XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 3 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Abrignani Ignazio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE E SULLE PRINCIPALI PROBLEMATICHE IN MATERIA DI ENERGIA

Audizione dei rappresentanti di Anigas e di Assorinnovabili.
Abrignani Ignazio , Presidente ... 3 
Simoni Giovanni , Vicepresidente di Assorinnovabili ... 3 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 7 
Tani Bruno , Presidente di Anigas ... 7 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 10 
Crippa Davide (M5S)  ... 10 
Benamati Gianluca (PD)  ... 12 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 13 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 14 
Crippa Davide (M5S)  ... 14 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 14 
Simoni Giovanni , Vicepresidente di Assorinnovabili ... 14 
Tani Bruno , Presidente di Anigas ... 16 
Benamati Gianluca (PD)  ... 16 
Tani Bruno , Presidente di Anigas ... 16 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IGNAZIO ABRIGNANI

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dei rappresentanti di Anigas e di Assorinnovabili.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Anigas e di Assorinnovabili.
  Do la parola all'ingegner Giovanni Simoni, vicepresidente di Assorinnovabili.

  GIOVANNI SIMONI, Vicepresidente di Assorinnovabili. Buonasera a tutti e grazie per l'invito. Sono qui in rappresentanza di Assorinnovabili, un'associazione che è il risultato della recente fusione di due realtà preesistenti, APER (Associazione produttori energia rinnovabile) e Assosolare (Associazione nazionale dell'industria solare fotovoltaica). L'associazione conta oggi 500 soci che controllano 1300 impianti, per circa 10 mila megawatt di potenza elettrica da fonti rinnovabili, ovvero più di un terzo di tutta la potenza italiana da rinnovabile.
  Abbiamo letto con attenzione, nei mesi passati, il documento del Governo sulla Strategia energetica nazionale che, evidentemente, è parso cambiare nel tempo. Ci siamo attenuti – mi sembra – a quel documento per quanto riguarda i nostri commenti, mentre in seguito faremo qualche proposta.
  Condividiamo gli obiettivi generali del documento: competitività del sistema Italia, ambiente, sicurezza, crescita. Abbiamo, tuttavia, come imprenditori, il problema di capire bene quali sono gli obiettivi, che nel tempo sono cambiati, e traguardando la Strategia energetica nazionale al 2020, abbiamo pochi elementi non solo per parlare oltre, ma anche per capire cosa succederà nei prossimi 7-8 anni.
  Conoscete bene la situazione energetica nazionale dal punto di vista elettrico. Il mercato elettrico è oggi stabile, da anni non aumenta e, anzi, per quest'anno registriamo un'ulteriore lieve diminuzione. È un mercato che non prevede crescite neppure nei prossimi 7-8 anni, per varie motivazioni: la situazione economica generale, il risparmio, la delocalizzazione produttiva di alcuni impianti da parte di aziende che, trasferendosi all'estero, riducono la domanda di energia nel nostro Paese.
  Il consumo nazionale (per coloro che conoscono la terminologia tecnica) è di 340 terawattora (ovvero miliardi di chilowattora), che corrisponde all'incirca al consumo del 2012 o, per meglio dire, al fabbisogno, poiché il consumo è inferiore, essendovi delle perdite. La stima per il 2020, secondo i piani nazionali, non prevede Pag. 4aumenti, perché arriva a 345 rispetto ai 340 di oggi, con un fabbisogno praticamente immutato. Nell'ambito di questi dati, però, la quota derivante da rinnovabili, sempre secondo il documento di SEN, dovrebbe crescere da 92 (90 o poco più) a 130 terawattora; questo era l'obiettivo primario, raggiungere il 38 per cento di energia elettrica da fonti rinnovabili.
  Successivamente, l'Authority ha espresso qualche dubbio rispetto a questo obiettivo, riducendolo da 130 a 115 terawattora, con una percentuale di copertura da rinnovabili del 33 per cento. È nostra opinione che anche questo obiettivo sia molto difficile da raggiungere fino a che non verranno emanate quelle regole che oggi aspettiamo.
  Abbiamo riportato all'interno della memoria che vi è stata consegnata un esempio di quanto è stato ottenuto nel fotovoltaico, i cui costi sono stati molto criticati (su questo torneremo più avanti). Oggi abbiamo un risparmio annuale di gas, effetto della produzione elettrica da fotovoltaico che ha sostituito prevalentemente la produzione da gas, di circa 3 miliardi di euro l'anno. Ho ritenuto opportuno comunicare questo dato, spesso nascosto dai grandi media, prima di soffermarmi brevemente sui costi, dei quali invece in questo momento si parla ampiamente.
  Oggi, in Italia, ci sono quasi 600 mila impianti, con una produzione di energia elettrica decentrata molto diffusa. Questa struttura energetica nazionale, che oggi è di 18 mila megawatt di solo fotovoltaico, è stata realizzata con un finanziamento vario: circa 50 miliardi negli scorsi anni, con una prevalenza di debito bancario – le banche, cioè, hanno finanziato pesantemente questa struttura, per circa il 70 per cento, pari a circa 35 miliardi nel complesso – e fondi provenienti dall'estero per circa il 25 per cento del totale dei 50 miliardi, quindi circa 12-12,5 miliardi. Evidentemente, questo afflusso di denaro è stato attratto da un'interessante prospettiva di reddito dovuta agli incentivi concessi dai diversi Governi.
  Oggi però, lo sappiamo tutti, gli incentivi nel settore fotovoltaico sono terminati, è stato raggiunto il cap nel luglio di quest'anno. Chi vuole fare un altro impianto fotovoltaico, quindi, lo deve fare senza affidarsi agli incentivi, poiché non ci sono più incentivi diretti. Resta un'importante incentivo di tipo indiretto, ovvero la detassazione di una parte dell'investimento necessario; si tratta, ovviamente, di una soluzione interessante per chi paga le tasse, mentre per chi non le paga è un vantaggio pari a nulla. È un tema che riteniamo interessante, benché limitato per ora alle sole persone fisiche. Lo spazio d'intervento pubblico risulta praticamente azzerato.
  In aggiunta, se pensiamo al futuro, in questo momento siamo un po’ «accerchiati». Le rinnovabili, e il fotovoltaico in particolare, sono oggetto di mancanza di regole; di nuove tasse, recentemente introdotte con la Robin Tax, anche per gli impianti di più ridotta dimensione; di imposizione di oneri di sbilanciamento, che abbiamo contestato, pur non negando l'esistenza di problemi da esaminare, che però vorremmo lo fossero in maniera trasparente. Peraltro, abbiamo aperto un tavolo per discutere con l'Authority di questo aspetto. Inoltre, ci troviamo oggi di fronte a un decreto-legge cosiddetto del Fare che dice alcune cose per noi preoccupanti.
  La prospettiva di finanziare il GSE (Gestore dei servizi energetici) per mantenere il livello di erogazione verso i proprietari di impianti, visto che sono legati da contratti che non si possono cambiare, ci vede interessati. Se una parte di queste risorse finanziarie, invece che venire dalle bollette, venisse da altri strumenti finanziari, in sostanza dal mercato, è chiaro che avremmo un risultato positivo sulle bollette e manterremmo gli impegni che lo Stato ha preso rispetto agli investitori. Questo è molto importante, perché in giro per il mondo la credibilità e la stabilità rispetto ad alcune questioni nel nostro settore sono elementi fondamentali. Si pensi, ad esempio, al caso spagnolo Pag. 5dove, in passato, l'adozione di misure retroattive ha portato letteralmente a far fuggire tutti gli investitori e questo ha un po’ bloccato ogni politica delle rinnovabili in Spagna.
  Anche nel decreto del Fare, abbiamo visto, c’è una misura retroattiva che intende togliere una facilitazione, il ritiro dedicato, cioè la possibilità di vendere al GSE l'energia elettrica prodotta a un prezzo minimo fissato dall'Authority. In molti casi, specialmente nel Sud, questo prezzo era anche inferiore al prezzo di mercato zonale; oggi, togliendo questo diritto, si tolgono ovviamente dei soldi ai proprietari di impianti (circa 170 milioni di euro all'anno) ma si toglie più che altro una certezza. Si toglie, cioè, il fatto che uno non sa a quale prezzo potrà vendere l'energia elettrica; e quando si toglie certezza, evidentemente, si insinuano dubbi e le banche, se possono – oggi sono molto coinvolte sul passato – si ritirano dal gioco.
  Mentre l'idea di portare una parte di questi oneri sul mercato, come abbiamo già detto in vari comunicati, ci trova d'accordo, siamo fortemente contrari, come potete capire, a ogni misura retroattiva.
  Nella memoria troverete un'analisi di questo tema che riguarda la famosa tariffa degli oneri di sistema, la tariffa A3, che paghiamo tutti e che ha raggiunto una cifra pari a circa 12 miliardi all'anno. Se nel breve periodo, ad esempio nei prossimi quattro anni, i 12 miliardi che il GSE deve erogare fossero finanziati dalle bollette ma anche, in parte, da un prodotto finanziario nuovo, come un bond, ad esempio, questo, che si valuta fra 2 e 3 miliardi, ridurrebbe corrispondentemente l'ammontare da pagare in bolletta. Si tratterebbe di una riduzione non eccessiva, forse marginale, ma in ogni caso importante dal punto di vista del significato.
  Il significato importante, a mio avviso, è che spostando il finanziamento dalle bollette al mercato si comunica al mercato che il prodotto finanziario serve a mantenere i finanziamenti che sono stati impegnati dallo Stato verso i produttori, ma soprattutto chi lo sottoscrive fa un atto di credibilità nel settore. Quindi, mentre da una parte – è chiaro che l'abbiamo subìto tutti – abbiamo pagato la bolletta che ci veniva propinata e veniva decisa dall'Authority, in questo modo c’è un atto di volontà di sottoscrizione di un titolo. Io sono d'accordo, tanto che sarei disponibile anche a sottoscrivere diversi titoli.
  Certo, bisogna ripagare questo bond che, però, potrebbe avere una durata molto lunga, in attesa che il ventennio di incentivi – che vengono corrisposti a partire dal 2005, quindi i primi incentivi finiranno nel 2025 – arrivi a compimento, in massima parte nel 2031. Se nel 2031 ci sarà un crollo della componente A3, quindi la bolletta verrà drasticamente ridotta, a quel punto potrà sopportare un nuovo aumento, non rispetto al livello di oggi, ma a quello che sarebbe allora (quindi, molto inferiore), per la restituzione di questi bond.
  Non possiamo, quindi, che dare un parere favorevole a uno spostamento di questo genere, ovvero uno spostamento sulla bolletta futura, vera garanzia su questi bond, che però non andrebbe ad appesantire eccessivamente la bolletta stessa.
  Per quanto riguarda il futuro, abbiamo elencato alcuni punti-chiave per la politica nazionale. In primo luogo, si tratta di promuovere la cosiddetta generazione distribuita, cioè la generazione di impianti di produzione elettrica decentrata, di diverse dimensioni e in diversa forma. Questi impianti, però, dovrebbero essere dotati, man mano che i costi degli accumuli elettrici si riducono, anche della possibilità di autoregolarsi. Questo consentirebbe un salto di qualità al settore delle rinnovabili non programmabili e gli conferirebbe pari dignità rispetto ad altri settori più convenzionali che – dico per fare un esempio, pur sapendo che non è esattamente così – possono accendere e spegnere le proprie centrali quando vogliono e quindi regolare la produzione di energia elettrica.Pag. 6
  Altri punti-chiave sono: favorire gli accumuli elettrici (il punto è legato al problema appena esposto); integrare meglio le reti rinnovabili nella rete elettrica; razionalizzare tutti gli oneri di sistema attraverso un confronto diretto anche con gli operatori, per determinare quali sono i criteri con i quali si fanno i conti; riformare il sistema dell’emission trading, cioè lo schema che oggi associa alla quantità di CO2 risparmiata valori molto bassi, che certamente non contengono il costo di tutte le esternalità delle produzioni fossili.
  Infine, vi è un punto di portata generale, che risolve il problema dell’overcapacity. Oggi in Italia abbiamo una capacità complessiva di potenza elettrica installata che è circa il doppio di quanto possa servire nei momenti di punta. Abbiamo, quindi, una sovracapacità che pesa, in particolare, sulle fonti fossili. Alcuni dei titolari di questi impianti, infatti, si lamentano fortemente perché, in contemporanea all'elaborazione del piano nucleare e allo sviluppo favorito dallo Stato delle fonti rinnovabili, si trovano ad aver investito in oltre 20 mila megawatt di ulteriore potenza che ora non trova sbocco sul mercato, o trova soltanto uno sbocco marginale. In tal senso, riguardo alle fonti che non sono disponibili durante la sera e che, quindi, hanno bisogno di un backup, siamo disposti a discutere di quanto abbiamo bisogno ma, ci sembra chiaro, tale argomento va visto nel sistema integrato e va decisa politicamente la dimensione.
  Uno dei grandi temi, come trovate nella memoria, è quello della generazione distribuita, che significa sostanzialmente riuscire a produrre là dove c’è il consumo. Non parlo della singola casa, ma di un gruppo di case o di un distretto industriale, cioè di realtà di dimensioni variabili, in funzione della necessità, dove si consuma e si produce e queste due cose si collegano in modo tale da risparmiare ovviamente nella distribuzione, ma anche favorire quello che si chiama un utilizzo intelligente della risorsa.
  Su questo punto, l'Authority è estremamente restia a regolare una situazione che la legge ha definito cinque anni fa e che ancora non è regolata; gli operatori aspettano da tempo che questo avvenga, come peraltro promesso da parecchi mesi.
  Abbiamo letto diverse memorie, che abbiamo anche discusso, con le quali non siamo d'accordo. Bisogna premettere una considerazione semplice: chi paga l'onere di sistema ? L'onere di sistema oggi si paga in funzione dell'energia elettrica ritirata dalla rete. Se io faccio una rete privata e collego dieci contatori alla mia rete privata, dove ho anche una produzione e un solo punto di collegamento con la rete, pagherò questa parte di A3 per l'energia che ritiro dalla rete e poi distribuisco. Gli altri dieci contatori che sono dentro il mio sistema non pagano più quella parte della componente A3. Questo potrebbe portare aumenti di A3 sulla restante parte; dai conti che abbiamo fatto, l'aumento di A3 è del tutto marginale, quindi si potrebbe trattare con lo stesso metodo discusso prima a proposito dei bond. Troverete i numeri di questo esercizio esemplificativo nella memoria.
  Altro punto importante, tra quelli citati, è favorire lo sviluppo degli accumuli. L'accumulo è stato approvato, di recente, per alcuni grandi progetti di Terna ma non è stato mai regolato né approvato sulla parte di produzione decentrata. Questo punto è molto importante perché contiene un fattore di innovazione per il nostro Paese e per le aziende. Attorno all'accumulo, infatti, c’è l'operazione che deve in qualche modo regolare i flussi di energia fra le produzioni locali, la rete, l'accumulo e i consumatori, e questi sono i nuclei veri delle cosiddette smart grid, le cellule che poi, unite, costituiscono un sistema più integrato e intelligente.
  Se non pensiamo seriamente all'accumulo, noi perdiamo un altro treno. Lo abbiamo perso sul fotovoltaico negli anni Ottanta e lo perderemo adesso sull'accumulo e sulla tecnologia delle batterie di nuova generazione se non pensiamo seriamente, anche attraverso regole, al mercato.Pag. 7
  Mi scuso se mi sono dilungato eccessivamente. Troverete le informazioni necessarie nella memoria che abbiamo consegnato. Resto, ovviamente, a disposizione per ogni chiarimento e per rispondere alle domande.

  PRESIDENTE. Ho avuto modo di leggere il documento e mi è sembrato molto preciso, dunque, ne sono certo, saranno poste delle domande.
  Do la parola all'ingegner Tani, presidente di Anigas.

  BRUNO TANI, Presidente di Anigas. Buongiorno a tutti. Anigas è l'associazione che rappresenta le vecchie aziende operanti nella distribuzione e nella vendita di gas. L'associazione, che oggi ha circa 60 anni di vita, era nata per rappresentare le vecchie aziende private che portavano il gas fino al contatore di casa. Oggi è un'associazione integrata anche verticalmente nelle varie fasi della filiera. Rappresentiamo circa il 65 per cento del mercato del gas italiano; considerato che l'Italia è un Paese – come si dice – «a gas», si tratta di un settore importante.
  Per darvi un'idea e inquadrare bene l'assetto delle nostre aziende, il 65 per cento del mercato è rappresentato da Anigas che comprende le aziende italiane più grandi (come ENI ed ENEL), le imprese straniere operanti in Italia (i tedeschi di E.ON, i francesi di Gaz de France, gli spagnoli di Gas Natural), e in più numerose piccole e medie aziende italiane. Il restante 35 per cento del mercato è rappresentato dalle aziende ex municipalizzate, molte delle quali oggi sono quotate in borsa, le famose multiutility, ma anche monoutility, di estrazione pubblica.
  La loro associazione è Federutility che, ho visto, è già stata audita da questa Commissione; non aderisce a Confindustria ma a Confservizi, che riguarda le aziende ex pubbliche. Peraltro – apro un inciso – sono in corso ragionamenti per giungere a una confluenza; ormai, come avrete notato anche dal vostro osservatorio, il modo di ragionare e le strategie sono sostanzialmente le stesse, non c’è più quel dualismo e la differente interpretazione dei ruoli, tipici invece del passato. L'onorevole Montrone lo sa perché, fino a poco tempo fa, faceva parte del consiglio di amministrazione di Hera, una di queste grandi aziende che si occupano di queste attività.
  È molto importante che la Commissione parlamentare si occupi di strategia energetica nazionale. Non devo sottolineare – è una consapevolezza presente soprattutto in queste stanze – l'importanza che hanno la strategia energetica e, più in generale, l'energia per la ripresa di un'economia, per l'efficienza, per il progresso e per la crescita.
  Parliamo di strategia energetica da molto tempo, ormai; abbiamo seguito la fase di consultazione istituita dal Ministero dello sviluppo economico all'epoca della redazione del documento sulla Strategia energetica nazionale e abbiamo prodotto un nostro documento, che troverete allegato alla nostra relazione. Abbiamo seguito, inoltre, la consultazione in sede europea, avanzando le nostre osservazioni – trovate anche queste allegate alla relazione – al Libro verde che sposta l'orizzonte della strategia energetica europea al 2030. Adesso che si parla di road map per il 2050; certo, nella nostra situazione è velleitario parlare di ciò che potrà accadere fino a tale data, ma cerchiamo almeno di guardare avanti.
  Uno dei principali problemi che riscontriamo in Italia deriva dalla situazione generale e riguarda la governance; nel nostro settore di attività tutti chiederemmo stabilità, certezza delle regole, continuità. Purtroppo, questo non appartiene al nostro mondo, specialmente al mondo italiano, ma non possiamo fare a meno di sottolineare questo aspetto: investitori, aziende, operatori hanno bisogno di stabilità e hanno bisogno di certezze sulla continuità e sul corretto impiego degli investimenti. Per questo motivo chiediamo scelte politiche future che siano coerenti e conformi a quelle che sono le strategie che ci siamo dati.Pag. 8
  A tale riguardo, intendo sottolineare che siamo favorevoli alla riforma del Titolo V della Costituzione che decentrerebbe alcune decisioni in materia energetica, che impattano fortemente sull'andamento dell'economia nazionale, anche per semplificare le procedure di autorizzazione.
  Un'altra raccomandazione che ritengo opportuno rivolgere alla Commissione è quella di considerare che ciò che succede a livello di Unione europea a nostro avviso è molto importante; la definizione delle strategie europee va seguita e dobbiamo cercare di esercitare influenza sulla loro definizione. Non sempre in passato l'Italia, secondo noi, è stata efficace nel rappresentare gli interessi e, potremmo dire, la nostra peculiarità italiana. Per fare un esempio, l'Italia è, tra i Paesi industrializzati, ai primi posti per l'efficienza energetica rispetto al parametro dell'intensità energetica, ovvero al rapporto fra il prodotto interno lordo e i consumi di energia. Capite bene che si tratta di una proporzionalità diretta: più alto è il prodotto interno lordo, più alti sono i consumi di energia; i Paesi che, a parità di prodotto interno lordo, hanno minor consumo energetico sono i più efficienti e noi siamo fra questi. Probabilmente negli obiettivi di Kyoto, che siamo costretti a seguire, siamo penalizzati perché partiamo da una condizione già altamente efficiente ed è pertanto difficile aumentare ulteriormente l'efficienza.
  Possiamo dire che siamo bravi, perché efficienti, ma lo siamo perché abbiamo sempre pagato molto l'energia e quindi, se vogliamo, sono le leggi dell'economia che ci hanno sempre spinto a costruire impianti che consumano poco.
  Gli obiettivi fondamentali della Strategia energetica nazionale sono intuibili. È chiaro che bisogna fare in modo di avere energia a sufficienza, energia che costa poco, e prestare la massima attenzione alla compatibilità ambientale. Data la situazione economica del momento, va da sé che un occhio anche al rapporto costi-benefici va posto.
  Gli obiettivi di Kyoto sono ormai raggiunti; l'Italia è addirittura avanti. Una delle critiche che rivolgiamo alla Strategia energetica nazionale è che si è data degli obiettivi che vanno oltre gli impegni di Kyoto, e questi obiettivi costano. Sono lodevoli, certo, e forse ci porteranno in un mondo migliore di questo, più pulito, meno inquinato, ma bisognerebbe anche che ci arrivassimo vivi. Queste attività, infatti, come la riduzione dell'impatto di emissioni di CO2, come tutti gli obiettivi di risparmio energetico, compresi quelli di efficientamento, ovviamente hanno dei costi. A questo proposito parliamo di rapporti costi-benefici e, quindi, richiamiamo l'attenzione sul gas.
  L'Italia va a gas: è un'affermazione che abbiamo sentito dire più volte. Questo significa che è il Paese che più di altri usa il gas per la produzione di energia elettrica e per i fabbisogni energetici in generale. C’è, dietro a questo, una ragione storica: la rinuncia al nucleare ci ha portato a concentrarci sul gas. A monte del vecchio referendum sul nucleare c'era un piano energetico nazionale che prevedeva la copertura del 20 per cento del fabbisogno energetico da nucleare. Cancellato il nucleare, è toccato al gas coprire, negli anni successivi, la fetta di fabbisogno energetico rimasta scoperta.
  Le incentivazioni alle rinnovabili, ovviamente necessarie, sacrosante e sulle quali non si discute, mettono in luce, però, un aspetto del quale non si è tenuto conto. Nel calcolare il livello di incentivazioni, infatti, non si è tenuto conto del tasso di inquinamento della fonte primaria che si andava a «spiazzare»: se, per intenderci, spiazzo del carbone, porto un grande beneficio ambientale, mentre se «spiazzo» del metano porto sempre un beneficio, ma molto inferiore. Occorrerebbe, quindi, che gli incentivi fossero dosati anche sulla base di questi aspetti.
  Come ha già illustrato il presidente di Assorinnovabili, oggi abbiamo un abbondante parco di produzione termoelettrica. È un peccato, perché i nostri cicli combinati, che vanno a gas, sono i più efficienti Pag. 9e sono di data relativamente recente, ma adesso sono fermi. Addirittura, si arriva al punto in cui c’è qualcuno che dà dei soldi pur di immettere l'energia in rete: si è arrivati al prezzo negativo. Abbiamo centrali ferme che, ovviamente, hanno avuto dei costi e che sono state finanziate, così come tutti gli impianti del gas.
  Su questo tema dell'Italia che va a gas, vorrei dire ancora che il gas, in Italia, si usava anche prima della guerra, ai tempi dell'autarchia, mentre in Europa non si usava. È anche per questo che siamo avanti e che i nostri impianti sono all'avanguardia; le nostre reti di trasmissione e di distribuzione locale raggiungono in maniera capillare ormai tutte le abitazioni: vi sono 22 milioni di contatori installati. Sarebbe quindi un peccato decidere di buttare a mare tutto questo, anche rispetto al discorso costi-benefici.
  La Strategia energetica nazionale prevede anche uno sviluppo delle infrastrutture rispetto al quale siamo, ovviamente, d'accordo, soprattutto per quanto riguarda il trasporto, specialmente con la liberalizzazione del mercato, con l'obiettivo più che condivisibile di arrivare a un mercato unico europeo, il che ci darebbe anche molto più potere contrattuale come consumatori rispetto a oggi.
  Il nostro è un mercato di 70 miliardi di metri cubi all'anno. Per dare un'idea, prima della crisi era di 80 miliardi di metri cubi all'anno; questa è la diminuzione che abbiamo registrato, in parte per la crisi, in parte per le rinnovabili che hanno «spiazzato» una porzione di questa riduzione dei consumi. Il mercato europeo sarebbe un mercato da 450 miliardi di metri cubi all'anno; un mercato, quindi, con molto più potere nei confronti dei Paesi produttori, come probabilmente avrete già sentito dire più volte.
  Vorrei parlarvi ancora, brevemente, del mercato dell'approvvigionamento e del discorso take or pay o mercato spot. Negli ultimi anni, come molti di voi sapranno, in seguito alla diminuzione dei consumi, alla crisi economica e all'avvento delle rinnovabili, che hanno spiazzato, in parte, anche i consumi di gas, si è creata una situazione di abbondanza di metano che ha portato alla creazione di un mercato spot, con prezzi più bassi, del quale hanno usufruito molti consumatori finali.
  Inoltre, come anche voi avrete sentito dire – apro una parentesi – non è vero, e forse non lo è mai stato, che il costo del gas in Italia è più alto rispetto agli altri Paesi; è, anzi, perfettamente allineato e le nostre industrie energivore, che vanno a gas, hanno piena competitività con le loro concorrenti tedesche e francesi, perché il gas in Italia si paga come (se non meno, ma questo dipende, ovviamente, dalle fasce di consumo e dai casi particolari, non dimentichiamo infatti che siamo in un mercato libero) negli altri Paesi europei nostri competitor. È, quindi, un gap inesistente dal punto di vista dei costi energetici.
  L'Italia è impegnata, dunque, ed è in buona posizione attraverso la Snam, nella realizzazione di maggiori connessioni fra i tubi di trasporto italiani e il resto dell'Europa nel tentativo di ottenere quel famoso flusso bidirezionale che ci consentirebbe di usufruire appieno delle varie fonti di fornitura dai Paesi esteri. Parliamo del Nord Africa, della Libia, dell'Algeria, del liquido dal Qatar, del gas che viene dalla Russia e del gas che viene dal Mare del Nord. Quando siamo nella condizione di avere più punti di interconnessione, come abbiamo adesso, e di avere anche i tubi che possono portare gas da nord a sud, e viceversa, questo crea mercato, perché possiamo mettere in concorrenza fra loro un numero maggiore di fornitori. Servono, quindi, investimenti su questo. La Snam – che, fra l'altro, è un nostro associato – sta già procedendo in questo senso e mi sembra che stia procedendo bene.
  Prima di concludere vorrei accennare al discorso dei prezzi. I nostri prezzi – l'ho detto – sono già competitivi; per abbassarli ulteriormente è necessario migliorare e potenziare le infrastrutture e liberalizzare completamente il mercato. Il cosiddetto decreto del Fare ha allargato la Pag. 10fascia di mercato libero, restringendo la fascia di tutela; è possibile, a nostro avviso, procedere ulteriormente e togliere qualsiasi vincolo ai prezzi regolati perché ormai il mercato è sviluppato sulle reti di distribuzione cittadina. Ci sono dai 50 ai 100 venditori diversi che fanno offerte e, quindi, c’è competizione.
  Va mantenuto, secondo noi, il bonus sociale per le famiglie meno abbienti; inoltre, restringendo l'area di tutela, si potrebbe addirittura aumentare e dare un bonus più consistente.
  Sulle rinnovabili non vorrei dilungarmi troppo. Il nostro unico richiamo in tal senso è di fare attenzione al rapporto costi-benefici per non buttare a mare un'infrastruttura che, almeno per una volta, ci invidiano anche gli altri Paesi europei. Sia per il trasporto che per la distribuzione locale, in Italia il servizio del gas è molto efficiente, ben regolato e sicuro, con le potenzialità necessarie per soddisfare i fabbisogni dei cittadini. Non a caso, non si è mai sentito parlare di blackout o di problematiche di impiantistica, casomai si parla di problematiche di mercato. Ricorderete che negli anni scorsi si è rischiato lo stato di emergenza in più occasioni – si pensi alla chiusura del condotto in Ucraina o alla frana in Svizzera – a seguito delle quali sono stati attuati provvedimenti di massimizzazione delle importazioni su più fronti; siamo arrivati vicini a svuotare gli stoccaggi ma, in definitiva, nessuno è mai rimasto senza gas.
  Una lamentela mi sia concessa, come ultimo argomento, sul tema dell'efficienza energetica. Le aziende del gas, al pari delle aziende di distribuzione elettrica, sono tenute a produrre, tutti gli anni, risparmio energetico in proporzione ai volumi di gas che fanno transitare nei loro tubi. Si tratta di una decisione dell'Autorità, presa a esempio anche in Europa, con i famosi certificati bianchi, che ha prodotto nel 2012, solo nel nostro settore, un risparmio equivalente di oltre 6 miliardi di metri cubi all'anno, producendo certificati energetici, cioè investendo in iniziative di risparmio energetico o comprando i certificati sul mercato, che è la stessa cosa.
  Negli ultimi anni, purtroppo, il mercato di questi titoli si è alzato e c’è un riconoscimento tariffario che assolutamente non è più sufficiente. Le aziende, quindi, oltre a essere compensate dalla tariffa che serve per la manutenzione e la gestione degli impianti, devono destinare parte di questi introiti all'acquisto dei certificati bianchi che non sono remunerati sufficientemente.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Signor Presidente, ci troviamo di fronte a due soggetti che, ovviamente, agiscono sulla base di principi differenti, pur ricoprendo entrambi, all'interno della Strategia energetica nazionale, un ruolo di pari importanza. Dal nostro punto di vista, la pianificazione prevista nell'ambito della Strategia energetica nazionale in realtà considera, purtroppo, le rinnovabili ancora come una possibilità di sostituzione e non come un punto di partenza focale per ottenere in prospettiva la sostituzione dell'intero parco di generazione fossile con quello delle rinnovabili.
  Intendo iniziare le mie considerazioni dalla relazione di Assorinnovabili. Anzitutto, abbiamo ascoltato un'analisi puntuale, con molti spunti utili soprattutto sui concetti dei distretti energetici.
  L'analisi è stata molto interessante anche sull'incidenza, nella componente A3, di quello che potrebbe essere il fotovoltaico su generazione condominiale a servizio delle proprie utenze. Si potrebbe, in tal senso, esasperando questo ragionamento, considerare gli utenti all'interno di uno stesso condominio come facenti capo a un medesimo contatore, eventualmente razionalizzati con contatori secondari e di rete interna. In questo modo, ci sarebbe fisicamente un unico contatore di prelievo e di scambio con il quale si interfaccerebbe la rete esterna. L'incidenza che voi avete segnalato è un dato molto interessante Pag. 11anche perché, sempre più, l'Authority richiama la problematica di diminuire sensibilmente le entrate di questa componente tariffaria.
  Riguardo alle energie rinnovabili, vorrei capire se abbiate fatto un'analisi sul prezzo dell'energia; nel mercato del prezzo dell'energia oggi le rinnovabili hanno un'incidenza molto forte – soprattutto durante il giorno e nelle stagioni primaverile ed estiva – nell'abbassare il prezzo di acquisto dell'energia. Mi interessa sapere se abbiate fatto una simulazione per vedere quanto effettivamente questo possa essere considerato un benefit per la collettività. La circostanza, cioè, che oggi le rinnovabili fanno sì che il prezzo di acquisto dell'energia si sia abbassato, perché c’è una disponibilità energetica sul mercato, è in qualche modo considerabile come un benefit da poter calcolare ? In altre parole, quanto sarebbe stato il prezzo dell'energia, se non ci fossero state le rinnovabili ? Sarebbe stato, probabilmente, più alto e quindi questa differenza potrebbe essere messa nei conteggi. So che la domanda non è di facile risposta dal momento che neanche il GSE è riuscito a darne esemplificazione numerica.
  Per quanto attiene alla questione CIP6, vorrei capire se avete fatto un'analisi dei contratti CIP6 e delle rescissioni anticipate – ricordo che siamo passati da quasi 150 a 80 contratti ancora in essere – e quanto questo, in realtà, incida sulla componente A3 di impianti che a oggi paiono svincolati totalmente. Infatti un'azienda può contrattare la rescissione anticipata e il giorno dopo può chiudere per fallimento, come già sta avvenendo in alcune realtà industriali, e lo Stato si trova un fardello da pagare come rescissione anticipata di una cosa che, se avesse seguito il naturale declino dell'industria attuale, non si sarebbe dovuta pagare.
  Ho visto anche le vostre considerazioni sulla possibilità di spalmare il debito su 20-30 anni. Leggerò con attenzione tutte le analisi che avete fatto.
  Per quanto attiene invece alla questione gas, credo che la stabilità per un'azienda del gas non voglia dire certezza nei consumi. Obiettivamente la certezza nei consumi vorrebbe dire avere un contratto blindato, e quindi considerare un fornitore obbligato in Italia. È evidente che in questo periodo c’è stato un declino dei consumi, dovuto alla crisi industriale in primis e anche al miglioramento dell'efficienza energetica generale. Dato che sono stati fatti degli investimenti, anche per l'aggiornamento del parco tecnologico, direi che in qualche modo ci dobbiamo porre questo grosso problema.
  Qualcuno oggi parla di capacity payment o capacity market. Secondo me siamo di fronte a una problematica che diventa allarmante. Io sto pagando la disponibilità energetica di un'azienda che in qualche modo deve rientrare degli investimenti fatti in precedenza, perché oggi le manca fisicamente il mercato nel quale operare. Nel momento in cui riusciamo a stabilire che una quota parte del gas è necessaria per gli interventi di gestione emergenze, e nei piani emergenza gas sono individuati un certo numero di stoccaggi, vorrei capire in che modo sia giustificato come una necessità avere un rendimento economico di questa natura.
  Ho notato che lei nel suo discorso diceva che in realtà abbiamo un'efficienza molto elevata dal punto di vista del parco di generazione; poi però lamentava la necessità di fare ammodernamenti sul sistema di generazione. Forse non ho capito bene. Nella parte conclusiva, soprattutto sui certificati bianchi e sull'efficienza, sono probabilmente ho perso la conclusione del ragionamento.
  Obiettivamente non mi sento di considerare l'Italia un Paese efficiente nel sistema di utilizzo e di gestione del gas. Avere edifici colabrodo, con una classe energetica al minimo D o E, soprattutto nel residenziale o nel terziario pubblico, mi sembra una premessa allarmante. Il Governo si è impegnato con una risoluzione a valutare i possibili benefici economici di un programma d'ammodernamento del panorama edilizio pubblico e a Pag. 12cercare di portare questi edifici almeno in classe C o D, che è già un disastro come punto di partenza.
  Concludo affermando che, benché abbiamo tolto il mercato di maggior tutela, purtroppo io, che probabilmente sono un utente distratto, non ho notato una grande discrepanza nelle offerte dei fornitori al dettaglio sul mercato del gas. O c’è un corto circuito per cui i distributori finali in qualche modo si allineano su determinati prezzi, oppure dobbiamo rivedere qualcosa in questo tipo di ragionamento.
  Ricordiamo però che abbiamo tolto dalla tutela asili, scuole e ospedali. Avendo un prezzo certo, era più semplice prevedere dei costi di gestione per questi enti pubblici, mentre oggi sono soggetti a fluttuazioni che possono gravare sulla stabilità della spesa pubblica. Grazie.

  GIANLUCA BENAMATI. Anch'io ringrazio gli intervenuti che abbiamo audito oggi su questo tema. Per caso abbiamo di fronte la combinazione migliore per discutere. Io, contrariamente a Assorinnovabili, credo che la politica non si debba riappropriare troppo della gestione dell'energia, perché quando se ne è appropriata, anche recentemente, non è stata così brillante. Quando facciamo delle scelte in Parlamento, dovremmo parlare meno dei massimi sistemi e degli scenari di carattere generale e più dei numeri.
  La vostra presenza qui, secondo me, è l'esemplificazione del problema che ci troviamo di fronte. Avete due filosofie d'approccio sul nostro sistema energetico – scusate la franchezza – completamente differenti. Possiamo fare l'esegesi del perché siamo arrivati qui, richiamandoci al referendum del 1987, e al 20 per cento di consumo di energia dal nucleare che si prevedeva in quegli anni. Possiamo fare la ricostruzione della legge Bersani e della legge Marzano che nel 2003 e successivamente hanno permesso di creare 20 megawatt di materiale nuovo. Possiamo dare conto di quello che è successo nella XVI legislatura, dopo il tentativo di ritorno al nucleare, con il Conto Energia, con l'avvio delle rinnovabili e con quegli incentivi, che da più parti sono definiti «generosi», che ci hanno fatto raggiungere in qualche anno i target che avremmo dovuto raggiungere nel 2020.
  Voi siete l'esemplificazione del problema che abbiamo di fronte. Credo che siamo tutti convinti, dal punto di vista della politica, che le energie rinnovabili siano necessarie, ma siamo anche convinti che siamo un Paese industriale che ha bisogno di solidità nella produzione e nella distribuzione di energia elettrica. Bisogna capire come si contempera una necessità complessiva del Paese, dal punto di vista del suo sistema manifatturiero, con la necessità di diversificare queste fonti, anche in un sistema più compatibile con l'ambiente.
  Ho sentito quanto ha detto il collega Crippa, che è molto esperto in materia, e sono d'accordo su molti temi che egli ha posto. Credo però che la convenienza delle rinnovabili non sia da trovare in un mero calcolo economico ai valori attuali. Se non vi inseriamo le caratteristiche di risparmio ambientale e sanitario che esse producono, quel calcolo non darebbe i risultati che molti si attendono.
  Comunque, dal mio punto di vista, il tema è inquadrato in questa maniera. Faccio delle riflessioni specifiche e forse un po’ provocatorie. È ghiotta l'occasione di avervi qui entrambi a confronto.
  Porgo prima due domande specifiche sulla questione di vostra competenza. Per quanto riguarda Anigas, dopo questi 20 megawatt, c’è l'idea delle infrastrutture e di trasformare l'Italia in un hub del gas. Io non ho avuto modo di leggere le vostre memorie. È chiaro che non è solo un problema di infrastrutture, e non ci siamo arrivati solo perché abbiamo migliorato i nostri impianti.
  Dico anche che, per quanto riguarda il tema del consumo energetico specifico sul PIL, non è detto che sia solo questione di efficienza, ma può essere anche di bassi consumi pro capite. Comunque, lasciamo stare quest'argomento. Voi trovate convincente questa possibilità ? Cos’è che manca Pag. 13veramente in termini di condizioni, di contorno o di infrastrutture strategiche perché l'Italia sia un hub del gas ? Noi di energia elettrica possiamo produrne ma, siccome abbiamo una sovraccapacità, l'alternativa sarebbe esportarla. Questo è il tema.
  C’è poi la questione dei bond, su cui invece ho forti dubbi. Ho visto un grafico, che studierò con molta attenzione. So che al Ministero sono molto convinti di questa soluzione come intervento immediato per abbassare il carico parafiscale sulle bollette. Tuttavia, il tema dei bond mi lascia qualche perplessità, perché difficilmente reperire risorse sul mercato pagando gli interessi sul medio termine sarà senza conseguenze per i consumatori: o il sistema d'interesse viene portato avanti negli anni, oppure si deve ricorrere alla fiscalità, che è una questione che tenderei personalmente ad escludere.
  Ho una domanda per entrambi. Siccome, da un lato, si ritiene che il problema sia la distorta concorrenza delle rinnovabili e, dall'altro, che bisognerebbe rottamare un'ampia parte degli impianti esistenti o, se possibile, aumentare i consumi specifici a fronte di una grossa produzione, vi chiedo alcune precisazioni. In un mercato dell'energia elettrica che in fin dei conti è libero solo per meno della metà, con aziende che hanno diritto di dispacciamento o comunque sono protette, e in presenza di una sovraccapacità così elevata, che in parte serve al Paese nei momenti in cui ci sono delle oscillazioni, c’è il tema del pagamento della disponibilità di capacità, per fare l'ammortizzatore di sistema, perché il Paese consuma sempre.
  C’è quindi la questione degli investimenti e dei costi di questo tipo di mix energetico che stiamo scegliendo. Inoltre, ci sono le reti che vanno adeguate. Ho sentito da entrambi che il tema del profilo delle fonti di generazione non è indifferente a proposito di reti che vanno adeguate. C’è addirittura anche la questione della generazione elettrica distribuita e di microsistemi che comunque richiedono investimenti.
  Tendendo ad escludere un ricorso alla fiscalità, avendo presente che comunque questi costi vanno sostenuti, qual è, secondo voi, la maniera migliore per supportare questi meccanismi ? Credo che la domanda sia molto chiara. Da un lato, i produttori di energia elettrica da idrocarburi eccetera fanno notare che per mantenere attiva una capacità hanno bisogno di una remunerazione, perché una nuova centrale turboelettrica che lavora 1.500 ore all'anno non è remunerativa (se sbaglio correggetemi in qualsiasi momento); dall'altro lato, le fonti rinnovabili ci hanno permesso di raggiungere con sei o sette anni di anticipo gli obiettivi del 20-20-20, ma questo pone un problema di costi.
  Vorrei sapere se avete indicazioni precise in termini di metodologia di recupero di questi fondi, oppure di meccanismi con i quali si possano contemperare queste due aspetti, visto che questa volta vi abbiamo di fronte entrambi, chi produce da termoelettrica e chi produce da rinnovabile.

  PRESIDENTE. Considerato che abbiamo ancora qualche minuto, pongo anche io una domanda breve sul gas.
  Ho letto alcuni approfondimenti sulle liberalizzazioni. Di norma sono favorevole alle liberalizzazioni, perché, a mio parere, a volte le liberalizzazioni possono incidere sulla qualità del servizio. Nel caso del gas penso che ciò non avvenga, perché è un servizio standard. Teoricamente la liberalizzazione dovrebbe portare un abbassamento del prezzo, oltre all'efficienza del servizio. Sono andato a un paio di convegni su questo settore e mi hanno sollevato problemi di natura fideiussoria e sull'acquisto. Ad alcune società del gas che facevano trading, in relazione all'abbassamento del prezzo, venivano chieste clausole fideiussorie molto forti. Al di là di quest'aspetto tecnico, vorrei sapere da voi se la liberalizzazione del settore produce, ha prodotto, o può produrre un abbassamento del prezzo.

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  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Vorrei soltanto fare alcune note a margine, perché diversi temi sono già stati sollevati, ma voglio anch'io sfruttare brevemente l'opportunità, oltre a ringraziare per la disponibilità e i materiali molto utili e interessanti che sono stati offerti.
  La prima questione è stata rappresentata anche in altre audizioni e qui richiamata nella nota e nell'esposizione di Anigas. Si tratta del riferimento a quanto previsto nella SEN sulla modifica del Titolo V, che è stato chiamato «riaccentramento dei poteri». Credo che questa sia un una riflessione che è utile e necessario fare. Nel momento in cui parliamo di un'ipotesi di questo tipo, dobbiamo ben tenere vivo il tema del coinvolgimento degli enti locali nel processo decisionale, ovviamente anche su tutto il versante compensativo. Penso che questo debba essere sempre all'evidenza di tutti.
  La seconda considerazione è già stata fatta dal collega Benamati. Credo anch'io che sia interessante oggi la coincidenza della giustapposizione di punti di vista e la vostra vicinanza fisica. Quando Anigas nella nota fa riferimento alla revisione della partecipazione del gas al mix energetico e alla pari dignità, è evidente che si tratta di capire come questo mix si possa trovare. Sono due punti di vista molto precisi.
  In terzo luogo, visto che si è fatto riferimento agli interventi nel decreto del Fare sul superamento del prezzo regolato, e avete parlato anche di vulnerabilità economica, vorrei sapere qual è l'alveo che individuate, seppure in termini grossolani. Credo che altrimenti faremmo una discussione che non ci darà esattamente la dimensione della quota dei nostri concittadini di cui stiamo parlando.
  Infine, nella nota offerta da Assorinnovabili, in riferimento alla bozza del cosiddetto decreto del Fare 2, c’è il richiamo alle tre ipotesi di cui abbiamo parlato. Comprendo benissimo il secondo e il terzo punto.
  Sui bond invece stavo guardando il grafico che avete presentato. Sinceramente anch'io, come il collega Benamati, ho qualche dubbio su questo strumento, al di là di una considerazione generale in termini di equità intergenerazionale o differimento dei costi.
  L'analisi che ci avete proposto è senz'altro utile, ma credo che questo sia un altro elemento su cui sarebbe necessario soffermarsi ulteriormente, in vista della discussione sul decreto del Fare bis.

  DAVIDE CRIPPA. Faccio solo una chiosa di trenta secondi, perché prima mi sono perso questo punto.
  Vorrei sapere se Assorinnovabili considera nei sistemi d'accumulo soltanto i sistemi d'accumulo a batterie, oppure se state seguendo delle sperimentazioni di natura diversa.
  Per quanto riguarda Anigas, avendo chiaro che il parco generazionale è ampiamente sovradimensionato, mi chiedo come mai ancora oggi permettiamo e andiamo a cercare nuove centrali di generazione a carbone. Applicando quel criterio che lei nominava prima, ossia la valutazione delle esternalità negative e dell'impatto sul combustibile utilizzato, non riesco a concepire come all'interno del decreto del Fare 2, che dovrebbe arrivare, ci sia qualcuno che ipotizza di fare una centrale a carbone in Sardegna, ovviamente non con il carbone del Sulcis, ma con un altro carbone.
  Ovviamente poi, mettendolo nero su bianco, ne chiederemo conto alla parte politica che decide, però chiedo a voi perché, invece che portare avanti gli interessi legati alla singola categoria, non vi mettiate un po’ in contrasto con coloro che gestiscono oggi le centrali a carbone. Obiettivamente ne abbiamo già, e sono anche di potenza rilevante, per cui potrebbero spostare dei consumi interessanti come sistema alternativo per far ripartire alcune delle vostre centrali. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola all'ingegner Simoni e all'ingegner Tani per la replica.

  GIOVANNI SIMONI, Vicepresidente di Assorinnovabili. Le domande sono tantissime. Pag. 15Ho l'occasione di avere il collega dell'Anigas qui. Ci manca quello di Assoelettrica, e poi siamo a posto. Ci sono state molte più contrapposizioni con quelli di Assoelettrica che con il sistema gas.
  Certamente nella SEN, a parte l’hub del gas, dal punto di vista della produzione elettrica, c’è un decremento dell'uso del gas. Questo è scritto nel documento. Noi non abbiamo una ricetta su come fare. Certamente l'unico punto che ci trova accordo con l'Assoelettrica è la necessità di utilizzare meglio e di più l'energia elettrica nel sistema Paese, se prodotta da rinnovabili. Questo ovviamente si scontra con altri interessi. Noi abbiamo centinaia di articoli di stampa nazionale contro le rinnovabili. Come ho detto l'altro giorno al Senato, ci troviamo di fronte a un sistema schizofrenico. Da un lato abbiamo incentivato le rinnovabili, e in parte, non il fotovoltaico, continuiamo a farlo. Dall'altro lato, ci scateniamo contro. Abbiamo i capi dell'ENI e dell'ENEL che vanno in Europa a dire che bisogna smettere di incentivare le rinnovabili. Questo è l'interesse del Paese ?
  Secondo me, questa contrapposizione è dovuta a una mancanza di indicazioni precise. È questo che intendevo dicendo che la politica deve riprendersi il suo spazio. La politica deve dare indicazioni chiare, che poi devono essere seguite. Non intendevo dire che la politica deve nominare i vari soggetti e fare un mestiere che non le è proprio. Dico che bisogna fare una scelta come Paese.
  I motivi per interessarci alle rinnovabili ci sono. Non so se avete letto – ma credo che tutti l'abbiano fatto – il recente rapporto dell'ONU, che è molto preoccupante. Come dieci o quindici anni fa, ancora oggi ci sono quelli che io chiamo «econegazionisti». Le particelle per milione di CO2 nell'atmosfera sono arrivate a 400. Quando ho cominciato a occuparmi di energia, nel 1973, erano 290. Quindi ho assistito a quest'evoluzione. A questo numero ci crediamo o non ci crediamo ? Sappiamo che, secondo l'ONU, se le particelle arriveranno a 421 parti per milione, i mari aumenteranno di 2 centimetri.
  La questione ambientale sta dietro a tutta la politica delle rinnovabili; non la possiamo dimenticare. Ho sentito perfino un senatore dire «meglio la pagnotta che l'ambiente». Se mangio la pagnotta oggi e rovino l'ambiente, domani non la mangio più. Quindi la frase «meglio la pagnotta che l'ambiente» sarebbe da cancellare dal vocabolario politico.
  C’è poi un'altra questione: oggi compriamo combustibili fossili per 63 miliardi di euro all'anno. Questo è un motivo speciale per cercare di affidarci sempre di più a fonti locali. È chiaro che dobbiamo fare bene i conti. Siamo d'accordo anche noi sul fatto che dobbiamo trovare il modo di ridurre la bolletta.
  Vengo alla questione su quale sarebbe stato il costo se non ci fossero state le fonti rinnovabili ? Non so dare una risposta. È chiaro che noi, avendo il merito economico sulla scelta dell'energia elettrica che può andare in rete – punto cruciale che deriva anche da una direttiva dell'Unione europea – quando si presenta l'energia elettrica prodotta da una fonte rinnovabile, che non ha il costo del combustibile, e quindi ha un costo marginale molto basso, se non zero, questa passa e l'altra no. Per cui il diritto di dispacciamento prioritario è un caposaldo della protezione degli investimenti e dello sviluppo delle rinnovabili in Italia. Questo dobbiamo assolutamente salvaguardarlo.
  È chiaro che subiamo attacchi su questo punto, però quello che abbiamo voluto è il famoso peak shaving. Ci sono stati molti momenti in Sicilia quest'anno in cui l'energia elettrica andava a zero, perché il costo del combustibile non influiva più, in quanto la fonte rinnovabile aveva coperto l'intera domanda, e in quel momento non si doveva consumare neanche un litro di petrolio o un metro cubo di gas. Mi dispiace. Questa è la situazione.
  Non sono gli operatori delle fonti rinnovabili che devono risolvere questo problema. Questo è un tipico problema politico di programmazione nazionale. Come Pag. 16dicevo, la politica deve riprendersi il suo ruolo nel valutare l'insieme di questi aspetti. Non è neanche colpa loro se sono arrivati a produrre 22 mila megawatt di gas elettrico, che sono arrivati nello stesso momento in cui arrivava il fotovoltaico, l'eolico e il biogas. C’è questa contemporaneità, peraltro dentro il quadro di un tentativo di rifare il nucleare.
  Ricordo che nel 1987 ho fatto una relazione alla Conferenza energetica nazionale dicendo che il fotovoltaico aveva superato il punto di non ritorno. Non era vero, mi illudevo, ma adesso non ne parliamo.
  L'onorevole Crippa mi ha posto una domanda sul CIP6, che a mio avviso non doveva neanche essere fatto. Sul costo del CIP6 non abbiamo sentito – se non recentemente – tutte le critiche che sentiamo sulle fonti rinnovabili. Ci sarà qualcosa sotto ?
  Ciò che chiediamo ai partiti che dirigono il Paese e che legiferano è che ci sia una scelta. I 63 miliardi, le questioni ambientali, le esternalità non possono non essere considerate. Pensate un po’ a cosa succederebbe se tutta quest'energia rinnovabile che va in rete a un certo punto, per qualche norma, non potessimo venderla e dovessimo tenerla lì. Pensate lo spreco enorme di un'energia elettrica, prodotta a casa nostra, con i nostri sistemi, che non può essere ceduta in rete. Questa sarebbe proprio una negazione dell'interesse del Paese.

  BRUNO TANI, Presidente di Anigas. Cercherò di essere telegrafico. La generazione a carbone non è proprio il mio tema. Comunque, ricordo che la Germania, dopo gli ultimi eventi, ha riaperto delle centrali a carbone e sta riconsiderando la chiusura del nucleare, quindi non siamo i soli. Io ovviamente, per difesa di parrocchia, non son contento se aprono le centrali a carbone. Sarebbe meglio far lavorare le tante centrali turbogas molto efficienti, che invece rimangono ferme. È un problema di investimenti.
  Lei ha parlato di capacity payment. In pratica si chiedeva se noi del gas vogliamo guadagnare sempre, anche se i consumi di gas diminuiranno. Non è assolutamente vero. È proprio su questo che richiamiamo l'importanza della SEN e della strategia. Se un soggetto deve fare una strada, qualcuno dovrà dirgli di fare la strada perché poi ci sarà il traffico. Allo stesso modo, se noi dobbiamo mettere giù un tubo è perché nell'ambito della pianificazione strategica dei fabbisogni energetici italiani questo tubo serve.
  Mi collego al quesito sull’hub. Mi si chiedeva come si fa a far funzionare un hub.

  GIANLUCA BENAMATI. Avevo chiesto se si riesce o non si riesce, e quali sono le condizioni e il contesto attuale ovvero ciò che manca per realizzare quel progetto.

  BRUNO TANI, Presidente di Anigas. Le condizioni e il contorno, secondo me, non sono promettenti in uno scenario di diminuzione dei consumi. Questa parte, anzi, è in contraddizione nella SEN, perché si ipotizzano da una parte investimenti per reverse-flow e una diminuzione dei consumi di gas. Per fare l’hub del gas ci vuole tanto gas consumato e tanto gas che arriva o che c’è. Se ci sarà gas consumato, faremo l'autostrada del gas e ci sarà poi la gente che viaggerà su quest'autostrada. Questo è pacifico, ma deve essere definito nell'ambito di una pianificazione.
  Noi siamo appunto qua per darvi i nostri rispettivi punti di vista, perché siete voi quelli eletti dai cittadini, e giustamente dovete prendere queste decisioni. Cosa sarà il nostro Paese domani ? Penso che sia una delle più grandi soddisfazioni della politica poter pianificare il futuro del proprio Paese.
  Anche la questione del capacity payment si lega a questo aspetto. Se è un'infrastruttura che serve per il Paese, se oggi non troviamo un imprenditore che lo fa a suo rischio e pericolo, senza sapere se domani sarà necessaria, allora bisogna garantirgli un minimo sindacale di remunerazione, anche se poi sarà sottoutilizzata. È evidente che, se noi non facciamo Pag. 17le infrastrutture, non saremo mai hub del gas, come se non avessimo fatto le autostrade da nord a sud, non avremmo mai avuto il traffico commerciale e il movimento di persone e cose che c’è oggi. Queste sono decisioni che spettano alla politica.
  Per quel che riguarda gli edifici colabrodo, questi ci sono senz'altro, però l'Italia non è inefficiente dal punto di vista energetico. Noi ad esempio siamo stati all'avanguardia nel fare leggi sul risparmio energetico. Ricordo la legge n. 373 del 1976 che obbligava ad isolare le case. Ero giovane io come lei, e quindi son tanti anni che sono state fatte queste cose. Non abbiamo un parco edilizio scadente. Tra l'altro, ricordo che i consumi per uso civile sono circa il 35 per cento. Il resto sono consumi industriali, generazione di energia elettrica eccetera, quindi non è quella la gran parte dei consumi italiani.
  Sul discorso della restrizione delle aree di tutela, la preoccupazione per asili, scuole e ospedali, oggigiorno noi che siamo sul mercato del gas sappiamo che i prezzi più competitivi vengono ottenuti proprio dagli edifici pubblici. Vi assicuro che con le gare Consip o le gare regionali si ottengono i prezzi più competitivi che ci sono. La pubblica amministrazione usa proprio i grandi volumi che consuma per fare mercato e per fare delle gare. Oggi i piccoli comuni che hanno la scuola, la palestra o un altro edificio, fanno riferimento al prezzo Consip, e senza fare nessuna fatica ottengono un prezzo che è veramente fra i più bassi del mercato.
  Si parlava di posizioni differenti fra quelli che sono al tavolo. È evidente che il rappresentante delle aziende delle rinnovabili sostiene le rinnovabili e il rappresentante delle aziende del gas sostiene il gas. La difesa della propria parrocchia c’è. Questo è pacifico. Ciò non toglie che crediamo molto in quello che diciamo, specialmente quando affermiamo che l'Italia è dotata di una struttura del gas nel suo complesso invidiabile ed efficiente, e che sarebbe un errore diminuirne l'utilizzo, perché aumenterebbero i costi per i consumi residui.
  Questo errore è contenuto nella Strategia energetica nazionale, che prevede una diminuzione dei consumi del gas. Noi pensiamo che il gas possa essere un combustibile ponte, in quanto fonte primaria più pulita che c’è, fra il presente e un futuro a rinnovabili. Abbiamo visto la road map al 2050 che ovviamente prevede le rinnovabili in grossa fetta. Nel frattempo, come dicevamo, spazziamo via prima quello che sporca di più o quello che sporca di meno ?
  Il presidente, così come qualcun altro, chiedevano se la liberalizzazione riduce il prezzo. Sul mercato domestico non c’è la percezione di una riduzione del prezzo. Allo stesso tempo, è difficile dire che non ci sia stata una riduzione del prezzo, perché il mercato è liberalizzato da dieci anni e non sappiamo cosa sarebbe successo se non fosse andata così. Le controprove non esistono.
  Una cosa è certa: la sensazione che i costi per gestire il mercato libero sul mercato retail sono forse troppo alti c’è. Il fatto che le offerte sono poco diverse l'una dall'altra sul mercato domestico è vero, proprio perché la regolazione mantiene i prezzi bassi, per cui è difficile andare sotto una certa soglia. Le aziende si danno da fare con offerte a volte anche fantasiose per cercare di «indorare la pillola».
  Invece sul mercato dei grossi consumi, ossia sul mercato industriale, le riduzioni di prezzo ci sono e sono consistenti. Ho avuto una riunione lunedì scorso in Confindustria, a cui erano presenti il Ministro dello sviluppo economico Zanonato e i grandi consumatori di gas. In Confindustria noi ci troviamo con il grande consumatore, che è peggiore dell'Assosolare. Non si lamentano, ma dicono che i prezzi sono buoni.
  Dico una cosa sulla vulnerabilità economica e sul bonus. Non abbiamo le dimensioni quantitative, però il bonus, come sapete, è basato su parametri reddituali e ha un certo importo. Oggi, visto Pag. 18che la variabilità di offerte c’è, anche se queste non sono molto diverse l'una dall'altra per l'uso domestico, però si può benissimo restringere l'area di tutela e non succederà niente.
  Infine, sul Titolo V, anche questa è una scelta prettamente politica che spetta a voi. Noi, da operatori, diciamo che le cose funzionerebbero molto meglio se molti poteri venissero tolti dall'ambito locale e spostati all'ambito centrale.

  PRESIDENTE. Anche alcuni di noi lo pensano.
  Ringrazio i rappresentanti di Assorinnovabili e di Anigas e li invito, qualora lo ritenessero opportuno, ad inviarci ulteriori osservazioni per iscritto. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.