XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 13 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DELL'EDILIZIA SCOLASTICA IN ITALIA

Audizione di rappresentanti di ANCI, UNCEM, UPI e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 3 
Giachi Cristina , Rappresentante dell'ANCI ... 3 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 4 
Muraro Leonardo , Rappresentante dell'UPI ... 5 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 6 
Aprea Valentina , Rappresentante della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 6 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 10 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 10 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 10 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 10 
D'Ottavio Umberto (PD)  ... 11 
Rocchi Maria Grazia (PD)  ... 12 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 13 
Giachi Cristina , Rappresentante dell'ANCI ... 14 
Muraro Leonardo , Rappresentante dell'UPI ... 15 
Aprea Valentina , Rappresentante della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 17 
Ghizzoni Manuela , Presidente ... 19 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'ANCI ... 21 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'UPI ... 33 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 69

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MANUELA GHIZZONI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di ANCI, UNCEM, UPI e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione dell'edilizia scolastica in Italia, l'audizione di rappresentanti di ANCI, UNCEM, UPI e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
  Oggi l'UNCEM è rappresentata dai delegati dell'ANCI.
  Inizierei l'audizione odierna proprio dall'ANCI. Sono presenti la dottoressa Cristina Giachi, assessore all'educazione, fondi europei, università, ricerca, politiche giovanili, pari opportunità del comune di Firenze, e la dottoressa Sabrina Gastaldi, dell'ufficio istruzione dell'ANCI.
  Do la parola alla dottoressa Giachi, quale rappresentante dell'ANCI.

  CRISTINA GIACHI, Rappresentante dell'ANCI. Ringrazio per questa possibilità di esporre per l'ANCI il punto di vista, la situazione e le esigenze dei comuni italiani, con riguardo alla delicata questione dell'edilizia scolastica e delle condizioni in cui versa.
  Come sapete, abbiamo nel Paese circa 40.000 edifici scolastici, il 40 per cento dei quali, forse anche un po’ di più, è stato costruito tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Parliamo di edifici costruiti con tecniche edilizie di un certo tipo, ossia con utilizzo di amianto in grande quantità.
  Si tratta di un patrimonio scolastico notevole, anche di pregio per certi aspetti, ma che ha bisogno di notevolissimi interventi, non solo di messa in sicurezza, ma anche di adeguamento alle nuove esigenze dell'istruzione nel Paese.
  Sono, quindi, due i filoni di intervento indispensabili, ovvero, da un lato, la messa in sicurezza e la stabilizzazione degli edifici; dall'altro, la programmazione di interventi per adeguare gli edifici alle nuove esigenze dell'istruzione e la costruzione di nuove scuole.
  Negli anni, si sono succeduti diversi interventi, che trovate puntualmente riferiti, in sintesi, nella memoria depositata, e che sono rappresentati sia da interventi previsti da piani stralcio per casi particolari – quasi sempre secondo una modalità che fa riflettere, in seguito a eventi tragici come crolli o terremoti in zone particolari del Paese – sia da interventi comunque sporadici e saltuari.
  Credo che conosciate lo stato dei finanziamenti, comunque puntualmente riassunto nella citata memoria. Negli ultimi mesi, ci troviamo di fronte a un crescendo di interventi predisposti sia nella legge di stabilità, sia nel decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013, sia Pag. 4in alcuni provvedimenti singoli, che ci conducono ad avanzare alcune richieste e considerazioni.
  L'ANCI rileva come sia indispensabile un piano condiviso con gli enti locali, che prenda avvio dalla famosa anagrafe sull'edilizia scolastica, mai arrivata definitivamente a completamento. D'altro canto, è necessaria una velocizzazione delle procedure, nel passaggio dei finanziamenti dall'amministrazione centrale dello Stato e dalla loro provenienza originaria alle amministrazioni dei comuni, le quali devono spenderli per adeguare le strutture.
  Il maggior punto dolente è, in realtà, il vincolo del patto di stabilità interno, per cui si è apprezzata moltissimo – da parte dei comuni – la disposizione della legge di stabilità che considera «fuori patto di stabilità» le spese per l'edilizia scolastica, anche se il miliardo di euro per il 2014 a cui si fa riferimento, almeno nell'ultima versione e, quindi, la portata del provvedimento lascia abbastanza a desiderare. Si tratta, infatti, di cifre veramente esigue per i singoli comuni. In ogni caso, il tema del «fuori patto di stabilità» per le spese di edilizia rimane il punto centrale; molti comuni, infatti, hanno capacità di indebitamento, ma hanno problemi con il vincolo del patto di stabilità interno.
  Gli interventi più saltuari o occasionali, come l'ultimo della direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 26 marzo 2013 sul fondo immobiliare, hanno in realtà previsto una tipologia di finanziamento molto complessa da realizzare per i comuni italiani. Tenete conto che, dei circa 8.000 comuni italiani, soltanto 38 sono entrati in graduatoria, dei quali – a oggi – soltanto 2 sembrano in grado di istituire autonomamente un fondo immobiliare. In alternativa, serve la collaborazione delle regioni o la creazione di network di comuni. In realtà, quindi, il tipo di intervento può essere un utile strumento di pianificazione della gestione del patrimonio immobiliare delle amministrazioni locali, ma non è, forse, lo strumento più adatto per provvedere a un'esigenza come quella, puntuale, dell'edilizia scolastica. Attualmente, l'ANCI rileva questo dato e cioè che si tratta di uno strumento difficilmente adoperabile per la gran parte dei comuni italiani.
  Dall'altro lato, si renderebbe necessaria una completa fruizione dei dati dell'anagrafe dell'edilizia scolastica, e un suo completamento, mai avvenuto fin dalla sua istituzione, oltre, chiaramente, a un completamento e a una condotta a termine del finanziamento dei piani stralcio che, pur succedutisi a partire dal 2006, non hanno ancora avuto compimento. In alcuni casi, rimangono ancora tranche di finanziamento non definite – o non attribuite – ai comuni interessati dai piani stralcio. Questo è un altro degli elementi puntuali sull'argomento in questione.
  Chiediamo, quindi, l'erogazione dei finanziamenti dei piani stralcio e che sia dato seguito alla citata direttiva del Ministero dell'istruzione sul fondo immobiliare, magari verificandone la fattibilità, rivedendone la finalità. I 38 milioni di euro assegnati da questa direttiva, che sono comunque una cifra piuttosto esigua rispetto all'esigenza del patrimonio edilizio scolastico italiano, sono attualmente non fruibili dai comuni.
  Questo è, in estrema sintesi, quanto è contenuto nella nota depositata agli atti. Rimaniamo a disposizione per ulteriori chiarimenti.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Giachi per il suo contributo.
  Sono presenti anche i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Saluto, in particolare, Valentina Aprea, che è stata nostra collega a lungo, insieme a me in molte battaglie – anche con posizioni diverse – amica da tempo.
  Riprendiamo la nostra audizione con i rappresentanti dell'UPI. Sono presenti il dottor Leonardo Muraro, presidente della provincia di Treviso e presidente del consiglio direttivo dell'UPI, accompagnato dalla dottoressa Samantha Palombo, responsabile dell'area welfare dell'UPI.
  Do la parola al dottor Leonardo Muraro, quale rappresentante dell'UPI.

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  LEONARDO MURARO, Rappresentante dell'UPI. Fornirò pochi dati, per non sovrappormi a quanto testé detto, che condivido.
  Non possiamo non ribadire che il patto di stabilità interno è stato sicuramente uno dei limiti per la messa in sicurezza delle scuole, relativamente ai progetti antisismico e all'adeguamento alle norme sulle barriere architettoniche.
  Dobbiamo, però, denunciare che, dal 2008 in poi, i fondi destinati alle province, che ricordo accolgono oltre 5.000 edifici scolastici e oltre 2,5 milioni di studenti, trasferiti attraverso i finanziamenti per l'adeguamento e le messe a norma, sono stati assolutamente limitati, a fronte di risorse proprie messe dalle province, dell'ordine di 10 miliardi di euro per nuove strutture: circa 2,5 miliardi di euro destinati a nuove strutture e nuovi edifici e circa 7,5 miliardi di euro finalizzati agli aspetti manutentivi e di organizzazione scolastica all'interno dell'immobile. Come sapete, infatti, abbiamo la gestione immobiliare delle scuole secondarie, per cui tutti i relativi plessi immobiliari sono di nostra competenza.
  Sicuramente ci sono stati degli aspetti verso cui avevamo molte aspettative, a partire dalla previsione del fondo unico per l'edilizia scolastica, che purtroppo ha bisogno, come ricordava poc'anzi l'assessore Giachi, di un grosso finanziamento di risorse: ciò finora non è accaduto. Faccio poi riferimento all'intesa tra il Governo, le regioni e le autonomie locali sull'attuazione dei piani di edilizia scolastica; al decreto-legge n. 69 del 2013, cosiddetto «decreto del fare», su cui tornerò per un appunto, e al decreto-legge n. 104 del 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca.
  Nelle province, come ho accennato, ci occupiamo di circa il 30 per cento degli studenti. Quanto al citato decreto del fare, il finanziamento da esso previsto – per la riqualificazione dell'edilizia scolastica – è stato di 150 milioni di euro per l'anno 2014. Delle risorse ripartite dal Governo tra le regioni, le province hanno ricevuto, per progetti definitivi, di pronta applicazione, il 13 per cento, a fronte di una popolazione di oltre il 30 per cento di alunni.
  Voglio denunciare un'iniquità nei confronti non delle province, ma della popolazione scolastica. Il 30 per cento degli scolari, degli edifici scolastici secondari, ha ricevuto dalle regioni il 13 per cento delle risorse. Questo è un dato inaccettabile. Peraltro, vi sono stati, in questi anni, investimenti da parte delle province a favore della messa a norma degli edifici scolastici, a fronte di una crescita della popolazione studentesca, che sicuramente è il domani della nostra realtà nazionale. Credo che quanto descritto sia iniquo e vogliamo ribadire che non accettiamo una certa situazione, anche con riferimento al cosiddetto disegno di legge Delrio (A.C. 1542), relativamente alla gestione delle scuole secondarie di secondo grado.
  In una carenza di risorse – nel nostro Stato – assolutamente imperante, abbiamo condotto uno studio – che è stato depositato agli atti – nel quale denunciamo che, attraverso la proposta del predetto disegno di legge, il passaggio della gestione delle scuole secondarie di secondo grado dalle province ai comuni creerà un aggravio di spesa di oltre 2 miliardi di euro.
  Questo calcolo è stato effettuato considerando la gestione di reti ottimali di area vasta, rispetto a un aumento di centro di costo che si verificherebbe col trasferimento della gestione delle scuole di secondo grado nei diversi comuni. Su 5.600 edifici scolastici gestiti dalle province, solamente 2.000 si trovano in città capoluogo di provincia. I rimanenti, oltre 3.000, si trovano in piccoli o medi comuni, che non sarebbero in grado di operare una gestione d'area vasta, come stiamo facendo attraverso il global service sui risparmi energetici e sugli appalti. Questa gestione consente quelle economie di scala importanti che hanno visto – sono dati che abbiamo già consegnato – il nostro costo di riscaldamento, a metro cubo, di 2,6 euro per gli edifici scolastici, mentre nei comuni che gestiscono in proprio il riscaldamento, Pag. 6quindi con quantità minore di combustibile, il riscaldamento ha costi di oltre 4,6 euro a metro cubo.
  Vogliamo ribadire un altro concetto sull'aumento dei costi, relativo al fatto che in tante province si sono creati, come nel modello inglese e americano, i poli formativi, che permettono di compensare le «oscillazioni» nelle scelte degli studenti tra gli studi di ragioneria, liceali, di istituto per geometra o di istituto tecnico. Questi accentramenti di istituti scolastici consentono di compensare le predette oscillazioni, di fare economie di scala, e sono concentrati anche in comuni di poche migliaia di abitanti. Con il predetto disegno di legge Delrio si potrebbe supportare questo trasferimento a un comune ? In provincia di Treviso, nel comune di Villorba, che conta 14.000 abitanti, abbiamo realizzato un polo scolastico: ci sono 9 scuole secondarie, 14 edifici e una popolazione di circa 8.000 ragazzi, che frequentano questo luogo grazie alle economie di area vasta che riguardano trasporti, servizi, palestre, campi sportivi, mense e così via.
  Chiediamo poi un provvedimento che metta a disposizione maggiori risorse per il fondo unico per l'edilizia scolastica. Vogliamo che, finalmente, delle risorse siano trasferite a coloro che, effettivamente, hanno la responsabilità nella gestione scolastica. Chiediamo che si tenga conto anche di quelli che possono essere i maggiori costi che il citato provvedimento Delrio potrebbe determinare, nel caso in cui fosse approvato questo disegno di legge, che creerebbe una moltiplicazione di centri di costo e un aggravio di spese, quantificabili – con dati del SIOPE, il sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, e del MIUR – in 2,5 miliardi di euro.
  Ribadiamo che abbiamo dei progetti per le scuole secondarie, con l'obiettivo Europa 20-20-20: 20 per cento di energie rinnovabili, 20 per cento di contenimento del dispendio energetico e 20 per cento in meno di emissioni nocive in atmosfera per i nostri edifici scolastici entro il 2020. Siamo già a un buon punto. Riteniamo che, nel 2016, già raggiungeremo questi obiettivi, perché facciamo economie di scala, economie di area vasta. Non vorrei che il disegno di legge Delrio potesse rappresentare, invece, un arretramento, con maggiori costi con riferimento al sistema scolastico.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Muraro, anche per l'aggiornamento su un disegno di legge in esame in questi giorni alla Camera, quindi oggetto di una riflessione e di una discussione molto attuale.
  Darei ora la parola alla dottoressa Aprea, assessore all'istruzione, formazione e lavoro della regione Lombardia, ma che oggi audiamo in quanto coordinatore vicario della Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. La dottoressa Aprea è accompagnata da alcuni componenti della segreteria della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che sono il dottor Paolo Alessandrini, l'avvocato Arianna Borghetti e il dottor Giuseppe Schifini.

  VALENTINA APREA, Rappresentante della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Ringrazio il presidente Ghizzoni. È per me sempre un piacere tornare a dialogare e a lavorare con la Commissione cultura della Camera, che mi ha visto impegnata per molti anni in storiche battaglie ricordate dal presidente, ma anche in dibattiti importantissimi e seri, a favore di quel cambiamento dell'istruzione e della formazione professionale che non si è mai compiuto.
  È per questo che guardiamo sempre con molta attenzione, anche dall'osservatorio delle regioni, il lavoro della Commissione di questa Camera e del Senato e ci affianchiamo al lavoro che quotidianamente svolgete, proprio perché è un cantiere sempre aperto che merita attenzione, meriterebbe più investimenti, pur sapendo che questo è uno dei punti critici di tutta la partita dell'istruzione.
  Mi riconosco nelle relazioni che sono state presentate dai colleghi dell'ANCI e Pag. 7dell'UPI, per cui procederò a una presentazione per punti, lasciando agli atti, e alle proponenti di quest'indagine conoscitiva, le onorevoli Coscia e Ghizzoni, il testo integrale della relazione e altra documentazione, in modo da mettere a disposizione di tutta la Commissione cultura del materiale per approfondimenti e per le conclusioni dell'indagine conoscitiva, che leggeremo con molta attenzione.
  Come sapete, il quadro di contesto è caratterizzato da un divario tra il fabbisogno di interventi e le risorse disponibili. Vi è necessità, innanzitutto, di rilanciare una visione programmatica all'interno di un piano che non si limiti a operazioni di manutenzione straordinaria, cioè a mettere in sicurezza gli immobili scolastici – attività che peraltro gli enti locali continuano a compiere tutte le volte e come possono –, ma che sia capace di orientare uno sviluppo di lungo periodo per una scuola più moderna (credo che questo sia il primo problema), tecnologicamente all'avanguardia, che riconosca anche negli ambienti di apprendimento un elemento fondamentale per il migliore sviluppo delle conoscenze acquisite e della crescita degli studenti.
  Torneremo più volte su questo concetto perché, se in passato avevamo sostanzialmente il problema della sicurezza degli edifici, di ambienti che potessero essere accoglienti e sicuri, oggi si aggiunge un ulteriore problema. La didattica digitale, infatti, il presente terzo millennio, il momento storico che stiamo vivendo, ci impongono di prevedere luoghi di apprendimento anche tecnologicamente all'avanguardia.
  Prima di tutto, va riaffermata la centralità della scuola nella vita economica, culturale e sociale di ogni territorio, facendo sì che essa risulti sempre più adeguata e attuale rispetto alle esigenze educative e formative, anche nelle modalità innovative richieste dallo sviluppo tecnologico e dal contesto. D'altro canto, la scuola deve essere considerata nodo di una rete culturale e sociale che si estende a tutta la comunità locale, nei diversi momenti della giornata, per costituire – appunto – riferimento del territorio e del sistema sociale. Da tempo, le scuole assolvono anche a questo compito, essendo punto di riferimento di una serie di attività, certamente di giorno per le attività scolastiche, ma anche durante l'orario extrascolastico: l'amica Coscia, che è stata anche assessore della città di Roma, conosce bene la sfida.
  Tutto ciò premesso, la situazione dell'edilizia scolastica in Italia è stata già da voi rappresentata – molto bene – nel programma dell'indagine conoscitiva, che giustifica la richiesta di indagini e di approfondimenti. Non posso però fare a meno di ricordare che una serie di rapporti, sistematicamente, ci sottolinea la gravità della situazione dell'edilizia scolastica, con numeri drammatici, che ripropongono le tradizionali problematiche del patrimonio scolastico italiano.
  Innanzitutto, questo patrimonio è datato. Il 40 per cento degli edifici scolastici è stato costruito negli anni dal 1961 al 1980, sostanzialmente con la ricostruzione del secondo dopoguerra; metà degli edifici non possiede la certificazione di agibilità; meno di un terzo degli edifici in comuni a rischio sismico ha una verifica di vulnerabilità sismica; oltre il 30 per cento degli edifici necessita di interventi di manutenzione straordinaria. Potrei andare avanti con tutti i dati che conoscete.
  Non ultimo, sapete bene che esiste nel Paese una grande attenzione per la rimozione dell'amianto. Molte delle nostre scuole, che apparentemente sembrano sicure, in realtà presentano anche questa problematica e richiederebbero interventi immediati per la rimozione completa dell'amianto, che quando sono state costruite non era riconosciuto come un problema.
  Vi è, inoltre, una questione di tenuta delle scuole rispetto alla caratteristica, alla tipologia. A Milano, ad esempio, ci sono scuole in prefabbricati che, oggi, non hanno più nessuna garanzia, che è scaduta. Capirete la responsabilità. Accade di trovarci davanti a scuole che, a vederle da fuori, sembrano di buona agibilità o soddisfazione, ma, di fatto, nascondono una serie di problemi.Pag. 8
  Se questa è la situazione, cosa fanno le regioni, cosa hanno fatto e, soprattutto, cosa pensano di fare ? Ciò in una prospettiva di orizzonte temporale che va – come sapete – ciclicamente rispetto alle programmazioni triennali, termine per le programmazioni regionali.
  Bisogna richiamare, anzitutto, la funzione di programmazione regionale. La legge n. 23 risale al 1996. Pensate quanto sono vecchia, dal punto di vista parlamentare, non vi concedo altro. Ho elaborato questa legge con Nadia Masini, ed è stata la prima grande riforma di questa Commissione – tanti anni fa – che ha retto, che è servita, ma non è stata più rifinanziata. La validità di quella legge risiedeva tutta non solo nella rideterminazione delle attribuzioni ai diversi livelli istituzionali, ma anche nella certezza che dava la legge rispetto a un rifinanziamento, che avrebbe dovuto garantire i piani di comuni, province e regioni rispetto a queste funzioni.
  Rileggo il comma 2, dell'articolo 4 di quella legge, sempre valido e vigente: «La programmazione dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali – quindi sono quelli che facciamo noi nelle regioni – e piani annuali di attuazione predisposti e approvati dalle regioni, sentiti gli uffici scolastici regionali, sulla base delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti sentiti gli uffici scolastici provinciali, che all'uopo adottano le procedure consultive dei consigli scolastici distrettuali e provinciali».
  Sembra, come vedete, preistoria. Sicuramente, quindi, abbiamo dei punti di riferimento forti nella legislazione italiana, come il decreto legislativo successivo n. 112 del 1998, che ha ribadito le competenze tra province e comuni e riconosciuto le funzioni di programmazione regionale. Non potrebbe essere diversamente, perché i piani di sviluppo dell'edilizia scolastica sono strettamente correlati alla programmazione regionale dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche e dell'offerta formativa, nonché dei servizi di trasporto e di diritto allo studio.
  Tra l'altro, già in questi atti legislativi, si è regolato bene il legislatore nel prevedere, tra i vari compiti e le funzioni, l'istituzione dell'Anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica, diretta ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico, articolata per regioni, la quale costituisce lo strumento conoscitivo fondamentale ai fini dei diversi livelli di programmazione degli interventi nel settore.
  Sia le regioni, sia il Ministero dell'istruzione, non sono mai riusciti ad arrivare a un punto fermo sulla questione dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica e – meno che mai – sull'Anagrafe nazionale degli studenti. Sono buchi neri che rendono tutto più difficile.
  Mentre, però, per l'Anagrafe degli studenti l'Autorità sulla privacy ci pone un problema, individuando il nodo che blocca tutto, non si capisce perché non siamo riusciti tutti insieme – quando ho avuto responsabilità di Governo, ci siamo imposti, anche con banche dati, un lavoro enorme, almeno dal 2002, quindi subito dopo la legge Bassanini – a mettere un punto fermo o, perlomeno, quando c’è stato, non è stato mai aggiornato.
  Se un'anagrafe non è aggiornata, non serve e, così, dopo l'inganno, c’è la beffa. Il riparto dei finanziamenti avviene, infatti, sulla base dell'anagrafe non aggiornata, per cui una serie di problemi va assolutamente affrontata.
  Se posso permettermi un suggerimento alla Commissione e una richiesta, direi che possiamo provare insieme, tra Parlamento, regioni e Ministero, a mettere un punto fermo sulla questione. I sistemi tecnologici ci offrono la possibilità di aggiornare, in tempo reale, le situazioni e non possiamo più accettare i tempi biblici che, una volta, erano solo del Ministero e che, complessivamente, sono ora di tutte le amministrazioni.
  Abbiamo bisogno di un'anagrafe dell'edilizia scolastica aggiornata in tempo reale. Questo è il problema dei problemi. Quando dobbiamo, infatti, discutere di gravità, di priorità, di finanziamenti che non bastano per tutti, di emergenze, lì si Pag. 9leggono i dati. Abbiamo bisogno di questo sistema. Assieme alla collega Targetti, coordinatrice della Commissione IX della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, con cui lavoriamo per il coordinamento degli assessori, sono ormai convinta che non sia l'unico problema, ma certamente è un problema.
  Altro tema è, ovviamente, quello dei finanziamenti. Gli stanziamenti nazionali per l'edilizia scolastica hanno seguìto diversi filoni di intervento, caratterizzati da discontinuità e frammentarietà degli obiettivi. Partiamo dalla citata legge n. 23 del 1996 e vi è una serie di dati positivi, ma anche negativi. Arriviamo alla legge n. 443 del 2001, alle risorse FAS che, come sapete, sono di competenza del Ministero dello sviluppo economico. Comincia l'avventura di questi fondi con i 226 milioni di euro assegnati all'Abruzzo per sostenere la ricostruzione dopo gli eventi sismici; 5 milioni al Ministero dell'interno per finanziare la Scuola europea di Parma, e tanti altri per interventi che trovate in modo dettagliato, nel rispetto della trasparenza massima. È seguìto il piano del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Bene. Ricordate quello che ci dicevamo ? Abbiamo sempre bisogno del Ministro dell'economia e delle finanze quando parliamo di istruzione.
  Vi ho fornito tutti questi dati per spiegare quanto abbiamo bisogno di una programmazione di lungo periodo, basata su risorse certe. Abbiamo già richiamato l'attenzione dei ministeri competenti e, insieme ad ANCI e UPI, in particolare in una lettera del 2011 inoltrata alla Presidenza del Consiglio pro tempore dell'epoca, abbiamo individuato tre punti: l'assoluta necessità di avere certezza nella continuità dei finanziamenti statali e nel rispetto dei livelli di programmazione e di gestione degli interventi; l'efficacia del sistema di governance disposto dalla legge n. 23 del 1996, realizzata attraverso piani generali triennali e piano annuali; la consapevolezza che la sicurezza e la continuità dei finanziamenti sia garanzia di efficacia ed efficienza degli interventi, così potendo rispondere alla domanda di manutenzione ordinaria, straordinaria e messa a norma delle strutture, nonché di realizzazione dei nuovi edifici.
  In tale contesto le regioni sono disponibili a sperimentare le attivazioni di diversi strumenti finanziari innovativi – parlerò, a mo’ di esempio, di cosa fa la regione Lombardia – con funzione di leva finanziaria delle risorse pubbliche, valorizzazione dei patrimoni edilizi esistenti, a partire dall'utilizzo di fondi immobiliari già introdotti dalla direttiva del Ministro dell'istruzione del 26 marzo 2013, nell'ambito comunque di una programmazione regionale e un accordo con gli enti locali per la necessaria flessibilità di possibile attivazione, coerente con le caratteristiche dei territori e dei programmi di interventi.
  In conclusione, le regioni evidenziano le seguenti condizioni, per consentire il miglioramento delle condizioni dell'edilizia scolastica: il ripristino di un sistema di finanziamento unico – coerentemente alla definizione nazionale di fondo unico per l'edilizia scolastica di cui parlava il collega dell'UPI – sulla base della legge n. 23 del 1996, che garantisca una continuità di finanziamento; stabilità di finanziamenti nel lungo periodo in una logica di programmazione non emergenziale; condivisione tra i diversi livelli istituzionali di modalità di programmazione, trasferimento fondi e procedure che consentano di ridurre i tempi che oggi intercorrono tra la programmazione e la realizzazione di interventi; che gli interventi di edilizia scolastica siano esentati dal rispetto del patto di stabilità, per cui anche per le regioni è stato un goal l'esclusione degli ultimi finanziamenti dal medesimo patto di stabilità; che gli interventi di edilizia scolastica siano defiscalizzati, in modo da permettere, con le stesse risorse, di finanziare un maggior numero di interventi; il completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica, trattandosi di uno strumento conoscitivo fondamentale ai fini dei diversi livelli di programmazione.
  Lascio alla Commissione, oltre alla nota citata, ulteriore documentazione della regione Lombardia. Noi siamo coerenti con Pag. 10quanto chiediamo. In regione Lombardia si è votato da poco – la X legislatura è iniziata da pochi mesi – e abbiamo già votato le linee guida del piano triennale per la programmazione degli interventi a favore del patrimonio scolastico, approvato dalla Giunta e dal Consiglio. Ci piace far presente che ci muoveremo, in relazione ai prossimi interventi e finanziamenti, nel rispetto delle linee guida, con strumenti innovativi soprattutto dal punto di vista finanziario, ma vincoleremo tutti gli interventi pubblici alla costruzione di nuovi edifici, edifici del futuro, che possano reggere all'impatto della didattica digitale da qui a 20, 30, 40 anni. Ovviamente, sono investimenti. Infine, grazie a questo fondo dovuto a una legge regionale della Lombardia, abbiamo potuto far fronte immediatamente all'emergenza che si è determinata con l'ultimo terremoto che ha colpito l'Emilia-Romagna e la provincia di Mantova, destinandovi i fondi presenti nel fondo unico per l'edilizia scolastica regionale. In tempo reale, quindi, il giorno successivo al terremoto, c’è stata una delibera che ha destinato 8 milioni di euro per tutti gli interventi urgenti. Ci tengo a rappresentarlo, perché tanti comuni, la provincia di Mantova, la regione, il consiglio regionale e tutte le istituzioni hanno fatto sì che i ragazzi di quelle zone colpite non perdessero un solo giorno di scuola.
  Presidente Ghizzoni, so che questo tema le è molto caro, perché anche le sue zone sono state colpite. In Lombardia ci siamo riusciti, quindi mi sembrava doveroso dirlo.
  Abbiamo poi compiuto un'analoga operazione con i fondi arrivati dallo Stato, sottoscrivendo un patto con il comune di Milano – si tratta di fondi statali che sono passati dalla regione, in aggiunta a fondi comunali – che ci ha permesso di rimuovere l'amianto da tutte le scuole di Milano: questo è un obiettivo che abbiamo raggiunto. Per i prossimi «miracoli», ci stiamo organizzando.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSEPPE BRESCIA. Ringrazio i nostri ospiti per essere intervenuti. Vorrei aggiornarvi brevemente sul lavoro svolto finora dal Movimento 5 Stelle. Ovviamente, sin da subito, ci siamo detti molto attenti a questa tematica e abbiamo raccolto una segnalazione che l'UPI fece sin dall'inizio della legislatura, con riferimento alla condizione generale della scuola: 10.000 edifici addirittura da abbattere, 400 dei quali a rischio apertura per quest'anno scolastico. Formulammo subito un'interrogazione al riguardo e ci fu risposto che avrebbero stanziato 150 milioni di euro nell'ambito del cosiddetto decreto del fare.
  Dopo questo stanziamento è sorto il problema, segnalatoci dalle regioni e dagli enti locali, che i termini per presentare i progetti erano troppo brevi e, oggi, ci dite che soltanto il 13 per cento di quelle risorse è stato effettivamente utilizzato.

  PRESIDENTE. Il presidente Muraro ha detto una cosa diversa, e cioè che di quella disponibilità, solo una quota è andata alle province. Rispetto al 30 per cento di popolazione studentesca che frequenta le scuole superiori, quindi, il presidente lamentava che non è stato assegnato, di quel finanziamento, un equivalente anche nel trasferimento alle province.

  GIUSEPPE BRESCIA. Avevo inteso male io. A ogni modo, su questo tematica avevamo avuto delle segnalazioni in merito alla questione dei tempi. Molti lamentavano che non avevano avuto il tempo, appunto, di presentare i progetti, e quindi di accedere a questi fondi.
  A una nostra interpellanza in merito – come al solito – il Governo ha risposto in maniera evasiva, senza fornire una concreta risposta. Ci abbiamo provato anche con degli emendamenti presentati in sede di esame del decreto-legge n. 104 del 2013, cosiddetto «istruzione», durante il quale stavamo proponendo anche di prorogare questi termini. In quella circostanza ci fu Pag. 11detto che sarebbe stato sconveniente farlo, perché si sarebbero aperte di nuovo le gare e, quindi, forse, non era il caso, perché ciò avrebbe creato confusione.
  Avevamo anche presentato degli emendamenti per raddoppiare i fondi destinati originariamente all'istruzione con il predetto decreto-legge n. 104 del 2013, trovando anche 5 coperture finanziarie diverse, affinché qualcuno potesse valutare favorevolmente anche una sola di quelle, ma neanche in questo abbiamo avuto fortuna.
  Descritto il nostro impegno, se dovessimo parlare anche della questione della scuola digitale, ci sarebbe da discutere a lungo, come sulla riqualificazione degli edifici già esistenti, in relazione a cui eviteremmo il più possibile di costruirne di nuovi, perché crediamo che, appunto, sia molto più conveniente riqualificare il patrimonio esistente che non cementificare ancora. Seguiremmo poi le linee guida che favorirebbero l'applicazione della nuova didattica digitale, linee che – tra l'altro – sono state anche già segnalate dall'ex Ministro Profumo, che realizzò un buon documento, dal quale attingiamo sempre per i nostri interventi, e dove si segnalavano spazi aperti e quant'altro. Siamo, quindi, molto attenti a questa tematica.
  Per continuare il nostro lavoro, vorremmo chiedervi, concentrandoci soltanto sulla questione del flusso delle risorse, dove si inceppa il meccanismo, dove sorgono i problemi tra i vari enti, che non permettono il reale utilizzo dei fondi spesso stanziati dal Governo.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Credo che, tra le audizioni che stiamo svolgendo in quest'indagine conoscitiva, quella di oggi sia la più importante. Abbiamo, infatti, quali ospiti, i rappresentanti dei responsabili della sicurezza nelle scuole, della possibilità dei nostri ragazzi e dei nostri insegnanti di poter andare tutti i giorni negli istituti scolastici.
  È importante, quindi, che abbiate lasciato agli atti dei documenti e mi fa molto piacere lo spirito dei vostri interventi. In un periodo in cui tutti sanno che cosa devono fare gli altri, l'aver rivendicato cosa serve, per svolgere bene il vostro lavoro, va a vostro merito.
  Lo scopo di quest'indagine è esattamente questo e vi invito anche a seguirne l'evoluzione, dal momento che, oltretutto, ci avviamo alla conclusione dei lavori.
  Tuttavia, presidente Ghizzoni, colgo l'occasione per un invito. Purtroppo, quando parliamo di edilizia scolastica, facciamo emergere soltanto gli aspetti negativi, cioè gli edifici che non funzionano o che cadono in testa ai ragazzi. Non facciamo emergere gli aspetti positivi, i tanti edifici che invece sono nuovi, moderni e via discorrendo. Purtroppo, la cronaca ci obbliga a far questo.
  La sentenza d'appello sulla vicenda del Liceo Darwin di Rivoli, della settimana scorsa, è una sentenza sulla quale, purtroppo, bisogna fare una riflessione. Sono stati condannati tutti i dirigenti della provincia di Torino degli ultimi 30 anni, cioè quelli che dovevano preoccuparsi della manutenzione dell'edificio nel corso del tempo, e anche tutti gli insegnanti responsabili della sicurezza, una sentenza clamorosa.
  Per vostra informazione, a Torino, il giorno dopo questa sentenza, tutti i responsabili della sicurezza delle scuole si sono dimessi e non c’è più nessun dirigente né di un comune né di una provincia che si assuma la responsabilità sul pregresso. Chiederei alla presidente di valutare la possibile audizione del procuratore di Torino Raffaele Guariniello in questa Commissione. Sento il dovere di conoscere la sua teoria.
  Purtroppo, come qualcuno di voi già sa, di questa vicenda non solo mi sono occupato, ma porto anche nella storia un po’ di responsabilità. La vicenda è molto chiara. Sostanzialmente, la teoria del procuratore, che condivido, è che non si tratta soltanto di una questione di soldi. I dirigenti, i responsabili, devono fare in modo che il pericolo non si esprima, quindi le scuole che non sono sicure vanno chiuse. Questo è il tema.
  Dobbiamo dedicare tutta la nostra attenzione innanzitutto al controllo. Sempre Pag. 12per parlare di realtà che conosco, a Torino, l'università e le scuole hanno migliaia di metri quadrati chiusi, proprio perché il pericolo non si esprima; questo anche perché non ci sono le risorse per intervenire, ma il pericolo non si esprime. Il tema è questo.
  Va quindi condotta una riflessione, perché c’è una questione di responsabilità. Mi ha fatto molto piacere che oggi, nei tre interventi, nessuno degli auditi ha dichiarato che ci avrebbe «consegnato le chiavi» e di pensarci noi all'argomento in discussione, ma ci è stato chiesto di essere messi in condizione di fare il proprio lavoro.
  In questa Commissione, presso la quale sono ospiti autorevoli rappresentanti, e qualcuno torna anche sul «luogo del delitto» – laddove delitto è la parola importante – siamo consapevoli del tema, e da quando essa è in funzione, sul tema della sicurezza e dell'edilizia scolastica stiamo concentrando molto la nostra attenzione. Chiederei, per esempio, all'onorevole Aprea di dirci, anche per rispondere all'osservazione del collega Brescia a proposito dei soldi arrivati con il cosiddetto decreto del fare, se sono stati tutti utilizzati. Io so che lo sono stati, ma vorrei una conferma. Spieghiamoci una volta per tutte. Per quel decreto i progetti dovevano essere immediatamente cantierabili e, per nostra informazione, i comuni e le province hanno un sacco di progetti immediatamente cantierabili. Il problema sono le risorse.
  Il provvedimento successivo, ossia il decreto-legge n. 104 del 2013, concernente l'istruzione, l'università e la ricerca, approvato definitivamente dal Senato la settimana scorsa, all'articolo 10 fa un'operazione che immagino abbiate condiviso e compreso, ma che il Governo non si è venduto bene. I 40 milioni di euro annui per 30 anni significano che l'anno prossimo avremo 850 milioni e nel provvedimento è detto chiaramente che la distribuzione di quelle risorse deve essere fatta con le regioni impegnate nella programmazione e che le risorse devono arrivare il più in fretta possibile ai comuni e alle province attraverso le regioni.
  È una sollecitazione che ci facciamo reciprocamente di stare vicini gli uni agli altri, affinchè ciò sia attuato. Abbiamo riscritto quel provvedimento, nel senso che abbiamo dato al Governo 3 mesi per redigere il regolamento di attuazione di quella misura.
  Sarà compito nostro insistere perché – a cominciare dalla legge di stabilità 2014 – vi siano altri provvedimenti che seguono tale linea. Da questo punto di vista, nonostante sul disegno di legge di stabilità ci sia un enorme caos – tutto mi aspettavo meno che in esso si parlasse di spiagge, che non devono essere assolutamente vendute –, l'allentamento previsto del patto di stabilità interno per i comuni e le province, per quanto concerne gli investimenti, ad esempio, è invece fondamentale. Se questo avviene, i comuni e le province saranno nelle condizioni di potere intervenire.
  Ringrazio davvero per il materiale che avete consegnato alla Commissione. Personalmente, lo sto tenendo tutto preziosamente raccolto, ed è stato già riprodotto, proprio perché stiamo facendo un grosso lavoro. Spero davvero che questa Commissione, una volta che abbia finito le audizioni, possa svolgere, presidente, una vera discussione – anche piuttosto lunga – sulle conclusioni, che devono portare a una risoluzione.
  Il nostro Paese ha bisogno di dare una svolta sul tema dell'edilizia scolastica. È chiaro a tutti noi che, se vogliamo raggiungere gli obiettivi europei, abbiamo bisogno di due elementi: una scuola che funzioni bene, e soprattutto buone scuole.

  MARIA GRAZIA ROCCHI. Saluto i nostri interlocutori in questa fase più o meno finale dell'indagine conoscitiva. Sarò brevissima, prima di tutto per esprimere veramente un apprezzamento per un aspetto che solo pochi soggetti hanno notato durante le nostre audizioni: è cambiata la natura degli interventi sull'edilizia scolastica e c’è finalmente una nuova attenzione Pag. 13anche a un'edilizia scolastica che pensa al futuro dell'apprendimento. Non ci basta più, infatti, un contenitore qualsiasi, un edificio qualunque, ne servono di funzionali e che agevolino e rappresentino anche una leva per l'apprendimento.
  Mi fa piacere che si insista sull'efficientamento energetico, ma il fatto che non si parli di sicurezza, non significa che siamo arrivati al punto d'arrivo sotto tale profilo. I casi della provincia di Torino ci dimostrano che è su quel fronte che si aprono inchieste, che incorriamo nelle procedure più complesse. Ecco perché vorrei chiedervi come avvertite e come avete affrontato, benché sia un ambito nel quale il legislatore deve intervenire, il tema dell'uniformità delle norme, che molto spesso ci creano difficoltà interpretative.
  Sappiamo che le norme che riguardano l'edilizia scolastica sono ferme al 1975, con aggiornamenti successivi, che si accavallano quelle che riguardano l'antincendio con quelle che riguardano l'igiene, che ci sono stati aggiornamenti successivi che male si armonizzano con gli attuali orientamenti sul dimensionamento scolastico.
  Vorrei sapere se anche da parte di coloro che attuano i programmi di edilizia scolastica e che progettano, questa difficoltà interpretativa – di una normativa attualmente un po’ farraginosa – può essere d'ostacolo alla stessa realizzazione dei progetti.

  PRESIDENTE. Prima di restituire la parola ai nostri ospiti, porrei una considerazione e una domanda, riprendendo quelle con cui l'onorevole Brescia ha aperto le repliche dei parlamentari. Se ho capito bene, l'onorevole Brescia chiede, come abbiamo anche chiesto peraltro ai rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dove si inceppi il meccanismo. I finanziamenti, anche se in modo non continuativo, ma sporadico, sono stati erogati, ma abbiamo scoperto dati, già pubblici, molto interessanti sull'incapacità di spesa.
  Una delle loro valutazioni è che trascorrono molti anni dal momento in cui il Parlamento stabilisce di erogare, per una certa finalità, una determinata entità di risorse, al momento della spesa. Un terzo del tempo è destinato alla progettazione, che a noi pare francamente un periodo molto lungo, considerando che siamo molto lontani dal poter spendere, per esempio, buona parte ancora del primo piano stralcio del miliardo di fondi cosiddetti FAS. Per voi, questa valutazione corrisponde a verità e alla vostra esperienza diretta, visto che siete soprattutto province e comuni, titolari e proprietari degli edifici ?
  Un'altra considerazione riguarda una sottolineatura presente in tutti i vostri interventi, cioè che abbiamo bisogno di finanziamenti, di una continuità normativa, mentre abbiamo – almeno in questo primo pezzo di indagine – affrontato programmi mastodontici, di solito molto centralizzati, nella scelta perfino degli edifici su cui intervenire.
  Personalmente, amo di più il modello della cosiddetta legge Masini, ma anche un po’ quest'ultimo modello che è stato appena approvato, e che si inserisce in un quadro di programmazione per cui saranno, su segnalazione di province e comuni, le regioni a decidere se attivare il mutuo per distribuire risorse ai soggetti. C’è, dunque, anche una programmazione pluriennale. Verosimilmente, infatti, queste risorse arriveranno a fine 2014, a fine 2015, con un anno per la programmazione della regione. Nel frattempo, gli enti, se non sono già pronti, progetteranno gli interventi.
  Come deve avvenire a vostro avviso questa distribuzione e qual è la vostra proposta concreta rispetto al dare continuità ? Rifinanziare leggi come la Masini, che ovviamente andrà rivista anche rispetto ai nuovi ordinamenti ? Destinare un po’ di soldi, sempre per fare in modo che le regioni programmino, abbandonando invece il metodo dei grandi piani ? Qual è la vostra esperienza ?
  Concludo con una considerazione, in parte ripresa dal collega D'Ottavio. Non ho la pretesa di fornire una risposta alla sollecitazione che ci veniva dai rappresentanti Pag. 14delle province, ma è vero che abbiamo molto studiato i documenti che ci avete esposto durante le audizioni sul decreto-legge n. 104 del 2013, non esclusi, per l'interesse che tutti noi abbiamo, quelli che ci avete portato e ci interessano le vostre esperienze rispetto, appunto, al citato articolo 10 del predetto decreto, a questa nuova modalità di mutuo per l'edilizia scolastica. È vero anche che noi abbiamo ragionato molto – anche con il Governo – su quanto è già disposto, e cioè che siano le regioni ad attivare i mutui, sebbene non siano le proprietarie degli edifici su cui si interverrà.
  Tuttavia, la soluzione che abbiamo trovato è che le regioni restano titolari e accenderanno loro il mutuo, per cui non abbiamo derogato da quanto era stato stabilito nel testo iniziale del decreto. Le province lamentano di non essere state ascoltate, ma, invece, vi abbiamo ascoltato e abbiamo modificato la norma, facendo riferimento a quell'intesa del 1 agosto 2013 che esplicita, esattamente, quale debba essere l'interlocuzione tra i soggetti titolari della proprietà degli edifici e le regioni nel loro ruolo programmatorio.
  È del tutto evidente, però, che, poiché per la prima volta – come credo che non sia da sottovalutare – la BEI ha deciso di finanziare l'edilizia scolastica nel nostro Paese, quindi abbandonando progetti nazionali come il MOSE, per intervenire in una infrastruttura importante, ma che è appunto molto capillare, il contraltare è stato prendere come soggetti di riferimento le 20 regioni e non i circa 8.000 comuni.
  Questa è la ragione, ma noi l'abbiamo intrecciata con il vostro desiderio di essere partecipi nella decisione, nella valutazione e nella programmazione. È una sorta di risposta, fermo restando che abbiamo la necessità – su questo potreste darci una mano – di intervenire anche in alcuni casi più puntuali di fronte a interventi già cantierabili, come sono stati i citati 150 milioni di euro stanziati dal cosiddetto decreto del fare. Risultando già tutti assegnati, dovremmo rifinanziare un'iniziativa di questo tipo. Gli interventi esclusi lo sono stati perché molti progetti erano già pronti, e la necessità era di spendere subito queste risorse.
  Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  CRISTINA GIACHI, Rappresentante dell'ANCI. Vi ringrazio per l'attenzione ai nostri desiderata e cahiers de doléances. Vengo subito ai meccanismi inceppati.
  Nella memoria che abbiamo depositato, in ogni paragrafo, che corrisponde a una direttiva o a un finanziamento, trovate una riga sullo stato di erogazione dei fondi. Spesso il meccanismo inceppato consiste semplicemente nel fatto che il finanziamento non è stato erogato completamente, come nel caso dei piani stralcio; altrettanto spesso i finanziamenti «entrano» nel patto di stabilità interno dei comuni e non possiamo quindi spenderli; oppure si creano problematiche derivanti dalla complessità dello strumento finanziario e vi citavo l'esempio del fondo immobiliare.
  Tenete anche conto di un aspetto quantitativo, ma che diventa un problema qualitativo: la sproporzione tra i finanziamenti che arrivano e i bisogni dei comuni. I 150 milioni di euro di cui stiamo parlando, ad esempio, hanno fatto sorgere 3.302 richieste alle regioni, delle quali soltanto 690 circa sono state finanziabili, perché i fondi si sono esauriti. La Toscana ha distribuito 10 milioni di euro su tutta la regione. Io ho un piano dello stato dell'arte degli interventi necessari per le scuole del mio comune, che richiederebbe 90 milioni di euro solo per Firenze. Capite che allora il meccanismo inceppato consiste nel fatto che arriva una «briciola» che va distribuita su un oceano di bisogno.
  Parlate, inoltre, di molti progetti cantierabili, ma non sono così tanti i progetti esecutivi dei comuni. Su questa partita dei 150 milioni di euro abbiamo dovuto scegliere interventi che – tutto sommato – forse non erano i nostri prioritari, ma erano quelli sui quali avevamo i progetti in condizione di esecutività, come richiesto dal finanziamento.Pag. 15
  Spesso, quindi, si tratta della complessità dello strumento che si richiede, come nell'esempio del fondo immobiliare, spesso dello stato di mancata erogazione, puntualmente indicati, e spesso – appunto – di questa sproporzione che lascia nell’impasse di distribuire le poche risorse sul grande bisogno.
  Riguardo ai mutui per l'edilizia scolastica, previsti dal decreto n. 104 del 2013, convertito in legge recentemente, anche ANCI aveva chiesto – a un certo punto – l'accesso diretto, poi abbiamo compreso quale fosse la finalità. Vi ribadisco che la nostra preoccupazione è che – lo dico in modo un po’ forse paradossale – più che di ricevere finanziamenti, avremmo bisogno di essere aiutati a gestire il comparto: eliminare il vincolo di stabilità sull'edilizia scolastica, per noi, varrebbe più di qualunque finanziamento.
  Cito di nuovo l'esempio del mio comune: ho capacità di indebitamento e potrei accendere mutui per realizzare le scuole che mi servono; non ho bisogno di un finanziamento dello Stato di 10 milioni di euro per la scuola che – per me – è prioritario realizzare, ma ho bisogno che questo finanziamento stia fuori dal patto di stabilità interno. Spesso ci concentriamo solo sul portafoglio, sul denaro, ma – a volte – le procedure sono denaro contante per gli enti locali, per i territori. Lavorare sul patto di stabilità, eliminare da esso queste spese, per noi equivarrebbe alla migliore legge di finanziamento.
  Un altro dato presente nella documentazione depositata è il seguente. Nella memoria, trovate indicate soltanto le città metropolitane, ma per farvi capire quanto i territori mettono su queste partite rispetto al finanziamento dello Stato, c’è l'esempio dei comuni metropolitani e delle relative risorse per il 2013: i comuni metropolitani hanno messo 33 milioni di euro su queste spese; le risorse regionali sono state di 1.200.000 euro e le risorse statali di 760.000 euro. Capirete quanto ancora pesi sui bilanci comunali tutta la gestione del comparto dell'edilizia scolastica e cosa significhi ciò quando parliamo di tagli, di spending review e di vincoli di stabilità sui bilanci dei comuni.
  Vi ribadisco quest'aspetto: forse contano più le procedure e i vincoli che l'entità dei finanziamenti, anche se ciò sembra paradossale.

  LEONARDO MURARO, Rappresentante dell'UPI. Vi ringrazio, presidente Ghizzoni e onorevoli componenti della Commissione, delle domande che sono state poste.
  Condivido pienamente la considerazione che il patto di stabilità interno ci sta uccidendo. Ho una capienza economica di intervento dell'ordine di 70 milioni di euro, che non posso spendere per il patto di stabilità.
  Non possiamo dimenticare che, anche per accedere ai mutui, ci sono enti locali e c’è un rapporto di indebitamento. Ricordo che quando ho iniziato la mia carriera di amministratore, nel lontano 1995, in qualità di consigliere comunale, per il rapporto di indebitamento, il 28 per cento delle entrate correnti poteva essere finalizzato all'investimento.
  Gradualmente, nel 2005, questo rapporto è stato portato al 16 per cento; col Governo Monti e con l'ultimo Governo Letta è stato portato al 6 per cento. Noi possiamo, rispetto alle entrate, fare investimenti per un tetto massimo del 6 per cento, che è stato mantenuto nel 2013; e, nel 2014, avremmo dovuto rispettare il 4 per cento, il che significa che, in presenza di mutui accesi, saremmo già morti, non potremmo più fare investimenti. Questa è una distonia assoluta per quanto riguarda l'investimento e la creazione di economia, di lavoro, con le imprese che non lavorano più per le problematiche dell'edilizia.
  A proposito dei 150 milioni di euro previsti dal cosiddetto decreto del fare, volevo sottolinearne l'iniquità. La popolazione scolastica delle scuole secondarie è rappresentata, grossomodo, senza andare al decimale, dal 30 per cento della popolazione scolastica complessiva, che consiste anche in scuole dell'infanzia, scuole primarie, scuole secondarie di primo grado. Le scuole secondarie paritetiche in Pag. 16realtà sono poche. Di questi 150 milioni di euro complessivi, suddivisi tra le regioni, la regione Veneto, che ha 5 milioni di abitanti, ha ricevuto 10 milioni di euro.
  Il 30 per cento della popolazione delle scuole secondarie ha ricevuto un beneficio nelle proprie strutture, su 150 milioni di euro, di 19 milioni di euro: questo significa che in tutte le province d'Italia abbiamo ricevuto, di quei 150 milioni, dalle regioni, 19 milioni di euro, il 13 per cento delle risorse complessive. Il 30 per cento della popolazione scolastica può usufruire di finanziamenti del 13 per cento su progetti definitivi, esecutivi e subito cantierabili. La scadenza prevista dall'articolo 18, comma 8-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013 era il 15 settembre 2013, per cui io, già il 14 settembre scorso, sono andato in regione a presentare progetti cantierabili immediatamente, quasi tutti legati al problema dell’Eternit, una composizione cemento-amianto, che sappiamo bene che esiste.
  Nella mia provincia di Treviso 37.000 ragazzi vanno a scuola e, nel Veneto, non abbiamo ricevuto il suddetto 13 per cento di risorse. In realtà, a fronte di una richiesta di 23 milioni di euro per interventi nelle scuole secondarie, le sette province venete, complessivamente, hanno ricevuto finanziamenti per 500.000 euro, ossia il 5 per cento dei 10 milioni ricevuti dal Veneto.
  Capisco che possa esserci una linea politica per cui si pensa che le province saranno «ammazzate», «sterminate», ma non è possibile sterminare i ragazzi. È un'iniquità che consiste nel trattamento di una popolazione scolastica rappresentata dal 30 per cento e che viene finanziata con interventi del 5 per cento. Mi preoccupa il discorso concernente i 40 milioni di euro di ammortamento di ipotetici mutui, se questi vanno ancora in mano alle Regioni.
  So che il Presidente della regione Lombardia Maroni è molto attento alle province, alle quali ha delegato moltissimo, ma è una volontà della sua regione e io, purtroppo, nella mia regione, in questo momento, sto soffrendo, perché ci considerano «cadaveri», per cui non intervengono nei nostri confronti. Non fanno, però, un dispetto al sottoscritto presidente Muraro, ma ai 37.000 ragazzi che ho nelle mie scuole, che hanno un trattamento diverso rispetto ad altri.
  Posso parlare anche in qualità di presidente dell'Unione delle province del Veneto e, sostanzialmente, con riferimento agli interventi che abbiamo realizzato a livello provinciale nella nostra regione, ricavandone, negli ultimi anni, degli indicatori eccellenti. Su un parco di 156 complessi immobiliari che abbiamo nelle province secondarie, il 64 per cento è a norma antisismica. Entro metà 2014 arriveremo al 72 per cento con la costruzione di un liceo a Montebelluna (16 milioni di euro). Arriveremo al 76 per cento di scuole che sono in linea con le normative antisismiche, comprese le più recenti.
  Manca circa il 25 per cento, ma dovete spiegarmi come si può nella città capoluogo, in edifici del 1800 – gestiti dalla Sovrintendenza, che hanno soffitti alti quattro metri e mezzo e che ospitano scuole – intervenire per l'antisismico e le barriere architettoniche, gli interventi per i portatori di handicap, per le quali serve il cosiddetto passeggino o l'ascensore. Se per installare un ascensore in una scuola nuova o nei poli scolastici vi è un costo di 800.000 euro, un ascensore in un edificio del genere costa 4 milioni di euro, sempre se la Sovrintendenza me lo lascia fare.
  Con riferimento ai poli scolastici, abbiamo provato ad accentrare all'esterno questi complessi nuovi, creando nuove scuole che possono armonizzare le oscillazioni delle volontà degli studenti, con laboratori efficienti per i nuovi parametri del lavoro, ma servono anche certe condizioni. Sorge infatti il problema che, se si eliminano le scuole primarie e secondarie dalle città capoluogo, queste diventano un deserto, e ciò rappresenta un problema che difficilmente riusciamo a affrontare.
  Non voglio andare contro il Ministro Graziano Delrio, non ce l'ho assolutamente con lui, non è un problema personale, ma non si tiene conto di determinate esigenze che stiamo evidenziando. Abbiamo Pag. 17un global service per la gestione di piccole manutenzioni, calore e simili, in tutti gli istituti, che presenta degli indicatori di guadagno e anche di efficienza su quei 3 obiettivi che vi ho richiamato, concernenti il piano Europa 20-20-20. Abbiamo già raggiunto due di quei tre parametri, ossia il 20 per cento di contenimento di dissipazione dell'energia, con finestre a doppio vetro e via discorrendo e il 20 per cento sulle emissioni in atmosfera, grazie alla sostituzione di caldaie con sistemi a gas, considerato che il riscaldamento a gas inquina meno del gasolio cosiddetto BTZ di una volta. Bisogna ancora raggiungere il parametro del 20 per cento di autosufficienza energetica.
  Se il gestore di questo impianto, di questa global service, mantiene le economie che guadagna, per cui più mantiene il calore e meno spende di riscaldamento, quel guadagno, che ogni anno è attorno al 4-5 per cento, è, in parte ridistribuito al pubblico, in parte reinvestito.
  Se ho affermato che nel 2016 avremo raggiunto il 20 per cento in tutte e tre le filiere richieste dall'Unione europea, è perché abbiamo potuto fare economie di scala. Il polo scolastico – che ha un'efficienza da modello inglese – oltre a compensare l'oscillazione, ci permette di avere una palestra gestita magari per due istituti, che se la dividono in tutte le fasce orarie. Avere una mensa e, soprattutto, il trasporto su gomma con un unico centro, significa fare economia nel trasporto, realizzandosi poi l'intermodalità gomma-ferro. Questi sono i motivi per i quali riteniamo che un piccolo comune non sia in grado di operare queste gestioni d'area vasta.
  Queste sono le nostre perplessità, che derivano da dati oggettivi, del SIOPE e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, come abbiamo evidenziato. Su questo, richiediamo anche il sostegno della vostra Commissione, ossia che nella vostra esposizione al Ministro Delrio – su quel provvedimento citato – si tenga conto di ciò. Prendete qualsiasi decisione.
  Il presidente ha parlato della programmazione, ma noi non riusciamo a fare programmazione. Se le province devono morire, che muoiano subito. Sono il primo a dirlo, non possiamo rimanere nel limbo. Le regioni non ci danno i soldi che sono a disposizione, perché pensano che tra sei mesi non ci saremo più, ma è un danno al territorio. Come posso io programmare degli interventi ? Io lo faccio ugualmente, perché dopo qualcuno ci penserà, non perché ho le capienze economiche rispetto al patto di stabilità e a tutti i vincoli normativi.
  Politicamente, però, sto facendo delle scelte, anche se, forse, se passa qualche modifica legislativa, tra sei mesi non ci sarò più. La programmazione è – soprattutto nel segmento scolastico – la sede in cui facciamo le previsioni sull'aumento e sulla diminuzione della popolazione scolastica, sui corsi da applicare e da non applicare, soprattutto nel segmento della formazione professionale.
  Mi permetto di ricordarvi che il 98 per cento dell'impresa del mitico nord-est è quella con meno di 15 dipendenti, e sono quasi tutti imprenditori che hanno seguìto i corsi professionali triennali negli anni Sessanta e Settanta. La formazione professionale e il manifatturiero sono ancora la forza economica di questo Paese. Non va dimenticato. Sulla programmazione a lunga scala non riusciamo ad avere l'autorevolezza nel confronto con gli altri organi istituzionali, perché siamo in un limbo dal quale non riusciamo a uscire.

  VALENTINA APREA, Rappresentante della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Concluderò ancora con qualche chiarimento e approfondimento, ma è stato già detto tutto. Effettivamente, a noi resta la responsabilità programmatoria e, invece, abbiamo sentito quali sono quelle effettive di realizzazione.
  Devo, però, delle risposte. Onorevole Brescia, rispetto al flusso di finanziamenti, è stato detto più dove esso si inceppa. Il problema dei finanziamenti è averli. Quando ci sono, le realizzazioni avvengono, magari con qualche anno di ritardo, ma tutte le volte che la Conferenza Stato-Regioni o i riparti regionali erogano i Pag. 18finanziamenti, in particolare ai comuni, le realizzazioni avvengono.
  Effettivamente, abbiamo avuto un blocco col patto di stabilità interno. Anche comuni che avevano la possibilità o che avevano addirittura iniziato a costruire, si sono dovuti fermare. Quello è stato molto negativo e, comunque, i fondi sono sempre insufficienti.
  La regione Lombardia, per completare il quadro rispetto a questi 150 milioni di euro, ha ricevuto solo 15 milioni di euro e anche noi abbiamo avuto proposte di utilizzo per progetti immediatamente cantierabili, oltre i 200-250 milioni. Ci siamo però detti che, ormai, eravamo al corrente dell'esistenza di quei progetti e che, appena avremo avviato gli strumenti finanziari per agevolare nuovi interventi, partiremo proprio da quelli. Sicuramente, quindi, è servito.
  Presidente, anche questi blitz vanno sempre bene. Quando, infatti, si possono effettuare anche interventi di manutenzione o, come abbiamo visto per la città di Milano, di rimozione dell'amianto, è sempre positivo. Naturalmente, sarebbe meglio ritornare a un finanziamento certo, soprattutto come leva per i mutui, esattamente come è stato fatto nell'ultima legge. Quella è la misura giusta, affinchè le regioni possano avviare modelli gestionali e di sostenibilità finanziaria, affinare gli strumenti finanziari, magari attuando quello che i comuni non possono fare.
  In particolare, come vi dicevo, in regione Lombardia, il fondo per l'edilizia ha una società finanziaria, e quindi sicuramente, attraverso Finlombarda e con i finanziamenti dello Stato, si potrà fare ancora di più, come faremo sicuramente.
  Sul vecchio e nuovo, molto ha detto, e condivido e sottoscrivo completamente, l'assessore. Non sempre conviene insistere sulle vecchie costruzioni, sui vecchi edifici. Peraltro, questo è un pregio, ma anche un limite. Abbiamo edifici impropri adibiti a uso scolastico, anche se molto belli, ma difficili ormai da mantenere, soprattutto dal punto di vista dei costi gestionali. Pensate al riscaldamento e all'elettricità.
  Dovremmo favorire nuove costruzioni proprio nel rispetto dell'efficienza energetica, anche per l'apporto di risorse che possono provenire da più enti, ma soprattutto la dismissione di sedi improprie e la razionalizzazione del sistema scolastico.
  Non dimentichiamo che abbiamo agito sul dimensionamento scolastico e molte scuole, che prima avevano più edifici, oggi sono in complessi unici o, quanto meno, hanno la possibilità, con la verticalizzazione, soprattutto nelle scuole del primo ciclo, di stare insieme. In questo modo, si economizza una serie di servizi e di strutture. Quando si può, è certamente opportuno ristrutturare il vecchio, ma se si ha un po’ di coraggio in più, è opportuno anche andare verso il nuovo, sapendo – va detto – che le aree metropolitane sono sacrificate a questo scopo. Un conto, infatti, è costruire nelle province o nei piccoli o grandi comuni, altro conto è costruire a Roma o a Milano, dove non ci sono tanti spazi, bisogna abbattere e costruire ed è sempre un po’ difficile.
  Ringrazio il collega D'Ottavio per le sue considerazioni. Mi sembra giusto anche il richiamo a ciò che è avvenuto nella provincia di Torino. Tra l'altro, avevamo seguìto proprio dalla Commissione cultura i tragici eventi di quella scuola. Colpevolizzare, come sempre, l'ultima ruota del carro è abbastanza ingiusto, ma è anche vero che almeno la manutenzione dovrebbe essere effettuata guardando alla pericolosità effettiva.
  Onorevole Rocchi, mi fa piacere che abbia colto l'attenzione ai nuovi criteri e alla didattica digitale. Anche il discorso degli ambienti non è secondario, presenta innanzitutto una serie di capacità di recepire le nuove tecnologie, a cominciare dalle infrastrutture, il primo passo. I cambiamenti vanno anche dall'architettura all'organizzazione interna, per noi una sfida che abbiamo assolutamente intenzione di realizzare. Informeremo, eventualmente, la Commissione se e quando realizzeremo questi progetti sperimentali, adatti alle nuove didattiche.Pag. 19
  Voglio concludere informando che la regione, come abbiamo confermato, darà strumenti finanziari, in genere per accendere i mutui. Anche la regione Lombardia ha deciso, per i prossimi tre anni, di non prevedere erogazione di contributi a fondo perduto, proprio perché l'unico aspetto eccezionale riguarderà i piccoli comuni classificati con livello di svantaggio medio ed elevato – quelli non potrebbero neanche contrarre mutui e restituire – o la diffusione nelle istituzioni scolastiche formative dell'innovazione tecnologica nella didattica.
  A questo proposito, abbiamo già avviato un primo progetto di generazione web l'anno scorso, con 12 milioni di euro e, quest'anno, con altri 9 milioni, ancora nell'ottica di cominciare a diffondere sempre di più le didattiche digitali.
  Aspettiamo comunque di conoscere le conclusioni dell'indagine conoscitiva. Presidente Ghizzoni, non mancherete di invitarci alla presentazione delle conclusioni dell'indagine. Ci contiamo. Ringrazio e auguro buon lavoro a tutti.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per i contributi apportati e i colleghi.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dai rappresentanti dell'ANCI (vedi allegato 1), dell'UPI (vedi allegato 2) e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (vedi allegato 3).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15,35.

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