XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Martedì 11 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catalano Ivan , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

Audizione di rappresentanti dell'Associazione produttori televisivi (APT).
Catalano Ivan , Presidente ... 3 
Follini Marco , Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT) ... 3 
Catalano Ivan , Presidente ... 8 
Coppola Paolo (PD)  ... 8 
Catalano Ivan , Presidente ... 9 
Follini Marco , Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT) ... 9 
Sbarigia Chiara , Segretario generale dell'Associazione produttori televisivi (APT) ... 9 
Spessotto Arianna (M5S)  ... 10 
Follini Marco , Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT) ... 10 
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 10 
Follini Marco , Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT) ... 11 
Catalano Ivan , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'Associazione produttori televisivi (APT) ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IVAN CATALANO

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione produttori televisivi (APT).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione produttori televisivi (APT), che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Do la parola a Marco Follini per lo svolgimento della sua relazione.

  MARCO FOLLINI, Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT). Naturalmente sono io che ringrazio la Commissione di questa occasione.
  Come associazione, abbiamo predisposto un testo, che leggerò solo in parte, anche per consentire una maggiore speditezza. Chiedo al presidente eventualmente di interrompermi, se mi dilungo eccessivamente.
  Per noi questa è un'opportunità preziosa per offrire il nostro contributo all'indagine conoscitiva avviata dalla Commissione. Accanto a me ci sono la dottoressa Chiara Sbarigia, segretario generale dell'APT, e l'avvocato Fabrizi, che ci segue da molti anni, come consulente e persona di fiducia.
  Desidero inizialmente ricordare che APT rappresenta la maggioranza delle imprese di produzione audiovisiva nazionale indipendente attive nella realizzazione di opere di fiction televisiva, programmi di intrattenimento leggero, cartoni animati e documentari, e nella cinematografia, ambiti tra i quali, come voi sapete, i muri divisori sono largamente venuti meno nel corso di questi ultimi anni. Ad APT aderiscono 48 società di produzione, che realizzano complessivamente quasi l'80 per cento del fatturato del settore. L'APT, inoltre, è membro di Confindustria e del Coordinamento europeo dei produttori indipendenti (CEPI).
  Il mio intervento ha come principale obiettivo quello di richiamare l'attenzione su una questione che riveste, a nostro avviso, un'importanza fondamentale nel dibattito generato dalle profonde trasformazioni che attraversano il settore dei media. Mi riferisco alla necessità di cogliere, in un tale rinnovato contesto, l'assoluta centralità di ruolo della produzione di contenuti originali nazionali ed europei di qualità, che a sua volta impone di considerare, con interesse maggiore che in passato, l'annoso e tuttora irrisolto problema della titolarità dei diritti sulle opere audiovisive di maggior pregio, tra cui ormai da tempo viene annoverata in particolare la fiction televisiva. Svolgerò, inoltre, alcune riflessioni in merito alla normativa Pag. 4avente ad oggetto la promozione della produzione di opere europee, che dispone obblighi specifici in capo alle emittenti televisive, al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione della produzione indipendente.
  In ogni Paese la produzione indipendente è il «termometro» che indica lo stato di salute del sistema mediatico ed è anche la sua preziosa riserva di pluralismo culturale, oltre che imprenditoriale. È passato il tempo in cui le emittenti facevano tutto in casa, un po’ artigianalmente e molto monopolisticamente. Ora il mercato tende verso forme di specializzazione e scopre le virtù e l'utilità dell’outsourcing. La produzione indipendente diventa così il volano di un sistema più maturo, più articolato, più aperto e più competitivo. Questo ingenera ovviamente una certa dialettica, che può diventare a volte molto vivace, tra produttori di emittenti, che talvolta sembrano lasciarsi attraversare da una certa nostalgia per il vecchio ordine di cose, nonché tra il mondo della produzione e quelle istanze legislative e regolamentari che non sempre sono capaci di esigere il rispetto delle leggi e dei princìpi che in questo settore incarnano la modernità. Mi riferisco, per esempio, alla recente delibera dell'Agcom con cui viene autorizzata l'eccezione rispetto all'acquisto di prodotti indipendenti. Questa eccezione ovviamente rientra nella potestà dell’Authority, ma rappresenta – è una tautologia – la forzatura di una regola che, invece, si era pensata a presidio e a tutela della produzione indipendente, ad esempio nel settore dei cartoni animati.
  Come è noto, il sistema dei media ha attraversato nell'ultimo decennio una vera e propria rivoluzione tecnologica, con il passaggio dall'analogico al digitale e la convergenza di servizi tradizionali di emittenza televisiva e Internet, che permette ora ai consumatori di avere accesso ai contenuti audiovisivi mediante una molteplicità di strumenti e modalità trasmissive.
  In tale contesto tecnologico e di mercato convergente, è ormai innegabile che i contenuti rappresentino il perno intorno al quale è destinato a ruotare l'intero sistema dei servizi di media audiovisivi. Come si dice nel nostro gergo e come vi è stato riferito da diversi interlocutori che mi hanno preceduto in queste audizioni, content is king, il contenuto è il re.
  Di qui deriva l'assoluta necessità di affrontare il tema cruciale della disponibilità e, prima ancora, della titolarità dei diritti sui contenuti di maggior pregio e attrattività per gli utenti. A questo proposito, l'APT ritiene che soltanto implementando un sistema capace di riconoscere e garantire che la titolarità dei diritti di sfruttamento delle opere audiovisive spetta a coloro che concretamente le realizzano si riuscirà a dare impulso a una effettiva circolazione e una conseguente fruizione dei contenuti di maggiore qualità, favorendo un equo confronto competitivo tra le varie piattaforme e modalità trasmissive, con conseguenti benefici per l'intero comparto dei servizi dei media audiovisivi.
  Come è noto, in ragione dell'assetto fin qui rigidamente duopolistico che ha caratterizzato il mercato italiano dell'emittenza, si sono consolidati nel tempo, tra le principali emittenti in chiaro e i produttori indipendenti di contenuti, relazioni e rapporti di forza, tali per cui questi ultimi, a parte casi rarissimi, non sono mai stati riconosciuti come titolari dei diritti sulle opere realizzate.
  Infatti, tutti o quasi i diritti in questione vengono storicamente ritenuti di proprietà delle emittenti, sulla base dell'errato principio, imposto dalle emittenti stesse nel contesto delle negoziazioni contrattuali, secondo il quale chi finanzia un'opera ne acquisisce fin dall'origine i diritti di sfruttamento, senza alcuna limitazione temporale e senza alcun limite di passaggi, con riferimento, non solo ai diritti di sfruttamento in chiaro, ma anche a tutti gli altri diritti di utilizzazione relativi a qualsiasi altra piattaforma o modalità di trasmissione e a qualsiasi canale distributivo.
  Vorrei aggiungere che quando i diritti vengono ceduti, come spesso capita, in perpetuo, questo sottintende, magari senza volerlo, una loro sottovalutazione, come se Pag. 5il valore di un prodotto risiedesse solo nella sua immediata messa in onda e non generasse, invece, una preziosa ricaduta, meritevole di essere, volta per volta, incrementata in tutti i suoi vari passaggi successivi.
  Tale sistema dei rapporti, se mantenuto inalterato, è suscettibile, non solo di danneggiare fortemente la categoria dei produttori televisivi italiani, ma soprattutto di pregiudicare seriamente lo sviluppo delle nuove piattaforme trasmissive e l'emersione di nuovi operatori, capaci di creare condizioni di mercato più competitive.
  In mancanza di precisi e mirati interventi normativi, infatti, gli operatori dei media audiovisivi emergenti si troveranno ancora per lungo tempo di fronte alla sostanziale indisponibilità di contenuti televisivi italiani di qualità, dal momento che le principali emittenti televisive nazionali, titolari anche dei diritti per la distribuzione di un'opera su piattaforme diverse da quella tradizionale, non hanno alcun interesse a consentire lo sfruttamento di tali contenuti a soggetti attivi su altre piattaforme o modalità trasmissive, passati ormai dal ruolo di potenziali competitori a quello di odierni e moderni concorrenti.
  Anche lo sviluppo di contenuti specifici adatti ai nuovi media risulta ostacolato da questo stato di cose. Non potendo sfruttare pienamente i diritti sulle proprie opere, infatti, i produttori hanno meno possibilità di investire in ricerca e innovazione e di riadattare o rilavorare le proprie opere, con un'attenzione specifica alle diverse esigenze delle nuove piattaforme e modalità trasmissive.
  Vi è di più. L'errato principio secondo il quale i diritti su un'opera appartengono a chi la finanzia e non a chi la produce, oltre a limitare fortemente lo sviluppo del settore dei servizi dei media in Italia, impedisce anche ai prodotti in questione di essere adeguatamente commercializzati all'estero. La distribuzione al di fuori dei confini nazionali non è, infatti, il core business dei broadcaster, che ottengono i maggiori ricavi dagli introiti pubblicitari e non hanno un così grande interesse nell'esportazione del prodotto.
  La bilancia commerciale conferma di anno in anno un andamento negativo delle esportazioni di fiction per il nostro Paese rispetto ai maggiori competitor europei e spiega come, fatta eccezione per alcuni mercati minori, la fiction italiana mostri ancora notevoli difficoltà a trovare sbocchi commerciali nei principali mercati europei.
  A questa criticità si aggiunge una massiccia importazione di prodotto estero. Ad esempio, nella stagione 2011-2012 le emittenti hanno trasmesso, tra prime visioni e repliche in prime time, 1.151 ore di fiction importata, contro le 580 prodotte da società italiana. Ciò, peraltro, è in contrasto con le logiche dell’audience, i cui valori sono invece nettamente favorevoli a queste ultime.
  Sotto un diverso profilo, questo stato di cose produce l'ulteriore conseguenza di precludere nella sostanza l'accesso da parte dei produttori italiani ai fondi europei per l'audiovisivo nel cosiddetto «programma Europa creativa», nonostante l'Italia risulti tra i cinque Paesi maggiori finanziatori di questo stesso programma.
  Possono, infatti, usufruire di tali finanziamenti solo quei produttori titolari dei diritti sulle opere che concedano gli stessi diritti ai broadcaster per periodi di tempo limitati, cosa che, appunto, ai produttori italiani spesso e volentieri non è consentita.
  In un contesto come questo e in una fase di profondo, continuo e rapido cambiamento, in cui la disponibilità di contenuti è destinata a svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo del sistema dei servizi dei media nel suo complesso, diventa di importanza vitale che si introducano, a livello legislativo, disposizioni chiare e inequivocabili sul tema della titolarità dei diritti, così da modificare la prassi distorta che si è instaurata tra emittenti e produttori indipendenti. Purtroppo negli anni tale annosa questione Pag. 6non è mai stata affrontata chiaramente né dal legislatore comunitario né da quello nazionale.
  Mentre, infatti, per le opere cinematografiche l'articolo 45 della legge sul diritto d'autore chiarisce che l'esercizio dei diritti di utilizzazione dell'opera spetta a chi ha organizzato la produzione, nulla è detto con riferimento alle opere audiovisive, in particolare di fiction.
  In questa prospettiva, il produttore indipendente acquisisce la qualifica di coproduttore e la titolarità di una parte dei diritti di utilizzazione economica dall'opera, solamente nella misura in cui contribuisca finanziariamente allo sviluppo delle parti letterarie e alla produzione dell'opera.
  Diversamente, ove l'opera sia interamente finanziata dall'emittente, tutti i diritti a essa relativi spettano a quest'ultima, mentre il produttore viene considerato alla stregua di un mero produttore esecutivo, come si dice in gergo, ciò anche nel caso in cui sia stato lui stesso a presentare all'emittente il progetto, avendo acquisito dagli autori la disponibilità del soggetto, ovvero di un'opera compiuta e proteggibile ai sensi della normativa in tema di diritto d'autore.
  Si consideri come proprio l'attività legata all'acquisizione della disponibilità di un soggetto comporti l'assunzione da parte del produttore di costi, oneri e rischi. Prima di individuare un soggetto, il produttore deve, infatti, condurre una costante e onerosa attività di monitoraggio del mercato, al fine di selezionare soggetti potenzialmente suscettibili di evolvere in una produzione vera e propria e, quindi, appetibili per le emittenti, per poi procedere ad acquisirne la disponibilità dagli aventi diritto.
  In questa fase il produttore mette in azione il suo intuito, la sua organizzazione e le sue conoscenze. Accade così che il produttore, oltre a ricercare e selezionare soggetti già elaborati, individui storie, tematiche e spunti, che autori, di cui ha già sperimentato professionalità e potenziale, trasformeranno in soggetti. È possibile, inoltre, che il produttore acquisti i diritti di trasposizione televisiva e cinematografica di opere letterarie.
  Inoltre, il produttore organizza e presiede direttamente alla realizzazione dell'intera produzione e la porta a compimento sotto la propria esclusiva responsabilità, anche civile e penale.
  Le strutture interne delle emittenti, invece, si limitano ad effettuare attività di mero controllo, al fine di assicurare che la produzione sia conforme alle esigenze del canale su cui verrà trasmessa. Non operano quindi né a livello di ricerca né a livello di organizzazione effettiva della produzione.
  La nostra proposta è quella di superare la logica distorta imposta negli anni dalle emittenti, ricollegando esplicitamente la titolarità dei diritti di utilizzazione dell'opera all'acquisizione della disponibilità del soggetto e all'effettiva organizzazione della produzione dell'opera. Questa è la prima e fondamentale questione che ci interessa porre alla vostra attenzione.
  L'altra questione riguarda l'importanza di sostenere l'attività dei produttori indipendenti anche da un punto di vista strettamente economico, sulla quale il legislatore italiano si è pronunciato in modi che avrebbero dovuto essere inequivocabili.
  La cosiddetta Audiovisual media service directive (direttiva dell'Unione europea 2010/13/UE) dispone all'articolo 17 che gli Stati membri, ogni qualvolta sia possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati, provvedano affinché le emittenti riservino alle opere europee realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti stesse almeno il 10 per cento del loro tempo di trasmissione, oppure, a scelta dello Stato membro, almeno il 10 per cento del loro bilancio destinato alla programmazione. Il legislatore comunitario ha chiarito che gli Stati membri conservano la facoltà di richiedere ai fornitori di servizi soggetti alla loro giurisdizione norme più particolareggiate o più rigorose nei settori coordinati dalla presente direttiva, purché tali norme siano conformi al diritto comunitario. In sostanza, gli obblighi inderogabili Pag. 7previsti dalla direttiva a carico delle emittenti costituiscono una soglia minima, al di sotto della quale non è dato discendere. Gli Stati membri, al contrario, hanno la facoltà di rendere più rigorosa la disciplina a carico delle emittenti e, quindi, di prevedere norme più favorevoli per la produzione.
  Come è noto, in Italia, dopo una serie di modifiche legislative che si sono succedute negli anni, si è optato per la previsione di obblighi d'investimento a carico dei broadcaster e a favore dei produttori indipendenti. Si tratta delle cosiddette «quote di investimento», pari rispettivamente al 10 per cento dei propri introiti netti annui per le emittenti commerciali e al 15 per cento dei ricavi complessivi annui per la concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Su questo tema, che è particolarmente delicato e cruciale per un settore come il nostro, noi abbiamo richiesto una possibilità di audizione e di confronto con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ovviamente è l'istituzione che si pone come strumento di regolazione e anche di implementazione di queste regole. Questa audizione è stata calendarizzata per la fine del mese.
  Tali disposizioni, previste dall'articolo 44 del Testo unico, pur avendo determinato nel complesso alcuni limitati effetti benefici sul settore della produzione indipendente, presentano significativi problemi e rilevanti lacune, che diventano veri e propri abissi quando la legge viene disattesa. Ad avviso della nostra associazione, si segnalano alcune criticità. In particolare, sono state riscontrate criticità nella definizione degli introiti su cui tali quote vanno calcolate, che inspiegabilmente esclude gli introiti derivanti da offerte televisive a pagamento di programmi di carattere sportivo, così determinando un'indebita discriminazione tra gli operatori della pay tv e le altre emittenti.
  Altre criticità emergono nella previsione delle attività a cui tali investimenti devono essere destinati. Soprattutto nel caso dell'emittente pubblica, risultano potenzialmente destinatarie di investimenti computabili ai fini del rispetto degli obblighi legislativi anche attività che nulla hanno a che vedere con quelle realizzate dai produttori indipendenti, come quelle di produzione interna, promozione e distribuzione.
  Infine, si segnalano criticità nella previsione di sottoquote di riserva a favore delle sole opere cinematografiche, nonostante il cinema e l'audiovisivo siano ormai riconosciuti a tutti gli effetti come un fenomeno culturale unitario.
  Soprattutto, noi riteniamo fortemente lacunoso e sostanzialmente inefficace il sistema di controllo in ordine al rispetto di questi obblighi, che viene rimesso a mere autocertificazioni da parte delle emittenti, così come il regime sanzionatorio, caratterizzato da ammende assolutamente inadeguate. Vorrei segnalare che, per quanto riguarda il profilo delle ammende, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è competente ad applicare le sanzioni per la violazione degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi. In caso di violazione delle norme in questa materia, previste dall'articolo 44 e dai regolamenti dell'Autorità, la sanzione va da 10.329 euro a 258.228 euro. Penso che non sfugga a nessuno la pochezza di queste cifre in confronto ai vantaggi che può comportare l'aggiramento degli obblighi comunitari. Solo se la violazione è di particolare gravità e viene reiterata, l'Autorità può disporre nei confronti dell'emittente la sospensione dell'attività per un periodo non superiore a sei mesi, ovvero, nei casi più gravi di mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide della stessa Autorità, la revoca alla concessione dell'autorizzazione. Tutte queste condizioni «fortunatamente» non si sono mai realizzate. È evidente come tale regime, soprattutto con riferimento al massimo edittale, non tenga adeguatamente conto della dimensione economica particolarmente rilevante dei destinatari delle sanzioni, con ciò determinando la totale inefficacia della funzione deterrente della sanzione medesima. È, quindi, necessario Pag. 8che le sanzioni pecuniarie siano significativamente aumentate, quantomeno in caso di violazione degli obblighi di investimento.
  Peraltro, vorrei sommessamente osservare che se non riusciamo a dare a noi stessi, e poi a rispettare e a rendere inflessibili, le regole che ci siamo assegnati, risulta del tutto velleitaria ogni pretesa di imporre condizioni e mettere paletti mano a mano che procede l'avanzata – non dirò «l'invasione» – dei cosiddetti over the top.
  Sotto un altro profilo, mi preme sottolineare come non siano assolutamente condivisibili le argomentazioni di alcuni dei soggetti già auditi da questa Commissione, che contestano la scelta del legislatore nazionale di fare riferimento, per la definizione dell'obbligo di investimento, agli introiti netti annui delle emittenti e non ai costi. È evidente come tale scelta sia assolutamente legittima, rientrando, come sopra ricordato, nella facoltà degli Stati membri di rendere semmai più rigorosa la disciplina a carico delle emittenti, al fine di perseguire gli scopi individuati dalla direttiva.
  L'associazione ritiene, inoltre, che, sempre nell'ottica di promuovere le opere europee e le produzioni indipendenti, sarebbe opportuno estendere gli obblighi di investimento attualmente previsti a carico delle emittenti anche ai nuovi players, cominciando, ad esempio, dai fornitori di servizi di media non lineari, che a tutt'oggi beneficiano di un ingiustificato trattamento di favore rispetto a quelli lineari. Questo è il terreno su cui faticosamente si vanno inoltrando altri Paesi che sono investiti da questa stessa problematica.
  Occorrerebbe, infine, affrontare seriamente l'altro tema fondamentale, strettamente connesso con l'ingresso sul mercato di tali nuovi operatori e con la circolazione dei contenuti via internet: il contrasto al fenomeno della pirateria on line, che ogni anno produce danni incommensurabili agli autori e alle imprese che decidono di investire in creatività.
  A conclusione di questa forse troppo lunga introduzione, ho aggiunto alcune considerazioni che riassumono il punto di vista dell'associazione, però forse è più appropriato fermarmi qui e lasciare tempo e spazio al dibattito e a eventuali questioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  PAOLO COPPOLA. Ringrazio per la lunga relazione, che ci dà vari spunti che personalmente condivido. A quasi tutti coloro che vengono qui in audizione pongo la stessa domanda relativa alla produzione dei contenuti. Ho visto che voi fate un riferimento al fatto che il drenaggio dei diritti fa sì che ci siano poche risorse per lo sviluppo di nuovi contenuti o di tipologie nuove di contenuto. Io insisto ogni volta sul fatto che ho la percezione che non ci sia una piena consapevolezza che lo spostamento verso Internet non può essere una mera trasposizione della distribuzione di contenuti audiovisivi monodirezionali da un canale all'altro. Infatti, Internet ha il grandissimo vantaggio della bidirezionalità e molti produttori di servizi su Internet sfruttano effetti particolari, come la «coda lunga», per rendere profittevoli anche nicchie di mercato che invece con gli strumenti tradizionale non lo sono. Mi domando se voi, come associazione, spingerete nella ricerca di nuovi modelli di contenuti, che utilizzino appieno il carattere di bidirezionalità della rete.
  Moltissimo del modello di business attuale si basa su contenuti audiovisivi che vengono ripagati da pubblicità. In un modello bidirezionale si può far sì che i contenuti audiovisivi diventino direttamente essi stessi degli strumenti di commercio. Riporto l'esempio di una fiction che ha all'interno dei prodotti. Si potrebbe concepire un prodotto audiovisivo per cui l'utente blocca, seleziona il prodotto e lo compra direttamente mentre sta guardando la fiction.
  È chiaro che cose di questo tipo diventerebbero anche servizi e non più solo contenuti trasmessi, di conseguenza diventerebbero assai più protetti, nel senso che, Pag. 9strutturalmente, la funzionalità non sarebbe copiabile e distribuibile in altro modo.
  Ad esempio, quando ero bambino c'erano i libri con le storie in cui si sceglieva a ogni capitolo come andare avanti. Cose di questo genere si potrebbero realizzare in un mondo dove il pubblico non è solo passivo, ma in ogni momento decide a maggioranza o in qualche modo come la storia continua.
  Io non faccio questo di mestiere, però immagino tutte queste potenzialità di interazione che prima non c'erano. Ho l'impressione che non ci sia qualcuno che le stia sfruttando adeguatamente. A me piacerebbe che voi mi rispondeste che ci sono molti dei vostri associati che stanno facendo questo lavoro e, forti delle vostre competenze, diventerete un'eccellenza a livello mondiale nella produzione di contenuti che sfruttano appieno la bidirezionalità e il cambiamento totale del paradigma che fa seguito alla rivoluzione digitale. Vi prego, ditemi che noi saremo i migliori al mondo su questo.

  PRESIDENTE. Do la parola al senatore Follini per la replica.

  MARCO FOLLINI, Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT). Grazie per il senatore, ma solo nella Chiesa «semel abbas, semper abbas». Non è il mio caso.
  Io ho seguito con molto interesse la suggestione che ha introdotto l'onorevole Coppola, però essendo un uomo all'antica, sento il compito di garantire i pieni diritti di chi scrive, di chi inventa e di chi formula una storia o un progetto culturale e di colui che sta all'altro capo del filo, ovvero dello spettatore, rendendo il meno onerosa possibile la mediazione che si snoda lungo questi passaggi.
  La mia preoccupazione, semmai – introduco una nota personale – è quella opposta, cioè evitare che alcune proposte e alcuni servizi diventino delle forme di condizionamento eccessivo e di intromissione nella vita di una persona che ha scelto di seguire un certo programma e vorrebbe anche difendersi dal tipo di sollecitazione pubblicitaria che si aggancia a quel programma. Naturalmente vivo il mio tempo e so che le cose vanno più nella direzione che lei ha evocato.
  Per rispondere alla sua domanda, non è l'associazione che ha il compito di indirizzare le società di produzione da una parte o dall'altra, ma sono il mercato e il tempo che viviamo, che probabilmente spingono in quella direzione con maggiore apertura e maggiore ottimismo di quanto non ci metta io. Io credo che se noi diamo alla produzione indipendente un valore quasi patriottico – consentitemi l'esagerazione – dobbiamo in primo luogo assicurare che quella produzione conservi e coltivi quel valore. La mia preoccupazione, anche nello scorrere i dati della bilancia dei pagamenti che vi ho citato prima, sta nel fatto che noi, col passare del tempo e con l'indebolimento dei fattori produttivi, diventiamo sempre più un Paese oggetto di un'aggressione di mercato piuttosto poderosa e corriamo il rischio di una sorta di colonizzazione culturale.
  Io penso che il compito di un'associazione come la nostra sia quello di garantire che la produzione italiana sia messa economicamente e culturalmente nelle condizioni di fare la propria parte.
  Va da sé che ogni produzione in ogni parte del mondo segue logiche di mercato e sfrutta occasioni di innovazione e di ripensamento, che possono anche favorire l'afflusso di risorse e che vanno nella direzione che lei indicava.
  Tuttavia, personalmente aggiungerei una nota di prudenza. Infatti, quello che, secondo me, è decisivo ai fini delle rivendicazioni che un'associazione come la nostra si propone di difendere sta innanzitutto nella qualità del prodotto, che ha un rapporto impreciso con lo sfruttamento commerciale che ne viene fatto.

  CHIARA SBARIGIA, Segretario generale dell'Associazione produttori televisivi (APT). Si possono studiare moltissimi modelli di business e ci sono moltissime opportunità, potenzialmente, che vengono dai nuovi mezzi di trasmissione e dalle nuove emittenti Pag. 10(uso un termine vecchio), per esempio da Netflix. In altri Paesi queste sono già delle opportunità, sia in Paesi più grandi come l'Inghilterra che in Paesi piccoli ma più interessanti come la Norvegia.
  Noi, come produttori televisivi, non siamo interessati al moltiplicarsi delle piattaforme trasmissive, perché c’è un blocco iniziale sulla proprietà dei diritti delle opere, che impedisce di fatto a un produttore di trasformare il suo prodotto e di investire in innovazione. Pertanto, sono pochissimi coloro che fanno ricerca sulle varie tipologie produttive e sulle nuove opportunità del web. Vi potrei citare esempi, titoli, tutti i dati che volete per dimostrarlo, ma non mi dilungherò.
  L'esproprio ai produttori, infatti, di tutti i diritti da parte delle emittenti generaliste li priva di ogni interesse economico verso il programma e verso la sua capacità di essere trasmesso su più piattaforme trasmissive, perché non possono ricaverne un beneficio come accade invece in Inghilterra. Quindi i produttori non investono più di tanto; fanno un prodotto adatto per la tv generalista, per il prime time, per Rai 1 e Canale 5.

  ARIANNA SPESSOTTO. Vorrei fare una domanda semplice. Non mi è chiaro per quale motivo importiamo così tante fiction e ne esportiamo così poche. Non ho capito se noi non abbiamo interesse ad esportarle o se sono gli altri Paesi a non chiedercele.

  MARCO FOLLINI, Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT). Io penso che alcuni altri Paesi siano organizzati meglio di noi nel difendere la propria produzione indipendente. Faccio un esempio che ho appreso da una relazione del PACT, l'equivalente inglese dell'associazione dei produttori che rappresento. Recentemente il presidente è venuto in Italia e ha spiegato la storia dei successi della sua associazione e del sistema mediatico inglese. La cifra che colpisce di più in questo elenco di successi è che la quota di produzione indipendente trasmessa dal servizio pubblico inglese nel 2000 era pari al 23 per cento e nel 2013 era pari al 50 per cento. Parliamo di 800.000 sterline nel 2000 e di 3,1 milioni di sterline nel 2013. Il balzo di queste cifre indica che dietro c’è stata una politica di promozione della loro filiera produttiva, cosa che in Italia stenta ad avvenire, anche per le ragioni che dicevo poc'anzi.
  Fondamentalmente mi sono dilungato nel rappresentarvi due situazioni, che però sono il cuore della nostra problematica. Da un lato, non c’è una tradizione di equa valorizzazione di ciascuno dei diritti. La cessione dei diritti in perpetuo è un fattore di debolezza del sistema produttivo. Dall'altra parte, una regola che il legislatore aveva fissato negli anni 1990 e che obbligava le emittenti a sostenere la produzione indipendente, come è avvenuto nella stragrande maggioranza dei Paesi europei in quegli stessi anni, a cominciare dall'Inghilterra, Paese di grande tradizione liberale e liberista, da noi è stata aggirata e disattesa.
  Si fa fatica anche a quantificare le cifre di questo problema, ma non c’è dubbio che la maggior parte delle emittenti, al netto del servizio pubblico, che adempie a un obbligo di legge gioco-forza, trova il modo di aggirare una regola, che è insieme europea e italiana e che rappresenta l'unica linea difensiva che si può tracciare a difesa del nostro prodotto.
  È assolutamente ovvio che la conseguenza è che i Paesi dove la produzione indipendente è ricca, perché munita di queste difese, hanno una capacità di aggressione del mercato italiano che manca totalmente alle nostre imprese quando vanno all'estero. Naturalmente ci sono le eccezioni che tutti conosciamo e che tutti ricordiamo, quando capita di parlarne, però sono eccezioni. La regola in questo elemento milita a nostro sfavore.

  DIEGO DE LORENZIS. Presidente, io ringrazio gli intervenuti. Vorrei fare una puntualizzazione. Lei ha riportato l'esempio delle emittenti pubbliche inglesi e ha fatto una correlazione che per me non è diretta. Ha citato dei dati riferiti a due Pag. 11anni diversi, affermando che c’è stata una maggiore trasmissione di queste produzioni indipendenti sul canale pubblico.
  Tuttavia, finora, come è stato ricordato da altri colleghi, si opera in logiche di mercato. Non vorrei che quel balzo in avanti che è stato fatto nel caso inglese da lei citato fosse attribuibile, per esempio al miglioramento della qualità dei prodotti che quei produttori hanno realizzato. Io vorrei capire esattamente se voi lamentate una differenza nella normativa, nel senso che c’è la necessità di avere una quota minima di produzione indipendente che va sui canali pubblici, oppure chiedete un tavolo tecnico al Ministero, in cui si faccia semplicemente promozione dei lavori realizzati dai produttori indipendenti.
  Vorrei capire che tipo di supporto vi aspettate e qual è la correlazione tra il libero mercato e lo sprone a fare qualitativamente meglio per poter aggredire il mercato. Come voi sapete benissimo, la teoria contraria parte dagli stessi presupposti e arriva a considerazioni opposte: nel momento in cui non ci sono difese, vince, non il più forte, ma il più adatto, cioè quello che si riesce ad adattare meglio al contesto. Pertanto, avere una linea difensiva potrebbe essere visto piuttosto come un elemento di debolezza, perché non sprona al miglioramento delle vostre produzioni.

  MARCO FOLLINI, Presidente dell'Associazione produttori televisivi (APT). La questione che lei pone è assolutamente cruciale ed è una questione di principio pressoché irrisolvibile, nel senso che ci saranno sempre persone che si affideranno agli animal spirits del mercato e persone che, invece, cercheranno tutele, protezioni e possibilità di indirizzo. È un dibattito economico antichissimo e temo che non riusciremo a risolverlo né oggi né a breve.
  Noi non lamentiamo nulla. Noi rappresentiamo un settore che propone programmi che, dal punto di vista del pubblico italiano, stando ai dati di ascolto, sono di successo. Oggi la rete che vince è mediamente una rete che si affida a programmi prodotti da case di produzioni indipendenti come quelle che l'APT rappresenta, che possono vantare un indice di ascolto, se non anche di gradimento, molto significativo.
  Da parte nostra, non c’è un lamento. C’è, però, una considerazione: poiché le frontiere sono tendenzialmente sempre più labili e si ragiona sul mercato globale e poiché la bilancia commerciale del nostro Paese in questo settore dà risultati, dal mio punto di vista, deludenti, in quanto si potrebbe fare di più, essere più competitivi nel mondo e affrontare con uno spirito diverso la globalizzazione, noi poniamo un problema molto semplice. Si tratta di confermare obblighi di investimento che sono sanciti nella legge.
  Tra una decina di giorni, quando ci sarà dato modo di rappresentare questo nostro punto di vista, noi chiederemo all'Agcom di adoperarsi perché la legge, così come è, venga rispettata. Il rispetto di questa legge metterebbe la produzione italiana nella migliore condizione per affrontare i suoi competitor europei, per esportare di più e per riequilibrare quella bilancia commerciale di cui ho citato prima alcuni dati.
  Provocatoriamente dico che se questa legge non è condivisa, perché c’è un'altra idea per la quale è il mercato che fa la differenza e non c’è bisogno di mettere briglie e regole al mercato, allora si abbia il coraggio di cancellarla. Ci confronteremo su uno scenario completamente diverso da quello che abbiamo presente oggi.
  Fintanto che c’è una legge che obbliga le emittenti, quella pubblica in misura maggiore ma anche quelle commerciali, a sostenere la produzione indipendente, io chiedo che quella legge venga rispettata e che, se alcune emittenti escono dai binari di quella legge, l'Autorità eserciti il proprio compito, che è quello di richiamare tutti alle regole che liberamente i Parlamenti, i Governi e le istituzioni europee, nella loro successione, si sono dati e hanno dato al sistema.
  Io penso che questo sia il modo migliore per affrontare i competitors europei, Pag. 12però insisto nel dire che non c’è cosa peggiore di una legge che viene lasciata lì, aggirata e disattesa. Questo finisce per unire il peggio delle due scuole di pensiero a cui il suo ragionamento di poc'anzi mi sembrava alludere. Quale che sia la disputa di principio, io penso che noi dobbiamo trovare un nesso logico e inesorabile tra quello che sta scritto nella legge e quello che avviene nella realtà.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente i rappresentanti dell'Associazione produttori televisivi per il loro intervento e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato alla seduta odierna (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.

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ALLEGATO

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