impianti, che andrebbe a essere equiparato con impianti di energia termica.
  Il teleriscaldamento è una tecnologia molto sviluppata nei Paesi del Nord Europa e negli ex Paesi comunisti. Ahimè, in materia l'Italia è il fanalino di coda per quanto riguarda la penetrazione sul mercato. Ricopre, purtroppo, solo il 4 per cento del segmento del mercato civile, nonostante il potenziale di penetrazione sia stato calcolato intorno al 20 per cento.
  Ciononostante, le reti di teleriscaldamento in Italia sono circa 216. Si tratta comunque di una tecnologia che ha una sua rilevanza in ambito sia urbano, sia rurale. Quello che, anche in questo caso, noi chiediamo è di fare in modo che quest'indagine conoscitiva sulla SEN si leghi al recepimento della direttiva sull'efficienza energetica. Tale direttiva, all'articolo 13, indica proprio di facilitare la realizzazione di reti di teleriscaldamento e teleraffrescamento abbinate a fonti rinnovabili, biomasse, geotermia a bassa entalpia o recupero di calore industriale.
  Arrivo al dunque.

  PRESIDENTE. Grazie, così riusciamo a dedicare almeno dieci minuti al dibattito.

  VANESSA GALLO, Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili. D'accordo. Per terminare le urgenze per il settore, occorrerebbe rivedere – lo comunico, visto che siamo in Commissione – la politica forestale. Abbiamo un patrimonio incredibile, che non è utilizzato, perché c’è una parcellizzazione. Occorre rivedere la vecchia politica sulle foreste, la legge sulle potature e tutta la questione legata ai sottoprodotti, perché attualmente la maggior parte delle biomasse residuali impiegate a fini energetici viene annoverata tra i rifiuti non pericolosi, nonostante il Ministero dello sviluppo economico l'abbia classificata tra i sottoprodotti.
  Bisogna anche fare in modo che venga emanato in tempi brevissimi il decreto relativo al Fondo per il teleriscaldamento. Presso la Cassa depositi e prestiti sono allocati 120 milioni di euro, che sono bloccati. Diciamo tanto che il sistema Italia manca di investitori. Noi abbiamo gli investitori sul teleriscaldamento, ma non il decreto che ci permetta di poter utilizzare questo fondo di garanzia.
  Per far fronte a tutte le critiche e anche per sensibilizzare in questa sede il ruolo delle centrali rispetto al territorio ribadisco un punto: noi sosteniamo sempre che le centrali sono funzionali alla manutenzione e alla gestione del territorio e non viceversa.

  GIOVANNI PAOLETTI, Presidente di Anfus – Associazione nazionale fumisti e spazzacamini. Buongiorno. Sono Giovanni Paoletti dell'Anfus. La collega ha illustrato Pag. 7tutte le problematiche degli impianti al di sopra dei 35 chilowatt. Come Associazione nazionale fumisti e spazzacamini, ossia installatori e manutentori di caminetti, stufe e impianti fumari, noi ci occupiamo di tutto quello che è al di sotto dei 35 chilowatt. La nostra è una tipologia di apparecchio che potrebbe apparire poco utilizzata, ma che vede 5 milioni di famiglie impiegare caminetti e stufe per il riscaldamento e 10 milioni di impianti funzionanti. I produttori italiani detengono un primato europeo e sono per fatturato e per qualità i migliori a livello sia europeo, sia internazionale.
  Il punto che vi vogliamo sottolineare è che l'attuale congiuntura economica ha reso tali apparecchi indispensabili per l'economia di una larga fascia di popolazione. Tantissime famiglie italiane in pochissimo tempo sono passate, quasi costrette, dal riscaldamento tradizionale, la caldaia, al caminetto e alla stufa, per un discorso esclusivamente economico. Di conseguenza, non avendo una normativa ferrea come hanno gli altri Paesi europei – si veda la normativa sull'attività dei maestri spazzacamini – è in aumento vertiginoso, parliamo di circa 10 mila interventi dei vigili del fuoco, la quantità totale degli incendi, delle intossicazioni e dei danni a persone, cose ed edifici.
  È lasciata troppo alla libertà del committente la scelta dell'installatore, che spesso non è abilitato. Noi abbiamo, invece, da marzo 2008 una legge sull'abilitazione che vieta l'installazione di caminetti e stufe da parte di chi non è abilitato, così come per le caldaie.
  Viene, inoltre, totalmente disattesa la manutenzione da parte di personale qualificato, cioè del maestro spazzacamino. Noi abbiamo fondato una scuola per maestri spazzacamini vent'anni fa e teniamo 45 corsi in tutta Italia ogni anno, per un totale di 450 operatori qualificati. Il mercato è in forte crescita. Abbiamo avuto un più 18 per cento per l'occupazione del maestro spazzacamino proprio in quest'anno e l'utilizzo del legno combustibile per questo tipo di apparecchio ha avuto un aumento di circa il 26 per cento di importazione.
  Concludo osservando che semplicemente seguendo il percorso della maggior parte delle nazioni europee e tutelando le professioni coinvolte dalla filiera, che noi chiamiamo «dal boscaiolo allo spazzacamino», possiamo creare posti di lavoro e diminuire questo costo sociale, che è enorme. Pensate che i 10 mila interventi che abbiamo citato vanno da un minimo di 3 mila a un massimo di 450 mila euro di costo. Si tratta di sostenere la crescita economica e professionale degli operatori di questa filiera e la filiera corta a livello locale. Questo tipo di apparecchio è molto radicato sul territorio e, quindi, l'economia rimane al territorio stesso, in termini sia di installazione, sia di uso, sia di combustibile. In particolare, sottolineo le figure del fumista installatore e del maestro spazzacamino manutentore, il cui operato, peraltro, è a carico esclusivo del cittadino, il quale è ben felice di spendere 50 euro, ma di non veder bruciato il proprio tetto, con un costo successivo di almeno 50 mila euro. In Europa questi incidenti, sia quelli da intossicazioni, sia gli incendi, sono tendenti allo zero.
  Non vanno, peraltro, sottovalutate tutte le potenziali risorse locali per l'utilizzo, quali gli scarti della lavorazione e il ritorno al combustibile. Molto spesso vediamo che il combustibile viene poi trattato come rifiuto e non viene utilizzato. Tali apparecchi possono, invece, utilizzarlo sia per aumentare le tecnologie sul mercato – questo è un aiuto che si può fornire – sia per diminuire l'immissione in atmosfera e le prestazioni in termini di produzione e di consumi di combustibile e di ossigeno.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Sono stati interventi molto interessanti. Chiedo ai commissari se hanno domande. Vorrei cominciare io con una sulla vicenda delle rinnovabili.
  È indubbio che il problema delle rinnovabili esista. Per carità, abbiamo citato Pag. 8Kyoto, ma anche l'ambiente. Ci sono diverse motivazioni. Ben venga, dunque, questo tipo di energia. Io stesso, nell'altra mia vita, ho seguito in Sicilia una vicenda in cui c'era una fabbrica per la quale un bosco della regione siciliana sarebbe stato utilissimo. Non siamo mai riusciti a fare l'accordo tra la fabbrica e la regione siciliana, ragion per cui la fabbrica si è chiusa e il bosco è andato in fiamme. Questa purtroppo è la conclusione tutta italiana di tali vicende.
  Al di là di questo, tornando alle rinnovabili, è indubbio che la grande polemica che c’è stata e che c’è tuttora sia relativa agli incentivi. Noi vediamo la bolletta, in cui il costo, che si usa come parametro, mostra che più o meno le energie rinnovabili incidono per il 30 per cento rispetto alla produzione di energia, ma costano il 65 per cento sulla bolletta, mentre per l'energia elettrica è vero il contrario.
  Il problema, ed è questa la domanda, è che molti ancora oggi vengono a dirci che non è possibile fare energie rinnovabili, soprattutto biomasse, ma anche il resto, di fronte all'assenza di incentivi. Questo Paese, però, non si può più permettere questi incentivi. Dobbiamo allora capire se, in effetti, una politica sulle rinnovabili abbia un senso rispetto all'autosufficienza della produzione di questa energia o se, invece, dobbiamo per forza continuare a immettere questo costo per il cittadino, che, obiettivamente, considerando la bolletta, oggi è veramente insostenibile.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Innanzitutto, vorrei porre alcune questioni rispetto alla relazione svolta. Per quanto attiene la Fiper, ho visto soltanto la questione relativa alla biomassa legnosa. Voi vi occupate solo di quella o all'interno della Fiper ci sono anche altri sistemi di biomasse e, quindi, ci spostiamo sulle classiche criticità da approvvigionamento, quali, per esempio, i fenomeni del biogas con mais di importazione ?
  L'altra osservazione riguarda gli episodi virtuosi del Südtirol e del Trentino-Alto Adige, oltre che alcuni nel biellese alcuni anni fa, dove sono stati realizzati i primi impianti. Anche nei bandi regionali che oggi stanno provando, per esempio in Piemonte, a incentivare filiere corte si indica un lasso temporale di approvvigionamento da filiera corta di cinque anni. Non c’è un controllo metodico sull'approvvigionamento, tanto che, se non erro, alcuni anni fa era uscito uno scandalo in Trentino sul fatto che la legna usata non fosse quella di boschi limitrofi, ma provenisse dalla Slovenia o dalla Romania. Chiedo, quindi, se ciò non vada un po’ in controtendenza con la virtuosità di questo sistema, su cui sicuramente siamo d'accordo.
  Un'altra richiesta riguarda il modo in cui eventualmente provare, se avete proposte in merito, a incentivare, non dal punto di vista economico, altrimenti il collega Abrignani si spaventa, ma della virtuosità del sistema, il fatto che i proprietari dei boschi svolgano un'attività di manutenzione periodica degli stessi. Penso più a introdurre penalità nel momento in cui non la facciano. Oggi assistiamo al totale abbandono del parco boschivo. Io vengo da zone medio collinari del novarese, dove i boschi sono ormai totalmente abbandonati, anche se, in realtà, ultimamente stanno riprendendo le attività di fumisteria, per una questione di economicità e null'altro. Pertanto, riprende anche l'importazione del legname. Ci troviamo, quindi, fantastici pallet da due metri di altezza e un metro di base di legname di importazione. Mi piacerebbe provare a studiare un meccanismo di incentivazione della filiera italiana di biomassa legnosa.
  Le altre domande che vorrei porre riguardano il tema del teleriscaldamento. Trattando il teleriscaldamento da biomassa legnosa, in questo caso, cerchiamo di immaginare che funzioni soltanto d'inverno, anche perché le grosse centrali di teleriscaldamento, almeno nelle città, se vengono proposte anche a gas metano, oggi sono molto spesso camuffate da centrali di produzione di energia elettrica. Inoltre, Pag. 9hanno una producibilità estiva da garantire e, quindi, si trovano a dover smaltire calore in eccesso all'interno delle tubazioni, senza che ci sia un fruitore dello stesso calore in eccesso.
  Chiedo se queste centrali di teleriscaldamento non debbano essere vincolate anche a una limitazione chilometrica rispetto alla centrale di produzione. Diversamente, secondo il principio per cui il salto termico avviene alla centrale 1, nel momento in cui vado alla piattaforma di scambio, ho già «salutato» un gradiente termico proporzionale ai chilometri. Vorrei sapere, quindi, se cerchiamo di andar contro il proliferare delle grosse centrali di co-generazione, così come vengono definite e delineate, nelle città, piuttosto che tornare a una dimensione più umana e di quartiere, di zona.
  L'altro discorso verte sulla riqualificazione degli edifici. Sono perfettamente d'accordo sui tempi delle detrazioni. In effetti, mi piacerebbe, però, che anche nello studio della riqualificazione di un edificio diventasse prioritaria, prima di mettere mano allo stesso, la questione della diagnosi energetica.
  Era stato portato come esempio quello della madre del nostro audito, ormai over 80, che non riusciva a usufruire del beneficio della detrazione. Mi è subito balzato all'occhio che quello sui serramenti è sempre uno degli ultimi interventi dal punto di vista del ritorno economico e, pertanto, che oggi chi sostituisce i serramenti lo fa per una questione di vetustà degli stessi e solo in seguito per migliorare la prestazione energetica. Dovremmo quindi fissare una priorità di diagnosi energetica.
  Sulla questione degli incentivi dissento dal Presidente Abrignani, in quanto, secondo noi, alcuni tipi di incentivi, per esempio quelli sulle rinnovabili, stanno sortendo benefici. Sicuramente sono stati eccessivi, ma stanno delineando un mercato e una prospettiva di sviluppo. Proverei a capire in che modo limitare le speculazioni su questi incentivi e creare una filiera e un mercato totalmente italiani, senza ovviamente mettere dazi, ma insistendo su un sistema di virtuosità dei medesimi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, visti i tempi, do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ANGELO ARTALE, Direttore generale di Finco. Prima di passare la parola alla dottoressa Gallo fornisco una risposta generale e una puntuale.
  Per quanto riguarda le rinnovabili, la nostra considerazione generale è che ci sono due momenti di differenziazione. Il primo è tra le rinnovabili e il resto delle fonti e il secondo è all'interno delle rinnovabili.
  Per quanto riguarda le rinnovabili, la nostra posizione è che sicuramente ci sono state nel tempo alcune forzature, ma occorre perseguire chi ne ha approfittato, non penalizzare il tipo di impegno. D'altro canto, alcune forzature ci sono state anche in altri settori. Pensiamo al CIP 6. Tutto sommato, il nostro giudizio complessivo è di perseguire questo tipo di politica, anche per un problema di sicurezza degli approvvigionamenti energetici, che non è di ultimo momento, oltre a essere un problema ambientale.
  All'interno delle rinnovabili tra termiche ed elettriche noi cerchiamo di essere abbastanza equilibrati. Abbiamo con noi anche i rappresentanti delle rinnovabili termiche, che sicuramente costituiscono un aspetto molto importante. Su questo tema lascio la parola alla dottoressa Gallo.
  Rispondo, invece, al problema dell'incentivo. Sicuramente un infisso è meno performante di un cappotto. Non c’è dubbio. Quello che noi affermiamo con forza è che intanto l'infisso, contrariamente ad altre agevolazioni date, delle quali il 50 per cento spesso finisce fuori dall'Italia, viene prodotto in Italia e rappresenta una filiera italiana. Non viene fatto in Corea o in altri Paesi. Viene fatto in Italia. Se poi ci sono anche multinazionali, non fa nulla, perché lo producono da noi. Abbiamo con noi un rappresentante della 3M. La 3M Pag. 10produce in Italia. Non c’è tempo per addentrarcisi, ma hanno sperimentato uno strumento che si chiama connettore elettrico, molto interessante ai fini dell'efficienza energetica. È importante fare questo. Certo, se si può fare di più, facciamo di più. Noi partiamo da un presupposto, che voi politici penso abbiate bene in mente. È un po’ impopolare imporre ai cittadini il prezzo di un'efficienza fatta da chi ha costruito i palazzi. È come se io mi comprassi una macchina e poi sostenessi che non va bene e chiedessi di metterla a posto. È vero, ci sono l'Euro 3, 4, e 5, ma parliamo dei soldi dei cittadini. In questo momento, come veniva evidenziato anche in settori apparentemente di nicchia, la gente passa al caminetto, perché non ci sono soldi e noi vorremmo pretendere che facesse l'intero cappotto, che costa 90 mila euro ?
  Le filiere che sono in Finco sono contente se si riqualifica sia tutto, sia una parte. Noi siamo in perfetta buona fede. I nostri imprenditori lavorano di più se si riqualifica piuttosto che se si costruisce. Contrariamente ad altri nostri «cugini», noi siamo per non costruire più nulla – esagero un po’, per essere breve – se prima non si abbatte. In un Paese come l'Italia, altamente antropizzato, in cui non ci sono poche case e non ci sono le case adatte, noi siamo per riqualificare. Siamo favorevoli a riqualificare e abbiamo da lavorare sia se si riqualifica solamente una componente, sia se si riqualifica il cappotto intero.
  Sicuramente è meglio un intervento pieno. Premiamo chi lo fa lasciandogli il 65 per cento fino al 2020, per esempio per gli interventi antisismici non solo sulle aree 1 e 2, ma magari anche sulle 3 e 4. Non si può pensare di fare un intervento antisismico con un anno di tempo. Non penalizziamo, però, i singoli interventi.
  Ricordo, anche se so che il Movimento 5 Stelle su questo punto è stato attento, le schermature solari. È ridicolo – scusate se uso questo termine – che in Italia, un Paese, grazie a Dio, dominato dal sole, non siano inseriti questi interventi, che, peraltro, come ho detto al dottor Daniele Franco, Ragioniere generale dello Stato, hanno un costo per l'erario veramente risibile.

  VANESSA GALLO, Segretario generale di Fiper – Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili. Per quanto riguarda la prima domanda dell'onorevole Abrignani – rispondo così anche all'onorevole Crippa – noi abbiamo fatto una segnalazione all'Antitrust per chiedere che ci fosse parità di trattamento nell'approvvigionamento delle biomasse.
  L'Antitrust, nella segnalazione n. 120 del 6 giugno, ha invitato il Ministro Zanonato e la Camera dei deputati – ne sarete stati informati anche voi, nel mare magnum delle carte – a rimodulare gli incentivi. Noi chiedevamo addirittura che gli incentivi per la produzione di energia elettrica da biomassa fossero annullati. L'Antitrust ci ha dato ragione, riconoscendo che c'era una discriminazione di trattamento tra i teleriscaldatori, ossia le industrie che si approvvigionavano sulla filiera corta per la biomassa legnosa, e le industrie elettriche.
  Onorevole Abrignani, noi abbiamo chiesto l'annullamento o la rimodulazione degli incentivi. Il motivo è che noi siamo doppiamente danneggiati, in primo luogo perché non usufruiamo degli incentivi del coefficiente 1,8 per il riconoscimento dei certificati verdi e, in secondo luogo, perché sul mercato locale – faccio riferimento, per esempio, alla Valtellina, da cui provengo – abbiamo avuto un aumento del 15-20 per cento del prezzo della biomassa. Un'azienda vicina della Valle pagava di più perché aveva l'incentivo del coefficiente 1,8.
  Parlo del coefficiente 1,8 per la produzione esclusiva di energia elettrica da biomasse legnose. Noi abbiamo un paradosso: possiamo produrre energia termica, energia elettrica o energia termica ed elettrica in co-generazione. Il problema è che, come centrali produttori esclusivi di energia termica, sul mercato di approvvigionamento ci dobbiamo affrontare con competitor che hanno un potere di negoziazione superiore. Se questo potere superiore Pag. 11di negoziazione avesse favorito la filiera corta, avrebbe potuto andare bene. Avrebbe favorito la filiera corta e la manutenzione dei boschi. I quantitativi, però, sono talmente ingenti che non è possibile approvvigionarsi in filiera corta nel breve e medio periodo. Mi dispiace che, per limitazione di tempo, non abbiamo fatto il confronto tra la produzione di biomassa richiesta tra il termico e l'elettrico, ma non c’è paragone.
  Il primo obiettivo, dunque, è fare in modo che ci sia una rimodulazione. Abbiamo anche scritto al Ministero dello sviluppo economico, chiedendo che ci sia davvero una concorrenza leale, che sul mercato dell'approvvigionamento vinca il più performante e che ci sia, quindi, un mercato concorrenziale.
  Sulla questione della virtuosità, per finire il discorso sulla filiera – faccio riferimento all'esperienza della regione Lombardia, ma anche in regione Toscana ciò sta avvenendo – facciamo in modo che si attivino tavoli di concertazione in cui gli utilizzatori finali delle biomasse legnose si mettano d'accordo su come gestire il bosco. Per esempio, abbiamo presentato un progetto insieme a Federlegno, in cui le centrali energetiche potrebbero garantire nel medio periodo la manutenzione del bosco, per poi recuperare nei prossimi 15-20 anni il legname da opera.
  Il problema non è legato solo alla filiera energetica. Noi siamo i leader mondiali nel mercato del legno arredo, ma siamo anche i primi importatori di pallet o di legno. Stiamo cercando di combattere quest'assurdità in maniera concertata con gli altri utilizzatori.
  Per quanto riguarda, invece, la questione del Trentino-Alto Adige, delle relative 86 centrali, 46 sono nella provincia autonoma di Bolzano. Lo preciso per indicarvi il peso specifico di quanto conta l'Alto Adige. L'aspetto che lei segnalava, in effetti, è legato alla tracciabilità del materiale che utilizzano le segherie. Molto spesso le segherie locali si approvvigionano nei Paesi limitrofi, come Romania, Slovacchia e Svizzera per quanto riguarda la Lombardia e, quindi, il cascame del legname è derivante dall'approvvigionamento della segheria.
  Solo per questa ragione noi sosteniamo che non ha senso lavorare su una filiera corta energetica italiana senza occuparsi contemporaneamente della filiera del legno strutturale, perché le due vanno di pari passo. Il problema è che negli orizzonti della politica si ragiona sempre nel brevissimo periodo, da 1 a 5 anni. Per ricreare un'economia del bosco bisogna ragionare, invece, sui 15-20 anni. Se c’è la volontà politica di investire sul futuro, i deputati, se sarete sempre voi, ne raccoglieranno i frutti. Purtroppo, però, di legislatura in legislatura non si è avuta la lungimiranza di rimettere mano alla politica forestale.
  Peraltro, l'Europa comunque ci guarda, perché nell'ultimo documento di politica forestale europea viene citata la foresta modello della Toscana. Esistono esperienze virtuose sul territorio. La questione è valorizzarle e fare in modo che vengano interiorizzate nei provvedimenti di legge.
  Per finire sulla questione della grandezza degli impianti, sicuramente non siamo per le cattedrali nel deserto. Un progetto di teleriscaldamento a biomassa legnosa vergine ha ragione di esistere se c’è la biomassa intorno, altrimenti non ci siamo proprio con i conti e con i business plan. Quello che vi abbiamo illustrato oggi è il potenziale di questa tecnologia, che potrebbe rendere autonomi 801 comuni.
  Io sono originaria del Piemonte. L'assurdo è che in regioni come il Piemonte si è fatto tutto un ragionamento sulla filiera bosco-legna-energia, ma nell'ultima legislatura questi provvedimenti, che erano stati iniziati e coltivati, non sono stati reiterati dalla legislatura corrente. Anche in questo caso c’è un problema di continuità delle azioni politiche. Se i PSR o i POR non facilitano la filiera monte, difficilmente si può creare un teleriscaldamento.
  Per quanto riguarda le ore rispetto alla stagione inverno-estate, noi effettuiamo questo studio e avanziamo questa proposta per le aree più fredde. Tutti questi comuni Pag. 12sono situati in fascia climatica E o F, ragion per cui la stagione termica in Trentino prevede che siano già accese da quasi un mese le centrali, che finiranno di lavorare verso maggio o giugno.
  La questione dell'estate è un problema sul quale si sta ragionando e che si sta cercando di valutare. Adesso stiamo aspettando l'esito di un progetto europeo su come fare il teleraffrescamento. È anche vero che, se non si dà il calore, si potrebbe dare il fresco. Bisogna capire se tecnologicamente ci sono vincoli importanti. Li stiamo valutando. Vedremo se l'Unione europea ci finanzierà il progetto, ma di fatto su quello ci stiamo muovendo.
  Come ultimo elemento, sempre riguardo alla tracciabilità del materiale, non dimentichiamoci che è in vigore la due diligence e che, quindi, gli operatori di settore devono tracciare il materiale in ingresso, dal legname ai suoi cascami. Come operatori di settore, noi siamo obbligati a fare la tracciabilità e la vorremmo fare ancora di più, tanto che abbiamo chiesto al Ministero dell'agricoltura che pubblicasse tutti i tabulati che ogni centrale di teleriscaldamento o di produzione di energia elettrica ha compilato nei Piani di tagli. Purtroppo, però, siamo Italia e ci sono alcune situazioni un po’ in chiaroscuro, che noi vorremmo chiarire proprio per facilitare il corretto funzionamento della filiera.

  PRESIDENTE. Chiedo solo un'informazione. Ho visto la documentazione che avete inviato, che peraltro, se volete, potete integrare anche con altro materiale. La sede della Commissione è assolutamente aperta e lo distribuirà poi ai commissari.
  Della Federesco non c’è nessuno ?

  ANGELO ARTALE, Direttore generale di Finco. No. Hanno solo mandato la loro documentazione.

  PRESIDENTE. La Federesco è la federazione delle associazioni che si occupano di efficientamento energetico. Ho letto quello che hanno scritto, che corrisponde alla verità. Nel momento in cui, come giustamente diceva lei, non ci sono risorse da investire, non possono essere trovati 90 mila euro per fare gli investimenti. Sono previste detrazioni fiscali, ma i soldi devono essere anticipati dall'interessato. Diverso invece è il ruolo che svolge la Esco, che esegue i lavori; si potrebbe, ragionare sull'opportunità di prevedere una qualche forma di garanzia bancaria per finanziare questi investimenti. Sicuramente sarebbe un intervento che aiuterebbe di più i cittadini.

  ANGELO ARTALE, Direttore generale di Finco. C’è Fire, che potrà parlare ampiamente delle Esco. Federesco comunque ha prodotto la documentazione per l'audizione che ha già svolto alla 10 Commissione del Senato.

  PRESIDENTE. Grazie. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di AIGET (Associazione italiana grossisti di energia e trader) e di Fire (Federazione italiana uso razionale dell'energia).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di FIRE (Federazione italiana uso razionale dell'energia) e di AIGET (Associazione italiana grossisti di energia e trader).
  Per la Fire sono presenti il dottor Dario Di Santo, in qualità di direttore, e il dottor Enrico Biele. Per AIGET sono con noi il dottor Michele Governatori, presidente, il dottor Paolo Ghislandi, segretario generale, il dottor Roberto Aquilini e il dottor Massimo Bello.
  Do la parola a Michele Governatori, presidente di AIGET.

  MICHELE GOVERNATORI, Presidente di AIGET. Buongiorno a tutti. Sono Michele Governatori, presidente di AIGET. Pag. 13Ringrazio gli onorevoli deputati di questa Commissione per l'opportunità che ci offrono.
  Spendo innanzitutto qualche parola su chi siamo. AIGET è nata nel 2000 ed è l'Associazione italiana dei grossisti e dei trader di energia elettrica e gas. L'obiettivo dell'associazione è quello di promuovere la trasparenza e il mercato nel settore dell'energia elettrica. Tradizionalmente, e anche tuttora è così, fanno parte di AIGET operatori con posizioni precedenti non di monopolio. Con me ci sono il segretario generale Paolo Ghislandi e i vicepresidenti Roberto Aquilini e Massimo Bello.
  Parliamo di Strategia energetica nazionale, vi sono alcuni aspetti nella strategia, come l'economicità, la sicurezza, la transizione verso l'efficienza e le rinnovabili, che sono forse centrali anche rispetto ai vostri interessi di approfondimento di oggi.
  Un tema legato all'economicità secondo me da affrontare subito è quello del prezzo dell'energia. Se andiamo a vedere le componenti l'energia è più o meno cara di quanto non fosse prima della transizione al mercato ?
  Sarò breve. Mi soffermo in particolare sulla slide a pagina 4. Le componenti legate all'approvvigionamento della commodity, cioè della materia gas o della produzione elettrica, non sono più care rispetto, per esempio, all'andamento di benchmark importanti come il petrolio. Altre componenti, non connesse alla dinamica di mercato, i cosiddetti oneri di sistema, che sono legati o a forme amministrate di remunerazione oppure alla remunerazione delle reti, non solo stanno aumentando in modo importante, ma stanno anche diventando prevalenti nel costo dell'energia.
  Estremizzando la domanda – il mercato ha fallito o non ha fallito ? – la nostra posizione è che il mercato non ha assolutamente fallito e che nella sua quota, pur decrescente, di competenza sta sortendo risultati importanti. Oggi l'energia elettrica e il gas, in termini di commodity, costano molto meno rispetto, per esempio, all'andamento del petrolio di quanto non costassero all'inizio della liberalizzazione. Questo significa che i clienti finali pagano meno ? No, purtroppo, non significa questo, perché, come dicevo, sono aumentate altre componenti. Guardate la slide n. 5. Per esempio, notate le indicazioni: energia – 14 e – 23. Si tratta del caso di energia elettrica di un cliente commerciale e di un cliente industriale di medie dimensioni. I costi per produrre l'energia o per importare il gas sono scesi, ma quello del dispacciamento è salito molto. Il dispacciamento è l'attività che il gestore della rete svolge per mantenere in sicurezza la macchina, ossia la rete. Che cosa c’è in tale costo ? Per esempio, c’è la necessità di approvvigionare riserva per quando le fonti non programmabili, come le rinnovabili, non sono in grado di produrre. Si tratta di una riserva ovviamente necessaria per garantire continuità alla fornitura.
  C’è anche la componente reti, che sale. Che cosa remunera questa componente ? Ci arriveremo poi, è una parte importante del messaggio che vorremmo comunicarvi. Essa remunera gli investimenti in rete, che la Strategia energetica nazionale, giustamente, ma con qualche rischio, secondo noi, promuove. Noi sappiamo che per avere un mercato europeo integrato – l'integrazione funziona nei mercati, perché è una garanzia di economicità rispetto ad altri mercati – servono mercati molto interconnessi dal punto di vista fisico. Questo è assolutamente corretto, ma contestualizziamo al mondo in cui siamo. In passato, i consumi di energia salivano più o meno come il PIL, in un andamento macroeconomico tranquillo, tanto che su quei trend si sono fatti gli investimenti e le previsioni fino a pochi anni fa. Oggi, invece, c’è stato uno shock. Abbiamo avuto, due o tre anni fa, in Italia un calo dei consumi di gas naturale a due cifre, dopo aver avuto per tutta l'era moderna dell'energia aumenti del 2-3-4 per cento all'anno. Sull'energia elettrica i numeri sono simili.
  Il mondo dell'energia ha modificato le sue abitudini di consumo, sia per la deindustrializzazione e per la crisi, sia forse per motivi strutturali, peraltro preconizzati Pag. 14dalla stessa SEN, di transizione verso tecnologie più green e forse, aggiungo io, anche verso settori industriali meno energivori. Probabilmente è ragionevole pensare che si consumerà meglio e un po’ di meno. In questo contesto fare reti a tutti costi, come si diceva, immaginando che i numeri siano ancora quelli di prima, o fare tubi a tutti i costi, pagati nella tariffa finale, avendo in mente i numeri di prima, è pericoloso. Perché è pericoloso ? Per la ragione esposta sempre nella slide n. 5, ossia perché gli oneri per la macchina, per il contenitore, stanno esplodendo. Se consumiamo meno, significa che li spalmiamo in volumi sempre più bassi di energia che consumiamo. Significa che sulle nostre bollette quella componente tende a esplodere e a far venir meno il vantaggio di economicità che noi abbiamo grazie agli investimenti, per esempio in centrali di generazione più efficienti, a partire da quelle rinnovabili, che hanno costi variabili nulli.
  Non parlo delle forme di incentivazione. Rischiamo, in generale, di non fruire del vantaggio di competitività che abbiamo ottenuto con una transizione, in particolare nel settore elettrico, verso un mercato che viene riconosciuto anche dall'Unione europea come un caso di eccellenza, con riferimento a quello italiano. Dopo il Regno Unito probabilmente il nostro è il Paese europeo transitato più velocemente sul mercato.
  Quanto alle reti – slide a pagina 7 – perché dobbiamo stare attenti al costo dell'involucro delle reti ? Non so se oggi qualcuno di voi onorevoli abbia azioni Terna o Snam Rete Gas in portafoglio. Io ne ho e sono le uniche azioni su cui non ho mai perso una lira. Non sono molto sfortunato in Borsa, eppure su Terna e Snam Rete Gas in media sono andato bene. Non è un caso. Come funziona il business fondamentale, importantissimo per il benessere dei gestori della rete ? Oggi a loro viene garantito un ritorno sul capitale investito, o meglio su una parte del capitale investito, la cosiddetta RAB (Regulated Asset Base), la quota dei loro asset che l'Autorità indipendente di settore considera necessaria perché i gestori facciano quello che devono fare da monopolisti legali, regolati. È giusto che siano monopolisti, perché la teoria economica sostiene che sulle reti conviene il monopolio.
  Mettetevi nei panni di un azionista di Terna, di Snam Rete Gas o di un qualunque distributore elettrico. Immagino di essere io oggi un azionista di Terna. Terna riceve fino al 10,5 per cento di remunerazione garantita sugli investimenti in infrastrutture considerati dall'Autorità prioritari e un po’ meno su quelli considerati meno prioritari. Grosso modo il target di remunerazione oggi per le attività regolate di rete è l'8 per cento. Vi è, quindi, l'8 per cento di remunerazione su un'attività che non è soggetta a rischio di mercato e nemmeno a rischio volume. Non sto a tediarvi, ma il sistema delle tariffe è fatto in modo tale che, se passa meno energia nei fili, Terna semplicemente prende una quota più alta sulla minore energia che passa.
  Questo aspetto ci preoccupa, perché noi vediamo la questione dal punto di vista del cliente finale. Se le reti sono remunerate con questo criterio e io fossi un azionista delle reti, direi al mio amministratore delegato di investire più che può e di fare tutto, compreso, per esempio, l’interconnector di cui forse avrete sentito parlare, transadriatico verso i Paesi balcanici. Esso costerà, secondo i Piani di sviluppo di Terna, almeno 800 milioni di euro.
  Faccio un'affermazione clamorosa, ma che nessuno finora ha smentito. Tale interconnector serve, perché c’è un accordo intergovernativo tra Italia e Serbia – lo sapete molto meglio di me – per riportare energia rinnovabile dalla Serbia a un prezzo concordato dalle due nazioni più alto di quello che oggi noi, pur con i lauti sussidi, paghiamo per le nostre rinnovabili, per esempio, eoliche.
  Mi si dice che devo accelerare. Lo faccio e, quindi, chiudo.
  Le reti servono ? Certo, sono fondamentali perché il mercato funzioni. Attenzione, Pag. 15però, perché le reti, per come è oggi la loro governance, tendono a diventare troppo grosse.
  Ho due minuti al massimo e starò nei limiti. Passo a un altro tema che per noi è fondamentale. Come si fa a far arrivare al cliente finale dell'energia i vantaggi del mercato ? Bisogna rendergli la scelta il più possibile facile, consapevole e priva di brutte sorprese. Sappiamo che scegliere un fornitore anche domestico di gas ed energia elettrica è una forma di responsabilizzazione non banale. Noi, che facciamo i venditori di energia, oltre che i trader, e che, quindi, vendiamo al cliente finale, riteniamo che una circostanza che rende più difficile per il cliente finale avere le informazioni chiare sia la scarsa separazione tra il modo in cui sono percepite dal cliente finale le aziende che fanno distribuzione e quelle che fanno retail.
  Vi faccio un esempio. Un nostro tipico associato potrebbe essere un venditore puro, che ha bisogno di passare sulla rete – prendiamo il caso di Roma di Acea Distribuzione – per poter arrivare a casa vostra con l'energia elettrica. Se Acea Distribuzione – il caso è semplicemente legato alla territorialità, non ce l'ho assolutamente con Acea Distribuzione – non è indotta dalla normativa a separare la propria attività di distributore, pagata in tariffa e senza rischi, dalla propria, altrettanto legittima ma di concorrenza, attività di venditore, il cliente finale, soprattutto se il distributore è ancora più noto e importante a livello nazionale, come Enel, potrebbe confondere le due cose. Il cliente finale potrebbe, cioè, ritenere che comprare energia da un nome noto, che ha una posizione di monopolio naturale sulla distribuzione, sia più sicuro che comprarla da un nome che non ha mai sentito e che magari, invece, ha voglia, per prendersi quote di mercato, di rinunciare a un pezzettino del proprio margine.
  Immagino di dover chiudere. Ci tenevo a mostrare su questo tema la slide n. 10, perché è un esempio – anche in questo caso non c’è acrimonia con alcuno degli operatori – di come oggi la normativa italiana permetta a Enel Distribuzione di essere indistinguibile da Enel anche nei biglietti da visita nel simbolo. Se andate alla slide n. 11, vedete il caso tedesco. I principali operatori, a loro volta, non hanno fatto l’unbundling proprietario e, quindi, è sempre la stessa proprietà che fa l'una e l'altra attività, ma sono completamente distinti nel brand con cui si presentano al cliente finale. È una questione banale e semplice, se volete, ma, secondo noi, decisiva in termini di vantaggio per il cliente finale.
  Ciò vale, e chiudo davvero, anche per quanto riguarda il servizio di maggior tutela. Noi riteniamo, da un lato, che questo servizio debba essere contendibile (oggi nell'energia elettrica esso viene svolto, per motivi strani, da chi lo svolgeva storicamente, ossia da chi aveva storicamente l'esercizio delle reti), dall'altro lato, crediamo che bisogna fare un passo ulteriore, ossia distinguere le politiche di welfare dalle politiche sulle bollette. Se c’è una famiglia disagiata, occorre aiutarla con la fiscalità ma, nello stesso tempo, chiedere a tutti i clienti di confrontarsi responsabilmente con il mercato e, quindi, di comprarsi da soli l'energia.
  Credo di aver esposto i concetti che ci eravamo prefissi. Vi ringrazio moltissimo per la vostra attenzione. Siamo a disposizione per le domande, naturalmente.

  PRESIDENTE. Poiché dobbiamo ora passare alla fase delle domande e sentire anche i rappresentanti della Fire, ma dobbiamo anche esaminare un atto del Governo con la presenza del sottosegretario De Vincenti, che purtroppo, alle 15 ha un altro impegno istituzionale. Propongo pertanto di passare all'esame dell'atto del Governo, per poi riprendere le audizioni con la parte finale e con le domande all'AIGET e alla Fire.
  (La Commissione concorda).

  PRESIDENTE. Chiederei cortesemente ai nostri ospiti di lasciare l'aula per consentire Pag. 16l'esame dell'atto del Governo all'ordine del giorno.
  Sospendo la seduta.

  La seduta, sospesa alle 14.45, è ripresa alle 15.

  PRESIDENTE. Ascoltiamo ora la relazione introduttiva, che dovrà necessariamente essere contenuta in tempi assai ristretti, degli amici di Fire e successivamente passiamo alle domande.
  Do la parola quindi a Dario Di Santo, direttore di Fire.

  DARIO DI SANTO, Direttore di Fire. Sono Dario Di Santo, direttore di Fire. La federazione che rappresento è un'associazione senza scopo di lucro fondata dall'Enea nel 1987. È una realtà che ha una base associativa di circa 500 soggetti che coprono tutta la filiera dell'energia, da chi produce tecnologia, a chi produce energia, alle Esco, fino ad arrivare agli utenti finali di media e grande dimensione. Dal 1992 noi abbiamo un incarico a titolo non oneroso dal Ministero dello sviluppo economico, in base al quale gestiamo le nomine degli energy manager in Italia, che rappresentano un obbligo ai sensi della legge n. 10 del 1991. Lavoriamo facendo attività di informazione, formazione, studi di settore e ricerche, partecipiamo a progetti europei, rappresentiamo l'Italia nell'azione concertata sulla direttiva efficienza energetica per la parte legata ai servizi energetici e cerchiamo di portare in questo consesso, in cui vi ringraziamo di averci offerto l'opportunità di parlare, alcune considerazioni mirate soprattutto al tema dell'efficienza energetica nell'ambito della Strategia energetica nazionale.
  Nella prima slide troverete che qualche numero non torna con quelli visti prima, ma semplicemente perché l'arco temporale è esteso a un decennio, dal 2001 al 2011, invece che limitarsi agli ultimi quattro anni.
  Per darvi un'indicazione che rafforza il fatto che l'efficienza energetica sia importante, in questo decennio noi abbiamo avuto un raddoppio della quota combustibili, l'introduzione degli oneri di sistema e, più di recente, la comparsa degli oneri di dispacciamento, cui si faceva riferimento prima. Tali oneri negli ultimi sei mesi sono raddoppiati e adesso valgono circa 10 euro a megawattora. Comunque si guardi il sistema, i prezzi sono aumentati ed è difficile pensare che possano ridursi nel prossimo futuro. In questo senso siamo perfettamente allineati con gli altri: se riusciamo a fare efficienza, tanto di guadagnato. Sulla diatriba delle fonti rinnovabili, di cui si parla sempre molto, sostenendo «fanno bene, fanno male, costano tanto», a parte l'ovvietà per cui le abbiamo sviluppate male, pagando un po’ troppo, va anche aggiunto che non si tiene mai conto che ci sono oneri sociali. Il Rapporto europeo ExternE li aveva valutati in 20-30 euro a megawattora per il nostro Paese, alcuni anni fa. Tali oneri andrebbero conteggiati, quando si fanno queste valutazioni e non rappresentano una fetta piccola degli oneri di sistema. Costano tanto e fanno male al portafoglio, assolutamente solo a quello.
  L'altro aspetto interessante è che questo sistema non è più in grado di sostenersi con le regole che funzionavano dieci anni fa, che vanno, quindi, modificate. Molti avranno suggerito di portare le rinnovabili a pagare gli oneri di sbilanciamento e a partecipare in modo più attivo. Noi rispondiamo che va benissimo, ma chiediamo di offrire loro la possibilità di partecipare attivamente anche al lato offerta di energia. Cerchiamo di consentire loro di sviluppare, per esempio, il tema degli accumuli, non incentivandoli ma, quanto meno, permettendo di installarli. Recentemente il GSE ha detto che non si può fare nemmeno questo, perché aveva diritto agli incentivi.
  La Strategia energetica nazionale sostiene che la prima priorità è l'efficienza energetica. Noi ne siamo molto contenti. Se andiamo a vedere, però, che cosa succede nella realtà, notiamo che un grosso dibattito è collegato al discorso degli sconti. Per quanto, in una situazione di crisi economica come quella attuale, essi facciano gola, non sono una soluzione Pag. 17strutturale al problema del costo dell'energia, ma più che altro un palliativo. Se fanno parte del dibattito, va bene, ma se ci si concentra solo su questo problema, probabilmente perdiamo di vista le opportunità vere.
  Come secondo aspetto, noi siamo stati il primo Paese al mondo a fare una grande installazione di contatori intelligenti, di smart meter, ma li abbiamo usati in modo poco intelligente. Ancora oggi è un miracolo se vengono teleletti. Sono stati un'occasione sprecata.
  Il sistema elettrico che abbiamo non è molto efficiente, ma è un'altra occasione da prendere e non da perdere. Abbiamo un sistema elettrico che al momento ha una fortissima penetrazione da fonti rinnovabili, una situazione a cui arriveranno diversi Paesi nei prossimi anni. Si può giocare con un ruolo attivo, cercando di sviluppare tecnologie che ci portino verso le smart grid e che aiutino l'industria nazionale a svolgere un ruolo a livello anche mondiale, oppure solo con uno passivo, per cui ci teniamo i costi.
  Da questo punto di vista, penso che sarebbe molto importante che tutte le parti cercassero di andare verso la trasformazione positiva del sistema, che per noi non può che andare verso una maggiore efficienza energetica e un maggior impiego di rinnovabili, le uniche risorse che abbiamo a livello nazionale.
  L'ultimo aspetto è molto più locale. Si parla tanto di efficienza. In un mercato corto elettrico verrebbe ovvio pensare di promuovere le elettrotecnologie efficienti, che aiutano ad aumentare i consumi elettrici, e ridurre globalmente il consumo di fonti primarie, quali pompe di calore elettriche, veicoli elettrici, cucine a induzione ed elettrotecnologie industriali. Peccato che, se uno di voi volesse provare a mettere una pompa di calore elettrica a casa, per esempio, si troverebbe a dover stipulare un contratto da 4,5-6 chilowatt, pagando molto di più, oppure a dover attivare un nuovo punto di accesso per poter sfruttare questo tipo di tecnologia. L'efficienza va bene. Creiamo, però, le condizioni – si parla di incentivi – per poterla utilizzare.
  Qualcuno ogni tanto sostiene che anche l'efficienza costa. Quelli che vedete sono due diagrammi tratti da due presentazioni di aziende, una del chimico e una del cartario. Parliamo di settori energy intensive. Essi ci mostrano fondamentalmente che è pieno di interventi con un payback inferiore a tre anni e che ce ne sono parecchi sotto l'anno. Se io spendo un euro oggi, entro l'anno l'ho recuperato e poi ho solo guadagni.
  Non fare questi interventi è, dunque, una follia. Aiutare l'impresa a farli serve, perché, nonostante tutto, le imprese non sono ancora pronte a sfruttare al meglio queste opportunità. Perché non lo sono ? Perché, in realtà, manca ancora l'attenzione alle basi per poter fare efficienza.
  Una base è rappresentata dall’energy manager. In merito c’è una carenza dell'amministrazione pubblica. I dati che vedete sono quelli delle nomine dell'ultimo anno. Abbiamo circa 1.500 nominati in Italia. Sul fronte dell'industria va, tutto sommato, piuttosto bene. Il dramma è la pubblica amministrazione. Ci sono solo tre amministrazioni centrali dello Stato che hanno nominato l’energy manager, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Agenzia del territorio. Si aggiungono solo 7 regioni su 20, solo 43 province su 110 e solo 36 comuni capoluogo di provincia. Degli altri non parliamo neanche. L'unico dato di qualche rilievo riguarda le città metropolitane, che vedono una carenza al Nord, una al Centro e una al Sud, tanto per trovare un sistema che vale per tutto lo stivale.
  Questo è un segnale che indica che non c’è tanta attenzione da parte della pubblica amministrazione al tema dell'energia. La nomina è un fatto formale e gratuito. Il sindaco o il direttore generale nomina una persona energy manager e lo incarica di seguire le problematiche energetiche. Non fare questo semplice atto annuale è grave. Non deve essere neanche necessariamente un dirigente.Pag. 18
  Passando al secondo aspetto, ancora più importante, noi abbiamo un pacchetto di normative internazionali, europee e anche nazionali che offrono un quadro di regole che aiuta le strutture che vogliono investire nell'efficienza energetica. Peccato che da cinque anni manchi un decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 115 del 2008. Non è un dramma. Sono norme tecniche che vanno avanti da sole, ma è un segnale che, tutto sommato, non si è posta attenzione a questo semplice decreto.
  C’è una tendenza ribassista da parte delle lobby coinvolte, Esco ed esperti in gestione dell'energia, a cercare di tenere bassi i requisiti di questa norma. Per carità, se li si tiene troppo alti, magari si chiude il mercato. Se li si va ad abbassare troppo, invece, il risultato è che si hanno certificazioni che non certificano nulla e, quindi, il solito costo, come per la certificazione energetica dell'edilizia, che si va a mettere sugli utenti, ma non i relativi vantaggi.
  Il caso più emblematico è quello dei sistemi di gestione dell'energia, con la norma ISO 50001, un sistema di qualità che consente all'azienda di operare con una politica energetica e procedure interne che permettono di raccogliere i risultati.
  Questi sistemi sono in vigore, come norme nazionali, in diversi Paesi europei da più di vent'anni. Prendiamo il caso dell'Irlanda, per esempio. In 15 anni c’è stato il 40 per cento di risparmio ottenuto dalle imprese, che rappresentano l'80 per cento degli energivori che collaborano con l'Agenzia nazionale per l'energia e l'ambiente. Circa metà di questi risparmi è ottenuta dal momento d'avvio della crisi a oggi, anzi al 2009. Questo sistema ha dimostrato di essere molto efficace nel far fare efficienza, in un'ottica di miglioramento continuo, alle aziende.
  Qual è la situazione in Italia ? Noi abbiamo 135 aziende certificate a settembre 2013, mentre la Germania ne ha 2.044. Non c’è alcun macroindicatore economico che giustifichi questo divario. L'unica possibile spiegazione è che da noi manca la cultura. Purtroppo, l'altra spiegazione è che in Germania si offrono meccanismi di supporto e da noi no.
  Quello che noi proporremo, da questo punto di vista, visto che vogliamo ragionare di sconti e che abbiamo dato sconti agli energivori, è che sarebbe forse utile subordinare tali sconti all'adozione di un sistema di questo genere. Il costo è limitato e il vantaggio per l'impresa nel corso degli anni è notevole. La differenza è che si va a innescare uno sconto che offre un vantaggio immediato e temporaneo, che consiste in un miglioramento strutturale che l'impresa può sfruttare nel corso del tempo.
  L'ultimo aspetto riguarda il tema delle Esco, che prima avete citato. Si parla molto di Esco, che ormai sono una moda. L'idea è quella di avere un'azienda che offre contratti a prestazioni garantite, un finanziamento tramite terzi, che sarebbe la panacea di tutti i mali per la pubblica amministrazione che non ha soldi, per le famiglie che non hanno soldi e per le imprese che non hanno soldi.
  C’è solo un piccolo, anzi grande problema: il business plan di un intervento di efficientamento è basato sulla differenza dei consumi prima e dopo l'intervento. Se non si conoscono i consumi prima, non si hanno il business plan e l'analisi dei rischi, ragion per cui salta il discorso della banca che eroga i soldi e quello della Esco che può andare avanti autonomamente.
  Non c’è solo il problema che molte Esco, come tutte le industrie nazionali, sono piccole e sottocapitalizzate e che, quindi, andrebbero aiutate a crescere. C’è anche il problema che, se non diffondiamo le diagnosi energetiche, i sistemi di gestione dell'energia e i sistemi di monitoraggio, questi concetti rimangono teoria, oppure si applicano solo a soluzioni molto semplici. Per raggiungere gli obiettivi della SEN e del Piano d'azione per l'efficienza energetica noi abbiamo bisogno di fare interventi integrati e non solo di cambiare la caldaia o di avere il motore ad alta efficienza.Pag. 19
  Del resto, se riusciamo a misurare, diventa possibile accedere, per esempio, a tutti i finanziamenti disponibili attraverso la Banca europea degli investimenti o l'Europa. La BEI metterà a disposizione circa 20 miliardi di euro l'anno nei prossimi tre anni per l'Italia, non solo sull'energia, su tre programmi che riguardano l'energia, l'efficienza e le rinnovabili. Si tratta di Elena, di Jessica e dell'Energy Efficiency Fund, con una partecipazione forte di Cassa depositi e prestiti in quest'ultimo.
  L'Italia fa molta fatica ad accedere a queste opportunità, perché esse richiedono di mettere insieme diversi enti e di raggiungere soglie minime di intervento, come la provincia di Milano, che ha fatto un intervento di riqualificazione energetica di tutte le scuole. Questi fondi in genere finanziano o gli interventi o, come nel programma Elena, tutta l'azione di accompagnamento tecnico: realizzazione, diagnosi, predisposizione dei capitolati di gara, assistenza legale e via elencando. Si chiede che ci sia una leva da 1 a 20 tra i soldi che vengono erogati per l'assistenza tecnica e quelli movimentati sul mercato privato con gli investimenti. Alla provincia di Milano sono riusciti a farlo, ma è uno sforzo che richiede qualche anno e che sarebbe utile replicare anche in altre amministrazioni.
  È importante, quindi, sviluppare filiere integrate, che possono avere due finalità: la prima è aiutare i piccoli a intervenire sui piccoli, perché l'efficienza è fatta di tanti interventi distribuiti e di piccola taglia, che non si prestano né al project financing, né al corporate financing, né agli strumenti tradizionali. Sarebbe utile, per esempio, aiutare lo sviluppo delle cooperative o di altri attori innovativi operanti sul piccolo, oppure aiutare le aziende o gli enti ad aggregarsi per raggiungere dimensioni più rilevanti. Queste sono proposte che ultimamente porta avanti anche l’International Energy Agency.
  Ci sono poi alcune opportunità di fare filiera integrata o rivolte a singole filiere, come quelle della biomassa, degli edifici, oppure delle smart cities.
  Apro un piccolo inciso sulle smart cities. Ormai ci sono alcuni grandi gruppi internazionali che arrivano a bussare alla porta dei nostri comuni, offrendosi di rendere intelligenti interi quartieri a spese loro. Se noi non facciamo sistema e non ci coalizziamo, saremo colonizzati dall'estero, e non perché non abbiamo le tecnologie in casa.
  Chiudo con le ultime due considerazioni. La prima è che, se si va a efficienza, si perdono soldi all'erario, perché vengono meno l'IVA e le accise. Si recupera qualcosa sul fronte dello sviluppo di mercato – quelli che vedete sono i dati riportati da Confindustria nel recentissimo Rapporto che ha elaborato sullo Smart Energy Project – ma va anche detto che comunque noi andiamo in quella direzione. Abbiamo, pertanto, due modi per andarci. Il primo è favorendo l'efficienza, per cui avremo alla fine un risultato positivo, che viene valutato in 31 miliardi di euro. Il secondo, come si fa a Roma da due o tre anni, è andando in bicicletta, perché non ci sono i soldi per prendere la macchina. Il risultato sopra rimane lo stesso, ma sotto va giù e, quindi, converrebbe cercare di fare in modo che si sviluppi l'efficienza energetica.
  Riassumendo le questioni principali che abbiamo affrontato: come primo punto, sarebbero utili azioni informative da parte del pubblico. Il privato ci può pensare, ma il pubblico può aiutare molto a veicolare questi messaggi. Ormai gli imprenditori sanno che cosa sono le rinnovabili, ma l'efficienza non è ancora del tutto conosciuta.
  Conviene aiutare anche finanziando più temi come le diagnosi energetiche e i sistemi di gestione dell'energia, che non l'intervento sulla tecnologia, perché l'efficienza in molti casi si paga da sola. Questo può essere un supporto da fornire per interventi più integrati e costosi, soprattutto in edilizia.
  Le Esco sono un'ottima possibilità, ma dobbiamo aiutarle a crescere. In questa slide, per esempio, il conto termico è stato scritto bene. Potrebbero esserci altre opzioni da valutare, come il programma Pag. 20PACE (Property Assessed Clean Energy) statunitense o l'altro, più recente, nel Regno Unito. Concettualmente, si tratta di programmi in grado di finanziare interventi di efficienza energetica anche presso famiglie poco abbienti, in quanto vanno a racchiudere la rata della riqualificazione all'interno del costo della bolletta energetica. Sono normalmente collegati a quella che era prima l'IMU e che adesso ha cambiato nome in Trise, se non ricordo male.
  Gli ultimi aspetti sono relativi ad aiutare lo sviluppo di nuovi modelli di business e a migliorare il sistema di governance. Da questo punto di vista, se si riuscisse ad arrivare a lavorare per testi integrati, faremmo un servizio a tutto il Paese. Oggi si perde tantissimo tempo a causa della burocrazia. Leggi scritte anche bene e con i migliori intenti non vengono applicate perché i primi a non saperle applicare sono gli organi dello Stato e, quindi, va tutto a favore del lato deteriore della burocrazia, che purtroppo blocca tutto. Il mercato ha le condizioni per svilupparsi, ma ha bisogno di attenzioni per rendere favorevole la trasformazione.
  Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Di Santo. Vediamo se ci sono domande da parte dei commissari. Se volete, comincio io, velocemente.
  Riguardo alla prima relazione del dottor Governatori, ho partecipato al vostro convegno e mi ricordo che in quella sede posi due domande che ancora oggi restano attuali. La prima è se questa liberalizzazione, sulla quale si è registrata una polemica in merito al monopolio ancora in parte presente, possa portare al cittadino consumatore alcuni vantaggi concreti di natura economica.
  La seconda riguarda più direttamente voi. Ricordo che sussisteva l'assurda regola della fideiussione, per cui voi dovevate garantire questi pagamenti, al di là del rischio dell'insolvenza, che mi sembra rimanesse anche a carico vostro. Al di là di tutto, trovo assurdo che, se dovesse aumentare l'aliquota fiscale, anche per voi aumenterebbe il margine di rischio. Chiedo se su questo particolare aspetto sia cambiato qualcosa. Questa domanda quindi riguarda direttamente voi.
  Riguardo alla relazione dei rappresentanti di Fire, siamo assolutamente d'accordo sul fatto che l'efficientamento energetico possa essere un sistema utile per il nostro Paese, perché, al di là del risparmio finale, mette in moto un meccanismo economico assolutamente virtuoso. Il problema, però, è capire alcuni meccanismi procedurali che forse non sono ancora chiari. Se il soggetto destinatario finale è unico, ci può essere un dato tipo di argomentazione. Il rapporto è 1 a 1, con Esco, Ministero della difesa, comune di Castelnuovo di Porto o industria alimentare X. A quel punto, è facile il discorso del risparmio e del trasferimento del rischio. Immagino, però, un condominio in cui ci siano 30 soggetti, ognuno dei quali paga la propria bolletta. Si fa un lavoro complessivo che riguarda l'efficientamento dell'intero edificio. Si interviene, l'immobile viene efficientato, ma per sei anni si continua a pagare quello che si pagava prima. Il 30 per cento di risparmio va a coprire il costo dell'operazione e poi si pone il problema del finanziamento della quota successiva. Rimane il problema di come si fa, in quel caso, a garantire il pagamento di tale differenza.
  Secondo me, l'aspetto ancora più complicato, che non siamo riusciti a risolvere e che è uno dei meccanismi per cui la green economy e il fotovoltaico sono esplosi, è il famoso discorso dei certificati verdi, che hanno creato anche attraverso il ruolo del GSE un movimento economico che è servito.
  Oggi il discorso dei certificati bianchi, come dicevamo, è invece molto più incerto. Va bene anche la diagnosi. Faccio una battuta senza voler citare nessuno, ma a un certo punto ho posto questo problema a un alto dirigente di un ministero che si occupa di energia, osservando che in merito avrei avuto un risparmio e che avrei potuto calcolarlo. Era una battuta, ma rende il senso: se il primo spende 1.000, l'altro fa un lavoro di risparmio e Pag. 21ne spende 700. Dopodiché, se decide di lavorare tre ore in più al giorno, il risparmio non c’è più, perché il consumo è maggiore. È ovviamente una battuta. È chiaro che si fa la diagnosi, ma rende il senso dell'incertezza del settore.
  Per concludere, al di là della mia vecchia vocazione nuclearista, io sono assolutamente favorevole alle fonti rinnovabili. In un mondo utopico, vorrei il 100 per cento di rinnovabili. Sarebbe proprio il massimo. Capisco gli incentivi che sono stati dati per far partire il sistema, ma quello che chiedo oggi, e che avevo chiesto a qualcuno in passato senza ottenere risposta, è se il sistema delle rinnovabili sia in grado di creare un business plan che funzioni senza gli incentivi.
  Era questa la domanda che io ponevo. Figuriamoci, sono favorevolissimo – sono sincero – molto più alle biomasse e al fotovoltaico che all'eolico. L'eolico, a parte l’off-shore, mi lascia ancora un po’ perplesso sull'aspetto paesaggistico, ma il punto era questo. Non sono contrario alle rinnovabili, ci mancherebbe altro. Chiedo scusa di questa digressione.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Grazie, presidente. Svolgo un intervento sulle le due relazioni svolte dagli auditi.
  Porrei prima una domanda ai rappresentanti di AIGET, sulla situazione dei sistemi di misura, in linea con quello che abbiamo chiesto la settimana scorsa al Ministero dello sviluppo economico. Pare evidente che oggi l'unico strumento con cui effettivamente si riesce a misurare, per esempio, il consumo elettrico sia il contatore. Non si ha, però, una certificazione dello strumento, né un protocollo che permetta di verificare e di testare il grado di taratura dello stesso.
  Se io ho un problema col contatore, faccio uscire il proprietario, che mi assicura che funziona. È ovvio che ci sia un minimo di conflitto di interesse tra la persona che viene a rilevare il buono stato di manutenzione del contatore e il proprietario del contatore stesso. Sarebbe, infatti, a suo carico la sostituzione, qualora si rilevi una qualche problematicità nell'utilizzo.
  In realtà, pare che molti utenti abbiano avuto problemi seri nel passaggio soprattutto dal mercato di maggior tutela a quello libero, con incrementi tariffari in bolletta e con contatori che, in alcuni casi, sono letteralmente impazziti, con consumi e orari pari a quelli mensili in alcune fasce.
  Chiedo se non sia opportuno cercare di regolamentare questo sistema di misura in modo tale che, tramite l'utilizzo di periti e una procedura tecnica, che esiste per qualsiasi altro ambito di sistema di misura, dall'acustica alla termica, si possa verificare la veridicità del sistema di misura. Diversamente, cerchiamo sempre di parlare di risparmi ma, se non abbiamo un sistema di misura in grado di essere inattaccabile, forse si generano non pochi problemi.
  Per quanto attiene a Fire, io ho ricordi da progettista. Curiosavo nel sito, quando lavoravo da progettista, e ho sempre riscontrato tante notizie interessanti. Mi piacerebbe capire meglio un passaggio della relazione che ho letto sulla situazione dei pompaggi.
  I pompaggi sono oggi – ne abbiamo già parlato anche in altre audizioni – uno strumento inutilizzato. Si usava la produzione energetica notturna per gestire il picco di consumo diurno. Oggi ci troviamo al punto che essi non vengono utilizzati perché il prezzo dell'energia diurno e notturno è ormai praticamente identico.
  L'ubicazione non è sempre favorevole, ma non so se qualcuno abbia uno studio sul tema che possa considerare i pompaggi come accumulatori virtuali dell'energia in grado di assorbire l'extraproduzione diurna derivante dalle rinnovabili e, quindi, andare a limitare questa, che viene considerata sempre una problematica del tutto irrisolvibile, secondo me solo per una questione di volontà, più che di tecnica.
  Per quanto attiene alla figura dell’energy manager, sono anni, dall'entrata in vigore della legge n. 10 del 1991, che Pag. 22abbiamo questa figura e vedere il numero dei soggetti nominati nelle aziende è allarmante. A questo punto, forse bisogna rivedere il sistema. Probabilmente mancano meccanismi sanzionatori. Nel momento in cui non si sanziona chi non nomina la figura dell’energy manager, si consente all'amministrazione che non lo fa di non spendere quelle risorse e di diventare addirittura più virtuosa, dal punto di vista economico, nella propria gestione. Quando alcune amministrazioni nominano l’energy manager, al di là del fatto che utilizzano un bando di selezione che sembra quello della NASA, nel momento in cui si trovano a dover affidare all’energy manager compiti specifici, non si capisce come mai diventi sempre prioritario rifare la pavimentazione esterna di un asilo piuttosto che la copertura o l'isolamento a cappotto.
  Bisognerebbe anche dare all’energy manager una voce in capitolo più autorevole. Deve diventare uno strumento vincolante per l'amministrazione per poter investire i propri soldi in interventi che seguano princìpi di risanamento energetico. Dobbiamo crederci veramente. Se non ci crediamo, rischiamo semplicemente di aver già finito di parlare del problema. Se facciamo finta di crederci, e noi invece ci crediamo veramente, proviamo ad andare verso una direzione chiara ed univoca, quella cioè di attribuire all’energy manager alcuni compiti chiari e precisi. L'amministrazione dovrà sentire, tramite una sua relazione, se un dato intervento rientra in una delle priorità che potrebbero far risparmiare l'amministrazione comunale, o qualunque essa sia, nella propria gestione.
  Mi è difficile credere che all'interno di questo edificio, per esempio, ci sia un energy manager ! Francamente, spero di no. Spero che questa sia una di quelle amministrazioni che non l'hanno nominato, perché guardare l'Aula ancora con tutte quelle lampadine a incandescenza da 60 watt cadauna mi allarma. Sono accese 12 ore al giorno per quattro giorni. Un energy manager, anche senza una selezione tipo NASA, un semplicissimo e ottimo perito tecnico riuscirebbe a trovare soluzioni più efficienti.
  Chiudo sollevando il problema delle Esco sulle quali anch'io nutro alcune perplessità, perché in alcuni casi sembra che debbano risolvere tutto il problema da sé. Abbiamo assistito, però, ad alcuni tavoli tecnici regionali, per esempio nella regione Piemonte, in cui i gestori dei condomini erano totalmente preoccupati, in linea con quello che diceva il Presidente Abrignani, che essi non fossero soggetti credibili per ottenere finanziamenti da una Esco.
  Supponiamo che una Esco vada da un condominio di edilizia popolare, magari ubicato nella periferia e addirittura alimentato a gasolio. Sarebbe uno dei massimi tempi di ritorno dell'investimento. All'interno di quei 20-30 appartamenti notiamo, però, che ci sono cinque condomini morosi cronici. In quel momento ci si chiede: chi risponderà del mancato pagamento da parte del singolo ? Ovviamente, è tutto a carico della Esco. Oggi le banche, almeno in regione Piemonte, non sono mai riuscite ad accordarsi con la regione stessa per riuscire a finanziare una linea di credito adeguata in questo senso, perché mancavano specifiche garanzie. Non si sa chi sia il garante finale. Spostare il rischio su un'iniziativa del privato in alcuni casi diventa molto problematico. Potremmo forse ragionare su come, in alcuni casi, debba essere istituito un fondo di garanzia per coprire i problemi derivanti dai mancati pagamenti. Diversamente, si riflette tutto sull'economicità e sul potere economico della Esco medesima.
  Grazie.

  MARIASTELLA BIANCHI. Intervengo solo per un attimo. Ringrazio molto per l'audizione. Leggeremo con molta attenzione il materiale che ci avete fornito, ma vi ringrazio già per l'illustrazione di oggi.
  Pongo solo una domanda, che mi veniva da una considerazione del Presidente Abrignani, il quale chiedeva se le rinnovabili possono stare in piedi senza incentivi. A me viene da chiedermi se ci siano, Pag. 23in generale, forme di energia che stanno in piedi senza incentivi, visto che diamo il capacity payment alle centrali tradizionali e che il nucleare si faceva con la garanzia sulla bolletta dei cittadini e con finanziamenti alle banche. Forse dobbiamo provare a vedere un po’ tutti dove ci sono sussidi indiretti. Siamo talmente abituati a concederli che quasi non li riconosciamo più, ma sono molto più importanti rispetto a quelli che vanno in bolletta per le rinnovabili.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MICHELE GOVERNATORI, Presidente di AIGET. Parto, in ordine cronologico, con le due domande del Presidente Abrignani. La prima era chiedeva se la liberalizzazione dell'energia fosse un successo o un insuccesso ? Secondo me, essa ha dimostrato su alcuni aspetti importanti un grande successo, in particolare quella italiana. L’hardware dell'energia elettrica e del gas in Italia oggi è straordinariamente più moderno, efficiente e sicuro di com'era solo dieci anni fa. Ricordiamoci che dieci anni fa le centrali elettriche italiane erano tali da poter avere anche un blackout nazionale. Oggi abbiamo il doppio della capacità di punta rispetto alla domanda di punta. Siamo passati da un sistema vecchio e insufficiente a un sistema moderno e anche ecologicamente efficiente.
  Questo vale anche nella qualità commerciale, malgrado i problemi che ci stiamo dicendo. Oggi un venditore di energia, se vi tratta come un utente in cattività, difficilmente riesce a strapparvi un contratto. Prima c'era un monopolista. Tenderei, dunque, ad affermare che, dal nostro punto di vista, la liberalizzazione è stata un successo, ma che comporta alcuni rischi, nel momento in cui non sia governata bene. Uno dei rischi che a noi preme è quello che vi dicevo: poiché non tutto può essere affidato al mercato – ci sono alcuni pezzi della macchina, le reti soprattutto, che non sono affidate al mercato – la competizione che non c’è tra gli operatori deve essere gestita non solo da un legislatore efficace, ma proprio da un'Autorità indipendente e forte, che faccia le pulci con cattiveria agli operatori regolati. Il sistema liberalizzato deve funzionare anche dal punto di vista istituzionale e deve riuscire a mettere alla corda gli operatori che restano in condizioni di monopolio.
  Quanto ai pagamenti, grazie della domanda. Non ne avevo parlato perché temevo che fosse un tema troppo tecnico, invece lei mi offre l'opportunità di affrontarlo. Oggi noi venditori, che non abbiamo alle spalle un produttore o un distributore, rappresentiamo solo l'ultimo miglio della vendita dell'energia. Immaginiamo un venditore puro di energia. Compra l'energia all'ingrosso, magari alla Borsa elettrica, che è molto competitiva, paga l'accesso alle reti e svolge i suoi servizi commerciali per arrivare al cliente finale. Tale soggetto è l'ultimo miglio. Il cliente finale deve pagare a lui il costo di tutto, comprese le componenti regolate che afferiscono agli oneri di sistema, ma anche ai sussidi alle rinnovabili e al pagamento delle reti che non afferiscono alla competenza del venditore e sulle quali lui non può nemmeno fare sconti. Si prende, infatti, il cliente con microsconti sulla parte più competitiva, quella del prezzo dell'energia.
  Il fatto che oggi il mercato all'ingrosso dell'energia in Italia sia competitivo è fuor di dubbio. Oggi effettivamente la Borsa elettrica fa sì che l'ultimo che passa ci perda. Allo stesso modo, il mercato del gas non può più definirsi sicuramente oligopolista, come si poteva definire fino a qualche anno fa.
  Qual è il problema del venditore puro ? Il venditore puro guadagna, come è giusto che sia in un mercato competitivo, su una briciola, ma, se un cliente poi non gli paga la componente di oneri e le tasse, dovendo il venditore pagarle a monte, a Terna e ai distributori, che dalla loro posizione di monopolio staccano la macchina, se non paga, muore, o può morire, anche solo per un'importante insolvenza. Inoltre, strutturalmente, per come funzionano i tempi di pagamento, su cui non vi sto a tediare, deve, paradossalmente, fare da banca al Pag. 24sistema. Quand'anche il cliente finale paghi in tempo, il che, purtroppo, è sempre meno comune, il venditore deve anticipare i soldi ai gestori di rete. Perché questo è un problema, secondo noi ? Perché impedisce ai venditori di fare un buon lavoro e li espone a rischi che essi non possono limitare facendo meglio il proprio lavoro. Sono rischi strutturali, perché tali soggetti sono l'ultimo miglio. Su questo fronte noi stiamo chiedendo aiuto, lo chiediamo qui a voi e lo stiamo chiedendo all'Autorità. Riteniamo che il mercato possa funzionare ancora meglio se i venditori, che devono lavorare duramente sulle questioni che competono loro, salvati devono essere tutelati da rischi che non competono loro e che, però, possono essere per loro esiziali.
  Passiamo alle misure. Grazie al lavoro del nostro segretario generale, ho con me una sua interrogazione del 16 ottobre scorso. La trovo molto condivisibile, e non solo per il richiamo che viene fatto all'importanza che i misuratori siano affidabili e sicuri dal punto di vista tecnico. C’è un altro tema, riportato nell'interrogazione, che è forse meno percepito da chi non è del settore, ma che per noi è ancora più grave e a cui darei la preminenza, secondo i nostri interessi. Si tratta della qualità – ne parlava Di Santo, direttore di Fire, – con cui i distributori usano queste misure.
  Quand'anche, come spero, la macchina che fa da misuratore sia perfettamente tarata, quand'anche si abbia un misuratore elettronico fantastico, che misura il consumo per fasce orarie e il picco di consumo e che, quindi, permetta di capire quando si rischia che il contatore salti, e addirittura di valutare meglio quanta capacità serva rispetto ai propri obiettivi, questo misuratore non solo è in cantina e, quindi, non è possibile oggetto di domotica, ma viene letto, quando va bene, una volta al mese, o una volta ogni periodo di fatturazione. In tal modo si perdono informazioni che non solo sono utili al cliente finale, ma che, se fossero accessibili ai venditori, sarebbero preziose. Se i venditori potessero entrare in un sito business to business – peraltro, Acquirente unico sta lavorando nella direzione di un sistema informativo integrato, e noi l'appoggiamo – accedere a un database e sapere davvero quali sono le abitudini di consumo di un cliente, o di un potenziale cliente, potrebbero fargli un'offerta ancora più adatta ai suoi bisogni e aiutarlo, così come deve fare un energy manager, a risparmiare. Le misure sono senz'altro un tema molto importante per la maturità del mercato, ma c’è un problema di accesso ai dati all'origine, esistenti a profusione. C’è anche talvolta un problema di patologia, per cui le misure arrivano sbagliate o arrivano dopo mesi o anni. In un contesto in cui io prendo un cliente con un microsconto e poi né io, né quel cliente sappiamo con sicurezza quanto lui ha consumato negli ultimi mesi, è chiaro che ci stiamo prendendo in giro. Stiamo facendo la concorrenza sulle briciole di un prezzo di una somma che non conosciamo. Questo punto è, dunque, assolutamente prioritario anche per noi.
  Vorrei chiudere con un riferimento, se posso permettermi, a quello che diceva l'onorevole Bianchi. Sono d'accordo con lei: c’è un’escalation di sussidi – io parlo del settore energetico, quello che mi compete – nel nostro settore che porta anche a effetti assurdi, che rendono più difficile per il regolatore far funzionare la macchina competitiva. Ci sono sussidi contraddittori. Lei parlava del capacity payment per le centrali, anche quando non ne hanno bisogno. Sapete che è stato rinnovato il capacity payment per le centrali a olio combustibile. Si tratta di centrali a cui, in vista di un remotissimo e mai più successo da anni rischio di emergenza gas, vengono pagati i costi fissi. Fuori dai denti, non è vero che non siano un problema. Sono centrali grandi, che occupano un sacco di persone e completamente fuori mercato. C’è un problema di welfare, è inutile che fingiamo che non ci sia. C’è un problema occupazionale grave. Lo stiamo risolvendo, però, inventandoci un'emergenza gas, o comunque attribuendo un valore forse eccessivo al rischio di un'emergenza gas e decidendo di dare soldi a chi brucia olio combustibile, operazione che ormai, peraltro, non si fa più, perché quelle centrali sono fuori mercato.Pag. 25
  Aggiungo una battuta sugli edifici pubblici. Lei faceva l'esempio del Parlamento. Mia figlia va in una scuola statale a Roma, la quale mi chiede, come credo quasi tutte le scuole in Italia, le collette per la carta igienica. Tra poche settimane accenderanno i termosifoni e io troverò di nuovo le finestre aperte e la mancanza di valvole termiche nei termosifoni. Questa scuola mi chiede le collette per la carta igienica. Anche secondo me c’è tanto lavoro da fare sul settore.

  DARIO DI SANTO, Direttore di Fire. Io ho tante risposte da fornire. Molto velocemente, sul tema della liberalizzazione del mercato, se conviene o non conviene, come in tutte le cose ci sono lati positivi e negativi. Se tornassimo al monopolio, avremmo una serie di problematiche che forse ci siamo scordati. Quello che conta è che non possiamo vivere un mercato libero in un'ottica di sussidio. Se superiamo questo limite, la liberalizzazione porta vantaggi. Peraltro, i trader e i venditori sono soggetti che adesso possono partecipare all'efficienza. La logica è che, se io sono un grande operatore del settore dell'energia, sapendo che ho gli obblighi europei, i trend mondiali e l'efficienza, posso fare due cose: o vado all'estero a cercare mercati che siano ancora a inizio sviluppo e muoio in Italia, oppure cerco di vendere l'efficienza insieme all'energia. È l'unico modo che ho per fidelizzare il cliente, da un lato, e per avere un business a mano a mano che calano i quantitativi comprati, dall'altro. Non è un caso che buona parte degli operatori stia andando in questa direzione. Ciò può essere utile soprattutto per raggiungere gli utenti medio-piccoli.
  Quanti ai rapporti con i condomini, come si garantiscono ? C’è chi ha pensato a un meccanismo di questo genere: si crea una sorta di fondo di garanzia privato, facendo versare un 5 per cento dell'importo dell'investimento previsto ai condomini, lo si tiene in garanzia insieme alla banca, la banca finanzia il 100 per cento e poi, quando si arriva al 95 per cento della restituzione del capitale, si riprende il 5 per cento e si finisce di pagare questo investimento. È ovvio che il condominio non può essere un condominio di base moroso, ma questo è un principio che vale sempre. Se il cliente non paga perché non ha proprio un euro, l'unica opzione che si ha è quella di operare con un sistema amministrato di intervento, come si è fatto in alcune aree del Regno Unito. Si dà mandato al distributore dei certificati bianchi di realizzare un tot di interventi ogni anno su una determinata fascia di edilizia pagato completamente dallo Stato. Nel nostro Paese una soluzione del genere è molto pericolosa, perché sappiamo come verrebbe interpretata dal lato dei furbi. I certificati bianchi stanno funzionando bene, soprattutto perché sono un meccanismo che ha avuto le sue problematiche. Non è perfetto, ma si è intervenuti su di esso progressivamente da parte dei ministeri, del Parlamento e anche dell'Autorità, finché c’è stata. Questo ha migliorato progressivamente il meccanismo.
  Si tratta di un meccanismo di mercato che non offre garanzie totali sui flussi di cassa futuri, ma che ha consentito di sviluppare un mercato e di fare evolvere alcuni operatori da semplici consulenti sull'accesso agli incentivi a Esco che offrono servizi finanziari. Soprattutto è ormai virato tutto sull'industria. Nel 2013 il 90 per cento dei progetti presentati sono progetti industriali, tutti misurati, il che significa che ci offrono informazioni importanti su quello che sta accadendo nel Paese e che nel tempo aiuteranno anche l'industria a evolvere. Il certificato bianco, infatti, richiede le misure, obbliga la Esco che interviene a capire come funziona il processo produttivo e, quindi, un po’ per volta, genera anche un miglioramento.
  L'incertezza sugli investimenti dell'energia collegati a questo tema non è cancellabile, ma si può usare un fondo di garanzia. Noi ci abbiamo studiato sopra alcuni anni. Può aiutare ma, anche in questo caso, non posso agire con il fondo di garanzia, laddove ho tutti i clienti morosi. Se mi brucio il fondo di garanzia in questo modo, non funziona. Il Fondo di garanzia delle PMI funziona perché il tasso di fallimento è bassissimo e la stessa Pag. 26cosa, concettualmente, deve avvenire dall'altra parte. Se tra i fondi della BEI e i fondi nazionali si mettesse in piedi un meccanismo, potrebbe funzionare. Per esempio, quando era uscita l'idea dell'obbligazione dei bond per gli sconti energetici, noi avevamo proposto piuttosto di tararli su un fondo di garanzia nazionale. Il risultato sarebbe meno immediato e meno diffuso, ma più strutturale.
  Quanto ai pompaggi, sono una specie in via di estinzione, ma è un fatto normale. Se chi produce energia termoelettrica è lo stesso proprietario dei pompaggi e c’è un mercato corto, alla fine probabilmente gli conviene produrre un po’ di più col termoelettrico e lasciar stare i pompaggi. Non a caso, Terna aveva chiesto di prendersi i pompaggi.
  Ogni cosa ha i suoi lati positivi e i suoi lati negativi. Al momento è paradossale il fatto che noi abbiamo tutti questi problemi. Tutti plaudono all'utilizzo degli stoccaggi, ma poi la parte più forte degli stoccaggi si lascia inutilizzata per buona parte della potenza disponibile. Probabilmente rimarrà così finché non evolve il mercato e non si ritira su la domanda. Oppure, in un'ottica di mercato, si chiude qualche gigawatt termoelettrico di troppo, perché comunque 78 gigawatt, con la potenza che abbiamo, anche se non ci fosse stata la crisi, sarebbero stati un po’ tanti. Ne abbiamo 20 di idroelettrico e altri 20 di fotovoltaico ed eolico. Possiamo andare ad alimentare mezza Europa.
  L'ultima questione riguarda gli energy manager. Camera, Senato e Governo sono i primi enti inadempienti. Hanno dato il cattivo esempio subito. Al di là di questo, la legge n. 10 del 1991 prevedeva sanzioni che non sono mai state applicate, anche perché nessuno ha mai affidato l'incarico a qualcuno di controllare i consumi, il che avrebbe significato avere accesso ai consumi delle aziende e, quindi, creare un guazzabuglio. Avrebbe senso farlo adesso ? Non penso proprio.
  Se avessimo applicato la legge n. 10 del 1991, che chi non la conosce farebbe bene a leggersi, perché è una legge ancora oggi molto innovativa e intelligente, saremmo in tutt'altra posizione. Essa disponeva che, per accedere agli incentivi, si dovesse avere l’energy manager, condizione che si è persa quasi subito per strada. Era molto più forte, in realtà, come condizione di quanto non lo fosse la sanzione che, oggi come oggi, vedrei poco applicabile oggettivamente, con le situazioni che ci sono. Alcuni non hanno l’energy manager semplicemente perché non sono informati. Il piccolo comune campa perché ha la buca nella strada e perché qualcuno ha investito il cane. Non va a pensare alla valvola termostatica della scuola, anche se gli converrebbe. Servono quindi tanta informazione e supporto per riuscire a cogliere questa opportunità, magari in un'ottica Esco.
  Faccio solo un'ultima precisazione. Il Patto dei sindaci chiede ai comuni che l'hanno sottoscritto una condizione molto simile al sistema di gestione dell'energia. Per alcuni versi, va anche oltre. Non è un caso che anche alcuni piccoli comuni si siano certificati ISO 50001 di recente, proprio per stare dietro al Patto dei sindaci. Questo significa che anche la piccola amministrazione, se è sensibilizzata e pone attenzione a queste problematiche, può ottenere grandi risultati. Ci sono anche alcune buone pratiche in Italia che lo dimostrano.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di AIGET e di Fire per i loro contributo molto interessanti e autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegati).
  Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.

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