XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Mercoledì 12 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catalano Ivan , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

Audizione di rappresentanti di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL e UGL Telecomunicazioni.
Catalano Ivan , Presidente ... 3 
Apuzzo Barbara , Segretaria nazionale area produzione multimediale di SLC-CGIL ... 3 
Catalano Ivan , Presidente ... 6 
D'Avack Walter , Operatore nazionale di FISTEL-CISL ... 6 
Catalano Ivan , Presidente ... 9 
Bulletti Ottavio Antonio , Funzionario di UILCOM-UIL ... 9 
Catalano Ivan , Presidente ... 11 
Conti Stefano  ... 11 
Catalano Ivan , Presidente ... 12 
Mura Romina (PD)  ... 12 
Catalano Ivan , Presidente ... 13 
Apuzzo Barbara , Segretaria nazionale area produzione multimediale di SLC-CGIL ... 13 
Bulletti Ottavio Antonio , Funzionario di UILCOM-UIL ... 14 
Catalano Ivan , Presidente ... 15 

ALLEGATO – Documentazione depositata dai rappresentanti di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IVAN CATALANO

  La seduta comincia alle 14.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL e UGL Telecomunicazioni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL e UGL Telecomunicazioni.
  Do la parola a Barbara Apuzzo, segretaria nazionale area produzione multimediale di SLC-CGIL, per lo svolgimento della sua relazione.

  BARBARA APUZZO, Segretaria nazionale area produzione multimediale di SLC-CGIL. Innanzitutto vorrei rivolgervi un ringraziamento, anche a nome del segretario generale, per averci dato la possibilità oggi di dare un contributo alla discussione in atto. Contributo non del tutto scontato, dal momento che in quest'ultimo periodo in particolare per il sindacato avere una possibilità di confronto con la politica è sempre più complicato.
  Per quanto riguarda l'argomento che è all'ordine del giorno, noi siamo particolarmente contenti della possibilità che ci viene data, perché pensiamo che sia giunto il momento di avviare un cambio di passo rispetto alla velocità che abbiamo fin qui registrato.
  La normativa attuale risulta già vecchia, a nostro avviso, e non più al passo coi tempi, sia dal punto di vista tecnologico che dal punto di vista dei tempi europei. Il 2020, che era la data ipotizzata dal Piano Lamy, in cui venivano indicate le prime tappe del cronoprogramma per l'adeguamento del sistema alla convergenza tecnologica, a nostro avviso, è già una data lontana nel tempo. È lontana nel tempo per quanto riguarda la necessità di prevedere l'ingresso del mobile nella banda di frequenza a 700 Megahertz, ma è ancor più lontana se pensiamo alla necessità cui si dovrebbe già ampiamente aver provveduto, invece, non è neanche a una fase embrionale dell'implementazione della banda larga.
  Noi riteniamo che il ritardo sia particolarmente drammatico e rischia di collocarci come fanalino di coda in Europa rispetto ad una riflessione che, invece, ovviamente in altri Paesi viaggia a una velocità più spedita.
  La sensazione che noi continuiamo ad avere è che si viva ancora un po’ alla giornata, senza avere, di fatto, un'idea chiara di chi investirà nella banda larga e con quali risorse. Da lì passerà tutto, perché nell'arco di poco tempo ci sarà la convergenza tra il traffico dati, il traffico voce e i contenuti multimediali e audiovisivi.
  L'altro problema che noi vogliamo sottolineare è quello che riguarda la distribuzione della raccolta pubblicitaria e le storture che si sono determinate già da un po’ di tempo a questa parte. La pubblicità rappresentava una delle principali fonti di Pag. 4risorse per le emittenti radiotelevisive. Il crollo che si è determinato negli anni e che continua sta già provocando danni serissimi, soprattutto per le piccole e piccolissime imprese, ma anche per quelle più grandi. C’è uno spostamento delle risorse e pubblicitarie e la scelta è sempre più quella di finanziare progetti come quello della pay tv.
  Ne abbiamo l'esempio con Sky. Noi siamo ancora arroccati in una discussione sul vecchio duopolio Rai-Mediaset. In realtà, la tv che si sta affermando sempre di più al giorno d'oggi è quella che vede in Sky il modello di riferimento. Lì c’è una raccolta pubblicitaria maggiore, il che significa che le risorse che si immaginava di distribuire, anche a garanzia del pluralismo, alle emittenti più piccole sono state in qualche maniera cannibalizzate.
  Da una parte, ci sono processi di trasformazione non coadiuvati da politiche di settore mirate, precise e strategiche che guardino all'intero sistema. Dall'altra, ci sono le storture determinate dallo sbilanciamento nella raccolta pubblicitaria non governato.
  Questo è uno dei punti che troverete affrontati nella memoria che abbiamo depositato. Tra i possibili interventi, noi immaginiamo che si debba fare un passaggio per adeguare le norme anticoncentrazione del mercato pubblicitario stabilite dal capo IV del decreto legislativo n. 177 del 2005, perché la raccolta pluralistica della pubblicità non viene assolutamente garantita.
  Questo è quanto riguarda gli aspetti tecnologici e allo stesso tempo il decreto legislativo n. 177 in merito alla raccolta pubblicitaria, ma in questo universo noi abbiamo anche un altro problema, relativo al mondo del lavoro e alle modalità con cui si producono contenuti.
  A un'organizzazione sindacale non può non venir chiesto qual è lo stato dell'arte a tale riguardo. In effetti, questo era fra i temi che voi ci ponevate. Pertanto, noi approfittiamo di questa occasione per dire che ci sono episodi di delocalizzazione, ad esempio per quanto riguarda i creatori di contenuti, che rappresentano un fenomeno particolarmente allarmante, per una serie di motivi. Da una parte, si tratta di delocalizzazioni che non rispondono a un'idea strategica oppure editoriale, ma, più che altro, a esigenze di bilancio, il che, però, va a detrimento della capacità di esportare prodotti di qualità. Io cito sempre il caso Montalbano. Quando fu realizzata questa fiction, uno degli effetti è stato quello di esportarla in tutto il mondo e di tradurla in diverse lingue, continuando a far vivere un prodotto italiano di qualità, che ha previsto una produzione dentro ai confini nazionali, occupando lavorazioni e lavoratori italiani. C’è quindi questo problema delle delocalizzazioni, rispetto al quale andrebbero fatte delle scelte diverse. Questo riguarda i grossi broadcaster. Una scelta in direzione inversa rispetto alla delocalizzazione sembra essere stata assunta adesso dalla Rai, che ha dichiarato che, a meno che non vi siano esigenze scenografiche particolari, le produzioni tendenzialmente si faranno all'interno e noi esprimiamo al riguardo il nostro apprezzamento per questa decisione.
  Un altro aspetto è l'espulsione dal mercato del lavoro di una serie di figure professionali che esistono soprattutto nella piccola e piccolissima impresa di questo settore e che sono privi di ammortizzatori sociali. L'intervento che noi chiediamo è di far sì che questi diventino universali.
  C’è poi il tema del riordino del sistema degli appalti. Un'altra delle modalità particolarmente utilizzate da tutti è quella che prevede la cessione al massimo ribasso con cui si subappaltano pezzi di lavorazioni. Andrebbero, invece, applicate le clausole sociali, che prevedono la responsabilità solidale d'impresa, evitando assolutamente il massimo ribasso, sempre per quel ragionamento che facevo prima: in questa maniera si tutelano la qualità del lavoro, l'occupazione e, al tempo stesso, il prodotto può diventare volano per lo sviluppo e utilizzato per l’export. Per quanto riguarda quest'ultimo passaggio, noi registriamo anche una situazione pressoché catastrofica nel mondo delle piccole emittenti. In questo senso, noi immaginiamo Pag. 5che dovrebbero essere fatti interventi normativi che favoriscano processi aggregativi a livello locale, per garantire una sopravvivenza maggiore e tutelare, al tempo stesso, l'occupazione.
  In questo senso, sottolineiamo anche che per le organizzazioni sindacali confederali l'interlocutore rappresentativo dell'intero settore e non di nicchie minoritarie è Confindustria Radio-TV. Lo dico perché viviamo un momento in cui nascono e crescono associazioni che tentano di raggruppare emittenti, una non piccolissima è Aeranti-Corallo, però il nostro interlocutore e nostro riferimento rimane Confindustria Radio-TV, che è anche il soggetto con cui noi firmiamo il Contratto collettivo nazionale di lavoro.
  Volendo dire qualcosa, molto velocemente, anche rispetto ai contributi pubblici, noi immaginiamo che questi debbano riguardare le aziende che hanno i requisiti finanziari e che rispettino anche la qualità del lavoro, secondo ciò che dicevo precedentemente, ovvero un'attenzione particolare alle modalità con cui si crea lavoro, alla gestione degli appalti eccetera.
  Aggiungo due brevi considerazioni. Fra i ritardi che denunciavo, noi scontiamo un altro problema non di poco conto, che riguarda la necessità di ridefinire con urgenza le frequenze. Sappiamo bene che rischiamo di incorrere nell'ennesima multa per infrazione, dovuta all'interferenzialità con i Paesi confinanti, il che ci porta a dire che la razionalizzazione delle concessioni non può essere un tema ulteriormente posticipato nel tempo.
  Forse bisognerebbe cominciare a ragionare per operare una distinzione un po’ più netta tra gli operatori di rete e i produttori di contenuti. Il rischio attualmente è quello di vedere 95 emittenti che al 31 dicembre vedranno spento il segnale e questo avrà come conseguenza il rischio di perdere circa 1.000 posti di lavoro.
  Concludo con un ultimo tema. Mi scuso se sto precedendo per spot, ma lasceremo un documento completo. Noi siamo molto preoccupati per l'ennesima stortura che si sta registrando nel mercato. Mi riferisco alla discussione che si sta svolgendo in questo momento relativamente alla ricerca di nuove sinergie tra produttori di contenuti e operatori di rete.
  Cito, ad esempio, l'operazione Mediaset Premium, che è un tema attuale, rispetto al quale si parla di una possibile convergenza tra Telecom e Mediaset, per investire su una diversificazione del prodotto. Mentre i grandi operatori, seppur con i ritardi denunciati prima, stanno cominciando a fare un ragionamento per capire come il segnale può trasmettere i contenuti e con quali modalità creare queste sinergie, la Rai è completamente assente da questa discussione. La Rai non è semplicemente assente, ma sta subendo una serie di interventi che io oserei definire «chirurgici» e che rischiano di depotenziare ulteriormente il servizio pubblico e di azzopparlo in una competizione che dovrebbe quantomeno essere alla pari.
  Io mi riferisco alla mia categoria, ma credo di poter parlare anche per le categorie dei colleghi che sono seduti a questo tavolo. Noi rappresentiamo l'intero mondo dell'emittenza radiotelevisiva. Nello specifico, abbiamo anche l'editoria e una serie di altri settori. Non è un ragionamento dettato dalla necessità di difendere la Rai piuttosto che Mediaset. Abbiamo lavoratori ovunque e li rappresentiamo tutti. Il ragionamento riguarda tutto il sistema.
  Mentre queste discussioni sono in atto e mentre noi chiediamo al Governo di spingere, con un confronto che deve essere serrato, cadenzato e periodico con tutti gli interlocutori interessati, per una velocizzazione e un adeguamento della discussione che riguarda sia l'aspetto tecnologico che quello dei contenuti e dei diritti (c’è il tema di come difendere la proprietà intellettuale), noi assistiamo alla politica di un Governo che fa un prelievo di 150 milioni ai danni del servizio pubblico. Adesso nel disegno di legge di stabilità si parla di un ulteriore prelievo del 5 per cento del canone. Secondo quali modalità di reperimento delle risorse ? Questo ancora non ci è chiaro.
  Tutte queste cose si sommano al fatto che, a nostro avviso, la Rai, proprio per la sua funzione di servizio pubblico, deve Pag. 6essere la più straordinaria piattaforma orizzontale, attraverso la quale è possibile distribuire contenuti e alla quale, semmai, altri operatori potrebbero attingere per poter fruire di un servizio.
  Come abbiamo detto in tutte le sedi possibili, per noi è del tutto sbagliato immaginare di scorporare la rete con l'operazione che si sta facendo su Rai Way. Scorporare la rete, fare i prelievi che si stanno facendo e non prevedere un ragionamento che quantomeno mantenga la Rai come servizio pubblico, alla pari di quanto sta accadendo negli altri settori, per noi determina l'ennesima stortura, rispetto alla quale manifestiamo la nostra preoccupazione e la nostra non condivisione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola a Walter D'Avack, operatore nazionale di FISTEL-CISL, per lo svolgimento della sua relazione.

  WALTER D'AVACK, Operatore nazionale di FISTEL-CISL. Buongiorno. Grazie per l'invito a quest'audizione. Credo che sia importante che, al di fuori delle proprie responsabilità, si possa discutere. Abbiamo consapevolezza del contributo che il sindacato può dare affinché Governo e Parlamento possano adottare quei provvedimenti che servono per far crescere il Paese.
  Barbara Apuzzo vi ha detto molto del nostro vissuto quotidiano, ma credo che in questa sede sarebbe bene capire quello che ci sta succedendo intorno, abbandonando per un attimo la nostra visione che è legata alla quotidianità.
  Credo che, invece, qui noi abbiamo bisogno di avere una prospettiva e di dirvi che la discussione non deve essere tra servizio pubblico e servizio privato. L'errore che è stato fatto per molti anni è stato quello di pensare che il servizio pubblico dovesse essere in competizione con i privati, senza capire che si trattava di un contesto in cui i due elementi potevano essere integrati e portati a sistema, per dare valore a tutte le specificità di ogni singolo soggetto.
  Gli operatori commerciali sono aziende di profitto, mentre il servizio pubblico ha una sua funzione. Questo però non significa che ci sono contenuti di qualità da una parte e non dall'altra, ma semplicemente che vanno identificati i ruoli. Il fatto di non aver proceduto in questo senso ha innanzitutto impedito al sistema di svilupparsi e ha inibito al privato la possibilità di utilizzare il servizio pubblico come elemento di sviluppo industriale, culturale e anche di mercato.
  Noi immaginiamo che in questo momento si debba tener conto che i problemi si inseriscono in un contesto più grande rispetto ai confini nazionali. Noi abbiamo tentato di avere una condivisione perlomeno dei dati di partenza e abbiano letto la relazione annuale dell'Agcom, i cui scenari sono abbastanza puntuali, in termini di riferimenti, di grandezze, di risorse economiche, di convergenze e integrazioni che stanno avvenendo tra quelli che vengono chiamati «net provider», i gestori di tecnologie, i broadcaster e le media company.
  Vi manderemo il nostro documento, che contiene un piccolo abstract di quello che c’è nella relazione annuale. Dai dati emerge che il settore delle comunicazioni a livello mondiale vale 1.800 miliardi e che il mercato italiano pesa per soli 34 miliardi. Questo dato dice tutto, in un Paese come il nostro dove c’è una crisi stagnante, il sistema radiotelevisivo risente molto della recessione del mercato pubblicitario.
  Devo dire che da questo punto di vista la concessionaria Rai, quanto alla pubblicità, non ha fatto il suo mestiere, anzi ha alimentato addirittura una deregolamentazione, che ha portato a gravi perdite in tutto il settore, compresa l'editoria.
  In questa fase dobbiamo capire ciò che si può fare, sia per quello che compete al sindacato sia per quello che è nella competenza del Governo e del Parlamento nazionale. Come si dice, il cambiamento è come il vento e non si ferma con le mani. Il cambiamento va dove ci sono interessi, possibilità e nuove strategie. Le imprese fanno questo. Noi dovremmo avere la capacità di creare un sistema italiano di Pag. 7imprese che sa fare sistema Paese e che si presenta sugli altri mercati internazionali.
  Siamo in forte ritardo rispetto agli altri Paesi. Se non capiamo qual è la vera capacità del sistema italiano ne usciremo tutti quanti sconfitti con gravi perdite, dal servizio pubblico radiotelevisivo alle aziende di telecomunicazioni. Non nomino le imprese di produzione dei device, perché ormai il mercato è soprattutto giapponese e cinese.
  Questo ci porta a ragionare con voi su questi temi, perché noi pensiamo che ci siano delle cose che sono alla nostra portata e cose che vengono decise dalle istituzioni europee, che a loro volta fanno sbarramento.
  Noi ci stiamo salvando solo perché una normativa europea limita l'accesso degli operatori oltreoceano. Non so se avete letto la notizia di ieri: Yahoo ! ha comprato un grande gestore di connettività a 460 milioni di euro. Non credo che ci sia un'azienda italiana che abbia questa disponibilità economica.
  Tutto questo sta comportando che, stante la limitatezza di risorse, le aziende stanno adottando strategie di convergenza tra settori. Tendono a rafforzarsi nei loro mercati, ma tentano anche di fare sinergia per integrarsi e fornire più servizi al consumatore.
  Il sindacato ha anche un'altra funzione: difende il lavoro, ma ha anche un'attenzione rispetto a quello che succede al cittadino, quando ci sono concentrazioni a largo spettro. Mi riferisco al fatto che se un gestore dà al cliente un telefonino sul quale è possibile, attraverso applicazioni offerte da operatori di grandi dimensioni, avere accesso facile a tutto, ma si blocca se si usano applicazioni offerte da altri operatori; è chiaro che così si orienta il consumo in una certa direzione.
  La cosa più importante in questo senso sono le reti infrastrutturali. Quando pensiamo alle reti, siamo ancora abituati a pensare alle infrastrutture di Rai Way, sempre per la solita dicotomia tra pubblico e privato, ma attraverso le smart tv, basta attaccare un piccolo cavetto sulla rete e sparisce tutto il sistema di connessione etere radiotelevisivo.
  Noi pensiamo che all'interno della discussione che si sta svolgendo nel nostro Paese ci debba essere la possibilità di mettere insieme i grandi operatori nazionali, fintanto che non si riesce a fare un gestore unico nazionale, che possa creare un sistema Paese di tutta la rete. Infatti, l'obiettivo dell'infrastruttura è quello di avere un gestore aggregato che non toglie libertà al mercato, ma dà a tutti possibilità di accesso senza condizioni di privilegio.
  Oggi non siamo in questa condizione, ma noi riteniamo che, se vogliamo fare qualcosa di utile al servizio radiotelevisivo, dobbiamo considerare che le risorse mancano a tutti, ma ancor di più alle emittenti private, soprattutto quelle locali. Credo di non sbagliarmi dicendo che siamo l'unico Paese in Europa con una tale moltitudine di emittenti. Le emittenti locali rischiano di sparire sotto i colpi dell'innovazione tecnologica.
  Forse è tempo che si faccia ciò che si è fatto nelle telecomunicazioni di telefonia mobile. Qualcuno si è fatto carico, attraverso un accordo, della parte istituzionale, di prezzi concordati e di livelli di servizio e di accesso. Questo potrebbe liberare le emittenti locali e avrebbe molteplici effetti positivi, come diceva Barbara Apuzzo. C’è un retaggio della legge Mammì, quando ancora c'era un limite nell'utilizzo delle frequenze. Va detto che le emittenti radiotelevisive sono prima di tutto delle aziende che producono contenuti. Credo che produrre tecnologia senza avere i soldi per fare i contenuti sia una confusione che si sta generando in questo momento, per la carenza di risorse. Spesso e volentieri si vedono gli stessi programmi che vanno in onda più volte nell'arco della stessa giornata.
  Noi pensiamo che, se si vuole fare un servizio a questo Paese e alle imprese, forse, in carenza di risorse, si dovrebbe decidere chi sono i soggetti atti a ricoprire quell'attività e garantire l'accesso a quelli che dovrebbero fare un altro mestiere. Mi spiego: in Italia abbiamo tre o quattro Pag. 8grandi operatori nazionali di rete radiotelevisiva, con una capillarità molto diffusa. Credo che immaginare che le emittenti locali, in questo momento, possano essere competitive con i grandi operatori sia un errore. Come dicevo, forse si potrebbe agire come è stato fatto per la telefonia mobile, garantendo un accesso, liberando risorse delle loro reti personali per investire nei contenuti.
  Questo consentirebbe di gestire e ottimizzare la banda a disposizione, cioè le frequenze di cui si parlava prima. Adesso il problema delle interferenze esiste ma se ne parla di meno perché, siccome ognuno si attrezza a modo suo, ci sono le interferenze tra le varie emittenti e l'utente ne paga i danni, perché non riesce a vedere più la televisione.
  Se si fa questa operazione, si liberano risorse, si rafforzano gli operatori nazionali di connettività e le emittenti fanno il loro mestiere, ovvero danno contenuti di qualità e non sono costrette a dare contenuti prodotti con minori risorse e quindi necessariamente meno elaborati. In questo modo, si riesce a dare quello che serve.
  Il sistema radiotelevisivo è utile al Paese e ai cittadini perché possano formarsi una coscienza critica di quello che succede. Se ci si concentra su come diffondere il segnale, ho la sensazione che se mandassimo il monoscopio con la pubblicità sarebbe la stessa cosa. Questo aiuterebbe anche il cittadino, che avrebbe un miglior risultato dal punto di vista della visione e dei contenuti.
  Vi lasceremo il nostro documento, ma immaginiamo che abbiate scorso anche voi le pagine della relazione dell'Agcom, quindi eviterei di parlare delle varie integrazioni e del pericolo, che abbiamo alle porte, che subentrino operatori che hanno capitali forti, cosa che noi non abbiamo. Noi ci apprestiamo a essere acquisiti da imprese straniere mentre le imprese italiane non hanno le risorse per fare acquisizioni all'estero. Questo è il tema.
  Noi pensiamo che si possano fare cose importanti, partendo da ciò che si è in grado di fare con quello che c’è a disposizione. Non possiamo pensare a grandi progetti, perché non abbiamo le risorse. Mancano le risorse al servizio pubblico e questo anche perché il servizio pubblico ha fatto errori in passato, spendendo male le risorse dei contribuenti.
  Se mancano adeguate risorse al servizio pubblico, per noi è un problema, perché manca lavoro. Se manca il lavoro del servizio pubblico, manca l'indotto. L'abbiamo scritto mesi fa. Si crea un problema che riguarda 74.000 dipendenti nel complesso, tolto il mercato culturale.
  Anche in questo caso ci sono implicazioni sotto l'aspetto editoriale. L'editoria rischia di sparire se si continua in questa direzione. L'aggregazione dei contenuti autoprodotti, professionali, dilettantistici, che vengono poi trasmessi su Internet, rischia di far sparire l'editoria professionale, che dà un'informazione fatta con i dovuti canoni.
  Pensare a delle formule che portino ad una soluzione diventa problematico. L'ampiezza del contesto e la sua complessità, che è globale e non dipende solo dall'Italia, ci suggeriscono di non buttare lì proposte tanto per fare. I temi, secondo noi, vanno scomposti e integrati tra loro e ci si deve ragionare sopra.
  Noi immaginiamo che si debba creare un tavolo di discussione, o quantomeno di consultazione, tra associazioni datoriali. Credo che in questa sede si stiano già facendo le consultazioni. Si deve andare avanti su un progetto di riforma del sistema della comunicazione nella sua completezza, che racchiuda le famose aziende di telecomunicazioni, i settori radiotelevisivi e quelli dei servizi Internet.
  Sul piano sindacale, tengo a precisare che quello che a noi interessa è il lavoro, deve essere chiaro che, qualunque operazione si faccia, la priorità deve essere la tutela dei livelli occupazionali e del lavoro. Il lavoro non si tutela facendo assistenza. Lo possiamo tutelare solo se i lavoratori sono competitivi, grazie al continuo aggiornamento, alla formazione e alle loro capacità intellettuali e creative.
  Noi abbiamo individuato alcune soluzioni in questo senso. Non so se questo è un tema che rientra nella competenza di Pag. 9questa Commissione. Innanzitutto, bisognerebbe dare una regola unica a questo settore, che parta da un contratto di settore che non faccia differenza tra lavoratori di serie A e di serie B, a prescindere dal fatto che stiano nel servizio pubblico o privato, fino ad arrivare ai precari, che diventano l'anello debole della catena. Con il sistema dei ribassi dei costi, questo succede.
  Noi immaginiamo che ci debba essere un ente bilaterale che sostenga il professionista, a prescindere dal fatto che abbia un contratto o meno. Infatti, la sostenibilità del lavoro si realizza sostenendo le persone con gli enti bilaterali di settore, dove le imprese e i lavoratori supportino gli enti e dove chi ha bisogno di essere aggiornato, perché quello è il valore, possa rinnovare le proprie competenze.
  Questi sono i temi che, secondo il sindacato, dovrebbero essere discussi, a parte l'infrastruttura tecnologica, che è un tema veramente grande ma anche immediato.
  Come dicevo poc'anzi, il mercato pubblicitario va ripensato, ridisegnato e riscritto. Faccio sempre un esempio: è come se Bankitalia facesse concorrenza aprendo sportelli a costo zero, a discapito delle banche che fanno attività di profitto. La Rai deve essere un ente di sostegno. Certamente gli vanno date le risorse, ma va anche controllato, perché ha dimostrato di non essere in grado di gestire al meglio le risorse. Oggi ci stiamo provando con grandi resistenze.
  In questa fase, prima di arrivare a una soluzione perfetta che se attendiamo ancora arriverà quando le imprese non ci saranno più, pensiamo che si possano adottare degli accorgimenti, come è stato fatto nel settore di sostegno cinematografico con la tax shelter e la tax credit (il credito di imposta).
  Credo che questo, per le imprese che sono in grado di produrre contenuti e che hanno un valore per la collettività possa essere un ulteriore meccanismo per poter continuare a operare e per non chiudere.
  Pensiamo che la soluzione relativamente a come deve essere realizzato il sistema non sia dietro l'angolo e non sia facile. Le resistenze dei circuiti internazionali e delle multinazionali è più forte di quello che noi siamo in grado di esprimere in termini economici.
  Questa è la nostra valutazione, che non è superficiale, ma è ragionata, sui punti che richiamano le nostre sensibilità e attenzioni.
  Per il resto, riguardo a quello che succede nel quotidiano, siamo attrezzati a difenderci e a non perder terreno. Certamente le battaglie iniziano a essere dure: a volte perdiamo le partite a tavolino, magari senza neanche avere la possibilità di dire la nostra. Questo ci crea grandi problemi e ci mette in una condizione difficile rispetto al lavoro. Questa è una cosa che ci tenevo a dire.
  Purtroppo il sistema radiotelevisivo italiano in generale non offre un buon servizio al sindacato. Si parla sempre delle negatività, mentre quando il sindacato è sul campo e fa accordi che fanno funzionare le aziende non si racconta.
  Credo che tutti questi sindacati possano dire con soddisfazione di aver contribuito, insieme ai lavoratori, al passaggio al digitale terrestre, perché l'hanno sostenuto. I lavoratori l'hanno sostenuto insieme a noi. Il digitale terrestre della Rai si sostiene anche grazie al sindacato. È stato fatto praticamente senza spendere una lira in appalti, ma utilizzando prettamente risorse interne. Queste sono le cose che non si raccontano. Come sempre, non si parla delle eccellenze, ma solo delle cose che non funzionano.
  Io ho finito. Vi ringrazio ancora. Ci aspettiamo che si costituisca un tavolo dove, magari scomponendo gli argomenti, si possa discutere insieme alle associazioni datoriali.

  PRESIDENTE. Grazie per la sua relazione. Ricordo ai relatori che abbiamo tempo fino alle 16. Do quindi la parola a Ottavio Antonio Bulletti per lo svolgimento della sua relazione.

  OTTAVIO ANTONIO BULLETTI, Funzionario di UILCOM-UIL. Vista l'indicazione, Pag. 10sarò breve. Soprattutto non voglio ripetere le cose che sono state dette, perché sarebbe oltremodo noioso. Peraltro, sono osservazioni condivise da tutte le organizzazioni sindacali.
  Innanzitutto credo che il ringraziamento nei vostri confronti sia d'obbligo, in quanto permettete alle parti sociali di dare un contributo ad una discussione che effettivamente potrebbe avere dei risvolti non indifferenti sia sull'occupazione, che a noi sta molto a cuore, sia sulla vita dei cittadini, che pensiamo comunque di rappresentare.
  Il cambiamento tecnologico che sta avvenendo è ancora in fase di sviluppo, anzi quello che oggi sembra nuovo domani potrebbe già essere vecchio. Pertanto, dobbiamo senz'altro cercare di accelerare questo processo di rinnovamento, che vede il servizio pubblico, il sistema radiotelevisivo in generale e – mi permetto di aggiungere – il sistema delle telecomunicazioni del nostro Paese in un momento molto difficile. Registriamo un grave ritardo. Se facciamo il confronto con altri Paesi, siamo quasi alla preistoria.
  La sollecitazione è senz'altro di fare presto, ma anche di fare bene, evitando magari di ripetere gli errori che sono già stati fatti. Purtroppo dobbiamo registrare alcuni errori e ci sentiamo anche di denunciarli.
  Credo che il passaggio al digitale terrestre sia proprio uno di questi errori che non dobbiamo ripetere. Infatti, l'occasione del passaggio al digitale terrestre sarebbe stata molto più proficua se, invece di seguire l'esistente e di adattarlo alle nuove tecnologie, si fosse seguita un'altra strada: adattare la realtà industriale di questo Paese alle nuove tecnologie. Invece, è successo esattamente il contrario.
  Questo è un errore ci ha portato, come è stato detto, a quelle situazioni preferenziali che come Paese ci hanno fatto fare una brutta figura. È inutile che ci stiamo a nascondere dietro la realtà dei fatti. Sono in corso una serie di valutazioni sfavorevoli sul nostro sistema e ovviamente da questo discendono non solo eventuali multe, non certo di poco conto, ma soprattutto il fatto che dovremo fare ulteriori e nuovi investimenti, vanificando quello che già è stato fatto. Questo è un dato che purtroppo dobbiamo scontare.
  Poc'anzi ho detto che il sistema televisivo sta cambiando, con riferimento sia al sistema pubblico in concessione sia al sistema privato, che conosce una situazione molto diversificata nelle varie zone del nostro Paese.
  Quello che viene definito il digital divide in questo Paese è molto evidente, proprio per le scelte errate che abbiamo fatto nell'assegnazione delle frequenze. Questo è un leitmotiv che continuerà a ripetersi, finché non ci sganceremo da questa situazione.
  La concessione delle frequenze non deve continuare a rincorrere l'esistente, anche perché, purtroppo, dobbiamo registrare che la base di riferimento sulla quale vengono assegnate le frequenze spesso non è frutto della realtà, bensì di situazioni mai verificate sul campo. Pertanto, l'assegnazione delle frequenze sulla base dell'esistente non ha una reale rispondenza con le esigenze di copertura del segnale sul territorio.
  Il digital divide nasce proprio da queste difficoltà e da questa situazione. Ecco perché è importante che a questo punto si diano delle indicazioni molto precise. Noi riteniamo soprattutto che il Governo, il Parlamento e lo Stato italiano debbano farsi promotori di una supervisione della situazione. Lo Stato deve dare garanzia a tutti i cittadini di vedere la televisione, di ricevere informazioni, ma soprattutto di avere, in un futuro che speriamo sia molto vicino, l'accesso alla banda larga.
  La banda larga è senz'altro un altro aspetto che potrebbe fornire a questo Paese una diversa occupazione, ma soprattutto un diverso valore per l'industria all'interno del mercato complessivo.
  In effetti, perché si dovrebbe investire in questo Paese dal punto di vista industriale, quando c’è difficoltà di accedere ai sistemi di comunicazione che permettono alle industrie di essere strettamente collegate al mercato e al prodotto ?Pag. 11
  Questo è un dato che ci vede costretti ad affrontare il tema della diffusione della banda larga, che comporta senz'altro grossi investimenti e rientri economici solo a lungo termine, soprattutto se effettuata su tutto il territorio. Per arrivare a mettere tutti i cittadini sullo stesso livello, è indispensabile che lo Stato, non solo sia garante della situazione, ma sia anche promotore di interventi mirati su alcune realtà.
  È chiaro che in tutto questo discorso della banda larga rientra anche la possibilità del cittadino di accedere ai programmi radiotelevisivi. Ho usato il termine «radiotelevisivi» perché spesso noi ci dimentichiamo che non c’è solo la televisione, ma c’è anche la radio, che ha bisogno di frequenze, di impianti e di strutture, senza le quali non può essere utilizzata dai cittadini.
  Purtroppo sul discorso della radio registriamo le stesse anomalie che dobbiamo registrare sul discorso del digitale terrestre. L'assegnazione delle nuove frequenze ha seguito l'esistente, spesso fuori da ogni realtà e, quindi, il sistema di interferenze non è stato assolutamente affrontato, anzi in alcuni casi è stato peggiorato. Anche questo è un tema che non può essere ulteriormente rinviato, perché fa parte del sistema globale della diffusione e trasmissione del segnale, ovviamente anche con riferimento alla banda larga.
  Certamente in questa situazione ci sentiamo di dover fare delle proposte. La prima proposta è quella che vi ho appena accennato: lo Stato deve essere il garante e il promotore di questo nuovo sviluppo; deve essere colui che controlla la situazione e, se è il caso, interviene in modo deciso ed energico, non come ha fatto in passato, tollerando situazioni che ci si stanno ritorcendo contro.
  In questo contesto, rientra anche il discorso della radiotelevisione e del rinnovo della concessione. Anche questa è un'occasione che non possiamo perdere, perché l'imminente rinnovo della concessione permetterebbe di ridisegnare il nuovo servizio pubblico in funzione delle nuove esigenze del sistema Paese.
  Ho cercato di essere il più sintetico possibile. Ovviamente vi invito a leggere la relazione, dove ci sono molte più argomentazioni.

  PRESIDENTE. Do ora la parola a Stefano Conti, segretario nazionale di UGL Telecomunicazioni, per lo svolgimento della sua relazione.

  STEFANO CONTI. Segretario nazionale di UGL Telecomunicazioni. Buonasera. Ringrazio la presidenza e la Commissione. Mi impegnerò ad essere sintetico e non ripetitivo.
  Come è stato accennato, il passaggio dal sistema analogico al digitale terrestre ha rappresentato probabilmente un'occasione perduta o, se vogliamo parlare con franchezza, un'occasione gestita male, per i motivi che sono stati precedentemente ricordati.
  Purtroppo, con l'Agenda digitale siamo di fronte a un ripetersi delle stesse circostanze. Ricordiamo che sull'Agenda digitale molto si è detto e forse poco si è fatto. Pensiamo solo al fatto che dei 53 provvedimenti attuativi ne sono stati messi in atto solamente 18.
  C’è finalmente l'occasione di porre fine al digital divide e avere una infrastruttura nazionale a banda larga. Questa è un'occasione anche dal punto di vista occupazionale. Gli studi che sono stati condotti parlano di un incremento a regime del prodotto interno lordo vicino all'1,5 per cento, di una crescita occupazionale di circa 200.000-250.000 persone e soprattutto della possibilità di modernizzare finalmente il nostro Paese, con tutte le ricadute positive che ci sarebbero. Questo è il primo grande punto interrogativo per quanto ci riguarda.
  Tornando al discorso delle frequenze e ricordando che ci sono dei problemi oggettivi, soprattutto riferiti alle frequenze che interferiscono con alcuni Paesi confinanti, il nostro Paese può incorrere in una procedura di infrazione, ma soprattutto c’è il rischio di mettere a repentaglio l'esistenza di diverse aziende del settore, ivi incluse circa un migliaio di unità, o forse qualcosa in più, di forza lavoro.Pag. 12
  C’è poi un problema, che, secondo noi, è forse quello più importante, che è legato agli over the top. Come ben sappiamo, le grandi aziende a cui si faceva menzione poc'anzi, da Yahoo a Google, hanno una posizione dominante sul mercato, che genera una serie di storture, dall'elusione delle tasse al fatto che per gestire i siti su cui viaggiano le piattaforme non hanno bisogno di investire nella tecnologia, perché si basano su reti e infrastrutture che già ci sono o addirittura le bypassano.
  Inoltre, c’è un tema legato all'occupazione. È facilmente intuibile che il problema della forza-lavoro del settore, che in Italia arriva con l'indotto a circa 80.000-90.000 persone, dal punto di vista degli over the top è limitato. Le grandi aziende non hanno bisogno di una forza lavoro di questo tipo. C’è, quindi, un problema occupazionale di dimensioni gigantesche.
  Abbiamo accolto con favore e con interesse il fatto che finalmente qualche giorno fa in Irlanda, dopo pressioni da parte della comunità europea e iniziative di carattere giuridico, si è deciso che a partire dal primo gennaio 2015 non ci sarà più quella famosa agevolazione che permetteva il raggiro del pagamento delle tasse nei Paesi dove questi operatori over the top sono presenti per tutte quelle aziende che inizieranno a lavorare lì. Per quelle che già ci sono, invece, ci dovrebbe essere una sanatoria che avrà un esito finale nel 2020. Questo è un primo passo importante per cercare di imporre delle norme che siano osservate da tutti e che non siano distorsive del mercato.
  Forse dopo cinque anni la Commissione europea aprirà un procedimento a carico di Google, di cui si è iniziato a parlare nel 2010. Forse qualcosa in questo senso si sta muovendo.
  Concludo con due annotazioni, una positiva e l'altra un po’ meno. La prima riguarda la bozza della Dichiarazione dei diritti in Internet promossa dalla presidenza della Camera, che, forse per la prima volta, pone l'Italia tra i primi Paesi che parlano di questo codice etico.
  Si tratta di un codice importante, che parla del diritto di ogni persona all'accesso a Internet, alla neutralità della rete e soprattutto alla tutela dei dati sensibili. Quest'ultimo è un problema che è emerso qualche mese fa con lo scandalo del datagate, con gli Stati Uniti che si sono resi partecipi di un'attività di spionaggio dei dati per mezzo di istituzioni che erano, chiamiamole così, delle loro «emanazioni pubbliche».
  Una cosa che è importante sottolineare è la poca informazione sull'esistenza di un servizio per la tutela dei minori. Mi riferisco a quelle che vengono chiamate «linee dirette» o hot line, che servono per segnalare e denunciare contenuti inopportuni. In Italia c’è un portale gestito, se non ricordo male, dall'Adiconsum e da Save the Children.
  Abbiamo visto che la Commissione europea ha bacchettato un po’ gli Stati nazionali, in quanto queste informazioni non sono ancora rese pubbliche e poche persone conoscono l'esistenza di queste hot line, che invece sono assolutamente importanti. Sappiamo tutti quali contenuti possono trovare i minori in rete. Credo che questa sia una piaga di cui tutti dobbiamo prendere atto ogni giorno e che dobbiamo cercare di contenere in qualche modo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROMINA MURA. Intervengo innanzitutto per comunicarvi che oggi il lavoro della Commissione a ranghi ridotti è dovuto alla concomitanza dei lavori della Commissione Bilancio sul disegno di legge cosiddetto «collegato ambientale» e sul disegno di legge di stabilità. Molti colleghi, in particolare quelli del Gruppo Partito democratico, sono impegnati in queste fasi molto delicate, per provare a migliorare sia il «collegato ambientale» che la legge di stabilità.
  Ritengo che il confronto con i sindacati – dico questo per rispondere e non per polemizzare a quanto si diceva poc'anzi – possa continuare in questa sede, nel corso della nostra indagine conoscitiva oppure in altra sede più specifica.Pag. 13
  Io non posso che parlare a nome della categoria che rappresento. Dico questo a conferma dell'utilità del confronto tra i sindacati e il Parlamento, ovviamente nel rispetto dei rispettivi ruoli. Il nostro è legiferare e quello dei sindacati è garantire le tutele esistenti e – io auspico – anche di ampliarle, in modo tale da renderle universali.
  A questo proposito, condivido molto l'idea di ipotizzare un trattamento universale per tutti i lavoratori dell'industria televisiva, sia pubblica che privata.
  Per quanto riguarda la Rai, io vorrei solo fare un'osservazione sul servizio pubblico. Ritengo che i costi collettivi del servizio pubblico in questi anni siano stati infinitamente superiori ai risultati che questo servizio ha prodotto nella società. Mi riferisco ai risultati di carattere culturale, di carattere educativo e di carattere sociale.
  Pertanto, ritengo che in questa fase sulla Rai non vada fatto solo un prelievo di risorse. Sicuramente le risorse oggi utilizzate vanno razionalizzate, perché, secondo il mio modesto parere, in questi anni forse si è speso eccessivamente, come emerge facendo un raffronto costi-benefici. Tuttavia, è anche vero – lo avete detto anche voi – che la Rai va riformata soprattutto in termini qualitativi. Lo stesso crollo dell'investimento pubblicitario sui canali della Rai dice una cosa: che la Rai non è più competitiva sul mercato.
  La domanda che noi ci dobbiamo porre è come mai la Rai in questi anni, sebbene abbia avuto a disposizione notevoli risorse, sia finanziarie che professionali, non è riuscita a competere nel mercato globale. Forse ciò è dovuto al fatto che non ha assolto completamente a quel ruolo di servizio pubblico e di strumento di comunicazione di massa – permettetemi di utilizzare questo termine – che è la parte integrante della sua missione. La mia, più che una domanda, è un'osservazione, che spero di poter approfondire in altre sedi.
  Oggi, per costruire un servizio pubblico che, secondo me, in questi anni non c’è stato, e per salvaguardare l'occupazione che, nel caso dalla Rai in particolare, è di qualità – si tratta di professionisti che in questi anni sono cresciuti e che danno un contributo fondamentale per il servizio televisivo – serve sicuramente salvaguardare le risorse, ma forse serve anche differenziare il prodotto, renderlo meno generalista e fare tutti quei passaggi di cui si parla troppo poco.
  Secondo me, la salvaguardia dell'occupazione e del servizio pubblico si può realizzare solo attraverso questo percorso. Altrimenti rischiamo veramente di aprire uno scontro e di sembrare noi quelli che vogliono tagliare le risorse e quindi l'occupazione (invece, stiamo tentando di riformare, perché, come ha detto lei, il cambiamento non si può fermare con le mani) e i sindacati quelli che vogliono tutelare la forza lavoro.
  Secondo me, se l'obiettivo si definisce in modo più chiaro, probabilmente possiamo fare un lavoro di sintesi e trovare un punto di ricaduta comune.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  BARBARA APUZZO, Segretaria nazionale area produzione multimediale di SLC-CGIL. Innanzitutto la ringrazio. C’è apprezzamento per questo riaffermare il valore del confronto, chiaramente ognuno per la propria competenza. Io ritengo che quando c’è, il confronto a qualsiasi livello determini sempre un'evoluzione positiva delle situazioni. Credo che l'obiettivo, ognuno per la propria parte e per la rappresentanza che ha, sia sempre quello di far del bene alle aziende, al Paese e ai lavoratori. Partiamo forse da sponde diverse, ma per raggiungere la stessa meta.
  Rispetto alla precisazione dell'onorevole Mura, vorrei a mia volta essere più chiara su un aspetto sul quale forse non lo sono stata. Il passaggio che facevo nella mia introduzione, sul prelievo che è stato fatto a discapito della Rai, non voleva assolutamente assumere la difesa della Rai in quanto azienda. Noi abbiamo denunciato, e continuiamo a denunciare quotidianamente, le inefficienze e le insufficienze sotto ogni punto di vista.Pag. 14
  La cosa che, però, ci teniamo a sottolineare è che forse quel prelievo avrebbe avuto un senso diverso se fatto procedere di pari passo con una riforma vera, che noi chiedevamo a gran voce. Se si voleva ragionare sulla possibilità di reperire risorse, come abbiamo detto in tutte le sedi, avevamo un elenco infinito di voci che riguardavano una mala gestione per quanto riguarda gli appalti e i super stipendi.
  L'effetto che, invece, noi, come organizzazioni sindacali, abbiamo vissuto sulla nostra pelle e sulla pelle dei lavoratori è stato un altro. Faccio un esempio per stare all'aspetto industriale dell'azienda. Per effetto di quei 150 milioni che sono venuti meno a bilancio e piano industriale già approvati, quindi in corso di gestione, tutto il percorso di stabilizzazione di alcune figure che prendono 800-900 euro al mese si è arrestato, perché non c'erano più le risorse.
  Piuttosto che fare un intervento che tagliava risorse, senza capire che tipo di impatto avrebbe avuto, noi avremmo immaginato una discussione a 360 gradi, che agganciasse il nuovo contratto di servizio, i suoi contenuti, le prospettive per lo sviluppo del servizio pubblico e soprattutto – questo è un tema di grande attualità – quali risorse si intendono garantire e come per il canone. Il canone va ridotto o va aumentato ? Le risorse sono di più o sono di meno ?
  Invece di questo, noi abbiamo visto un'ulteriore determinazione, che parla di un prelievo del 5 per cento su una cifra che non sappiamo a quanto ammonterà, come verrà reperita e con quali certezze.
  Come dicevano poc'anzi i miei colleghi, la complessità per un sindacato confederale è quella di tenere insieme il mondo del lavoro e i diritti da garantire all'utenza. Il nostro interesse è guardare anche agli aspetti industriali e, quindi, salvaguardare le aziende. Noi non siamo nemici degli imprenditori o dello Stato, se si tratta di un'azienda pubblica. A noi interessa creare un circuito virtuoso, in cui tutto funzioni bene.
  Su questo noi continuiamo a chiedere a gran voce un confronto, perché riteniamo che le storture siano veramente tante.
  La Rai è la più grande azienda culturale del Paese e deve ricominciare a produrre contenuti, proprio per questo motivo. Io ricordo i vecchi contratti di servizio che parlavano di una serie di obiettivi da raggiungere. Questi andrebbero assolutamente rivisti, confermati o limati, se si pensa a un servizio pubblico più leggero che si deve diversificare.
  Qualsiasi operazione va fatta nella chiarezza di un quadro completo, altrimenti rischiamo di togliere un tassello, senza sapere se è fondamentale oppure fa parte della cornice e, quindi, non incide più tanto.
  Siamo consapevoli della necessità di riformare la Rai. Come organizzazioni sindacali, siamo pronti a farlo, ma siamo preoccupati per il fatto che si tolgono risorse senza sapere qual è il progetto definitivo.

  OTTAVIO ANTONIO BULLETTI, Funzionario di UILCOM-UIL. Quello che è stato detto è assolutamente condivisibile. Forse manca una piccola distinzione.
  In questi giorni sta andando in onda uno spot pubblicitario per la vendita di azioni da parte di Rai Way, che è una società controllata ed è quella che ha fatto il servizio pubblico, come si dice nello spot. In effetti, il servizio pubblico non è solo il programma o l'informazione, ma è anche la possibilità per tutti gli utenti di vedere i programmi. L'ultimo miglio è determinante.
  Purtroppo Rai Way ci vede fortemente preoccupati e in contrasto sul discorso della vendita. Rai Way è una società che ha prodotto sempre utili. Non è mai andata in rosso. Le do un dato approssimativo, ma mi riservo eventualmente di fornire quello giusto: Rai Way da quando è nata ha prodotto 185 milioni di euro di utili alla capogruppo Rai ed è quella che ha tenuto bassissimi i livelli del digital divide, cioè del divario di possibilità per i cittadini di vedere la televisione. In effetti, ormai si arriva a trasmettere nei paesini Pag. 15più sperduti. Mi permetto di dire che questa è proprio la caratteristica del servizio pubblico. I circa 800 impianti fuori obbligo di convenzione (FOC) sono quelli che la Rai ha costruito senza il contributo di nessuno. Li ha fatti proprio fuori da obbligo di convenzione, come l'acronimo che li contraddistingue. Questo è il servizio pubblico, che è stato fatto dalla società del gruppo Rai, Rai Way.
  Ecco perché siamo fortemente preoccupati. Condivido appieno quello che ha detto la collega: arrivare alla vendita, senza avere il quadro complessivo del sistema, è un rischio, non solo per il servizio pubblico, ma anche per il Paese e per i cittadini.
  Vorrei ricordare un piccolo particolare, che prima mi è sfuggito. Mi scuso per non averlo ricordato. Sugli impianti di Rai Way transitano anche le informazioni della polizia, dei carabinieri e dei comuni. Come è stato giustamente ricordato dal collega, è un rischio enorme non avere il controllo di questa situazione.
  Mi rifaccio al mio intervento iniziale: il controllo dello Stato su alcune situazioni è importante. Non mi riferisco al prelievo, ma al controllo. La mancanza di verifica sulla situazione reale espone il nostro Paese e i cittadini ai rischi che hanno visto coinvolta un'altra democrazia, molto più importante e molto più grande, in modo abbastanza pesante. Ecco perché è necessario che lo Stato si faccia garante di queste situazioni.
  Le frequenze sono un bene dello Stato e vanno controllate molto attentamente. Di conseguenza, vanno controllate anche la diffusione e la trasmissione del segnale.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i rappresentanti delle sigle sindacali che sono venuti in audizione oggi per il loro intervento e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato alla seduta odierna (vedi allegato). Terremo conto delle vostre considerazioni nell'ambito del documento conclusivo della nostra indagine.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.

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