XVII Legislatura

Commissioni Riunite (VIII e X)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 21 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Realacci Ermete , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GREEN ECONOMY

Audizione di rappresentanti della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Realacci Ermete , Presidente ... 3 
Orsini Raimondo , Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 3 
Bailo Modesti Alessandra , Project Manager Stati Generali della Green economy ... 4 
Orsini Raimondo , Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 4 
Barbabella Andrea , Responsabile sezione energia. Direi di l ... 4 
Orsini Raimondo , Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 6 
Realacci Ermete , Presidente ... 6 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 6 
Orsini Raimondo , Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 6 
Barbabella Andrea , Responsabile sezione energia ... 6 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 7 
Barbabella Andrea , Responsabile sezione energia ... 7 
Orsini Raimondo , Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 7 
Bratti Alessandro (PD)  ... 7 
Orsini Raimondo , Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 7 
Barbabella Andrea , Responsabile sezione energia ... 7 
Bratti Alessandro (PD)  ... 7 
Barbabella Andrea , Responsabile sezione energia ... 7 
Realacci Ermete , Presidente ... 8 

Audizione di rappresentanti di Coordinamento FREE:
Realacci Ermete , Presidente ... 8 
Zorzoli Giovan Battista , Portavoce del Coordinamento FREE ... 8 
Realacci Ermete , Presidente ... 12 
Petraroli Cosimo (M5S)  ... 12 
Bratti Alessandro (PD)  ... 12 
Matarrese Salvatore (SCpI)  ... 12 
Zorzoli Giovan Battista , Portavoce del Coordinamento FREE ... 12 
Busto Mirko (M5S)  ... 13 
Zorzoli Giovan Battista , Portavoce del Coordinamento FREE ... 13 
Busto Mirko (M5S)  ... 13 
Zorzoli Giovan Battista , Portavoce del Coordinamento FREE ... 13 
Caffarelli Alessandro , Membro del comitato di gestione del Coordinamento FREE ... 13 
Realacci Ermete , Presidente ... 14 
Caffarelli Alessandro , Membro del comitato di gestione del Coordinamento FREE ... 14 
Realacci Ermete , Presidente ... 14 
Caffarelli Alessandro , Membro del comitato di gestione del Coordinamento FREE ... 14 
Realacci Ermete , Presidente ... 14 

Audizione del prof. Riccardo Pietrabissa, presidente del Network per la valorizzazione della ricerca universitaria (Netval):
Realacci Ermete , Presidente ... 14 
Pietrabissa Riccardo , Presidente Netval (Network per la valorizzazione della ricerca universitaria) ... 14 
Fava Fabio , Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020 ... 16 
Realacci Ermete , Presidente ... 18 
Busto Mirko (M5S)  ... 18 
Bratti Alessandro (PD)  ... 18 
Crippa Davide (M5S)  ... 18 
Fava Fabio , Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020 ... 19 
Bratti Alessandro (PD)  ... 19 
Fava Fabio , Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020. ( ... 19 
Bratti Alessandro (PD)  ... 19 
Fava Fabio , Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020 ... 19 
Realacci Ermete , Presidente ... 20 
Fava Fabio , Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020 ... 20 
Realacci Ermete , Presidente ... 20 

Audizione di rappresentanti di Enel e della Fondazione Centro Studi Enel:
Realacci Ermete , Presidente ... 20 
Abrignani Ignazio (FI-PdL)  ... 20 
Comin Gianluca , Direttore relazioni esterne Enel ... 20 
Costa Alessandro , Direttore Fondazione centro studi Enel ... 23 
Comin Gianluca , Direttore relazioni esterne Enel ... 25 
Realacci Ermete , Presidente ... 25 
Abrignani Ignazio (FI-PdL)  ... 25 
Crippa Davide (M5S)  ... 26 
Matarrese Salvatore (SCpI)  ... 27 
Realacci Ermete , Presidente ... 27 

Audizione di rappresentanti di Enea:
Abrignani Ignazio , Presidente ... 27 
Lelli Giovanni , Commissario Enea ... 27 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 30 
Vallascas Andrea (M5S)  ... 30 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 31 
Lelli Giovanni , Commissario Enea ... 31 
Abrignani Ignazio , Presidente ... 32 

Audizione di rappresentanti di Ambiente Italia:
Realacci Ermete , Presidente ... 32 
Zambrini Mario , Amministratore delegato Ambiente Italia ... 32 
Realacci Ermete , Presidente ... 35 
Crippa Davide (M5S)  ... 35 
Zambrini Mario , Amministratore delegato Ambiente Italia ... 35 
Realacci Ermete , Presidente ... 35 

Audizione di rappresentanti di Unioncamere e Symbola:
Realacci Ermete , Presidente ... 35 
Gagliardi Claudio , Segretario generale di Unioncamere ... 36 
Realacci Ermete , Presidente ... 38 
Crippa Davide (M5S)  ... 38 
Realacci Ermete , Presidente ... 39 
Sturabotti Domenico , Direttore della Fondazione Symbola ... 39 
Realacci Ermete , Presidente ... 40 
Petraroli Cosimo (M5S)  ... 40 
Sturabotti Domenico , Direttore della Fondazione Symbola ... 40 
Realacci Ermete , Presidente ... 40 

Audizione di rappresentanti di Green Building Council (GBC) Italia:
Realacci Ermete , Presidente ... 40 
Hopps Riccardo , Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia ... 41 
Realacci Ermete , Presidente ... 43 
Busto Mirko (M5S)  ... 43 
Hopps Riccardo , Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia ... 44 
Crippa Davide (M5S)  ... 44 
Realacci Ermete , Presidente ... 44 
Hopps Riccardo , Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia ... 44 
Visentin Iris , Referente sviluppo prodotti e formazione ... 45 
Hopps Riccardo , Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia ... 45 
Realacci Ermete , Presidente ... 45 

Audizione di rappresentanti di CNR:
Realacci Ermete , Presidente ... 45 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 45 
Realacci Ermete , Presidente ... 47 
Petraroli Cosimo (M5S)  ... 47 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 47 
Petraroli Cosimo (M5S)  ... 48 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 48 
Realacci Ermete , Presidente ... 48 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 48 
Busto Mirko (M5S)  ... 48 
Vallascas Andrea (M5S)  ... 48 
Realacci Ermete , Presidente ... 49 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 49 
Busto Mirko (M5S)  ... 49 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 50 
Busto Mirko (M5S)  ... 50 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 50 
Realacci Ermete , Presidente ... 50 
Crippa Davide (M5S)  ... 50 
Busto Mirko (M5S)  ... 50 
Realacci Ermete , Presidente ... 51 
Busto Mirko (M5S)  ... 51 
Marchetti Mauro , Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR ... 51 
Realacci Ermete , Presidente ... 51 

Allegato 1: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Enel ... 53 

Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Unioncamera e Symbola ... 81

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
  Questa prima sessione è dedicata a coloro che hanno prodotto analisi e materiali di studio particolarmente significativi sul fenomeno. Se riuscite in dieci minuti a illustrare il vostro punto di vista, poi chiederemo ai colleghi se hanno questioni da porre.

  RAIMONDO ORSINI, Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Vi ringraziamo per averci invitato. È un piacere essere qui e, in particolare, ci congratuliamo per l'idea dello svolgimento di un'indagine conoscitiva sulla green economy e per la sensibilità che state dimostrando su questo tema. Avevamo preparato una presentazione lunga che non illustreremo e, saltando tutti i preliminari, andremo al nocciolo della questione, almeno secondo il nostro punto di vista.
  Come Fondazione per lo sviluppo sostenibile, abbiamo fatto da supporto tecnico all'organizzazione degli Stati Generali della green economy, che non sono stati solamente un evento che si è tenuto due settimane fa, ma soprattutto un processo partecipativo fondato un po’ sul modello della Grenelle de l'environnement francese. L'idea è, cioè, quella di un processo partecipativo che porta all'elaborazione di proposte concrete e di una piattaforma concreta per lo sviluppo della green economy in chiave green new deal, ossia di sviluppo e risanamento o, comunque, di prospettiva di crescita per l'Italia.
  Stiamo distribuendo anche dei documenti con la piattaforma che abbiamo sviluppato. Tengo a precisare che a questo processo partecipativo abbiamo invitato tutte le categorie, che quindi la piattaforma che abbiamo sviluppato e condiviso teoricamente è già pronta con l'accordo del massimo possibile delle parti sociali. Chiaramente, si tratta di una piattaforma molto complessa, ma che è sintetizzata in 10 proposte principali, il pacchetto di stimolo per l'economia in chiave di un green new deal.
  Saltando tutti i preliminari sulla green economy e sulla visione internazionale, col permesso del presidente, lascerei la parola ad Alessandra Bailo Modesti per spiegare il modo in cui si è sviluppato il processo partecipativo e poi ad Andrea Barbabella per l'illustrazione delle 10 misure sinteticamente analizzate. Resta fermo che la Fondazione non solo è disponibile, ma assolutamente si augura di poter collaborare Pag. 4con le vostre Commissioni, come siamo facendo con il governo degli Stati Generali.

  ALESSANDRA BAILO MODESTI, Project Manager Stati Generali della Green economy. Proverò a raccontarvi in breve come si articola il processo partecipativo degli Stati Generali promossi dal Consiglio nazionale della green economy che, tra il 2012 e il 2013, ha raccolto 66 organizzazioni di imprese, che è il requisito per entrare nel Consiglio nazionale, in collaborazione con il Ministero dell'ambiente e quest'anno anche con il Ministero dello sviluppo economico.
  I lavori del Consiglio si articolano attraverso dieci gruppi di lavoro, costituiti, come anticipava il direttore Orsini, da rappresentanti di impresa, di organizzazioni di imprese, della società civile, della comunità scientifica, quindi tutti gli stakeholder coinvolti e interessati da questo processo. Il lavoro avviene attraverso riunioni, scambi di considerazioni via e-mail, per la costruzione di documenti istruttori, che fanno una prima ricognizione delle tematiche prioritarie più importanti di ogni settore strategico.
  Non vi tedierò con la presentazione che avevamo preparato. Dico solo che sono dieci settori che vanno dall'ecoinnovazione al riciclo dei rifiuti, all'efficienza delle materie, ovviamente fino all'efficienza energetica, per arrivare quest'anno anche alla costituzione del gruppo regioni ed enti locali che ci ha consentito di avere un'interfaccia non solo con il Governo nazionale, ma anche con i governi locali, che rivestono effettivamente un grosso ruolo e nutrono un grande interesse per la green economy.
  I gruppi di lavoro, quindi, hanno prodotto questi documenti istruttori che sono stati poi portati in una consultazione pubblica, quindi aperta alla più ampia partecipazione, in assemblee nazionali programmatiche. A tal fine, i documenti istruttori sono stati inviati una settimana prima a tutti i partecipanti, che così hanno potuto inviarci contributi scritti prima dello svolgimento dell'assemblea. All'esito della settimana la consultazione, e sulla base dei contributi pervenuti, i dieci gruppi di lavoro hanno costruito, quindi, i documenti finali.
  Questi documenti sono poi confluiti all'attenzione del Consiglio nazionale, che ha sviluppato le piattaforme che abbiamo presentato a Rimini l'anno scorso e aggiornato quest'anno, in particolare la road map per la green economy. Quest'anno, i gruppi hanno lavorato anche alla definizione di una sintesi delle misure prioritarie per ogni settore strategico, con cui abbiamo avviato, come si diceva, un primo dialogo con i ministeri che ci auguriamo di poter continuare anche con voi.
  I numeri del processo partecipativo sono imponenti. Per un primo bilancio, quest'anno abbiamo avuto agli stati generali 2.500 iscritti, 2.700 accessi in diretta streaming nei due giorni. I numeri sono sostanzialmente raddoppiati dal 2012 al 2013, e quindi la piattaforma è diventata molto ampia, consultata da quasi 3.000 stakeholder in maniera costante e continuativa.

  RAIMONDO ORSINI, Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Il Consiglio nazionale della geen economy, che è alla base di questo processo, è formato da 66 organizzazioni di imprese che racchiudono tutti i settori possibili della green economy, anche se, come sappiamo, la green economy è trasversale.
  Con il permesso del presidente, Andrea Barbabella ci descriverà ora brevemente le 10 misure del pacchetto di stimolo.

  ANDREA BARBABELLA, Responsabile sezione energia. Direi di leggere insieme i titoli delle dieci misure prioritarie. Vi abbiamo consegnato un opuscolo nel quale sono riportate queste dieci misure. Come anticipava Alessandra, la produzione si è basata su tre livelli, con proposte più approfondite, 40 pagine di proposte dai gruppi di lavoro in ogni settore. L'attività è stata condensata in 10 proposte puntuali che formano il pacchetto di green new deal con l'idea di essere immediatamente attivabili e a costo zero.Pag. 5
  La prima proposta è la riforma fiscale in chiave ecologica a saldo netto zero. L'idea è quella di attivare, anche attraverso una carbon tax, uno spostamento della fiscalità in chiave ecologica.
  La seconda è attivare programmi per un miglior utilizzo delle risorse europee e per sviluppare strumenti finanziari innovativi per le attività della green economy. Chiaramente, se è importante che le attività della green economy possano essere implementate anche con l'utilizzo dei fondi europei – questa richiesta è venuta direttamente dalle regioni –, è tuttavia necessario procedere a una revisione dei meccanismi di funzionamento di tali fondi.
  La terza proposta è l'attivazione di investimenti che si ripagano con la riduzione dei costi economici oltre che ambientali. Il tema centrale di questa proposta sono gli investimenti in infrastrutture verdi. In questi giorni, sappiamo tutti quali sono i costi che ricadono sulla collettività per una mancanza di gestione e di messa in sicurezza del territorio, ma di questo non c’è traccia nei meccanismi di contabilità nazionali. Questo è un punto sul quale il Consiglio chiede di intervenire.
  La quarta proposta è quella di un programma nazionale di misure per l'efficienza e il risparmio energetico, con una road map di obiettivi chiari da qui al 2030. Tra le misure proposte, c’è quella di rendere permanente e stabile la detrazione fiscale del 65 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici. Al riguardo, segnalo che tutti i componenti del Consiglio nazionale sono convinti che il tema della riqualificazione energetica degli edifici abbia un potenziale enorme dal punto di vista sia economico sia occupazionale.
  La quinta proposta è l'attivazione di misure per sviluppare le attività di riciclo dei rifiuti. Per ragioni di tempo, non entro nel merito delle singole misure proposte, limitandomi a segnalare fra le diverse proposte quella di lavorare sulla qualità della raccolta differenziata. Oggi, infatti, abbiamo un limite allo sviluppo delle attività di riciclo che dipende dal fatto che i livelli di raccolta differenziata crescono, ma la qualità dei materiali raccolti non è il massimo.
  La sesta proposta è data dalla promozione dal rilancio degli investimenti per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. A questo proposito, vorrei porre alla vostra attenzione due questioni. La prima riguarda il discorso della retroattività, cioè di evitare interventi con effetti retroattivi che scoraggiano gli investitori, mentre purtroppo anche in questi giorni si ha la sensazione che si voglia intervenire su tariffe o su sistemi di incentivazione esistenti.
  In secondo luogo, a parte la semplificazione delle norme, che è fondamentale, c’è la necessità di uscire da un sistema basato sulle tariffe, che quindi incide sulla bolletta energetica, e di passare a misure tipo detrazioni fiscali, che potrebbero costare molto poco e avere impatti notevoli. Meno di un miliardo di detrazioni fiscali messo a spesa oggi, vale a dire l'equivalente di quello che mancherebbe per raggiungere il tetto dei 12 miliardi previsto dal decreto legislativo n. 28 del 2011, consentirebbe di attivare 20 miliardi di investimenti nelle rinnovabili.
  La settima proposta è rappresentata dall'attuazione di programmi di rigenerazione urbana, di recupero di edifici esistenti, di bonifiche, fermando il consumo di suolo non urbanizzato. In particolare, quello delle bonifiche dei siti contaminati è un tema centrale, sul quale bisogna imprimere una spinta ulteriore, così come quello della rigenerazione urbana.
  L'ottava proposta è quella di una mobilità sostenibile. Secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia, il 40 per cento del potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 è nei trasporti, nel senso che questo è il settore in cui bisogna lavorare di più, più ancora dell'edilizia, che pure ha un potenziale rilevante di efficientamento. Qui servono varie misure e, innanzitutto, alimentare un fondo nazionale per la mobilità sostenibile, attivando, tra gli altri, un sistema di pedaggio stradale basato sulle emissioni di gas serra dei veicoli.Pag. 6
  La nona proposta investe il tema dell'agricoltura. Sono tante le proposte per arrivare anche a un sistema di detrazioni fiscali e a un fondo specifico per sostenere l'agricoltura di qualità e biologica.
  La decima e ultima proposta riguarda il tema dell'occupazione giovanile lanciando un piano nazionale per l'occupazione giovanile nella green economy, ad esempio, attraverso la riduzione per 3 anni del prelievo fiscale e contributivo per l'impiego dei giovani.
  Come base conoscitiva per istruire tutto il processo è stato prodotto con ENEA il rapporto 2013 sulla green economy, nel quale, per tutti e dieci i gruppi tematici, ci sono le basi conoscitive.

  RAIMONDO ORSINI, Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Il pacchetto di dieci misure si sostanzia in 79 proposte e un elenco di almeno 500 provvedimenti normativi o regolamentari, tutti disponibili sul sito www.statigenerali.org. Si tratta, quindi, di una vera e propria road map, che è pronta, disponibile e consultabile. Invieremo il rapporto a tutti i deputati delle due Commissioni.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo anche per essere riusciti a essere molto sintetici. Il lavoro è enorme, di grande qualità.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERTO ZOLEZZI. Vorrei qualche dato ulteriore sui settori che, a vostro avviso, offrono maggiori potenzialità di sviluppo occupazionale ed economico e con maggiore sostenibilità.

  RAIMONDO ORSINI, Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Su questioni più importanti e da approfondire, potete anche inviarci una e-mail, mentre adesso possiamo concentrarci su altro.

  ANDREA BARBABELLA, Responsabile sezione energia. Sono coordinatore del gruppo Mobilità sostenibile e del gruppo Energie rinnovabili, quindi prendo la palla al balzo e parlerei di questi due settori, che sono anche quelli su cui si può investire con una maggiore possibilità di risultato.
  La mobilità sostenibile ha evidenziato il fatto che stiamo concentrando le risorse e gli investimenti soprattutto sugli spostamenti e le infrastrutture di lunga distanza, merci e passeggeri. In realtà, l'analisi del gruppo di lavoro ha evidenziato come, il 70-80 per cento delle emissioni, quindi dei potenziali di sviluppo degli investimenti, sia nelle aree urbane. Abbiamo calcolato, sulla base di investimenti francesi e americani, che l'investimento sullo sviluppo della mobilità urbana sostenibile ha un ritorno molto più veloce e, soprattutto, un moltiplicatore maggiore rispetto a quello della lunga distanza.
  Senza entrare nelle polemiche sull'alta velocità, parliamo di potenzialità di sviluppo anche occupazionale. In Italia, ancora per poco, la filiera produttiva per il trasporto locale, e quindi urbano, offre delle ottime possibilità di sviluppo. La mobilità sostenibile, quindi, è sicuramente il settore che offre il massimo del potenziale di investimenti. Quando parliamo di potenziale, peraltro, parliamo di potenzialità di sviluppo economico, occupazione, ma anche di riduzione dell'impatto ambientale. Il 30 per cento delle emissioni avviene nel settore dei trasporti e il 90 per cento di questo 30 per cento avviene nelle aree urbane, quindi priorità massima agli investimenti nel settore della mobilità urbana.
  Sulle rinnovabili – mi pare che siano le ricadute occupazionali a interessarvi particolarmente – ci sono diversi dati, da diverse fonti, che più o meno per l'Italia convergono. Faccio un passo indietro. È di qualche settimana fa un rapporto del Green growth group europeo, che stima che si possano creare, da qui al 2020, 6,5 milioni di nuovi posti di lavoro a livello europeo, lavorando su efficienza energetica e fonti rinnovabili.
  È chiaro che gli studi si aggiornano e anche noi, come Fondazione, abbiamo effettuato un primo lavoro nel 2011 insieme al CNEL.

Pag. 7

  ALBERTO ZOLEZZI. Qual è l'ente che ha riportato il numero dei posti di lavoro ?

  ANDREA BARBABELLA, Responsabile sezione energia. A livello europeo, si tratta di un rapporto del Green growth group, al quale partecipano una decina di Ministri, tra cui il Ministro Orlando. Possiamo inviarvelo.
  A livello nazionale, come Fondazione, insieme al CNEL, abbiamo eseguito uno studio tre anni fa, che chiaramente non è più attuale perché la situazione è cambiata molto velocemente, ma attualmente i diversi studi concordano sul fatto che, per quanto riguarda il potenziale del settore delle rinnovabili elettriche,- teniamo presente che il dato assoluto dell'occupazione cambia negli anni, perché c’è un picco occupazionale, poi una tendenza a scendere e a stabilizzarsi –, l'occupazione aggiuntiva prodotta dalle rinnovabili elettriche si aggira intorno ai 100 mila occupati. Nelle fonti rinnovabili termiche, se si raggiungessero gli obiettivi del piano nazionale d'azione, sarebbero più o meno altrettanti, anche se in quel caso le stime sono più difficili, meno precise.

  RAIMONDO ORSINI, Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Altri numeri importanti sono dati dagli studi sull'efficienza energetica. Due rapporti fondamentali sono stati utilizzati dai gruppi di lavoro: quello di Confindustria di due anni fa, ahimè dimenticato pur essendo uno dei migliori studi, che stimava in 160.000 i nuovi occupati l'anno, per 10 anni, nel settore dell'efficienza energetica nei trasporti e in tutti i comparti dell'industria.
  L'ultimo rapporto è della Fondazione Enel, disponibile da due settimane...

  ALESSANDRO BRATTI. Scusate, vorrei porre tre domande flash. In tema di bonifiche, cosa intendete per riqualificazione economica dei siti ? Anche trasformazioni urbanistiche ? Rispetto all’Emission Trading System, non solo relativamente alle emissioni di gas serra, ma anche eventualmente per altri inquinanti, ritenete che questo strumento possa generare innovazione ? Infine, l'applicazione dell'ecotassa, soprattutto in Francia, non ha avuto molta fortuna: per quanto risulta a voi, in quali realtà questa misura ha avuto successo e, quindi, può essere presa in considerazione ?

  RAIMONDO ORSINI, Direttore Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Parto dall'ecotassa. È vero, in Francia sta andando malissimo, ma l'esempio positivo è offerto dalla Svizzera. Mi rendo conto che la Svizzera è esempio per tante cose, ma in questo caso si può replicare. Da quando è stata introdotta una sorta di eurovignette, il modal shift dai camion al treno ha superato il 40 per cento in pochissimi anni, quindi è possibile una ecotassa concepita bene. Il punto è studiare bene i meccanismi della tassa. Stiamo collaborando con il Ministero dell'ambiente per l'individuazione di un modello migliore di quello francese, che effettivamente non sta funzionando.
  Per bonifiche si intende riqualificazione dei siti inquinati, includendo tutti i tipi di bonifica, anche quelle dei siti nucleari (compresa la gestione delle scorie), attraverso interventi di riqualificazione, ove possibile, anche in nuovi termini urbanistici. Chiaramente, va realizzata una mappa caso per caso ed esistono ipotesi diverse.

  ANDREA BARBABELLA, Responsabile sezione energia. Il sistema dell'ETS, Emission Trading System, ha difficoltà, va ripensato e la discussione è molto ampia.

  ALESSANDRO BRATTI. Non mi riferivo solo a emissioni di CO2, con un meccanismo proprio, con tutte le crisi, ma alla possibilità di applicazione, ad esempio, a un'area come quella della pianura padana. Come è noto, soffre soprattutto sugli ossidi di azoto. Esistono esperienze in cui il meccanismo ETS è stato applicato anche su altri inquinanti ?

  ANDREA BARBABELLA, Responsabile sezione energia. Il passaggio da un'analisi Pag. 8basata sulla CO2 a una di altri inquinanti va fatto, a nostro avviso, per una serie di motivi, dopodiché non è detto che sia l'ETS il meccanismo migliore.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Coordinamento FREE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Coordinamento FREE.
  Chiedo scusa se salto i convenevoli. Vi abbiamo chiesto, oltre a tutto il materiale che volete inviarci, una sintesi di cinque cartelle perché è un format che ci consentirà di confrontare le priorità dei vari soggetti che audiremo. Abbiamo a disposizione poco meno di mezz'ora, per cui darei a voi dieci minuti per illustrare i vostri punti di vista e il tempo rimanente alle domande dei colleghi deputati e alle eventuali repliche.

  GIOVAN BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE. La green economy non deve essere pensata come un ’nuovo settore’ economico, bensì come la trasformazione dell'economia tradizionale, a elevato consumo delle risorse primarie – fra cui anche territorio, acqua, ambiente – in un'economia responsabile e ambientalmente compatibile. A nostro avviso, la conversione a una economia green diventa ancora più urgente a causa dell'origine antropica della crisi climatica, testimoniata dal Quinto Rapporto di Valutazione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che afferma testualmente: «le azioni umane sono state la causa dominante del riscaldamento osservato a partire dalla metà del XX secolo», con una probabilità stimata del 95 per cento: siamo vicinissimi alla certezza matematica.
  In Italia la green economy è già partita. Secondo il Rapporto GreenItaly 2013 sono quasi 328mila le imprese dell'industria e dei servizi con dipendenti, che hanno investito nel periodo 2008-2012 e/o investiranno, entro la fine del 2013, in tecnologie green in grado di assicurare un maggior risparmio energetico e/o un minor impatto ambientale: più di una su cinque, esattamente pari al 22 per cento dell'intera imprenditoria extra-agricola. Con effetti positivi sulla competitività (maggiore export, minori costi, migliore qualità dei prodotti) e sull'occupazione (il 38 per cento delle assunzioni delle imprese industriali e dei servizi per il 2013 proviene da aziende «verdi»).
  Le trasformazioni che afferiscono alla green economy comprendono innovazioni che non sono solo tecnologiche, ma anche gestionali. È il caso della mobilità, uno dei settori in cui è possibile un importante recupero di efficienza, dove ad esempio acquista peso il car sharing. Interessante l'esperienza di Car2Go, con 50 mila iscritti a Milano in soli due mesi, complementare al circuito Italian Car Sharing che già coinvolge una quindicina di città. In Europa si stima che 15 milioni di cittadini utilizzeranno il car sharing alla fine del decennio. Il vantaggio di questa forma di mobilità consiste nella riduzione delle spese complessive, del numero di auto sulle strade e delle emissioni cancerogene. In Italia occorrerebbe, secondo noi, una normativa che ne codifichi e semplifichi l'uso e deve emergere un attore in grado di gestire il servizio. In sintesi occorre: un unico gestore nazionale e una quota rilevante di auto alimentate a biometano, con biocarburanti, ibride plug-in ed elettriche.
  Il superamento della dipendenza dalle energie fossili chiama in causa anche il mondo della biomassa, come fonte alternativa di molecole e materiali per la chimica e l'industria manifatturiera dei prossimi decenni (chimica verde). Tipico caso di impatto trasversale della green economy in molti comparti, la chimica verde implica tre criteri strategici.
  Il primo è dato dalla massima efficienza nell'uso della biomassa in ’bioraffinerie’ territoriali, capaci di valorizzare le diverse frazioni della biomassa locale (trasformandole in biopolimeri, fitofarmaci, coloranti, biocarburanti, biolubrificanti, Pag. 9ecc... Rispetto alle raffinerie tradizionali, dove si assiste alla delocalizzazione dei processi verso le aree a minor costo del lavoro e alla produzione di esternalità negative per quei territori (inquinamento, danni alla salute delle popolazioni locali e così via), la bioraffineria comporta una ri-localizzazione per valorizzare le specifiche risorse naturali di un territorio.
  Il secondo criterio strategico è dato dalla massima efficienza nell'uso del suolo. Il suolo è uno solo e se chiediamo al suolo in futuro, come è avvenuto nel passato, di garantire a una popolazione mondiale crescente non solo cibo, ma anche foraggi per la zootecnia, energia, basi per la chimica e materiali rinnovabili, occorre una visione integrata che garantisca conservazione della fertilità, della biodiversità e delle altre risorse naturali a partire dall'acqua.
  Infine, sono necessarie bioraffinerie che, partendo da un flusso di materia vegetale in ingresso, cercano di ottenere il maggior numero di molecole/composti ad alto valore aggiunto, sfruttano il maggior numero possibile di componenti della biomassa stessa, fino ad arrivare a mettere in discussione il concetto di rifiuto (che in natura non esiste) e di prodotto principale (che nelle bioraffinerie esiste solo grazie alla valorizzazione dei coprodotti).
  Il nostro Paese vanta attualmente eccellenze di valore mondiale nella chimica verde, che ci stanno consentendo di trasformare il vecchio e inquinante petrolchimico di Porto Torres in una bioraffineria, che lavorerà il cardo coltivato in terreni marginali, e di avere operativo il primo impianto per la produzione di biocarburanti di seconda generazione (no food), che a regime produrrà 60 mila tonnellate/anno (un analogo impianto sarà realizzato in Brasile). Sono però casi isolati, nati dalla volontà dei singoli imprenditori, mentre il settore potrebbe contribuire significativamente alla ripresa dell'economia, offrendo importanti opportunità di sviluppo a un'agricoltura e a un'industria innovative e multifunzionali, con nuove possibilità di reddito e di vantaggi ambientali e territoriali.
  La chimica verde e i bioprodotti devono essere correttamente e coerentemente normati. Costruendo un sistema di certezze, si potrà permettere lo sviluppo di un tessuto di piccole e medie imprese, organizzate in filiere formate da agricoltori, trasformatori, formulatori.
  Per accelerare questo processo, contemporaneamente alle prime comunicazioni comunitarie volte a promuovere il concetto di bioeconomia che comprende anche la chimica verde, in Italia il decisore politico deve definire una normativa nazionale che razionalizzi la realizzazione di nuove bioraffinerie, ne riconosca le esternalità ambientali e sociali, e nel contempo promuova la conoscenza delle innovazioni all'opinione pubblica.
  L'unico provvedimento preso, il decreto interministeriale del 10 ottobre 2013 sulle bioraffinerie per biocarburanti, ha lasciato perplessi. In assenza di normative sulla chimica verde, sarebbe stato più opportuno emanare prima una norma generale e successivamente definirne le applicazioni specifiche. Pur con questi limiti, nel decreto sono presenti importanti novità, come la definizione di un piano di approvvigionamento della materia prima e l'obbligo di tracciabilità, già previsto, per i biocarburanti sostenibili.
  Passando all'altro grande tema del ruolo dell'energia nella transizione alla green economy, secondo noi è importante sottolineare che l'apporto congiunto e possibilmente integrato dell'efficientamento energetico e della generazione di energia con fonti rinnovabili è fondamentale per lo sviluppo della green economy. In Italia il contributo più rilevante alla riduzione dell'impatto ambientale e dell'utilizzo di combustibili fossili è venuto finora dallo sviluppo della generazione di energia da fonti rinnovabili, in particolare nel settore elettrico, grazie alla politica di incentivazione perseguita, pur con alcuni errori, negli ultimi anni. Dal contributo del 16,5 per cento ai consumi finali elettrici nel 2008 siamo passati al 27,1 per cento nel 2012.
  Un contributo non solo quantitativo, ma anche qualitativo. Spesso le taglie degli Pag. 10impianti sono di dimensioni contenute, così da dare un apporto rilevante alla generazione distribuita, che offre opportunità di sviluppo compatibili con il territorio e con la salvaguardia del patrimonio naturale e agricolo, quindi in coerenza con gli obiettivi della green economy di contribuire in modo significativo all'integrazione del reddito agricolo e all'autosufficienza energetica dei territori, da attuarsi con meccanismi di scambio sul posto e/o di produzione dedicata; di permettere la produzione di energia nelle immediate adiacenze delle reti elettriche di bassa/media tensione già esistenti e, con un minimo impatto, minimizzare il fabbisogno energetico del territorio rurale, producendo localmente gran parte dell'energia necessaria a sostenere i processi di sviluppo del territorio rurale. Minieolico, solare termico, fotovoltaico su piccola scala, impianti cogenerativi a biomassa a filiera corta, geotermia a media entalpia e a ciclo chiuso, piccola cogenerazione a biogas e a gas naturale vanno pertanto liberati dai lacci e laccioli che oggi ne imbrigliano lo sviluppo. Oltre a esprimere apprezzamento per alcune misure inserite nel collegato ambientale alla legge di stabilità (sostegno agli appalti verdi nella pubblica amministrazione, incentivi per la green economy del riciclo e riutilizzo dei rifiuti, misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio), il Coordinamento FREE avanza le seguenti proposte per la promozione della green economy, basate sull'esperienza acquisita nella promozione delle rinnovabili e dell'efficienza energetica. La prima proposta riguarda la promozione delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica. La liberalizzazione dei mercati energetici e la parallela decisione di incentivare lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle rinnovabili, con obiettivi quantitativi sempre più stringenti (prima il Protocollo di Kyoto, poi il Pacchetto UE 20/20/20) hanno prodotto in diversi Paesi europei problemi di overcapacity, ardui da risolvere. Un esito evitabile se, fin dall'inizio, si fosse delineato un percorso razionale di crescita progressiva di una carbon tax europea, fiscalmente neutra (alleggerendo in pari misura imposizioni sulle imprese e sul lavoro), che avrebbe dato certezza e stabilità all'intero sistema energetico europeo. In tal modo il differenziale di costo fra fonti tradizionali e rinnovabili si sarebbe subito progressivamente ridotto, limitando il ricorso alle incentivazioni. In parallelo, ai grandi gruppi energetici sarebbe arrivato il segnale del maggiore costo delle produzioni con combustibili fossili, suggerendo loro una maggiore cautela nel decidere nuovi investimenti. Inoltre, sarebbe stato possibile introdurre una border tax, penalizzante le produzioni di paesi terzi che non avessero adottate analoghe protezioni ambientali, pur rispettando le regole del WTO, dato che i beni prodotti in Europa sarebbero stati tassati con lo stesso criterio. Per di più, si tratta di una soluzione in grado di evitare il carbon leakage di industrie europee e di indurre a più miti consigli gli Stati ostili alla firma di un trattato sui cambiamenti climatici vincolante per tutte le parti. Si è invece voluto introdurre un simulacro di mercato (l'ETS), che non ha funzionato. Del ruolo insostituibile della carbon tax il Coordinamento FREE ha fatto un punto centrale della propria proposta. Sottoponiamo pertanto alla vostra attenzione l'importanza di una approvazione sollecita del disegno di legge delega sulla riforma fiscale, in discussione in Parlamento, che non ne snaturi il contenuto per quanto concerne una carbon tax fiscalmente neutra.
  Sulla base dell'esperienza fatta, le politiche a favore della green economy devono inoltre prestare particolare attenzione: a contenere i costi nella fase di avvio della transizione alla green economy; ai settori potenzialmente più sensibili, per i quali vanno previste interventi come una maggiore gradualità nell'applicazione di determinate misure, forme di promozione (defiscalizzazione, IVA ridotta) delle innovazioni in senso green nei processi produttivi e nei prodotti, azioni a favore di diversificazioni produttive, forme di incentivazione a chi reinveste gli utili in ricerca e sviluppo del settore.Pag. 11
  Per quanto concerne il settore energetico, il Coordinamento FREE ha recentemente proposto:
per le tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili (tecnologie FER) più mature, la sostituzione degli incentivi con un un mix di sgravi fiscali e crediti agevolati, assegnati tramite aste competitive, con la cartolarizzazione per la transizione dal vecchio al nuovo meccanismo, così da raggiungere l'obiettivo di riduzione delle tariffe elettriche in modo efficiente ed efficace;
l'utilizzo della restante parte degli incentivi per promuovere le altre tecnologie FER elettriche con una quota rilevante di costi di esercizio (biomasse e biogas), con diversa maturità tecnologica o un differente livello di sviluppo industriale (solare termodinamico, piccolo eolico, geotermia a bassa e media entalpia); per le piccole installazioni, semplificazione delle attuali procedure, troppo penalizzanti;
per i produttori elettrici, oltre all'utilizzo dei cicli combinati, opportunamente flessibilizzati, in funzione di back-up alle produzione da fonti rinnovabili non programmabili (flexibility payment), la diversificazione in una serie di funzioni di servizio, puntualmente specificate.
  Una proposta specifica con positivo impatto ambientale riguarda, poi, la detrazione fiscale del 50 per cento per le persone giuridiche che sostituiscono coperture in amianto con il fotovoltaico: fra il 2014 e il 2020 consentirebbe di bonificare 13 kmq, occupando più di 1.000 persone, con un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro e un introito fiscale complessivo, secondo noi, di circa mezzo milione di euro superiore alle detrazioni.
  Per l'efficienza energetica, oltre ai ritardi decisionali a livello europeo, l'esperienza acquisita ha messo in luce due peculiari barriere. La prima è conoscitiva e culturale. Accanto ai grandi produttori e utilizzatori, tendenzialmente più aggiornati e più facilmente sensibilizzabili, gli interventi di efficientamento interessano un numero estremamente elevato di piccoli operatori e consumatori, difficili da raggiungere e da informare in modo adeguato. La seconda è finanziaria. Le banche hanno difficoltà a finanziare interventi di efficienza energetica, che non sono oggetti «visibili», rispondenti a determinati standard, che consentono di valutare ex ante prestazioni, affidabilità e costi; sono per di più molteplici, fra di loro molto diversificati, ma soprattutto non condensabili in un oggetto definito a priori, ma solo in schede illustrative dei risultati attesi.
  Nel promuovere la green economy, la gestione efficiente delle risorse non va quindi affrontata con ritardo rispetto ad altre azioni, come è avvenuto per l'efficienza energetica, e va tenuto conto delle difficoltà di finanziamento.
  In tal senso, a nostro avviso, le misure per agevolare gli investimenti nella green economy devono essere compatibili con i precari equilibri dei bilanci pubblici, quindi analoghi a quelli proposti dal Coordinamento FREE per rinnovabili ed efficienza energetica. In particolare, andrebbe creato un fondo di garanzia, con adeguata dotazione finanziaria, che fornisca alle banche assicurazioni sufficienti a indurle a fornire crediti sufficienti e non iugulatori. In alternativa o in via integrativa, occorrerebbe avviare da parte della Cassa Depositi e Prestiti un fondo chiuso, sia di venture capital che di private equity, dedicato all'efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, come recentemente fatto in altri comparti. Inoltre, occorrerebbero interventi diretti della Cassa Depositi e Prestiti, mediante investimenti nelle imprese, effettuati dal Fondo Strategico Italiano, costituito a tal fine dal decreto ministeriale 8 maggio 2011. Noi crediamo che, con gli opportuni adeguamenti, fra cui probabilmente un'articolazione delle misure per comparti, anche gli strumenti per agevolare gli investimenti nella green economy potrebbero svilupparsi lungo le medesime direttrici.
  Infine, un'altra misura, da attuarsi soprattutto nella fase di avvio di una nuova applicazione della green economy, consiste in detrazioni fiscali di entità e spalmatura temporale determinate in modo da consentire di promuovere efficacemente la nuova applicazione; garantire il ritorno Pag. 12completo delle agevolazioni, grazie al contributo in termini di IRES, IVA, IRAP; IRPEF.

  PRESIDENTE. Grazie, anche per l'articolazione e la concretezza delle proposte che avete presentato.
  Do ora la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  COSIMO PETRAROLI. In X Commissione stiamo seguendo fondamentalmente tre grossi temi, il Piano europeo dell'acciaio, la green economy e la Strategia energetica nazionale, questioni intrecciate in maniera quasi indelebile.
  Attualmente, nel Piano europeo dell'acciaio, ad esempio, si sta andando verso l'utilizzo di un acciaio sostenibile, che dovrebbe, nei suoi processi produttivi, «rispettare» l'ambiente. Vorrei sapere se siete a conoscenza di questo tipo di discorso, cosa ne pensate e quali potrebbero essere soluzioni o consigli in merito.
  Inoltre, sempre per quanto riguarda l'intreccio tra la green economy e il Piano europeo dell'acciaio, sembra che, grazie allo shale gas, il gas proveniente dalle argille, l'industria siderurgica statunitense stia producendo molto di più, sia molto concorrenziale. Vorrei sapere se si potrebbe evitare questo tipo di combustibile fossile e se l'apporto delle biomasse sia sufficiente a sostituire il gas proveniente da argille, un indirizzo che tra l'altro sembra che l'Europa voglia costringerci a percorrere.

  ALESSANDRO BRATTI. Per quanto a vostra conoscenza, qual è, sotto il profilo delle attività industriali, il rapporto tra ciò che si fa in Italia e l’export soprattutto in tema di fotovoltaico ed elementi correlati, per intenderci tutto il mondo del solare ? Voglio dire: quanto il mercato si sta muovendo dall'interno verso altri Paesi ? Le nostre aziende stanno partecipando a progetti importanti in giro per il mondo ? Il rapporto con l'estero non è per forza sempre male, al contrario.
  Quanto alle bioraffinerie, mi interesserebbe capire la compatibilità reale tra grandi bioraffinerie e filiera corta. La mia posizione non è particolarmente negativa nei confronti dell'importazione anche di materiale, purché presenti determinate caratteristiche. Diversamente, a me pare che ragionare su bioraffinerie di grandi livelli solo con la filiera corta è uno slogan, non un progetto realizzabile.

  SALVATORE MATARRESE. Nella sostenibilità dell'economia, in genere, si lavora sugli incentivi, soprattutto sul prodotto, con l'idea che, creando dell'incentivo sul prodotto, si crei un aumento della domanda, quindi un maggior ricavo che dovrebbe compensare gli investimenti sul processo produttivo. Soprattutto con riferimento alla chimica e alle raffinerie, a suo avviso è sufficiente un bonus sui prodotti a consentire una riqualificazione green, e quindi in termini di sostenibilità ambientale dei processi produttivi ? O ritiene, invece, che si debba anche intervenire sugli incentivi e sulla riqualificazione industriale al fine di arrivare a un'economia green ?

  GIOVAN BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE. Cercherò di rispondere alle domande nell'ordine in cui sono state poste.
  Il problema della siderurgia sostenibile è legato a un'innovazione che, tra l'altro, pare sarà sperimentata all'Ilva, con la sostituzione del metano al carbone come materia prima energetica per la conversione della ghisa in acciaio. In questo senso, certamente è un grosso passo avanti. Usando gas naturale, infatti, le emissioni di CO2 sono il 60 per cento di quelle che si hanno bruciando carbone e sarebbe, lo ribadisco, un grossissimo passo avanti. Evidentemente, siccome una delle vie per cui si utilizzano le biomasse e anche la produzione di biogas, che può essere convertito agevolmente in biometano, quella potrebbe essere una delle applicazioni. Si potrebbe vedere se, una volta sperimentata e vista valida questa applicazione, sia possibile usare biomasse. Pag. 13In relazione alle biomasse, rispondendo già a un'altra domanda, dico che siamo per la filiera corta. Il nostro punto di vista è rigorosamente questo. Localmente, quindi, se si trovano adeguate biomasse, è possibile immaginare in prospettiva biomasse, biogas, biometano e utilizzo nell'acciaieria.
  Liquido molto rapidamente la questione dello shale gas. Si può avere qualunque posizione, che però pone tre condizioni. Anzitutto, occupa molto territorio. Sotto questo profilo, tenete conto che l'Europa è densamente popolata, mentre il Marcellus shale, uno dei più grossi giacimenti degli Stati Uniti, è in una zona praticamente inabitata. Al contrario, uno dei più grossi giacimenti di shale gas in Europa si trova sotto la città di Amburgo e dunque possiamo pensare tranquillamente che quegli scisti non saranno mai toccati. In secondo luogo, la tecnologia americana funziona perché la profondità è di 2-300 metri: in Europa siamo a qualche chilometro e in Argentina hanno dovuto abbandonare perché troppo costoso quando si arriva a quelle profondità. Infine, ma forse più importante, negli Stati Uniti chi è proprietario del terreno è proprietario del sottosuolo, quindi ha delle convenienze a dire di sì, mentre in Europa non è così.
  Per quanto riguarda l’export e il fotovoltaico, è vero, si sta sviluppando esportazione, in particolare in Sud Africa e in America latina. Questo dimostra che non è vero che con gli incentivi non si è costruita un'industria nazionale del fotovoltaico perché si è costruita e adesso esporta. Aggiungo che, anche per quanto riguarda ciò che si fa in Italia, il costo dei moduli, che sembra siano tutti importati, incide ormai per il 30-35 sul costo totale degli impianti, il resto è made in Italy.
  Quanto alle grandi bioraffinerie, siamo per raffinerie che utilizzino soprattutto no food, come a Crescentino (VC), dove si utilizzano i residui della pulizia degli argini del Po e non esiste uso più razionale di questo delle risorse. Non utilizza mais o altro. È chiaro che le raffinerie non avranno mai grandi emissioni, tranne forse in Brasile perché hanno la produzione di canne da zucchero, da cui possono trarre tanto biocarburante quanto vogliono.
  Quanto agli incentivi, in generale siamo ormai orientati a chiedere agevolazioni in conto capitale, detrazioni fiscali e, soprattutto, normative. Il presidente Realacci mi ha sollecitato alla brevità e non ho potuto dire che abbiamo apprezzato molto l'obbligo, presente nel cosiddetto collegato ambientale, degli appalti verdi verso la pubblica amministrazione, gli incentivi per il riciclo e il riutilizzo dei rifiuti e le misure per aumentare la raccolta differenziata. Queste sono le vie, anche normative, attraverso cui bisogna procedere.

  MIRKO BUSTO. So che non è vostra competenza, ma sull'impianto di Crescentino alcune notizie riportano che si sta utilizzando attualmente paglia di grano forse proveniente dal Sud Italia e cippato proveniente da un'area ampia.

  GIOVAN BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE. A me non risulta.

  MIRKO BUSTO. Nel piano di approvvigionamento era previsto di usare la arundo donax, ma attualmente ci sono problemi di approvvigionamento. Normalmente, bisogna porre criteri ambientali stringenti di reperimento della biomassa, che prendano in considerazione, appunto, il ciclo di vita dell'approvvigionamento, quindi appunto la coltivazione, il trasporto e via discorrendo.

  GIOVAN BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE. Non a caso, abbiamo chiesto una normativa generale su questi temi.

  ALESSANDRO CAFFARELLI, Membro del comitato di gestione del Coordinamento FREE. Riguardo al fotovoltaico, i 18 gigawatt di produzione incentivata sono stati utili al sistema industriale italiano anche per costruire un serbatoio di professionalità e competenze che ci hanno dato la Pag. 14possibilità di esportare in questo momento il nostro know how in altri Paesi, come in America latina.
  Dall'estero hanno chiesto alle piccole e medie imprese italiane competenze nella progettazione di impianti e stiamo parlando di un mercato che al 2020 prevede la realizzazione di 20 gigawatt fotovoltaici e 18 eolici. Hanno chiesto, dicevo, alle piccole e medie imprese italiane, non a industrie pesanti, servizi ingegneristici e di mettere a disposizione del mercato estero le competenze che in Italia sono state realizzate grazie anche a diversi sistemi incentivanti che hanno determinato la realizzazione di 18 gigawatt fotovoltaici.

  PRESIDENTE. Questo è un dato molto interessante. Gradiremmo, se fosse possibile, su questo una breve nota.

  ALESSANDRO CAFFARELLI, Membro del comitato di gestione del Coordinamento FREE. Il gestore di servizi energetici su questo argomento ha costruito un sistema ad hoc coerente che sta aggregando piccole e medie imprese italiane, le quali stanno cominciando a lavorare all'estero, in questo momento soprattutto in Brasile, in Argentina e in Arabia Saudita.

  PRESIDENTE. Sapevo che nel settore degli inverter abbiamo una penetrazione abbastanza forte. Oggi si forniscono inverter ai più grandi impianti fotovoltaici. Ma queste informazioni non le conoscevo.

  ALESSANDRO CAFFARELLI, Membro del comitato di gestione del Coordinamento FREE. Invieremo una nota ad hoc.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo e aspettiamo la documentazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del prof. Riccardo Pietrabissa, presidente del Network per la Valorizzazione della Ricerca Universitaria (Netval).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione del professor Riccardo Pietrabissa, presidente del Network per la valorizzazione della ricerca universitaria (Netval).
  A noi interessa, in quest'indagine sulla green economy, capire da voi come si sta muovendo il settore delle start-up e, in ogni caso, il rapporto tra università e sistema di imprese sul fronte delle nuove prospettive economiche. So che, da questo punto di vista, siete uno snodo interessante.

  RICCARDO PIETRABISSA, Presidente Netval (Network per la valorizzazione della ricerca universitaria). Ringraziamo, anzitutto, per l'invito delle due Commissioni congiunte. Sono qui come rappresentante del sistema del trasferimento tecnologico e della valorizzazione della ricerca. Sono presidente di quest'associazione di università, su cui spenderò alcune parole, e da questo partirò fornendovi un quadro di riferimento di come il tema green economy per il sistema della ricerca e dell'università sia di strategia del Paese. Lancerò, quindi, più che un tema di focalizzazione su alcuni argomenti, evidentemente rilevanti, ma di cui immagino che altri abbiano molto parlato, quello di nostro interesse della strategia rispetto a quest'ambito. Il professor Fava, che rappresenta l'Italia nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020, procederà a un focus tematico esemplificativo di questo tema.
  Consentitemi brevemente poche parole su Netval, un'associazione di università e di enti pubblici di ricerca, in tutto 59 soggetti. Rappresentiamo, quindi, largamente il sistema della ricerca italiano e ci occupiamo sostanzialmente della verifica di efficacia degli strumenti per portare a impatto economico, sociale e industriale i risultati della ricerca pubblica con i due principali strumenti del brevetto, con cui trasferiamo risultati delle ricerche ai proprietari, e delle start-up innovative, di quelle partecipate dalle università. Abbiamo Pag. 15dieci anni di vita e tutti gli anni viene pubblicato un volume. Se siete interessati, vi farò avere il riferimento per scaricare l'ultimo rapporto da internet. Al suo interno è raccontato cosa succede in Italia su questo fronte. Vi riporto i numeri X Rapporto Netval sulla Valorizzazione della Ricerca Pubblica Italiana: oggi, le università italiane detengono un portafoglio brevetti cumulato di quasi 3.000 titoli, numeri non piccoli – anzi globalmente si tratta di numeri da grande industria – con una piccola nota per cui circa il 40 per cento è detenuto dalle top five, cioè dalle cinque maggiori università che rappresentano il 40 per cento del sistema universitario nazionale. Questo è indicatore del fatto che esiste una capacità di fare, ma ancora una necessità di diffusione dello strumento e del tema.
  Per quanto riguarda le società spin-off, un pezzo delle start-up italiane, quelle che nascono nella ricerca pubblica – poi ci sono tutte le start-up evidentemente con altre origini – questo è lo spaccato a fine 2012. Parliamo di 1.082 società nate nelle università italiane, quindi un numero certamente non piccolo – tenete presente che le prime sono nate nei primi anni 2000, quindi circa 10 anni di vita – che sono ovviamente distribuite secondo settori in cui l'ICT, quello a minor rischio di investimento, la fa da padrone. Vedete, però, l’air science, che sicuramente ha un tema legato anche al green, energia e ambiente e quant'altro.
  Questi sono solo numeri, non il tema della riunione di oggi, ma mi sembrava giusto darvi un'idea che esiste nel sistema pubblico italiano un tentativo di dare riscontro al sistema dell'investimento pubblico rispetto alla creazione di valore.
  Per quanto riguarda il tema specifico della green economy, non vi ripeto cose che sicuramente sono già state dette e di cui siete a conoscenza, ma è un tema di livello e di valore internazionale, che presenta alcuni punti chiave che a noi interessano, e cioè lo sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà e l'assetto istituzionale di una governance per lo sviluppo sostenibile.
  Rispetto a molti altri, per noi quello della green economy è un tema di sistema e non di specifica. Chiaramente, esiste anche un'ipotesi di investimento molto importante solo, per esempio, per riconvertire l'economia tradizionale. La logica che sta dietro, quindi, è più complessa di quanto non possa apparire.
  Sicuramente, avete già visto tutte le informazioni di OCSE. Terrei a sottolineare la produzione di posti di lavoro che la green economy prospetta, soprattutto nei lavori ad alta formazione. Come probabilmente sapete, negli Stati Uniti si dice oggi che l'assunzione di un dottore di ricerca da loro produce quattro posti di lavoro normali.
  Dal punto di vista del dimensionamento economico globale – credo che anche questi siano dati che forse già conoscete – si prospetta, da qui al 2020, un aumento di valore di mercato del 55 per cento globale, anche se possiamo osservare le differenze sui vari ambiti in cui il tema green è declinato.
  A livello nazionale, come sapete, sono state già effettuate molte ricerche per individuare gli ambiti di applicazione del tema green. L'anno passato, gli Stati Generali hanno prodotto una serie di documenti che credo abbiate. Quest'anno, sono due i documenti di riferimento, che ho anche inviato insieme alla relazione, e cioè la roadmap per la green economy e il pacchetto di misure proposto per creare il cosiddetto green new deal per l'Italia.
  Vengo ora alla vision del sistema della ricerca. La green economy è spesso declinata per ambiti applicativi, quindi si fa molto riferimento ad alcune questioni che qui sono ricordate: agricoltura, alimentazione, ambiente, energia, materie prime, rifiuti e quant'altro.
  Nella nostra vision, questi singoli aspetti devono essere integrati in un unico progetto. Oggi, l'investimento nel settore green è per noi di tipo culturale, con l'idea che investimenti settoriali possano non avere efficacia rispetto a quella che, invece, può venire da un approccio di tipo sistemico.Pag. 16
  In questo senso, se guardiamo al green come a uno dei motori di possibile sviluppo, riteniamo che questo sia possibile – lasciatemi dire – in via esclusiva se visto come approccio culturale, quindi di integrazione di aspetti. A livello di Paese, questo significa entrare direttamente nei piani strategici dei diversi ministeri competenti in modo integrato, non pensando più a una ricerca green e a un'industria che non lo è, ma cercando di integrare l'ambito green nei suoi vari aspetti.
  L'altro ambito d'integrazione è quello dei ruoli dei possibili attori. Sicuramente, l'università, il sistema pubblico della ricerca e dell'alta formazione è rilevante perché sia la cultura green sia la ricerca si formano in quest'ambiente. Parlo di alta formazione e di ricerca perché sono ambiti con un orizzonte di medio periodo: ciò che si investe oggi in cultura, formazione e ricerca ha una ricaduta di medio periodo, quindi è strategico in senso stretto. Sono le istituzioni da cui, ovviamente, ci aspettiamo sia indirizzo sia regole e le imprese.
  Non vorrei trascurare alcuni ingredienti fondamentali: sicuramente, il sistema finanziario, che sul green deve giocare, secondo me, un ruolo importante, nella società. Esiste una partecipazione sociale rispetto a questi temi che, a mio avviso, è assolutamente centrale. In tal senso, ovviamente la formazione ha una ciclicità rispetto alla società che risponde.
  L'ultima mia slide riguarda un'ipotesi progettuale che, come sistema della ricerca, da tempo studiamo, non solo in quest'ambito, che però è caratteristico. Il sistema della green economy vede tre ambiti importanti.
  Il primo è quello strategico, che ovviamente ha ricadute di medio e lungo periodo e che ho già, in qualche modo, descritto. Riguardano la cultura, e quindi la formazione, che ha come ricaduta immediata il sistema dell'occupazione di alto profilo. Non parlo volentieri dei giovani brillanti che vanno all'estero, ma il tema della formazione su cui l'investimento è importante deve avere necessariamente ambiti di occupazione strategica per il Paese e non occasionale, per cui ognuno cerca il suo.
  Il secondo è il tema dell'integrazione non solo di temi ma anche di attori su quest'ambito, perché secondo noi si possono mettere a sistema sicuramente i valori di conoscenza di cui disponiamo.
  Il terzo, infine, riguarda gli investimenti perché senza investimenti queste operazioni non sono possibili. Non ritengo si tratti semplicemente di un maquillage, ma di un reale investimento con attesa di ritorno.
  Venendo alle opportunità per l'Italia, secondo noi, oggi il nostro Paese può essere un laboratorio europeo su molti temi green, per cui la nostra proposta è di non considerarci in attesa che qualcuno ci dica se possiamo avere un pezzettino. Dovremmo essere un laboratorio europeo. A mio avviso, molti laboratori europei potrebbero investire in Italia su questo tema perché esistono delle condizioni di conoscenza territoriali e di capacità per cui il green è un tema italiano.
  A mio avviso, infine, dobbiamo essere in grado di definire un progetto. Siamo disponibili, se lo ritenete, a farvi avere una bozza di progetto green per il Paese. Col permesso del presidente Realacci, lascio la parola al professor Fava.

  FABIO FAVA, Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020. Integrerò la relazione del collega portando qualche elemento più specifico. Come sapete molto bene, promuovere la green economy significa promuovere tanti segmenti produttivi in questo momento tra loro non integrati, naturalmente attraverso ricerca e innovazione, aggregazione tra accademia e industria e così via.
  I segmenti sono l'agricoltura e le foreste, dove c’è molto da fare, come aumentare la fertilità, utilizzare le aree non attualmente utilizzate, tecniche di coltivazione che possono favorire la produzione di biomassa primaria, eccetera.
  Vi è, inoltre, tutto il tema della gestione delle risorse idriche. Dobbiamo utilizzare meno queste fonti e garantire la loro Pag. 17purezza, la possibilità che siano utilizzate per l'acquacoltura e anche, naturalmente, per altro, come la produzione di energia.
  Ancora, è necessario mantenere il mare in salute, utilizzarlo per produrre energia, ma non solo.
  Poi c’è l'industria alimentare che è un settore estremamente importante nel nostro Paese e, come sapete, fa 130 miliardi di turn-over e, dove necessario, di sostenibilità, di processo e anche quindi qualità dei prodotti.
  Quanto al grande tema delle bioraffinerie, stanno prendendo piede, vedono l'utilizzo di biomasse dedicate, ma anche di sottoprodotti, scarti della lavorazione dell'industria alimentare, dell'agricoltura nonché materiale organico di altro tipo come materia prima per produrre composti biobased materiali e anche biocombustibili.
  Dobbiamo, inoltre, lavorare sulle nostre città, come avrete sentito da relazioni precedenti, dove c’è molto da fare, gestione dell'acqua, efficienza energetica delle abitazioni, gestione dei rifiuti e via discorrendo.
  Nella nostra industria convenzionale, inoltre, deve essere aumentata l'efficienza energetica, l'efficienza nell'utilizzo delle risorse, la necessità che questa lavori sui suoi prodotti, i suoi rifiuti utilizzandoli come materia prima.
  Sono settori, anche se questi sono solo alcuni aspetti, al cui interno bisogna lavorare, ma soprattutto con un quadro di integrazione perché siano valorizzate le risorse naturali, le biodiversità, le risorse naturali a disposizione, riducendo complessivamente l'impatto ambientale, le emissioni di CO2, ma, soprattutto, creando delle filiere di valore più lunghe che possano portare opportunità di mercato e occupazione.
  In Italia, stiamo lavorando su più di un fronte, ma siamo particolarmente forti su quello delle bioraffinerie, dove componiamo sicuramente un'eccellenza europea con diverse attività in corso, che illustrerò, con risultati e obiettivi. Una bioraffineria è sostanzialmente una raffineria che lavora sulla biomassa o su sottoprodotti della lavorazione di biomasse di diverso tipo, cercando di ottenere composti chimici, materiali e combustibili. Sostanzialmente, si tratta di destrutturare la materia prima per ottenere macromolecole di diverso tipo, più piccole, che possano essere raccolte in maniera selettiva e impiegate nell'industria alimentare, cosmetica e chimica. Da ciò che viene sottratto da questo cocktail di molecole si possono ottenere molte altre molecole e molto più sofisticate impiegando diverse tipologie di processo, biologico ma anche chimico, per arrivare ai fine chemicals, molecole ad altissimo valore prodotti in piccole quantità, giù fino ai bulk chemicals che valgono poco, ma sono generati in grossi volumi.
  È una lunga lista, che non leggerò, ma tutte queste molecole sono sovente nuove, biobased. Il carbonio è naturale, non viene da petrolio, per cui rivestono grande interesse nel settore alimentare, farmaceutico, cosmetico, chimico, tessile e dell'energia.
  Questo è lo spaccato di una bioraffineria, in buona sostanza una facility che, da un lato, riceve biomasse o sottoprodotti dell'agroindustria o altri scarti organici e, dall'altro, vede l'uscita di una quantità di molecole chimiche, biomateriali, biocombustibili, acqua e così via.
  Quest'impianto ha un potentissimo impatto favorevole sull'ambiente perché produce molecole bio, quindi più biodegradabili e più biocompatibili, con processi ad alta efficienza e selettività e a partire non da petrolio inquinante e costoso, ma da biomasse e materiale cresciuto e prodotto consumando CO2.
  Complessivamente, quindi, è un impianto particolarmente importante da questo punto di vista e lo è notevolmente, come sta succedendo in Italia in più posti, se questo schema è calato bene sul territorio, secondo il concetto che tutti conosciamo di Catia Bastioli messo in campo già da molto tempo. Si utilizzano le biomasse del luogo e si producono prodotti che impattano su tanti settori industriali utilizzati sul territorio.
  Questo schema valorizza anche la biodiversità, le aree marginali, e quindi le Pag. 18aree rurali e le aree minori. Inoltre, è anche una grande opportunità di mercato. Il mercato delle molecole biobased e dei materiali è cresciuto di tre volte, a livello mondiale, negli ultimi cinque anni ed è destinato, secondo dati OCSE, a crescere di un volume altrettanto grande nei prossimi anni. Quindi è realmente una grande opportunità che l'Italia sta cogliendo al meglio.
  Qui avete una mappa in cui sono riportati i vari insediamenti dove abbiamo impianti pilota o a piena scala, portati avanti da Versalis, Novamont, Mossi & Ghisolfi e qualche altra realtà, come Roquette francese, che si è insediata anche da noi.
  A destra, avete una lista di risultati. È stato investito oltre un miliardo di euro di fondi privati da queste aziende per far partire alcuni impianti in piena scala, come quello di butanolo in Piemonte. Sotto vedete dati che riguardano i giovani ricercatori assunti, gli investimenti destinati a crescere, quest'intimità tra pubblico e privato e, da ultimo, il fatto che in Italia queste strategie sono addirittura impiantate in aree dismesse o in difficoltà, come Porto Torres, uno degli esempi pilota più interessanti. Si tratta, peraltro, di esempi mappati anche dall'OCSE per le bioraffinerie, così acquisendo un doppio valore: non solo dei vantaggi di cui sopra, ma anche per il mantenimento in attività dei siti industriali dismessi o in crisi. Nei siti in cui sono state realizzate riconversioni si cerca di salvare circa 1.500 posti di lavoro.

  PRESIDENTE. Riceveremmo volentieri ulteriore materiale che aveste da fornirci per il nostro lavoro.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MIRKO BUSTO. Vi ringraziamo per la presentazione. Pensavo allo schema illustrato precedentemente e mi veniva in mente quest'obiezione. Ovviamente, le emissioni di gas serra non sono soltanto CO2, ma sono considerate CO2 equivalente. Pensiamo, per esempio, al monossido di azoto. In quel caso, l'assorbimento da parte delle piante non rende il bilancio neutrale. Questo vale per una serie di altre emissioni inquinanti, come quelle che provocano atrofizzazione.
  Si vedeva benissimo l'acqua lì vicino e, in caso di coltivazioni, il dilavamento dell'azoto. In ogni caso, però, ritengo che si possa pensare che le coltivazioni per biomasse utilizzino, come si vede anche dallo schema, fertilizzante, che può essere l'ammendante, ma pensiamo anche alla fertilità del suolo ragionando sul lungo periodo. Questa, infatti, è funzione della fertilizzazione. Ovunque assistiamo al fenomeno della perdita di fertilità a opera di utilizzo di fertilizzanti minerali.
  Unendo a queste considerazioni un'ultima sulla ricchezza ecologica, la biodiversità, un altro parametro che non ho visto considerato in questo tipo di analisi – capisco che sia un'analisi semplificatoria per spiegare un processo – ma gradiremmo qualche ulteriore informazione su questo.

  ALESSANDRO BRATTI. Rivolgo nuovamente la stessa domanda che ho fatto nella precedente audizione, per sentire anche la sua opinione. Anche lei, giustamente, quando ha parlato bioraffineria, ha affermato che deve essere calata nella realtà. Da un punto di vista proprio di sostenibilità ambientale in senso generale, il tema della filiera corta è sempre vantaggioso rispetto alla scala, alle dimensioni e alla sostenibilità economica che deve avere un impianto di questo genere ?
  Tenga presente, peraltro, che io non sono assolutamente contrario anche, eventualmente, ad importare biomassa dall'esterno, se di una certa tipologia, perché credo che può essere assolutamente sostenibile se rientra in un progetto più complessivo.

  DAVIDE CRIPPA. La proposta è quella di uno scenario: arrivare a una riduzione dei combustibili fossili, quindi in qualche modo un obbligo europeo di biocarburanti al 2020. In che modo, secondo voi, si può riuscire a metterlo in pista senza dover Pag. 19importare biocarburanti dall'estero ? Inoltre, con i progetti che stanno partendo, come quello di Porto Torres, in realtà possiamo – anche se che mi sembra che non facciano biocarburanti al posto di lubrificanti – partire con un rilancio di questo settore e vedere se quell'obiettivo per noi è perseguibile con le nostre risorse o dovremo, purtroppo, fare quello che dal punto di vista della sostenibilità e delle emissioni di CO2 non è il massimo, cioè importare biocarburanti dall'estero, con tutte le criticità derivanti dalla deforestazione e quant'altro ?

  FABIO FAVA, Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020. Provo a rispondere a tutte e tre domande. Vi ringrazio per il primo commento. Se avessi avuto tempo, vi avrei dedicato il giusto spazio. Parlavo semplicemente di aumentare la resa nelle produzioni di materia prima, ma ovviamente tutte le questioni che sono state evidenziate dai deputati sono rilevantissime. Sicuramente, delle strategie per ridurre l'impiego di agenti chimici dei chemicals impiegati adesso sono assolutamente necessarie. Non è facile gestire interamente l'azoto e i suoi prodotti chimici derivati. Una parte della fissazione di questi agenti può avvenire a livello, appunto, di messa a punto di colture dedicate, ma soprattutto di tecniche di coltivazione adatte e sostenibili. Tuttavia, rimane in parte aperto il problema dei gas di azoto e degli altri gas con questa responsabilità, ma è sicuramente un grosso passo in avanti rispetto a quello attualmente adottato su questo fronte. C’è molto da lavorare e, come sottolineava il professor Pietrabissa in apertura, siccome sono il delegato della professoressa Carrozza in Horizon 2020 proprio per queste tematiche, posso dire che si sta investendo molto in termini di ricerca in agricoltura che vada proprio in questa direzione.
  L'Europa sta investendo molto, ma non si risolve così completamente tutto il problema dei chemicals, che hanno impatto in atmosfera. Uno degli aspetti più importanti, però, per esempio, è che nella cosiddetta Societal Challenge 2, dove io lavoro, è data priorità sull'ambito dell'agricoltura, ignorato – o non troppo sostenuto – nel precedente programma quadro.

  ALESSANDRO BRATTI. Si può avere documentazione al riguardo ?

  FABIO FAVA, Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020. (Gliela faccio avere, senza difficoltà. La risposta, quindi, è a metà ed è questa.
  Quanto a filiera lunga e corta, parlavo prima di filiera lunga sul posto, quindi una filiera corta più lunga. Se per filiera lunga si intende l'importazione di biomasse, non era questo quello che intendevo. Il concetto di bioraffinerie vince quando si utilizza la biomassa del luogo, creando in zone non più coltivate la possibilità di coltivare biomasse, si utilizza quelle e sullo stesso luogo sono impiegati e valorizzati i prodotti della bioraffineria. La filiera corta è sinergica, mette a sistema, e quindi può dare il meglio, anche perché le materie prime possono degradarsi.

  ALESSANDRO BRATTI. È sempre possibile, per le dimensioni di una bioraffineria e per una sua sostenibilità economica, individuare in un Paese come il nostro una realtà locale tale da poter costituire biomassa utilizzabile con continuità ?
  E ancora: cosa ci sarebbe, da un punto di vista di sostenibilità ambientale, di così negativo se una parte di quel materiale che può essere utilizzato per ottimizzare il ciclo può venire da altre parti ?

  FABIO FAVA, Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020. Non c’è dubbio. Dipende dal contesto. Con biomasse intendiamo anche sottoprodotti e scarti. Mettendo assieme la disponibilità di questi sottoprodotti, che peraltro possono rappresentare una criticità perché spesso vanno in discarica con problemi enormi di costo di gestione e d'inquinamento, con colture non alimentari della zona, molto spesso si riesce a mantenere in piedi una bioraffineria e a farla lavorare Pag. 20nel tempo, durante l'anno, anche se le produzioni sono stagionali. C’è margine per questo. In qualche scenario può essere conveniente fare questo, però, insisto, più si fa sistema utilizzando biomassa del luogo e meglio è perché il beneficio si spalma e si crea un'opportunità di lavoro.
  L'ultima domanda era sui biocarburanti. È un argomento molto dibattuto. La sostenibilità di alcune filiere di questo tipo oggi è un po’ messa in discussione, come sapete molto bene. L'Italia, sicuramente, quanto a biomasse ha sufficienza per alcune operazioni, ma non credo possa averne a sufficienza per le grandi produzioni di combustibile. Questa è la mia personale opinione.

  PRESIDENTE. Se può consolarla, professore, oggi la Commissione Ambiente, ha approvato una risoluzione che chiede al Governo di operare per abbassare al 5 per cento il limite europeo, attualmente oggetto di trattativa, del consumo finale di energia da biocarburanti nel settore dei trasporti entro il 2020. Livelli superiori a questo, sarebbero per noi troppo alti per l'Italia e avrebbero controindicazioni ambientali notevoli.

  FABIO FAVA, Rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020. Fare della chimica: prodotti di composti chimici e materiali vale molto di più che fare combustibili. I composti valgano molto di più rispetto a un combustibile. La bioraffineria parte dai composti di lusso, i fine chemicals sono i primi prodotti: su quello che rimane si fa il biocombustibile, che vale molto meno, quindi hanno senso raffinerie che vanno verso i chemicals e i materiali.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo e aspettiamo ulteriori suggestioni.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Enel e della Fondazione Centro Studi Enel.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Enel e della Fondazione Centro Studi Enel.
  Come sapete, abbiamo lasciato a voi, come a tutti gli auditi, la facoltà di inviare alle Commissioni tutto il materiale ritenuto utile, ma vi abbiamo anche chiesto di avere un abstract, in questo caso due – uno per la Fondazione e uno per la società Enel Spa, al massimo di cinque cartelle, in maniera che tutti i colleghi possano avere a disposizione il materiale per poterlo usare nel prosieguo dei lavori.
  Non tolgo altro tempo perché alle 16.30 dovremmo concludere la vostra audizione. Se conterrete la vostra esposizione, potremo dare spazio anche alle domande dei deputati.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Nel caso in cui non rimanesse tempo per rispondere alle domande, i nostri ospiti sono disposti a rispondere per iscritto ?

  GIANLUCA COMIN, Direttore relazioni esterne Enel. Sicuramente, la relazione non sarà esaustiva di tutte le vostre esigenze di approfondimento, per cui siamo disponibili a tornare in audizione, a mandare documentazione alle Commissioni e ad incontri one to one nel caso riteniate necessario approfondire i diversi temi.
  Brevemente, negli ultimi anni Enel è diventata una multinazionale globale. Siamo presenti in 40 Paesi con circa 61 milioni di clienti suddivisi tra Europa e America latina. Abbiamo oltre 100.000 megawatt di capacità installata e poco meno del 50 per cento di questa è carbon free. La dimensione del gruppo è, quindi, internazionale, un mix di generazione ampiamente diversificato, un piano di investimenti di oltre 27 miliardi in 4 anni, che caratterizzano la dimensione del gruppo oggi, circa 64.000 dipendenti.
  Concentrandoci, però, sul tema dell'audizione, cioè cosa siamo in termini di rinnovabili. Oggi Enel, in termini di produzione di energia rinnovabile, è la numero uno al mondo. Vedete, a destra della chart, 84 terawattora prodotti attraverso Pag. 21tutte le filiere tecnologiche oggi disponibili, quindi acqua, vento, sole, geotermia, vedremo anche in quali campi della ricerca.
  La leadership nella generazione delle rinnovabili rappresenta per noi un vantaggio competitivo in uno scenario di rapida crescita delle rinnovabili nel mondo. L'Agenzia internazionale stima che entro il 2015 le fonti rinnovabili diventeranno la seconda più grande fonte globale di produzione di energia elettrica e, dal 2035, affiancheranno il carbone come la prima fonte di produzione.
  In Europa, in particolare, le fonti rinnovabili stanno sperimentando, come sapete, un vero e proprio boom. Nell'ultimo decennio è aumentato il loro peso sul mix di generazione europeo di ben 5 volte. Erano il 2 per cento nel 2000 e oggi sono a circa l'11 per cento. Inoltre, ben il 70 per cento della nuova capacità costruita in Europa negli ultimi 10 anni è rinnovabile.
  È un trend che sta cambiando profondamente il sistema energetico e lo sta trasformando da modello unidirezionale, che abbiamo vissuto fino a pochi anni fa, grandi centrali, linee di trasmissione e distribuzione e case di consumatori, a un modello bidirezionale orientato al cliente.
  Oggi, l'energia è prodotta in maniera crescente da impianti di piccola taglia da fonti rinnovabili, distribuiti capillarmente su tutto il territorio. La rete sta, quindi, cambiando profondamente la sua caratteristica, non trasferisce più elettroni da una grande centrale verso un consumatore, ma deve essere capace di bilanciare la produzione esistente con la produzione dei singoli cittadini, siano essi famiglie o piccole imprese, in un equilibrio dato anche dalla disponibilità della risorsa: quando c’è il sole, si produce; quando c’è il vento, si produce; quando non c’è il sole o il vento, viene a cadere la produzione di energia, per cui la rete sempre più deve essere intelligente.
  Il consumatore stesso sta cambiando la sua attitudine. Non è più un cliente che compra energia pagandola come un utente a tariffa, ma diventa sempre più quello che noi definiamo un «prosumer», cioè un produttore e consumatore. La sua attenzione al costo dell'energia della bolletta accompagna, quindi, sempre di più anche un'attenzione a come è immessa in rete l'energia prodotta dal suo impianto fotovoltaico, dal suo minieolico, dai suoi impianti rinnovabili.
  L'altro capitolo emergente sul quale Enel è già molto presente è il tema dell'efficienza energetica, dove nuovi servizi si stanno rendendo disponibili ai consumatori, che sono sempre più responsabili e che sempre più richiedono alle aziende venditrici di energia un valore aggiunto dato da sistemi di risparmio e di efficienza del proprio consumo.
  Infine, ancora a livelli iniziali, ma sempre più, si sta affermando la diffusione della mobilità elettrica. Si tratta di un impegno che, non come produttori di auto ovviamente, ma come installatori di colonnine di ricarica e di abilitazione della rete alla ricarica delle auto elettriche, ci sta vedendo impegnati in Italia e in molti Paesi del mondo, tra cui la Spagna, il Brasile, il Cile, tutti Paesi che stanno investendo in termini anche di risorse abilitanti (con bonus per l'acquisto di auto o facilitazioni ai centri storici per chi usa l'auto elettrica) e dove si sta facilitando la diffusione dell'auto elettrica tra i cittadini.
  Innovare in questo contesto, molto modificato rispetto a pochi anni fa, è un imperativo per tutte le utilities che vogliono restare competitive e mantenere una loro leadership. Per farlo, occorre mantenere saldo un presidio sull'evoluzione delle tecnologie e dei nuovi modelli di business dei servizi orientati al cliente.
  Passiamo, quindi, ad illustrare il nostro punto di vista sull'evoluzione delle rinnovabili e dell'efficienza energetica.
  Per quanto riguarda le rinnovabili, l'evoluzione tecnologica ha fatto sì che i costi di produzione del megawattora delle rinnovabili tradizionali siano scesi in maniera drastica. Continueranno a farlo, raggiungendo quel sogno che tutti hanno posto in cima al loro obiettivo della green economy della grid parity, cioè la possibilità di investire senza bisogno di sussidi.
  Le tecnologie stanno migliorando in termini di efficienza e di qualità e tutte, Pag. 22dal fotovoltaico alle biomasse, si avvicinano velocemente a questa grid parity, che ovviamente è di tipo flessibile. In alcune parti del mondo, per esempio le più ventose, come il Brasile e il Messico, la grid parity è già una realtà affermata all'attuale stato della tecnologia degli impianti eolici; d'altro canto, nelle zone più assolate del mondo già si possono installare impianti fotovoltaici a grid parity. È molto importante, quindi, in termini di policy, la decisione di spingere le rinnovabili dove le risorse esistono, per cui è abbastanza poco equilibrato investire o spingere le rinnovabili fotovoltaiche dove ci sono poche ore di assolazione perché richiederebbero grossi incentivi per essere sviluppate.
  Ecco secondo noi quale sarà la discesa del prezzo della tecnologia dal 2011 al 2020: per il fotovoltaico scenderà del 66 per cento il costo, quindi anche prima probabilmente si arriverà al pareggio di costo. Enel Green Power è impegnata, ovviamente, non solo nell'installazione e produzione di energia rinnovabile, diciamo così «da fonti tradizionali», ma stiamo guardando con molta attenzione anche alle tecnologie più avanzate, quelle oggi in fase sperimentale, e a soluzioni che possano migliorare l'efficienza e le performance degli impianti esistenti. Abbiamo, ad esempio, installato in Nevada un primo prototipo di accoppiamento della geotermia con il solare per rendere più efficiente e maggiormente produttivo l'impianto geotermico. Ancora, stiamo lavorando all'utilizzo delle maree e del moto ondoso con un impianto da 150 KW, che è stato messo in atto qualche mese fa in Toscana. Siamo i primi produttori di pannelli solari italiani attraverso la fabbrica che a Catania abbiamo realizzato in joint venture con la Sharp e con la STMicroelectonics. Oggi, i nostri pannelli sono venduti non solo sul mercato italiano, ma sul mercato europeo e non solo perché abbiamo vinto una gara in Sud Africa di 500 Mw per un impianto che sarà realizzato coi pannelli realizzati a Catania.
  Dobbiamo guardare con attenzione a un fenomeno in termini di green economy, cioè quello dell'energia distribuita, energia prodotta da impianti di tagli inferiori ai 5 megawatt, che sta realizzandosi sempre più, soprattutto nel mondo occidentale e che contribuisce a questo mutamento di paradigma delle energie di cui ho parlato.
  È un fenomeno particolarmente sentito soprattutto in Europa, dove le unità di generazione di piccola taglia sono cresciute nell'ultimo decennio di circa 7 volte. Nel medio periodo, si assisterà anche a una diffusione sempre più massiccia di sistemi di storage, cioè di batterie di piccola taglia abbinate al fotovoltaico, che potrebbero diventare una realtà commerciabile già a partire dal 2020.
  L'integrazione di queste tecnologie, cioè la microgenerazione e lo stoccaggio di energia, è alla base delle microgrid, microreti, a oggi sono ancora a livello prototipale nel mondo. Si parla di circa 300 impianti di microreti a livello mondiale, ma pensiamo che possano, nell'ultima fase di sviluppo di questo modello, essere sempre più diffuse. In termini di microgenerazione, fornirei un piccolo dato: a oggi, in Italia sono installati e connessi alla rete principalmente di media tensione, ma anche di alta tensione, circa 550.000 impianti rinnovabili. La maggior parte sono, ovviamente, fotovoltaici e, come vedete da questa slide, c’è stata un'esplosione dal 2011 a oggi. Tutti sono connessi alla rete, funzionano e hanno trovato nell'equilibrio della rete di distribuzione di ENEL una possibilità di equilibrio di produzione dell'energia rinnovabile.
  Dicevo dell'innovazione. Certamente, questo nuovo sistema energetico richiederà una rete elettrica sempre più protagonista, evoluta, intelligente (smart grid), in grado di trasmettere dati oltre che elettricità e gestire flussi di energia bidirezionali. L'Italia parte in vantaggio perché abbiamo installato, nel decennio ultimo, in tutte le case italiane il contatore elettronico, che è il fattore abilitante di questa rete, che richiederà comunque nei prossimi anni ingenti investimenti. Stiamo lavorando a prototipi interessanti in molte Pag. 23parti d'Italia, da Bari a Isernia, a Reggio Emilia, a Bologna, a Genova, che stanno già mostrando la loro funzionalità.
  Ancora in termini di innovazione, sull'efficienza energetica cambierà l'offerta delle utilities: non saranno più solo fornitori di elettricità, ma fornitori di servizi a valore aggiunto nelle case degli italiani, dalle pompe a calore, alle cucine a induzione, all'illuminazione a led fino all'auto elettrica. Sono oggetti di studio in centri di ricerca diffusi in tutta Italia e concentrati su varie tipologie, che vanno dall'efficienza degli impianti alle questione ambientali, alle nuove rinnovabili.
  In ricerca prevediamo di investire nell'arco di piano, cioè da qui al 2017, oltre 300 milioni, ai quali si aggiunge un progetto di sostegno a start-up nel campo dell'energia e dell'ambiente, cui destiniamo circa 15 milioni di euro in 3 anni.
  Col permesso del presidente, lascio adesso la parola adesso ad Alessandro Costa, direttore del Centro studi Fondazione Enel.

  ALESSANDRO COSTA, Direttore Fondazione centro studi Enel. Buonasera. Vi ringrazio per l'invito. Probabilmente, pochi di voi hanno sentito parlare della Fondazione centro studi Enel. Siamo attivi soltanto da un anno e mezzo. Siamo un'istituzione senza scopo di lucro, dedicata fondamentalmente a tre attività: allo sviluppo di studi e ricerche, alla creazione di iniziative di alta formazione e a tutte le attività di divulgazione prevalentemente riferite ai nostri studi. Tutto ciò avviene sul mondo delle dinamiche dell'energia, con degli sguardi a tematiche di carattere socio-economico, sviluppo sostenibile e all'impatto dell'innovazione sulla società. Ci interessa molto intercettare, e quindi sviluppare, le nostre attività di concerto con le istituzioni della ricerca, segnatamente con le università. All'interno di questo quadro, abbiamo recentemente prodotto un primo rapporto di uno studio sullo stato e le prospettive dell'efficienza energetica in Italia, che stiamo compiendo assieme al Politecnico di Milano, di cui ho portato una serie di copie che vi lascerò alla fine di questa presentazione.
  Lo studio condotto vuole analizzare il potenziale di sviluppo della filiera nazionale dell'efficienza energetica e come questa impatti in termini di crescita del prodotto interno lordo, di occupazione, di contenimento delle emissioni degli inquinanti, di risparmio energetico e anche di risparmio economico.
  Gli obiettivi dell'analisi che svolgiamo rappresentano la trasposizione di una serie di assi principali relativi alla strategia energetica nazionale. In realtà, lo studio (di cui la documentazione che vi presento rappresenta solo un primo rapporto) è ben più ampio e approfondirà, in una seconda fase, probabilmente pronta a fine febbraio dell'anno prossimo, tutte le filiere tecnologiche che vediamo in questo momento. Abbiamo, innanzitutto, costruito una classificazione delle principali soluzioni tecnologiche per l'efficienza energetica. Ne vedete una ventina, che abbiamo cercate di suddividere in base a due parametri. Uno è rappresentato dalla convenienza dell'investimento, ovvero se l'adozione di una nuova tecnologia e della sua gestione porti dei benefìci rispetto all'approvvigionamento energetico attraverso la fonte «tradizionale». Dall'altra parte, abbiamo condotto delle analisi in merito all'attuale diffusione sul mercato delle varie tecnologie con uno sguardo di prospettiva verso che cosa succederà. L'arco di tempo dell'analisi va dal 2012 fino alla prospettiva del 2020, per cui siamo allineati anche sulla tempistica.
  Mi soffermerò un secondo in più su questa slide a pagina 19 del documento consegnato (vedi allegato 1) perché offre già alcuni elementi. Eventualmente, passerò poi un po’ più rapidamente a descrivere le conclusioni. Tutta la parte verde individua quelle che si possono definire tecnologie diffuse e ci si chiede se in questo momento le cosiddette tecnologie diffuse siano in convenienza di investimento in assenza di incentivi. Sono tecnologie ad alto tasso di penetrazione già adesso, legato alla loro sostenibilità economica Pag. 24e anche al livello di maturitàin alto a destra. Nel quadrante in alto a sinistra, vediamo una minore convenienza dell'investimento attuale, ma vediamo tecnologie con tasso di penetrazione sempre alto, che però hanno bisogno di un regime incentivante che sopperisca in qualche modo alla competitività in termini di convenienza dell'investimento. Nella parte bassa del quadrante arancione, potete vedere tecnologie con un potenziale a medio e lungo termine Si tratta, da un lato, di quelle che hanno un basso tasso di penetrazione legato alla bassa maturità dello sviluppo, che lavorano ancora con un grosso potenziale di ricerca e sviluppo insito. Nel quadrante giallo, che approfondirò nelle prossime slide, abbiamo tecnologie con potenziale a breve termine sono quelle con una buona sostenibilità economica, ma in questo momento a basso tasso di penetrazione a causa di una serie di barriere all'adozione che sono forse l'elemento principale che abbiamo evinto attraverso lo studio. Qui avete una clusterizzazione delle diverse tipologie tecnologiche, in particolare nella tecnologia con potenziale a breve termine come le pompe di calore, le caldaie a condensazione, i sistemi di cogenerazione, sistemi ad aria compressa e le cucine a induzione. Alcune di queste si possono riferire a una serie di usi del comparto dell'edilizia residenziale.
  In quest'altra slide a pagina 21 avete, invece, lo schema di prima riproposto con una terza variabile, ossia il raggio di questi cerchi, che ne identifica o il potenziale di espressione di energia risparmiata o di energia prodotta attraverso fonti pulite nel 2020. Come vedete, una serie di tecnologie pesa più di altre e una volta in più abbiamo le caldaie a condensazione e le cucine a induzione, che fanno parte di quelle che, tra l'altro, in questo momento hanno il potenziale più interessante di sviluppo . Il peso è anche molto elevato per quanto riguarda le superfici opache nell'edilizia e le caldaie a biomassa con considerazioni diverse. A pagina 22 del documento consegnato vi è un approfondimento per le tecnologie a potenziale a breve termine: in questo momento, sembra che, in assenza di fenomeni «distorsivi», le barriere che poi saranno definite, ci sia una convenienza all'investimento per il futuro per pompe di calore e caldaie a condensazione, che pesano molto di più rispetto alle altre caratteristiche. Lo studio identifica una serie di barriere allo sviluppo dell'efficienza energetica, di tre tipologie: barriere culturali, ovvero proprio la mancanza di conoscenza e comprensione di quella che può essere l'utilità di spostarsi verso tecnologie a più alto contenuto di efficienza; barriere economiche, segnatamente l’entry level, l'investimento iniziale per l'adozione della tecnologia, ma anche dal punto di vista del presidio di un operatore di mercato, della non immediatezza nel contesto dei ritorni dell'investimento, per cui si cercano investimenti con un ciclo più breve di rientro; barriere normative, infine, su cui mi soffermo un po’ di più, che forse sono proprio il fulcro di tutto (pagina 23 del documento consegnato).
  La ridotta efficacia nell'indirizzamento di incentivi rispetto alla realtà dei fatti non ottimizza il sistema in termini di costi/benefici. Vedete le pompe di calore e le cucine a induzione riproposte a sinistra nel quadrante basso, dove le cose non funzionano, che sono state portate da destra tramite dei trattini. Con le strutture attuali di «tariffazione» progressiva, per cui l'uso dell'elettricità costa molto di più se in larga scala, questo sistema non incentiva l'adozione di pompe di calore, che invece si basano sull'alimentazione elettrica.
  Fornisco, infine, alcuni dati numerici molto incoraggianti: lo studio proietta due scenari di sviluppo a seconda delle traiettorie tecnologiche e la capacità del sistema di incamerare l'innovazione tecnologica anche attraverso la regolazione e gli scenari economici. In uno scenario di sviluppo moderatamente ottimistico, vediamo che al 2020 ci sarà un risparmio annuo di circa 50 milioni di tonnellate di CO2 e un risparmio energetico di circa 200 terawattora di energia. Cumulati, invece, dal 2012 al 2020, abbiamo l'espressione di un volume d'affari potenziale di oltre 350 miliardi Pag. 25di euro in Italia e circa 2,5 milioni di unità di lavoro annue che si impegnano su questo tema. La situazione è ancora più rosea per quanto riguarda lo scenario di sviluppo ottimo, dove ci interessa fondamentalmente vedere che il volume d'affari arriva a oltre 500 miliardi di euro, cumulato negli 8 anni, mentre le unità di lavoro superano i 3,5 milioni di ore.
  Tra l'altro, il 23,9 per cento, quindi un quarto di quel volume d'affari, è espresso fondamentalmente spingendo quelle tecnologie che vedevate nel quadrante in basso a destra, cioè quelle a breve periodo più promettenti e che sono, in realtà, anche quelle che hanno meno bisogno di una struttura di incentivi, per cui colpiscono il sistema Paese in maniera meno forte.

  GIANLUCA COMIN, Direttore relazioni esterne Enel. Arriviamo solo alle quattro conclusioni che credo siano importanti per i decision-maker. A nostro avviso, è certamente il tema della progressività della tariffa a poter imprimere un impulso a questo sistema di green economy, che per noi è rinnovabili ed efficienza energetica. Oggi, chi più consuma più paga a prescindere dal suo reddito. Una famiglia magari monoreddito, di cinque persone, che manda tante lavatrici perché ha tanti figli, paga più di un single che guadagna 300.000 euro l'anno. Questa è una struttura che impedisce l'uso efficiente dell'elettricità. Ancora, il passaggio da 3 kw, per esempio, a 5, necessari per sistemi di questo tipo, rappresenta un costo, mentre in nessuna parte del mondo o in poche parti del mondo si paga, laddove si paga invece il consumo, non la potenza installata. L'Autorità ci sta lavorando anche in maniera positiva, ma questo è un tema che oggi rappresenta un ostacolo alla diffusione dell'efficienza energetica nel Paese.
  Del secondo tema voi, in particolare, siete protagonisti: lo stop and go nell'incentivazione è un grande limite allo sviluppo di qualsiasi filiera. È meglio poco, costante e sicuro che la presenza di incentivi ad anni alterni. Gli stessi consumatori sono disorientati dalla possibilità di accedere a sistemi che godono di bonus o incentivi che spariscono, poi sono reintrodotti e così via. Ancora, un grande limite attuale è la diversità di iter autorizzativi da comune a comune. Per alcuni comuni, installare una caldaia non richiede un'autorizzazione, per altri nessuna. Anche questo è un vincolo allo sviluppo di questo tipo di filiera. Infine, non vorremmo che si commettesse l'errore commesso col fotovoltaico, che ha prodotto un grande sviluppo cinese senza nessuna ricaduta industriale a parte la nostra fabbrica in Sicilia. Lavorando per tempo e avendo una prospettiva anche media di sviluppo, si può lavorare affinché già un'industria presente in Italia, la manifattura legata alle caldaia, alle valvole e simili, possa svilupparsi di pari passo alla crescita del settore.

  PRESIDENTE. Purtroppo, è rimasto tempo solo per porre le questioni, per cui chiederemo delle risposte scritte.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Mi ha molto colpito il vostro riferimento alla possibilità di un mercato energetico con fonti rinnovabili non incentivate. Ritengo che questo comporti comunque grossi investimenti nel settore. Su questo profilo, vorrei capire chi si sta muovendo e conoscere la situazione degli incentivi.
  Il secondo aspetto che mi interessa, evidenziato nella slide a pagina 27 del documento in distribuzione, sono le barriere economiche. Oggi, chiunque si avvicini all'efficienza energetica, deve innanzitutto essere consapevole di anticipare il lavoro, risparmiare nel tempo, ma senza un'eccessiva liquidità attuale. Per le ESCo (Energy Service Company) si era pensato a forme esterne che garantissero il lavoro continuando a pagare per un certo tempo la bolletta similare con la differenza recupero.
  Siccome mi sembra che tutto ciò non stia avvenendo, è possibile che le grandi aziende abbiano la possibilità di praticare una moral suasion, anche rispetto all'ABI, Pag. 26per costruire un fondo di garanzia nel settore ? Secondo me, infatti, questo settore può davvero aiutare uno sviluppo italiano. È ancora qui che realizziamo le pompe di calore, le cucine a induzione.
  Sono assolutamente d'accordo sulla progressività che diventa assurda, un freno, ma credo che il punto fondamentale per far partire il settore sia capire come finanziarlo rispetto al terzo e al privato.

  DAVIDE CRIPPA. Vorrei separare le considerazioni su Enel, sulla Fondazione e sullo studio presentato, anche perché sono soggetti diversi. Sento che Enel si preoccupa delle rinnovabili, ma è per un ritorno economico. Forse abbiamo tralasciato in maniera impropria di ricordare che sul nostro territorio stiamo ancora subendo le conseguenze del problema della gestione delle centrali a carbone che avete in proprietà e in gestione. Starete anche cercando di giustificare delle ipotesi di carbone pulito, che però sono tutto tranne che qualcosa di sostenibile e di coerente con la green economy.
  In linea col concetto appena espresso, mi piacerebbe anche capire come si concilia l'orizzonte che avete delineato soprattutto con la generazione distribuita, e quindi con l'idea di andare verso una rete in grado di avere punti di produzione e di prelievo ubicati il più vicino possibile, con il fatto che state realizzando un elettrodotto Italia-Albania da 500 chilovolt e 500 megawatt, che in qualche modo interconnette Italia e Albania con una centrale a produzione a carbone. A questo punto, a me sembra che siano due ragionamenti completamente opposti, che viaggiano su due binari che non si incontreranno mai, a meno che non ci sia dietro una logica totalmente chiara e netta di fare utile e sfruttare questo meccanismo, ma mi piacerebbe che foste almeno chiari in questo senso.
  Tengo anche a precisare che, in realtà, tutti gli impianti sono allacciati, ma ci sono i famosi dispositivi di interfaccia per il distacco automatico, per cui è stato imposto che in periodi di sovrapproduzione alcuni impianti possono essere scollegati dalla rete per problemi di esigenza di distribuzione della rete stessa. Questo accade perché ancora oggi siamo in una gestione drammatica della rete. Soprattutto nella dorsale nel Sud, non c’è un potenziamento della stessa qualora qualcuno vi abbia pensato come a una necessità. Se andiamo verso la generazione distribuita, forse ci si dovrebbe concentrare su quelle tipologie e non, viceversa, andare verso un potenziamento nazionale dell'intera rete. E anche qui non ho capito, di nuovo, come si concilia questo scenario con la costruzione in Puglia dell'elettrodotto Italia-Albania.
  Anche sul contatore elettronico sono state fatte alcune affermazioni che, dal punto di vista pratico, un po’ da operatore un po’ da cliente interessato, non mi tornano, come se si trattasse di una divina panacea. Esistono infatti problemi di fatturazione ben chiari a chi ha un impianto fotovoltaico. Le comunicazioni tra voi e il GSE, Gestore dei servizi energetici, latitano, per cui non c’è una remunerazione chiara degli impianti, tanto è vero che il GSE fattura letture stimate e non letture certe. Questo è un problema di distribuzione e in molti casi da voi «coperto».
  Per la parte dello studio presentato, con lo schema verde a pagina 19, a sinistra si parlava del quadro tecnologie diffuse, che hanno sopperito alla scarsa sostenibilità: manca un aggettivo per sbaglio ? Ci si riferisce alla sostenibilità economica o a quella ambientale ? Sulla destra, infatti, troviamo la sostenibilità economica: questa diversità è, a mio avviso, prioritaria per capire se prima – credo, quindi, che ci si riferisca, nel tratto di sinistra, anche al solare fotovoltaico – il solare fotovoltaico non era considerato sostenibile dal punto di vista ambientale e oggi lo è diventato o se era soltanto una questione di sostenibilità economica.
  Sulla slide a pagina 21, vorrei approfondire le modalità di paragone. Vorrei capire in che modo sono state paragonate caldaie a biomassa e a condensazione. È ovvio che in tutta Italia ci siano nature diverse di gradi giorno e sistemi di riscaldamento diversi, ad alta temperatura, a Pag. 27bassa temperatura: qual è stato il criterio per cui sono state messe a confronto ? Immagino sia possibile avere la copia dell'intero studio, in maniera che questo sia facile anche da approfondire.

  SALVATORE MATARRESE. Sulle barriere normative, che trovo particolarmente interessanti – credo che questa Commissione possa davvero dare una mano a questo settore proprio intervenendoci – vorrei, se fosse possibile, che esplicitiate meglio come indirizzare gli incentivi al meglio, tenendo conto del posizionamento costi/benefici delle tecnologie. Vorrei, inoltre, che ci aiutaste a offrire un contributo reale dal punto di vista normativo per favorire lo sviluppo tecnologico abbinato agli incentivi.
  Vorrei anche sapere se potete esplicitare con maggiore dettaglio le difficoltà di accesso agli strumenti incentivanti e come possiamo aiutare a facilitare quest'accesso.
  Inoltre, come si può effettivamente intervenire, come ritengo sia indispensabile, per supportare le filiere industriali che sono alla base della green economy ? Credo che gli incentivi siano sempre a valle sul prodotto, ma bisogna ragionare anche a monte su come trasformare la filiera produttiva.

  PRESIDENTE. Sono molte le questioni. Aspettiamo le risposte scritte. Personalmente, farei soltanto due battute. Mi auguro che quello descritto da Comin sia lo scenario vero del futuro collocamento dell'Enel, cioè uno spostamento verso certi servizi. È veramente un augurio per il Paese, non per l'Enel, che questo accada.
  Inoltre, sul passaggio alle auto elettriche mi avete convinto: sulla penetrazione elettrica in altri settori, per esempio le cucine a induzione, è determinante che ci facciate capire il bilancio energetico. Lo fate partendo dal termoelettrico. Se, infatti, mi dite che conviene perché avviene tramite le fonti rinnovabili, chapeau. Il nostro attuale parco di produzione, però, è un po’ diverso. Rimarrò convinto che tenere basso il consumo elettrico delle famiglie sia un vantaggio fino a che non mi dimostrerete che quanto si va a sostituire dal punto di vista ambientale ed energetico è peggiore. Sono pronto a farmi convincere, ma i conti devono essere fatti in quella maniera.
  Vi ringraziamo e aspettiamo le vostre risposte scritte ai quesiti posti dai deputati. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Enel (vedi allegato 1).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IGNAZIO ABRIGNANI

Audizione di rappresentanti di Enea.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Enea.
  Purtroppo, l'audizione precedente ha tolto un po’ di tempo. Lasciamo i dieci minuti di rito per la relazione, in modo da lasciare un po’ di tempo al dibattito.

  GIOVANNI LELLI, Commissario Enea. Vi ringraziamo dell'invito. Cercherò di stare nei dieci minuti. Leggerò una parte di una nota che vi sarà lasciata con qualche documento di supporto.
  Nelle politiche per lo sviluppo sostenibile è centrale l'idea che gli interventi sui sistemi produttivi e sui servizi realizzati con finalità ambientali siano all'origine di importanti ricadute ambientali, economiche e sociali e che tali interventi siano indispensabili per la crescita dei sistemi economici. Altrettanto centrale è l'idea che tali interventi non possano essere esclusivamente di natura tecnologica né energetica, ma debbano essere frutto di un approccio integrato in grado di condurre i Pag. 28sistemi produttivi verso la sostenibilità con politiche, tecnologie, metodologie, sistemi di gestione e logistica.
  È in questo quadro che l'ENEA, oltre che per missione, anche per la sua tradizionale capacità di affrontare problemi complessi in maniera integrata e sistemica e per la sua tradizionale collaborazione con il mondo delle imprese e dei servizi, si propone tra i principali attori in grado di indirizzare il nostro Paese sui percorsi virtuosi per dare piena attuazione ai principi della green economy.
  I nuovi modelli di sviluppo socio-economico non possono prescindere dall'innovazione dei sistemi di produzione a favore di una maggiore efficienza energetica, di un uso più sostenibile delle risorse, di una riduzione dei costi di gestione che sia compatibile con le istanze di diminuzione dell'impatto ambientale e di un miglioramento della qualità dei prodotti con la creazione di nuove figure e positive ricadute sull'occupazione. Il nostro Paese è ormai maturo per questo nuovo modello di mercato ecosostenibile e ha bisogno di attivare un percorso di rinnovamento attuando sinergie tra il mondo industriale e quello della ricerca.
  La green economy, in forma sintetica, può essere vista come il collante necessario a predisporre interventi integrati per gli obiettivi di sostenibilità. Essa è l'insieme delle misure economiche ambientali e sociali necessarie a indirizzare verso un modello di società a impatto ridotto in termini di emissioni.
  In tale percorso, la low-carbon society può essere considerata tappa intermedia. L'importanza della dimensione energetica per la crescita verde è, infatti, evidente. L'energia è alla base dell'economia. Lo stretto legame tra energia, ambiente ed economia impone che gli obiettivi per la lotta al cambiamento climatico non siano pensati in maniera isolata, ma inseriti all'interno di una strategia basata sull'integrazione delle misure. Si può tendere verso l'ideale di massimo disaccoppiamento tra crescita economica e impatto ambientale, cioè avere minori emissioni, e tra crescita economica e sfruttamento delle risorse per avere la maggiore produttività e le minime risorse impiegate.
  Gli investimenti mondiali in ricerca e sviluppo rivolti alla green economy rappresentano ancora una parte relativamente modesta del totale di investimenti in ricerca e sviluppo, da pochi punti percentuali a meno del 15 per cento, ma il trend degli ultimi anni conferma il rapido aumento degli stessi.
  Il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente sostiene che il 2 per cento del PIL mondiale annuo da investire fino al 2050 nei settori chiave basterebbe per uscire dalla crisi economica e ambientale e per favorire la transizione verso un'economia verde.
  Un recente studio commissionato dall'Unione europea ha stimato il valore del settore europeo delle ecoindustrie pari a 319 miliardi di euro, per un totale di 3,5 milioni di addetti. Un analogo studio britannico ha stimato il valore del settore a livello mondiale in 3.800 miliardi di euro nel 2010.
  Nel nostro Paese, la percentuale di imprese che investono in tecnologie ambientali è fortemente cresciuta, attestandosi intorno al 57 per cento, quasi raddoppiando nel biennio 2010-2011 sia nelle piccole sia nelle medie imprese. Di queste, il 55 per cento ha come obiettivo il miglioramento dell'efficienza nella gestione delle risorse e materie prime ed energia, mentre gli investimenti finalizzati al processo produttivo sono relativi al 35 per cento delle imprese, di cui solo il 10 per cento investe in clean tech.
  Se si considerano dati ISTAT, il valore che emerge è positivo, anche se solo parzialmente, in quanto il generale incremento delle spese per la protezione ambientale indica ancora un eccessivo sbilanciamento verso le attività end of pipe, mostrando come ancora non si investa pienamente in tecnologia per rimuovere l'inquinamento ab ovo, all'origine.
  La grande maggioranza degli investimenti in green economy, infatti, a livello sia internazionale sia nazionale si distribuisce in maniera significativa soltanto nei settori della cosiddetta industria ambientale Pag. 29e della produzione sostenibile di energia, mentre pochi investimenti ancora si registrano nel settore dell'industria manifatturiera e di altri settori industriali.
  L'industria manifatturiera è responsabile di circa il 35 per cento dell'energia globale impiegata, di oltre il 20 per cento delle emissioni mondiali di CO2, di più di un quarto di estrazioni di risorse primarie, di circa il 10 per cento della domanda globale di acqua, di circa il 17 per cento dell'inquinamento atmosferico.
  Per rendere verde questo settore, bisogna estendere la vita utile dei manufatti attraverso una più attenta progettazione che consideri il ricondizionamento e il riciclaggio fasi di una produzione a ciclo chiuso, in un'ottica di riduzione drastica dei rifiuti. Il riciclaggio di materiali come l'alluminio, per esempio, richiede solo il 5 per cento dell'energia richiesta per la produzione primaria.
  Il passaggio alla green economy implica la capacità di innovare non solo cicli produttivi e consumi, ma anche cultura e stili di vita tramite lo sviluppo e la messa in pratica dell'ecoinnovazione, che tenga conto del profilo economico e delle dimensioni sociali e ambientali come componenti imprescindibili dello sviluppo sostenibile.
  L'ecoinnovazione può essere definita come l'utilizzo di prodotti, processi, sistemi gestionali, servizi o procedure nuove o riprese dalle buone pratiche della cultura, attraverso cui si consegue lungo tutto il ciclo di vita una riduzione di fattori di pressione sull'ambiente.
  La filosofia del riciclo in questo contesto della materia, non diversamente dal risparmio energetico e dalla riduzione di emissioni climalteranti, è un esempio significativo dell'approccio combinato di ecoinnovazione che tiene insieme ecoinnovazione di processo, di prodotto, organizzativa, ma anche gli stili di vita e di consumo.
  Una prima valutazione sembra indicare come l'Italia sia particolarmente virtuosa nell'implementare ecoinnovazione sviluppata in altri Paesi per raggiungere obiettivi ambientali. Emblematica in tal senso è la diffusione in Italia del fotovoltaico, che ha conosciuto le più alte percentuali europee di crescita a fronte di un'industria nazionale del settore per ora limitata alla produzione di inverter e all'assemblaggio di celle e impianti finiti. È di interesse strategico per il nostro Paese riuscire ad affiancare questa capacità di attuazione di ecoinnovazione a un'adeguata capacità di sviluppo della stessa puntando su ricerca e sviluppo.
  Non posso, però, non citare oggi quel materiale, il territorio, il suolo, sul quale insistono tutte le attività umane, quelle sociali e quelle economiche, che non è certo usato riducendo la pressione sull'ambiente, assicurando il benessere dei cittadini e, infine, massimizzandone il valore economico. Esso, cioè, non è usato secondo i principi dell'ecoinnovazione.
  Mettere in sicurezza il territorio, secondo stime del Ministero dell'ambiente, richiederebbe 40 miliardi di euro in 20 anni, cioè 2 miliardi di euro l'anno, con un ritorno annuale di 6 miliardi di euro l'anno tra costi di emergenze evitati e sviluppo economico.
  Parlando di green economy, il Presidente Obama ha affermato che essa può rimettere in discussione tutto perché cambia i paradigmi di riferimento e apre nuovi spazi di azione. Bisogna pianificare. Pianificazione non è un termine desueto che evoca economie superate, ma un modo efficace di usare nel tempo risorse preziose.
  Concludendo, l'ineludibilità di avviare un processo di innovazione per cogliere efficacemente l'opportunità della green economy richiama fortemente l'attenzione sul ruolo di una politica di ricerca pubblica che integri le competenze, non disperda le risorse umane e strumentali, ottimizzi le disponibilità finanziarie e che perciò sia determinante per gli investimenti privati.
  A nostro parere, il nodo principale della promozione dei settori che possiamo definire driver della cosiddetta green economy è legato anche alla capacità di offerta tecnologica, dove l'Italia sconta la mancanza quasi totale negli anni passati Pag. 30di un approccio capace di una più efficace visione integrata a livello politico dei processi di innovazione.
  L'Enea, nella sua missione specifica di agenzia per l'energia e lo sviluppo sostenibile, affronta e mette a sistema la diversificata e ricca produzione scientifica del nostro Paese in maniera interdisciplinare. Se la conversione green può diventare per il sistema Paese un'opportunità e un orizzonte strategico di sviluppo e di crescita, riteniamo che l'Enea possa rappresentare uno dei principali strumenti del Paese per affrontare questa fase di transizione e accompagnare il Governo centrale e quello territoriale nella pianificazione, gestione e verifica delle azioni messe in atto nel settore della green economy.
  Ricordo, in proposito, che giorni fa il Presidente Zingaretti ha voluto stipulare con l'Enea proprio sulla green economy un protocollo d'intesa, che abbiamo firmato l'11 novembre scorso, che ci mette al servizio della regione che ospita i due più importanti centri di ricerca dell'Enea, al servizio delle esigenze di questo territorio per lo sviluppo della propria green economy.

  PRESIDENTE. Nel caso in cui le domande non dovessero lasciare troppo spazio per le risposte, potrete anche mandarci delle risposte per iscritto.
  Credo che il problema di far partire questo progetto della green economy, che vediamo cosa può portare in termini di sviluppo del nostro Paese, è legato a due aspetti.
  Il primo è la possibilità di accedere al credito da parte dei fruitori. Oggi, un soggetto, un condominio, qualcuno che voglia attivarsi per l'efficienza energetica nel proprio immobile, deve anzitutto pensare di esborsare soldi e questo rappresenta sicuramente un grosso freno. L'ipotesi è, pertanto, quella di provare ad aiutare le ESCo attraverso delle forme di accesso a garanzie, in maniera da poter sopperire il più possibile a questi investimenti. Se, infatti, pensiamo che le ESCo facciano da sole gli investimenti, il progetto si ferma lì. La forma di recupero è facilmente reperibile: si paga per un certo tipo di anni la stessa bolletta, il differenziale serve da investimento e ci si ritrova subito l'immobile efficientato, ma ci si ferma lì.
  Chiedo, allora, anche a voi, come ho chiesto ad altri, se sia plausibile l'idea di creare un fondo di garanzia o un rapporto tra tutti i grandi soggetti per provare ad aprire il mercato, magari insieme all'ABI. Vorrei sapere a che punto e su questo che intenzioni avete.
  Inoltre, abbiamo visto che sulle rinnovabili, sul fotovoltaico e non solo, c’è stato un grande exploit in Italia, ma come al solito non mi sembra che i prodotti utilizzati siano del tutto italiani. Voi siete un ente di ricerca – non dico cosa penso perché altrimenti dispiace al collega Crippa – non potete più occuparvi di altro, per cui a mio avviso sarebbe importantissimo un vostro apporto al fine di innovare tecnologicamente prodotti italiani, in modo da poterli rendere non solo compatibili, ma direi utilizzabili e, dal punto di vista dell'innovazione, addirittura esportabili.
  Ritengo che abbiate anche questo ruolo, proprio perché siete un ente di ricerca, per cercare di contribuire al PIL italiano attraverso prodotti italiani. Anche su questo vorrei una sua illustrazione.

  ANDREA VALLASCAS. L'Enea fa ricerca in più settori, ma credo che servirebbe una linea guida complessiva e un obiettivo preciso. So, ad esempio, che l'Enea è all'interno di una società, la Sotacarbo, che ha effettuato ricerche sul carbone, quali la produzione di idrogeno dal carbone o anche lo stoccaggio della CO2: mi piacerebbe capire cosa c'entri questo con lo sviluppo della green economy.
  Inoltre, per stoccare la CO2 serve energia: da dove la prendiamo ? Dagli idrocarburi ? Ha senso investire in questo tipo di ricerca che, peraltro, è costosissima ?. Mi piacerebbe capire quali sono gli obiettivi, quindi, veramente di Enea, dove sta puntando attualmente. Vorrei anche sapere se Pag. 31potrebbe rappresentare un braccio operativo per il Governo per studiare l'efficientamento energetico degli edifici pubblici.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GIOVANNI LELLI, Commissario Enea. Pensiamo che alcune azioni possano essere messe in campo per facilitare l'accesso al credito per interventi nel settore dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Pensiamo che le banche debbano essere più disponibili a definire tipi di contratto per la concessione di mutui, che si basino sui risultati effettivamente conseguiti. Questo tipo di contratto ha un termine inglese che mi sfugge, ma è noto e fa parte di un meccanismo già sperimentato in Gran Bretagna e che funziona.
  Sicuramente, le ESCo devono essere alimentate di possibilità finanziare per potersi muovere più liberamente, fare da cuscinetto, ma la disponibilità finanziaria deve essere garantita. Ogni occasione è buona per prevedere scenari che tengano anche in conto la presenza di un meccanismo di finanziamento piuttosto che un altro. Questo tipo di finanziamento, innegabilmente, garantisce risultati di presenza nel mercato del territorio dell'efficienza energetica e fonti rinnovabili in tempi molto più rapidi che con modi diversi.
  Per quanto riguarda il fotovoltaico e le fonti rinnovabili in genere, veramente condividiamo dal profondo dell'anima il fatto che l'Enea debba lavorare sull'innovazione per promuoverne l'offerta. Siamo convinti che sia cosa buona e giusta la grande diffusione delle fonti rinnovabili che c’è stata nel nostro Paese recentemente, ma è stata decisamente troppo sbilanciata, facilitata cioè lavorando sulla domanda di fonti rinnovabili, per cui gli incentivi sono stati orientati a promuovere la domanda di fonti rinnovabili.
  In altri Paesi, in Germania in particolare, percentuali significative degli incentivi sono andati alla promozione dell'offerta, determinando così la presenza di un'industria di settore nazionale che ha prodotto posti di lavoro, occupazione. Se pensiamo ai miliardi di euro che paghiamo annualmente per mantenere gli impegni presi con quegli incentivi, francamente ci piange un po’ il cuore. Ne avremmo voluti avere meno del 5 per cento, l'1 per cento, l'1 per mille probabilmente, per continuare le nostre ricerche e parlare di fotovoltaico sulle giunzioni multiple, sulle triple giunzioni, sugli strati sottili, sull'ingegnerizzazione per il fotovoltaico in ambienti familiari, per piccole applicazioni, ma non li abbiamo avuti.
  Venendo alla seconda domanda, l'Enea si occupa di tante cose, è vero: pretendiamo di rivestire già, come ci auguriamo ci sia riconosciuto formalmente, questo ruolo alla fine del periodo di commissariamento, ente al servizio della pianificazione, gestione e controllo delle politiche del Governo nel settore dello sviluppo sostenibile, che assume sfaccettature a mano a mano diverse a seconda dei tempi del Paese e dei problemi economici che il territorio presenta.
  L'ENEA ha da tempi immemorabili il 50 per cento di Sotacarbo insieme alla regione Sardegna. Per immemorabile intendo quasi 20 anni, quando il progetto era insieme con l'ENEL, socio di Sotacarbo all'epoca, per la costruzione di un normale impianto a carbone in Sardegna, il quale si è voluto sempre più senza far mai nulla, finché il territorio, la politica è arriva a definire la necessità dell'impianto a gassificazione di carbone con sequestro della CO2, operazione sicuramente costosa, come ha ricordato, e con un rendimento per lavoratore piuttosto basso. Da questo punto di vista, siamo attuatori delle politiche del Governo.
  Attualmente, l'accordo tra il Governo centrale il governo della regione Sardegna vede l'alimentazione di un polo tecnologico del carbone che, prescindendo dal sequestro della CO2, si impegni per tecnologie innovative di combustione del carbone. L'Enea ne fa parte con un proprio brevetto e speriamo di lavorare in questo senso.
  Quanto all'efficientamento degli edifici pubblici, una direttiva europea obbliga fino entro il 2018 ad avere efficientati tutti Pag. 32gli edifici pubblici e, dal 2018, i pubblici e i privati. Noi facciamo la nostra parte. Ricordo che siamo Agenzia nazionale per l'efficienza energetica a norma di un decreto del 2008 in recepimento di una direttiva europea del 2006, secondo la quale ogni Paese deve dotarsi di un'agenzia per l'efficienza energetica.

  PRESIDENTE. La ringraziamo anche per la sintesi, che ci ha fatto recuperare qualche minuti da dedicare alle restanti audizioni.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI

Audizione di rappresentanti di Ambiente Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Ambiente Italia.
  Professor Zambrini, abbiamo accumulato un po’ di ritardo, ma si sa che possiamo contare sul dono della sintesi che lei ha. Se possibile, le chiederei di rimanere entro dieci minuti per l'intervento, in maniera da consentire ai colleghi che lo desiderino, di intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

  MARIO ZAMBRINI, Amministratore delegato Ambiente Italia. Proverò a sintetizzare usando alcuni appunti come traccia. Si tratta di alcune considerazioni che ho provato a mettere nero su bianco per cercare di rispondere ad alcune, ovviamente non a tutti, le questioni poste dalle Commissioni. Vi illustrerò rapidamente i contenuti di questi punti.
  Un primo punto, parlando di green economy, è sicuramente quello delle sue precondizioni. Il filo conduttore di queste note o di questa impostazione è che la green economy è un modo radicalmente alternativo di intendere lo sviluppo e la crescita economica di un Paese, cioè che non è un accessorio o, comunque, un settore di attività economica, ma che deve progressivamente diventare il principio guida dell'intera economia.
  Questo significa che la green economy potrà trovare in questo Paese un adeguato sviluppo solamente nella misura in cui si riuscirà a risolvere alcuni dei problemi storici che tuttora insistono e interferiscono non solo con la green economy stessa, ma con qualunque forma di attività economica.
  Ne indico alcuni a titolo esemplificativo, ma quando parliamo di precondizioni della green economy, dobbiamo essere consapevoli della necessità di parlare e di risolvere le grandi questioni della legalità, della certezza del diritto, dalla riforma della burocrazia, dell'efficacia e della trasparenza della pubblica amministrazione e via dicendo.
  Cosa intendiamo per green economy ? Credo che il rischio più grosso, ammesso che abbia senso parlare di rischio, corso dal tema sia proprio derivante dall'enorme diffusione e fortuna mediatica che ha. Ormai, rischia di diventare un po’ una sorta di formula salvifica, una chimera cui tutti si richiamano per individuare qualche possibilità di uscita o, comunque, qualche possibilità un po’ più concreta di uscita dalla situazione di crisi in cui il Paese si trova da diversi anni.
  In realtà, quello della green economy non è un concetto nuovo. Nel 1991, un gruppo di economisti inglesi presentò al Governo inglese un progetto per l'economia verde. Si era ai tempi dei primi rapporti internazionali sui temi dalla sostenibilità, in cui si cominciava a prendere atto della gravità del problema del cambiamento climatico e delle emissioni di gas serra, per intenderci siamo ai tempi del rapporto Brundtland e della definizione dello sviluppo sostenibile come chiave di uno sviluppo rispettoso dell'ambiente.
  Come già lo sviluppo sostenibile, anche il tema della green economy rischia proprio di diventare talmente accettato, desiderato, riconosciuto, carico di valenze positive, da essere svuotato di considerazioni Pag. 33e conseguenze operative reali. Rischiamo di continuare a parlare di green economy e a non cambiare i presupposti del nostro modello di sviluppo.
  È, allora, necessario definire dei criteri che consentano di riconoscere un sistema realmente improntato alla green economy. Ho provato a metterne alcuni nero su bianco e ho individuato, innanzitutto, il tema dell'efficienza.
  La green economy massimizza l'efficienza in tutte le sue declinazioni, nella trasformazione delle materie prime, nell'uso dell'energia, nell'uso del suolo, nell'impiego di prodotti e servizi, nell'allocazione di risorse scarse, che si tratti di risorse fisiche, ambientali, economiche, sociali o finanziarie.
  La green economy sposta l'attenzione dal possesso dei beni all'accesso ai servizi. Si parla di economia circolare, cioè di passare da un sistema lineare, in cui le materie prime entrano nel ciclo produttivo ed escono come prodotti consumati e trasformati in rifiuto, a un'economia che rende più duratura e sostenibile l'utilizzazione di materie prime. Non a caso, si parla di sviluppo sostenibile e durevole, cioè di un'economia che in qualche modo premi la durata, l'efficienza dei beni e non solo la rapidità con cui sono cambiati. Si tratta, quindi, di invertire una tendenza alla sempre più rapida obsolescenza dei prodotti di consumo e che, nonostante la crisi, sta raggiungendo livelli paradossali, sostituendovi la produzione di beni con la fornitura di servizi di manutenzione e riparazione e dall'alto con forme di accesso a beni condivisi.
  La green economy investe in tutela del territorio, in infrastrutturazione diffusa più che in poche grandi opere, in manutenzione ed efficienza dell'impiego di capitale fisso sociale esistente più che nella costruzione di nuove infrastrutture lasciando quelle esistenti al degrado e all'obsolescenza.
  La green economy investe risorse umane nella ricerca scientifica e nell'innovazione tecnologica, ma anche in cultura, istruzione e formazione. L'economia verde produce idee oltre che beni prefigura un percorso di sviluppo inclusivo, dove i diritti fondamentali devono essere garantiti a tutti e dove tutti, in misura e modi da definire, devono poter godere dei benefìci e delle innovazioni e delle scoperte scientifiche.
  La green economy mette in campo strategie e scelte quanto più possibile reversibili. Questo è un altro tema sicuramente importante nel definire un modello alternativo di crescita economica: reversibilità negli usi del suolo, ad esempio, ma anche nei modelli di sfruttamento delle risorse (dunque progressivo spostamento su risorse rinnovabili) e nelle politiche territoriali. Reversibilità delle scelte significa anche adattamento, un altro termine chiave del futuro prossimo venturo, anzitutto al cambiamento climatico, ma anche alle mutate condizioni geopolitiche socio-economiche globali.
  Queste sono alcune possibili chiavi di lettura che aiutano o che potrebbero aiutare a riconoscere un percorso di sviluppo coerente con l'idea della green economy. Si tratta poi di tradurle in misure. Un altro dei grossi problemi con i quali abbiamo a che fare nel momento in cui proviamo a cambiare l'approccio al tema della crescita economica, infatti, è quello della compatibilità o meno di nuovi paradigmi, di nuovi obiettivi con le convenzioni e gli strumenti di misurazione tuttora vigenti.
  Si è detto e si è scritto moltissimo negli ultimi decenni, direi negli ultimi 30-40 anni, sulla limitatezza o, addirittura, secondo alcuni autori, sull'inadeguatezza del prodotto interno lordo come unico indicatore capace di restituire le performance e di rappresentare lo sviluppo di un sistema economico, per cui è inutile tornarci, ma il tema dal punto di vista della green economy forse è soprattutto questo. Senza cambiare i sistemi di contabilizzazione e di rendicontazione, infatti, cambiare i paradigmi rischia di tradursi in effetti che possono essere interpretati negativamente anziché positivamente dal punto di vista, appunto, della contabilità nazionale.
  In questo senso, penso sarà importantissimo il contributo che dovrà venire da Pag. 34quel Comitato per il capitale naturale che l'articolo 31 del disegno di legge in materia ambientale, collegato alla manovra finanziaria per il 2014, istituisce proprio con lo scopo di definire sistemi e strumenti di rendicontazione in grado di rappresentare adeguatamente gli obiettivi di sostenibilità ambientale ai quali la green economy si ispira.
  Un ulteriore elemento da considerare è quello della sostenibilità economica. Se n’è parlato e se ne parla tuttora molto nel dibattito politico e non solo, a livello nazionale e internazionale: un sistema alternativo, il punto è che un processo di sviluppo non può essere stabilmente e continuativamente alimentato da incentivi e aiuti, i quali servono a far partire un sistema che, però, deve poi alimentarsi con risorse proprie o, comunque, essere in grado di mantenere lo sviluppo senza bisogno di essere continuamente incentivato. È giusto, quindi, necessario rimodulare progressivamente le forme di incentivo, ovviamente cercando di non accompagnare questa rimodulazione con interventi di carattere normativo che cambino il quadro di riferimento non solo dal punto di vista degli incentivi, ma più complessivamente di tutte le modalità di accesso al mercato. In qualche modo, questo definisce delle situazioni più problematiche dal punto di vista dell'impresa verde. Ovviamente, esiste un problema di allocazione della spesa pubblica, che sia più attenta ai temi della tutela del territorio e dell'ambiente. La cronaca di questi giorni offre un ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, motivo di riconoscimento di quest'esigenza.
  Tuttavia, il problema generale, a mio parere, è quello dell’ individuazione di sistemi che, in una logica di sviluppo anche territoriale, vedrà e dovrà vedere sempre di più le nuove attività svilupparsi su terreni già edificati, e che quindi nella loro riqualificazione più che nella copertura del consumo di suolo non precedentemente edificato, consentano di rendere economicamente sostenibile le imprese e le attività di riqualificazione, quindi di disporre delle risorse necessarie per la bonifica dei suoli contaminati, per la riqualificazione territoriale, per l'introduzione di elementi di prevenzione del rischio sismico e del rischio idrogeologico.
  Ritengo che questo debba portare, in prospettiva, a un ripensamento delle stesse normative che regolano il regime dei suoli, nel senso che, così come configurato attualmente, difficilmente si potrà ancorare alle esigenze di sviluppo edilizio o infrastrutturale del territorio la possibilità di inserire nei progetti di sviluppo anche elementi di riqualificazione e di prevenzione del dissesto del territorio.
  Un ulteriore problema riguarda la normativa di settore e di tutela dell'ambiente, pensata e sviluppata avendo in mente quella che gli economisti definiscono brown economy, cioè l'economia dei pochi impianti di grandi dimensioni inquinanti concentrati e via discorrendo. Questo sistema, tradotto in un'economia più diffusa, fatta di interventi più piccoli, magari reversibili, cioè smontabili, asportabili, che non trasformano permanentemente il territorio, rischia di tradursi in una forma di «affaticamento» di tutte le procedure di autorizzazione e di gestione della localizzazione delle attività economiche sul territorio. Questo è un altro degli elementi che andranno probabilmente presi in considerazione in vista di innovazioni normative che consentano di rendere più agevole il passaggio a una economia realmente verde.
  Gli ultimi due punti sono quelli della politica industriale, assente in Italia da diversi anni. C’è bisogno di ricostruire una politica industriale sulla base di criteri di sostenibilità e durabilità delle risorse. Esistono esperienze interessanti che vanno valorizzate. Ne ho citate alcune: quelle delle aree produttive ecologicamente attrezzate, più generalmente il tema dell'ecologia industriale, in qualche modo l'approccio che consente di tradurre in programmazione di attività produttive quel concetto dell'economia circolare di cui si parlava precedentemente. Ecologia industriale significa progettare insediamenti produttivi in cui ogni segmento, ogni centro di produzione si alimenti degli Pag. 35output che provengono da altri centri di produzione, creando un complesso industriale integrato che massimizzi gli scambi interni e minimizzi gli scarichi all'esterno e, possibilmente, anche l'importazione di energia e materie prime dall'esterno.
  Infine, anche c’è il tema del riorientamento della politica infrastrutturale verso la green economy e anche qui la cronaca di questi giorni non ha bisogno di essere più che tanto commentata. Esiste infatti un problema di manutenzione diffusa del territorio che, insieme a quello delle città, della riqualificazione delle aree urbane, della costruzione di aree urbane in grado di comportarsi in modo resiliente nei confronti di cambiamenti climatici, ormai parte dallo scenario di breve e medio termine considerato a livello europeo.
  Questa è, probabilmente, la vera emergenza infrastrutturale di questo Paese ed è su questa, quindi sulla manutenzione del territorio, sulla prevenzione del dissesto e sulla riqualificazione delle aree urbane che andrebbero concentrati gli sforzi di infrastrutturazione in una logica di green economy.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Zambrini.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Nel considerare la green economy, sono state date alcune linee d'ambito. Portando un esempio concreto, a mio avviso molto critico, vorrei sapere se secondo lei si è abusato dell'espressione green economy associata alla pirolisi, quindi a un processo di trasformazione senza combustione, ad esempio, di pneumatici.
  Credo che, nelle definizioni che lei ha fornito del perimetro d'azione della green economy, non rientri questa tipologia di attività. Oltretutto, la trasformazione non mi sembra reversibile, e quindi non può essere giustificata.

  MARIO ZAMBRINI, Amministratore delegato Ambiente Italia. Non sono sceso a livello di dettaglio dei singoli processi industriali e, in prima battuta, le risponderei che non esistono processi fisico-chimici di per sé green, così come potremmo dire che ne non esistono di per sé processi non green.
  Quella dell'economia circolare è un'idea in cui è l'integrazione tra diversi processi, diverse fonti di acquisizione di materia prima o di energia, che determina un percorso o un assetto produttivo che minimizzi effettivamente gli scarichi e i consumi. All'interno di questo discorso, può starci o meno la pirolisi, ma dipende dal contesto in cui la consideriamo, almeno a questo livello. Se poi entriamo nello specifico del singolo progetto, si possono chiaramente dare valutazioni più di merito.

  PRESIDENTE. Se anche lei, professore, avesse ulteriore materiale da inviarci, tenga presente che abbiamo ancora circa un mese e mezzo di lavoro, per cui siamo pronti ad accoglierlo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Unioncamere e Symbola.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Unioncamere e Symbola.
  Salteremmo i convenevoli perché, come avrete visto, il programma è molto fitto e questa prima giornata era destinata ai soggetti che hanno svolto lavori di particolare interesse dal punto di vista dell'individuazione delle caratteristiche della green economy e delle sue prospettive.
  Abbiamo messo in distribuzione la documentazione consegnata da Unioncamere e Symbola, di cui autorizzo sin d'ora la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2). Credo che abbiate mandato le cinque cartelle di sintesi che abbiamo chiesto a tutti i soggetti. Direi che forse il segretario Pag. 36generale Gagliardi può prendere dieci minuti o un quarto d'ora per l'illustrazione, in maniera che i colleghi possano formulare, se lo desiderano, dei quesiti.

  CLAUDIO GAGLIARDI, Segretario generale di Unioncamere. Ringrazio tutti voi di questo invito.
  Per noi, quello della green economy è un tema davvero importante per capire la linea di marcia della ristrutturazione che sta attraversando il sistema economico italiano, che dalla green economy sembra poter trarre davvero elementi di innalzamento della qualità della produzione e, quindi, elementi importanti sul fronte dell'occupazione e della competitività internazionale.
  Realizziamo, insieme alla fondazione Symbola, ormai da alcuni anni, un rapporto sul mondo economico, in particolare per analizzare le misure che le imprese pongono in essere per cogliere l'opportunità di un'economia che renda la sostenibilità ambientale, sociale ed economica della loro attività il punto di competizione.
  La prima questione che, in sintesi, vorrei provare a sottoporre alla vostra attenzione è quella occupazionale. Non le nostre indagini, ma quelle europee, in particolare l'Eurobarometro 2012, individuano le imprese italiane come un soggetto che si sta muovendo con particolare impegno, sia per i settori in cui opera sia per le caratteristiche competitive delle imprese ancorate ai territori, per accrescere il numero dei green jobs.
  Adottiamo una definizione di green jobs completamente omogenea agli standard internazionali, in particolare a quelli adottati in Europa e quello che emerge dalla comparazione delle nostre indagini e di quelle europee è che da qui al 2014 il 51 per cento delle piccole e medie imprese italiane impiegherà nel proprio organico almeno una figura professionale definibile come un green job. La media europea si attesta invece al 39 per cento delle imprese e questo significa che c’è, anche in analisi comparative delle imprese in Europa, un posizionamento delle imprese italiane già molto solido su questo versante.
  Per la prima volta, quest'anno abbiamo provato a quantificare anche l'attuale numero di stock di occupati delle imprese italiane ascrivibili a questa categoria. Analizzando i dati ISTAT delle forze di lavoro, siamo in grado, insieme alla fondazione Symbola, di quantificare in 3.100.000 le figure degli occupati italiani che fanno riferimento a questo tipo di economia.
  Sempre sul versante occupazionale, analizzando i fabbisogni delle imprese di assunzione per il 2013 (e rilevando, naturalmente, un calo generale delle assunzioni per la nota crisi economica soprattutto sul fronte del mercato interno, che porta a una riduzione dell'occupazione), si consolida sempre di più il dato relativo al fatto che un quarto della domanda di figure professionali è ascrivibile, appunto, a professioni verdi.
  La trasformazione che, anche dal punto di vista occupazionale, sta avvenendo nelle imprese italiane è, dunque, attenta a questo tipo di investimento professionale, che riguarda soprattutto giovani, quindi è una leva importante anche sul fronte dell'occupazione giovanile.
  L'altra questione che emerge dal documento che vi è stato consegnato, è che pur essendoci delle concentrazioni, per un verso, nelle aree metropolitane, per altro verso, in province con caratteristiche distrettuali, la ristrutturazione in senso green del nostro sistema imprenditoriale ha assunto una «pervasività territoriale» che interessa anche ampie aree del Mezzogiorno. In termini relativi, addirittura, alcune province del Mezzogiorno sono protagoniste nell'acquisizione di figure professionali con queste caratteristiche.
  Stiamo parlando, anzitutto, di figure che hanno a che fare con i temi ambientali, ma non esclusivamente dal punto di vista energetico o della gestione del ciclo dei rifiuti, quanto piuttosto in maniera trasversale in tutti i settori. La caratteristica della green economy per l'Italia è, infatti, che interessa i settori manifatturieri, quindi la metalmeccanica, l'elettronica, oltre a interessare, naturalmente, l'edilizia, la chimica, settori dei servizi come il turismo.Pag. 37
  Parliamo, quindi di chimici ambientali, di geometri ambientali, di tecnici del risparmio energetico, di ingegneri ambientali, ma anche sempre più di un'attenzione al fronte dei consumi, con esperti di acquisti verdi, tecnici di impianti di illuminazione sostenibili, installatori e montatori di macchinari di impianti industriali a basso impatto energetico, tecnici delle energie rinnovabili. Persino nell'ICT, nell'informatica, ormai una figura come quella dell'informatico ambientale sta prendendo piede.
  Saper leggere in anticipo queste caratteristiche del mercato del lavoro e delle richieste delle imprese è, a nostro parere, molto importante per orientare sia le politiche della formazione che le politiche industriali nel senso tradizionale del termine, per assecondare comportamenti già presenti in maniera massiccia nel mondo delle imprese e che già ci vedono in qualche caso come leader a livello internazionale.
  Sempre sul tema dei lavori, vorrei segnalare tre caratteristiche fondamentali che aiutano a capire questa trasformazione. La prima riguarda il fatto che le assunzioni di green job sono molto più frequenti che per gli altri tipi di mestieri con contratti a tempo indeterminato. In una fase in cui c’è ormai una prevalenza delle forme flessibili di lavoro, che hanno superato le forme stabili, se guardiamo soltanto ai green jobs, troviamo che 6 assunzioni su 10 (di quelle che ho provato a descrivere tratteggiandole in larga sintesi) sono a tempo indeterminato.
  Per noi questo significa due cose. Si tratta di figure pregiate per le imprese per le quali l'investimento è di lunga durata, non per un progetto, non a termine, ma per durare nel tempo.
  In secondo luogo, se guardiamo alle figure che assumono nell'area ricerca e sviluppo, 6 su 10 sono figure che possiamo definire come green job, quindi la maniera di fare ricerca e sviluppo delle imprese italiane attraverso l'acquisizione di capitale umano pregiato è in particolare concentrata su queste aree di intervento che riguardano il risparmio energetico, la sostenibilità ambientale e così via.
  Inoltre, sempre più queste figure non sono soltanto nei settori, come dicevo, energetico o di gestione dei rifiuti, ma trasversali (aggiungo a quelli già citati i settori del legno-arredo, dell'alimentare e il settore cartario). In particolare, un quarto delle figure professionali che saranno assunte nei settori di punta della nostra economia, come la meccanica, possono essere comprese all'interno delle 90 figure professionali che a livello internazionale sono definite come green jobs.
  Vado rapidamente sulle altre questioni, per soffermarmi sulla seconda questione importante, ossia il numero di imprese italiane che oggi stanno facendo questo tipo di investimenti.
  Poiché da alcuni anni conduciamo queste indagini insieme a Symbola, siamo in grado di quantificare, dal 2008 al 2013, in 328.000 le imprese italiane, con almeno un dipendente, quindi escludendo il solo lavoro autonomo, che hanno fatto o faranno quest'anno investimenti in prodotti o in tecnologie green. Più di 1 impresa su 5, quindi, quasi 1 su 4 ha fatto o sta facendo questo tipo di investimenti. Si tratta di modificare i propri macchinari, i propri impianti, il proprio ciclo produttivo, prodotti per venire incontro anche a una domanda da parte dei mercati, soprattutto esteri in questa fase molto attenta a queste dinamiche.
  Questo tipo di imprese ha una caratteristica importante che vorrei segnalare a queste Commissioni. Anzitutto, sono imprese spesso di piccola dimensione: di quelle 320.000 che vi segnalavo, 290.000 sono imprese con meno di 50 dipendenti (naturalmente, la maggior parte, più della metà delle medie e delle grandi imprese, fa questo tipo di investimento) che resistono meglio in questa fase di crisi, nel senso che, nel crollo complessivo degli investimenti a cui abbiamo assistito, il crollo di queste è meno rilevante e c’è un po’ più di resistenza su questo versante.
  Per capire perché è importante, vi fornisco ancora quattro dati. Se confrontiamo Pag. 38le imprese con queste caratteristiche, questo gruppo che è pari al 22 per cento delle imprese italiane con dipendenti, rispetto a tutte le altre che non hanno queste caratteristiche d'investimento, troviamo che nell'ultimo anno sono andate meglio dal punto di vista dell'incremento del fatturato e dell’export. C’è ad esempio uno scarto percentuale tra la quota di chi esporta e appartiene a questo ambito d'impresa green e la quota di che esporta e appartiene al resto delle imprese italiane che è superiore a 10 punti percentuali: le imprese greensono più competitive sui mercati internazionali. Inoltre, innovano di più, il 23 per cento ha innovato in prodotti e servizi e resistono meglio sul mercato del lavoro, anche se abbiamo il segno meno anche in questo gruppo di imprese, ma un segno meno che è la metà del segno meno presentato dal resto delle imprese.
  Questa della green economy, quindi, non è una scelta ideologica da parte delle imprese, ma di mercato. Non si tratta, peraltro, solo del mercato energetico, quanto prevalentemente del mercato proprio dei settori del made in Italy: della meccanica, dell'alimentare, del tessile, dell'abbigliamento, delle calzature. È questo mercato che si sta sottoponendo più velocemente di altri alla trasformazione green.
  Pongo due ultime questioni e poi mi taccio per lasciare, col permesso del presidente, la parola a Domenico Sturabotti. Dal punto di vista complessivo del sistema economico, oggi siamo in grado di misurare quanto cresce, se cresce, l'ecoefficienza complessiva del sistema economico intesa come capacità di consumare meno prodotti, quindi meno materia, meno input produttivi, meno energia, scartare meno nelle lavorazioni, riciclare di più nel corso del processo produttivo, avere meno emissioni in ambiente sia gassose sia in acqua.
  Complessivamente, la riduzione delle emissioni gassose tra il 2007 e il 2012, attraverso i calcoli che con il modello che abbiamo messo a punto possiamo stimare, è superiore al 2,4 per cento: è diminuita, quindi, del 2,4 per cento l'emissione in ambiente di rifiuti gassosi e dell'1,9 per cento quella di rifiuti solidi; sono altresì diminuiti i rifiuti non gestiti dal ciclo produttivo del 2,7 per cento ed è diminuita la quota di consumi energetici di oltre il 6 per cento. L'ecoefficienza di medio e lungo periodo si sta, dunque, confermando molto importante.
  Soprattutto, siamo in grado di confrontare con quello che avviene nel resto dell'Europa e, per una volta, non siamo nelle classifiche negative della competizione europea, ma nei quadranti buoni. Rispetto alle medie europee, sia il trend di crescita sia lo stock vede la maggior parte dei nostri settori produttivi ottimamente posizionati.
  Segnalo anche l'agricoltura, che adesso non ho citato, ma che sta davvero lavorando molto in questo versante. In tre anni, ha ridotto enormemente i consumi di energia e di acqua per unità di prodotto. Parliamo di riduzioni a due cifre.
  L'ultima dimensione d'importanza del perimetro che definiamo di green economy può essere illustrata dal punto di vista del valore aggiunto. Se volessimo quantificare quanto PIL rappresenta l'insieme delle imprese con la caratteristica di questi occupati, dovremmo dire che pesano per più di 100 miliardi di euro sul valore aggiunto nazionale. Il 10 per cento, quindi, del prodotto interno lordo, se escludiamo il sommerso, è di green economy già oggi.
  Se il nostro Paese ha un asset così importante, quindi, su cui poter puntare per rilanciare l'economia, a nostro parere è un asset su cui bisogna focalizzare importanti politiche di sviluppo.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Vi ringrazio per l'esposizione dello studio.
  Le ultime slide del Rapporto GreenItaly 2013 mostrano l'analisi dello scenario di realtà di riduzione dal 2007 al 2012 di 6,3 punti percentuali della quantità annua di energia per unità di prodotto. Mi piacerebbe Pag. 39capire come siete usciti a estrapolare questi dati. Avete diviso il consumo energetico nazionale per unità di prodotto ? Sottolineo che, a mio avviso, è un dato molto importante. Stiamo effettuando un'indagine parallela sulla Strategia energetica nazionale e un dato di questa natura ci permette di considerare, aldilà delle balle che ci si racconta per cui staremmo risparmiando, consumando meno, che non solo per una congiuntura economica, ma anche perché della pianificazione è stata buttata lì e qualcuno l'ha colta – non c’è, però, un piano in realtà di qualificazione nazionale – un input del genere è stato comunque colto. Se questo input ha veramente portato a un 6,3 per cento sulla produzione nazionale, è un fattore da considerare. Peraltro, sull'intero sistema produttivo incide in maniera abbastanza rilevante sui consumi e l'importazione di energia e gas.

  PRESIDENTE. Può essere interessante – conosco un po’ la materia – anche avere qualche verticalizzazione di settore. Questa è un'indagine non sul possibile, ma sull'economia reale. Lo dico al collega Crippa, che capirà subito.
  Questa riduzione è spesso figlia d'innovazione, ma anche di uno spostamento nella catena della qualità delle produzioni italiane. Se in termini di valore aggiunto ci si alza, che è l'unico spazio che abbiamo, poi il rapporto con l'energia consumata...

  DOMENICO STURABOTTI, Direttore della Fondazione Symbola. Sembra, in qualche modo, l'immagine da Ferrari. Se la Ferrari quest'anno lancia sul mercato un motore ibrido, ciò è rappresentativo del fatto che oggi il made in Italy è anche sostenibilità. Questo vale un po’ per tutti i settori.
  Nel nostro viaggio in Italia attraverso le aziende, abbiamo visto che tutti i settori sono spinti due forze: una è legata a fare efficienza sui costi, quindi sostenibilità ed efficienza servono alle aziende per essere più competitive; l'altra è la prevalenza dell’export perché i. mercati esteri, infatti, sono molto più attenti al tema della sostenibilità.
  Nel settore ceramico, ad esempio, quasi tutte le aziende oggi hanno certificazione LEED, legata al fatto che gran parte delle aziende del settore esporta su mercati americani. L'esigenza di un prodotto di qualità che incorpori anche sostenibilità sta diventando, quindi, la domanda a cui i nostri produttori stanno rispondendo.
  Questa è vero in maniera trasversale, per cui quel dato dell'energia consumata per unità di prodotto effettivamente registra un miglioramento graduale dell'efficienza del processo produttivo, che fa anche il paio con la riduzione materica.
  Tornando alla ceramica, oggi sul mercato quel settore ha immesso prodotti che, a parità di prestazioni, hanno uno spessore tre volte più basso. Questo significa che, attraverso la tecnologia si riesce ad avere prestazioni uguali con una riduzione materica. In un mondo in cui aumenta la domanda di materie, questo è un risultato importante che denota, appunto, questi i due fattori della necessità di fare efficienza, e quindi ridurre i costi, ma anche di comunicare una qualità che incorpora sostenibilità. Ferrari è un caso, ma gli esempi sono tantissimi.
  Sulla trasversalità, l'altro tema è la specificità. Quando parliamo di green economy, non parliamo di qualcosa di uguale per tutti i settori.
  Nel settore della nautica, ad esempio, la specificità è ridurre il peso delle imbarcazioni, quindi il tema è l'efficienza delle carene o lo smaltimento a fine vita dell'imbarcazione nel settore. Nel ceramico, è la riduzione materica e il reimpiego – tra l'altro, l'Italia in questo è leader – di tutti gli scarti di produzione. Oggi, la ceramica riutilizza il 100 per cento di scarti di produzione e anche scarti di altri cicli produttivi, tanto per dire dell'efficienza massima della gestione della materia. Nel tessile, è l'impiego di coloranti di origine vegetale o di fibre di origine naturale.
  Un altro aspetto importante, quindi, è la specificità del settore. Non esistono regole generalizzabili. Ogni settore ha una sua specificità, che fa sempre riferimento agli stessi princìpi guida, uno studio attento del ciclo complessivo del prodotto, Pag. 40dunque non attenzione solo al prodotto, ma alla vita prima e dopo del prodotto, come nel caso delle imbarcazioni.
  Concludo sulla meccanica, che a livello internazionale sta trainando moltissimo, e sull'esigenza di efficienza. Oggi, gli italiani stanno vendendo tantissimo all'estero perché mediamente le produzioni italiane consumano dal 20 al 30 per cento in meno. Inoltre, alla riduzione di energia consumata si accosta anche la capacità italiana di aggiungere estetica.

  PRESIDENTE. Questo a me piace molto.

  COSIMO PETRAROLI. Ho molta confusione nel tentare di capire l'ambito d'azione della green economy, dove e come è applicata e nasce.
  Lavoro nel settore metalmeccanico. Prima parlavate del fatto che anche nel settore dell'industria dell'acciaio si prospetta un futuro di green economy. Vorrei avere qualche considerazione più precisa, qualche esempio di come penetri la green economy nel settore metalmeccanico, nella produzione di tubi o di valvole.

  DOMENICO STURABOTTI, Direttore della Fondazione Symbola. È un settore molto specifico, ma vale la regola generale. Effettivamente, il tema è sempre quello della riduzione materica. Attraverso tecnologie possiamo avere le stesse prestazioni con una riduzione di materiale, come nell'esempio di imbarcazioni, progettare carene più efficienti, con meno utilizzo di materia, in alcuni casi metalli o cementi, ovvero attraverso l'efficienza del materiale e della forma del materiale.
  L'altro tema è quello dell'analisi degli impatti, effettivamente avere un attento studio del ciclo complessivo della materia. Sull'acciaio c’è un tema di consumi di energia per unità di prodotto. Per quello, evidentemente, c’è bisogno di tecnologie per ridurre, a parità di prodotto, il consumo di energia e, in questo caso, di acqua.

  PRESIDENTE. Segnalo un dato interessante. Mentre siamo molto indietro in alcune aree d'Italia, soprattutto a Sud, tranne la Sardegna, che però non è Sud, che ha compiuto un grosso balzo avanti nella raccolta differenziata (e ciò che dimostra che si può anche fare nelle raccolte differenziate urbane), nell'industria del recupero dei materiali l'Italia è, invece, molto avanti.
  In Europa, per tradizioni storiche – tra gli acciai bresciani o gli «stracciaroli» di Prato abbiamo la tradizione di un Paese che non aveva materie prime – a fronte, mi pare, di 160 milioni di tonnellate, quelle recuperate in Europa nei settori chiave, vetro, plastica, alluminio, metalli vari, l'Italia è prima in Europa. Battiamo, nonostante la nostra economia sia più piccola, anche la Germania, tant’è vero che importiamo in alcuni segmenti in materia prima e seconda dall'estero.
  Alla fine, il nostro posizionamento produttivo, come ricordato, che non è figlio sempre di sensibilità, anzi quasi mai, ma di istinto di sopravvivenza delle imprese, ci sposta verso un terreno che, però, per noi è positivo.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Green Building Council (GBC) Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di Green Building Council Italia.
  Vi chiedo scusa, ma siamo in un intenso pomeriggio di lavoro e a una certa ora dovremo far entrare i rappresentanti del CNR, ultimi della giornata. Immagino che ci abbiate già mandato, come richiesto (oltre a tutti i materiali che volevate anche) un abstract di 5 cartelle, più facilmente utilizzabile, che può servirci maggiormente per il nostro lavoro successivo. Se siete d'accordo, direi che avete dieci minuti o un quarto d'ora per illustrare i vostri punti essenziali, in maniera che i colleghi possano poi porre, se lo desiderano, dei quesiti.

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  RICCARDO HOPPS, Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia. Anzitutto, cercheremo molto velocemente di illustrare chi siamo. GBC Italia è acronimo di Green Building Council Italia, un'associazione no profit nata circa cinque anni fa, nel 2008, in Italia e che si basa sulla partecipazione attiva e plurale di attori dell'intera filiera del settore costruzioni, sia pubblici sia privati, inclusiva e aperta, basata sulla valorizzazione e la partecipazione attiva dei soci. Ha quale obiettivo quello di trasformare il mercato, in particolar modo quello del settore delle costruzioni, cercando di introdurre tematiche di riduzione di impatto ambientale, di qualità degli ambienti interni e di utilizzo di materiali adeguati. L'associazione si occupa di fare formazione e informazione. I soci a livello internazionale sono circa 500. È suddivisa in chapter locali. È con me la dottoressa Iris Visentin, responsabile della realizzazione dei prodotti che ora andremo velocemente a vedere.
  GBC fa parte del network internazionale Green Building Council, un'associazione di associazioni, presente in quasi tutti i Paesi del mondo, tranne l'Africa. Ha un accordo particolare con US GBC per la diffusione di un protocollo specifico, che vedremo, e che si chiama LEED, acronimo di Leadership in Energy and Environmental Design. Obiettivo, quindi, di GBC Italia e a livello internazionale è favorire una market trasformation su base volontaria, per cui sono gli attori stessi che si impegnano a cercare di migliorare il mercato delle costruzioni. Ogni GBC o più GBC portano avanti una serie di protocolli di certificazione a livello sia di edificio sia di comparti urbani. Nel mondo ce ne sono diversi, dal CASBEE giapponese al Green Star australiano, al BREEAM inglese, al LEED, quello di riferimento dei protocolli specifici che stiamo portando avanti a livello italiano, il GBC historic building in particolare, protocolli che hanno l'obiettivo di cercare di ridurre le emissioni del settore.
  Come si mostra nella slide n. 9, il settore gli edifici è quello che impatta maggiormente sull'ambiente e quei protocolli hanno l'obiettivo non solo di ridurre a livello economico, ragionando sul triple bottom line, quindi l'aspetto economico, ambientale, ma anche sociale, ma anche quello di cercare di puntare l'attenzione sugli ambienti interni. Questi sono alcuni dati a livello internazionale sugli edifici green, certificati secondo diverse procedure, tra le quali il LEED. Tali dati dimostrano ad esempio che i ragazzi nelle scuole hanno risposto con migliori risultati nei test scolastici. Allo stesso modo, a livello degli ospedali, si sono registrate dimissioni anticipate. Esiste, quindi, una correlazione diretta tra la qualità, la salubrità degli ambienti, l'aspetto economico legato al tema della produttività, l'incremento della produzione e così via. LEED, come dicevo, acronimo di Leadership in Energy and Environmental Design, non è altro che un sistema volontario di certificazione delle performance della sostenibilità degli edifici e dei quartieri. È una famiglia di protocolli, dal residenziale al quartiere, suddivisi anche per tipologie, commercial interiors o new constructions, scuole, retail, che coprono l'intera vita utile dell'edificio. Si parte dalla progettazione, si seguono la costruzione e anche la gestione degli edifici. Come dicevo, hanno una scala dal singolo edificio al quartiere, quindi copriamo un po’ l'intero settore delle costruzioni.
  Siccome sono protocolli energetici ambientali, le aree tematiche non analizzano solo l'aspetto energetico, benché assolutamente preponderante, ma si dividono in cinque aree tematiche: la prima è la sostenibilità del sito, e quindi la correlazione tra l'edificio, il manufatto e l'intorno, che in questo è correlato ha una serie di tematiche, tra cui la mobilità sostenibile; la seconda è la gestione delle acque, quindi riduzione dell'uso dell'acqua potabile; la terza è l'energia, capitolo essenziale, ormai di dominio pubblico a livello internazionale e attenzionato in maniera adeguata; la quarta si riferisce ai materiali, quindi la scelta delle tipologie di materiali adeguate, che riducono problematiche anche nei confronti delle persone che vivono gli ambienti; la quinta, infine, Pag. 42riguarda la qualità ambientale interna, quindi comportamento idrotermico negli ambienti, acustico e luminoso.
  L'obiettivo è, quindi, sempre quello sempre di innovare la progettazione e, soprattutto, di creare cultura, quindi informazione e consapevolezza. Parliamo di cifre che si aggirano intorno ai 200.000 progetti LEED in tutto il mondo, suddivisi per i protocolli che vi illustravo, e quindi circa 1,5 miliardi di metri quadri di edifici certificati e registrati solo sul tema commercial. Parliamo, dunque, a livello internazionale, di circa 1,5 miliardi di metri quadrati certificati LEED ogni giorno (slide n. 16).
  Qui c’è ciò che succede in Italia. Siamo nati nel 1998 e abbiamo visto esponenzialmente una serie di edifici certificati e registrati LEED: 2 milioni di metri quadri dimostrano l'entità degli interventi realizzati o in fase di realizzazione nel breve tempo, dal 2000 al 2012, in un periodo in cui l'edilizia passa dalla fase di progettazione all'esecuzione, alla gestione dell'edificio. Se ne comprende l'importanza.
  Green Building Certification Istitute è un'istituzione terza. Il protocollo è valido, infatti, se ha una procedura standardizzata e trasparente e un ente di certificazione terzo che validi effettivamente le prestazioni degli edifici. È un sistema autoconsistente, per cui ragioniamo in termini di sussidiarietà. In tutto il mondo, infatti, si va in questa direzione. Questi sistemi permettono di conferire qualità all'intera procedura.
  Nel momento in cui si arriva alla certificazione, il prodotto finale, involucri e impianti, l'intero manufatto in quanto tale, ha delle caratteristiche di qualità certificata, che è quella cui le direttive europee ci stanno obbligando, dalla n. 27 del 2012 sull'efficienza energetica nell'edilizia alla n. 31 del 2010 sulla prestazione energetica nell'edilizia e così via.
  Si parla di edifici nuovi e anche esistenti. L'innovazione del mercato si vede in America. Il Chrysler Building o l'Empire State Building sono arrivati a certificazione LEED. In Italia, abbiamo avuto l'esempio, soprattutto nelle zone del nord Italia, dove i capitali internazionali sono intervenuti in maniera più concreta, di un maggiore numero di progetti certificati LEED.
  Questo, per esempio, è il caso dell'intervento di Hines SGR per il progetto immobiliare Porta Nuova a Milano, dove un fondo arabo è entrato con una quota del 40 per cento perché aveva la certezza di avere un protocollo di certificazione di riferimento che garantisse qualità dei risultati. Altri esempi sono il rettorato dell'università Tor Vergata a Roma, l'edificio residenziale dell'Università di Roma a Casal Bertone, un centro commerciale al Villaggio Verde. Sono altri esempi in Italia di progetti che si stanno, per iniziativa privata, certificando LEED.
  La direttiva 2012/27/UE è una rivoluzione per l'edilizia ed è un'occasione che l'Italia non dovrebbe perdere. Contiene tutto l'approccio che consideriamo green economy che non è un segmento specifico dell'economia, ma una rivoluzione, un ripensamento dell'economia in quanto tale, quindi non c’è un perimetro ben prestabilito, ma un modo di pensare la nostra economia, facendo attenzione a una serie di tematiche.
  La direttiva 2012/27/UE è volta a riqualificare zone urbane e l'edilizia esistente, a cominciare dagli enti pubblici, che dal 30 aprile 2014 anno dovranno presentare un piano nazionale di riqualificazione energetica per una percentuale del 3 per cento annuo dello stock edilizio esistente di proprietà pubblica. Immaginate quale mole di lavoro e quale volano economico potrebbe rappresentare un'operazione di questo genere, se affrontata in maniera seria, certificata e con procedure estremamente trasparenti. L'attuazione della direttiva, soprattutto l'articolo 4, per la realizzazione del piano di cui stavo parlando, coinvolge assolutamente tutti gli attori, Parlamento, Governo, cittadini, associazioni, servizi e così via. L'esempio di oggi è un momento di incontro estremamente interessante, per il quale vi ringraziamo.
  Veniamo alle proposte di GBC Italia. Ci siamo resi conto, leggendo alcuni atti parlamentari, Pag. 43che spesso non si fa riferimento specifico a queste direttive che riteniamo assolutamente fondamentali. In particolare, per la Strategia energetica nazionale (SEN), che ha un raggio di visione estremamente limitato, come per una strategia in teoria non dovrebbe essere, suggeriamo di avere un più ampio orizzonte strategico per le politiche che favoriscono questi temi.
  Soprattutto, vorremmo che il riferimento alle direttive sia veramente trasversale in tutti gli atti parlamentari in essere o in via di realizzazione. Si parla tanto di piani città e di smart cities, ma nessuna di queste politiche fa riferimento specifico alle direttive e questo, sinceramente, ci preoccupa.
  Bisognerebbe adottare la logica di sussidiarietà. Essendo esistenti e ormai validati a livello internazionale, perché non ricorrere a questi strumenti utili a deresponsabilizzare l'amministrazione pubblica ? Quando si arriva a certificazione, infatti, si ha già una garanzia di terzietà dell'analisi del risultato e questo potrebbe immediatamente farci partire con la riqualificazione del patrimonio.
  È importante, come dicevo, attivare una serie di gruppi parlamentari, interministeriali, Commissioni parlamentari, Conferenza Stato-regioni, proprio perché il tema è estremamente complicato e comprende una serie di attori specifici, compresi tutti quelli della filiera delle costruzioni.
  Vediamo la semplificazione come un obiettivo da perseguire in questa direzione. Verificato che questi protocolli a livello internazionale sono assolutamente di qualità, il fatto che le procedure possano essere ridotte aiuta a risolvere una serie di problematiche che conosciamo, cercando però di puntare sì alla semplificazione, ma con l'obiettivo fondamentale della qualità del risultato e questi protocolli aiutano a misurare effettivamente le prestazioni degli edifici.
  L'aiuto degli incentivi è estremamente importante, ma riteniamo che debba essere pensato in una logica integrata e non solo per singolo impianto o tipologia tecnica o intervento o materiale. Deve trattarsi di una logica generale di prestazione dell'intero edificio. L'obiettivo principale è arrivare a risultati di qualità, ma perché si è seguita una procedura assolutamente standard, riscontrabile.
  L'idea di attivare progetti, 100 ecoquartieri per 100 città, edilizia scolastica e pubblica come casi esemplari, potrebbe essere veramente il volano per far ripartire l'economia. I fondi europei ci aiuteranno in questo perché, comunque, l'intera programmazione europea è volta in questa direzione. Il tema fondamentale è utilizzare in maniera più corretta le risorse economiche che l'Unione europea ci metterà a disposizione, ma che anche partenariati pubblico-privati ci potrebbero aiutare a portare avanti.
  Quello di GBC Italia è un contributo assolutamente tecnico e trasversale. Al nostro interno, abbiamo istituito un comitato tecnico specifico che abbiamo chiamato «Laboratorio» e che sta lavorando su questo tema in maniera precisa. Ha l'obiettivo di disegnare linee guida per una gestione efficiente di edifici dal punto di vista energetico con strumenti operativi riconosciuti a livello internazionale, con format standardizzati e database di archiviazione e analisi dei dati, consumo reale degli edifici validati a livello internazionale.
  Sono importanti una linea guida specifica sul green procurement, che consideriamo un tema assolutamente importante, e il tema, come dicevo, della qualità ambientale interna come importante e focale all'interno del settore delle costruzioni. Utilizzare strumenti di questo genere ci aiuta, effettivamente, a essere operativi subito e in linea con quello che le direttive europee ci chiedono, cioè di certificare con qualità, monitorare i risultati e riportare in maniera corretta i dati.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MIRKO BUSTO. Vi ringraziamo per la presentazione. Nello documento da voi Pag. 44consegnato, sono tenute in conto la costruzione e l'uso, ma non la decostruzione e la demolizione dei materiali. Soprattutto quando si costruisce nell'ottica del risparmio energetico della fase d'uso, può essere interessante considerarla perché, appunto, ci sono diversi modi di costruire che possono portare a diversi modi di decostruire, e quindi eventualmente riciclare materiali o non farlo. Questa era una questione sulla quale vorrei un vostro chiarimento.
  Suppongo, comunque, che i materiali siano studiati come ciclo di vita.

  RICCARDO HOPPS, Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia. Sì.

  DAVIDE CRIPPA. Avevo già visto il vostro standard, tempo fa, quando facevo il professionista, ed era ancora un momento in cui il cliente, se non era un'istituzione pubblica, aveva una certa difficoltà a entrare in questo tipo di ottica, ma è ovvio che la strada che stavamo cercando di perseguire era quella. Non ero, però, al corrente della problematica dell'applicabilità diversificata di alcuni standard. Credo che ci siano anche delle logiche territoriali e di ambientazione diverse, per cui devono entrare nel ragionamento in maniera diversificata.
  In relazione allo standard delle acque, ad esempio, e all'obbligo della raccolta delle acque piovane, è ovvio che in termini tempi di ritorno siano molto più rapidi gli investimenti in regioni a siccità elevata, mentre in zone piemontesi, con l'acqua un metro sotto la falda, forse conviene di più utilizzare l'acqua di falda secondaria, con costi molto più limitati, e non quella potabile con costi diversi. Questo, però, diventa una complicazione in termini di mancanza di raggiungimento del punteggio, e quindi un po’ anche una mancanza di obiettivo.
  In merito alle vostre considerazioni di prevedere il rilascio delle certificazioni da parte di enti terzi, vorrei chiedere: «Riguarda soltanto la parte di materiali o anche la certificazione dal punto di vista energetico ?» In realtà, la certificazione energetica forse è l'unica che oggi deve essere come immacolata rispetto al processo che porta alla creazione di un edificio. Il soggetto certificatore, infatti, è svincolato dalla direzione dei lavori e non deve avere rapporti neanche con l'impresa. Questo è vero dal punto di vista di curriculum e dell'obbligo, ma personalmente non lo sposterei su un discorso di terzietà, quanto piuttosto di accesso e controllo sull'operato del cantiere.
  Lo standard del Trentino-Alto Adige e in Südtirol ad esempio è diverso perché lì c’è un obbligo di cogenza e di ingresso in cantiere, di verifiche periodiche, di registri segnalati, di quando si vanno a effettuare i sopralluoghi. Spesso la certificazione è una sorta di presa d'atto di incarico di ciò che è sostenuto dal direttore dei lavori. Altro non si può fare. Diversamente, si dovrebbe demolire la struttura quando la si certifica, di solito in un momento successivo a quello in cui è realizzata.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  RICCARDO HOPPS, Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia. Provo a rispondere alla domanda sulla decostruzione. Il nostro obiettivo e il nostro approccio è quello dell'intero ciclo di vita delle costruzioni. Consideriamo, quindi, l'intero edificio non solo nel momento in cui lo progettiamo, ma anche nel momento in cui lo decostruiamo per riutilizzare i materiale.
  Un'intera serie di crediti valorizza proprio il recupero di molti materiali, e quindi l'intervento su edifici esistenti per noi è un valore aggiunto, tramite la riduzione di consumo di uso improprio proprio per questo motivo. Coi nostri protocolli, quindi, i nostri strumenti, che consideriamo di mera misura delle prestazioni, molto asettici, ragioniamo più sull'approccio generale veramente integrato. Per noi, dunque, il tema del decostruire è assolutamente integrato nella logica generale degli strumenti.
  I materiali sono trattati con il life cycle assessment, ma tenete in considerazione Pag. 45che il tema della valutazione del ciclo di vita dei materiali è ancora estremamente complicato e non così consolidato a livello di ricerca. Di conseguenza, i nostri protocolli prevedono l'analisi di questo tema, ma ci arrivano in maniera diversa dalla vera e propria analisi del ciclo di vita.

  IRIS VISENTIN, Referente sviluppo prodotti e formazione. Trattandosi di un argomento abbastanza complesso e prendendo in considerazione proprio tutta la gamma di prodotti e materiali dell'edificio, si vede nella storia dell'evoluzione del protocollo una sempre maggiore attenzione e forza su questo tema.
  Il ciclo di vita prende in considerazione delle variabili, alcune delle quali sono «fatalità» e «crediti dell'area materiali e risorse», quindi contenuto di riciclato, materiale locale, materiale rapidamente rinnovabile, materiale con basse emissioni di CO2. Ora sta uscendo la nuova versione del protocollo e c’è proprio un credito specifico che valorizza, e quindi premia, tutti i materiali che hanno prodotto un LCA, Life Cycle Assessment appunto, o un EPD, Environmental Product Declaration, quindi c’è proprio una crescita nel mercato.
  Rispetto alla decostruzione, giusto per fornire qualche dettaglio un po’ più tecnico, faccio presente che nel protocollo ci sono dei crediti specifici riguardano la demolizione e ricostruzione degli edifici, per cui è valorizzata, ad esempio, la percentuale di edificio che non è stato abbattuto ma è riutilizzato o lo è il modo in cui sono smaltiti i detriti e gli scarti di cantiere. La valorizzazione riguarda, quindi, il fatto che gli scarti non siano portati in discarica, ma utilizzati per realizzare altri prodotti.

  RICCARDO HOPPS, Segretario del Chapter Lazio di GBC Italia. Per il discorso sull'applicabilità di alcuni standard, vorrei dire che i nostri protocolli sono strumenti multifattoriali, quindi hanno una serie di prerequisiti e crediti che permettono di acquisire un punteggio e danno un livello di certificazione.
  Un'area tematica specifica, ad esempio, di priorità regionali valorizza proprio l'aspetto che poneva lei: se in Sicilia il problema è l'acqua, se si trovano meccanismi e percorsi di sostenibilità che ne riducono il consumo, si è premiati. Questo permette di trasformare il protocollo, che ha una validità internazionale, e di scendere molto nel dettaglio sulle criticità ambientali del luogo dell'applicazione. Il protocollo, quindi, è strutturato in maniera da permettere di intervenire in questi termini.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato 2). Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di CNR.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti di CNR.
  Questo è l'ultimo incontro di una intensa giornata di lavoro, la prima in cui sentiamo i soggetti portatori di esperienze significative di carattere generale: studi, ricerche, riflessioni, sulla definizione e sulle prospettive della green economy, sulle priorità e sulle caratteristiche dell'evoluzione della green economy nel nostro Paese in particolare. In questo quadro abbiamo chiesto il punto di vista del CNR e credo ci sia arrivata una vostra nota di sintesi che distribuiremo a tutti i colleghi. Vi chiediamo di esporci in 10-15 minuti il vostro punto di vista, in maniera da lasciare un po’ di spazio a eventuali domande dei colleghi deputati.

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. Immagino che sia stata una giornata dura.
  Come sapete, sono qui in rappresentanza del Consiglio nazionale delle ricerche. Pag. 46Parlare di green economy è come parlare di niente, nel senso che è un'espressione così generale, vasto e, soprattutto, che in quest'ultimo periodo ha cambiato molto il suo significato.
  Prima, parlando di green economy essenzialmente facevamo un po’ di confusione con l'energia verde, la green energy, mentre adesso il tema è ad ampio raggio e direi che questo concetto si è esteso a tutte le attività produttive.
  Non posso esprimere per conto del CNR un parere su tutti i settori che riguardano la green economy, ma ho cercato di restringere, come vedete anche nel breve abstract che vi ho mandato, non il concetto ovviamente, impossibile da restringere, l'attività o l'impulso che a nostro avviso andrebbe dato a questo settore. Mi sono concentrato sulla chimica verde, o green chemistry, che sicuramente conoscete o di cui avrete sentito parlare e sentirete molto parlare penso nei prossimi giorni.
  Le ragioni di questa focalizzazione sono due. Anzitutto, l'Italia ha una forte tradizione nel settore della chimica, ormai obsoleta. La chimica è messa un po’ al bando in quanto considerata fortemente impattante, inquinante, ma la tradizione esiste, come anche una cultura e molti siti industriali, che ovviamente sono dismessi o in dismissione, ma che potrebbero essere proficuamente riutilizzati e impiegati nella green economy e in particolare nella green chemistry. Inoltre, in effetti in Italia abbiamo delle eccellenze industriali nel settore della green chemistry, in particolare nel settore delle bioplastiche e in quello dei biocarburanti di seconda e terza generazione. Queste eccellenze, a mio avviso, andrebbero opportunamente sfruttate.
  Mi riferisco alle nuove iniziative che stanno nascendo di imprese che si stanno giocando un po’ il futuro su questo argomento. Ne parlerete con chi di dovere, ma mi riferisco, ad esempio, a Mossi & Ghisolfi, a Novamont, a ENI. Il fatto stesso di parlare oggi della presenza di ENI nella green chemistry è sicuramente una novità importante e anche abbastanza sconvolgente. L'industria del petrolio per eccellenza e anche quella che ha inquinato forse maggiormente l'Italia, attualmente si sta dirigendo in maniera decisa, riconvertendo impianti – vengo dalla Sardegna, da Sassari e ho davanti agli occhi un impianto che sta nascendo – per un coinvolgimento nella ricerca del settore di questo. Vedo, quindi, che ci sono investimenti importanti e un tema in cui la grande industria italiana dimostra di credere. Penso, allora, che questo sia un settore importante, da valorizzare.
  Quanto alla ricerca, il settore che più mi riguarda da vicino, posso dirvi che c’è una crescita esponenziale in tutto il mondo di pubblicazioni scientifiche dirette proprio verso la green economy in generale e, in particolare, verso la chimica verde o, se volete, più correttamente, verso le biotecnologie bianche, e cioè quella branca delle biotecnologie che ha portato negli ultimi anni fortissimi sviluppi nella degradazione enzimatica della biomassa che è poi ciò che serve nei processi produttivi: ossia la sostituzione delle materie prime per l'industria petrolchimica con una materia prima rinnovabile, naturale, che porta quasi a zero – è una bugia che porti a zero il bilancio di CO2, ma è vero che abbassa di percentuali veramente importanti l'inquinamento e la crescita di CO2 in atmosfera.
  È crescente, dunque, lo sviluppo di attività scientifica in tutto il mondo, in particolare nel mondo occidentale. Si tratta, infatti, forse della nostra unica chance per rimanere competitivi nei confronti di Paesi che presentano un'ampia crescita economica che consente una competitività nella produzione di prodotti consolidati nel tempo. Dal punto di vista scientifico, quindi, il fermento è grande, come testimonia l'imponente crescita del numero delle pubblicazioni in questo settore.
  In Italia, ci sono già stati investimenti importanti. Cito solo l'esempio del lancio di un bando interno nel CNR, per partecipare a un progetto premiale: ho ricevuto, incredibilmente, più di 400 risposte dai ricercatori, i quali hanno chiesto di mettere a disposizione le loro competenze Pag. 47perché ritenevano che fossero congrue e ben inquadrate all'interno della chimica verde, e quindi della green economy in generale. L'ente occupa altri spazi nella green economy, come tutta la parte delle energie alternative, dei pannelli solari e così via, ma questo tema sta effettivamente emergendo.
  Occorrerebbe, a mio avviso, spingere su nuove vie per formare i nostri ragazzi su questo argomento, in modo che possano essere competitivi con i colleghi europei, per i quali certi ambiti sono particolarmente sentiti da tempo. Penso al nord Europa, alla Germania, ma anche alla Francia, che è un buon competitor rispetto all'Italia in questi settori.
  Una formazione, dunque, sarebbe importante, ma dal punto di vista occupazionale la chimica verde, o comunque la green economy in generale, non prevede occupazione solo di altissimo livello. Bisognerebbe riuscire a rilanciare e a ricreare quei poli chimici che erano veramente importanti in Italia, riconvertendoli dal punto di vista «verde», per inquinare di meno, produrre materiali innovativi, che quindi si vendono ad alto valore aggiunto, ritornare competitivi sul mercato.
  Nelle bioplastiche, ad esempio, siamo veramente molto competitivi. Il fatto che una delle nostre aziende italiane abbia vinto la gara per fornire il catering alle Olimpiadi di Londra con plastiche biodegradabili significa che la competitività esiste, e quindi anche dal punto di vista occupazionale potrebbero esserci vantaggi. Forse non crescerà di molto l'occupazione, ma si salverà quella delle maestranze destinate necessariamente ad andare a casa perché le industrie chimiche, così come sono oggi, certamente non sono sostenibili.
  Come ente, stiamo spingendo una parte importante della ricerca completamente verso questo tipo di approccio green, sicuramente per quanto riguarda la chimica, parte della fisica e gran parte dell'ingegneria, di cui non ho parlato perché, come ho detto in premessa, non posso parlare globalmente, ma che ovviamente ha una parte importante anche per i riflessi sul settore dell'edilizia, sull'occupazione, sul governo del territorio.
  Resto a vostra completa disposizione per qualunque domanda intendiate porre.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  COSIMO PETRAROLI. Vorrei porre una domanda abbastanza semplice. Non so se sa che la nostra Strategia energetica nazionale prevede, oltre che il recepimento di direttive europee volte all'efficientamento energetico, soprattutto politiche per un nuovo trend di trivellazioni nel Mediterraneo, nello Ionio e nel Tirreno.
  Spesso ci sono divergenze di opinioni tra noi deputati sulla possibilità, attraverso generatori di biocombustibili, eventualmente di sostituire completamente il mancato introito derivante dalla cessazione delle attività estrattive dei combustibili fossili, cioè da un cambio di strategia industriale.
  Perciò le chiedo: se scegliamo il biocombustibile e non le trivellazioni, quanto è possibile ricavare da questo tipo di fonte energetica, sia che si tratti di prodotto derivante da scarti agroalimentari sia che si tratti di prodotto fisicamente coltivato, come mais e così via ?

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. Direi che i combustibili fossili, allo stato attuale, non sono assolutamente sostituibili in tempi brevi. Lo saranno per forza in tempi lunghi perché finiranno. Su questo non ci sono dubbi. È per questo che è il momento adesso di insistere e cambiare direzione. Possiamo ricavare i prodotti chimici, cioè risparmiare quel petrolio o quei combustibili fossili in generale che vanno diretti alla petrolchimica. Lì le tecnologie sono abbastanza mature.
  Per quanto riguarda i biocarburanti, o biocombustibili, due cose ben diverse, sui biocarburanti è interessante intervenire Pag. 48perché sapete che l'inquinamento ambientale da trasporto è diffuso e non controllabile, mentre un inquinamento «industriale» in senso lato avviene in un posto preciso ed è comunque controllabile, nei limiti delle tecnologie che possediamo.
  I biocarburanti, quindi, hanno un certo interesse perché il fatto di non poter controllare l'inquinamento ovviamente è grave, ma non abbiamo ancora quantità e tecnologie tali da poter sostituire il petrolio. Pensare, dunque, di sostituire completamente l'introito delle trivellazioni...

  COSIMO PETRAROLI. Tenendo quelle che abbiamo.

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. Certamente, come politica, il trend è quello di spingere verso le rinnovabili e, soprattutto, verso l'utilizzo degli scarti alimentari, che rappresentano un capitolo importante. Adesso le biotecnologie bianche sono in grado di convertire non più solo l'amido, come si è sempre fatto, ma anche la cellulosa e la lignina. Questo significa riuscire a sfruttare l'80-90 per cento della biomassa verso formazione di molecole utili anche energeticamente.
  Esistono brevetti e funzionano già impianti pilota che convertono cellulosa in etanolo con grande facilità. Anche la lignina sta cedendo. Questi erano i nodi. Della biomassa, infatti, si sfruttava solo l'amido o solo lo zucchero. È chiaro che il Brasile, ad esempio, per tanti anni è andato avanti con l'etanolo e le automobili funzionavano a etanolo, ma perché si basava sulla monocoltura agricola della canna da zucchero. Ma io non so cosa sia più impattante, se una petrolchimica o una monocoltura di canna da zucchero.

  PRESIDENTE. [fuori microfono] Soprattutto, noi la meccanizzeremmo, e quindi ci costerebbe energeticamente di più, mentre quelli vanno a mano !

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. Anche andando a mano, però, avrei seri dubbi sull'impatto ambientale di una monocoltura di canna da zucchero estesa in maniera impressionante. Chi di voi conosce il luogo, sa benissimo di cosa parlo.
  Oggi, invece, con l'evoluzione tecnologica si riesce a recuperare l'etanolo anche da quello che prima era lo scarto, che andava alla combustione. Si recuperano anche delle belle molecoline.
  È ovvio che oggi non possiamo sostituire il petrolio tout court. Dobbiamo, però, spingere in quella direzione perché dovremo sostituirlo per forza, sarà questione di tempo, 20, 30, 50 anni. Direi che tutte le previsioni precedenti sono un po’ saltate, ma è ovvio che quella è una risorsa finita. Inoltre, più se ne usa e più si distrugge il mondo.

  MIRKO BUSTO. Quando lei dice «la sostituzione non è la soluzione», però, c’è un problema.. Non possiamo sostituire il modello attuale con il consumo, per esempio, del trasporto automobilistico basato su combustibili fossili con uno shifting verso un nuovo paradigma usando combustibili biocarburanti. Abbiamo, infatti, evidenti problemi di consumo del suolo. Allo stesso modo, non potremmo coprire la produzione di tutti i prodotti derivati del petrolio, come quelli che citava lei, con materia derivata da biomasse perché probabilmente ci ritroviamo nello stesso problema precedente.
  Mi chiedo, allora, cosa lei pensi di una riconsiderazione globale delle attività, come una reingegnerizzazione delle attività umane, in primo luogo nell'ottica della consapevolezza della finitezza della risorsa petrolifera. Il discorso vale anche per la risorsa acqua, la risorsa suolo e via discorrendo.
  Parliamo anche di biodiversità. Aumentare il consumo di suolo per la produzione di biocarburanti, biocombustibili o biomateriali impatterà ugualmente sulla risorsa biodiversità, alla quale abbiamo attinto per questo secolo almeno dal punto di vista farmaceutico e da tanti punti di vista.

  ANDREA VALLASCAS. Qui giochiamo in casa. Ben venga la ricerca, ma vorrei Pag. 49sapere se la chimica verde potrebbe condizionare l'agricoltura. Cito l'esempio di Porto Torres, per questo dico che giochiamo in casa. Qui sono sfruttati 350 ettari di terreno che prima erano incolti per la coltivazione del cardo: se così non fosse stato, se non ci fossero stati terreni disponibili, dove si sarebbe recuperata la materia prima ?
  Quanto alla centrale biomasse, che so che sarà creata, sarà alimentata per metà dagli scarti del cardo: come lo sarà l'altra metà ? Quali saranno i materiali utilizzati ? Vorrei anche sapere se sarà applicata la filiera corta.

  PRESIDENTE. Quello che stiamo affrontando è indubbiamente uno dei temi chiave anche perché, come ha sottolineato, il settore della chimica verde svolge un ruolo da protagonista in Italia in questo momento, almeno, a partire dai brevetti.
  Vorrei pregarla, però, professore, prima che esauriamo l'indagine, di inviarci anche del materiale del CNR di quadro sul resto delle partite che avete aperto. Essendo, appunto, il tema della green economy molto esteso, gradiremmo che ci inviaste una specie di review dei fronti che giudicate, al di là di questo, interessanti.

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. Ne ho accluso solo un elenco nella memoria che vi ho consegnato, ma vi farò sicuramente mandare del materiale espansivo.
  Comincerei dalla domanda sul discorso del cardo. Attualmente, sono 350 ettari, ma chiaramente è un campo sperimentale e ce ne vorrà molto di più. Di terreni incolti ce ne sono tanti, migliaia di ettari. Fino adesso hanno fornito un reddito assistenzialistico, nel senso che l'Unione europea versava dei contributi per non coltivare, che trovo molto triste. In ogni caso, attualmente i terreni incolti presenti solo sull'isola di Sardegna sono molto più di quelli che necessiterebbe la centrale a biomasse di Porto Torres per funzionare completamente, non a metà. A ora, quindi, il problema non sussiste.
  Diversamente, probabilmente non avrebbero fatto la riconversione a Porto Torres. Questo è uno dei motivi. D'altra parte, questo crea un indotto assolutamente favorevole. A mio avviso, una coltivazione alternativa a quelle tradizionali sarde non costituirebbe la fonte di reddito principale, ma un ausilio al reddito sicuramente sì. Siccome il cardo cresce in terreni marginali, non irrigui, non ha bisogno di terreno alto, è uno sfruttamento del territorio, forse anche un modo per riordinarlo, laddove attualmente è completamente abbandonato.
  Per quanto riguarda la centrale a biomasse, ci sono state ricche polemiche, come lei sa, in tutto il territorio. Ovviamente, le rispondo per le notizie che ho dal punto di vista scientifico. Dal punto di vista industriale, vi risponderanno i soggetti preposti. Io ho avuto modo di controllare il progetto, che mi è stato consegnato, ed è una centrale a griglia vibrante, che non consente la combustione di rifiuti solidi urbani.
  Per poter bruciare dei rifiuti solidi urbani, quindi, dato che questo era il dubbio, dovrebbero drasticamente cambiare il progetto o l'impianto una volta realizzato. La situazione è questa. Proprio dal punto di vista tecnico, non le brucia. Probabilmente, importeranno della biomassa, così come già sta facendo, che mi risulti, la centrale E.ON. È sicuramente un'opportunità e la filiera sarà certamente corta, non più di 70 chilometri di distanza dall'industria. Questo è il loro progetto.
  Ritornando alla domanda precedente, vorrebbe ricordarmi la problematica ? Uno dei problemi riguardava la sostituzione del cibo ?

  MIRKO BUSTO. Parlavo di problemi derivanti dalle ipotesi di sostituzioni di vecchie fonti con nuove fonti di produzione di energia, per questo citavo l'esempio della produzione elettrica da combustibile fossile o da biocombustibili, evidenziando che c’è comunque un problema generale di mutamento dei modelli, di organizzazione delle attività. Infatti, attualmente c’è un preciso modello di trasporto, Pag. 50un modello di produzione energetica e di consumi energetici, eccetera.
  Alcuni hanno fornito risposte secondo le quali la semplice sostituzione delle fonti energetiche non può essere la soluzione, perché ad esempio l'utilizzo di biocombustibili incontra limiti fisici che derivano, appunto, dalla risorsa suolo, ma anche limiti relativi alla distruzione della biodiversità. Per quanto sia terreno abbandonato o coltivato a monocultura, non ci sono differenze, ma danni collaterali, come l'impoverimento della risorsa acqua, che non c’è in quel caso perché non c’è irrigazione.

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. In quel caso non c’è, però sicuramente fa parte di questo tipo di problematica.

  MIRKO BUSTO. In quest'ottica, ci si chiede se sia possibile una riflessione più ampia non limitata all'immediato, a un business o al fatto che il petrolio è comunque in esaurimento. Mi interesserebbe una riflessione di più lungo periodo sul ripensamento di certe attività umane, nell'ottica, ad esempio, di una riduzione del trasporto privato o di uno shifting verso il trasporto elettrico e una centralizzazione della produzione elettrica.

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. La risposta è senz'altro positiva. Il ripensamento è proprio anche a livello di Unione europea. Nel programma Horizon 2020 è rivisto molto il discorso della sostituzione proprio dei carburanti con i biocarburanti, in maniera molto seria.
  Inizialmente, era stato posto un obiettivo preciso: entro il 2020, il 20 per cento di biodiesel nel diesel; il 20 per cento di etanolo nella benzina. Forse ci si arriverà, ma c’è un'attenzione a rivedere la politica generale e questo rientra nella green economy, prima vista come green energy o green chemistry e basta. Adesso, invece, è diventato un discorso globale, per cui, anche in relazione ai trasporti, è percepita come fondamentale la modalità di muoversi. Ecco perché la domanda sulla filiera corta era molto centrata e corretta.
  Qualora, infatti, si dovesse riconvertire le «petrolchimiche» in bioraffinerie di terza generazione, e si dovesse portare la biomassa, come qualcuno sta facendo in Italia, dalla Thailandia, direi che non ci siamo. È lì che, secondo me, bisogna investire. Quando parlo di investimenti, mi riferisco anche semplicemente a quelli intellettuali, non necessariamente a investimenti di denaro. Bisogna, però, investire sui giovani e cercare di formarli, di cambiare la loro mentalità. Investire in green economy va bene, a mio avviso e ad avviso dell'ente, tanto è vero che, ricordo quello che dicevo poco fa, moltissimi giovani ricercatori portati a spingere la ricerca in questa direzione. Va sicuramente bene, ma va pensata. Non bisogna buttarsi a pesce – scusate la terminologia brutale -sulla prima iniziativa perché è di moda. Bisogna indirizzare un trend anche culturale verso una filosofia generale e stare molto attenti a cosa si fa.
  Dicevo che i biocarburanti non sono più quelli di prima generazione, che erano inutili: fare l'etanolo dallo zucchero per metterlo in una macchina è inutile. Citerò un dato: per un pieno a un SUV servono 265 chili di mais, ma una persona può vivere un anno – con una razione di 2.200 chilocalorie al giorno – con 260 chili di mais. Alla luce di queste considerazioni, occorre fare ricerca, innovazione, non trasformare il mais in etanolo perché non serve.

  PRESIDENTE. Abbiamo votato in questo senso una risoluzione proprio oggi in Commissione Ambiente, ma il MoVimento 5 Stelle ha votato contro.

  DAVIDE CRIPPA. [fuori microfono] La trasmetta al presidente della X Commissione !

  MIRKO BUSTO. Quel che voglio dire è che possiamo lavorare sulla domanda o sull'offerta. Ci sembra sempre che stiamo Pag. 51facendo uno shifting da un paradigma produttivo a un altro, lavorando sempre sull'offerta.

  PRESIDENTE. Non bisogna sostituire il vettore, ma il sistema !

  MIRKO BUSTO. La nostra idea è che bisogna cambiare il modo di vita delle persone, fare in modo, ad esempio, che ci si muova di meno perché c’è meno necessità nel campo dei trasporti.

  MAURO MARCHETTI, Responsabile sede di Sassari dell'Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. Questo sta avvenendo, al di là della parte di ricerca, concretamente. Vedo nascere e crescere pannelli solari sui tetti da tutte le parti.
  È vero che c’è stata una politica incentivante. È per questo che, a mio avviso, dovrebbe esserci ancora una politica incentivante, questa volta verso attività produttiva più che verso il singolo. Se l'attività produttiva è incentivata, si sposta e va verso la direzione che le viene indicata.

  PRESIDENTE. È il motivo per cui per l'Enel sarà una sfida difficile e io sarei felice che Enel riuscisse a realizzare quello che ci ha detto oggi, ma che implica un cambiamento di mentalità totale. L'Enel è abituata a un sistema in cui gli operatori e i produttori di energia si contavano sulle dita di due mani, adesso sono fra 400 e 500 mila. È vero, allora, che anche Enel comincia a sostenere che è necessario realizzare la smart grid, ma questa affermazione, venendo da Enel, è un po’ dura da accogliere.
  Ringrazio il professor Marchetti e tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.

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