XVII Legislatura

Commissioni Riunite (VIII e X)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Venerdì 21 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Realacci Ermete , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GREEN ECONOMY

Audizione di rappresentanti di Tesla Italia Mobilità Green.
Realacci Ermete , Presidente ... 3 
Toro Roberto , Communications Manager di Tesla Italia ... 3 
Realacci Ermete , Presidente ... 6 
Crippa Davide (M5S)  ... 6 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 7 
Vallascas Andrea (M5S)  ... 7 
Realacci Ermete , Presidente ... 7 
Toro Roberto , Communications Manager di Tesla Italia ... 7 
Crippa Davide (M5S)  ... 9 
Toro Roberto , Communications Manager di Tesla Italia ... 9 
Realacci Ermete , Presidente ... 9 
Toro Roberto , Communications Manager di Tesla Italia ... 9 
Realacci Ermete , Presidente ... 9 
Toro Roberto , Communications Manager di Tesla Italia ... 10 
Realacci Ermete , Presidente ... 10 

Audizione di rappresentanti di Novamont e del Gruppo Mossi & Ghisolfi:
Realacci Ermete , Presidente ... 10 
Bastioli Catia , Amministratore delegato di Novamont ... 10 
Realacci Ermete , Presidente ... 13 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 13 
Realacci Ermete , Presidente ... 14 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 
Crippa Davide (M5S)  ... 15 
Realacci Ermete , Presidente ... 15 
Bastioli Catia , Amministratore delegato di Novamont ... 15 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 17 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 17 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 17 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 17 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 17 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 17 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 17 
Realacci Ermete , Presidente ... 17 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 17 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 17 
Ghisolfi Vittorio , Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 17 
Cobror Sandro , Responsabile corporate per i rapporti con le associazioni industriali per il Gruppo Mossi & Ghisolfi ... 18 
Realacci Ermete , Presidente ... 19 

Audizione di rappresentanti di KiteGen:
Realacci Ermete , Presidente ... 19 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 19 
Saraceno Eugenio , Direttore tecnico di KiteGen ... 20 
Realacci Ermete , Presidente ... 20 
Saraceno Eugenio , Direttore tecnico di KiteGen ... 20 
Realacci Ermete , Presidente ... 20 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 20 
Saraceno Eugenio , Direttore tecnico di KiteGen ... 21 
Realacci Ermete , Presidente ... 21 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 22 
Realacci Ermete , Presidente ... 22 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 22 
Realacci Ermete , Presidente ... 22 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 22 
Realacci Ermete , Presidente ... 22 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 22 
Crippa Davide (M5S)  ... 23 
Busto Mirko (M5S)  ... 23 
Da Villa Marco (M5S)  ... 23 
Realacci Ermete , Presidente ... 23 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 23 
Crippa Davide (M5S)  ... 24 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 24 
Realacci Ermete , Presidente ... 25 
Abbate Giancarlo , Consulente scientifico di KiteGen ... 25 
Crippa Davide (M5S)  ... 25 
Saraceno Eugenio , Direttore tecnico di KiteGen ... 25 
Realacci Ermete , Presidente ... 25 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 26 
Realacci Ermete , Presidente ... 26 
Saraceno Eugenio , Direttore tecnico di KiteGen ... 26 
Realacci Ermete , Presidente ... 26 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 26 
Realacci Ermete , Presidente ... 26 
Ippolito Massimo , Fondatore e presidente di KiteGen ... 26 
Realacci Ermete , Presidente ... 26 

Audizione di rappresentanti di F.IN.CO (Federazione industrie prodotti impianti servizi ed opere specialistiche per le costruzioni):
Realacci Ermete , Presidente ... 26 
Brivio Fabio Sergio , Vicepresidente di F.IN.CO ... 26 
Realacci Ermete , Presidente ... 29 
Brivio Fabio Sergio , Vicepresidente di F.IN.CO ... 29 
Realacci Ermete , Presidente ... 29 
Brivio Fabio Sergio , Vicepresidente di F.IN.CO ... 29 
Realacci Ermete , Presidente ... 30 
Artale Angelo , Direttore generale di F.IN.CO ... 31 
Realacci Ermete , Presidente ... 31 
Artale Angelo , Direttore generale di F.IN.CO ... 31 
Realacci Ermete , Presidente ... 31 
Artale Angelo , Direttore generale di F.IN.CO ... 31 
Realacci Ermete , Presidente ... 32 

Audizione di rappresentanti di COBASE (Associazione tecnico-scientifica di base):
Realacci Ermete , Presidente ... 32 
Pieri Massimo , Presidente di COBASE ... 32 
Realacci Ermete , Presidente ... 33 
Pieri Massimo , Presidente di COBASE ... 33 
Realacci Ermete , Presidente ... 33 
Pieri Massimo , Presidente di COBASE ... 34 
Realacci Ermete , Presidente ... 35 

Audizione di rappresentanti di ANIDA (Associazione nazionale imprese difesa ambiente):
Realacci Ermete , Presidente ... 35 
Ferrante Francesco , Direttore generale di ANIDA ... 36 
Realacci Ermete , Presidente ... 37 
Crippa Davide (M5S)  ... 37 
Ferrante Francesco , Direttore generale di ANIDA ... 37 
Realacci Ermete , Presidente ... 38 

Audizione di rappresentanti di Fater Spa:
Realacci Ermete , Presidente ... 38 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 38 
Realacci Ermete , Presidente ... 40 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 40 
Realacci Ermete , Presidente ... 40 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 40 
Realacci Ermete , Presidente ... 41 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 41 
Realacci Ermete , Presidente ... 41 
Vaccaro Giorgio , Recycling process development manager ... 41 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 41 
Crippa Davide (M5S)  ... 42 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 42 
Crippa Davide (M5S)  ... 42 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 42 
Crippa Davide (M5S)  ... 42 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 42 
Crippa Davide (M5S)  ... 43 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 43 
Realacci Ermete , Presidente ... 43 
Marinucci Roberto , Amministratore delegato di Fater spa ... 43 
Realacci Ermete , Presidente ... 43

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VIII COMMISSIONE ERMETE REALACCI

  La seduta comincia alle 10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Tesla Italia Mobilità Green.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Tesla Italia Mobilità Green.
  Come sapete, stiamo conducendo un'indagine conoscitiva sulla green economy. È molto importante, se possibile, avere anche un contributo scritto da parte vostra, da mettere a disposizione di tutti i colleghi delle due Commissioni che stanno conducendo questa indagine sulla green economy in Italia a trecentosessanta gradi. Non so se intendente già distribuire il materiale in questa fase.
  Abbiamo tempo fino alle 10.30 per quest'audizione e, quindi, io direi che, se voi limitate la vostra esposizione nell'ambito di 10-15 minuti al massimo, ci sarà poi lo spazio per avere un po’ di scambio di idee in merito.
  Come sapete, l'indagine riguarda l'economia verde in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi settori ed è legata all'anno europeo dell'economia verde, che è iniziato quest'anno e che poi coinciderà largamente col semestre italiano.

  ROBERTO TORO, Communications Manager di Tesla Italia. Innanzitutto grazie mille per averci invitato in audizione. Siamo lusingati e molto contenti di quest'opportunità.
  Io sono Roberto Toro, responsabile della parte di comunicazione di Tesla Motors per il Sud Europa. Il mio collega, Mauro Armellini, è il responsabile per il mercato italiano. Rappresentiamo Tesla, un'azienda californiana nata nel 2003 in California, a Palo Alto, che ha come core business la produzione di veicoli totalmente elettrici. È un'azienda con poco più di dieci anni di storia, quindi, che oggi annovera in tutto il mondo circa 5 mila dipendenti, numeri relativamente piccoli, se comparati con quelli dell’automotive.
  Abbiamo già venduto 2.500 Roadster, un'auto di altissima gamma completamente elettrica e sportiva a due posti, e 25 mila Model S, la berlina che vedete nella foto, una berlina di alta gamma, cinque posti, di cinque metri, anche questa completamente elettrica.
  Siamo partiti, quindi, da un prodotto estremamente di nicchia, la Roadster, una due posti estremamente sportiva, con prestazioni da sportiva di razza, comparabili a quelle di Ferrari, Lamborghini e Maserati. La differenza sostanziale è che rispetto a tutte le sportive in circolazione la Roadster è un'auto esclusivamente elettrica, non ibrida, che funziona solo attraverso un motore elettrico che si ricarica attraverso qualsiasi presa di corrente, anche la domestica 220V che chiunque utilizza per il proprio cellulare. L'abbiamo Pag. 4lanciata nel mercato americano nel 2008 e siamo arrivati in Europa nel 2009, ormai cinque anni fa.
  Ci siamo poi spostati sulla Model S, una berlina che abbiamo consegnato già in 25 mila unità. Ci siamo spostati, quindi, in un segmento sempre premium, ma più basso rispetto alla Roadster, con un range di prezzo in Europa che va da 60 mila a 95 mila euro. Anche questa è un'auto estremamente sportiva, ma allo stesso tempo una familiare e, quindi, per un mercato più largo.
  La Model S ha prestazioni – passatemi l'espressione un po’ azzardata – impressionanti rispetto alle berline tradizionali e risultati sul mercato mondiale davvero interessanti, nel senso che 25 mila unità per una berlina d'alta gamma completamente elettrica sono numeri importanti, anche considerate le dimensioni dell'azienda.
  Come si sta muovendo Tesla in un settore così difficile e, dal nostro punto di vista, così statico a livello globale ? Siamo partiti dalla prima generazione, la Roadster, una supersportiva di nicchia a due posti, ci siamo poi spostati sulla seconda generazione, con la Model S, una berlina più grande con un prezzo più basso, e ci sposteremo tra tre anni sulla cosiddetta terza generazione, un segmento C, con una citycar dal prezzo decisamente più vicino alle abitudini d'acquisto del mercato di massa e un prezzo di partenza di circa 35 mila euro.
  L'obiettivo dichiarato di Tesla da sempre a livello mondiale è quello di accelerare la transizione della mobilità alla mobilità elettrica. Noi siamo convinti del fatto che – non siamo in grado di prevedere quando – ci sarà un momento in cui la maggior parte della produzione del settore automotive sarà elettrica e, quindi, il core business della maggior parte della produzione sarà concentrato sullo sviluppo di veicoli completamente elettrici.
  Tesla distribuisce direttamente. Anche questo è un elemento che la contraddistingue rispetto ai principali attori del settore automotive. Non abbiamo una rete di concessionarie in giro per il mondo. Tutti gli showroom che Tesla ha in giro per il mondo sono di proprietà. Tesla gestisce il proprio prodotto direttamente e lo distribuisce direttamente. Secondo noi, infatti, questo tipo di prodotto, questa tecnologia così specifica va gestita senza intermediari, in modo tale da garantire anche una customer experience più diretta e puntuale.
  Siamo praticamente ovunque nel mondo, tranne in Sudamerica e in Oceania. In Europa abbiamo una quindicina di showroom e una ventina di centri assistenza. Questa struttura, a dimostrazione del fatto che i nostri obiettivi per l'Europa sono estremamente ambiziosi, andrà a raddoppiare entro la fine di quest'anno. Questo significa, per darvi un'idea di massima, che avremo trenta showroom e una cinquantina di centri assistenza.
  La tecnologia che ci portiamo accanto ai nostri prodotti è una tecnologia legata all'infrastruttura di ricarica. La domanda classica di chi si avvicina a questo tipo di veicoli è come ricaricare la vettura, soprattutto se si compra un veicolo d'alta gamma come la Model S. Chi compra la Model S è una persona che fino a ieri comprava un serie 7, una quattro porte o una Jaguar e che, quindi, nella sua vita può andare ad affrontare anche viaggi più lunghi rispetto alla classica citycar. Può essere una persona che magari fa il classicissimo percorso Milano-Roma andata e ritorno per lavoro.
  Bisogna, quindi, mettere a disposizione di questa persona un'infrastruttura di ricarica che le permetta di ricaricare la macchina nel minor tempo possibile. Oggi con le strutture di ricarica presenti sul territorio italiano questo non si può fare. Questo vuol dire che, da quel punto di vista, l'acquirente italiano che potrebbe essere potenzialmente interessato a questo veicolo spesso e volentieri non lo può comprare.
  Noi, fortunatamente, lo vendiamo tanto, ma in maniera estremamente sincera, anche guardando i nostri numeri, che tra un po’ vi mostrerò; vi confesso che in Italia per noi la Model S a oggi rimane la seconda macchina. Non è una macchina Pag. 5utilizzabile nella quotidianità, perché non c’è la possibilità di ricaricarla ovunque.
  Ci siamo attivati, quindi, personalmente e abbiamo iniziato noi l'installazione dei supercharger. I supercharger sono dei dispositivi molto importanti anche dal punto di vista della potenza disponibile e dal punto di vista tecnico. Sono dispositivi a 120 chilowatt che permettono di ricaricare la nostra auto, la Model S, in circa cinquanta minuti. Saranno installati presso le aree di servizio, anche se non abbiamo un partner esclusivo, in modo tale che le persone che guidano sull'autostrada possano fermarsi per ricaricare durante una sosta breve. Fermandosi cinquanta minuti, il guidatore ha a disposizione altri 500 chilometri di autonomia. Questo farà sicuramente la differenza.
  I supercharger coprono già praticamente mezza Europa, Scandinavia, Germania, Olanda e Svizzera. Ci mancano da coprire Italia, Francia e Spagna, perché sono i mercati, dal punto di vista commerciale, in cui noi performiamo di meno e che, di conseguenza, per noi rappresentavano una priorità, che veniva, però, dopo gli altri mercati principali.
  Giusto per darvi un'idea di massima dei numeri che noi facciamo nel mondo, l'anno scorso la Model S, la quarta vettura che vedete nell'elenco a sinistra, è stata consegnata in quasi 22 mila unità. Di questi numeri quelli dei mercati principali europei, Norvegia, Olanda e Germania, sono estremamente importanti. Considerate che, rispetto ai numeri tipici del settore dell’automotive e, quindi, ai colossi dell'auto, che distribuiscono milioni di auto all'anno, i nostri possono sembrare estremamente irrisori.
  Vi posso garantire, però, che non è così. Basta comprarli rispetto agli altri veicoli elettrici che ci sono nella lista. Ci sono delle istituzioni del mondo dell’automotive, nella lista a sinistra, che hanno venduto meno di noi, meno di una piccola azienda californiana nata dieci anni fa con un progetto estremamente ambizioso.
  La parte, se vogliamo, meno allegra sta nel fatto che, se guardiamo i numeri europei, purtroppo l'Italia non la fa sicuramente da padrona. I motivi in parte ve li stavo descrivendo, ma sicuramente li conoscete già tutti: in Italia non c’è oggi un programma specifico di sviluppo e di incentivazione all'acquisto di veicoli elettrici, non c’è una regolamentazione precisa sulla gestione del parco circolante dei veicoli elettrici e, dal nostro punto di vista, soprattutto non c’è una rete infrastrutturale di supporto che permetta anche psicologicamente al potenziale acquirente di avvicinarsi a questo tipo di prodotti.
  Per essere il più conciso possibile e non portare via altro tempo, come avete richiesto, aggiungo giusto un paio di considerazioni. Nonostante i numeri non siano del tutto entusiasmanti dal punto di vista commerciale, anche se, in linea di massima, considerata la struttura italiana, non ci possiamo lamentare, la Model S in Italia è stata recensita in maniera encomiabile da tutta la stampa. Considerate che la Model S è arrivata terza all'Auto dell'anno 2014. Di nuovo, per un'azienda così piccola, che fa un prodotto così particolare, questo è un risultato impressionante. L'hanno provata un po’ tutti in Italia e sono rimasti tutti impressionati.
  Da una parte, quindi, noi siamo estremamente contenti, perché la gente che la prova, i media che la provano, le istituzioni che la provano rimangono impressionati. Dall'altra, non riusciamo a fare i numeri che ci piacerebbe fare.
  Concludendo, per essere il più concisi possibile, vi dico che oggi in Italia quelle che noi vediamo come priorità, che oggi siamo contenti di avere l'opportunità di esporvi, riguardano sicuramente una regolamentazione legata al parco circolante dei veicoli elettrici. Noi non vediamo gli incentivi, in realtà, come la chiave di volta dal punto di vista economico. Soprattutto su un'auto come la nostra, che costa da 65 mila a 100 mila euro – mettiamo il caso sia fissato a 5 mila euro un'eventuale misura di incentivo certo non cambierebbe la situazione radicalmente. Rappresenterebbe, però, un segnale molto importante, perché al potenziale acquirente che vede un Governo e le istituzioni che investono in quella direzione garantirebbe un senso Pag. 6di tranquillità legata all'acquisto. Una persona si sente sicuramente più sicura.
  Occorrono poi un'educazione più forte – noi oggi vediamo poca comunicazione dal punto di vista del settore specifico – e una rete infrastrutturale. Le persone che si avvicinano a questo tipo di veicolo devono avere la possibilità, come succede ormai in gran parte d'Europa, soprattutto nei mercati che la fanno da padroni, come Germania, Svizzera, Olanda e mercati scandinavi, di ricaricare la propria auto.
  Questo è quanto, in linea di massima avevo in mente di illustrare alle commissioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Io vi pongo alcune questioni preliminarmente. Non so se poi i colleghi ne vorranno porre delle altre.
  Una riguarda l'ordine di grandezza del fatturato, non solo vostro, ma anche del settore dell'auto elettrica su scala mondiale. Chiedo solo l'ordine di grandezza, non dati precisi, giusto per capire.
  In secondo luogo, con riferimento a norme incentivanti in termini di obiettivi o di contributo economico, io a suo tempo ricordo che la California aveva introdotto alcuni obiettivi da questo punto di vista. Sono rimasti, sono stati perseguiti, quali sono gli altri Paesi in cui c’è una politica pubblica di indirizzo più forte verso la mobilità elettrica ?
  In terzo luogo, le utility elettriche sono in enormi difficoltà per il calo dei consumi, per l'aumento delle politiche di risparmio e per l'aumento delle rinnovabili e hanno un disperato bisogno di allargare il proprio mercato. Questo le porta anche a spingersi nella direzione della mobilità elettrica, come di altri usi delle energie varie. Su questo voi avete dei contatti ?
  Per esempio, il ragionamento sulle reti di distribuzione credo sia importante. Se hanno questo come filone di diversificazione serio, può essere di loro interesse. Vorrei capire meglio questo aspetto.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Scusate il ritardo con cui sono arrivato, ma ho comunque avuto la possibilità di vedere la vostra presentazione ieri in anticipo.
  Vorrei innanzitutto porvi la seguente domanda: forse un po’ invidiosi dell'iniziativa intrapresa sul territorio americano, noi vorremmo capire meglio quale sia stato l'impulso per dare origine a un'azienda di questo tipo. Quali sono stati i finanziamenti ricevuti dal Governo americano e in quanto tempo sono stati restituiti ? Mi sembra che siano già stati restituiti, secondo alcuni articoli di giornale che ho letto al riguardo.
  Parliamo italiano. Ci sono dei vostri fornitori componentistici che sono italiani. Sarebbe mai possibile auspicare che la terza generazione che voi ipotizzate possa prendere piede in un Paese con uno stabilimento diverso e, quindi, magari con uno stabilimento italiano, immaginando però che ci siano, ovviamente, le condizioni che voi avete descritto ? È possibile ed è nella vostra politica industriale allargare gli orizzonti a nuovi stabilimenti, oppure oggi l'idea è quella di rimanere fedelmente legati al tessuto produttivo americano ?
  A questo punto, volevo chiedervi anche un commento specifico sulle strutture di ricarica. Se non erro, i supercharger sono da 120 chilowatt. Sono riferiti a quanti punti di ricarica in contemporanea ? In un certo senso, io incomincio a spaventarmi sul dimensionamento di una rete di distribuzione, nel senso che la rete di distribuzione, dovendo gestire dei picchi istantanei tanto elevati, in qualche modo poco si adatta alla convivenza tra impianto rinnovabili e carica dell'autovettura. Qualcuno magari si immagina questo come un paradigma e una possibilità immediata.
  Avendo 120 chilowatt di potenza istantanea, immagino che ci siano sistemi di accumulo preliminare della rete, con un assorbimento più basso per un periodo di tempo più lungo, e poi una sorta di trasformatore in grado di erogare i 120 chilowatt per minor tempo. Faccio, quindi, un accumulo notturno e poi, nel momento di emissione, ho una potenza più alta. Pag. 7Altrimenti a livello del dimensionamento della rete ci poniamo delle domande su come questa rete possa essere dimensionata opportunamente. Potenze istantanee da gestire ovviamente configurano tutte costi accessori, quali la potenza del contatore e le reti di distribuzione. Questi sono, secondo me, aspetti importanti da chiarire.
  L'ultima domanda è legata sempre alla prima e alla vostra strategia industriale. Riprendo il tema degli orizzonti sulla effettiva possibilità di aprire nuovi stabilimenti produttivi, magari in Europa.
  Grazie.

  ALBERTO ZOLEZZI. Io vi faccio due domande. La prima è se avete qualche dato sull'impronta ecologica dei vostri veicoli, magari confrontati con quelli di altre marche. Vorrei sapere se avete qualche dato generale di vendita di tutte le marche di veicoli elettrici per l'Italia confrontati con quelli di altre aziende, non solo la vostra. Potete fornirci tali dati anche successivamente, magari potete inviarci una risposta scritta.
  Grazie.

  ANDREA VALLASCAS. Grazie, presidente. Io vorrei porre altre due domande.
  Vorrei sapere se state pensando ad altre forme di immagazzinamento di energia, oltre alle batterie, magari aria compressa o idrogeno, e se state facendo ricerca sulle batterie per vedere quali tipi siano più idonei per le vostre macchine ed eventualmente anche per lo smaltimento di questi mezzi.

  PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti di Tesla Italia per la replica.

  ROBERTO TORO, Communications Manager di Tesla Italia. La prima domanda, se non vado errato, era relativa ai risultati. In questo momento non sono in grado di fornirle dei numeri sull'impatto del fatturato esclusivamente legato alla mobilità elettrica su quello globale. Le posso dire, però, due cose che so per certo.
  Ad oggi sul fatturato totale delle aziende dell'auto, nella migliore delle ipotesi, rappresentata attualmente dal caso francese, il fatturato relativo alla mobilità elettrica non supera il 2 per cento di quello totale delle aziende. Sono numeri ancora estremamente piccoli.
  Relativamente alle norme negli altri Paesi che per noi fungono un po’ da benchmark di riferimento, esse sono, per gli Stati Uniti, quelle della California e, per l'Europa, quelle della Norvegia. In California c’è stato, ed è ancora attivo per i prossimi due anni, un Piano di incentivazione estremamente importante legato allo sviluppo della mobilità sostenibile. Lo Stato californiano si è mosso, da una parte, con un incentivo d'acquisto, che variava, se non vado errato, da 7 mila a circa 12 mila dollari per l'acquisto dell'auto, dall'altra, con un Piano infrastrutturale estremamente importante, nel senso che ci sono punti di ricarica praticamente ovunque.
  In Norvegia, invece, il riferimento principale dal punto di vista dell'incentivazione è rappresentato proprio da una detassazione dell'auto elettrica. Parlo nello specifico della Model S. Quell'auto che vedete nella foto, giusto per darvi un'idea di massima, a settembre-ottobre dell'anno scorso è stata l'auto più venduta in assoluto in Norvegia. Ha venduto più di Golf, Polo e di tutte le classiche auto che hanno solitamente i volumi più importanti in Europa.
  Questo perché in Norvegia, la Model S, la 60 chilowatt, ossia il modello base, costa all'acquirente circa come una Golf 1600 a benzina, perché tale vettura rientra nel gruppo delle auto di lusso. Le auto di lusso in Norvegia hanno una tassazione estremamente alta. La nostra vettura viene completamente detassata, il che vuol dire che, al netto della tassazione che viene dedotta, costa come una Golf, ossia circa 55 mila euro.
  A differenza di altri mercati europei, la Norvegia ha tutt'altro tipo di regolamentazione e ha circa 5 milioni di abitanti. Si tratta di un mercato estremamente piccolo anche dal punto di vista dell’automotive. Pag. 8La Model S si è spostata, nel senso che, mentre in Italia, Francia e Spagna continua a essere un segmento estremamente premium, in Norvegia ci si è potuta avvicinare anche la persona che fino al giorno prima guidava un'auto di gamma più bassa.
  Spostandoci, invece, sui finanziamenti ricevuti dal Governo americano, il finanziamento che abbiamo ricevuto noi nel 2004 dal Governo americano era di 465 milioni, che avrebbero dovuto essere restituiti a partire dai dieci anni e rifinanziati. Noi siamo stati in grado di restituirli in due tranche nel 2012 e nel 2013 e, quindi, a oggi il debito che avevamo con il Governo americano è stato completamente saldato.
  Questo perché Tesla ha iniziato a fare utili all'inizio del 2013. Nonostante il più ottimista degli analisti quattro anni fa non avrebbe mai potuto prevedere che fossero vendute 25 mila auto praticamente nell'ultimo anno, Tesla è riuscita, grazie a un importante Piano di comunicazione soprattutto, a farlo.
  Questo ci ha permesso di fare utili. La capitalizzazione ovviamente è esplosiva. Considerate che Tesla era quotata fino a un anno e mezzo fa a 24-25 dollari e che oggi il titolo vale 250 dollari. Anche da un punto di vista proprio della percezione del mercato si tratta di un segnale estremamente positivo.
  Mi si chiedeva delle strutture di ricarica. Quella di 120 chilowatt è una portata molto importante. Oggi in Italia il classico punto di ricarica, la colonnina che si trova in giro per l'Italia, è di 22 chilowatt. Noi ci stiamo interfacciando – non vi nascondo che ci parlavo proprio ieri – con il provider principale di energia elettrica in Italia, perché lavoriamo nella stessa direzione. Installeremo i supercharger sulla rete autostradale, perché il supercharger permette di ricaricare in maniera più veloce. Allo stesso tempo, è inutile nascondere che spesso e volentieri chi guida un veicolo elettrico si trova in città e ha bisogno di ricaricare in città.
  Per tradurre in termini estremamente pratici, il fatto che ENEL abbia un Piano molto ambizioso per lo sviluppo di infrastrutture di ricarica in Italia per quest'anno e per il prossimo è la notizia per la quale noi siamo più entusiasti. Infatti, formalizzeremo una partnership con loro, una sorta di collaborazione, attraverso la quale comunicheremo al mercato che le loro strutture sono compatibili con le nostre macchine, e viceversa. Implementeremo, quindi, un Piano di comunicazione con una serie di eventi in giro per l'Italia, in modo tale da tradurre e spiegare al mercato che il fornitore di energia e il produttore di automobili viaggiano nella stessa direzione.
  Per venire alla sua domanda, sì, noi ci interfacciamo con gli attori principali, ossia con i fornitori di energia elettrica, praticamente ovunque nel mondo, semplicemente perché oggi abbiamo gli stessi obiettivi.
  Il valore di 120 chilowatt è molto importante, ha ragione. Le posso dire, però, che, dal punto di vista infrastrutturale e, quindi, dell'implementazione tecnica, le grosse aree di servizio che vede sulla rete autostradale non hanno il minimo problema di installazione.
  Accanto a questa un'altra questione molto importante è che noi non abbiamo bisogno di installarne chissà quante. In Italia ce ne bastano quattro, perché le tratte da coprire in Italia sono la Milano-Roma e la Milano-Venezia. Ce ne bastano quattro. Ogni unità è splittabile in due, il che vuol dire praticamente distribuire 60 chilowatt per l'apertura, che è una questione estremamente gestibile.
  Passando alla strategia industriale, l'obiettivo ambizioso dell'azienda è di arrivare a produrre entro i prossimi sette anni 250 mila veicoli. Noi abbiamo rilevato da Toyota quattro anni fa uno stabilimento a Fremont, dove produciamo le nostre auto, che ha una capacità produttiva di circa 500 mila unità. Toyota ci produceva la Corolla e qualche altro modello fino a qualche anno fa, poi è arrivato il periodo della crisi e noi l'abbiamo acquisito ormai cinque anni fa.
  Apro giusto una piccola parentesi, a dimostrazione del fatto che, oltre al mercato, Pag. 9vi siano investitori estremamente importanti che guardano a Tesla con estrema attenzione. Toyota e Mercedes, quindi il Gruppo Daimler, sono entrambi investitori in Tesla, Mercedes anche con una buona quota di partecipazione.
  Per ciò che riguarda gli stabilimenti, Tesla è un'azienda con un DNA estremamente californiano, nel senso che la California si è contraddistinta negli ultimi anni per una fortissima propensione all'innovazione, con grossissimi investimenti dal punto di vista della ricerca e dello sviluppo. Ovviamente Tesla si sposa benissimo con questa filosofia. Ad oggi produciamo esclusivamente in California perché è lì che abbiamo la base ed è lì che abbiamo implementato lo stabilimento produttivo.
  Abbiamo già aperto un anno fa il primo stabilimento di assemblaggio in Europa, a Tilburg, in Olanda, che è anche il nostro porto di smistamento. Le auto vengono prodotte in California, trasportate in Europa e a Tilburg, in Olanda, avviene l'assemblaggio finale. Ciò significa che la batteria viene inserita nell'auto e vengono montate gomme e sospensioni. Da lì parte la distribuzione in tutta l'Europa.
  Questo, secondo noi, è un segnale molto importante. Sarei un folle e mentirei se vi dicessi che Tesla ha pianificato di aprire uno stabilimento in Italia. Non vi nascondo il fatto, però, che a un'azienda che produce questo tipo di volumi domani potrebbe sicuramente interessare avere un'attività produttiva in Europa, perché veramente si sfruttano economie di scala e si ha una capacità distributiva di gestione sicuramente ottimizzata.
  In merito alla terza generazione mi aveva chiesto qualcosa rispetto al mercato italiano.

  DAVIDE CRIPPA. Volevo sapere se la terza generazione era un'ipotesi di realizzazione sempre come stabilimento americano o se avevate in previsione altri stabilimenti.

  ROBERTO TORO, Communications Manager di Tesla Italia. In tal caso, penso di averle risposto.
  Per ciò che riguarda la componentistica in Italia, ad oggi non ci sono fornitori principali italiani, tranne il Gruppo Alcantara, che ha appena stretto un accordo con Tesla e che ci fornirà una parte di interni a partire dal prossimo anno.
  Questo è quanto, in linea di massima.

  PRESIDENTE. Fate ricerche anche autonome sul fronte dell'accumulo ?

  ROBERTO TORO, Communications Manager di Tesla Italia. In questo momento la batteria di Tesla è una batteria agli ioni di litio. È la tecnologia più diffusa dal punto di vista della produzione di veicoli elettrici. Quello che fa la differenza sulle automobili Tesla è il modo in cui le celle di litio vengono assemblate. Le linee di assemblaggio delle celle di litio permettono un'ottimizzazione del passaggio della materia prima, ossia del litio, e, quindi, un consumo più lento, nonostante le prestazioni.
  Quest'auto ha 500 chilometri di autonomia, più del doppio di qualsiasi altra auto elettrica in commercio. Ad oggi siamo convinti che il modo in cui sviluppiamo questa tecnologia sia sufficiente e che, nel caso in cui vi dovessero essere innovazioni legate allo sviluppo del cuore dell'auto e, quindi, della batteria, non avverranno nel brevissimo tempo.
  Che la tecnologia implementata all'interno dei veicoli Tesla ad oggi sia un riferimento nel settore è dimostrato dal fatto che grossissimi attori del settore automotive la utilizzano. Noi produciamo, per esempio, la batteria per la classe B Mercedes elettrica e tutta la parte elettrica, batterie e motore, per il Toyota 4 elettrico, destinato solo al mercato americano.
  Per tradurre l'equazione, oggi Tesla ha un prodotto piuttosto innovativo e, nel caso in cui si dovesse innovare ulteriormente, questo non succederà nell'immediato.

  PRESIDENTE. Dobbiamo chiudere l'audizione, ma avevamo chiesto anche Pag. 10come avviene la chiusura del ciclo e se vi preoccupate anche dello smaltimento finale.

  ROBERTO TORO, Communications Manager di Tesla Italia. No. Abbiamo dei partner in ogni mercato, perché la regolamentazione lo prevede, e, quindi, in ogni mercato c’è un provider di riferimento che si occupa del fine ciclo vita.

  PRESIDENTE. Grazie e auguri.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Novamont e del Gruppo Mossi & Ghisolfi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Novamont e del Gruppo Mossi & Ghisolfi.
  Buongiorno. Chiedo scusa se entriamo subito nel merito delle questioni, perché abbiamo molte audizioni previste nel calendario di oggi. È importante soprattutto che ci abbiate già mandato del materiale scritto che noi possiamo mettere a disposizione di tutti i colleghi delle Commissioni Ambiente e territorio e Attività produttive che stanno realizzando insieme un'indagine conoscitiva sulla green economy a trecentosessanta gradi, legata anche al fatto che quest'anno è l'anno dell'economia verde in Europa e coinciderà in parte significativa anche con il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea.
  La vostra è un'audizione importante, perché tocca uno dei campi in cui l'Italia ha qualcosa da dire in materia, anzi ha una leadership rispetto ad altri Paesi. Vogliamo capire a che punto siamo. Abbiamo a disposizione tre quarti d'ora di tempo. Dobbiamo finire intorno alle 11.15. Non so se voi vi siete messi d'accordo. Io direi che, se voi prendete complessivamente 20 minuti per la prima esposizione del problema, noi possiamo poi formularvi delle domande, in maniera tale da avere un dialogo più interattivo.
  Do la parola alla dottoressa Bastioli per Novamont.

  CATIA BASTIOLI, Amministratore delegato di Novamont. Grazie di averci dato questa opportunità. Vorrei presentare rapidissimamente Novamont.
  Novamont è una realtà di innovazione che nasce molti anni fa, nel 1989, in un gruppo multinazionale, che era Montedison, in un momento in cui l'agroindustria e la chimica erano sotto lo stesso cappello. Nacque, dunque, questo centro di ricerca, che si chiamava Fertec, che ha incominciato a ragionare sull'uso delle materie prime rinnovabili con l'utilizzo di tecnologie chimiche. Questa è stata la partenza.
  In seguito la grande crisi Montedison non ha permesso di andare avanti sui grandi progetti, ma noi, come ricercatori, siamo usciti dal Gruppo Montedison e abbiamo iniziato un'avventura che ha portato a trasformarci da centro di ricerca a impresa, mantenendo però la capacità di continuare a innovare e creando anche una scuola di formazione di persone.
Il percorso che abbiamo intrapreso è partito nel 1989 con la progettazione di bioplastiche, con l'idea di non fare una sostituzione di plastiche con bioplastiche, bensì di fare in modo che le bioplastiche potessero diventare un punto di innovazione per risolvere problemi ambientali e, nello stesso tempo, creare nuove filiere e avviare un nuovo approccio allo sviluppo.
  Abbiamo sviluppato così il Mater-Bi, il primo tipo di prodotto di bioplastiche. Tuttavia, il Mater-Bi che facevamo molti anni fa non è lo stesso di quello che facciamo attualmente. Ogni casellina dopo il Mater-Bi che vedete integrata rappresenta il processo di integrazione a monte che noi abbiamo percorso. Questo significa in pratica che il Mater-Bi, la bioplastica che noi vediamo e tocchiamo con mano, contiene oggi quattro tecnologie diverse, che sono state sviluppate tutte in Italia, tecnologie prime al mondo, le quali ci hanno permesso di realizzare in parte, perché in realtà questo è un progetto di Pag. 11continuo sviluppo, il concetto di bioraffineria integrata di terza generazione che avevamo in testa molti anni fa.
  L'idea è quella di pensare a uno sviluppo di prodotti a basso impatto utilizzando siti deindustrializzati e riuscendo a fare in modo che si usi la biodiversità locale, ossia materie prime e scarti locali e tecnologie continuamente in avanzamento e che si possano, quindi, creare filiere corte che permettano non solo di fare della bioraffineria integrata un'area dove si produce materiale per le bioplastiche, ma anche, con una continua integrazione, di far emergere nuovi tipi di applicazioni.
  Per esempio, il secondo step riguarda i prodotti a base di amido, ed è stata la prima tecnologia che abbiamo messo a punto. La seconda è quella dei poliesteri. Nel settore della complessazione degli amidi abbiamo, per esempio, un sito, quello di Terni, che è stato reindustrializzato con questa tecnologia. Oggi abbiamo una capacità produttiva di circa 120 mila tonnellate, una capacità ovviamente molto più alta di quella che stiamo utilizzando in questo momento.
  Il secondo processo è quello dei poliesteri da fonte rinnovabile. I poliesteri da fonte rinnovabile ci hanno permesso di fare qualcosa, peraltro, proprio con Mossi & Ghisolfi. Ghisolfi aveva un impianto di PET nel Lazio piuttosto piccolo per il tradizionale PET. Collaborando negli anni con loro, abbiamo utilizzato una linea di questi impianti, trasformandola con le nostre tecnologie e avendo così la possibilità di produrre del poliestere con una linea che altrimenti sarebbe uscita fuori produzione.
  Abbiamo continuato questa integrazione e oggi abbiamo sviluppato due tecnologie per fare i blocchettini contenuti all'interno di questi poliesteri. In realtà, vi sono contenuti tre blocchi. In questo momento abbiamo tecnologie per soli due blocchi. Il terzo blocco lo stiamo ancora sviluppando a livello di ricerca. Il primo è quello per produrre l'acido azelaico, ed è una joint venture che abbiamo creato con Versalis sul sito di Porto Torres.
  L'altra tecnologia è quella del butandiolo da fonte rinnovabile. Abbiamo acquisito in Veneto un impianto di fermentazione chiuso nel 2006 e lo stiamo riconvertendo con una tecnologia prima al mondo, che il prossimo anno ci dovrebbe permettere di fare 1,4 butandiolo rinnovabile. Sono prodotti che noi utilizziamo nelle bioplastiche, ma che automaticamente possiamo poi utilizzare in una serie di altre applicazioni, ampliando notevolmente il sistema.
  Un punto importantissimo dal mio punto di vista è che queste bioplastiche non nascono per farci qualsiasi cosa. Noi abbiamo fin dall'inizio ragionato nel senso che le nostre bioplastiche avrebbero dovuto servire soltanto nei casi in cui avessero potuto risolvere veramente dei problemi più grandi dei prodotti che venivano realizzati. Il concetto è che abbiamo potuto utilizzare una legge italiana molto positiva, quella del rifiuto organico del 2006, che ha definito una volta per tutte un compost di qualità, stabilendo che il compost non può essere fatto da raccolta indifferenziata, ma da raccolta differenziata, e che deve essere raccolto in modo corretto, senza plastiche tradizionali, senza nulla o con carta, oppure con prodotti biodegradabili.
  Da questa legge è nata in Italia una grande crescita dell'organico. Praticamente siamo passati da 2,6 milioni del 2006 a 5 milioni di oggi. Questo è un risultato estremamente importante, perché è un risultato di sistema. Ha permesso innanzitutto di individuare che nel rifiuto organico c'erano degli inquinanti, che sono normalmente degli shopper, ossia i sacchetti di frutta e verdura, una serie di plastiche che vanno a inquinare un rifiuto che in realtà non è più un rifiuto.
  Il rifiuto organico, infatti, è una grande risorsa che, se utilizzata in modo sbagliato, crea grandissimi costi, come nella maggior parte dell'Europa sta avvenendo. Quando, invece, è utilizzato in modo corretto, abbiamo humus per il terreno, biometano e anche una materia prima interessante per la chimica verde.Pag. 12
  Novamont è partita nella sua avventura con questa piccola iniziativa, che riguardava il materiale per il sacchetto respirabile, e ha sviluppato un sistema per la raccolta differenziata che oggi è utilizzato un po’ in tutta Europa. Abbiamo sviluppato un modello italiano per la raccolta differenziata che in questo momento sta giocando un ruolo importante e si sta confrontando con la Germania.
  La Germania è prima a livello europeo nella raccolta differenziata dell'umido, ma ha un problema molto grave: anche laddove raccoglie in modo differenziato l'organico, ha una percentuale di organico nel resto del rifiuto molto elevata. Il modello di raccolta differenziata italiana, invece, permette con questo sistema di avere una qualità dell'organico molto buona, ma anche di avere nel resto del rifiuto, cioè in ciò che va a discarica, oppure che viene trattato in altro modo, una piccola quantità di organico.
  Non solo in Germania gli impianti di anaerobiosi sono in crisi perché il materiale raccolto è poco fermentabile, poiché si raccoglie pochissimo rifiuto organico. Gli scarti alimentari non vengono raccolti o comunque sono raccolti in piccola quantità, perché sono putrescibili e creano problemi. In Italia, invece, si raccoglie completamente questa parte. Abbiamo l'esempio oggi di Milano, che raccoglie 90 chili di organico per cittadino, raggiungendo il primato europeo, al livello di San Francisco.
  Abbiamo un caso importante e, quindi, siamo capaci di dimostrare che città di piccola e grande densità abitativa riescono ad avere la stessa qualità e anche la stessa quantità dell'organico. È un risultato importantissimo, che stiamo giocando a livello europeo e che stiamo confrontando con la Germania. È un elemento di leadership importante, che si collega anche a un caso che noi abbiamo portato anche al Parlamento europeo, il caso italiano virtuoso di collegamento tra le bioplastiche e la raccolta differenziata.
  Perché ho fatto questo esempio e ho sprecato così tanto tempo per parlare di una questione che sembra piccola ? In realtà è una questione enorme, perché il problema del rifiuto organico è un problema gigantesco per l'Europa, in termini di costi per i cittadini, di cambiamento climatico e di materia prima che noi abbiamo a disposizione.
  L'organico è un feedstock meraviglioso. Attraverso la combinazione virtuosa di plastiche biodegradabili, laddove c’è un inquinamento da parte di plastiche tradizionali del rifiuto organico, andando a individuare una serie di applicazioni molto specifiche, è possibile immaginare di avere un compost di qualità molto migliore, un resto del rifiuto più facilmente riciclabile e trattabile e uno sviluppo virtuoso di bioeconomia. Questa non è, dunque, semplicemente una tecnologia che fa un prodotto per fare non si sa bene che cosa, ma è una tecnologia che va a risolvere un problema ambientale specifico, creando una filiera importante di notevole dimensione.
  Che cosa ci ha portato questo sviluppo, questa partenza ? Ci ha portato in Italia ad avere in vent'anni di attività circa un miliardo di euro di investimenti privati in impianti. Tra quest'anno e il prossimo abbiamo grossomodo tre primi impianti al mondo con tecnologia assoluta italiana in questi settori, che hanno ricadute non soltanto nelle bioplastiche, ma anche nel campo dei biolubrificanti, della cosmesi e in tantissimi altri settori.
  Abbiamo, inoltre, filiere agricole dedicate, che stanno studiando e sviluppando localmente, collegate direttamente alle bioraffinerie integrate, attività di sviluppo sul territorio.
  Abbiamo anche dei fenomeni di reindustrializzazione che occupano sei siti reindustrializzati che altrimenti sarebbero morti, tenendo conto che la chimica tradizionale delle commodity, purtroppo, in Italia, così come in Europa, non si può più reggere. Se facciamo etilene in Italia, questo costa circa un ordine di grandezza in più rispetto a quello che si fa in Medio Oriente.
  Inoltre, abbiamo un sistema di raccolta differenziata del rifiuto per una parte Pag. 13importante d'Italia eccellente, che può essere spinto enormemente sul sistema.
  Abbiamo, quindi, creato una base virtuosa, e non solo. È partito un cluster della chimica verde che mette insieme le competenze migliori del Paese e i centri di ricerca più importanti d'Italia. In questo settore l'Italia gioca un ruolo importante. Siamo primi, ma abbiamo anche una base per poter correre più velocemente degli altri, avendo anche un'Europa che sta guardando all'Italia con grande interesse.
  Sottolineo, infatti, il grande risultato nella votazione della Commissione ambiente del Parlamento europeo della scorsa settimana, in cui si sta parlando di leggi per gli shopper. L'Italia era il fanalino di coda ed era vista come un Paese che faceva cose contro le logiche europee. L'Europa ora sta guardando all'Italia con grande interesse e sta emanando una direttiva in questa direzione. La strada è ancora molto complessa, ma credo che in questo caso l'Italia dovrebbe dare un esempio importante.
  Abbiamo, però, un problema, col quale concludo l'intervento. Abbiamo fatto tante cose positive, ma oggi il 70 per cento degli shopper che girano in Italia non è biodegradabile. Questo nasce dal fatto che non c’è ancora una presa di posizione chiara su una legge italiana che non è applicata completamente. Questo crea un rallentamento enorme del nostro sviluppo ed è un peccato, perché si tolgono risorse.
  Peraltro, sottolineo che Novamont, da quando è nata, ha reinvestito tutto quello che aveva in nuove risorse e, quindi, in impianti, dimostratori e persone. Tutto l'indotto intorno a noi sta facendo un lavoro enorme, ma questa era l'unica iniziativa senza soldi pubblici che noi chiedevamo. È un problema molto significativo per noi.
  Oggi è uscito su Il Sole 24 Ore il manifesto che noi abbiamo indirizzato a Matteo Renzi per chiarire una volta per tutte la questione della legge e renderla veramente applicativa, con un numero enorme di firme trasversali.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie non solo per la competenza e la qualità di quanto è stato fatto, ma anche per la passione. Per quanto mi riguarda, l'ho apprezzata.
  Do la parola al cavalier Ghisolfi.

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. La società Mossi & Ghisolfi si occupa dal 1953 di chimica tradizionale e, quindi, di petrolchimica. Come dimensioni di società, la Mossi & Ghisolfi è la seconda società italiana in termini di fatturato dopo Versalis dell'ENI.
  Negli ultimi dieci anni noi abbiamo lavorato sulla chimica della cellulosa partendo da biomasse cellulosiche non in concorrenza con l'alimentare, per ricavare dei prodotti chimici che devono sostituire una parte degli stessi prodotti che vengono oggi derivati dal petrolio.
  Abbiamo lavorato una decina di anni e siamo arrivati a risultati molto importanti, con una tecnologia innovativa a livello globale. Questa tecnologia è stata sperimentata prima a Tortona, nel nostro centro di ricerche, dove abbiamo 300 persone, fra ingegneri, chimici, tecnologi e addetti all'agricoltura. Abbiamo speso per mettere a punto questa tecnologia 250 milioni di euro.
  Abbiamo poi concretizzato a Crescentino, nel vercellese, il primo impianto di produzione di bioetanolo da cellulosa da 40 mila tonnellate all'anno. Questo ci ha permesso di stipulare un protocollo d'intesa con il Governo italiano all'inizio dell'anno scorso. Siamo passati attraverso tre Governi, sostanzialmente. La situazione è quella che è un po’ per tutti.
  Abbiamo sottoscritto, quindi, un protocollo di intesa per l'installazione in Italia di tre impianti da 80 mila tonnellate ciascuno, il doppio di Crescentino, tanto per intenderci, nelle aree del Mezzogiorno d'Italia. Il nostro budget di ricerca tra il 2014 e il 2017 è di altri 180 milioni di euro per mettere a punto la produzione, sempre partendo da biomasse cellulosiche, di molecole chimiche che oggi provengono dalla petrolchimica.
  Vorrei ricordare che il futuro della petrolchimica europea è un futuro sotto Pag. 14scacco. Negli ultimi anni noi europei ci siamo trovati gradualmente in forte concorrenza con gli arabi, i quali, dato l'aumento demografico dei loro emirati e Stati, hanno bisogno di far lavorare la gente locale. Da anni hanno, quindi, incominciato a investire somme enormi per trasformare una parte del loro petrolio in prodotti petrolchimici, arrivando a una concorrenza assolutamente insuperabile.
  Tenete presente che noi abbiamo avuto rapporti particolari con uno di questi emirati. Uno dei figli dell'emiro, che ha frequentato il Master della Columbia insieme a mio figlio, mi ha detto: «Sa, noi non possiamo andare avanti come fa mio padre, che regala graziosamente ai suoi sudditi uno standard di vita molto alto. Dobbiamo produrre, perché la nostra popolazione aumenta».
  La petrolchimica utilizza il 4,5 per cento del petrolio mondiale. Lui diceva: «Il 4,5 per cento lo facciamo noi e, quindi, potremmo fare tutta la petrolchimica mondiale». Sono solo chiacchiere, ma in effetti essi stanno investendo in prodotti petrolchimici destinati sicuramente solo all'Europa, perché il loro consumo locale è quello che è.
  Pertanto, da una parte, noi ci troviamo di fronte a questo attacco. Dall'altra, come è ormai evidente a tutti, la scoperta dello shale oil e dello shale gas negli Stati Uniti mette l'Europa in una condizione per cui gli Stati Uniti non esporteranno né gas, né olio, ma i relativi prodotti. Tra i prodotti, al di là dei carburanti, come benzina e gasolio, ci saranno soprattutto prodotti chimici. Questo mette la petrolchimica europea sotto una grossa pressione.
  Lo sbocco della chimica in generale in biochimica è, dunque, sicuramente un tema che sta a cuore un po’ a tutti i Governi europei. Noi siamo i primi della fila in questo momento. Abbiamo già sperimentato queste tecnologie e stiamo già producendo questi prodotti, l'etanolo in particolare. Dobbiamo fare uno sforzo, fra noi e il nostro Governo, voi sostanzialmente, per facilitare il più possibile l'utilizzo all'inizio di etanolo di seconda generazione, in miscela con la benzina, e successivamente i prodotti chimici che verranno in sostituzione di quelli petrolchimici, che sono già in laboratorio e che verranno portati presto in stabilimenti di dimostrazione.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Io non faccio domande perché conosco abbastanza bene la materia e so che questo è uno dei campi in cui l'Italia può giocare un ruolo di primo piano, se non perde il treno, come è accaduto altre volte. Essendo, peraltro, voi in larga parte di origine piemontese, mi viene sempre in mente la vicenda dei personal computer, in cui eravamo arrivati bene e che poi è finita come è finita.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERTO ZOLEZZI. Grazie innanzitutto per le vostre relazioni. Alcune domande credo possano essere rivolte ad entrambi i rappresentanti.
  Uno dei problemi che noi notiamo nella gestione del rifiuto umido, per quanto concerne Novamont, riguarda il mix, che, come spesso accade, avviene non solo con altri tipi di rifiuti, ma anche con rifiuti simili che però spesso sono rifiuti speciali. Avete notato un problema legato a questo, di sostanze in alcuni casi di composizione diversa ?
  La prossima è una domanda che vorrei rivolgere sia ai rappresentanti di Novamont che a quelli di Mossi & Ghisolfi. Qual è la vostra attuale valutazione della sostenibilità economica di queste ultime attività che state portando avanti ? Secondo voi, si sostengono solo tramite incentivi, o nel lungo termine c’è una possibilità che diventino attività autonome ?
  Per quanto riguarda Novamont, chiedo se non riteniate che sia necessario da parte del legislatore fissare un limite percentuale. Va bene spostare una parte dell'umido, sia per i motivi economici che citavo prima, sia per motivi proprio di necessità anche di compost aerobico, di cui un certo tipo di agricoltura si potrebbe Pag. 15giovare, ma non c’è il rischio magari che si bilanci all'eccesso la gestione dell'umido ?
  Per quanto riguarda Ghisolfi, mi interessava sapere come va il discorso delle matrici utilizzate a Crescentino. Quante tonnellate siete riusciti a ottenere, che cosa state utilizzando e quali sono le prospettive ? Cosa pensate di utilizzare in futuro ?
  Grazie.

  DAVIDE CRIPPA. Da piemontese, da novarese, sono contento di svolgere audizioni di soggetti che stanno portando realtà importanti a livello europeo provenienti dal nostro territorio. In effetti, quello che spaventa è capire come queste attività possano essere rilanciate e non dimenticate e superate da altri Paesi.
  In merito ho visto che voi avete fatto un appunto, come Novamont, sul discorso del 70 per cento dei bag ancora non biodegradabili in commercio. Vedete questa soltanto come una questione di ostacolo o c’è anche qualcosa da rivedere nel consorzio di gestione delle plastiche, visto che poi vi interfacciate con prodotti che vengono immessi sul mercato e col tema di come questi vengono recepiti dal consorzio di gestione delle plastiche, che li tratta ?
  Per quanto riguarda, invece, Mossi & Ghisolfi, abbiamo assistito a un balletto nel decreto-legge Destinazione Italia sull'obbligo del 4,5 o 5 per cento. Si proponeva di abbassare al 4,5 dal 5 per cento. Io ho perso forse la cognizione di quanto questo 0,5 condizioni effettivamente un mercato e di che cosa avrebbe potuto comportare questa modifica all'interno della vostra pianificazione e dei vostri Piani industriali.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Un'ultima domanda la faccio io, se non ce ne sono altre, e riguarda il discorso della penetrazione in altri Paesi. Questo è un Piano, come avete detto bene, che può interessare molti poli chimici dismessi e costruire filiere nuove in Italia. È evidente, però, che, se non vogliamo commettere gli errori del passato, c’è un problema anche di proiezione internazionale a livello di brevetti e di progetti industriali, in particolar modo nei Paesi che sono interlocutori naturali di una partita di questo tipo, o per le loro caratteristiche tecnologiche, o per le loro caratteristiche produttive.
  Penso, per esempio, al Brasile. Se si parla di biochimica, si fa fatica a non immaginare di coinvolgere un grande Paese come il Brasile. Volevo capire, da questo punto di vista, le vostre società come si stanno muovendo, che contatti ci sono e quali sviluppi prevedete.
  Do la parola ai rappresentanti di Novamont e di Mossi & Ghisolfi per la replica.

  CATIA BASTIOLI, Amministratore delegato di Novamont. Le domande sono molte. Sul rifiuto umido, in realtà, il problema sta tutto nelle pratiche con cui viene raccolto. Noi abbiamo in Italia delle eccellenze incredibili. Peraltro, citavo Milano, che è l'ultima arrivata, ma che certamente pesa per la dimensione. In pratica con Milano abbiamo dimostrato che i modelli che in tantissimi anni l'Italia ha messo a punto in una serie di comuni sono replicabili anche nelle grandi città e che non costano di più, ma di meno. Costa un po’ di più il sistema di raccolta, ma costa molto di meno poi il trattamento.
  Non solo, in prospettiva non è soltanto un costo, ma diventerà, invece, un guadagno, perché, nel momento in cui si usa il feedstock come materia prima, in un Paese che materie prime non ne ha, il rifiuto organico diventa una risorsa e, quindi, un guadagno importante.
  Il concetto è quello di imparare ad avere delle pratiche con cui si può raccogliere il rifiuto. Ci sono alcune città – purtroppo anche la città dove sono nata io; sono umbra e sono nata a Foligno – città in cui la raccolta differenziata dell'organico si fa con i cassonetti posti direttamente sulla strada. Lì non ci sono santi: il rifiuto organico sarà sempre inquinato da qualcos'altro.
  Il rifiuto organico va trattato porta a porta e raccolto con una certa frequenza. Pag. 16Ci sono delle pratiche di tutto rispetto e ci sono degli articoli straordinari dal punto di vista scientifico e tecnico. Ci sono città e intere aree che fanno raccolta in modo meraviglioso. Noi portiamo a livello europeo i problemi di Napoli – anche lì si sta migliorando qualcosa – ma abbiamo la realtà più avanzata nel trattamento del rifiuto organico, che può essere portata come grande bandiera. Abbiamo un Consorzio italiano compostatori che è tra i più virtuosi. Si è inventato un marchio di qualità. Oggi il compost che viene usato in agricoltura è al 78 per cento da raccolta differenziata delle città.
  Abbiamo un problema di desertificazione enorme in tutte le aree del basso Mediterraneo, problema che aumenterà nel tempo e, quindi, abbiamo un bisogno fortissimo di compost. Faccio l'esempio della Piana del Sele perché è significativa. Lì si raccoglie insalata in modo molto intensivo e c’è un terreno praticamente senza carbonio, mentre dall'altra parte abbiamo il rifiuto organico che non sappiamo dove mettere.
  Questo è un esempio di sistema non virtuoso. I nostri costi, i costi della nostra società, non sono nell'applicazione singola, ma nel sistema virtuoso. O siamo in grado di vedere i vari sprechi che, mettendoli insieme, possono diventare un'opportunità e allora si riparte, oppure, se valutiamo separatamente i problemi, questo diventa un punto critico.
  Sul discorso del business e della sostenibilità, invece, ancora una volta il problema è capire. Poiché noi siamo in un modello economico di un dato tipo e dobbiamo transitare a un altro tipo di modello, più sostenibile, il punto fondamentale consiste nei costi esterni rispetto ai costi interni.
  Se guardiamo al rifiuto organico e alla filiera delle bioplastiche, vediamo che questa filiera non è nata per incentivi. È nata semplicemente perché i compostatori, nel momento in cui hanno trovato che mettere in discarica costava molto e che, avendo il rifiuto sporco, dovevano metterlo in discarica, hanno capito che sul resto della parte che non si compostava dovevano mettere tariffe differenziate. In questa maniera è nata la bioplastica e, quindi, è nata su una base completamente diversa.
  Oggi perché il discorso dello shopper e del fatto di avere un sacco biodegradabile è così interessante in Italia, più che in altri Paesi ? Semplicemente per il fatto che è offerto dai comuni gratuitamente. Il concetto è che molto spesso il comune offre il sacchetto. Invece, se il cittadino ha quel sacco e non può sbagliare, perché il sacco è sempre biodegradabile, quando è sottile e con quella forma, lo shopper può essere usato per tutta Italia per la raccolta differenziata.
  Faccio l'esempio di Roma. Roma è la più grande città d'Italia che fa la raccolta differenziata. La fa su 1.500.000 abitanti. Peccato che la qualità dell'organico sia un disastro e che sia pieno di sacchetti di ogni tipo e natura. Se tutti i sacchetti fossero biodegradabili, Roma, invece di pagare il rifiuto 120 euro a tonnellata, lo potrebbe pagare la metà. Non solo, potrebbe mettersi i suoi impianti e fare dei prodotti e una sperimentazione su questo aspetto. Il concetto di costo è tutto da vedere nella nostra capacità di inventare sistemi.
  Quanto al consorzio delle plastiche, noi pensiamo che le plastiche biodegradabili non debbano essere usate laddove non serve la biodegradabilità. Se io ho una bottiglia e la posso riciclare, non me ne frega nulla di averla biodegradabile, anche se posso vendere di più, se faccio la bottiglia biodegradabile. Se decliniamo la bioeconomia con la stessa logica dell'economia passata, non facciamo quel lavoro di rigenerazione territoriale e di radicamento nel territorio che è fondamentale nella parola «bioeconomia».
  La bioeconomia non consiste nel produrre nuovi prodotti da fonte rinnovabile, ma nel creare nuovi modelli. Nel momento in cui facciamo questo, le bioplastiche biodegradabili vanno solo in quelle applicazioni che vanno a inquinare l'organico. Facendo questo, si migliora tutto il resto del rifiuto e si rendono ancora più interessanti i prodotti per un altro mondo industriale che può crescere, che è quello del riciclo.Pag. 17
  Faccio anche l'esempio italiano. I riciclatori in questo momento stanno producendo più sacchi neri per la raccolta del rest waste, perché, nel momento in cui il sacchetto tradizionale è biodegradabile e si vendono meno sacchetti, c’è più bisogno di altri tipi di sacchi per la raccolta del rifiuto e, quindi, utilizzano di più il riciclo.
  Il sistema del riciclo va ripensato sulla base di sistemi virtuosi che progettino prodotti che sono fatti già per il fine uso. In questa maniera eviteremmo il grande impatto. Il collegato ambientale prevede questa cosa, tra l'altro. Questo è un passo avanti piuttosto interessante.
  Quanto alla penetrazione in altri Paesi, tutto il mondo dell'agroindustria e della chimica sta lavorando pesantemente nella nostra direzione. La questione fondamentale che io credo l'Italia possa introdurre in più rispetto agli altri è quella di creare un sistema e, quindi, di far vedere come dobbiamo uscire dalla logica delle grandissime filiere, di quattro filiere agricole che vanno da una parte all'altra, e avere, invece, in Italia l'integrazione di sistema.

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. Crescentino sta utilizzando in questo momento paglia di grano ed è attrezzato anche per la paglia di riso. Dalla paglia di grano, con una percentuale del 20-25 per cento di peso della biomassa, esce etanolo. È una tecnologia assolutamente innovativa.
  Proprio parlando di internazionalizzazione, noi abbiamo già un impianto in costruzione in Brasile, tenuto conto che dalla cellulosa della canna spremuta si può ottenere ancora un 40 per cento in peso di etanolo. Sia in Brasile, che è uno dei più grossi produttori di etanolo del mondo, sia in Asia e in Oceania, dove ci sono le colture di olio di semi, dopo la spremitura dell'olio, utilizzando il residuo della noce, la foglia ogni anno e il tronco ogni cinque anni, si possono ottenere quantitativi molto importanti di bioetanolo. Stiamo lavorando anche per un nuovo impianto dimostrativo in Indonesia per questo.

  ALBERTO ZOLEZZI. Pressappoco, quindi, quante tonnellate state inserendo adesso di paglia ?

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. Il target di Crescentino è di 40 mila tonnellate. In questo momento stiamo al 65-70 per cento.

  ALBERTO ZOLEZZI. Utilizzate anche cippato di legno, al momento ?

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. Noi utilizziamo il cippato di legno, in questo momento, solo in aggiunta alla lignina. Non essendo ancora l'impianto in piena produzione, la produzione di vapore viene fatta con la lignina e con una parte di cippato. Nel momento in cui l'impianto sarà al 100 per cento, si utilizzerà solo lignina.

  ALBERTO ZOLEZZI. Lei ritiene, quindi, pensando alla Pianura Padana, che dovrebbe garantire un apporto di paglie varie sufficiente per il vostro impianto ?

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. Per le 40 mila tonnellate a Crescentino sì.

  PRESIDENTE. Poi ci sono i residui del riso che bruciano e che sembrano dei fuochi danteschi, quando si passa da quelle parti.

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. Gli altri impianti che noi abbiamo in progetto, anche nell'accordo con il Governo, invece, sono da mettere laddove ci sia una possibilità di accedere a una biomassa molto più importante, il doppio di Crescentino.

  ALBERTO ZOLEZZI. In quel caso, sarebbe soprattutto biomassa legnosa.

  VITTORIO GHISOLFI, Presidente del Gruppo Mossi & Ghisolfi. Tenete presente che noi non abbiamo intenzione di utilizzare solo paglia di grano. Da una parte c’è Pag. 18la canna e, dall'altra, ci sono gli eucalipti, per esempio. Quello di Crescentino è un impianto industriale dimostrativo. Gli impianti finali saranno il doppio e saranno installati laddove ci sia la possibilità di avere un quantitativo di biomassa sufficiente per l'impianto.
  Per quello che riguarda le questioni normative, teniamo presente che la produzione di etanolo partendo da biomassa ha un'emissione – ci sono poi le tabelle – che è una frazione di quella che viene emessa su prodotti tradizionali. Su questo c’è una disposizione europea.

  SANDRO COBROR, Responsabile corporate per i rapporti con le associazioni industriali per il Gruppo Mossi & Ghisolfi. Mi inserisco in questa fase della discussione, perché credo che ci siano ancora alcune domande inevase. C'era una domanda che riguardava il fatto se i biocarburanti si sostengano solo grazie agli incentivi. Mi sembrava che fosse stata sollevata questa questione.
  Volevo chiarire una cosa: in realtà, i biocarburanti non godono di alcun sussidio. Cominciamo a chiarire la situazione. Almeno dal 2010 in avanti sono completamente terminati tutti i sussidi a favore dei biocarburanti in Italia. Per quanto riguarda la questione se si sostengano solamente per gli incentivi, l'unico incentivo che esiste per i biocarburanti è il target vincolante previsto dalla direttiva europea n. 28 del 2009. A che cosa serve questo ? Serve per dare certezza agli investitori, per avere una certezza della domanda e, quindi, per permettere che si facciano degli investimenti in questo, che è un settore nascente. Altrimenti, senza una domanda certa, nessuno investirebbe in questo settore.
  Devo dire che il nostro caso specifico è un caso particolarmente virtuoso, perché utilizziamo degli scarti, dei residui o anche delle colture dedicate estremamente economici. Basti pensare che le colture alle quali noi stiamo pensando – si è parlato della canna palustre, per esempio – hanno una resa per ettaro di tre volte superiore a quella del mais, l'altra materia prima che si usa per produrre etanolo, anche con un risparmio di suolo, che è un altro dei temi dei quali spesso si parla.
  Non si tiene, quindi, conto del fatto che questi biocarburanti di seconda generazione sono anche molto efficienti dal punto di vista dell'utilizzo del suolo. Questa è una questione da tenere sicuramente presente.
  Per quanto riguarda un altro aspetto che spesso si dimentica, quando si parla di incentivi, a favore dei biocarburanti, c’è il costo del non fare. So che siamo in chiusura e, quindi, prevedo la domanda, ma impiego solo un minuto.
  In realtà, il costo del non fare è importante. Ricordiamoci che l'Europa ha un costo in bolletta energetica per importare petrolio di 400 miliardi di euro l'anno, che corrisponde a circa un terzo del PIL italiano e a una volta e mezzo il PIL greco. Stiamo parlando di queste cifre. È importante rendersi conto che c’è anche un costo del non fare, oltre a un costo del fare.
  Per motivi di tempo rispondo anche alla domanda sulla differenza tra il 4,5 e il 5 per cento. In realtà non c’è differenza, purtroppo, o almeno non per noi. Come sapete, in Italia per i biocarburanti l'obiettivo del 4,5 o del 5 per cento è cumulativo e riguarda i biocarburanti in generale. Non distingue, quindi, tra la filiera benzina e la filiera gasolio, né tra bioetanolo e biodiesel.
  Il mercato è fortemente «dieselizzato» in Europa, in particolare in Italia. Questo vuol dire che in Italia, finché c’è spazio per introdurre biodiesel nella filiera gasolio, si privilegia l'utilizzo del biodiesel. Fortunatamente, le specifiche tecniche dei motori prevedono che al di sopra del 7 per cento non si possa introdurre il biodiesel. Quando si supererà la quota del 7 per cento, ci sarà, quindi, spazio fisiologicamente anche per il bioetanolo.
  In realtà, dunque, questa differenza a noi sposta poco. Quello che, invece, noi chiediamo, è una distinzione, proprio perché viviamo una sorta di paradosso: da un lato, c’è un'eccellenza chiara italiana della filiera bioetanolo che va nella benzina, ma Pag. 19non c’è un'analoga esperienza di questo tipo, un'analoga eccellenza, per quanto riguarda la parte biodiesel. Quello che veramente servirebbe sono obiettivi separati, un obiettivo vincolante per la filiera benzina e uno per la filiera gasolio, come esistono nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, Francia, Germania, Portogallo, Spagna. Penso che rimanga fuori forse solo l'Inghilterra dal novero di questi Paesi. Dovunque esistono filiere separate, proprio per cercare di incentivare parallelamente entrambe, senza avere una sorta di monopolio di una rispetto all'altra. Questo è quello che noi stiamo chiedendo da tempo in Italia.
  A questo punto, però, mi taccio.

  PRESIDENTE. Possiamo immaginare quali possano essere le resistenze, ma spetta ai colleghi della Commissione attività produttive rimuoverle.
  Grazie. Noi avremo ancora circa un mese e mezzo di lavoro su questa indagine. Se avete ulteriori elementi, ce li potete fare avere anche in forma scritta.
  Ringraziando i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di KiteGen.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di KiteGen.
  Entriamo subito in medias res, perché il tempo che abbiamo è limitato. Vi ringrazio innanzitutto di averci mandato il materiale scritto, che è prezioso, perché così possiamo distribuirlo a tutti i colleghi delle due Commissioni, Ambiente e territorio e Attività produttive, che stanno seguendo questa indagine sulla green economy in relazione all'anno europeo dell'economia verde e al semestre italiano, che, come sapete, occuperà larga parte di quest'anno.
  Vi chiediamo di illustrarci sinteticamente il materiale che ci avete portato. Per favorire uno scambio con i colleghi, io direi che avete a disposizione un quarto d'ora, in maniera tale che poi noi possiamo formulare delle domande, se ci fossero dei punti da chiarire. Abbiamo tempo fino alle 11.45 per la vostra audizione.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Noi siamo KiteGen, i titolari di una tecnologia nuova, non ancora vista, che intende sfruttare i venti troposferici. Il progetto ha svolto quasi dieci anni di ricerca e adesso è a un livello di industrializzazione. Dopo questa ricerca, dopo questo lavoro, siamo certi di avere in mano qualcosa di assolutamente rivoluzionario.
  Per esempio, si sa che il costo dell'energia è un tema che sta mettendo in ginocchio il Paese. Il fotovoltaico è a 200 euro a megawattora e, come costo dell'energia prodotta, va da 200 a 600 euro, a seconda delle installazioni. L'eolico va da 90 a 160 euro a megawattora, il carbone è a 60 euro a megawattora e il nucleare è a 90 euro a megawattora. Il nostro sistema promette 10 euro a megawattora.
  Solo questo piccolo dato promette una rivoluzione, una possibilità di rifondare l'economia, fermare la crisi e iniziare nuovamente a lavorare in un'ottica di green economy, anche se, a quel punto, l'aggettivo green diventa veramente superfluo, perché comporta una ghettizzazione di un'economia importante.
  Questa economia può ricominciare sicuramente dall'energia. Tutto quello che noi abbiamo e che vediamo ha una quantità di energia incorporata, oltre che consumata, che sicuramente raggiunge percentuali vicino alla totalità, all'80 per cento. Siamo ormai in una situazione in cui l'energia ha inventato la crisi, perché questa crisi economica è prima di tutto una crisi energetica.
  Questo concetto noi l'abbiamo proposto più volte, per esempio in bandi. Abbiamo vinto, anzi conquistato, almeno una ventina di bandi, raggiungendo le prime posizioni. Si tratta di bandi italiani, dal FIT (Fondo innovazione tecnologica) per l'energia, al digitale, ai POR, ai PNR, a Pag. 20Industria 2015, dietro la quale c’è una storia piuttosto rocambolesca, per un totale di progetto di 78 milioni.
  Questi sono fondi che KiteGen avrebbe conquistato da bandi di ricerca italiani in questi ultimi dieci anni. Tuttavia, i fondi sono stati dati una volta all'Alitalia e, quindi, sono stati tolti dal FIT, un'altra volta ad altri e, per vari motivi, infiltrazioni e dinamiche, noi non abbiamo mai potuto godere di un supporto italiano su questo progetto.
  Alla fine della ricerca, che abbiamo condotto soprattutto con fondi europei, abbiamo fatto un'ultima proposta al Governo italiano, a Passera, per la questione Alcoa, proponendo KiteGen come azienda in grado di alimentare quello stabilimento. Non abbiamo ricevuto risposta, anzi siamo stati particolarmente danneggiati sui giornali, perché Passera ha espresso pubblicamente opinioni molto negative su di noi, e quindi è successo quello che doveva succedere.
  Adesso siamo impegnati con l'Arabia Saudita, con l'Alcoa, che, come sapete, si è spostata dalla Sardegna all'Arabia Saudita. Noi abbiamo un territorio in Arabia Saudita vicino all'Alcoa, dove andremo a installare le nostre centrali e a fare quello che abbiamo proposto in Italia. Questa è la nostra situazione attuale.
  Io ho cercato comunque di mantenere l'azienda in Italia per sfruttare le maestranze, che sono le migliori del mondo, ragion per cui siamo ancora in Italia. C’è ancora la possibilità di recuperare terreno e di far avvenire quello che dovrebbe avvenire, se gli eventi fossero guidati da un minimo di razionalità.
  Io mi fermerei qui con questa introduzione e chiederei magari di compendiare ai miei colleghi, se pensano che io abbia tralasciato qualcosa.

  EUGENIO SARACENO, Direttore tecnico di KiteGen. Grazie, presidente. Ci avete interpellato per conoscere la nostra posizione in merito alla green economy e noi sentiamo il dovere e l'enorme responsabilità di rispondere adeguatamente, anche denunciando ciò che, a nostro avviso, per citare il punto 7 del programma della presente indagine, costituisce un profilo problematico del modello di sviluppo green economy.
  Noi siamo qui per affermare che il giacimento di energia pulita a basso costo è sempre esistito e si dispiega su di noi sotto forma di immense quantità di energia solare trasformata in nobile energia meccanica mediante il più grande pannello solare a nostra disposizione, l'atmosfera terrestre, un pannello che può essere definito fotocinetico, anziché fotovoltaico, sempre pronto all'uso e manutenuto gratuitamente dalla natura.
  La rivista Nature Climate Change, nel settembre 2012, stimava la potenza estraibile dal vento troposferico senza apprezzabili modifiche climatologiche in valori prossimi a 1.800 terawattora, ovvero più di cento volte, in termini di flusso energetico, l'attuale fabbisogno di energia primaria dell'intera umanità, stimato in circa 16-18 terawatt. Sulla sola Italia fluisce una potenza totale intorno ai 100 terawatt.
  Ipotizzando di riuscire a estrarre e rendere disponibile in continuo anche solo lo 0,1 per cento, ovvero 100 gigawatt, da tale giacimento, l'energia ottenibile corrisponderebbe a oltre 800 terawattora all'anno, valore equivalente a una produzione netta di ricchezza endogena stimabile in 60 miliardi di euro l'anno.

  PRESIDENTE. Chiedo scusa: 100 gigawatt e 800 terawattora che percentuali di utilizzo hanno ?

  EUGENIO SARACENO, Direttore tecnico di KiteGen. Cento gigawatt su 8.700 ore dell'anno...

  PRESIDENTE. Un decimo lo riesce a lavorare ?

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Considerando 100 gigawatt, in realtà, se vogliamo entrare nel dettaglio tecnico, il numero di ore che può lavorare questa tecnologia va dalle 6 mila alle 7 mila l'anno, cioè quasi tutto l'anno.

Pag. 21

  EUGENIO SARACENO, Direttore tecnico di KiteGen. Per semplificare, abbiamo parlato dei 60 miliardi. È una ricchezza paragonabile alla bolletta energetica italiana.
  La maggior parte di questa risorsa è presente ad altezze del suolo superiori ai 500-1.000 metri, ove l'effetto frenante dell'orografia è meno importante. Tuttavia, le tradizionali turbine eoliche non sono in grado di raggiungere tali altitudini e, pertanto, accedono solo alla parte meno conveniente della risorsa.
  Il recente sviluppo di tecnologie che possiamo considerare abilitanti, o enabler, per lo sfruttamento del giacimento eolico di alta quota, come i materiali polimerici ultraresistenti, le tecnologie dei compositi e la riduzione del costo del supercalcolo parallelo, ci hanno consentito di sviluppare un ampio insieme di brevetti sul concetto KiteGen eolico ad alta quota e di avviare lo sviluppo industriale di questa tecnologia, che consentirà di sfruttare l'immenso giacimento, fornendo finalmente l'energia pulita e a basso costo di cui noi abbiamo ravvisato l'indispensabilità ai fini dell'opportunità di un'economia verde per uscire dalla crisi.
  Nell'ambito di un importante accordo con una società saudita noi siamo impegnati in un programma che prevede entro il 2014 di installare i primi impianti KiteGen ed entro il 2017 di raggiungere il traguardo del costo di produzione dell'energia a 10 euro a megawattora.
  D'altro canto, detenere la priorità sui più rilevanti concetti relativi all'eolico d'alta quota comporta una pesante responsabilità in carico a KiteGen stessa e soprattutto al sistema Italia, poiché i brevetti hanno scoraggiato gli investimenti anche di possibili competitori, precludendo il diritto di sfruttamento, in quanto esclusiva di KiteGen, e sottraendo al mondo la via maestra per trovare rapidamente la soluzione alla crisi economica globale.
  È, dunque, necessario agire in fretta anche da parte delle Istituzioni per non vanificare i nostri sforzi nel mantenere italiana la tecnologia KiteGen. Era, infatti, nostra convinzione che, per l'importanza degli obiettivi prefissati, le risorse impegnate nel progetto dovessero essere pubbliche, consentendo la più ampia democrazia ed equità nella distribuzione dei successivi frutti.
  Tuttavia, nonostante la partecipazione e l'ammissione al finanziamento su numerosi bandi di ricerca, le risorse pubbliche destinate al progetto non sono mai state erogate, spingendoci, pertanto, a ricorrere al mercato e abilitandone così una possibile futura appropriazione dei diritti di sfruttamento senza che il Paese ne abbia alcun beneficio diretto.
  Siamo a chiedervi, dunque, il riconoscimento, quale fonte rinnovabile di importanza strategica, del vento troposferico e delle tecnologie completamente italiane che ne abilitano lo sfruttamento, mettendo queste in condizioni di parità con le altre fonti energetiche rinnovabili.
  Il percorso, a nostro parere, più corretto per rispondere a questa richiesta d'aiuto, perché tale è, passa per l'istituzione di una Commissione tecnica, o di un analogo organo istituzionale, che si avvalga delle migliori e indipendenti competenze presenti negli enti di ricerca e negli altri soggetti che svolgono compiti strategici nel campo dell'energia e che possa finalmente verificare e affermare con autorità ciò che noi sappiamo già da alcuni anni, ovvero che il vento troposferico è l'unico giacimento energetico in grado di svolgere il ruolo di contrasto alla crisi energetica economica e ambientale assegnato alla green economy e che le conoscenze accumulate e riconosciute dalla priorità dei nostri brevetti in merito alle relative modalità di sfruttamento sono da considerarsi di interesse strategico per il Paese.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Non esageriamo parlando di «unico», perché la green economy è una questione molto estesa, che attraversa tutti i settori. L'Italia ha ricavato quasi il 40 per cento di energia elettrica da fonti rinnovabili l'anno scorso. È giusto guardare a questo settore, ma evitiamo quello che fanno tutti, cioè di dire che gli Pag. 22altri non esistono e che esiste solo il proprio punto di riferimento, altrimenti non ce la facciamo.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Mi piacerebbe, però, che questo venisse detto da una Commissione, perché non si tratta di una questione politica. È una questione fondamentalmente tecnica. Se noi partiamo dal giacimento, non dai meriti di KiteGen, l'unico – ripeto l'unico – giacimento rimasto a disposizione del genere umano è il vento troposferico.

  PRESIDENTE. Io capisco la passione, ma basta un millesimo del sole che arriva sulla terra a generare tanta energia.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. No, perché, se io voglio prendere il sole, ho bisogno di dispiegare una macchina, che è un pannello fotovoltaico.

  PRESIDENTE. Anche la vostra è una macchina, ma non dobbiamo fare un dibattito del genere. Noi vogliamo sapere da voi adesso alcune precisazioni: se esistono prototipi, quali sono le condizioni e quali passi possiamo fare per aiutare lo sviluppo di questo settore. Ripeto, le politiche energetiche e le politiche della green economy – che non riguarda solo l'energia – sono molto più estese di una singola applicazione, altrimenti sarebbe tutto più semplice.
  Io vorrei chiedere oltretutto, dato l'interesse della questione, i prototipi dove sono stati realizzati e dove si possono vedere.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Sono stati realizzati in Piemonte. Abbiamo creato prima un prototipo chiamato Mobile Gen su un camion, abbiamo fatto una campagna promozionale e sono scaturite almeno una trentina di tesi di laurea e di dottorato su questo prototipo nella fase di ricerca, con i Politecnici di Torino, Milano, Zurigo. Dopodiché, ci siamo ritrovati con questa macchina che produce energia e abbiamo deciso di produrre la macchina industriale da 3 megawatt.
  La macchina industriale da 3 megawatt abbiamo cercato prima di metterla a Berzano, ma è successa una delle solite pratiche italiane, quando un imprenditore o un'azienda cerca di installare qualcosa. Dopodiché, siamo andati a Sommariva.
  Ci sono state richieste di soldi. Poiché noi abbiamo un patrimonio di brevetti che ha raggiunto i 100 milioni dal punto di vista della valutazione della proprietà intellettuale, io e i soci tutti abbiamo deciso di non cedere mai ad alcun ricatto. Purtroppo, però, chi non cede a ricatti a un certo punto non può lavorare.

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa. Ci spiega il problema ? Dunque, voi avete cercato di installare questa macchina. Ci sono state che cosa: opposizioni burocratiche, mancanza di norme, opposizioni dei cittadini ? Qual è stato il motivo che non ha reso possibile questa installazione ?

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Lo dico chiaramente e me ne prendo tutta la responsabilità, anche perché c’è un sito con tutto il materiale, dal quale si può desumere l'informazione.
  La forestale, con il tecnico comunale, il segretario e una parte dell'organizzazione volevano dei soldi per permetterci di continuare. Soprattutto volevano che io sostituissi il tecnico che si stava occupando delle attività di installazione delle macchine con un altro, che avrebbe richiesto per le sue prestazioni una cifra che comprendeva anche queste prebende.
  Noi ci siamo rifiutati e abbiamo cambiato sito. Adesso siamo a Sommariva, in un sito completamente chiuso, perché siamo in un consorzio di comuni dove c’è una discarica con il recupero di materiali organici, e quindi abbiamo una situazione estremamente protetta e non siamo più esposti ad aggressioni di qualunque tipo.
  La macchina a Sommariva ha funzionato, ha prodotto la sua energia e ci ha permesso di arrivare a un ottimo livello di Pag. 23progettazione. Adesso abbiamo aperto a San Mauro Torinese un capannone da 10 mila metri quadrati, dove stiamo iniziando la produzione in serie di queste macchine.
  Per fare un esempio, produrre un prototipo di un'automobile costa circa 10 milioni, ma realizzare la linea di produzione che monta in serie le Punto costa 600 milioni. Siamo in quella fase lì, nel senso che il prototipo che va su strada, per fare il parallelo con l'automobile, l'abbiamo fatto e funziona. Adesso cerchiamo di fare un prodotto industriale capace di essere installato nel mondo, di essere inscatolato, spedito, installato e manutenuto.
  Questa è la situazione.

  DAVIDE CRIPPA. Sarebbe stato forse meglio vedere un video, anche se ai più, che sanno cos’è, il sistema era noto. Se ce l'avete, magari lo mettiamo in visione.
  Io vorrei riallacciarmi a quanto detto dal presidente e porvi una domanda. Al di là delle esternazioni sulle problematiche che avete riscontrato nell'installazione del primo impianto, per cui spero siate poi andati di fronte all'autorità giudiziaria, vorrei capire meglio ciò che riguarda il prototipo a Sommariva Perno.
  Questo prototipo è allacciato alla rete oggi esistente ? Come mai non è in continua produzione ? La prima domanda che spesso ci si fa è questa. Si tratta di una realtà installata da un anno: quanto ha prodotto in un anno ? Vorremmo vedere lo storico di questo prototipo, lo storico funzionale.
  So che adesso avete importanti collaborazioni con l'Arabia Saudita, ma, dal punto di vista italiano, sarebbe stato bello avere i dati di Sommariva Perno e di quello che ha prodotto questo prototipo da 3 megawatt, se allacciato alla rete.

  MIRKO BUSTO. Io vorrei rivolgervi una domanda specifica. C’è un indicatore che potrebbe definire in maniera più o meno univoca la bontà di questa fonte rispetto a un'altra, che è l'indice di ritorno energetico, calcolato sul ciclo di vita. Avete fatto degli studi nelle diverse tesi di dottorato che sono state scritte su questo tema ? Potete darci delle delucidazioni ?

  MARCO DA VILLA. Io vorrei conoscere le implicazioni rispetto all'occupazione dello spazio aereo e quale dimensionamento massimo si può pensare di avere per questo tipo di impianti. Immagino che debba essere riservata una certa superficie di spazio aereo e, quindi, anche effettuato il dimensionamento degli impianti. Chiedo se sia previsto un limite massimo anche strutturale e se sono stati fatti studi di questo tipo.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre questioni, do la parola ai rappresentanti di KiteGen per la replica.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Sommariva è il sito in cui abbiamo installato il primo tentativo di macchina industriale da 3 megawatt. Non ha importanza che funzioni, perché noi non siamo installatori di pannelli fotovoltaici che li provano, siamo i progettisti costruttori della macchina. Per noi il sito di Sommariva non è un sito produttivo, ma un sito di sperimentazione delle componentistiche che compongono la macchina.
  Per fare un esempio, la nostra macchina assomiglia molto, come tecnologia, a un drone. Voi sapete che l'Italia sta acquistando dei droni a 180 milioni. Noi non abbiamo ancora speso queste cifre, le stiamo spendendo adesso.
  Faccio un altro esempio. È come se avessimo fatto una diga piccola, come la diga di un castoro. Si fa vedere che si trattiene l'acqua e che si forma dell'energia potenziale da sfruttare. Noi abbiamo fatto dei generatori in piccolo, che hanno prodotto energia fino a 130 chilowatt. Ci sono i film su Youtube, li abbiamo messi a disposizione sul nostro sito, ci sono tutte le dimostrazioni di queste attività. Esse non possono, però, essere mantenute continuamente, perché vengono gestite da persone che costano, in situazioni ancora provvisorie.
  L'allacciamento alla rete si farà una volta che avremo la macchina definitiva nella scatola di cartone, cioè quella che si Pag. 24può spedire e di cui si può fare il deployment. Adesso siamo ancora in una fase di industrializzazione e, quindi, l'ultima cosa che ci interessa è guadagnare dalla vendita di energia, perché abbiamo delle spese molto più grandi e molto più importanti nell'industrializzazione.
  L'energia che produciamo noi semplicemente la buttiamo via su alcune resistenze. Scaldiamo dei grossi resistori che emettono il calore in atmosfera. Dovrebbe bastare questo per capire che il passaggio dall'energia, che noi dissipiamo, perché non sappiamo cosa farcene, all'immissione in rete è un passaggio breve.
  Non ci conviene allacciarci. Non abbiamo voluto dedicarci all'allacciamento in rete, innanzitutto perché si tratta di una procedura lunga e costosa e poi perché non eravamo sicuri che il sito di Sommariva fosse quello ideale. Adesso abbiamo acquisito un altro sito. ENAV ed ENAC ci hanno già concesso 5 mila metri d'altezza di possibilità di volo e abbiamo diritto su un sito, che si chiama L'Aquila, vicino a Giaveno. Lì sì che sarà conveniente fare l'allacciamento alla rete. Vi ricordo, però, che sono procedure che impiegano anche più di due anni per riuscire a portare una linea da qualche centinaio di megawatt a un sito. Anche quello sarà, quindi, un processo lungo, faticoso e irto di difficoltà, perché dobbiamo interfacciarci con l'amministrazione.

  DAVIDE CRIPPA. Ovviamente la mia domanda su Sommariva Perno era riferita a questo. Capisco benissimo il vostro approccio tecnico, quello di dire: oggi stiamo sperimentando industrialmente il prodotto e, quindi, stiamo cercando di trovare le soluzioni migliori, dalle corde all'incurvatura della vela. Purtroppo, però, gli scettici arrivano sempre a chiedere: «Sì, ma quanto potrebbe produrre ?». Pertanto, anche di una situazione di questa natura, che in un anno, pur con tutti i limiti e i difetti, ha lavorato, sarebbe stato magari utile avere dei dati di produzione. Ripeto, pur con tutti i limiti e gli sviluppi.
  A meno che voi non vediate questo come un possibile ostacolo, nel senso che – ovviamente ci sono degli stock di produzione dovuti a specifiche problematiche – possa poi penalizzare la riuscita del progetto finale. È ovvio che questa sia una spiegazione. Voi volete arrivare a testare un anno di produzione con un prodotto perfetto e che sia funzionale, altrimenti potrebbero poi uscire dei dati che potrebbero non soddisfare l'utente finale.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Sì, però si rischia di invertire la logica. Noi vogliamo sviluppare una tecnologia e investire su questa tecnologia. Dopodiché, si possono fare queste attività. Attività di misura di macchine in scala ce ne sono ormai decine in tutto il mondo, perché il nostro esperimento, vorrei che lo sappiate, è stato riprodotto decine di volte. Solo guardando su Youtube, troverete ali che svolazzano praticamente in tutto il globo terracqueo per produrre energia. Il salto successivo ora è produrre questa macchina. Questa è una macchina che noi abbiamo pensato per i 3 megawatt.
  I metodi di decollo sono almeno sette. Nel video ne vedete uno, rappresentato da alcuni ventilatori, ma ne abbiamo altri sette. L'ala sale e arriva in quota. Questa è un'immagine reale di un'ala che produceva energia sul nostro generatore di scala inferiore. Quell'ala ha raggiunto i 2 mila metri di altezza ed è andata a trovare del vento che ha almeno una velocità doppia rispetto a quello raggiungibile dalle turbine eoliche. Avere un vento di velocità doppia significa che, dal punto di vista produttivo, poiché la potenza del vento è in funzione del cubo della velocità, avere otto volte la potenza a disposizione.
  Da qui posso allacciarmi al discorso dell'LCA e dell'EROEI calcolato per il KiteGen, ma bisogna mettersi d'accordo su quale EROEI calcolare.
  Una parte del video è la parte tecnica, in cui si spiega come noi facciamo a recuperare energia e a tornare indietro con l'ala, con il side-slip. Questa è l'immagine reale di un side-slip, dove l'ala che ha raggiunto i 2.500 metri viene richiamata indietro come se fosse una bandiera, Pag. 25in modo tale che l'energia prodotta nella fase attiva non venga consumata nella fase passiva. Dopodiché, quando l'ala viene giù così, come una bandiera, bisogna iniziare di nuovo a volare. C’è un nuovo inizio di volo che vede sufficiente ripareggiare le funi, in modo tale che l'ala riprenda il vento e ricominci la sua attività di trazione meccanica sulle funi. Questa è particolarmente elegante, come ripresa di volo.
  Quando le funi vengono trainate dal vento, noi abbiamo la nostra energia, perché l'energia è uguale a una forza per uno spostamento. La trazione che avviene per diversi minuti è quella che ci mette in condizione di produrre energia meccanica e poi di convertirla in elettrica con i soliti alternatori e con le macchine elettriche comunemente conosciute.
  Rispondo ancora sull'LCA. Proprio il fatto di andare a prendere il vento dove la velocità è il doppio di quella disponibile moltiplica la produttività della macchina di otto volte. Pertanto, se seguiamo la teoria per cui le turbine eoliche hanno un EROEI di 4, il nostro KiteGen ha un EROEI di 80. Se, invece, prendiamo l'ultima variazione sulla teoria dell'EROEI imposta da Raugei dell'università di Barcellona, che dice che l'EROEI delle turbine eoliche è 20, dobbiamo comunque moltiplicare per 8 questo dato. Di conseguenza, l'EROEI del KiteGen va da 80 a 1.600. Dipende dai metodi di calcolo dell'EROEI.
  Sullo spazio aereo forse ho fatto un'introduzione prima. Lo spazio aereo viene concesso, chiaramente, fino a quando si considera che il volo vincolato di un'ala sia molto più sicuro di un volo libero. In caso di stallo, infatti, noi abbiamo sempre le funi per richiamare l'ala e riportarla in condizioni di portanza.
  Lo spazio aereo, quindi, ha un raggio che nel futuro si ridurrà sempre. Per adesso stiamo cercando dei luoghi che permettano la caduta dell'ala senza andare su un'autostrada o una linea elettrica, ma col tempo si vedrà che potremo avere circa un ettaro per macchina.
  Quanto alla densità di installazione delle macchine...

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, ma dobbiamo chiudere, perché siamo dieci minuti oltre il tempo e abbiamo altri ospiti che stanno aspettando fuori. Se c’è qualche altro flash, possiamo concludere.

  GIANCARLO ABBATE, Consulente scientifico di KiteGen. Come flash, a proposito dello scetticismo, io sono un professore universitario di fisica dell'Università Federico II di Napoli ed ero io stesso scettico. Tutte le persone, fisici e ingegneri esperti del campo dell'energia erano scettici, non appena ho cominciato a parlare di questa tecnologia. Il motivo è semplicemente la non conoscenza, ed è lo stesso motivo per cui ero scettico io.
  Dopo un quarto d'ora di colloquio con ognuno, non è più rimasto scettico nessun mio interlocutore, intendendo sempre ingegneri e professori universitari. Nessuno è più rimasto scettico. Tutti sono stati totalmente convinti non solo della credibilità scientifica, ma anche della fattibilità tecnologica, di questo metodo di produzione.
  Chiuso il flash. Grazie a tutti.

  DAVIDE CRIPPA. Lancio solo una domanda. Visto che, se non ho capito male, quest'anno, nel 2014, voi avrete impianti realizzati in Arabia Saudita, saranno installati i primi o questo avverrà dal prossimo anno ?

  EUGENIO SARACENO, Direttore tecnico di KiteGen. Installeremo prima in Italia un test plant. Dopodiché, il partner saudita potrà effettuare un ordine fino a 200 macchine.

  PRESIDENTE. Per carità, l'argomento è di grandissimo interesse. È chiaro, però, che c’è un problema anche di sollecitazioni meccaniche di altra natura, che, se non si ha un impianto in funzione da un determinato periodo, è difficile prevedere a priori. Penso, per esempio, alle caratteristiche tecniche di quelle funi, che non sono sottoposte a sollecitazioni molto variabili.

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  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. C’è molto lavoro e noi lo mettiamo volentieri a disposizione. C’è bisogno veramente che venga capito che noi assistiamo a una spesa di 17 miliardi l'anno per tecnologie che ormai non hanno rendimento.

  PRESIDENTE. Io non la voglio contraddire, ma vi sconsiglio di presentare voi stessi come la soluzione al mondo e il resto come il male, perché in questa maniera si perde. Bisogna che ognuno dia il meglio di sé. Inoltre, non sono 17 miliardi, sono 11.

  EUGENIO SARACENO, Direttore tecnico di KiteGen. C’è comunque una differenza tra zero e 17 miliardi.

  PRESIDENTE. Poiché, però, non sono tutti stupidi, se stanno facendo investimenti in quella direzione, qualche motivo ci sarà. La vostra può essere un'ottima soluzione, ma bisogna sperimentarla. Quando installate il prototipo, noi veniamo. Diciamo da subito che in una giornata verremo insieme, come Commissioni, a verificare l'installazione del prototipo.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. Tuttavia, non ci darete alcun aiuto preventivo.

  PRESIDENTE. L'aiuto preventivo non dipende da noi, ma dal Governo.

  MASSIMO IPPOLITO, Fondatore e presidente di KiteGen. I finanziamenti li abbiamo conquistati, ma sono stati dati ad altri. Se volete, abbiamo le informazioni per dimostrare che sono stati dati all'Alitalia, anziché a noi.

  PRESIDENTE. Queste sono cose che sappiamo. Mandateci una nota in materia. Cercheremo di capire quello che si può fare. Come sapete, questo non dipende dal Parlamento, ma dalle decisioni che vengono prese dai ministeri. Se c’è la possibilità di accedere a fondi, cerchiamo di fare il possibile.
  Ringraziando i rappresentanti di KiteGen, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di F.IN.CO (Federazione industrie prodotti impianti servizi ed opere specialistiche per le costruzioni).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di F.IN.CO (Federazione industrie prodotti impianti servizi ed opere specialistiche per le costruzioni).
  Inizierei subito, perché siamo già in ritardo. Abbiamo venti minuti a disposizione. Sfruttiamoli al meglio. D'altra parte, questa è l'unica condizione per ascoltarvi, perché noi abbiamo avuto richieste di audizione da centinaia di soggetti. A molti abbiamo chiesto solo il contributo scritto.
  Come sapete, stiamo svolgendo congiuntamente fra Commissione ambiente e territorio e Commissione attività produttive questa indagine sulla green economy. Voi rappresentate il settore soprattutto della filiera dell'edilizia, un settore di cui noi ci siamo occupati in varia maniera. So che avete anche consegnato un materiale scritto. Se in dieci minuti ci esponete il vostro punto di vista, proveremo poi ad interloquire anche con domande e richieste di chiarimenti.

  FABIO SERGIO BRIVIO, Vicepresidente di F.IN.CO. Vi ringraziamo per quest'ulteriore segno di attenzione a F.IN.CO. La green economy è una grande opportunità. Non lo diciamo noi, lo dice l'Unione europea, lo dicono tutti, forse lo dicono anche in troppi. Se giriamo sui siti Internet, vediamo spessissimo parlare di green economy anche a sproposito. Quello è, in realtà, un fenomeno di greenwashing.
  Noi crediamo, però, che in un Paese come il nostro, che non ha fonti di energia a sua disposizione, o che ne ha poche, e che ha una Strategia energetica nazionale Pag. 27che ha dichiaratamente espresso a tutti la sua intenzione di puntare su un pilastro quale quello dell'efficienza energetica, supportata dalle varie direttive europee, fortunatamente, esiste una filiera che può opportunamente fornire risposte in questa direzione. Vale la pena ricordarlo perché è importante per capire i meccanismi che attivano poi i fenomeni e le dinamiche economiche che regolano i mercati.
  La nostra non è una filiera di grandi aziende, ammesso che in Italia oggi le grandi aziende ancora esistono e che non hanno tutte delocalizzato, traslocato o cambiato totalmente lo scopo economico della loro attività. La nostra è una filiera di piccole e medie imprese, imprese dinamiche e che occupano sul territorio e nel territorio personale altamente qualificato.
  Questa premessa per noi è importante, perché la riteniamo un valore aggiunto per il Paese, una scelta consapevole, qual è quella, che ci sembra sia stata più volte annunciata e che concretamente dovrebbe essere percorsa, della strada dell'efficientamento energetico, del recupero energetico, della riqualificazione energetica del nostro patrimonio immobiliare e non solo, ma anche del patrimonio ambientale che ci è stato trasmesso dai nostri predecessori.
  F.IN.CO su questo fronte si è sempre impegnata, si è sempre battuta in prima linea, fin da quando era in Confindustria e poi da quando è uscita da Confindustria. Dobbiamo, però, far notare in questa piccola premessa, che mi scuserete se faccio, perché mi aiuta a far capire meglio le proposte e le opportunità, una difficoltà di interloquire con il sistema che regola e governa il nostro settore.
  Il Paese oggi ha due grandi interlocutori sull'efficientamento energetico: il Ministero dell'ambiente e il Ministero dello sviluppo economico. Questi due ministeri, con i quali noi ci troviamo a interloquire, hanno poi due interlocutori tecnici: uno è l'ENEA, l'altro è il GSE. Noi li sentiamo tutti, ma la nostra esperienza è che forse su questa responsabilità diretta andrebbe fatta, per l'industria e per il sistema industriale, più chiarezza.
  Ci vorrebbe forse la certezza di sapere chi se ne occupi in primis, chi abbia la responsabilità di guidare il Paese in questo percorso di efficientamento, se è un ministero o se è l'altro, in modo che noi interlocutori dell'industria e del sistema industriale possiamo concentrare i nostri sforzi nel comunicare e nel portare quel valore aggiunto di competenze che riteniamo di poter annoverare, alle persone giuste.
  Cito un'esperienza piuttosto limitata, ma che può aiutarci a capire. Parlo del fatto che, per esempio, sul rinnovo degli incentivi, che ci ha visto protagonisti, noi siamo riusciti a ottenere gli incentivi del Conto termico, attraverso il gestore e i tecnici del Ministero dello sviluppo economico, per una tipologia di interventi che sono le schermature solari, le quali però sono escluse e non sono ancora riuscite a entrare nel sistema di efficientamento, che è, invece, quello più interessante, ossia quello del 65 per cento. Questo nonostante la legge n. 90, di conversione del decreto n. 63, dell'anno scorso reciti in un articolo che il Governo si impegnava a considerare altre tipologie di intervento all'interno della stabilizzazione.
  Capisco che non si può essere perfetti, ma questo è un esempio di scarsa chiarezza. Parlando con un ministero, i tecnici del MISE ci dicono che le schermature devono esserci, ma poi ci rimandano al MEF, oppure alla Commissione. Sarebbe bello avere quanto meno una dichiarazione che precisi che per l'efficienza energetica il futuro del Paese sarà guidato da questo o da quest'altro attore.
  L'ENEA è un ente importantissimo, un valore aggiunto di competenze. Noi rileviamo, però, che, purtroppo, è ingessato da una situazione di commissariamento che per sua natura dovrebbe essere temporaneo, ma i cui tempi si sono un po’ allungati. Anche questo è un aspetto che andrebbe, a nostro avviso, risolto a breve, perché può facilitare la liberazione di competenze e risorse utili per mettere in piedi una strategia energetica che veda la riqualificazione energetica come uno dei pilastri, essendo il megawatt la nostra Pag. 28fonte di energia. Tutto quello che noi riusciamo a risparmiare è utile e questo aspetto potrebbe aiutare le industrie che noi rappresentiamo a capire meglio come organizzarsi.
  A tale scopo noi la settimana prossima organizzeremo un incontro, un tavolo, che cercheremo di coordinare, cui parteciperanno non solo i soci F.IN.CO, ma anche tutti gli attori che nel loro agire quotidiano hanno nell'efficienza energetica un ruolo importante. Terremo questa riunione in ENEA perché gli riconosciamo un ruolo di coordinamento e di guida importante.
  Veniamo adesso all'oggetto del nostro incontro. Tutti sappiamo che il 40 per cento del fabbisogno energetico medio dell'Unione europea – l'Italia si discosta molto da questo valore o forse ha qualcosa di meno, dovuto anche al clima – se ne va per sostenere energeticamente gli edifici. In tale settore si può fare molto, a nostro avviso.
  Sicuramente la politica di detrazioni fiscali che è stata intrapresa sei anni fa con l'introduzione del bonus del 55 per cento ha agevolato un avvicinamento da parte della proprietà immobiliare privata, che è molto frammentata in Italia, verso questi temi. Ricordiamo che il privato, a meno che non sia illuminato dall'alto, difficilmente si avvicina a questi temi. Lo fa quando ne ha una convenienza economica.
  F.IN.CO si è sempre battuta perché questi incentivi venissero prorogati e stabilizzati. Tra le nostre proposte c’è la stabilizzazione al 2020. Il 2020 è l'anno spartiacque da cui l'Unione europea ha deciso che gli edifici dovranno essere, sotto il profilo dell'energia, a impatto quasi zero. Arrivare al 2020 con una stabilizzazione della misura non è come arrivarci rinnovandola e procrastinandola di anno in anno. Il sistema industriale non vive a sei mesi, ha bisogno di investimenti in termini sia di attrezzature, sia di sviluppo prodotti, sia di occupazione. Se vogliamo veramente cogliere questa opportunità in termini di nuova occupazione e di competenze, la stabilizzazione, a nostro avviso, dovrebbe essere almeno portata da subito sino al 2020.
  Le nostre proposte sono due e sono molto semplici. Una è quella di dare la premialità con una gradualità a scendere, vale a dire il 65 per cento al 2016, il 60 per cento al 2018, il 50 per cento al 2020, in una logica che premia chi interviene subito. Noi riteniamo che tutto quello che riusciamo a fare subito possa rappresentare una sferzata, quella frustata all'economia di cui tutti parlano come necessaria, ma che poi nessuno si sente di imprimere.
  Un'altra strada è quella di legare la premialità a una flessibilità della detrazione fiscale non solo su dieci anni, ma su tre, cinque o dieci anni, legando l'ammontare della percentuale di detrazione alla durata nel tempo di recupero della detrazione stessa e anche all'ammontare dell'intervento.
  Non va dimenticato che questo tipo di intervento è quasi a costo zero per lo Stato, perché, fatti i conti di quanto esce e di quanto entra ogni anno in termini di nuova occupazione, ossia di nuove IRPEF, IRES, IVA e di contributi che vengono pagati dalle imprese, è sicuramente un saldo in attivo.
  Va poi detto che incentivare questa filiera molto frammentata, molto articolata e molto tecnologicamente importante produce due effetti nel medio periodo. Il primo è l'innovazione tecnologica, dopo la quale arriva sicuramente la supremazia.
  Mi sento di ricordare che la Germania ha iniziato a favorire gli investimenti in alcuni ambiti delle energie rinnovabili, soprattutto nel solare termico. Oggi la Germania ha aziende leader in questo settore. Se noi guardiamo la meteorologia della Germania, però, non vediamo un Paese che ha molto sole. Questo è il frutto di scelte oculate, di stabilità, di leggi e di provvedimenti chiari e non confusi che mettono in condizione gli industriali, le imprese e gli attori del mercato di fare scelte chiare e di portarle avanti.
  Tutto ciò avrebbe sicuramente poi un, non secondario, effetto di ridurre le emissioni Pag. 29e, quindi, di non penalizzare il Paese con sforamenti delle quote e dei target assegnati in sede europea, che poi si riproducono in termini economici sulle tasche dei cittadini, con aumenti della tassazione o delle bollette.
  Questa, quindi, è per noi una delle misure che non solo ci sono e funzionano, ma che andrebbero stabilizzate e allargate, ripeto, a nostro avviso, anche a tutte le tecnologie che oggi ancora non vi riescono ad accedere, prima ancora di pensare, come abbiamo appreso in questi giorni grazie al fatto che il nostro Centro studi guarda tutti i documenti, all'ipotesi di aumentare di un extra 10 per cento il bonus della detrazione fiscale sugli interventi che abbiano per oggetto materiali biocompatibili non meglio specificati e non meglio identificati.
  A nostro avviso, la coerenza vorrebbe che prima si facesse entrare nell'alveo del 65 per cento chi ha ancora i numeri, avendone titolo, perché magari li ottiene come Conto termico e non come detrazione. Poi, magari, se ci sono le risorse, laddove le risorse ci siano e si potessero trovare, si può pensare ad altre forme di premialità.
  Notiamo anche nel dibattito politico una certa conflittualità tra i ministeri competenti. Un intervento di un deputato di SEL ci evidenzia come questa proposta del 10 per cento venga appoggiata da una parte, criticata dall'altra e, tutto sommato, accolta con una certa neutralità da parte di chi poi dovrebbe pagare la bolletta. Questo fa parte del discorso dell'agone politico e della dialettica politica, ma, a nostro avviso, in questo momento, i bisogni, se ci viene chiesto, sono altri.
  Vorremmo passare poi a una seconda delle nostre innumerevoli proposte...

  PRESIDENTE. È già andato oltre il tempo previsto. Se ha un'informazione di sintesi da trasmetterci, lo faccia ora, altrimenti dovremo passare alle domande dei commissari.

  FABIO SERGIO BRIVIO, Vicepresidente di F.IN.CO. La ringrazio di richiamarmi all'ordine, ma lei sa che la passione a volte non fa guadagnare tempo.

  PRESIDENTE. La capisco e, infatti, per la passione l'ho lasciata parlare cinque minuti in più rispetto al tempo previsto. Ora, però, la sollecito, altrimenti non riusciamo a interloquire. Peraltro, le ricordo che abbiamo il vostro documento.

  FABIO SERGIO BRIVIO, Vicepresidente di F.IN.CO. Vorrei richiamare la questione dell'ecoprestito, perché rappresenta, a nostro avviso, il superamento dell’impasse economica e finanziaria in cui versano le famiglie italiane.
  Solo il 10 per cento delle famiglie italiane, secondo una statistica di questi giorni, potrebbe investire nella propria abitazione per migliorarla. Ciò vuol dire che, se non mettiamo a disposizione dell'altro 90 per cento i fondi con un sistema di prestiti bancari che siano finalizzati alla realizzazione di interventi di efficientamento energetico, tutti i buoni propositi e i migliori dispositivi di legge che verranno prodotti dal nostro Parlamento rimarranno inadeguati per mancanza di fondi o per incapienza fiscale da parte dei soggetti.
  L'ecoprestito non è altro che un sistema di finanziamento agevolato per interventi finalizzati solo ed esclusivamente alla riqualificazione energetica del parco edilizio esistente. Se vogliamo, è l'equivalente della rottura del Patto di stabilità per i comuni che vanno a fare interventi di recupero dell'edilizia scolastica. Si sta parlando anche di questo in questi giorni.
  Direi che i punti fondamentali li abbiamo affrontati. Ricorderei qualcosa, se mi sono consentiti ancora 60 secondi, sulle fonti rinnovabili termiche, che, a nostro avviso, andrebbero valorizzate meglio, soprattutto laddove si parla di rinnovabili termiche italiane, non per la produzione di energia con le biomasse, ma per teleriscaldamento, utilizzando la geotermia. Sono fonti tipiche del territorio italiano e fanno parte della natura del nostro Paese, che è una natura sismica. Possiamo utilizzare anche queste per aiutarci a rendere più efficiente il nostro sistema edilizio.
  Grazie.

Pag. 30

  PRESIDENTE. A parte il fatto che conosco la vostra attività, voi avete parlato sostanzialmente della «corda in casa dell'impiccato», perché, come sapete, la questione degli incentivi è stata fortemente voluta in particolar modo dalla Commissione Ambiente e territorio. Le cose che lei ha detto sono già presenti in una risoluzione votata all'unanimità da questa Commissione congiuntamente alla Commissione finanze, ragion per cui non possiamo dire che non siamo d'accordo.
  C’è un richiamo importante che lei fa – le altre sono questioni di aggiustamenti tecnici – alla frammentazione delle competenze. È vero, quello è un punto delicato. Attualmente questa partita ha molti punti di riferimento diversi.
  Per esempio, l'azione importante sulle scuole viene annunciata, ma bisognerà condizionare con più chiarezza dal punto di vista del risparmio energetico il consulente antisismico. Penso che sarà così, ma non è scontato. Lo dico anche al collega Mirko Busto e agli altri colleghi della Commissione: bisogna che ci sia un'indicazione chiara circa le modalità con cui viene fatto il rinnovamento degli edifici scolastici, finalità per la quale sono previsti questi fondi.
  Questo tema dovrebbe avere un punto di riferimento nel MIUR. Il credito d'imposta e l’ecobonus hanno come riferimento il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture. Il Ministero dello sviluppo economico, sentendo il Ministero dell'ambiente, deve elaborare entro aprile il Piano sull'edilizia scolastica esistente, sia pubblica sia privata. Già così sono tre o quattro poli differenti, che dovrebbero, invece, lavorare insieme. Io mi auguro che la Presidenza del Consiglio riesca a istituire una cabina di regia comune, altrimenti c’è il rischio che ognuno vada per la tangente.
  Ci ha detto nella sua audizione il Ministro Lupi – parlo dell'audizione fatta con la Commissione Ambiente e territorio – e adesso si tratta di verificare, che sarebbe in corso un accordo con la Cassa depositi e prestiti per permettere forme di finanziamento alle famiglie per attivare iniziative di risparmio energetico. Il vero limite, anche se ce ne sono parecchi, della misura del credito d'imposta del 55 per cento, oltre a quelli che lei sottolineava, come gli anni, l'estensione e anche le tipologie tecniche dell'intervento, riguarda, per esempio, gli incapienti, veri o finti che siano. In molti casi gli incapienti sono anche gente che evade.
  Quando vedo che la Campania ha usato il vecchio 55 per cento per un quinto rispetto al Veneto, avendo peraltro la Campania un milione e mezzo di abitanti più del Veneto, suppongo che questo abbia a che vedere anche con il nero. È da dimostrare che i lavori siano stati fatti a fattura.
  Questa iniziativa del Ministro Lupi, se va in questa direzione, è un'iniziativa interessante. Lui ci ha detto che ci dovrebbe essere questo fondo da destinare a coloro che non hanno le risorse per mettere in ordine la loro casa.
  Il resto è un problema di cultura generale e di cultura politica. Noi abbiamo passato mesi ad azzannarci sull'IMU, ma i consumi energetici delle case italiane sono più di dieci volte l'IMU. Noi spendiamo in energia 45 miliardi di euro e la manovra sull'IMU sulla prima casa era di 4 miliardi di euro. In media sulla prima casa abbiamo pagato nel 2012 235 euro. Fra una casa costruita bene e una costruita male passa una bolletta almeno di 1.500 euro. È chiaro che c’è un problema anche di cambiamento di ottica.
  Un dato interessante – se non ce l'avete, ve lo facciamo avere noi – è che a consuntivo, l'anno scorso, l'azione sul credito d'imposta e sull’ecobonus, secondo i dati Cresme e Servizio studi della Camera raccolti per conto della Commissione, ha prodotto 19 miliardi di euro di investimenti. Secondo i dati del Cresme, fra diretto e indotto, sono nati 280.000 posti di lavoro, in buona parte vostri, ossia nei settori di vostro interesse. Se si riuscisse a comunicare e a difendere meglio questi risultati, sarebbe una linea, come diceva lei, di politica economica.

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  ANGELO ARTALE, Direttore generale di F.IN.CO. Scusi, presidente, ma l'occasione è ghiotta per dire due cose semplici e brevissime.
  Noi conosciamo benissimo, e lo condividiamo, l'impegno sulla stabilizzazione suo e di tutta la Commissione. Per quanto riguarda, però, il documento bipartisan che lei ha redatto con Capezzone, contiene il riferimento alla legge 69 e non alla legge n. 90, ragion per cui, facendo riferimento al decreto legge, vengono messe fuori le schermature solari.
  Viene fatto riferimento al decreto legge e poi in sede di conversione è scritto che la legge dovrà prevedere determinate disposizioni. Poiché la risoluzione fa riferimento al decreto legge e non alla legge, il riferimento è sparito. Quando sono andato dal ragioniere dello Stato, dott. Franco, abbiamo visto questo.

  PRESIDENTE. La risoluzione non è una legge, però. È più forte il testo in sede di conversione.

  ANGELO ARTALE, Direttore generale di F.IN.CO. Tuttavia, è un indirizzo politico forte. Comunque, lei adesso ne è consapevole.
  La seconda questione, che è apparentemente eccentrica, ma è importantissima – lei l'ha già affrontata – è quella dell'edilizia scolastica. Si apre una partita di 4,5 miliardi di euro sull'edilizia scolastica e sulla riqualificazione energetica e sismica delle case ex IACP. Se non passa l'articolo 12-bis, ora 13, tutta questa roba va in opee generali. È inutile, quindi, parlare di specializzazione e di puntualizzazione degli interventi. Vanno tutti alle opere generali. Questo deve essere chiaro.

  PRESIDENTE. Mi spieghi meglio.

  ANGELO ARTALE, Direttore generale di F.IN.CO. Lei sa che le dieci grandi imprese italiane, tra cui Impregilo, hanno fatto un ricorso al Consiglio di Stato. Poiché la legge prevede che il parere abbia un effetto vincolante, il Presidente della Repubblica l'ha recepito con il decreto del Presidente della Repubblica del 30 ottobre scorso. In base a questo decreto del Presidente della Repubblica praticamente tutte le opere vengono bandite in OG, ossia come opere generali. È un ricorso che ha fatto l'AGI, in parte spalleggiato anche dall'ANCE.
  Questa situazione provoca la conseguenza, che, se il Governo non avesse provato a introdurre, come hanno provato a fare Lupi e i suoi uffici, una norma tampone, tutte le opere verrebbero bandite in OG. Se si rifà una scuola dal punto di vista sismico-energetico, lo fa un'impresa generale, che poi subappalta tutto.
  Se questo Paese, presidente – lo voglio dire senza timore di essere smentito – non è un Paese di subappaltatori in buona parte lo si deve a F.IN.CO, che ogni volta si oppone. L'Abruzzo ? Facciamo presto: togliamo il limite al subappalto. C’è il Piano carcere. Abbiamo fretta ? Togliamo il limite al subappalto. C’è il Piano scolastico ? Abbiamo fretta ? Togliamo il limite al subappalto.
  Poi, però, quando facciamo i convegni, siamo tutti buoni. No, non siamo tutti buoni. Le case efficientemente inefficienti qualcuno le ha costruite e non siamo noi, perché lei ha detto giustamente che noi siamo i costruttori di impianti e servizi materiali. Le case non le facciamo noi.
  Detto questo, se questa norma, che per ben due volte il Consiglio dei ministri ha approvato, passa, succederà questo. Il 12 marzo scorso è entrato in vigore il Piano d'emergenza abitativa e del mercato degli appalti. La volta prima era stato addirittura bollinato. Il Quirinale ha ripreso la questione, ha tolto la bollinatura, ha cambiato e ha rimosso la norma che riguarda gli appalti. Il 12 marzo era stato introdotto un articolo 12-bis, che è stato poi espunto.
  Sulla norma complessiva, come sapete, c’è un problema, a quanto pare, di copertura finanziaria, che riguarda, per esempio, anche il bonus mobili, giustamente, secondo noi, perché ci sono misure ben più urgenti di quella. Se questa norma non passa, cioè se non passa il fatto che ci sia un periodo transitorio nel quale gli appalti possono essere banditi con le OS, abbiamo Pag. 32poco da dire che venga premiata la specializzazione. I sindaci indicheranno al premier la scuola che dovrà essere efficientata e questa sarà messa in appalto con un'OG, ossia un'impresa generale, la quale chiamerà in subappalto quelli che poi ci lavoreranno.
  Questo punto deve essere ben chiaro. Purtroppo, è una materia tecnica.

  PRESIDENTE. Attendo un appunto esaustivo in materia.
  Ringraziando i rappresentanti di F.IN.CO, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di COBASE (Associazione tecnico-scientifica di base).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di COBASE (Associazione tecnico-scientifica di base).
  Come sapete, noi stiamo portando avanti un'indagine conoscitiva sulla green economy in sede congiunta tra Commissione Ambiente e territorio e Commissione attività produttive della Camera. Abbiamo sentito molti soggetti. Questa è l'ultima serie di audizioni di soggetti economici. Poi sentiremo alcuni soggetti istituzionali.
  Voi avete già mandato del materiale, che verrà distribuito a tutti i colleghi. Abbiamo tempo fino alle 12.50. Se riuscite in dieci minuti ad illustrare i punti che, secondo voi, sono i più importanti, avremo poi uno spazio per interloquire con domande e risposte.

  MASSIMO PIERI, Presidente di COBASE. Buongiorno. Innanzitutto desidero ringraziarla per la possibilità di essere auditi dalle Commissioni al fine di fornire un contributo alla migliore definizione critica della cosiddetta green economy.
  Prima di entrare nel merito dell'audizione va specificato che la COBASE (Associazione tecnico-scientifica di base) è un'organizzazione indipendente, scientifica e di ricerca senza fine di lucro costituita da ricercatori e professionisti. È un major group con il Dipartimento per lo sviluppo sostenibile nel settore Scientific and Technological Community delle Nazioni Unite, gode dello status consultivo speciale con il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite e partecipa all'attività del Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice delle Convenzioni sull'ambiente di Rio.
  La COBASE è stata nominata delegata di numerose delegazioni del Governo italiano in lavori e conferenze dell'ONU e dell'Unione europea e ha partecipato in qualità di membro effettivo al Selection Panel della Convenzione per combattere la desertificazione, alla Commissione intergovernativa ambiente globale, al Comitato nazionale per la Giornata mondiale dell'alimentazione. Ha, inoltre, partecipato in qualità di delegato alle Conferenze di Rio su ambiente e sviluppo del 1992 e del 2012.
  Prima di tutto è necessario, secondo noi, fare un'osservazione: poiché l'economia può essere vista come lo studio delle trasformazioni di materia ed energia realizzate dall'attività umana e il risultato di qualsiasi processo economico è legato strettamente ai costi che derivano da ogni spreco e dissipazione, da questa osservazione deriva che i processi economici sono vitali.
  Rispetto a questo aspetto, ossia che i processi economici sono vitali e irreversibili e che sembrano limitarsi a trasformare le risorse naturali in scarti, in realtà noi sappiamo che non è così. Apparentemente, se si analizza il problema solo dal punto di vista della trasformazione della materia, sembra così, ma in mezzo c’è il fatto che quest'attività produce benessere e servizi che sviluppano la necessità.
  Su questa situazione, che poi è entrata in crisi dal punto di vista sia ambientale, sia economico, sia finanziario, si è creata una visione retorica, secondo la quale l'uomo è signore e padrone del suo ambiente, viviamo in un pianeta dalle risorse infinite e il mercato e la tecnologia creeranno sempre valide alternative.Pag. 33
  Invece, la visione corretta dovrebbe essere che esiste scarsità di risorse in termini assoluti, che è impossibile ottenere nel lungo periodo processi economici stazionari riproducibili indefinitamente in cicli che lascino inalterati tutti i fattori che intervengono nel processo e che è impossibile evitare il rilascio nell'ambiente di rifiuti.
  Nonostante i rifiuti siano un prodotto del processo economico, non sono, però, considerati nell'economia standard. Il problema che deriva dai rifiuti, cioè il problema dell'inquinamento, viene considerato secondario nell'analisi dell'economia neoclassica, perché quella che abbiamo descritto è l'economia neoclassica. Essa basa il suo concetto analitico sul concetto di abbondanza delle risorse, oppure della loro scarsità relativa, utilizzando solo le informazioni del mercato.
  Se, invece, noi consideriamo l'economia come un processo irreversibile e le risorse come comunque scarse, siamo in un sistema entropico, che altera, nel corso del tempo, la disponibilità e le possibilità effettive di sviluppo. Vedete un esempio di entropia. L'entropia è una misura della capacità di un sistema anche economico di funzionare e di compiere del lavoro.
  Da tutto questo deriva il fatto che l'economia neoclassica è un'economia statica, in cui esiste la possibilità di riprodurre i processi e di trovare costantemente l'equilibrio attraverso la variazione delle tre variabili fondamentali, capitale, lavoro e risorse. Noi introduciamo, invece, il concetto di bioeconomia, che si contrappone anche a quello di economia verde, in cui gli elementi essenziali sono la dinamicità, la diversità, l'asimmetria e la considerazione che i processi non sono ciclici.
  Da ciò si può fare una considerazione per cui la crescita della ricchezza materiale, misurata secondo indicatori monetari e finanziari, può avvenire a danno della qualità della vita e sottovalutando le reazioni degli esclusi, i quali, a loro volta, non vengono considerati a livello economico nell'economia neoclassica. Si va, quindi, incontro, in questa situazione di crisi, a una crisi dei diritti in generale e a un'esclusione sociale.
  La bioeconomia è un'economia che, invece di far dipendere da sé le risorse, considerandole infinite, rovescia questo rapporto e dipende dalle risorse. Nella bioeconomia ciò che comanda è la disponibilità delle risorse, che determina situazioni che hanno poi articolazioni locali specifiche. Al contrario, l'economia neoclassica, quella attuale, non riconosce la crisi e continua a pensare come se le risorse fossero infinite e come se fosse possibile, con degli accorgimenti o degli accomodamenti, oppure invocando la crescita, trovare di nuovo l'equilibrio, cioè ritornare alla situazione precedente.
  Secondo noi, questa situazione non è possibile, e certamente non è possibile che sia chi ha provocato la crisi lo stesso che la può risolvere. In questo contesto, secondo noi, si inserisce erroneamente il concetto di economia verde. L'economia verde viene presentata come un insieme di attività volte genericamente a salvaguardare l'ambiente e a produrre nuovi livelli di occupazione.
  Esiste una profonda discriminante di natura tecnico-scientifica per distinguere le attività economiche che possono far parte dell'economia verde e quelle che, prendendo spunto da un approccio bioeconomico fondato sui rendimenti del sistema, sono da considerarsi operazioni di pura cosmesi, se non vere e proprie mistificazioni.

  PRESIDENTE. Noi non abbiamo bisogno di un inquadramento generale del tema. Ci interessa se avete delle proposte di merito.

  MASSIMO PIERI, Presidente di COBASE. Sì, ma, essendo la nostra una posizione critica verso l'economia verde...

  PRESIDENTE. Questo si è capito, però, poiché questa è un'indagine conoscitiva, noi non stiamo definendo i princìpi dell'universo. Se voi avete delle proposte Pag. 34pratiche da inserire nell'ambito del documento conclusivo dell'indagine, saremmo lieti di ascoltarle.

  MASSIMO PIERI, Presidente di COBASE. Benissimo. Comunque, ci interessa mettere in evidenza il fatto che la caratteristica critica particolare dell'economia verde è la mancanza di efficienza. In particolare, questo si vede nelle ipotesi di utilizzo dell'energia rinnovabile laddove l'efficienza è praticamente infinitesima e, quindi, nasconde altri meccanismi di ben altra portata, come noi abbiamo evidenziato.
  Per quanto riguarda le proposte in questa critica che noi abbiamo mosso alla green economy anche rispetto allo sviluppo sostenibile, come si è visto nella Conferenza di Rio, noi proponiamo alcuni punti, seguendo le indicazioni del presidente.
  Per quanto riguarda l'energia, proponiamo una scheda, un insieme di iniziative diverse da quelle che sono state proposte fino adesso, in base alle quali si devono ridurre i consumi di energia. «Ridurre i consumi» è un'espressione generica, che deve essere, invece, verificata nelle varie situazioni, con certificazione.
  Proponiamo, inoltre, di aumentare l'efficienza energetica nell'industria, nell'agricoltura, nelle abitazioni e nei trasporti; migliorare le prestazioni energetiche e ambientali delle centrali termoelettriche e idroelettriche esistenti; migliorare le prestazioni energetiche ambientali di tutti i combustibili disponibili per almeno trent'anni; consentire la costruzione di nuove centrali solo di piccola taglia e solo per uso locale, previo consenso partecipato dei cittadini coinvolti; sviluppare la cogenerazione di elettricità e calore; sviluppare il teleriscaldamento e il teleraffreddamento; sviluppare la ricerca su idrogeno e fusione fredda e sulle tecnologie di trasferimento dell'energia; consentire l'uso delle energie rinnovabili – questo è il punto per noi interessante e qualificante – solo se si garantisce un rendimento netto certificato non inferiore al 40 per cento per trent'anni, previa analisi del rischio ambientale.
  Questo vuol dire che le tecnologie che sono state immesse sul mercato, lo ribadisco, non erano e non sono mature per il mercato, in quanto il rendimento di tali tecnologie è infinitesimo. Esse non hanno alcun impatto né sulla problematica energetica, né sulla problematica ambientale.
  Peraltro, faccio presente, correndo il rischio di ricadere in valutazioni tecniche, che la produzione di silicio, per esempio, implica la produzione di CO2. Basta andare a vedere le reazioni chimiche che avvengono. Pertanto, se, da una parte, si gabella questa proposta per abbattere la CO2, dall'altra, in realtà, la produzione di silicio industriale per la costruzione di dispositivi genera CO2. Inoltre, i rendimenti di questi dispositivi sono intorno al 6 per cento, praticamente nulli, e non viene garantita alcuna prospettiva per il futuro rispetto ai rendimenti.
  Questo aspetto riguarda tutte le energie cosiddette rinnovabili. Peraltro, bisogna vedere cosa si intende per energie rinnovabili, se si intendono le energie o i dispositivi per produrre le energie, i quali sono composti da materiali che non sono rinnovabili.
  Vi è, inoltre, il ciclo produttivo interrotto. Perché viene interrotto ? Perché non esistono fabbriche a energia alternativa che producano dispositivi a energia alternativa. In sostanza, si usa l'energia tradizionale proveniente dalle centrali termoelettriche per produrre dispositivi che hanno un rendimento molto più basso delle centrali termoelettriche che sono state utilizzate.
  Con riferimento agli incentivi, si ravvede la questione che coloro che pagano l'energia tradizionale hanno dovuto pagare molto di più per finanziare gli incentivi per la costruzione di dispositivi a energia rinnovabile, che influisce nel bilancio globale dell'energia mondiale per l'1,8 per cento, cioè quasi per nulla, per effettuare, in sostanza, un trasferimento di denaro qualificato dai poveri ai ricchi.
  Le proposte che noi formuliamo sono varie, ma ci stiamo limitando a questo aspetto e al discorso della città. Avanziamo una proposta sulle città che riguarderà Pag. 35in breve tempo il 70 per cento della popolazione mondiale: la città elettrica. Si tratta di progettare insediamenti umani che imitino gli ecosistemi naturali, che permetteranno, con lo sviluppo dell'asimmetria delle strutture e degli agglomerati urbani, nonché dell'agricoltura tradizionale locale, di ripristinare l'equilibrio di sistemi urbani critici.
  Nella città sarà consentito solo l'uso di energia elettrica, che è la produzione di più alta efficienza realizzata dall'uomo. L'energia viene prodotta fuori dalla città con la cogenerazione e trasportata nella città con il teleriscaldamento e il teleraffreddamento. Noi abbiamo già eseguito progetti, per esempio, sul teleriscaldamento tra Civitavecchia e Roma. Sono progetti di massima, naturalmente.
  L'energia entra nella città solo sotto forma di elettricità, di calore e di freddo, dopo che è stata trasformata. Nella città non sarà consentita alcuna combustione. Le attività produttive ad alto impatto ambientale ed energetico saranno fuori dalla città, mentre saranno consentite attività produttive di piccole dimensioni e a basso impatto ambientale ed energetico.
  I rifiuti industriali dovranno essere abbattuti dai produttori. Saranno consentite attività commerciali e servizi a basso impatto ambientale e ad alta efficienza energetica, certificati.
  Sarà incentivato l'uso dei mezzi pubblici elettrici ad alto rendimento energetico e sociale. Si dovrà ridurre, fino a esaurirsi, l'uso di batterie (questo anche per quanto riguarda le proposte di auto elettriche), nel senso che l'elettricità deve essere utilizzata direttamente, secondo noi, con i mezzi tecnici che sono a disposizione.
  Agricoltura e biodiversità potranno penetrare nella città. Si tratta, quindi, di sviluppare la tendenza, che è già in atto, di non separare più l'agricoltura dalla biodiversità e di permettere all'agricoltura e alla biodiversità di rientrare nelle città con l'uso degli orti sociali e delle serre e con la realizzazione di parchi agro-ecologici.
  I rifiuti saranno trattati in centrali fuori della città, con cicli sostenibili localmente e ad alta efficienza energetica e ambientale. Imballaggi e rifiuti dovranno essere ridotti e comunque riciclabili e biodegradabili. Incentivi e facilitazioni fiscali potranno essere concessi ai produttori virtuosi di merci.
  Noi, inoltre, proponiamo la realizzazione di parchi agro-ecologici. Si tratta di progettare insediamenti che permettano, con lo sviluppo dell'agricoltura locale tradizionale, di ripristinare l'equilibrio di sistemi degradati e non per definire nuove aree di sviluppo e programmi economici. Prevediamo un progetto per l'utilizzo di prodotti e beni nel settore agricolo, alimentare, conserviero, chimico, energetico e altri per garantire sicurezza e generare reddito attraverso programmi di produzione innovativi.
  Per quanto riguarda i parchi agro-ecologici, vale lo stesso discorso che ho sviluppato per le città: si tratta di rideterminare intorno alle città situazioni agricole strettamente collegate, che abbiano la caratteristica di realizzare prodotti qualificati, tradizionali e locali e di garantire la salvaguardia della biodiversità locale (piante e animali) di fronte alla prospettiva che si determini un'appropriazione globale di cibi globali, a basso costo, che verranno distribuiti nelle situazioni generali.
  Ci sarebbero altre proposte, ma per ora mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Se non ci sono domande da porre, ringraziamo i rappresentanti di COBASE.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANIDA (Associazione nazionale imprese difesa ambiente).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva green economy, l'audizione di rappresentanti di ANIDA (Associazione nazionale imprese difesa ambiente).Pag. 36
  Buongiorno. Ringrazio il dottor Ferrante, che è venuto qui a nome di ANIDA. Come lei sa, noi stiamo conducendo un'indagine conoscitiva congiuntamente da parte delle due Commissioni Ambiente e Attività produttive sulla green economy. È arrivato del parte del vostro materiale che è agli atti delle commissioni. L'indagine è a trecentosessanta gradi su tutti i settori produttivi, dai più hard fino ai più innovativi e di tendenza.
  Le chiediamo di esprimerci il suo punto di vista. La soluzione più efficace sarebbe se lei riuscisse a rimanere entro un quarto d'ora al massimo, in maniera tale che poi, se ci fossero questioni da porre da parte dei colleghi, possa rispondere.

  FRANCESCO FERRANTE, Direttore generale di ANIDA. Grazie per questa audizione. Permettete una brevissima presentazione, per chi non ci conosce.
  ANIDA è un'associazione nazionale di categoria delle imprese di difesa dell'ambiente e associa tre gruppi di imprese: le imprese di gestione dei servizi ambientali, le imprese che costruiscono e gestiscono impianti di trattamento, recupero e smaltimento di rifiuti e le imprese che costruiscono e gestiscono impianti tecnologici per il ciclo integrato delle acque.
  Mi sembra superfluo sottolineare che vi è uno stretto collegamento tra le imprese di difesa dell'ambiente e la green economy. Le imprese di difesa dell'ambiente nascono appunto per difendere l'ambiente, ma producono degli impatti ambientali. Noi osiamo qualificarci come industria dell'ambiente, cioè un'industria manifatturiera che utilizza i residui e i rifiuti come materia prima, trasformandoli in prodotti che poi vengono collocati sul mercato. Come tutte le imprese manifatturiere, anche queste hanno ovviamente problemi riguardanti lo smaltimento dei loro residui produttivi.
  Queste imprese hanno tutti i requisiti di qualità e di correttezza gestionale. Hanno certificazioni ambientali, iscrizioni negli albi, come quello dei gestori ambientali, e nelle categorie generali e speciali dei costruttori, hanno modelli organizzativi basati sulla responsabilità degli amministratori e sono favorevoli – ci teniamo a dirlo oggi – alle nuove norme sui reati ambientali, che, grazie a questa Commissione, la Camera ha approvato e che adesso sono al Senato.
  Queste norme penali, lo ripeto, noi le rispettiamo e le vogliamo, perché in questo settore c’è gente che non rispetta né l'etica dell'attività, né le norme. Ci vogliono, però, anche delle misure di sostegno e di sviluppo di questo settore e, quindi, abbiamo apprezzato molto l'indagine conoscitiva.
  Noi riteniamo che la green economy, la quale, come ho detto, ci lega strettamente, ci permette di fornire dei suggerimenti, delle politiche fiscali e delle agevolazioni a queste aziende. In cinque minuti cogliamo l'occasione dell'audizione per fare alcune brevissime considerazioni sulla normativa dei rifiuti e sulle bonifiche, perché questa è la Commissione parlamentare di competenza e tenendo conto anche della risposta che il Ministero dell'ambiente ha dato in questi giorni in Commissione ambiente alla risoluzione Pellegrino.
  La prima considerazione è che non esiste una società a rifiuti zero: rifiuti ve ne sono e ve ne saranno sempre, ma bisogna intervenire per produrne di meno, soprattutto dal punto di vista tecnologico.
  Quanto allo smaltimento in discarica, la nostra associazione è contraria. È ovvio che questo procedimento doveva partire. È ovvio nel senso che parlo in una Commissione che, tra l'altro, ha discusso anche l'ultima proroga per quanto riguarda le discariche. Portare i rifiuti in discarica per noi, però, è un danno, ragion per cui chiediamo che non venga più ripresentata – questo lo diciamo ogni anno, purtroppo, ma invano – una proroga relativa alle discariche. Addirittura siamo favorevoli acché il Parlamento introduca penalità addizionali economiche per rendere non conveniente portare i rifiuti in discarica.
  Per noi l'aspetto prevalente per gestire i rifiuti è la termovalorizzazione, nel rispetto dei limiti più severi alle emissioni che esistono in Europa. Rileviamo, infatti, che la normativa sui rifiuti ha bisogno ancora di qualche ritocco.Pag. 37
  Per quanto riguarda – permettete solo una considerazione – la questione SISTRI, è diventata ormai un'incredibile odissea burocratica. Noi partecipiamo alle riunioni del Ministero dell'ambiente e devo dire che questa del SISTRI è una questione che sta tormentando un po’ tutti.
  Un'altra considerazione vorrei farla sulle bonifiche. Faccio questa considerazione perché sempre questa Commissione è intervenuta recentemente sulle bonifiche di interesse nazionale. Noi riteniamo che l'impostazione che è stata trovata nel decreto «Destinazione Italia» per le bonifiche, con gli accordi di programma, possa essere estesa, con alcune modifiche parlamentari di carattere giuridico, ovviamente, anche ad aree private. Questo perché la normativa sulle procedure semplificate, per quanto riguarda l'utilizzo da parte delle imprese private delle aree da bonificare e poi reindustrializzare, è stata ritenuta improcedibile nel corso della discussione sullo stesso decreto «Destinazione Italia».
  L'ultima considerazione riguarda il disegno di legge C. 2023. Facciamo questa considerazione perché è stata presentato in questi giorni il cosiddetto collegato ambientale alla legge di stabilità per il 2014. Noi riteniamo che il collegato ambientale contenga alcuni spunti importanti e favorevoli per lo sviluppo della categoria. Cito soltanto gli incentivi per gli appalti pubblici per le imprese che hanno registrazione EMAS ed Ecolabel.
  Sottolineo ancora la moratoria per quanto riguarda gli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti. Noi speriamo che la moratoria avvenga nel più breve tempo possibile, in modo che si possa riprendere lo sviluppo di questi impianti, perché, come ha sottolineato il Ministero dello sviluppo economico in relazione alla risoluzione Pellegrino, la termovalorizzazione rappresenta una parte significativa per lo smaltimento dei rifiuti.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Pur avendo un approccio totalmente diverso al concetto della termovalorizzazione – per me si tratta di inceneritori – io credo che la valorizzazione energetica del rifiuto non sia il destino finale dello stesso. All'inizio lei ha parlato di raccolta differenziata e di riduzione degli imballaggi, ma io temo che spesso queste due realtà non vadano a braccetto. Nel momento in cui, infatti, io ho una raccolta differenziata, dovrei essere sicuro anche della filiera, che è la stessa.
  Mi spiego meglio: per la raccolta differenziata della plastica si evince spesso che una quota parte venga comunque destinata a incenerimento. Io vorrei che iniziassimo veramente a parlare di recupero dei materiali, non soltanto ai fini delle percentuali del servizio di raccolta, ma dell'utilizzo finale della materia. Fatta 100 la materia raccolta, vorrei capire, se possibile, quanto effettivamente venga poi, per esempio parlando delle plastiche, ricollocato sul mercato come plastica riciclata.

  FRANCESCO FERRANTE, Direttore generale di ANIDA. La ringrazio. Io ho citato la plastica come un materiale qualsiasi. Noi non rappresentiamo, né associamo le aziende che lavorano in questo settore.
  Per quanto riguarda l'incenerimento, le devo dire che noi rispettiamo le direttive comunitarie sui rifiuti e la politica italiana sui rifiuti. Dove ? Quale ? La gerarchia dei rifiuti. Ben venga il rispetto dei princìpi della gerarchia dei rifiuti. Il recupero energetico non è il primo step della gerarchia, ma il penultimo. Noi ci accontentiamo del penultimo step, ma chiediamo che, come avviene negli altri Paesi, ci sia consentito di incrementare l'attività degli inceneritori.
  Non ho parlato di incentivo, questo lo dice lei. Ho detto che la moratoria nel collegato ambientale è stata indicata come momento di riflessione perché la crisi nella produzione dei rifiuti è evidente a tutti. Cerchiamo, quindi, di analizzare bene l'apporto dell'incenerimento nel discorso del recupero e del riciclo. Ben Pag. 38venga la moratoria, ma è evidente che l'incenerimento non può essere cancellato nel nostro Paese.

  PRESIDENTE. Grazie. Se ha dell'altro materiale da consegnaci, lo metteremo in distribuzione. In un mese e mezzo o due circa, vorremmo approvare il nostro documento conclusivo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Fater Spa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Fater Spa.

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Buongiorno e grazie innanzitutto per averci concesso questo tempo per poter presentare il progetto all'interno della green economy della nostra azienda. Spendo soltanto dieci secondi e due parole su Fater Spa.
  Fater Spa è un'azienda nata nel 1958 dal Gruppo farmaceutico Angelini, che poi, nel 1992, è diventata una joint-venture, 50 per cento del Gruppo Angelini e 50 per cento di Procter & Gamble. Vorrei sottolineare che è una joint-venture tra un gruppo italiano e un gruppo multinazionale, ma in realtà è un'azienda profondamente italiana, perché ha la sede direzionale in Italia, a Pescara, il management italiano e l'azienda è italiana in tutte le fasi decisionali.
  La Fater è un'azienda che conta poco più di mille dipendenti, ha un fatturato di poco oltre un miliardo di euro ed è concentrata fondamentalmente nel business della carta: pannolini, prodotti femminili di assorbenza, pannoloni. Recentemente ci siamo estesi acquisendo il business della pulizia della casa. Ci siamo estesi anche geograficamente, perché siamo usciti dall'Italia e siamo andati in quello che si chiama il CEEMEA (Central & Eastern Europe, Middle East and Africa).
  Fatta questa veloce presentazione, sono qui per parlare di un progetto che abbiamo iniziato in Fater ormai tre anni fa e che riguarda fondamentalmente l'aspetto del riciclo dei pannolini post-uso. La Fater è sempre stata impegnata nella sostenibilità, ormai da tanto tempo. Abbiamo fatto moltissimi progressi nel risparmio delle risorse. Abbiamo ottenuto alcuni interessanti risultati negli anni nell'ambito del risparmio energetico e dei materiali, nella logistica e nei rifiuti.
  In particolare, abbiamo ridotto in modo significativo il peso dei nostri prodotti, il 19 per cento dei pannoloni e quasi la metà dei pannolini. Abbiamo ridotto in modo importante anche il packaging e i consumi di energia e, nonostante l'aumento di volume prodotto, non abbiamo praticamente rifiuti industriali e sulla logistica, attraverso i miglioramenti continui. Siamo riusciti, inoltre, a ridurre di alcune migliaia i camion circolanti grazie a un'ottimizzazione dell'uso della volumetria dei camion stessi.
  Un'area cui ci siamo dedicati negli ultimi anni nell'ambito della sostenibilità è il ciclo finale di vita dei nostri prodotti. Abbiamo fatto un ottimo lavoro, un lavoro importante, su tutto quello che riguarda l'approvvigionamento e l'uso dei materiali e dell'energia. Lavorando in Italia ed essendo un'azienda italiana, vogliamo affrontare il problema dei rifiuti dei nostri prodotti, perché questo potrebbe dare un piccolo aiuto al nostro Paese e, secondo me, anche alla Fater. Io penso, infatti, che la sostenibilità non sia solo una cosa che bisogna curare per legge o perché si risparmia, ma anche perché diventa un evento importante di presentazione dell'azienda presso i consumatori e i clienti.
  Abbiamo, dunque, affrontato questo tema, che abbiamo intitolato: «Come possiamo riciclare i nostri prodotti, una volta utilizzati». La questione, secondo me, interessante è che abbiamo studiato il sistema di riciclo dall'inizio alla fine, dal processo di collezionamento del rifiuto al momento di produzione delle materie prime, utilizzando una tecnologia brevettata da Fater. Vi mostro un velocissimo video che mostra come funziona la macchina.Pag. 39
  Fondamentalmente, il ciclo parte dal pannolino usato, che viene raccolto attraverso contenitori specifici. Una volta raccolto, viene messo in un'autoclave che ne permette la sanitizzazione e la pulizia e, quindi, fa sì che togliamo tutti gli elementi patogeni. Questo processo viene fatto attraverso il vapore sviluppato nell'autoclave e l'umidità dei pannolini, senza usare agenti chimici di sorta.
  Dopodiché, i pannolini sono asciutti e vengono inseriti in un separatore, in un trommel di separazione, che separa la plastica dalla parte cellulosica. La cellulosa viene poi utilizzata attualmente dalle cartiere per farne imballaggi da cellulosa riciclata e la plastica viene resa in pellet. Da questi pellet si possono trarre oggetti. Nelle slide vedete alcuni esempi, per esempio, di arredo urbano che noi abbiamo realizzato e che abbiamo donato ad alcuni comuni. C’è una grande attività che facciamo sulla plastica, perché ovviamente la plastica, come materia prima seconda, è un enorme valore.
  Questo è il processo, a grandissime linee. La validazione del processo è stata fatta in modo piuttosto robusto. Noi abbiamo testato quest'autoclave, costruita negli Stati Uniti e abbiamo fatto tutte le prove lì, ma con i pannolini italiani, perché volevamo essere sicuri che l'entrata fosse effettivamente legata alla situazione italiana.
  Abbiamo, quindi, effettuato delle prove fino a 500 chilogrammi e abbiamo verificato che effettivamente possiamo eliminare il 100 per cento degli agenti patogeni. Abbiamo avuto un alto livello di separazione, di oltre il 95 per cento. La cosa importante è che uno dei vantaggi competitivi della nostra tecnologia è che la temperatura usata durante tutto il processo fa sì che la materia prima seconda sia una materia prima seconda commerciabile.
In realtà, proprio perché la materia prima seconda ha delle forbici di vendita molto ampie – per esempio, la plastica ha delle forbici di vendita che vanno dai 200 ai 600 euro a tonnellata – quanto più riusciamo a ricavare oggetti e modi di utilizzo della plastica che sono «di maggiore valore aggiunto», tanto più riusciamo a vendere la plastica al limite massimo dei 600 euro.
  Abbiamo, inoltre notato che, essendo la plastica dei pannolini una plastica di alta qualità, le performance della plastica come materia prima seconda sono molto elevate, al punto che si possono utilizzare le plastiche riciclate proprio come sfoglia, ossia come materiali estremamente sottili e, quindi, di alto valore aggiunto.
  Ovviamente, ci siamo fatti aiutare da molte persone esperte, compresa Ambiente Italia, tra gli altri soggetti, per validare l'impatto ambientale di tutto il processo. Abbiamo utilizzato il cosiddetto LCA (Life Cycle Assessment), che, come ben sapete, studia il ciclo di vita e l'impatto, il carbon footprint, del processo.
  Lo scenario di raccolta differenziata e di riciclo mostra come il bilancio di CO2 per tonnellata sia un bilancio negativo. Si tratta, quindi, di un processo che non aggiunge CO2 al sistema e che ha un footprint negativo. Particolarmente, se lo compariamo con la raccolta indifferenziata e con lo smaltimento, laddove c’è, invece, un bilancio di chili per tonnellata di CO2 di 375, ne deriva un vantaggio molto importante.
  Dicevo all'inizio che noi questa questione l'abbiamo veramente lavorata a trecentosessanta gradi. Non abbiamo fatto un progetto soltanto di Fater, abbiamo lavorato anche con i comuni, con gli esperti, con le persone che direttamente lavoravano sul territorio e con i comuni abbiamo studiato un sistema. Il nostro sogno è che questo sistema faccia vincere tutti: i comuni, perché alla fine spendono meno per il conferimento, i cittadini, perché pensiamo che questo possa essere l'elemento prodromico di un eventuale controllo della spesa per quanto concerne la tassa dei rifiuti, gli operatori, perché gli operatori possono ovviamente beneficiare non soltanto dei ricavi generati dal costo di conferimento, ma anche dei ricavi generali della vendita della materia prima seconda.
  Ne ha un vantaggio anche Fater. Non vi nascondo che il fatto di essere un po’ gli sponsor e anche coloro che spingono questo Pag. 40progetto ci avvantaggia. Io penso che, se lo andiamo a comunicare alle nostre persone e alle nostre consumatrici, non dispiaccia.
  C’è anche un discorso legato al sistema economico. Noi siamo un'azienda profondamente italiana. Vorrei poi commentare un po’ di più questo aspetto, perché penso che questa possa essere una buona opportunità di crescita sia di impiego, sia, soprattutto, di distretto – eventualmente commenterò su questo aspetto, perché ci tengo particolarmente – sia, ovviamente, per l'ambiente. Stiamo parlando del 2-3 per cento dei rifiuti urbani. Non sembrano tanti in percentuale, ma io faccio questo di mestiere e non vorrei, francamente, essere parte del problema, ma della soluzione.
  Quali sono i vantaggi per i comuni ? Il costo dei comuni, ovviamente semplificato, va inteso come tassa regionale, costo di conferimento e costo di raccolta indifferenziata. Ovviamente, i range cambiano da comune a comune, in base alla situazione che si incontra.
  Innanzitutto, questo tipo di attività, nel momento in cui il pannolino viene riciclato, permette ai comuni di evitare la tassa regionale per l'utilizzo della discarica. Questo non esclude poi il fatto che l'operatore, avendo dei vantaggi dalla vendita delle materie prime, possa anche abbassare il costo di conferimento, ma questo qui non è considerato.
  La nostra idea è, dunque, questa e può essere una vittoria per i comuni e per l'operatore. Francamente, noi riconosciamo che chiunque entri in questo business deve avere anche un ritorno, generato, più che dai costi di conferimento, dalla vendita delle materie prime seconde. Noi stiamo molto lavorando su questo aspetto. Commento rapidamente sul fatto che noi abbiamo una macchina di riciclo di pannolini sperimentale a Caserta, dove lavoriamo con l'università per studiare modi per fare materia prima seconda sempre più pregiata.
  L'altra questione è la fattibilità. Devo dire che già oggi sono oltre 500 i comuni italiani che fanno la raccolta differenziata dei pannolini, non solo perché noi possiamo riciclarli, ma anche perché molto spesso questo diventa un elemento fondamentale per la raccolta porta a porta, ossia per permettere alle persone che tengono questo tipo di rifiuto, che genera un po’ di odore, di poter partecipare alla raccolta porta a porta. Questo succede già.
  Noi vogliamo anche lavorare su questo sistema di raccolta che già esiste. Noi adesso abbiamo un accordo in Veneto. Porteremo lì una macchina di circa 8.000 tonnellate, per un parco utenti di circa mezzo milione di persone, non indifferente.

  PRESIDENTE. In quale area del Veneto ?

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Contarina. Stiamo parlando della provincia di Treviso.

  PRESIDENTE. Che è quella più avanzata d'Italia, dal punto di vista della raccolta differenziata.

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Esattamente. I brevetti sono nostri, sono di Fater.
  Un aspetto importante è che noi continuiamo la ricerca per la valorizzazione della materia prima seconda. Oltre alla macchina che va in Veneto, abbiamo quella che io chiamo la «macchina giocattolo» da 500 tonnellate, che avevamo negli Stati Uniti e che abbiamo portato in Italia. L'abbiamo messa a Caserta, dove, insieme ad AMBRA, all'università Federico II e al CNR, stiamo facendo uno studio per la valorizzazione soprattutto della parte cellulosica.
  Attualmente, noi pensiamo che le plastiche possano vendersi nella fascia alta dell'intervallo di prezzo, vicino ai 600 euro. La parte cellulosica, invece, è attualmente venduta alle cartiere, onestamente, per quattro soldi. Quanto più viene valorizzata, tanto più possiamo garantire agli operatori un vantaggio economico.
  Ci troviamo adesso nella fase del business plan. Parlavo prima di quanti posti Pag. 41di lavoro possono nascere. Ogni centro di questo tipo ha circa 12-15 posti di lavoro. Pensando che a regime potremmo avere 100 macchine, potremmo avere posti di lavoro tra i 1.000 e i 1.500.
  Non è soltanto questo il motivo, personalmente. Noi abbiamo fatto questa macchina in America semplicemente perché c'era un'azienda in America che aveva dei brevetti che a noi servivano per fare i nostri brevetti e abbiamo fatto costruire questa macchina. La mia idea personalmente, però, è di fare queste macchine in Italia, di creare un distretto in Italia che possa girare, con autoclave, separatore e assemblaggio.
  Io sono abruzzese e lavoro in Abruzzo. Personalmente, mi sto adoperando per creare questo distretto in Abruzzo, nella mia regione, e mi accorgo che, a mano a mano, che affronto questi temi...

  PRESIDENTE. In che area dell'Abruzzo ?

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Noi siamo nella Val Pescara. In Val Pescara – ovviamente, voi conoscete l'Abruzzo – nella parte dell'asse attrezzato, c’è una attività economica molto estesa.
  Noi stiamo già lavorando oggi sulla macchina del Veneto con un'azienda abruzzese, l'Alma C.I.S., una delle primissime aziende italiane. Quello che noi vorremmo fare è sviluppare tutta la filiera di produzione dei vari pezzi della macchina, compresa l'autoclave.
  L'Abruzzo, peraltro, è legato anche alla fornitura di vino. Ci sono dei produttori di autoclavi notevolissimi. Il mio sogno è quello di creare una filiera in Abruzzo per noi. Intendo per noi Italia, non per noi Abruzzo.
  Questa è un'idea altamente innovativa, a nostro avviso. A occupare i posti di lavoro non sono soltanto gli operatori delle macchine che fanno riciclo, c’è tutto un tema da sviluppare. Questa potrebbe essere un'opportunità per noi eccezionale, partendo dal pannolino. Magari è una piccola cosa, ma, secondo me, si può sviluppare.
  Adesso stiamo mettendo in piedi la strategia commerciale. Abbiamo sviluppato, come Fater, questa attività al nostro interno. Dobbiamo ora vedere se lo faremo come branca di Fater o come un'azienda separata cui Fater parteciperà. Stiamo valutando queste opzioni.
  I prossimi passi sono i seguenti. Noi abbiamo la macchina di Caserta, che dovrebbe essere operativa a giugno. Adesso è arrivata dagli Stati Uniti, la stanno finendo di montare, c’è da installare il software e partirà. L'altra macchina, quella grande, è letteralmente in viaggio, in nave. Verrà in Italia nella seconda metà di aprile. Dopodiché, la porteremo in Abruzzo per fare il montaggio e da lì in Veneto per farla partire.
  Io ho finito. Vi ringrazio sentitamente del vostro tempo.

  PRESIDENTE. Io ho una curiosità. Ricordo male, o avevate in corso dei contatti anche con quell'azienda calabrese che faceva pannelli con gli scarti ?

  GIORGIO VACCARO, Recycling process development manager. Nell'ambito della ricerca della migliore utilizzazione di queste materie prime e seconde abbiamo avviato contatti con parecchie aziende, tra cui questa in Calabria, come ricorda bene lei. Con plastica riciclata e l'utilizzo di sansa di ulivo, quest'azienda realizza pannelli per i banchi e per l'arredo delle scuole.

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Presidente, il collega è Giorgio Vaccaro, un giovane ingegnere italiano che lavora nella sostenibilità.
  Quella che ha illustrato è una questione interessante. Il nostro capo della sostenibilità oggi non è venuto perché sta male. Si chiama Marcello Somma, ed è una persona che, quando abbiamo cominciato, quattro anni fa, lavorava nel centro ricerche di una multinazionale in Germania. Io gli ho telefonato – lo conosco bene – e gli ho detto di venire in Fater, perché gli avrei Pag. 42fatto avere il lavoro più bello d'Italia. Adesso, dopo quattro anni, è d'accordo.
  La cosa bella è che lui è venuto – è un ricercatore e, quindi, è un cervello che ritorna in Italia – e ha creato un gruppo di cervelli, tra cui Giorgio. Questo è il primo complimento che riceve da me, ma noi abbiamo un gruppo fantastico di ragazzi giovani.
  Marco Sambuco è la persona che lavora alle ER e io sono quello meno utile di tutti. Sono Roberto Marinucci, amministratore delegato, ma il mio compito è tenerli a bada con le loro idee.

  DAVIDE CRIPPA. Nello schema di prima in autoclave entrano pannolini ed escono plastica e cellulosa. La sostanza organica si sterilizza, ma non scompare. Dove finisce ?

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. In parte diventa vapore.
  Una questione che forse non ho ben spiegato è che il vantaggio di questo tipo di sistema è che non richiede acqua in entrata. Per la maggior parte utilizza l'umido generato dai residui organici che vengono all'interno dell'autoclave, attraverso un sistema che abbiamo brevettato, e sviluppa vapore in modo da tenere la temperatura costante.
  È chiaro che c’è una parte che rimane residua. Questa viene smaltita attraverso la normale rete fognaria, con tutti gli accorgimenti legati alla rete fognaria per i residui organici.

  DAVIDE CRIPPA. Sostanzialmente, quindi, diventa liquida e tramite un grigliato se ne va.

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Sì, è corretto.

  DAVIDE CRIPPA. Per quanto riguarda la plastica, come mai non può essere reinserita all'interno del vostro ciclo produttivo del pannolino ? Come mai non è possibile ipotizzarlo ? State lavorando in tal senso ?
  Quanto alla linea di recupero a valle, ossia al recupero fisico dello stesso, io ho visto un'ipotesi sui costi, ma il costo della raccolta per i comuni è incrementato, perché, dovendo fare un turno ulteriore di raccolta singola dei pannolini, ci sarà un aggravio. Domando se nell'ipotesi dei costi come previsti non l'ho visto io per disattenzione o se invece non è stato inserito questo elemento.
  Infine, c’è la scala degli impianti. Io temo che ipotizzare impianti molto grandi confligga con il recupero della zona, ragion per cui assistiamo poi al trasferimento dei rifiuti, anziché alla loro raccolta. Lei ha parlato di 100 impianti globalmente, come ipotesi di sviluppo e, quindi, di uno o due per regione ?

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Sono tutte domande assolutamente puntuali e pertinenti. Cerco di procedere con ordine.
  Quello sulla plastica è un punto correttissimo. È un punto che anche noi ci siamo posti e che stiamo studiando. Dico di più. All'interno del pannolino ci sono plastica, cellulosa e polimero. Noi stiamo cercando di vedere, per quanto concerne sia la plastica, sia il polimero, la riutilizzazione. Se ci riusciamo, abbiamo fatto tombola, perché questo ci offre un vantaggio competitivo, in quanto saremmo quasi integrati verticalmente a costo zero. Per noi sarebbe un vantaggio pazzesco.
  Comunque, dobbiamo studiare. Adesso non le posso dire se sia possibile. Marcello Somma sta studiando anche questo progetto, dal momento che per noi sarebbe un vantaggio enorme.
  Con riferimento al discorso del costo ai comuni, la questione posta è corretta e la situazione è certamente molto complessa. Noi la vogliamo affrontare nel modo che spiegherò. Non so se ho tutte le risposte, ma le spiego come abbiamo affrontato tale problematica.
  L'Italia è divisa in due parti, sotto taluni punti di vista. C’è una parte che fa Pag. 43già la raccolta e che poi manda in discarica, ragion per cui il comune affronta già un costo, perché la raccolta dei pannolini serve per fare la raccolta porta a porta. Noi stiamo partendo dicendo: «Voi, che già avete la raccolta dei pannolini, non avete un costo aggiuntivo, anzi, avete un costo che si riduce, perché non dovete pagare la tassa alla regione per il conferimento». C’è poi un'altra parte d'Italia in cui questo non viene fatto.
  Io la risposta ancora non la so, ma le illustro l'indirizzo che abbiamo dato alla questione. Nel nostro team che si occupa di sostenibilità – forse penso troppo bene dei miei, ma ritengo che sia vero – abbiamo uno dei più grandi esperti italiani di logistica, una persona fantastica che si occupa di gestire la logistica e che sta per andare in pensione. Io ho chiesto a questa persona di non andare in pensione, ma di venire nel settore relativo alla sostenibilità per aiutarci a risolvere questo problema. Di conseguenza, lui lavora full time su questo tema con i comuni.
  Ovviamente, quindi, non posso fornire una risposta, ma l'indirizzo che vogliamo avere è che questo aspetto non costi ai comuni di più, ma di meno. È possibile che i comuni abbiano costi puntuali perché magari c’è un pezzo aggiuntivo, ma noi pensiamo che come minimo questo debba essere compensato dal fatto che qualcuno abbia la rivendita delle materie prime e possa scontare il prezzo di conferimento. Questo è il minimo. Poi, studiando bene i flussi insieme ai comuni, forse riusciremo a trovare forme di ottimizzazione.
  Questo è un po’ il modo in cui vogliamo gestire la questione. È ancora un work in progress, come dice il 50 per cento di Fater della Procter.

  DAVIDE CRIPPA. Io vedevo questa problematica in alcuni comuni che stanno oggi razionalizzando la raccolta del secco. Incominciano a razionalizzare una o due settimane nel periodo invernale per cercare anche di disincentivare il fatto di buttarlo.
  Questo può portare, parallelamente, alla nascita di una raccolta in linea, ma qualora ci fossero impianti che possano prenderli. In alcune zone uno magari ha un atteggiamento di questo tipo, ma non sa dove mandare i rifiuti, non ha l'impianto vicino e, quindi, non parte con il progetto di raccolta. Le due questioni, purtroppo, si inseguono.

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. È vero, ma c’è un aspetto, secondo me, incoraggiante in tutto questo. Effettivamente, noi stiamo partendo in Veneto, ma abbiamo già sottoscritto un protocollo d'intesa con Emilia-Romagna, Piemonte, Marche, Toscana, Lazio e provincia di Salerno, che sono anche, in alcuni casi, regioni e/o province che non fanno la raccolta separata dei pannolini o in cui addirittura la raccolta differenziata non è avanti come in altre regioni o province. Stiamo cominciando a studiare la questione insieme a loro esattamente per affrontare il problema che dice lei.

  PRESIDENTE. Grazie e complementi. Forniteci ulteriori dati, se siete in fase di avanzamento.

  ROBERTO MARINUCCI, Amministratore delegato di Fater spa. Se avete piacere di vedere la macchina, quando la installiamo in Veneto, possiamo invitarvi per vederla.

  PRESIDENTE. Più che altro ci interessa sapere dove si trova, perché magari, mentre si è in giro, si può provare a passare da quelle parti. Io in Veneto càpito, come càpito in tutte le regioni, ma fare la programmazione apposta è un po’ complicato.
  Devo dire, invece, a proposito di Abruzzo, che tempo fa – ma anche quella è un'innovazione ambientalmente molto interessante – un'azienda abruzzese ha inventato un metodo geniale. Uno dei Pag. 44problemi, come forse sapete, è che vanno di moda i jeans schiariti, quelli c.d. «sabbiati». La produzione di tali indumenti comporta spesso non solo un consumo, per esempio, di acqua rilevante, ma anche una nocività elevata per gli addetti. Sono state fatte delle indagini in Turchia, laddove veniva fatto questo lavoro sui jeans. Purtroppo, la silicosi colpisce molto i lavoratori che sono in questo circuito.
  Un'azienda abruzzese ha inventato un metodo a secco, che non mi hanno voluto spiegare, ma che ormai usano per quantità enormi di jeans, che utilizza residui alimentari per fare quel lavoro a secco, senza uso di acqua e di silicio e senza produrre polvere, che è sempre in quell'area, in quel comparto.
  Ringraziando i rappresentanti di Fater Spa, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.25.