XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 16 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE STRATEGIE PER CONTRASTARE LA DISPERSIONE SCOLASTICA

Esame del documento conclusivo.
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 
Santerini Milena (PI)  ... 3 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 4 
Gallo Luigi (M5S)  ... 4 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 4 
Rocchi Maria Grazia (PD)  ... 4 
Palmieri Antonio (FI-PdL)  ... 6 
Marzana Maria (M5S)  ... 7 
Santerini Milena (PI)  ... 8 
Marzana Maria (M5S)  ... 8 
Bossa Luisa (PD)  ... 9 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 10 
D'Ottavio Umberto (PD)  ... 10 
Gallo Luigi (M5S)  ... 11 
Coscia Maria (PD)  ... 12 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
Santerini Milena (PI)  ... 14 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 14 
Santerini Milena (PI)  ... 14 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Proposta di documento conclusivo ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FLAVIA PICCOLI NARDELLI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Esame del documento conclusivo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, l'esame del documento conclusivo.
  Invito l'onorevole Santerini a dar conto dell'andamento dei lavori e della proposta – da lei presentata – di documento conclusivo dell'indagine conoscitiva, che è stata distribuita (vedi allegato).

  MILENA SANTERINI. Innanzitutto, vorrei sinceramente ringraziare gli uffici per il lavoro che hanno svolto, perché questo documento, in realtà, ha visto un intenso lavoro di collazione e di sintesi di diverse audizioni, le quali toccavano numerosi punti, tanto che potremmo dire che lavorare sulla dispersione scolastica ha voluto dire lavorare sulla qualità della scuola stessa.
  Sono stati molti i punti toccati e il lavoro è consistito nel rendere conto – con una certa fedeltà – delle opinioni espresse dagli auditi e, allo stesso tempo, nell'organizzare la materia così ampia in un documento che avesse una fisionomia piuttosto specifica e originale, e che non fosse solo un mosaico di opinioni. In questo senso, ringrazio ancora sinceramente gli uffici, perché è stato svolto un lavoro molto preciso e accurato.
  Io credo che questo documento – salvo naturalmente osservazioni che possono sempre essere rappresentate – rispecchi le voci che abbiamo ascoltato.
  Queste voci, peraltro, erano piuttosto convergenti. Non c'erano grandi differenze. Le strategie che venivano proposte erano a diversi livelli ma, raramente, si contraddicevano. Abbiamo ascoltato chi ha insistito più sulla prevenzione e chi ha insistito più su un certo segmento di scuola o su una strategia di tipo didattico o di tipo organizzativo ma, raramente, le strategie si sono contraddette.
  Vi presento l'indice del documento. Abbiamo organizzato i temi in base all'analisi del problema, riportando soprattutto le audizioni degli esperti, degli accademici e dei funzionari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Abbiamo ripreso le definizioni e le dimensioni del fenomeno. Questo non è affatto un punto propedeutico, ma è uno dei punti centrali, insieme al problema dell'aggiornamento delle anagrafi. Una delle risultanze più chiare da esporre è che non si conosce così bene il fenomeno da poterlo combattere: non sappiamo ancora bene che cosa intendiamo per dispersione. Questo è un punto da cui discende anche il resto.
  Il successivo punto concerne i fattori decisivi del rischio dispersione e le risorse Pag. 4che, insieme ai livelli di intervento, fanno parte di un ragionamento di analisi del problema.
  Il terzo punto è quello centrale, in cui abbiamo raggruppato le diverse strategie, che, come dicevo, non si elidono a vicenda; semmai convergono, anche se sono a diversi livelli.
  Non abbiamo indicato delle priorità, perché non ci competeva. Le abbiamo elencate secondo un ordine che inizia da una premessa: conoscere il problema attraverso le anagrafi. Ci sono poi i nodi strategici: il nodo del primo biennio, l'autonomia, l'istruzione e la formazione professionale.
  Un'altra priorità è la scuola aperta, con tutto il discorso del terzo settore. Infatti, oggi, stiamo combattendo il fenomeno – non soltanto nelle scuole di frontiera – molto a mani nude, con l'associazionismo, con il terzo settore e con il volontariato.
  Le altre priorità sono: la formazione dei docenti; gli studenti di cittadinanza non italiana; i nuovi ambienti di apprendimento e, quindi, il collegamento con l'edilizia scolastica e con la scuola digitale; e, infine, come una delle ipotesi totalmente aperte, l'eventualità che da un possibile riordino dei cicli – non sappiamo quando e come – si possa ricavare qualcosa di funzionale anche per il contrasto della dispersione.
  Abbiamo poi enucleato alcune azioni prioritarie, così come sono emerse dalle audizioni – le abbiamo semplicemente rimesse in un certo ordine – e due eventuali strumenti per la realizzazione delle azioni. Le azioni sono quelle che abbiamo elencato, mentre gli strumenti, eventualmente da proporre, potrebbero essere una sperimentazione che possa ampliare l'autonomia delle scuole, da un lato, e un tavolo interministeriale – un'unità di crisi –, dall'altro.
  Sottolineo che è competenza nostra metterli in evidenza, perché potrebbero essere due strumenti attraverso cui implementare le strategie di cui si è parlato e che sono state ricavate dalle audizioni.
  Questo è, in breve, il documento conclusivo proposto. Naturalmente, una volta pubblicato, in questa o in altra forma, potranno essere allegati tutti i resoconti stenografici delle audizioni e anche le memorie presentate.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Santerini. Prima di aprire la discussione, vorrei informarvi che è pervenuta, stamattina, alla Camera dei deputati, la relazione semestrale al Parlamento sullo stato di avanzamento dei lavori e su eventuali aggiornamenti del crono-programma, presentata dal direttore generale di progetto del «Grande Progetto Pompei», prevista dall'articolo 1, comma 1, lettera f-bis) del decreto-legge n. 91 del 2013. La riprodurremo e metteremo a disposizione dei membri della Commissione. È un atto della Camera, che rimane in archivio però, naturalmente, c’è la possibilità di prenderne visione.
  Dichiaro aperta la discussione sulla proposta di documento conclusivo presentata dalla deputata Santerini.

  LUIGI GALLO. Intervengo sull'ordine dei lavori, in riferimento a quello che ha appena annunciato il presidente. Noi riteniamo opportuna la convocazione di una seduta delle Commissioni riunite di Camera e Senato, nella quale, oltre al direttore generale del «Grande Progetto Pompei», siano auditi anche il Ministro Franceschini e il soprintendente competente, per relazionare su quello che sta accadendo nel sito di Pompei e sul rischio di perdere i relativi fondi che devono essere spesi fino al 2015.

  PRESIDENTE. Onorevole Gallo, questa è una richiesta diversa rispetto a quanto da me comunicato, quindi ne terremo conto in sede di ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi.

  MARIA GRAZIA ROCCHI. Signor presidente, intervengo in merito alla conclusione dell'indagine conoscitiva della Commissione, soffermandomi sia sul metodo sia sul contenuto della proposta di documento conclusivo presentata.Pag. 5
  Il metodo è quello che ci permette l'attività della Commissione: audire gli interlocutori che, per la quantità e per la natura differenziata, ci hanno permesso di leggere il fenomeno della dispersione scolastica da più luci. Abbiamo osservato la lettura che ne dà il mondo della scuola e la lettura che ne danno i decisori politici, le imprese e le associazioni del volontariato che, a vario titolo, si occupano di contenere il più possibile il fenomeno.
  Non so se la relazione conclusiva sarà capace di trasferire, nella sintesi che è stata fatta, tutte le differenze e tutte le sfumature, che sono importanti e interessanti, soprattutto perché affrontano il problema della dispersione nei suoi snodi essenziali, cioè nelle sue ricadute, innanzitutto quelle sociali: l'abbandono scolastico e l'insuccesso formativo si traducono in disagio sociale nell'età adolescenziale, che si trasforma – successivamente – nel disagio sociale dell'età adulta.
  Non è sufficientemente messo in relazione, anche perché non disponiamo di dati abbastanza consolidati e ampi, quanto la dispersione scolastica si traduca, poi, in probabile analfabetismo di ritorno e in un'incapacità di sostenere un inserimento lavorativo efficace e duraturo nel tempo. Questo è un dato importante, sul quale dovremo sicuramente riflettere in futuro.
  Per quanto riguarda il fenomeno, tutti gli auditi hanno messo in evidenza la sua complessità, scomponibile in una serie di fattori, di cui alcuni sono interni al sistema scolastico. Infatti, il sistema scolastico non argina sempre la dispersione e, a volte, addirittura la determina.
  I più importanti e difficili da aggredire sono i fattori determinanti esterni, cioè quelli riconducibili agli assetti socioeconomici dei territori e alle composizioni demografiche (processi migratori, presenza di cittadini stranieri e così via). Sono dei fattori difficili da collegare alla dispersione, proprio perché complicati. Non si sa su quale si dovrà agire preventivante, perché, se si agisse su un tasto anziché su un altro, in maniera prioritaria, si potrebbero temere delle recrudescenze del fenomeno.
  Abbiamo visto che il fenomeno è in calo, ma non sappiamo se questo calo sarà stabile e duraturo, in un momento in cui dovremmo a tutti i costi renderlo stabile, duraturo e, soprattutto, omogeneo sul territorio nazionale.
  Vengo al secondo problema: l'enorme differenza dei dati sul territorio. A fronte di una media di dispersione scolastica del 17 per cento, se disaggreghiamo il dato su base regionale, scopriamo che le regioni del centro-nord hanno dati vicini agli obiettivi europei del 10 per cento – intorno all'11-12 per cento –, mentre nell'area del sud d'Italia e delle isole abbiamo dati di dispersione che arrivano anche al 30 per cento.
  Molti di questi fattori sono determinati anche da una scarsa attenzione dei decisori politici – questo emerge spesso – in termini di mancato potenziamento del diritto allo studio. Diversi soggetti, ad esempio, ci facevano rilevare che, in Sicilia e in Sardegna, il problema dei trasporti influenza fortemente l'impossibilità dei ragazzi di frequentare – con regolarità – i percorsi scolastici e formativi.
  Come dicevo, c’è una pluralità di interessi, proprio perché sappiamo che il fenomeno può agire negativamente, sia in termini di dispersione di competenze professionali, sia in termini di sviluppo del capitale umano utile alla crescita economica del Paese, espressa in termini di autonoma competitività.
  Naturalmente, il fenomeno ci ha posto un problema di misure. Più chiare saranno la dimensione e le cause, più facile sarà individuare le priorità. È per questo che – tra le misure indispensabili – la relazione presentata individua correttamente la necessità di disporre – quanto prima – di una seria, organizzata, puntuale e aggiornata banca dati.
  Non ci basta in questo momento l'Anagrafe degli studenti già disponibile sul portale SIDI, perché ci dà dei dati puramente anagrafici e, a un certo punto, si ferma e non segue i giovani in tutto il loro percorso formativo. Per esempio, non li segue nei canali della formazione professionale e in quelli dell'apprendistato formativo; Pag. 6non ci dà dati che ci permettano di fare correlazioni adeguate tra il successo formativo, le condizioni socio-ambientali e il livello di competenze; non aggrega i dati relativi a quello che abbiamo, a lungo, chiamato «portfolio». Questa, dell'aggiornamento della banca dati, è la prima misura essenziale.
  Altre misure dovranno ovviamente coinvolgere le scuole, ma anche i territori. Occorre potenziare il diritto allo studio, come abbiamo detto. Non sappiamo quanto ciò incida, ma incide, per cui sta al decisore politico intervenire su questa possibile causa. Occorre un potenziamento del diritto allo studio, per garantire a tutti la possibilità di frequentare il percorso formativo.
  Un'altra misura importante che la proposta di documento conclusivo individua – a mio avviso correttamente – e che può essere a breve portata avanti è la creazione di una task force. Ci serve per misurare, per raccogliere, per identificare tutte le pratiche già diffuse, selezionare quelle che hanno avuto successo da quelle che non l'hanno avuto e verificare come i fondi utilizzati, specialmente nelle regioni dell'Obiettivo convergenza, abbiano determinato l'aggressione del fenomeno.
  Soprattutto, c’è un dato importante che ci serve e che la relazione mette correttamente in evidenza: individuare quanto di questi interventi sia diventato patrimonio stabile delle organizzazioni scolastiche, cioè abbia modificato l'organizzazione, il pensiero e una parte dell'offerta formativa di un'istituzione scolastica o di una rete di istituzioni scolastiche. Finché questo non si tradurrà in un cambiamento radicale di approccio nei confronti dei potenziali rischi di dispersione, probabilmente, continueremo ad affrontare il problema in maniera emergenziale, attraverso singoli progetti, finiti i quali, si ritorna punto e daccapo, senza lasciare alcuna traccia di quanto è stato svolto. Questo è il primo punto che dovrebbe interessarci, perché, in tale modo di affrontare il fenomeno, vedo una grossa dispersione di risorse: in tal modo si realizza il danno più ingente che noi possiamo arrecare al nostro futuro, in quanto le risorse, poi, finiscono e non per questo dovranno finire le esperienze.

  ANTONIO PALMIERI. Signor presidente, intervengo solo per ringraziare l'onorevole Santerini, di cui sono note la passione e la competenza su questo tema, e non solo.
  Mi scuso, perché non ho potuto ascoltare ma, purtroppo, come ben sapete, la nostra vita è complicata. Siccome non ho partecipato attivamente ai lavori, mi limito a ringraziare soprattutto tutte coloro – mi sembra di capire che sia una relazione al femminile – che hanno lavorato attivamente su questo punto.
  Ho capito, innanzitutto, che non deve finire qui. Anche l'onorevole Rocchi – nel suo intervento – ci diceva che questo deve essere un punto di partenza per un lavoro sistematico che parte dall'aggregazione di tutti questi dati mancanti.
  Visto che viviamo nel tempo dei cosiddetti «grandi dati» – lo dico in italiano, perché altrimenti, in inglese, sarebbe reso non bene; non vorrei che Gianni Riotta, che è amico di Anna Ascani, mi rimproverasse – è chiaro che occorre partire da questi e dai dati che mancano, in un'ottica di sussidiarietà. L'aspetto complicato è pensare che, da questa Aula, si possa mettere mano davvero su una realtà così articolata come quella della dispersione scolastica. Il punto di partenza, dunque, è la continuità di un lavoro su questi dati, sulla quale noi dobbiamo incalzare il Ministero.
  L'altra questione è la pubblicità da dare a questo lavoro svolto, non solo nel senso di quella quota di visibilità che è parte del dividendo del lavoro parlamentare, che, come si sa, spesso è ozio senza riposo, e fatica senza lavoro. In questo caso non è così.
  Io ricordo che si parlava di dare pubblicità alla presente indagine conoscitiva nella sala Aldo Moro della Camera dei deputati, in un adeguato contesto istituzionale.
  Mi permetto di dare un suggerimento – da persona che non ci ha lavorato e che Pag. 7non parteciperà a quello che sta per dire, per cui non mi costa niente – a coloro le quali hanno lavorato a questo documento e a questa ricerca, che provengono dal mondo della scuola in senso ampio. Avrei anche delle esperienze milanesi da portare da questo punto di vista, che metto volentieri a disposizione su quello che sto per dire. Suggerisco di portare questa esperienza a casa propria, aggiungendo un altro pro-quota del dividendo dell'attività politica del parlamentare, cioè la visibilità nel proprio territorio. Al di là di questo, che è un «accidente», propongo di andare a portarla in quei luoghi, coinvolgendo, attraverso la sussidiarietà, le associazioni che ciascuno conosce a casa propria e che sono sul campo, avendo così un primo riscontro rispetto a quello che noi abbiamo ricavato da questa azione di ascolto. Memento audere semper: è il motto della Commissione. Giustamente, su ogni cosa noi svolgiamo le audizioni, perché è un modo per entrare nella realtà.
  Un altro suggerimento potrebbe essere quello di andare sui territori accompagnati da qualcuno del Ministero dell'istruzione a livello nazionale e da qualcuno della dirigenza regionale, per dare una prima continuità a questa azione.
  L'azione principale, a mio avviso, resta quella sui dati mancanti, che costituiscono le fondamenta per costruire un edificio che voglia realizzare il tentativo dei tentativi: raccogliere il meglio di tutte le esperienze che già vivono per continuare a farle progredire; selezionare come investire i pochi soldi che ci sono e aiutare i decisori politici laddove sono carenti, per le cose che abbiamo sentito e per le altre che sono contenute nel rapporto, per poter essere di stimolo.
  Concludo qui, anche perché, per vostra fortuna, non sono l'onorevole Centemero, cioè non sono il responsabile scuola di Forza Italia. Non lo dico in senso ironico. Intendo dire che non ho la competenza dell'onorevole Centemero. Non vorrei che, uscendo, andaste a dire che ho parlato male della deputata Centemero.
  Non ho partecipato, ma mi rendo disponibile ad essere parte attiva. Al nord, siamo messi molto meglio. Credo che in Lombardia siamo messi meglio di tutti o quasi.
  L'onorevole Santerini ha organizzato nella piazza di casa mia, in estrema periferia a Milano, un evento, peraltro senza dirmi niente. È una cosa terribile. Sono cose che segnano i rapporti. Abbiamo preso le distanze e la prossima volta le amplieremo ancora di più. Proprio accanto a quella piazza, in un ex istituto di suore rosminiane dove io ho frequentato l'asilo e le scuole elementari, c’è una realtà che si chiama «La strada», che svolge un'intensa attività di questo tipo, perché ce n’è molto bisogno nell'estrema periferia di Milano.
  Mi avete commosso con questo lavoro. Placo il mio senso di colpa per non aver partecipato nelle altre sedute, in altra misura, proponendomi per il lavoro futuro.

  MARIA MARZANA. Anche noi esprimiamo un apprezzamento nei confronti dell'iniziativa di discutere in Commissione su questo tema, che rappresenta un'emergenza, e per il fatto che lo si voglia fare in maniera organica, andando a valorizzare le varie esperienze che a livello locale hanno avuto successo.
  Ciò che dicemmo prima di iniziare la presente indagine conoscitiva, però, era che avremmo preferito che questa discussione si facesse davanti a un atto parlamentare, prima di avviare direttamente l'indagine stessa. Vogliamo ricordarlo.
  Comunque, abbiamo apprezzato molto i vari interventi che sono stati svolti in Commissione da parte dei soggetti che – a vario titolo – si occupano di questo tema e abbiamo valutato positivamente molte di queste proposte e di questi suggerimenti che, tuttavia, non figurano in questo documento conclusivo. Capisco che l'esigenza era quella della sintesi.
  Io mi sentirei di fare una proposta, proprio per facilitare il lavoro della Commissione e per renderlo più efficace. Suggerisco di scrivere un documento in cui raccogliere tutte le proposte, dove sia più sviluppato questo tema, in modo da mettere Pag. 8a frutto, fino in fondo, i contenuti che sono emersi nelle varie audizioni, e poi un documento di sintesi, ricordando che ci sono anche le memorie trasmesse.

  MILENA SANTERINI. Intervengo per un chiarimento. In teoria, se capisco bene, dovrebbero essere unite le due cose. Nei documenti finali ci sarà la possibilità di predisporre un volume che raccolga sia la sintesi sia tutte le memorie.

  MARIA MARZANA. Il nostro suggerimento è un po’ diverso: si tratta di rendere organiche queste memorie e le varie proposte. Se, ad esempio, sono pervenute varie proposte relative alle scuole secondarie, si potrebbe metterle insieme e così via. Mi sembra che la sintesi sia molto...
  In questo momento, mi limiterò – allora – a mettere in evidenza qualche nostra osservazione in merito alle azioni che vengono definite prioritarie, ad esempio quella dell'anagrafe nazionale. Varie regioni stanno monitorando il fenomeno e possiedono i dati relativi agli studenti, ma molte altre regioni non l'hanno fatto. Sarebbe, quindi, auspicabile creare una banca dati nazionale. Nel decreto-legge cosiddetto «istruzione» n. 104 del 2013, all'articolo 13, comma 2-ter, è stato stabilito di far pervenire alla banca dati dell'Anagrafe nazionale degli studenti le diagnosi funzionali, allo scopo di favorire l'integrazione scolastica degli studenti con disabilità.
  Noi riteniamo che per incrementare e per rendere più efficace l'integrazione scolastica non andrebbero fatte pervenire al Ministero dell'istruzione le diagnosi funzionali, ma occorrerebbe, invece, comunicare le varie situazioni particolari che sono presenti in una classe – sappiamo che ci sono molti casi di studenti svantaggiati o che presentano dei bisogni educativi speciali –, in modo che si possa veramente far fronte con risorse adeguate all'integrazione, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista del personale adatto allo scopo.
  Quando si parla di incrementare gli asili nido, soprattutto nelle regioni meridionali, nell'ottica di prevenire il fenomeno della dispersione, magari sarebbe auspicabile sviluppare delle modalità per far sì che aumentino queste strutture e questi servizi, attraverso la sburocratizzazione o mediante incentivi. Soprattutto, noi riteniamo che le scuole dell'infanzia debbano diventare una priorità per lo Stato e non per i privati, e che debba esserci un impegno forte in questo senso.
  Nella proposta di documento conclusivo si fa riferimento al fatto di facilitare l'intercettazione dei fondi europei per le scuole paritarie. Noi preferiremmo che, invece, ci fosse un impegno concreto e forte – su questo fronte – da parte del Ministero. Questo è anche quello che è emerso dalle audizioni.
  Se durante le audizioni è stata espressa una valutazione in merito al riordino dei cicli scolastici e anche sulla sperimentazione dei quattro anni della scuola secondaria superiore, è stato anche detto che questa sperimentazione non rappresenta assolutamente la soluzione della dispersione scolastica. Invece, in più punti del documento al nostro esame si evidenzia come la riduzione del percorso scolastico possa essere una soluzione alla dispersione.
  Va bene un riordino dei cicli, perché abbiamo visto come le bocciature e, di conseguenza, l'abbandono si annidino di più al terzo anno della scuola secondaria di primo grado o nei primi due anni della scuola secondaria di secondo grado, però nessuno ha detto assolutamente che la soluzione è ridurre il percorso scolastico, anzi, con l'alto tasso di disoccupazione che c’è in Italia, forse rischiamo addirittura di perdere alunni ancora di più.
  A proposito delle bocciature e, quindi, della necessità di aumentare l'efficacia dell'orientamento, noi pensiamo che si dovrebbero esplicitare le azioni per migliorare l'orientamento. Ad esempio, si potrebbe prevedere la figura di specialisti quali lo psicologo o l'educatore in maniera diffusa nel territorio, oppure realizzare dei progetti di tutoring che non siano estemporanei, ma facciano parte del piano dell'offerta Pag. 9formativa, consentendo di svolgere questa esperienza con le varie istituzioni di secondo grado.
  È stato evidenziato anche il problema degli alunni stranieri, soprattutto dei nuovi arrivati. Si parla di incentivare e di rendere più efficace l'insegnamento della lingua italiana per questi studenti. Sarebbe opportuno anche prevedere che questo insegnamento, per essere di qualità, sia affrontato dagli insegnanti di lingua 2, aspetto che invece non è specificato.
  Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, sarebbe opportuno che fosse prevista, non solo nel primo anno della scuola superiore, ma anche negli altri anni. Se vogliamo puntare sull'innovazione didattica, dobbiamo accompagnare a questo progetto quello della formazione degli insegnanti durante tutto il percorso scolastico, perché il successo, la prevenzione o il contrasto del fenomeno della dispersione dipendono soprattutto dal coinvolgimento dei ragazzi nel loro percorso di studio.
  Per quanto concerne la valutazione, visto che si affida questo processo – per buona parte – a INVALSI e che, come sappiamo, da parte degli insegnanti e degli studenti sono state evidenziate molte criticità, sarebbe bene che questo Istituto tenesse maggiormente conto dei suggerimenti che provengono dagli addetti ai lavori, così come dagli utenti che sono destinatari della valutazione e dai genitori.
  Quando si parla dell'autonomia, al fine di favorire, a livello nazionale, la sperimentazione delle varie buone pratiche, forse bisognerebbe tenere più conto delle reti di scuole e creare un circolo virtuoso nella ricerca delle risorse umane e delle competenze. Invece, quanto scritto fa pensare alla chiamata diretta, che è contenuta nel piano della cosiddetta «Buona scuola». Devo dire che ci sono delle cose che mi hanno richiamato molto spesso il piano «Buona scuola». Noi dobbiamo rappresentare un interlocutore del Governo e non il suo megafono o la sua cassa di risonanza. È per questo motivo che, inizialmente, ho dato il suggerimento di essere più legati alle proposte che sono pervenute dai territori e dai vari soggetti che, ogni giorno, si confrontano con questo problema.

  LUISA BOSSA. Innanzitutto, ringrazio molto la collega Milena Santerini per il lavoro che ha svolto, ma anche per la passione con cui segue questo argomento, che la contraddistingue.
  Io mi riferisco all'ultimo paragrafo della proposta di documento conclusivo presentata: 4.3.2, concernente una «unità di crisi». Un'unità di crisi, una Commissione d'indagine, addirittura una Commissione bicamerale in Parlamento non si nega mai, tant’è che chiedeva la convocazione di una Commissione congiunta Camera-Senato, poco fa, l'onorevole Gallo, sia pure su un altro tema, per cui non mi meraviglia che, alla fine di questo fascicolo, venga formulata questa richiesta, questo auspicio. Il punto è che, questa volta, abbiamo davvero bisogno di un'unità di crisi, perché, come diceva Don Milani, il vero problema della scuola è rappresentato dai ragazzi che perde per strada, e la scuola italiana ne perde molti, troppi, stando a tutte le audizioni che abbiamo svolto. I ragazzi che evadono e che lasciano la scuola sono moltissimi e, dunque, la dispersione scolastica c’è ed è purtroppo riconducibile – almeno al sud, dalle mie parti – a certe classi sociali (per dirla «marxianamente»), a certe periferie, a certi quartieri. «Scuola aperta», «scuole aperte» erano progetti che tentavano di togliere i ragazzi dalla strada o, addirittura, di fare scuola fuori dalla scuola ma, a un certo punto, tutto ciò è stato cancellato con un tratto di matita blu e si è accettata l'idea – questa sì sbagliata e controproducente – che risparmiare sulla spesa pubblica, quindi sulla scuola oltre che sulla sanità, sia buono e giusto. Di questo io non finirò mai di parlare male. Credo quindi che si debba lavorare molto, perché tutto quello che è scritto in questo documento non resti lettera morta, ma sia – per dirla alla Omero – una parola «alata», che vada per il mondo, passi di bocca in bocca, perché nella legge di stabilità, oltre alla ben augurale assunzione Pag. 10dei circa 140.000 precari, ci sia, soprattutto, anche la scuola «di» e «per» i ragazzi. Loro sì che sono i precari della vita ! Naturalmente, dovremo lavorare molto e bene perché ciò avvenga ma, conoscendo i miei colleghi e Milena, io non ho alcun dubbio.

  GIUSEPPE BRESCIA. Io volevo svolgere un intervento un po’ più puntuale, non di ordine generale sul complesso del lavoro, che è stato assolutamente proficuo. Come sempre, quando si ascoltano i vari stakeholders, i portatori di interessi, si riescono a trarre importantissime informazioni. Vorrei porre l'accento sul paragrafo 3.8 del documento, concernente «Nuovi ambienti di apprendimento», e sull'importanza dell'ammodernamento della scuola. A nostro avviso, una delle principali cause dell'abbandono scolastico è il fatto che la scuola non sia al passo con i tempi e che, quindi, i primi soggetti interessati, cioè gli studenti, vi si sentano un po’ fuori posto. Mentre la società – fuori – è andata molto avanti, la scuola sembra ferma a 50-60 anni fa, quindi, per noi è molto importante sottolineare l'esigenza che il Governo investa risorse nella risoluzione di uno dei problemi e degli obiettivi che anche l'Europa ci chiede di raggiungere con Horizon 2020: colmare il digital divide. Questo è causato da tre problemi fondamentali: la condizione economica di alcune persone e quindi lo scarto rispetto a quelle che riescono ad accedere a internet e alle tecnologie informatiche, la qualità delle infrastrutture e il livello di istruzione di queste persone. Nel mondo della scuola dovremmo, quindi, spingere per la risoluzione di questi problemi con investimenti nel diritto allo studio, come diceva prima la collega del Partito Democratico, con investimenti nella banda larga che deve arrivare in tutte le scuole italiane, il prima possibile, e ovviamente con un adeguamento della didattica, su cui vorrei soffermarmi e vorrei che si ponesse l'accento anche nella relazione. La nostra esigenza principale deve essere quella di adattare la didattica alle necessità dei vari studenti all'interno della scuola, in particolare in caso di bisogni educativi speciali, ma non solo. In questo, la tecnologia ci può dare un'enorme mano, basti pensare – ad esempio – ai libri digitali, uno strumento su tutti, ma uno dei tanti.
  Chi, come me, è stato nelle classi anche se non come insegnante, ma come assistente educativo culturale e ha studiato come educatore e sostenuto esami di didattica sperimentale, sa quanto sia fondamentale che ognuno si senta a proprio agio, in base ai suoi tempi di apprendimento. Dobbiamo quindi porre l'accento su questo aspetto, che chiedo alla relatrice di inserire nella proposta di documento conclusivo.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Intervengo molto rapidamente, per esprimere innanzitutto la soddisfazione di aver lavorato con tutta la Commissione a questa indagine conoscitiva, di aver partecipato alle audizioni e di arrivare a una conclusione perché credo che, se approviamo questo documento, la Commissione possa essere soddisfatta di aver cominciato e concluso un lavoro. Credo che la soddisfazione possa essere ancora maggiore per la qualità del lavoro svolto e, soprattutto, per il fatto che il nostro lavoro – come Commissione – incrocia in modo molto positivo il documento che il Governo ha posto all'attenzione del Paese, che si chiama «La buona scuola», e incrocia la legge di stabilità che, ieri, il Governo ha licenziato in Consiglio dei ministri, quindi possiamo considerare questo documento un contributo a quel dibattito.
  Il Governo è impegnato a fare in modo che il Paese discuta di scuola e la Commissione parlamentare competente propone all'attenzione del Paese l'elemento più importante che ritiene obiettivo della «Buona scuola», cioè quello della riduzione della dispersione scolastica.
  Se penso a quello che sta capitando in questi giorni, ma soprattutto al fatto che alle parole stanno seguendo i fatti e, quindi, nella legge di stabilità si trova quel miliardo di euro che ci aspettavamo per poter assumere, a settembre dell'anno Pag. 11prossimo, circa 150.000 insegnanti, mi viene da dire che queste assunzioni non rappresentano soltanto una stabilizzazione di persone precarie, ma anche uno scopo. Darei, infatti, uno scopo a questa missione: il primo compito di questi nuovi dipendenti pubblici dovrebbe essere quello di contribuire alla riduzione della dispersione scolastica. C’è molto lavoro da fare e sono convinto che il terzo capitolo di questo documento, che indica le strategie di azione, si integri e proponga delle osservazioni coerenti con le domande poste dai dodici punti del documento sulla «Buona scuola».
  Il mio intervento era quindi per esprimere grande soddisfazione. Finisco con un ragionamento: insieme con questo obiettivo dovremmo insistere sull'importanza di andare a scuola, perché credo che gli adulti abbiano nei confronti dei più giovani, dei loro figli, un compito irrinunciabile, che è quello di fare in modo che l'esperienza scolastica, che, come sapete, è unica e irripetibile, sia la migliore possibile. Come sappiamo e sa soprattutto chi ha concluso da tempo l'esperienza scolastica, perché sia la migliore possibile bisogna rovesciare l'idea per cui la scuola è obbligatoria: la scuola non è obbligatoria per chi la frequenta, ma dovrebbe essere un piacere. Dobbiamo quindi fare in modo che chi va a scuola abbia piacere di andarci. L'obbligo è per le istituzioni e per le famiglie che devono investire affinché i figli abbiano piacere di andare a scuola. Da questo punto di vista, credo sia ormai maturo, nel nostro Paese, il tema dell'innalzamento dell'obbligo di istruzione.
  Un Paese che ragiona dell'obbligo di istruzione, però, ha la più alta percentuale di dispersione e vive questa contraddizione. Per questo, il tema della riduzione della dispersione scolastica è l'obiettivo principale che il Paese deve avere.

  LUIGI GALLO. Ringrazio la collega Santerini che ha svolto un ottimo lavoro e ha avuto la forza di portare avanti questo tema e aggregare tutte le informazioni, così come anche le proposte dei vari colleghi.
  Mi soffermo su quello che non è stato detto, tralasciando le cose già sottolineate. In più punti della relazione individuo il riferimento al fatto che gli interventi pensati per la scuola siano interventi parziali, legati a linee di finanziamento una volta regionali, una volta europee, una volta nazionali, con la conseguente frammentazione di progetti e «progettini» che, negli ultimi anni, non hanno avuto alcuna ricaduta reale di trasformazione.
  La nostra proposta è di individuare delle risorse ad hoc, che siano destinate sia all'innovazione didattica, sia all'innovazione tecnologica, sia alla promozione delle autonomie e alla realizzazione vera dell'autonomia, sia all'integrazione con il territorio.
  Mi riferisco al capitolo «Scuola aperta», dove però l'accento va posto soprattutto sull'innovazione didattica, ma anche al capitolo, che non c’è, «Scuola diffusa». Una prima idea ce l'ha data il decreto-legge «Carrozza» n. 104 del 2013, quando, all'articolo 5, comma 2, ha inserito la possibilità di fare lezione nei musei, ma si tratta di una misura parziale, che durerà pochissimo tempo e che sarà solo nei musei, mentre – a nostro parere – questa logica va ampliata a tutti gli attori del territorio, trasferendo gli studenti fuori dalla scuola e facendo entrare il territorio dentro la scuola.
  Riguardo al paragrafo 3.4 sulla formazione professionale, continuo a sottolineare che viviamo una scuola che si protende verso le imprese e cerca di entrare con risorse inadeguate. Secondo noi, il principio deve invertirsi: sono le imprese e le reti di impresa che devono cercare la scuola, per poter creare un contatto per la formazione vera e un investimento serio sulla scuola.
  Questo accade però se, come sottolineato altre volte, diamo incentivi fiscali alle imprese che si mettano in rete e creino adeguati spazi di formazione nelle proprie strutture, con risorse umane dedicate. Questa è la strada da percorrere, diversa da quella sperimentata fino ad ora.Pag. 12
  Al paragrafo 4.3.1 della proposta di documento conclusivo, eliminerei «la flessibilità soprattutto nella scelta dei docenti», perché non è questo il problema, ma è – semmai – la scelta delle discipline, di quello che si vuole fare, non dei docenti, per i quali ci dovrebbero essere criteri oggettivi di merito, non soggettivi e dipendenti da chi individua il docente.
  Sull’«unità di crisi», non meglio specificata, la nostra idea è costituire una rete nazionale con nuclei regionali di supporto alle scuole e non una rete centralizzata, magari sotto la Presidenza del Consiglio dei ministri o altri organi di questo tipo. L'intervento da realizzare mira a costituire finalmente équipe di esperti, che a livello regionale siano in grado di supportare le scuole, una rete nazionale che si scambi informazioni perché, se una buona pratica è adottata in Toscana o in Emilia-Romagna, sarà trasferita in altre regioni italiane se esiste questa rete nazionale, altrimenti rimarrà una buona pratica locale.

  MARIA COSCIA. Intervengo per ringraziare anch'io la deputata Milena Santerini per il lavoro di elevato livello svolto e per lo sforzo compiuto nel predisporre una proposta di relazione: questa ha tenuto conto delle audizioni che si sono dimostrate anche di pregevole livello. Ringrazio inoltre l'onorevole Santerini per la capacità di sintesi nell'indicare dei percorsi da intraprendere per incamminarci nella direzione dell'attuazione degli obiettivi dell'Agenda 2020.
  Ci siamo detti tante volte che questo è uno dei maggiori punti deboli del nostro sistema di istruzione, perché, rispetto all'obiettivo del 2020 e alla media europea da raggiungere del 10 per cento di dispersione scolastica, noi siamo molto lontani. Voglio ricordare che, anche nel parere espresso dalla VII Commissione sulla nota di aggiornamento del DEF per l'anno 2014, abbiamo ricordato che, per quanto ci riguarda, l'obiettivo del 16 per cento per l'Italia è un obiettivo scarso – se vogliamo rapportarci ai voti che si danno a scuola – e bisognerebbe impegnarsi, in modo più serrato, per avvicinarci a quell'obiettivo europeo.
  Credo che anche gli interventi odierni dei colleghi e delle colleghe abbiano ulteriormente arricchito le riflessioni.
  È vero che c’è un problema di innovazione della didattica: bisogna quindi trovare un equilibrio nuovo tra la funzione fondamentale della scuola, la trasmissione dei saperi, la certificazione delle competenze e i livelli di acquisizione di cultura e di conoscenze che i ragazzi recepiscono fuori dalla scuola. Qualcuno dice che, rispetto al passato, a scuola si apprende solo il 30 per cento di quello che si apprende, in virtù dei cambiamenti profondi che sono avvenuti con le nuove tecnologie, ma non solo. Oltre al tema delle nuove tecnologie, c’è poi il fatto che, fuori dalla scuola, i ragazzi hanno tanti stimoli e un approccio interdisciplinare innovativo che – spesso – a scuola manca, e che stimola molto di più la loro creatività. Penso, quindi, non solo al tema dell'approccio attraverso i nuovi strumenti informatici, ma anche alla musica e ad altre arti.
  Da questo punto di vista serve un tema centrale che susciti attenzione ed emozione, che quindi sia capace di far leva sulla capacità di apprendimento anche delle cose più noiose, perché il punto è catturare la loro attenzione, che è composta anche da emotività e da sentimenti, che spesso suscitano le arti e non una lezione frontale.
  Non possiamo certo far passare l'idea che si vada a scuola solo per divertirsi, però dobbiamo avere la capacità – in termini di innovazione didattica – di catturare l'attenzione e di tener conto della vita dei ragazzi fuori degli istituti, che spesso è diversificata in ragione dell'ambiente sociale in cui vivono, dell'ambiente familiare e territoriale: se vediamo la differenza delle performance nei vari territori e nelle varie scuole, è questo il punto.
  Probabilmente, non possiamo farlo noi, perché come Commissione parlamentare diamo un indirizzo, però, una struttura più operativa dovrebbe individuare in Pag. 13modo attento gli obiettivi che, ordine di scuola per ordine di scuola e territorio per territorio, si possono raggiungere, dettarli e fare in modo che l'Italia si allinei all'obiettivo europeo.
  Di qui emerge la proposta formulata dalla collega Milena Santerini di prevedere un'unità di crisi che coinvolga certamente il MIUR, ma anche altre strutture dell'amministrazione dello Stato e territoriali. Penso, in particolare, alle regioni, perché è vero quanto dicevano il collega Gallo e gli altri colleghi del Movimento 5 Stelle sul tema della formazione professionale, però è anche vero che questo segmento, che in alcune regioni funziona bene e in altre no, diventa spesso il rifugio dei ragazzi che non riescono ad avere un percorso lineare nel sistema di istruzione nazionale. Il ruolo delle Regioni – da questo punto di vista – è dunque assolutamente decisivo, quindi è fondamentale avere una sede in cui possa esserci una corresponsabilità in tale campo. Mi sembra che questa sia una proposta concreta e rilevante che possiamo presentare.
  L'altro punto riguarda l'organizzazione dei cicli, il riordino e l'anno, in più o in meno, di scuola di istruzione secondaria superiore. Personalmente, non tengo a esprimermi sul più o il meno, però sono sicura che il problema del biennio della scuola secondaria superiore sia assolutamente decisivo. Penso poi che l'anello debole della scuola media vada ripensato, perché non c’è dubbio che questa sia un anello debole, e che i ragazzi debbano avere, almeno fino ai 16 anni e – in prospettiva – fino all'acquisizione del titolo di scuola media superiore, opportunità formative in cui si definiscano standard comuni.
  Non dico che siamo nella fase in cui possiamo realizzare il famoso biennio unitario, ma auspico che almeno i curricula siano in grado di garantire ai ragazzi di quell'età un patrimonio di saperi, di competenze e di conoscenze in linea con l'Europa.
  L'altro tema che causa elementi di arretratezza riguarda il rapporto tra il sapere e il saper fare. La questione del rapporto scuola-lavoro, dell'alternanza, di iniziative e capacità di incidere di più, da questo punto di vista, diviene quindi fondamentale, come anche l'esigenza di sconfiggere la cultura diffusa nel nostro Paese, che dà priorità alla cultura umanistica rispetto alla cultura professionale e scientifica. Dobbiamo affermare la parità, difendere la nostra storia e il valore della nostra cultura, senza però ritenere che l'organizzazione «liceale» sia superiore all'organizzazione «tecnica».
  Proprio in virtù della fase difficile di crisi economica e sociale che stiamo vivendo, crisi che stanno pagando soprattutto i giovani – perché il dato indica oltre il 40 per cento dei giovani disoccupati e una prevalenza di lavori precari – è evidente che uno dei nodi sia come integrare il rapporto tra istruzione e opportunità di futuro e di lavoro per i nostri giovani.
  Certamente, questo non riguarda solo la scuola, ma anche l'università e la formazione superiore, però, sicuramente questo è uno dei temi su cui lavorare di più, superando la cultura in base alla quale ai licei vanno i ragazzi più dotati e agli istituti tecnici e professionali quelli meno dotati. Non è più possibile sostenerlo, perché è cambiata la fase storica e, quindi, dobbiamo affrontare seriamente questa criticità, che è forse quella più grave del nostro sistema dell'istruzione, per rimettere in moto quello che, un tempo, veniva definito «l'ascensore sociale», cioè garantendo pari opportunità a tutti i ragazzi.
  Voglio ringraziare di nuovo Milena Santerini per il lavoro che ha svolto e mi auguro che, la prossima settimana, la Commissione possa procedere in modo unitario all'approvazione del documento conclusivo.

  PRESIDENTE. Mi pare che siano emersi molti spunti e sottolineature, per cui vorrei chiedere all'onorevole Santerini se desideri sottolineare in maniera più significativa alcune questioni, per poi giungere martedì prossimo – come previsto – all'approvazione del documento conclusivo. Pag. 14Siccome sono emersi parecchi spunti interessanti, se ne potrebbero forse recepire alcuni nel testo.

  MILENA SANTERINI. Certamente. Intanto, ringrazio moltissimo per l'apprezzamento del lavoro svolto, ma soprattutto per i contributi apportati dai colleghi.
  Ci sono due tipi di osservazioni: uno è l'impegno a integrare le cose che sono state dette, che avrei elencato per verificare che non me ne sia sfuggita qualcuna; l'altro è il senso del documento e l'impegno parlamentare successivo. Se volete, possiamo farlo ora oppure la prossima volta.

  PRESIDENTE. Ho l'impressione che, oggi, ci sia stata una discussione molto interessante, quindi credo che lei, onorevole Santerini, potrebbe predisporre quanto ha detto, in modo che martedì prossimo sarà all'attenzione della Commissione, e potremo passare all'approvazione di un documento che tenga conto degli spunti emersi nel corso del dibattito.

  MILENA SANTERINI. Volentieri mi impegno a recepire le integrazioni, e la prossima volta vorrei commentare alcuni spunti molto interessanti che i colleghi hanno evidenziato ad almeno due o tre livelli. Uno è l'incrocio tra questo documento e «La buona scuola», l'altro è il problema unità di crisi e lavoro a livello regionale, che è un punto chiave, perché, per i pressanti impegni, è mancato un confronto scientifico con gli uffici scolastici regionali, per esaminare esattamente i dati a livello di ciascuna regione e capire dove si va avanti e dove si va indietro.
  I vari aspetti, l'unità di crisi a livello centrale, la rete di scuole e il «controllo» a livello regionale, sono tutti importanti e andrebbero uniti, come in effetti mancava, per il prosieguo del lavoro.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i partecipanti e rinvio il seguito dell'esame del documento conclusivo ad altra data.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 14.45.

Pag. 15

ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

Premessa

1. ANALISI DEL PROBLEMA
  1.1 Dispersione scolastica: definizione e dimensioni del fenomeno
  1.2 I fattori decisivi del rischio dispersione
  1.3 Le risorse

2. LIVELLI DI INTERVENTO

3. STRATEGIE DI AZIONE
  3.1 L'anagrafe degli studenti
  3.2 Il nodo del primo biennio della scuola secondaria
  3.3 Un'autonomia compiuta
  3.4 L'Istruzione e Formazione Professionale
  3.5 Scuola aperta e partnership con il territorio
  3.6 Formazione dei docenti e qualità dei processi educativi
  3.7 Gli studenti di cittadinanza non italiana
  3.8 Nuovi ambienti di apprendimento
  3.9 Il riordino dei cicli e il «taglio» di un anno

4. CONCLUSIONI: UNA STRATEGIA NAZIONALE PER ACCELERARE LA LOTTA ALLA DISPERSIONE
  4.1 Obiettivo 10 per cento
  4.2 Azioni prioritarie
    4.2.1 Anagrafe e monitoraggio
    4.2.2 Prevenzione nell'infanzia
    4.2.3 Interventi nella scuola secondaria e IEFP
    4.2.4 La seconda chance
  4.3 Due strumenti per la realizzazione delle azioni
    4.3.1. Una sperimentazione che possa ampliare l'autonomia delle scuole
    4.3.2. Una «unità di crisi»

Premessa

  Nell'ambito delle politiche del Governo che pongono la scuola e la formazione al centro dello sviluppo del Paese, la prevenzione e il contrasto alla dispersione scolastica assumono oggi una rilevanza senza precedenti. Non c’è crescita o ripartenza se rimangono irrisolti nodi storici del nostro sistema di istruzione e di formazione, già oggetto, peraltro, nel 2000, di attenzione da parte della Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati. Eppure, la perdita di un'enorme massa di studenti che abbandona la scuola rimane un luogo comune accettato quasi con rassegnazione, dimenticando che in questa zona d'ombra si nascondono non solo i destini individuali di ragazzi e ragazze ma anche le prospettive di crescita del nostro Paese.
  Rispetto al passato non è più tempo di descrizioni e diagnosi. Non c’è alcun bisogno di ripetere ritualmente la litania dell'abbandono scolastico o ricamare il tema con un restauro conservativo dei modi di vedere la questione, dominanti Pag. 16negli ultimi decenni. Ai livelli insostenibili di dispersione e alla perdita di attrazione della scuola occorre contrapporre un approccio strategico e operativo, orientato dal coraggio di una visione rivolta al futuro.
  Accanto alle criticità accumulate negli anni dell'edilizia scolastica e alla quota di occupazione precaria nella scuola, la dispersione è uno degli ostacoli storici alla qualità del nostro sistema di istruzione e di formazione. Riconquistare i giovani alla scuola, e ridurre ritardi e uscite precoci, è una sfida decisiva per decisori, amministratori, insegnanti e famiglie, non solo per evitare la dissipazione delle risorse comunque investite ma, anche e soprattutto, per ridare all'educazione e alla formazione il ruolo di spinta per l'avvenire del Paese.
  Per un'azione efficace non basta una generica intenzione di miglioramento, ma occorre mettere in campo tutte le energie in una strategia nazionale multi-livello che, attraverso la definizione di precise misure e traguardi da raggiungere, reinventi l'azione didattica, ridisegni gli ambienti di apprendimento, rimotivi studenti e riconosca il lavoro dei docenti.
  Per migliorare la comprensione del fenomeno e, quindi, definire più efficaci strategie di intervento, la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati ha ritenuto opportuno lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sull'insieme dei processi che caratterizzano la dispersione scolastica (abbandoni, ritardi, ripetenze, evasione), e sulle strategie per contrastarla, concentrandosi, in particolare, sulla prevenzione del fenomeno e sugli aspetti relativi all'inclusione. Il contrasto alla dispersione, infatti, rappresenta uno dei 5 obiettivi proposti dalla Commissione europea nell'ambito della strategia Europa 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, richiedendo uno specifico impegno da parte del Parlamento e del Governo.
  Gli indirizzi forniti dall'Amministrazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per abbattere la dispersione scolastica (indicati nel corso dell'audizione di Marco Rossi Doria, sottosegretario all'Istruzione del Governo Letta il 22 gennaio 2014) consistono in tre linee di azione: costanza nel tempo delle azioni e coordinamento tra i promotori delle politiche, nonché valutazione dei risultati; approccio basato sulle competenze di base e personalizzazione degli apprendimenti; alleanze tra scuola, territorio, famiglia, agenzie educative.
  Scopo dell'indagine conoscitiva è stato verificare se i processi avviati dalle istituzioni e le stesse azioni previste dal decreto-legge n. 104 del 2013, in particolare dall'articolo 7, che ha stanziato complessivi 15 milioni di euro per il biennio 2013-2014 (nonché dal decreto ministeriale di attuazione n. 87 del 2014), corrispondano ai suddetti indirizzi e indicatori di qualità, assumendo, in particolare, la prevenzione e il recupero della dispersione come obiettivo specifico, evitando di dirottare i finanziamenti per azioni mirate alla dispersione per azioni di carattere generale, di finanziamento alle attività ordinarie, nonché estemporanee.
  L'indagine si è dunque svolta dal 23 aprile 2014 al 10 giugno 2014 con lo svolgimento di 6 sedute dedicate alle audizioni, durante le quali sono stati sentiti, oltre a soggetti istituzionali competenti in materia (rappresentanti del MIUR, dell'INVALSI e dell'ISFOL), dirigenti scolastici, insegnanti, docenti universitari, rappresentanti di associazioni, fondazioni e testate editoriali attivi nello studio e nel contrasto alla dispersione scolastica e esperti del settore provenienti da diverse esperienze. I rappresentanti di molti Uffici scolastici regionali, su richiesta della Commissione, hanno inoltre trasmesso loro memorie ove, oltre all'effettuazione di analisi concernenti il fenomeno a livello di singola regione, sono state descritte le azioni svolte dai singoli U.S.R. per il contrasto alla dispersione scolastica.
  Ciascun soggetto audito – cui va il ringraziamento sentito dei componenti della VII Commissione – ha portato la propria esperienza, spesso integrata dal deposito di documentazione appositamente predisposta: gli esiti di questa indagine Pag. 17e la sintesi delle diverse le indicazioni emerse nel corso delle varie audizioni vengono di seguito riportate.

1. ANALISI DEL PROBLEMA

1.1 Dispersione scolastica: definizione e dimensioni del fenomeno.
  Le diagnosi sulla dispersione scolastica permettono oggi una visione approfondita dei processi, delle dimensioni tradizionali e nuove del fenomeno e delle politiche d'intervento.
  Gli indicatori tradizionali (bocciature, ripetenze, abbandoni...) che per anni sono stati oggetto di studio, rimangono importanti, anche se registrano solo una parte del fenomeno, visto il contenimento delle bocciature nel primo ciclo e la grande inflazione nel secondo.
  Per anni abbiamo misurato il totale dei dispersi facendo una semplice sottrazione, cioè prendendo il totale della popolazione in età dai 14 ai 17 anni, sottraendo quelli iscritti a scuola, quelli assunti in apprendistato, quelli iscritti alla Istruzione e formazione professionale (IeFP) e, dopo questa sottrazione, quello che rimaneva era probabilmente la quota dei dispersi. Parliamo di un numero assoluto mai variato negli anni. Sempre con questo metodo di stima, quindi con tutte le cautele del caso, circa 110-115.000 ragazzi compresi fra i 14 ed i 17 anni, ogni anno, si trovano fuori dai percorsi formativi e scolastici. Essi sono concentrati al sud per il 42 per cento circa; la quota più grande è attribuibile alla regione Campania, che da sola rappresenta il 20 per cento del fenomeno. Anche la Lombardia ha una quota molto grande, ma semplicemente perché in quel territorio c’è più popolazione in età. In ogni caso, generalmente è un fenomeno caratteristico delle isole e del sud Italia ma si presenta «a macchia di leopardo» in tutto il paese.
  Più recentemente, si è puntata l'attenzione sulla differenza tra il numero di iscritti al I anno di scuola superiore e i diplomati al V anno cogliendo indicatori dell'inefficienza del sistema scolastico. Tale differenza, ad oggi del 29,7 per cento con variazioni tra le diverse tipologie di istituto, misura la quota di studenti che, per ragioni varie, denunciano limiti nei processi di orientamento e di scelta del percorso e del perdurare di un modello di espulsione non più compatibile con l'obiettivo di assicurare un percorso completo a ogni studente e a ogni studentessa.
  In questa ottica l'indicatore, correntemente utilizzato a livello comunitario, degli Early school leavers – ESL (giovani dai 18 ai 24 anni che non dispongono di titolo di studio o qualifica superiore a quello ottenuto a conclusione del primo ciclo di istruzione e non attualmente in formazione) misura l'inefficienza del sistema formativo. Le indicazioni europee si riferiscono a coloro che non hanno conseguito un titolo di studio superiore alla scuola secondaria di primo grado e che, inoltre, nelle quattro settimane precedenti l'intervista, non abbiano svolto attività di istruzione e di formazione.
  La diminuzione al di sotto del 10 per cento della quota degli ESL è il traguardo indicato per il 2020 dall'Unione. Per l'Italia il raggiungimento di tale traguardo è a portata di mano per le regioni del Nord; richiede, invece, una robusta azione mirata per le altre regioni. Il conseguimento di un diploma o di una qualifica, considerati come condizioni per l'ingresso nel mercato del lavoro, sono obiettivi standard nelle politiche dell'istruzione e della formazione, da perseguire specificamente e da monitorare sistematicamente.
  Un ulteriore criterio di definizione del fenomeno della dispersione è stato elaborato ed utilizzato in alcune esperienze concrete. In particolare, l'Osservatorio regionale sulla dispersione scolastica, nato in Sicilia nel 1989, utilizza un criterio che affronta il problema conteggiando tutti gli aspetti diversi della dispersione scolastica. Per ognuna delle circa ottocento scuole siciliane vengono raccolti – anno per anno – i dati relativi all'evasione dall'obbligo scolastico, agli abbandoni in corso d'anno e all'istruzione parentale. Pag. 18
  Le definizioni di dispersione e di abbandono sono basate sul conseguimento – o meno – di un certo titolo di studio. La disponibilità di informazioni sulle performance degli studenti obbliga tuttavia ad andare oltre il mero dato del conseguimento di un diploma per includere anche una valutazione circa l'acquisizione di competenze adeguate; anzi, i dati OCSE Pisa mostrano che i livelli di competenze variano sensibilmente tra gli studenti della stessa età. Sulla base dei test di apprendimento, sappiamo che, spesso, allo stesso titolo di studio possono corrispondere livelli di competenze molto diversi. Pertanto, si dovrebbe mirare a una definizione basata non tanto sul conseguimento – o meno – della qualifica o del diploma, bensì sul grado di competenze raggiunte a una determinata età.
  In questo senso, ci fa da battistrada l'impostazione dell'indagine OCSE-PISA, che dà livelli insufficienti del 30 per cento nelle regioni meridionali, toccando punte del 38 per cento nelle isole. L'obiettivo della Strategia Europa 2020, che pone al 10 per cento – come tetto massimo – il numero di giovani collocabili tra i predetti early school leavers (attualmente l'Italia sta – nel 2013 – al 17 per cento), seppure il dato sia in miglioramento, è un'impresa decisamente impegnativa, soprattutto per alcune aree del Paese. Oggi, nelle quattro regioni convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), abbiamo infatti un tasso del 21 per cento.
  In ogni caso, per una comprensione allargata dei processi di dispersione è indispensabile fare riferimento ai NEET (Not in Education, Employment or Training), la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 non occupati e non iscritti a un percorso di formazione precisa. Da questo punto di vista l'Italia è in una situazione molto difficile: secondo Eurostat ha una percentuale di NEET di oltre il 25. Naturalmente nella valutazione di questo dato entrano in gioco altre variabili, che riguardano l'andamento dell'occupazione, le opportunità di lavoro, le opportunità professionali.
  Come ulteriore aspetto bisogna valutare l'assenteismo degli studenti, un fenomeno ben più vasto di quello che normalmente si percepisce.
  In questa prospettiva non si può dimenticare l'achievement gap, cioè quel divario che separa, spesso e in profondità, i risultati scolastici e le attese relative alle competenze profonde ormai richieste nel XXI secolo.
  Allo stesso tempo la necessità di formare gli innovatori di domani denuncia una criticità prospettica che può rallentare i sistemi di istruzione e di formazione. Il divario che preoccupa va oltre i risultati di scuola, riguarda le condizioni di capitale, umano, sociale e professionale, per garantire al nostro Paese un ritorno alla crescita.

1.2 I fattori decisivi del rischio dispersione.
  I soggetti che sono più a rischio di abbandono scolastico sono, tipicamente, soggetti maschi, spesso di origine straniera, con un background familiare fragile e, soprattutto, con una storia e un percorso educativo molto frastagliato, che parte dalle scuole medie. Questi sono i ragazzi che hanno la più alta probabilità di non arrivare al completamento della scuola secondaria, ovvero al raggiungimento di un diploma. Lo zoccolo duro della dispersione, quello dovuto ad abbandoni ed evasioni, è di tipo socio-economico, ma, utilizzando i valori che ci forniscono Eurostat o l'Istat, regione per regione, scopriamo che tra dispersione e grado di povertà c’è una correlazione moderata: la povertà influisce sulla dispersione scolastica, ma non è il fattore determinante. Ciò che influisce di più sono le scarse competenze: correlando le competenze che scaturiscono dai test INVALSI e la dispersione, scopriamo che la correlazione è molto forte. Questo significa che, in linea con l'approccio analitico, ciò che occorre combattere è la dispersione dovuta ai fallimenti pregressi nella scuola e alle bocciature.
  Dal punto di vista della distribuzione geografica, è importante sottolineare come Pag. 19la media del 17,6 per cento di early school leavers attuale presenti differenze assai significative tra le diverse Regioni. Alcune Regioni registrano percentuali vicino a quella media europea, che è del 12,8 per cento (Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Abruzzo); mentre il Molise presenta un valore del 9,9 per cento. Altre, come la Toscana sono in linea con la media nazionale (17,6 per cento), altre ancora come la Valle D'Aosta, hanno un tasso del 21,5 per cento di giovani tra i 18 e i 24 anni che non riescono a conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria superiore. La situazione nel Mezzogiorno appare generalmente peggiore rispetto al resto d'Italia, registrandosi un tasso del 25,8 per cento in Sardegna, del 25 per cento in Sicilia, del 21,8 per cento in Campania e del 19,8 per cento in Puglia (dati del MIUR aggiornati al giugno 2013), pur dovendosi ricordare che, in quest'ultima regione, il tasso di early school leavers, nel 2006, era di ben il 27 per cento. È anche vero che la Calabria, con il 17,2 per cento è in linea con la media nazionale, mentre la Basilicata, con il 13,8 per cento, è ben sotto la media nazionale. Le differenze «a macchia di leopardo», inoltre, valgono anche all'interno delle singole Regioni.
  Accanto alla collocazione territoriale, un importante fattore di rischio è rappresentato dalla tipologia di scuola. La dispersione è maggiore negli istituti tecnici e negli istituti professionali. Secondo lo studio di Tuttoscuola, la dispersione scolastica negli istituti statali, misurata come differenza tra il numero degli iscritti all'ultimo anno nel 2013-2014 rispetto agli iscritti al primo anno cinque anni prima, cioè nel 2009-2010, è inferiore alle 170.000 unità di studenti dispersi, pari al 27,9 per cento. L'anno scolastico 2012-2013, sempre secondo la comparazione quinquennale, erano stati 10.000 in più, pari al 29,7 per cento. Secondo il medesimo studio la dispersione è risultata concentrata negli istituti professionali, dove raggiunge il 38 per cento, ma, dieci anni, fa arrivava al 50 per cento. Negli istituti tecnici la percentuale di dispersi arriva al 28 per cento Lo sviluppo del sistema di istruzione e formazione è fortemente intrecciato con il tema della dispersione. Nel momento in cui l'offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea tale fenomeno. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell'istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell'offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta.
  Gli abbandoni della scuola avvengono prevalentemente nel primo biennio della superiore in genere a seguito di una bocciatura. Questo dato è omogeneo su tutto il territorio nazionale; ciò porta a concentrare l'attenzione sull'orientamento degli studenti che, se mal gestito, porta a scelte a volte irreversibili. Vari esperti osservano che le bocciature all'inizio del corso di studi superiore si rivela spesso decisiva per la scelta di abbandonare la classe.
  Altrettanto importante è portare l'attenzione sul fenomeno delle assenze saltuarie frequenti, elemento predittivo dell'insuccesso seguente, soprattutto nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale.
  Accanto a questi fattori di ordine generale, ve ne sono poi alcuni che riguardano alcune specifiche categorie di ragazzi. Qualche anno fa, una ricerca in termini sia previsionali sia longitudinali, pubblicata sul sito lavoce.info, spiegava che l'esperienza di coorti di ragazzi osservati nel loro percorso scolastico longitudinale, a partire dall'asilo nido e dalla scuola dell'infanzia, era ben differente rispetto all'esperienza di ragazzi che non avevano avuto la possibilità di partecipare a un percorso di apprendimento in età prescolare e dai 3 ai 6 anni. Si tratta di un fattore previsivo dei probabili abbandoni, in età da scuola media e nel corso del primo biennio della scuola superiore.
  Per affrontare seriamente il tema della dispersione scolastica, non si può non tener conto del dello svantaggio educativo, cioè le difficoltà e il disagio di cui sono carichi questi ragazzi e ragazze (che ovviamente non hanno una certificazione di disabilità, una patologia certificata). Si tratta di alunni e studenti indicati nella Pag. 20terza fattispecie dei BES, (Bisogni educativi speciali), che presentano non una certificazione di disturbo di apprendimento o una patologia, ma difficoltà di apprendimento o inserimento. Attribuire la responsabilità del disagio solo all'ambiente o alla famiglia porterebbe fuori strada. È la scuola stessa che può diventare una causa di disagio o – viceversa – una risposta. La sfida educativa si gioca nella competenza relazionale degli insegnanti, la capacità di «leggere» e comprendere le singole situazioni, e la necessità di un rapporto strutturato con le agenzie educative. Il rapporto con le famiglie diventa centrale, mentre a volte vengono percepite come «cause» delle difficoltà o elementi di «disturbo» nello svolgimento del lavoro didattico. Lo svantaggio rappresenta un fenomeno multidimensionale e come tale va compreso. La famiglia fa parte del quadro, e deve essere coinvolta attivamente nelle strategie educative della scuola, senza concorrenza o conflitto.
  Uno specifico punto di sofferenza riguarda i bambini e ragazzi Rom e Sinti. Il quadro del rapporto tra bambini Rom e scuola, con particolare attenzione ai nodi critici e alle possibili strategie di intervento, si basa su due livelli: quello organizzativo e quello della professionalità dei docenti. In Italia, il 19,2 per cento dei minori Rom è analfabeta. Oltre agli sgomberi dei loro insediamenti che fanno cambiare scuola più volte ai ragazzi Rom, c’è uno svantaggio sociale di base dove i genitori spesso sono analfabeti: c’è una difficoltà, da parte dei genitori, ad affrontare l'iscrizione stessa alle scuole, in assenza di un mediatore che aiuti in questo senso Quasi nessuno dei ragazzi delle baraccopoli frequenta la scuola superiore. In Europa, lo fa il 10 per cento dei ragazzi, mentre in Italia la percentuale è molto più bassa. Pochi di loro terminano la terza media: l'esito drammatico è che non possono accedere ai livelli di istruzione successiva, cioè ai corsi professionalizzanti, alle scuole bottega, perché non ne hanno diritto, pur avendo età da istruzione obbligatoria, non avendo ancora la licenza media. Siamo di fronte a una dispersione molto alta nel passaggio dalla scuola media al biennio delle scuole secondarie superiori e ad un ritardo italiano che va colmato con strategie specifiche.
  Oltre ai fattori socio-economici facilitanti la dispersione, ne esistono varie prodotte dal sistema d'istruzione stesso. In particolare, il focus va posto nella scuola secondaria di secondo grado, particolarmente nel primo biennio, che è d'istruzione obbligatoria, in quanto l'istruzione scolastica obbligatoria è stata innalzata a 16 anni. Occorre in particolare concentrarsi sulla questione della qualità dell'orientamento e il tema della precocità della scelta, cui si aggiunge quello della sua reversibilità: la scelta può anche essere non precoce ma, nel momento in cui per la rigidità del sistema quella scelta risulta irreversibile, è molto facile che, laddove si riveli sbagliata, generi l'abbandono scolastico. Risulta quindi necessario l'orientamento nella scuola secondaria di primo grado e il rafforzamento del collegamento tra scuola e mondo del lavoro. Desta poi preoccupazione il dato di abbandono dei ragazzi al primo anno di istruzione secondaria di secondo grado, omogeneo su tutto il territorio nazionale. Tale fenomeno fa emergere l'esigenza di interventi che riguardino l'orientamento degli studenti, che, probabilmente, nella scelta del ciclo secondario, o per mancanza di conoscenza o per influenze diverse, scelgono un corso di studi sbagliato.
  L'abbandono scolastico più che la dispersione, che esplode durante i primi due anni della scuola superiore, ha inoltre le sue profonde radici nelle assenze saltuarie che caratterizzano la frequenza scolastica degli alunni del primo ciclo di istruzione, soprattutto in quelle scuole situate nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale. Molti studenti che abbandonano la scuola mostrano segnali di pericolo per mesi, se non per anni, a scuola e al di fuori della scuola. Tali ragazzi si trovano ad affrontare sin da piccoli sfide personali, sociali ed emotive che devono essere colte dalla scuola.Pag. 21
  Altro tema fondamentale è quello degli studenti di cittadinanza non italiana, nella scuola secondaria superiore circa il 7 per cento, ossia circa 175.000 studenti. È un tema che funziona come cartina di tornasole per tutte le situazioni di svantaggio sociale, con la differenza che sugli alunni stranieri abbiamo una ricchezza notevole di dati, perché il fenomeno è molto studiato. Sulle infinite varianti dello svantaggio sociale è più complicato avere dati controllabili, ma per approssimazione possiamo dire che alcuni aspetti, caratteristici della popolazione giovanile straniera in età scolare, sono estendibili, per analogia, anche ad altri tipi di svantaggio sociale. I bisogni della popolazione di cittadinanza non italiana in età scolare sono diversi. Per i neo-arrivati è necessario continuare a sostenere misure di insegnamento dell'Italiano L2. Gli stranieri di seconda generazione invece presentano problemi legati all'Italiano-per-lo-studio. L'80 per cento di questi ragazzi frequenta gli istituti tecnici e gli istituti professionali e ciò indica che per loro si va creando una sorta di segregazione formativa nell'istruzione tecnica e professionale.
  I fenomeni di dispersione scolastica non riguardano però unicamente i ragazzi che presentano un livello di competenze insufficiente. Vi è anche un fenomeno opposto, forse meno visibile, ma anch'esso importante, quello degli iperdotati. Alcuni degli studenti che abbandonano la scuola, in realtà, andavano benissimo a scuola. Molti di loro, probabilmente, hanno avuto una buona carriera alla scuola elementare, o nei primi anni della scuola media, quindi teoricamente non c'era nessun segnale che potesse far pensare a un possibile fallimento, a un abbandono scolastico. Questi studenti presentano alcune caratteristiche, per quanto riguarda i fattori di rischio, comuni alla popolazione generale, cioè il problema socioeconomico, il basso livello culturale della famiglia, il sesso (l'abbandono è più alto tra i maschi). Nella scuola superiore si trovano senza strategie di studio o sfide cognitive adeguate alle loro capacità e aspettative.
   Esistono poi i low achievers, che hanno un basso rendimento scolastico: questo è dovuto alla presenza di quella che viene definita la twice exceptional, che potrebbe essere un DSA (disturbo specifico di apprendimento), come la dislessia, la discalculia e così via: in questa popolazione particolare tali disturbi, molto spesso, sono riconosciuti tardivamente. L'intelligenza, aiutandoli a compensare, li nasconde. La presenza di ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) e una serie di altre situazioni in comorbilità portano ad avere, invece, proprio un abbassamento del rendimento e dell'autostima.

1.3 Le risorse.
  Il nodo delle risorse finanziarie è naturalmente una questione di carattere politico, che coinvolge la scelta su quante risorse il Paese vuole dedicare alla scuola. Ma pur non essendo una questione di natura tecnica, presenta un aspetto tecnico relativo ai criteri ed alla modalità di utilizzo. Il precedente Governo ha stanziato 15 milioni di euro – all'articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosiddetto «istruzione», n. 104 del 2013, di cui 3,6 milioni di euro per l'anno 2013 e 11,4 milioni di euro per l'anno 2014 – per la lotta alla dispersione scolastica: cifra certamente insufficiente. Queste risorse sono state stanziate operativamente attraverso il decreto ministeriale n. 87 del 7 febbraio 2014. Questi finanziamenti, unitamente anche ad altri, come quelli legati all'articolo 9 del contratto collettivo nazionale di lavoro (Area a rischio e a forte processo immigratorio), non sono riusciti a costruire un sistema consolidato nel tempo di lotta alle assenze saltuarie e al conseguente abbandono scolastico.
  Anche per i Piani operativi nazionali (PON), soprattutto per quanto riguarda le regioni dell'Obiettivo Convergenza (Sicilia, Puglia, Calabria e Campania), non si può parlare di successo, perché, misurando lo scarto fra il punto di partenza e il punto di arrivo, ci si accorge che i livelli raggiunti – in termini di incremento di successo Pag. 22formativo – non sono molto rilevanti. Sappiamo che sono state impiegate risorse molto ingenti ma i risultati in termini di contrasto sono stati differenti. Regioni che hanno ricevuto anche molti fondi, ad esempio, non hanno visto migliorare in modo corrispondente le loro percentuali. Si ribadisce quindi la necessità di rendicontare gli esiti dei finanziamenti e dei progetti relativi. Soprattutto, i PON hanno creato progetti a termine anche validi, ma che purtroppo restano estemporanei non avendo modificato la routine scolastica.
  Con riferimento alle risorse impiegate, comprese quelle dei PON si rileva che molti progetti non hanno prodotto routine. La questione della dispersione, come altre, si risolve nel momento in cui è la scuola «normale» ad agire in un certo modo. Quindici milioni di euro stanziati per il 2013-2014 possono anche essere risorse interessanti, nel momento in cui riguardano un biennio: succede però che si alimentano dei progetti, probabilmente anche ben fatti, alcune pratiche, effettivamente, producono qualche risultato nel biennio in cui il progetto è in corso, ma tutto questo non è in grado di modificare la routine scolastica. Quello che manca davvero è la capacità di avere uno standard in grado di affrontare il problema. Bisogna piuttosto pensare a progetti integrati, organici, di sistema, capaci di incidere sulla qualità dell'organizzazione della didattica e, quindi, di elevarne la qualità: progetti che diventino dunque stabili.
  Con riferimento alle risorse finanziarie, occorre considerare come sino ad oggi gli interventi siano stati finanziati prevalentemente attraverso risorse comunitarie, in particolare del Fondo sociale, del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo di coesione. Naturalmente occorre che le esperienze valide riescano a passare a sistema. È pur vero, però, che in questi anni il MIUR non ha avuto molte risorse di bilancio per poter realizzare questa operazione. Ad esempio nella formazione degli insegnanti, si è intervenuti sulle competenze di base degli stessi con cinque progetti nazionali molto consistenti, anche da un punto di vista della partecipazione degli insegnanti, ma non c'erano risorse sufficienti in bilancio. Ma, evidentemente, per passare a sistema occorre trovare fonti finanziarie ordinarie e stabili.
  In merito al nodo risorse occorre però fare uno sforzo per comprendere come la lotta alla dispersione scolastica da un lato comporti adeguati investimenti ma dall'altro possa determinare significativi risparmi, o quantomeno riduzione nello spreco di risorse pubbliche. Circa 472.000 alunni che, ogni anno, vanno incontro all'insuccesso scolastico, perché abbandonano gli studi, vengono bocciati oppure si ritirano senza più dare notizie di sé. Sappiamo benissimo che gli organici della scuola vengono conteggiati anche in base agli studenti ripetenti. Se un ragazzo viene bocciato, la scuola ritiene che rifrequenterà le lezioni. Basta moltiplicare – è un calcolo che serve solo per avere un ordine di grandezza del fenomeno – gli 8.646 dollari che l'OCSE stima siano il costo annuale di uno studente per la scuola media e gli 8.607 dollari per la scuola secondaria superiore e arriviamo a qualcosa come 3,5 miliardi di euro che, ogni anno, siamo costretti a spendere in più per sostenere l'insuccesso scolastico.
  Anche la questione degli asili nido rimanda al nodo delle risorse disponibili e, quindi, delle possibilità operative degli enti locali e di altri soggetti. La dispersione si contrasta a partire dai primissimi anni di età, essendo ormai acquisito che coloro che non hanno frequentato la scuola dell'infanzia hanno maggior probabilità di non continuare proficuamente gli studi superiori. La possibilità di frequentare la scuola già dai 3 ai 6 anni diminuisce le percentuali di probabilità dell'abbandono (www.lavoce.info). In realtà abbiamo oggi ancora 40.000 bambini che non frequentano, specie nelle regioni del sud a più alto rischio di dispersione.
  È essenziale far frequentare la scuola dell'infanzia a soggetti particolarmente svantaggiati come i bambini rom. Bisogna che le scuole comincino a segnalare ai servizi sociali o al tribunale dei minori i casi di evasione scolastica, considerato che Pag. 23le frequenti assenze spesso sono tollerate dalle scuole. La scuola è un diritto e mandare i bambini a scuola è un dovere che bisogna far rispettare. Anche se per quanto riguarda la scuola dell'infanzia in Italia siamo al di sopra del target fissato dalla Strategia «Europa 2020», dobbiamo ricordarci dei numeri e non solo delle statistiche. Abbiamo ancora 40.000 bambini che non entrano alla scuola dell'infanzia e se, disaggreghiamo il dato, scopriamo che sono, in particolare, in alcune regioni del sud dell'Italia, le stesse regioni che, non per caso, hanno i tassi di dispersione maggiore.

2. LIVELLI DI INTERVENTO

  Un'efficace azione di contrasto alla dispersione scolastica richiede una pluralità di azioni collocate su piano diversi e coordinate in una visione di insieme. Nel corso delle audizioni sono state prospettate diverse azioni che potrebbero, se utilmente inserite in una strategia organica, far fare un salto di qualità al nostro sistema scolastico.
   Il Thematic Workgroup on early school leaving della Commissione Europea, nel Rapporto finale Reducing early school leaving: key messages and policy support del novembre 2013 sugli abbandoni precoci nella scuola, ha indicato che le azioni contro la dispersione scolastica vanno collocate a tre livelli e cioè azioni di prevenzione, azioni dirette e misure di recupero.
   Sulla base di tale documento, è possibile individuare le seguenti cinque priorità che dovrebbero caratterizzare una efficace strategia di lotta alla dispersione scolastica in Italia:
   1) l'incremento dell'accesso agli asili nido e alla scuola dell'infanzia, soprattutto nelle regioni del Sud d'Italia e nelle Isole;
   2) la qualificazione di percorsi di istruzione e formazione professionale, con l'applicazione rigorosa in ogni regione italiana dell'ordinamento relativo all'ampliamento dell'offerta formativa;
   3) la creazione di idonei ambienti di apprendimento, (non solo una questione di allestimenti) con la realizzazione di un piano di formazione dei docenti in servizio e di sperimentazione di princìpi educativi e pratiche didattiche centrati sui fattori d'influenza dell'apprendimento;
   4) l'organizzazione e la strutturazione di un sistema di monitoraggio, con un'anagrafe nazionale dello studente basata sui dati delle rilevazioni del Sistema nazionale di valutazione (che si avvale dell'attività dell'INVALSI), per valutare un rischio basso, medio o alto di abbandono precoce degli studi;
   5) interventi in molteplici dimensioni nei confronti delle famiglie degli studenti a rischio, potenziandone i compiti e le capacità educative.

  Per quanto riguarda i livelli di intervento di carattere generale, vengono individuati a) la prevenzione, b) intervento e c) compensazione.
  In ambito europeo, per misure di prevenzione, si intendono azioni o misure o interventi che anticipano l'insorgenza conclamata di segni di abbandono precoce dei percorsi scolastici o formativi. Le misure investono molto sugli ambienti di apprendimento, i curricoli, la formazione dei docenti e i sistemi di connessione anticipata del mondo scolastico con il mondo del lavoro e della produzione: ciò in modo tale che il contatto con il mondo produttivo possa essere, esso stesso, un'opportunità di apprendimento e un modo per organizzare la propria carriera scolastica o le proprie scelte future.
  Per quanto riguarda le misure di intervento, queste sono definite come misure a contrasto, non appena i primi segni dell'abbandono scolastico si manifestano. Queste misure sono indirizzate agli studenti, agli insegnanti e ai genitori. Anche in questo caso, l'attenzione è posta sui percorsi e sui curricoli.
  L'ultimo livello di questo quadro generale di contrasto degli abbandoni precoci e della dispersione scolastica viene definito di compensazione. L'Unione europea, in Pag. 24questo caso, fa riferimento ai percorsi cosiddetti «formativi di seconda occasione», rivolti sostanzialmente ai ragazzi che hanno perso ogni connessione con la scuola e la formazione professionale, ma possono essere recuperati a seguito di un ripensamento o del sostegno di servizi territoriali, il cui scopo principale sia quello di reintegrare i giovani nei contesti scolastici e formativi.

3. STRATEGIE DI AZIONE

  Le strategie di azione qui di seguito enucleate sulla base delle audizioni non sono presentate in ordine di priorità, bensì compongono un quadro di azioni parallele, da sviluppare in modo convergente.

3.1 L'anagrafe degli studenti.
  Innanzitutto, occorre considerare come per implementare un'efficace strategia di contrasto alla dispersione scolastica sia decisivo poter disporre dei dati e delle misurazioni che consentano di dare il giusto peso ai problemi e di orientare per programmare iniziative mirate alla loro soluzione. Pensare di dover raccogliere i dati, scuola per scuola, potrebbe sembrare un intervento complicato, ma in realtà si tratta di dati già in possesso delle banche dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR). Eccezion fatta per l'evasione, il MIUR conosce il dato degli abbandoni, delle interruzioni non comunicate e delle bocciature e sarebbe in grado di censire il fenomeno in maniera analitica scuola per scuola e – forse – plesso per plesso. Interfacciando questi dati con quelli provenienti dalla banca dati INVALSI, le scuole potrebbero conoscere le competenze dei ragazzi che entrano nelle stesse, per intervenire con azioni – quasi individuali – volte a evitare le bocciature.
  Oggi noi non abbiamo ancora un'Anagrafe degli studenti che ci consenta di dire per quella classe di età dove siano gli studenti. Abbiamo tutti dei pezzi della realtà, ma non dialogano tra di loro. L'Anagrafe degli studenti riguarda solo quelli del sistema dell'istruzione: non c’è un collegamento con le Anagrafi regionali della formazione ed è quindi necessaria un'integrazione dei dati tra l'Anagrafe nazionale degli studenti del Ministero dell'istruzione e le altre anagrafi, come i dati degli uffici scolastici regionali. L'altro tema, legato alle anagrafi, è che – da qualche anno – non si registra più o non si verifica più quando le iscrizioni avvengono. Prima dell'inizio dell'anno scolastico, tutte le anagrafi dei municipi non inviano più – come invece avveniva in passato – alle scuole il registro dei residenti per verificare se siano stati iscritti, o meno, a scuola. È stato segnalato nel corso dell'indagine conoscitiva che per i bambini stranieri questo rappresenta un problema molto serio.
  Con riferimento all'integrazione delle varie banche dati, occorre puntare ad un'informazione dettagliata, mirata e quasi microscopica sui casi singoli (scuola per scuola e plesso per plesso) e sulle caratteristiche della dispersione scolastica, degli abbandoni precoci, delle ripetenze, dei ritardi – soprattutto per quanto riguarda i ritardi degli studenti stranieri che non sono ammessi nella classe della propria coorte di età. Sono tutti dati ovviamente essenziali, a patto però che siano rispettate due condizioni. La prima condizione è che la direzione sia biunivoca. Il fatto di implementare una banca dati, straordinariamente efficiente nella capacità di distillare i dati anche nelle loro caratteristiche microscopiche, senza però un ritorno di questi dati alle scuole stesse, che ne sono i principali fornitori, è un'operazione che rischia di essere un eccellente patrimonio di dati utili per gli uffici studi e le analisi, ma non per gli interventi. È quindi essenziale pensare a come garantire, nel meccanismo di fornitura delle informazioni, l'andare e il ritornare dei dati. I dati entrano grezzi e devono uscire, invece, con un commento, cioè con una qualità di lettura che consenta alle singole scuole, ai territori, agli uffici scolastici regionali, alle regioni, ai comuni – non cito più le province per ovvi Pag. 25motivi – di orientare le proprie politiche di aggressione nei confronti del fenomeno. In secondo luogo, in una logica sussidiaria, i Comuni dovranno fare quello che lo Stato non è in grado di fare, perché lo Stato accentra i dati e può analizzarli e fornirli. Il Comune, in sinergia con gli uffici e i centri per l'impiego, dovrà creare piuttosto un'anagrafe dei dispersi. A livello di territorio, abbiamo bisogno di una capacità di lettura del fenomeno che intercetti i casi singoli e sia in grado di recuperare storie e vicende, in modo che il territorio sia messo in condizione, sia nelle cause della dispersione sia negli effetti, di recuperare le persone attraverso strategie «multi-attoriali», che coinvolgano non soltanto il pubblico, ma anche il privato sociale, l'associazionismo e il volontariato specializzato nella cosiddetta «seconda opportunità».

3.2 Il nodo del primo biennio della scuola secondaria.
  Un punto importante per contrastare la dispersione riguarda il potenziamento dell'orientamento nel primo biennio della scuola secondaria. Da tempo la scuola media non è più la fine del percorso dell'obbligo. Abbiamo quindi bisogno di sviluppare l'orientamento di tipo formativo non solo nella scuola media ma soprattutto nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: ciò sarebbe fondamentale e permetterebbe allo studente i passaggi da un indirizzo all'altro. Il sistema della scuola secondaria di secondo grado è organizzato a canne d'organo – licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale – sistemi che non dialogano tra loro e non sono integrati. Al contrario, gli ultimi provvedimenti normativi approvati hanno irrigidito i modelli e non permettono i passaggi da un indirizzo all'altro. Questo rappresenta una fonte di dispersione.
  Importante è anche una decisa azione di contenimento delle bocciature, che sono l'anticamera dell'abbandono scolastico, contrasto da attuare – in particolare – nei primi due anni della scuola secondaria superiore, dove le bocciature sono stimate in circa 185.000, attraverso piani di studio più flessibili e personalizzati.
  Si potrebbe considerare la possibilità di passare nel primo biennio delle superiori a una valutazione biennale anziché annuale, ai fini dell'ammissione alla classe successiva. Si potrebbe riprendere questa norma per il biennio iniziale della scuola secondaria superiore, prevedendo la bocciatura nel primo anno di corso solo come evento eccezionale, puntando a garantire una soglia di equivalenza, di abilità e conoscenza a tutti gli studenti, dei licei, dei tecnici, dei professionali, della formazione professionale.

3.3 Un'autonomia compiuta.
  Nell'ottica dell'organizzazione della scuola come comunità di apprendimento per superare l'insuccesso scolastico, occorre pensare come coinvolgere nel processo di apprendimento tutti gli agenti che influenzano l'educazione. È importante coniugare strettamente la questione della dispersione scolastica con l'autonomia scolastica compiuta, come era stata inizialmente introdotta e solo teorizzata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, che consentirebbe di disegnare un progetto di scuola adatta al territorio. Pur rispettando i termini generali di un sistema di istruzione nazionale, dovrebbe e potrebbe essere capace di far diventare la scuola come il luogo che sa interpretare le domande delle famiglie di quel territorio, che sa disegnare davvero percorsi personalizzati, può prendersi cura di ciascuno, progettare, utilizzando risorse umane ed economiche per mettere in campo azioni di sistema che innestino processi culturali ed educativi.
  L'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, concernente le norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, nel momento in cui in Italia si parlava dell'autonomia, sembrava dovesse diventare un punto di riferimento per lo sviluppo di tutto il sistema formativo italiano. All'articolo 7 del decreto del Presidente della Pag. 26Repubblica citato si fa riferimento alla possibilità per le scuole di associarsi in reti o consorzi, utile per affrontare il tema della ricerca educativa e della rappresentanza delle istituzioni scolastiche, nonché dell'approfondimento di tutte le questioni relative al rapporto tra scuola e territorio.
  Evidentemente, nella tradizione scolastica italiana, all'autonomia hanno creduto in molti, ma rispetto allo sviluppo della stessa hanno operato solo pochissime persone. Al contrario, le scelte sono state prevalentemente orientate ad attenuare tutte le possibilità offerte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999. La rappresentanza delle scuole viene percepita in modo non corretto. Le scuole sono rappresentate dall'amministrazione, dall'Ufficio scolastico regionale, ma questo tipo di rappresentanza amministrativa è effettivamente distante dall'idea della scuola autonoma e, quindi, dalla possibilità per le scuole di affrontare in modo complesso e diretto le problematiche. In questa prospettiva è interessante l'esperienza del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT) in cui sono presenti i presidi e gli insegnanti che lavorano nelle azioni di ricerca e nei progetti europei.

3.4 L'Istruzione e Formazione Professionale.
  Un efficace strumento antidispersione in questi anni è rappresentato dallo sviluppo dei percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale, percorsi triennali che portano a 22 qualifiche, diplomi quadriennali, anno integrativo per l'esame di Stato e alta formazione tecnico-professionale. Si possono seguire percorsi triennali di questo tipo sia presso le agenzie formative accreditate sia presso gli istituti professionali di Stato in regime di sussidiarietà integrativa o complementare a seconda dei casi. Il sistema di istruzione e formazione professionale in Italia è finanziato dal Ministero del lavoro con 189 milioni di euro l'anno. Questo significa che, siccome l'ultimo monitoraggio indica 300.000 giovani sui percorsi, parliamo di 630 euro all'anno per corso utente, effettivamente molto scarsi. Se il costo medio di un giovane a scuola è circa 7.000 euro l'anno, 630 euro l'anno di investimento da parte del Paese su un percorso professionalizzante antidispersione sono decisamente insufficienti.
  Lo sviluppo del sistema di Istruzione e Formazione Professionale è fortemente intrecciato con il tema della dispersione. È evidente che, nel momento in cui l'offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea questo fenomeno. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell'Istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell'offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta.
  Risulta imprescindibile l'obiettivo di valorizzare questo sistema, ed in particolare l'apprendistato (anche dagli ultimi due anni delle superiori), le esperienze di scuola-lavoro, gli stage in azienda, i tirocini formativi, ormai parte integrante del sistema di istruzione che costituiscono uno degli strumenti più efficaci nella lotta alla dispersione. Dare pieno diritto alla formazione professionale e all'apprendistato, stabilizzandola e rendendola di uguale qualità nelle diverse Regioni, rappresenta la base di partenza per una strategia articolata.
  Un altro tema da affrontare riguarda la professionalità del corpo docente, che deve essere sviluppata in modo specifico per quanto riguarda gli Istituti professionali. Infatti, la personalizzazione degli insegnamenti, che rappresenta in teoria una risposta molto efficace al problema della dispersione, è in concreto assai complessa da realizzare. La strategia migliore per avvicinarsi all'obiettivo è rappresentata dall'articolazione dei profili all'interno della scuola. Il tutor, il mentore, l'insegnante che progetta, l'integrazione della scuola con il territorio rappresentano strumenti per fornire risposte alla personalizzazione.

3.5 Scuola aperta e partnership con il territorio.
  Si potrebbero prevenire i rischi di bocciatura anche attraverso corsi di recupero Pag. 27obbligatori pomeridiani ed estivi, che consentano agli studenti un più adeguato recupero delle lacune accumulate e che, al contempo, rendano più facile incontrare e accogliere il disagio, anche umano, che questi ragazzi si trovano spesso a vivere. Sarebbe da seguire l'approccio metodologico, utilizzato con successo nelle esperienze di integrazione, di un'esplicita personalizzazione degli obiettivi formativi, valorizzando le attitudini e le potenzialità individuali e registrando a verbale, senza negarle e occultarle, le limitate performance raggiunte dallo studente in una o più discipline.
  Una più ampia apertura delle scuole potrebbe essere sia orizzontale, nel periodo di giugno-luglio, sia verticale, cioè allungando gli orari di funzionamento degli istituti nei giorni di lezione. Ciò non significa però perpetuare la distinzione tra saperi e discipline «ufficiali» di tipo teorici e le attività «pratiche» – in un certo senso «extra-scolastiche – in subordine. Le attività non possono essere messe in gerarchia, ma tutte devono concorrere alla qualità del modello pedagogico-didattico.
  La scuola, allungando i suoi tempi, deve rendere ordinario ciò che ora è frutto di esperienze casuali, soprattutto nelle zone ad elevata esclusione sociale. Sul punto, peraltro, vi sono diversità di opinioni fra gli esperti: secondo alcuni, infatti, non è detto che migliori la situazione allungare la giornata scolastica, aumentare le ore di lezione – soprattutto nel caso di insegnanti che contribuiscono ad alimentare il disagio – perché il tempo scolastico è una variabile che influisce nella misura in cui si traduce, poi, in un tempo di apprendimento, di concentrazione e di studio. Occorre però considerare che almeno nelle zone a rischio di emarginazione socio-economica un prolungato orario scolastico permetterebbe ai giovani socialmente svantaggiati di poter far riferimento nella scuola come centro di formazione e aggregazione sociale.
  In questo senso non si può immaginare che il contrasto alla dispersione possa essere realizzato unicamente all'interno del sistema scolastico. Bisogna avvalersi di contributi diversi. Non si pensi, infatti, che i recuperi possano essere realizzati soltanto dai docenti di scuola. Se si vuole davvero fronteggiare la dispersione, sia in fase preventiva, sia nel recupero, occorre che vi sia un'alleanza fra la scuola e tutti i soggetti di un sistema formativo veramente integrato. Si tratta dell'associazionismo, del volontariato, delle cooperative e dei soggetti portatori delle altre risorse professionali necessarie, come gli educatori professionali o gli psicologi.
  È necessaria la trasformazione della scuola in un centro di riferimento culturale e sociale del territorio: la scuola deve diventare, nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale, una potente macchina di attacco alla disgregazione sociale e anche alla conseguente diffusione della criminalità organizzata. Lo Stato anche e soprattutto attraverso la scuola, può e deve interamente e profondamente riappropriarsi dei territori occupati da qualcun altro. È altresì necessaria la costituzione, presso tutti gli Uffici scolastici regionali, di un gruppo di lavoro, così come è stato fatto in Campania, per la prevenzione e il contrasto all'abbandono scolastico e al disagio giovanile, con il compito, tra gli altri, di ricercare sistemi di allerta che permettano di individuare precocemente gli studenti a rischio di abbandono scolastico. È necessario, inoltre, assicurare la stabilità del corpo docente. Il continuo cambio dei docenti è spesso vissuto da questi bambini come un'altra occasione di abbandono. Il rapporto costruito tra adulto e bambino, tra docente e bambino, fondamentale nel processo di crescita e di apprendimento, quel legame empatico che si instaura tra gli alunni e i docenti diventa un patrimonio che viene disperso, a tutto svantaggio del bambino.
  Un'esperienza interessante è rappresentata dalle «scuole di seconda occasione»: una rete di sei esperienze che si articolano in molte città italiane. Uno dei limiti fondamentali di queste esperienze è il fatto che sono esperienze che vanno riprodotte di anno in anno, poiché vengono garantite dall'accesso ai fondi europei, quindi bisogna fare nuovi progetti. Un Pag. 28altro tema è quello della seconda opportunità. Oggi, quasi il 20 per cento degli stranieri iscritti ai CTP ha un'età inferiore ai diciannove anni. Questo ci dice chiaramente che l'istruzione pensata per gli adulti ha, in realtà, una domanda forte di seconda opportunità, cioè di ragazzi che sono stati espulsi dal sistema scolastico normale e che tentano di riprendere gli studi.

3.6 Formazione dei docenti e qualità dei processi educativi.
  Una delle chiavi della strategia deve essere la formazione degli insegnanti, in direzione di un rinnovamento della didattica auspicato da tutti a parole ma in realtà raramente realizzato. Se si vuole investire urgentemente risorse sui cosiddetti processi educativi un elemento determinante, per farlo, è avere chiari i dieci fattori di influenza che producono alti livelli di apprendimento. A tale proposito elementi interessanti possono essere rintracciati in una ricerca evidence-based, centrata sui dati meta-analitici – pubblicati tra il 2009 e il 2012 – di circa ottocento studi sperimentali curati da un professore australiano dell'Università di Melbourne, John Hattie. Secondo tale ricerca I dieci fattori sono i seguenti: aspettative degli studenti; credibilità del docente agli occhi degli alunni; fornire ai docenti un supporto e una valutazione formativa; valutazione degli studenti basata sul feedback educativo; insegnamento reciproco tra pari; programmi per lo sviluppo di abilità cognitive; programmi di arricchimento lessicale; competenza di lettura-comprensione; relazione tra insegnante e studente; organizzatori grafici della conoscenza. Si noti che al secondo e terzo posto vi sono fattori legati alla credibilità e all'aggiornamento continuo del docente.
  Sul versante della professionalità docente, dunque, vi sono ampi spazi di intervento. La qualità della didattica dipende per molti aspetti dal contesto professionale più ricco e opportunità di formazione per gli insegnanti in servizio, soprattutto in alcuni campi specifici necessari alla lotta alla dispersione: innovazione didattica, competenze psicopedagogiche e relazionali, tecniche di lavoro di gruppo, competenze di educazione alla cittadinanza, insegnamento Italiano L2, cura dei disturbi di apprendimento.
  A livello di formazione iniziale, occorrerebbe instaurare una più stretta collaborazione con i Corsi di laurea in Scienze della formazione e con la formazione universitaria dei docenti delle scuole superiori. Il nodo centrale è rappresentato dalla qualità del Tirocinio, con il ruolo centrale del supervisore come insegnante esperto che aiuta gli studenti a fare sintesi tra esperienza e saperi disciplinari, riflessione e esplicitazione della didattica, studi e deontologia professionale. Nel momento del reclutamento, bisognerebbe infatti valutare anche le competenze relazionali degli insegnanti, i fattori di personalità, la capacità di lavorare in gruppo e in rete e la conoscenza delle questioni etiche e normative.
  Si deve puntare sulla formazione dei docenti, ma occorre anche che un certo numero di docenti sia sistematicamente dedicato. Per ottenere ciò bisogna che una quota di docenti sia rimotivata e, sicuramente, ri-professionalizzata in tale direzione. Serve un organico di istituto che non ha niente a che vedere con l'organico «piatto» che abbiamo oggi. Dobbiamo avere risorse in più, ma anche capire dove tagliare. Un suggerimento in questa prospettiva è quello di collegare l'abbreviazione del curricolo scolastico, al recupero di ingenti risorse professionali.

3.7 Gli studenti di cittadinanza non italiana.
  Gli alunni e studenti di cittadinanza non italiana costituiscono una fascia a rischio di dispersione. La questione va però affrontata distinguendo tra chi arriva in Italia dal paese d'origine senza adeguate conoscenze e gli studenti (ormai quasi la metà del totale) considerati «di seconda generazione perché nati o cresciuti qui. Le strategie devono essere quindi molto diverse. Anzitutto i corsi intensivi di Italiano Pag. 29L2 sia in alcuni periodi sia per tutto l'anno, i laboratori pomeridiani a fianco della classe (e non separati), i corsi per disciplina devono essere strutturati nel sistema scolastico anziché estemporanei, impiegando risorse professionali con un alto livello di specializzazione.
   Inoltre, con riferimento alla questione dei ritardi, la normativa dello Stato (articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999) stabilisce che lo straniero che si iscrive in una scuola debba essere inserito nella classe della sua età, salvo deroghe. In questo caso si inseriscono i ragazzi di origine immigrata in classi inferiori. Queste deroghe – pur decise dal collegio dei docenti e dal consiglio d'istituto allo scopo di facilitare l'apprendimento della lingua – raramente sono utili al successo scolastico, come è dimostrato da dati empirici. Ci sono anzi indici di correlazione fra ritardi e ripetenza. Sulle deroghe esiste, quindi, un problema. Anche se non si può imporre per legge la rinuncia, prevista dalla legislazione, occorre ripensare lo strumento della deroga creando altri tipo di sostegno e facilitazione all'apprendimento dei neo-arrivati o di chi non conosce la lingua italiana.

3.8 Nuovi ambienti di apprendimento.
  È necessario un approccio globale al curricolo. Non si può progettare solo la formazione, ma un intero ambiente di apprendimento per creare una scuola nuova, più aperta e coinvolgente, cooperativa e «senza zaino».
  Occorre a questo proposito considerare sia l’hardware sia il software. Da un lato si parla dell’ architettura scolastica, con tutte le problematiche legate all'edilizia carente, la distribuzione degli spazi, l'organizzazione degli arredi sino all'interno dell'aula, le dotazioni digitali. Si vuole però sottolineare soprattutto la dimensione corporea e tattile, sensoriale. Se i bambini e i ragazzi sin dall'infanzia non si abituano alla dimensione manuale, corporea, saranno adulti nel mondo del lavoro incapaci di avere una visione a 360 gradi.
   Le aule devono diventare ambienti strutturati come aree organizzate di lavoro, con attrezzature tecnologiche.
  Per i ragazzi (in particolare quelli a rischio) la scuola può e deve preparare percorsi personalizzati e individualizzati, costruendo ambienti di apprendimento attivi, adatti e stimolanti, trasformando l'aula in laboratorio. Oggi, invece, la struttura tradizionale dell'insegnamento contraddice tutto ciò che la ricerca scientifica ormai da più di un secolo ha scoperto sulle modalità cognitive con cui si impara: rende passivi bambini e ragazzi curiosi, ignora l'importanza della corporeità nell'apprendimento, stimola la competitività e non il lavoro di gruppo, ricorre quasi esclusivamente a modalità frontali di insegnamento, separa le materie di studio anziché lavorare per centri di interesse, crea un fossato tra lo studio scolastico e il sapere digitale, sottovaluta la pluralità delle intelligenze trascurando la creatività, impone tempi rigidi quando si dovrebbe lasciare spazio allo spirito di ricerca e adattarvi luoghi e orari della scuola. Lo dimostra il disagio anche degli studenti dotati che non trovano interesse nella scuola.

3.9 Il riordino dei cicli e il «taglio» di un anno.
  Nella lotta alla dispersione si devono prendere in considerazione le diverse ipotesi di riordino dei cicli e il progetto di un anno in meno del sistema formativo. Per trovare risposte obiettive a tali ipotesi di intervento (da attuare nel primo o secondo ciclo ?) è utile tra l'altro sostenere le attuali sperimentazioni della scuola secondaria di secondo grado in quattro anni: la praticabilità di questa soluzione potrebbe far ricavare rilevanti risorse da destinare alla lotta alla dispersione scolastica.
  Una variante dei quattro anni di scuola secondaria è quella «dell'anno-ponte» tra scuola secondaria e istruzione post-secondaria. È un'altra modalità con la quale si potrebbe accorciare, di un anno, il percorso complessivo compiuto. Si tratterebbe di utilizzare l'ultimo anno di scuola secondaria Pag. 30superiore come anno-ponte verso gli studi successivi, attraverso la riduzione delle prove dell'esame di maturità a due o tre discipline. La scelta di tali discipline dovrebbe vincolare la scelta degli studi successivi – il corso di laurea o di istruzione tecnica superiore – con i quali esse dovrebbero essere coerenti e potrebbe comportare, d'intesa con l'università e con gli altri soggetti formativi e anche lavorativi, il riconoscimento di crediti.

4. CONCLUSIONI. UNA STRATEGIA NAZIONALE PER ACCELERARE LA LOTTA ALLA DISPERSIONE

4.1 Obiettivo 10 per cento.
  L'obiettivo ultimo di una strategia nazionale che acceleri il contrasto alla dispersione scolastica è portare la quota percentuale degli early school leavers al 10 per cento dal 17,6 per cento attuale.
  Tale obiettivo è stato enunciato come condizione anche nel parere che la VII Commissione della Camera ha espresso il 2 luglio 2013, al termine dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2013 e relativi allegati (COM(2012)629 final), del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea per il periodo 1o gennaio 2013-30 giugno 2014 (17426/12) e della relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2013 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1). Esso appare ambizioso, ma raggiungibile (attualmente è a portata di mano solo per alcune regioni) se si comincia immediatamente ad operare sui ragazzi che oggi hanno 12-14 anni.
  Infatti, in base ai dati PISA del 2012, il sistema dell'istruzione italiana si è rimesso in moto per la prima volta dopo un decennio di stallo. Anche nella lotta alla dispersione si registrano notevoli progressi poiché nel 2000 superava il 25 per cento ed oggi la quota media si attesta al 17,6 per cento. Nelle 4 regioni convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) il dato si pone intorno al 21 per cento. Con gradualità questa percentuale potrebbe continuare a diminuire, ma troppo lentamente. La sfida è oggi l'accelerazione dei processi, da cui dipende la possibilità per l'Italia di ricominciare a crescere, fornire una qualificazione adeguata ai giovani e contrastare la disoccupazione.
  È superfluo ribadire che i costi dell'ignoranza sono pesanti per un sistema formativo che assorbe il 20 per cento della spesa pubblica. Tuttavia, la lotta agli abbandoni e la scelta di far concludere al maggior numero possibile di ragazzi la carriera scolastica e formativa non possono avere soltanto uno scopo funzionale. La cultura e l'apprendimento sono beni in sé che permettono di sviluppare il capitale umano di ciascuno. Apertura alla cultura e passione per la conoscenza sono il bene più prezioso che la scuola può lasciare in eredità alle nuove generazioni. Dal mancato apprendimento nasce una minore capacità di comprendere la complessità del mondo attuale e quindi un deficit di cittadinanza, una contrazione della possibilità di costruire il futuro.
  Le policy options per il contrasto alla dispersione sono oggetto di una vasta letteratura e oggetto di molteplici documenti strategici. Per il contesto del nostro Paese alcuni criteri di azione vanno considerati prioritariamente, in modo mirato rispetto alle diverse dimensioni del fenomeno. In ogni caso, appare necessario che le strategie e le azioni concrete considerino adeguatamente i differenti contesti territoriali ai quali si applicherà e che, semmai, punti, prendere in prestito e disseminare nelle diverse aree del Paese tutte le esperienze e le buone pratiche maturate nel territorio nazionale.
  Si potrebbe elencare a lungo lo spreco di intelligenza, interesse e talento compiuto dalla scuola italiana, mentre molti altri paesi europei stanno modificando e innovando i loro metodi di insegnamento/apprendimento. Lo confermano anche le esperienze del mondo non profit che recuperano ragazzi a rischio o che hanno lasciato la scuola con la rimotivazione, la responsabilizzazione, le competenze relazionali. La centralità dell'istituzione scolastica Pag. 31non deve far dimenticare, infatti, che il contrasto alla dispersione richiede un lavoro di partenariato e coordinamento tra scuola e territorio, Enti locali, associazionismo. Senza una forte sinergia la scuola si troverebbe sola e impari al compito.
  Il contrasto alla dispersione scolastica parte dalla coscienza di dover rendere nuovamente protagonisti gli studenti e non solo i bisogni degli adulti, della società e degli insegnanti. Lo sviluppo di un paese dipende infatti dalla capacità di coinvolgere le nuove generazioni. Il rapporto scuola/lavoro assume, in questo senso, un'importanza determinante per la sua valenza di apprendimento attivo, legato alla realtà, motivante e di tipo pratico. Troppo a lungo in Italia si è avvalorata la gerarchia tra i saperi di tipo teorico e quelli di tipo pratico dimenticando che essi costituiscono le due facce speculari dell'apprendimento, che deve essere sempre di tipo laboratoriale anziché trasmissivo.
  Vanno in questa direzione le misure prese dai recenti governi, in particolare lo stanziamento di 15 milioni di euro – disposto per la lotta alla dispersione scolastica dall'articolo 7, comma 3, del decreto-legge cosiddetto «istruzione», n. 104 del 2013, di cui 3,6 milioni di euro per l'anno 2013 e 11,4 milioni di euro per l'anno 2014. Va segnalato inoltre il programma europeo Garanzia per i giovani, di cui alla raccomandazione 2013/C120/01 del Consiglio, del 22 aprile 2013, richiamato dall'articolo 8 del medesimo decreto-legge n. 104 del 2013: questo articolo, al comma 2, ha autorizzato la spesa di euro 1,6 milioni per l'anno 2013 e di euro 5 milioni a decorrere dall'anno 2014, quale contributo per le spese di organizzazione, programmazione e realizzazione delle attività di orientamento per gli studenti iscritti alle scuole secondarie, al fine di facilitare una scelta consapevole del percorso di studio e di favorire la conoscenza delle opportunità e degli sbocchi occupazionali.
  Nel presente documento conclusivo vengono quindi proposte le seguenti azioni prioritarie di carattere generale.

4.2 Azioni prioritarie.
4.2.1 Anagrafe e monitoraggio
  Il primo passo urgente consiste nella realizzazione e nel completamento di Anagrafi integrate che permettano di acquisire dati certi. Si è cercato di affrontare il problema grazie alle disposizioni contenute all'articolo 13 del citato decreto-legge n. 104 del 2013, il quale prevede, in particolare, che al fine di realizzare la piena e immediata operatività e l'integrazione delle anagrafi di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 76 del 2005, entro l'anno scolastico 2013/2014 le anagrafi regionali degli studenti e l'anagrafe nazionale degli studenti siano integrate nel sistema nazionale delle anagrafi degli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione. Un aspetto che evidenzia l'importanza di avere a disposizione dati utili sui ragazzi che frequentano le nostre scuole è dimostrata dalla previsione del comma 2-ter del suddetto articolo 13, introdotto nel corso della conversione del decreto-legge n. 104, il quale prevede che, al fine di consentire il costante miglioramento dell'integrazione scolastica degli alunni disabili mediante l'assegnazione del personale docente di sostegno, le istituzioni scolastiche trasmettono per via telematica alla banca dati dell'Anagrafe nazionale degli studenti le diagnosi funzionali di cui al comma 5 dell'articolo 12 della legge n. 104 del 1992, prive di elementi identificativi degli alunni.
  Un monitoraggio regolare del fenomeno andrebbe effettuato sulla base dei seguenti indicatori:
   A. Early school leavers 18-24 che non hanno diploma o qualifica superiore e non sono in formazione
   B. Percentuale tra quelli che iniziano e che finiscono fatte salve le scelte diverse dal punto di vista formativo (come indicatore della capacità di continuità di percorso Pag. 32della scuola). A tali dati devono far riferimento le scuole nei loro piani di miglioramento.
   C. Numero di studenti che acquisiscono una qualifica o un diploma nella formazione professionale anche nell'ottica di disporre di una visione integrata del sistema complessivo di diplomi e qualifiche (qualifiche triennali, diplomi quadriennali, diploma di esame di stato,...) da far entrare come informazione statistica corrente negli annuari ISTAT.
   D. Preparazione studenti su dati OCSE Pisa e Invalsi.

  Ogni USR deve effettuare una precisa diagnosi del fenomeno a livello regionale sulla base di tali indicatori, definire gli specifici obiettivi e fare un piano di azione nel quadro di cooperazione inter-istituzionale. Il Miur può incrociare questi dati con quelli Invalsi per effettuare censimento analitico scuola per scuola del fenomeno, condizione sine qua non di una lotta rigorosa.

4.2.2. Prevenzione nell'infanzia.
  Una strategia preventiva riferita alla fase dell'infanzia, dovrebbe basarsi sui seguenti punti.
  1. Incrementare l'accesso agli asili nido specie nelle Regioni meridionali. Come dimostrato da numerosi studi del settore, un fattore che fa la differenza è l'arricchimento educativo precoce a partire già dall'asilo nido e dalla scuola dell'infanzia.
   2. Valorizzare e rafforzare in funzione preventiva la scuola dell'infanzia all'interno del sistema integrato di istruzione anche facilitando l'accesso delle scuole dell'infanzia paritarie al finanziamento europeo.
  3. Implementare il sistema di allarme precoce sulle assenze frequenti, ai sensi della raccomandazione del Consiglio del 28 giugno 2011 sulle politiche di riduzione dell'abbandono scolastico (2011/C 191/01) e della Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2012 dell'Italia, formulando un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell'Italia 2012-2015.
  4. Incrementare l'individuazione precoce dei problemi e difficoltà di apprendimento a livello della scuola dell'infanzia e primaria

4.2.3. Interventi nella scuola secondaria e IEFP.
  Per quanto riguarda gli interventi relativi alla scuola secondaria ed alla formazione professionale, la strategia dovrebbe includere i seguenti interventi.
  1. Prevedere un riordino dei cicli e la revisione della loro scansione in funzione della diffusione di un nuovo modello pedagogico-didattico mirato al contrasto alla dispersione (personalizzazione, tutoring, didattica attiva). La riallocazione delle risorse risparmiate abbreviando e ridisegnando il percorso (nella secondaria inferiore o superiore) permetterebbe di qualificare il sistema e giungere ad un organico funzionale. In questa direzione promuovere la sperimentazione di riforma del ciclo della secondaria di 4 anni, non solo per adeguarsi all'Europa ma soprattutto per ricavare risorse da destinare alla lotta all'insuccesso e alla dispersione scolastica. Ciò permetterebbe di creare figure di tutor e docenti dedicati.
  2. Le bocciature sono l'anticamera della dispersione, specie nel I anno di scuola media e nei primi due anni della scuola superiore dove sono stimate in circa 185.000. Il 70 per cento dei bocciati lascia la scuola. Intervenire sulle bocciature prevedendo ad esempio una valutazione biennale (lasciando la bocciatura al I anno come evento eccezionale) nel quadro di un complessivo rinnovamento della didattica. Rendere più flessibile e orientativo il primo biennio superiore.
  3. Migliorare l'orientamento alla scelta del percorso scolastico dopo il primo ciclo. È indispensabile un'azione nazionale dedicata.
  4. Realizzare il miglioramento delle competenze linguistiche degli alunni di Pag. 33cittadinanza non italiana anzi tutto all'interno dell'orario nonché con corsi intensivi estivi, ad esempio prima dell'inizio dell'anno scolastico. Nella scuola secondaria di secondo grado gli alunni di cittadinanza non italiana sono il 6,6 per cento degli iscritti e di questi circa 175 mila studenti stranieri che frequentano tale ciclo scolastico, quelli «a rischio di abbandono» sono pari al 2,42 per cento degli iscritti, contro l'1,16 per cento degli alunni italiani.
  5. I corsi triennali di IeFP che portano ad una qualifica (attualmente le qualifiche sono 22) si sono rivelati un efficace investimento contro NEET (dati Isfol) Oggi, il Ministero del lavoro li finanzia con 189 milioni l'anno. Per 300.000 giovani, sono 630 euro l'anno a studente, una cifra largamente inadeguata, specie se si pensa che il costo di uno studente è circa di 7000 euro). L'allocazione delle risorse deve quindi privilegiare questo segmento di formazione per rinforzarlo, stabilizzarlo e riordinarlo, coinvolgendo la Conferenza Stato-Regioni, e omogeneizzando gli interventi tra Regioni che oggi spendono in modo diverso.
  Allo stesso tempo, va valorizzata l'Istruzione Tecnica, e l'utilizzo di una didattica di tipo laboratoriale e tutte le forme di alternanza scuola-lavoro.
  6. Realizzazione di un Piano di formazione straordinaria dei docenti in servizio del primo anno della scuola superiore (in collegamento con terza media) su temi chiave come l'innovazione didattica, i problemi di motivazione degli studenti, la personalizzazione dell'insegnamento, la gestione delle classi eterogenee. La modalità didattica standard della scuola deve passare da trasmissione di conoscenze a attivazione di competenze. Per fare questo occorre una formazione specifica degli insegnanti in servizio, svolta a livello regionale in modalità di laboratori e gruppi auto generativi di competenze, in collaborazione con l'Università.
  7. Creare ambienti di apprendimento adeguati, classi destrutturate, trasformate in laboratorio e digitalizzate. L'architettura scolastica va interamente ripensata nell'organizzazione degli arredi per creare una scuola accogliente dove la dimensione corporea e sensoriale sia messa in primo piano.

4.2.4. La seconda chance.
  Monitorare il programma di didattica integrativa previsto dal DM 87 del 7.2.14 in attuazione dell'articolo 7 del DL 104 convertito con modifiche nella Legge 128/2013. Il decreto prevede misure di apertura delle scuole e progettualità nel campo della prevenzione della dispersione stanziando un totale di 15 milioni di cui 11,4 nel 2014: una cifra largamente insufficiente.
  Altrettanto necessario è la valutazione dei fondi utilizzati per i PON (programmi operativi nazionali) nelle Regioni convergenza a seguito dei quali non appaiono rilevanti i risultati nel ridurre la dispersione, e i finanziamenti legati all'articolo 9 del CCNL (Aree a rischio e a forte processo migratorio) passando dalla logica dell'estemporaneità a quella di lungo periodo.
  Per le attività di recupero e di «seconda occasione» occorre valorizzare le risorse esterne alla scuola, le esperienze delle associazioni, cooperative e terzo settore e le professionalità di tipo pedagogico (educatori professionali) e psicosociali. Il partenariato con l'associazionismo non può limitarsi a un mero prolungamento del tempo-scuola ma deve promuovere un'integrazione di queste risorse nel sistema scolastico.

4.3. Due strumenti per la realizzazione delle azioni.
  Molti insuccessi registrati in passato nonostante le diagnosi puntuali e tempestive vanno ricondotti alla carenza di strumenti di implementazione delle decisioni e degli orientamenti. Per le azioni di rilievo prioritario indicate alla luce degli indicatori e dei criteri di azione occorre una strategia efficace di implementazione che per il periodo 2014-2020 dovrebbe avere due capisaldi: il potenziamento della capacità di iniziativa delle singole scuole, da Pag. 34un lato, e la regia di una unità di crisi capace di creare le necessarie condizioni favorevoli dall'altro.
  Per realizzare in modo efficace tali indirizzi strategici occorre dotarsi di due strumenti fondamentali:

4.3.1. Una sperimentazione che possa ampliare l'autonomia delle scuole.
  Le esperienze positive e le ipotesi di lavoro nella lotta alla dispersione potrebbero essere verificate con una sperimentazione a livello nazionale (con adesione volontaria degli istituti). La sperimentazione deve permettere di ampliare l'autonomia degli istituti all'insegna della flessibilità soprattutto nella scelta dei docenti, negli orari e tempi scolastici, nella formazione mirata di docenti e tutor.

4.3.2. Una «unità di crisi».
  Dato il carattere di una emergenza nazionale è indispensabile un forte pilotaggio a livello nazionale, in grado di creare le indispensabili sinergie tra i soggetti in campo e di mantenere nell'arco dei cinque anni la rotta intrapresa. A questo scopo si raccomanda la costituzione di una Unità di crisi presso la Presidenza del Consiglio che coordini gli interventi in corso 2014-20 e coinvolga tutti gli attori (Miur, Ministeri interessati, Conferenza Stato Regioni, Invalsi, USR etc.) su obiettivi precisi e mirati.