XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 3 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE STRATEGIE PER CONTRASTARE LA DISPERSIONE SCOLASTICA

Audizione degli esperti del settore: Flaviana Robbiati, insegnante di scuola primaria; dottor Franco Taverna, responsabile Fondazione Exodus; professor Marco Orsi, responsabile nazionale della rete «Scuole senza zaino»; professor Walter Moro, presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti (CIDI).
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 
Robbiati Flaviana , Insegnante di scuola primaria ... 3 
Galan Giancarlo , Presidente ... 6 
Moro Walter , Presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti (CIDI) ... 6 
Galan Giancarlo , Presidente ... 9 
Taverna Franco , Responsabile della Fondazione Exodus ... 9 
Galan Giancarlo , Presidente ... 10 
Orsi Marco , Responsabile nazionale della rete «Scuole senza zaino» ... 11 
Galan Giancarlo , Presidente ... 14 
Vacca Gianluca (M5S)  ... 14 
Marzana Maria (M5S)  ... 14 
Rocchi Maria Grazia (PD)  ... 15 
Galan Giancarlo , Presidente ... 15 
Orsi Marco  ... 15 
Taverna Franco , Responsabile della Fondazione Exodus ... 16 
Robbiati Flaviana , Insegnante di scuola primaria ... 16 
Galan Giancarlo , Presidente ... 17 

Allegato 1: Documentazione consegnata dall'insegnante Flaviana Robbiati ... 19 

Allegato 2: Documentazione consegnata dal dottor Franco Taverna ... 28 

Allegato 3: Documentazione consegnata dal professor Marco Orsi ... 36 

Allegato 4: Documentazione consegnata dal professor Walter Moro ... 49

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GALAN

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione degli esperti del settore: Flaviana Robbiati, insegnante di scuola primaria; dottor Franco Taverna, responsabile Fondazione Exodus; professor Marco Orsi, responsabile nazionale della rete «Scuole senza zaino»; professor Walter Moro, presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti (CIDI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, l'audizione degli esperti del settore: Flaviana Robbiati, insegnante di scuola primaria, che collabora con la facoltà di Scienze della formazione dell'università degli studi di Milano «Bicocca», volontaria presso le baraccopoli milanesi, coordinatrice del Progetto mamme e maestre di Rubattino; dottor Franco Taverna, responsabile Fondazione Exodus; professor Marco Orsi, dirigente scolastico dell'istituto comprensivo Lucca 5, responsabile nazionale della rete «Scuole senza zaino», membro dell’Association for Supervision and Curriculum Development, accompagnato dalla professoressa Daniela Pampaloni; professor Walter Moro, presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti (CIDI).
Do la parola all'insegnante Flaviana Robbiati per lo svolgimento della relazione.

  FLAVIANA ROBBIATI, Insegnante di scuola primaria. Buongiorno, sono una maestra e la mia vicinanza al mondo Rom è stata inizialmente casuale. La scuola in cui insegnavo e le scuole di quartiere ospitavano da un anno 36 bambini delle baraccopoli, che a un certo punto il comune ha deciso di sgomberare. C’è stata una mobilitazione spontanea intorno a questi bambini e alle loro famiglie, diretta ed estremamente efficace, alla quale hanno collaborato scuole, cittadini, associazioni: molte famiglie adesso non vivono più in baracca, ma in casa, i genitori lavorano e i percorsi scolastici dei ragazzi hanno subito un miglioramento netto.
  Vorrei disegnare velocemente il quadro del rapporto tra bambini Rom e scuola, con particolare attenzione ai nodi critici e alle possibili strategie di intervento su due livelli: quello organizzativo e quello della professionalità dei docenti.
  Comincerò da due dati estremamente preoccupanti. In Italia, il 19,2 per cento dei minori Rom è analfabeta: non si parla, quindi, di abbandono scolastico, ma di analfabetismo totale. L'anno critico per gli abbandoni dei ragazzini Rom è la prima media. Rispetto al documento elaborato dalla vostra Commissione, quindi, si registra un abbassamento non tanto dell'età, ma della classe. L'età è la stessa, nel senso che questi ragazzini in prima media hanno 14-15 anni, per una serie di motivi che adesso vedremo. Questa situazione di abbandono e di analfabetismo è causata da una serie di motivi. Faccio riferimento alla Pag. 4realtà dei Rom delle baraccopoli, estremamente diversificata. Ci occupiamo, comunque, di una popolazione abbastanza ampia, il 60 per cento della quale è costituito da bambini e ragazzini.
  Esiste uno svantaggio culturale di partenza: i genitori sono analfabeti, i bambini fanno le loro esperienze di vita praticamente in maniera quasi esclusiva all'interno del campo, e quindi mai a contatto con il mondo esterno. Una separazione sociale impedisce l'apprendimento di pratiche e stili sociali. I bambini non frequentano la scuola materna, non hanno nessun rapporto con la scrittura avendo i genitori analfabeti, e quindi nemmeno un rapporto con il valore simbolico del segno scritto. Nelle baraccopoli vivono in condizioni precarie che impediscono di progettare il futuro anche a breve termine. Tale precarietà è resa peggiore dagli sgomberi. Negli anni della precedente amministrazione, a Milano vi sono stati più di 500 sgomberi in tre anni. Lo sgombero vuol dire perdere completamente tutto, conservando qualcosa in un sacchetto di plastica e basta. Cito il caso di due bambini. Cristina: venti sgomberi in un anno e immaginate quale continuità scolastica possa avere avuto; Samuel: un ragazzino di quattordici anni che ha frequentato quest'anno la prima media, ha interrotto gli studi e ha subito venti sgomberi in tre anni e cambiato otto scuole in tre anni. Questi dati così drammatici sono estremamente diffusi e portano, ovviamente, a un insuccesso scolastico: ci si stupisce quando accade il contrario.
  I loro genitori incontrano difficoltà a provvedere all'iscrizione stessa alle scuole, in assenza di un mediatore che aiuti in questo senso. Il dato secondo il quale i bambini arrivano grandi in prima media e lasciano gli studi in prima media è dovuto anche al fatto che spesso questi non si iscrivono in prima elementare, ma in classi superiori alla prima e poi subiscono bocciature, spesso dovute agli sgomberi. Tali fattori fanno sì che vi siano quattordicenni e quindicenni in prima media. Per quanto riguarda le ragazze, la situazione è ancora peggiore: da adolescenti, spesso si sposano, quindi di scuola non si parla proprio più.
  Quasi nessuno dei ragazzi delle baraccopoli frequenta la scuola superiore. In Europa, lo fa il 10 per cento dei ragazzi, mentre in Italia la percentuale è molto più bassa. Pochi di loro terminano la terza media: l'esito drammatico è che non possono accedere ai livelli di istruzione successiva, cioè ai corsi professionalizzanti, alle scuole bottega, perché non ne hanno diritto, pur avendo età da istruzione obbligatoria e non avendo ancora la licenza media.
  Abbandonare la scuola vuol dire per loro, anzitutto, non poter più recuperare, neanche quando avranno l'età giusta per iscriversi alle classi successive. Ciò comporta anche un accostamento al mondo della microcriminalità, della devianza e dei comportamenti illeciti, che ha costi personali e anche sociali enormi.
  Le strategie per superare queste difficoltà sono, innanzitutto, come sottolineo, rendere accessibili i contratti di collaborazione occasionale della durata di 150 ore, la «scuola bottega», la formazione professionale, i centri territoriali permanenti (CTP) anche a ragazzi che non hanno conseguito la licenza media, che altrimenti sarebbero «persi»: sarebbero in giro e non avremmo più la possibilità di recuperarli.
  Occorre che queste scuole siano molte di più. I posti sono pochissimi e non bastano. La domanda è assolutamente più alta dell'offerta. Bisogna incentivare moltissimo le scuole parentali, che permetterebbero di conseguire la licenza media con strategie diverse. La scuola non è più adatta per questi ragazzi. Bisognerebbe che queste scuole fossero conosciute, che i fondi per il diritto allo studio, spesi per innumerevoli motivi, tranne che per sostenere le fasce più deboli, fossero invece utilizzati per l'acquisto dei libri, per le spese di viaggio per raggiungere la scuola.
  Un altro problema non emerge dai dati che si riferiscono a una popolazione non Rom, o emerge molto meno: l'evasione totale non è rilevabile dall'anagrafe scolastica, Pag. 5perché questi ragazzi non risultano in nessuna anagrafe e quasi sempre non hanno la residenza, quindi sfuggono a qualsiasi controllo. Basterebbe poco per trovarli. Basterebbe andare nelle sale giochi, nelle baraccopoli e chiedere informazioni a chi vi opera, che saprebbe dire chi sono questi ragazzi, almeno qualcuno dei quali potrebbe essere recuperato al mondo della scuola.
  Naturalmente, il ragionamento va ricondotto alla prevenzione. Prevenzione implica frequentare bene la scuola primaria e la scuola dell'infanzia. Nel vostro documento, in relazione a quest'ultima, si sottolinea l'esigenza di renderla obbligatoria. Non posso che essere molto contenta di questo. Per un bambino che non ha mai tenuto in mano la matita neanche per uno scarabocchio, che non ha mai interagito con un mondo che non sia Rom, la scuola dell'infanzia risulta determinante.
  Sempre nell'ambito della scuola dell'infanzia, almeno fino a quando non diventerà obbligatoria, bisogna anche superare la residenza come requisito per accedervi, altrimenti si finisce in fondo alla graduatoria. Tra l'altro, in molte delle scuole dell'infanzia si paga, o si paga la refezione, e anche questo è un problema che rende difficile la frequenza. Alla scuola primaria vi sono problemi simili, come ad esempio i fondi per il diritto allo studio o l'accoglimento delle iscrizioni. A volte, trascorrono mesi prima di trovare una scuola che accolga l'iscrizione.
  Esiste, inoltre, il problema delle assenze. In genere, i bambini alla scuola primaria sono iscritti con l'aiuto di mediatori, volontari e così via, ma si registra un'evasione parziale, estremamente tollerata dalle scuole. Si effettuano colloqui strategici con le famiglie, ma non si può tollerare più di tanto un'evasione che non ha motivazioni accettabili. Bisogna che le scuole comincino a segnalare ai servizi sociali o al tribunale dei minori i casi di evasione. La scuola è un diritto, mandare i bambini a scuola è un dovere che bisogna far rispettare.
  Ritengo molto importante la tematica del livello della professionalità dei docenti. Le leggi al riguardo sono ben fatte, così come le circolari applicative o le linee guida, che però non entrano più di tanto nel dettaglio e sono cosa ben diversa dalla realtà delle scuole. Bisogna lavorare sul tema, perché qualunque investimento, finanziamento, risorsa, iniziativa che possiate porre in essere nella scuola adesso si vanifica se gli insegnanti non lavorano bene. Facciamo le scuole, ma poi ci sono gli insegnanti e i presidi.
  Lavorare bene non è un tema, come spesso mi sento dire, etico, ma è anche quello. Non è opzionale, ma è un tema contrattuale. Gli insegnanti firmano un contratto con lo Stato, che chiede all'insegnante prestazioni che essi devono svolgere bene. A volte, purtroppo, l'allontanamento dalla scuola è favorito da atteggiamenti non buoni da parte degli insegnanti o da una didattica non svolta con competenza.
  Nella scuola sono presenti senz'altro molte eccellenze, ma si assumono anche atteggiamenti di sfiducia verso i ragazzini ultimi, quelli degli ultimi gradini, come anche atteggiamenti di sfiducia che la scuola ha verso se stessa. Rinunciare a mettercela tutta, come si dovrebbe fare, per promuovere il successo culturale dei bambini e dei ragazzi vuol dire non avere fiducia in una scuola che può raggiungere quest'obiettivo. Spesso, la didattica è un po’ approssimativa e non permette di realizzare appieno l'individualizzazione dell'insegnamento. Le azioni di rete sono veramente poche. C’è molta sfiducia nella forza della scuola. Le leggi sono tante, sono buone e, secondo me, bisognerebbe cominciare a farle rispettare.
  Per migliorare la professionalità dei docenti, occorrerebbe partire dai corsi di laurea in scienze della formazione, puntare a un tirocinio di qualità, considerare cruciale il ruolo del supervisore come persona che aiuta gli studenti a fare sintesi tra pensieri personali, esperienze, studi e doveri nei confronti dello Stato. È importante inserire, accanto a tutte le materie che guardano alla psico-pedagogia, alla didattica, alla disciplina e così via, anche l'etica professionale: un insegnante deve Pag. 6svolgere il proprio dovere, come impone la legge. Non si può fare altro perché si può scegliere: non si dovrebbe poter scegliere.
  Nel momento del reclutamento, per concorso o altro, secondo me bisognerebbe valutare anche le competenze relazionali degli insegnanti, la capacità di lavorare in rete e la conoscenza del rapporto tra soggettività e norme. Inoltre, bisogna puntare sulla formazione degli insegnanti in servizio. È lì che si gioca la partita, in ogni classe, raggiungendoli uno a uno. Questo è veramente il livello chiave, altrimenti tutte le politiche rischiano di far conseguire risultati meno efficaci.
  I presidi sono una figura centrale per la qualità della proposta educativa. Vi sono poi numerose buone pratiche che bisogna conoscere e diffondere e che possono fare da traino e da «contagio»: credo molto al contagio delle cose fatte bene, ma forse esse potrebbero essere raccolte e divulgate in un modo più sistematizzato perché possano essere più fruibili.
  Sarò contenta se leggerete la memoria che vi ho lasciato, ma vi invito a leggere almeno la nota, che credo chiarisca l'aspetto particolare relativo alla professionalità dei docenti.

  PRESIDENTE. La leggeremo volentieri.
  Do ora la parola al dottor Walter Moro.

  WALTER MORO, Presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti (CIDI). Vi ringrazio per l'invito. Ringrazio il presidente e gli onorevoli presenti per l'opportunità di portare alla vostra attenzione alcune riflessioni, che ritengo molto importanti, sul contrasto alla dispersione scolastica.
  Recentemente, come Centro di iniziativa democratica degli insegnanti abbiamo organizzato un convegno a Milano, dal titolo molto provocatorio «Obiettivo 2020. Dispersione zero nell'obbligo di istruzione e il 90 per cento di diplomati». Abbiamo posto il titolo, volutamente forte, al centro dell'attenzione della scuola, degli insegnanti, degli amministratori e delle forze politiche. Crediamo di dover cercare di raggiungere in tutti i modi l'obiettivo di Lisbona 2020 dettato dall'Unione europea. L'obiettivo per il 2020 è quello di contenere la dispersione scolastica entro il 10 per cento, portando il 90 per cento di diplomati alla scuola secondaria di secondo grado. Questo è stato il filo conduttore del convegno tenuto a Milano, di cui sottolineo alcuni passaggi importanti che possono essere utili ai lavori della Commissione.
  Ho letto, infatti, il documento programmatico, molto interessante ed esauriente, ma a mio modo di vedere merita un'integrazione importante sul versante del passaggio dalla scuola media al biennio: è lì che si registra un tasso di dispersione estremamente alto. È vero che, secondo i dati illustrati dall'ex sottosegretario all'istruzione Marco Rossi Doria, si è parlato del 17-18 per cento, ma secondo alcune indagini da noi svolte il dato è molto superiore al 20 per cento. In ogni caso, siamo di fronte a una dispersione molto alta nel passaggio dalla scuola media al biennio, che a nostro avviso deve essere, secondo quanto si è discusso nel nostro convegno, posto al centro dell'attenzione delle forze politiche, della scuola e degli amministratori. Il nostro obiettivo, infatti, è di raggiungere quest'obiettivo entro il 2020. Nell'arco di sei anni dobbiamo abbattere la dispersione di 15-20 punti percentuali.
  A mio avviso è importante capire come riuscire ad abbattere la dispersione. Secondo noi, non vi è solo una dispersione di carattere socio-economico-culturale: tutti i dati a nostra disposizione dimostrano che, laddove c’è una deprivazione culturale, sociale ed economica, il tasso di dispersione è estremamente alto. Secondo noi, esiste, invece, una dispersione prodotta dal sistema d'istruzione: ci interessa riflettere proprio su questo versante, al fine di far sì che il sistema d'istruzione diventi un fattore di equità, che permetta di superare le disuguaglianze sociali e non incida, invece, sulla qualità dei processi di apprendimento.
  In particolare, il focus va posto sulla scuola secondaria di secondo grado, particolarmente sul primo biennio, che è Pag. 7d'istruzione obbligatoria. Richiamo alla vostra attenzione che l'obbligo d'istruzione è stato innalzato, ad opera della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ma non è applicato. Il decreto ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, reca il regolamento sull'obbligo d'istruzione, sconosciuto alla gran parte degli insegnanti, ma che non è stato oggetto di aggiornamento. Se una legge ha innalzato l'obbligo a 16 anni, è necessario che essa sia applicata ed attuata. Da qui partono le nostre proposte: come poter attuare, sostanzialmente, la norma, abbattendo la dispersione scolastica nei tempi che abbiamo di fronte. Secondo me, infatti, la sfida del Governo e del Parlamento è quella di rientrare nei tempi indicati dalle strategie europee, secondo le quali entro il 2020 dobbiamo contenere la dispersione entro il 10 per cento. Ebbene, allora bisogna riflettere molto su quali strumenti mettere in campo.
  Secondo noi, è fondamentale, sostanzialmente, puntare su progetti integrati sulla dispersione e non su microprogetti. In questi anni abbiamo investito molti fondi europei, senza però che questi incidessero in termini qualitativi sulla crescita culturale del sistema di istruzione. Abbiamo investito moltissimo e, finito il progetto, è terminata anche l'azione di lotta alla dispersione. Secondo noi, invece, dobbiamo pensare a progetti integrati, organici, di sistema, capaci di incidere sulla qualità dell'organizzazione della didattica e, quindi, di elevarne la qualità: progetti che diventino, quindi, stabili. Questo, secondo noi, costituirebbe un investimento serio e di qualità.
  Sostanzialmente, sono quattro le azioni a nostro avviso fondamentali. La prima riguarda un intervento sull'orientamento formativo. Se vogliamo contrastare la dispersione, è necessario che il primo biennio della scuola secondaria sia effettivamente orientativo da punto di vista formativo. Oggi la scuola media non è più terminale. Abbiamo bisogno di spostare l'orientamento dalla scuola media al primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: ciò sarebbe fondamentale e permetterebbe allo studente i passaggi da un indirizzo all'altro. È fondamentale, quindi, se vogliamo abbattere la dispersione, la precoce scelta orientativa.
  Il sistema della scuola secondaria di secondo grado è organizzato a canne d'organo, licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale, sistemi che non dialogano tra loro e non sono integrati. Al contrario, gli ultimi provvedimenti normativi approvati hanno irrigidito moltissimo i modelli e non permettono i passaggi da un indirizzo all'altro. Questa rappresenta una fonte di dispersione.
  Crediamo, quindi, che sia molto importante spostare dalla scuola media al primo biennio della scuola superiore l'orientamento, inteso in senso anche «riorientativo». Del resto, il decreto del Presidente della Repubblica che regola la scuola secondaria di secondo grado già lo prevede. Dall'altra parte, bisogna puntare a costituire «passerelle», cioè i passaggi da un indirizzo all'altro senza che lo studente sia penalizzato, perda anni scolastici e debba sostenere l'esame di integrazione. Se riusciamo a intervenire sui passaggi da un indirizzo all'altro, possiamo abbattere la dispersione di 5-7 punti percentuali. Questo è, infatti, uno dei limiti pesanti che impedisce allo studente di continuare. Il primo aspetto sul quale puntare, quindi, è un orientamento formativo spostato nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado, l'apertura alla possibilità dei passaggi da un indirizzo all'altro attraverso le passerelle. Si tratta del resto di uno strumento già attuato, ma che non è più stato utilizzato e che, però, le scuole potrebbero rimettere in campo anche attraverso l'utilizzo dell'autonomia scolastica e gli accordi di rete.
  La seconda linea di intervento è volta a puntare a sviluppare nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado una soglia equivalente di conoscenze, abilità e competenze al termine del primo biennio. Pensiamo a un obbligo d'istruzione, quindi a un biennio che elevi la qualità di tutti gli studenti. È necessario, Pag. 8per questo, puntare a garantire una soglia di equivalenza, di abilità e conoscenza a tutti gli studenti dei licei, degli istituti tecnici e di quelli professionali: una formazione professionale intesa come equivalenza di competenze e di cittadinanza legata allo «zoccolo» di saperi di base che va dai 6 ai 14 e dai 14 ai 16 anni.
  Dobbiamo garantire la possibilità di utilizzare l'autonomia scolastica, per riorganizzare il quadro orario, puntando su uno «zoccolo» di saperi di cittadinanza che deve essere poi certificato alla fine del primo biennio, cioè a 16 anni, attraverso una certificazione di competenze. Questo eleverebbe la qualità del sistema scolastico ed è un fattore di contrasto alla dispersione scolastica.
  In effetti, molti progetti sulla dispersione scolastica sono proprio centrati sul terreno del recupero delle competenze di base, della rimotivazione e del riorientamento. Crediamo che si debba, appunto, lavorare su questo, sempre all'interno di un progetto integrato, organico, da sperimentare a livello nazionale e da indirizzare. Penso che il Parlamento e il Governo dovrebbero indirizzare le strategie per diminuire la dispersione, al fine di allinearci ai Paesi europei più avanzati, dove la dispersione è contenuta.
  La terza linea di intervento riguarda il rinnovamento della didattica. Crediamo che questo sia un terreno fondamentale di intervento. Il contrasto alla dispersione scolastica si gioca soprattutto nel mettere in atto strategie didattiche innovative basate su metodologie attive, flessibili, che coinvolgano gli studenti nell'attività di apprendimento. Giudichiamo, quindi, fondamentalmente porre in essere, come diceva la collega che mi ha proceduto, strategie tese a sviluppare una professionalità del discente che punti a tradurre la didattica per competenze che costituisce l'asse dell'impianto culturale del nostro sistema scolastico. Questa didattica per competenze va trasferita sull'apprendimento, cioè sullo studente. Dobbiamo mettere in campo metodologie attive, capaci di far sì che lo studente sia coinvolto, partecipi e sia un soggetto attivo.
  Fondamentale è, inoltre, riflettere sull'organizzazione degli ambienti di apprendimento. Non possiamo pensare a una didattica per competenze che non si rifletta contemporaneamente sul contesto, cioè sull'ambiente di apprendimento. Crediamo sia fondamentale, ad esempio, in un progetto contro la dispersione, lavorare sull'orientamento formativo, sulle passerelle, sul rinnovamento didattico, sulle metodologie e, in particolare, sulla creazione di nuovi ambienti di apprendimento che consentano un apprendimento incentrato sulle capacità di coinvolgimento dello studente.
  Pensiamo ad ambienti di apprendimento strutturati, con attrezzature tecnologiche, che siano anche capaci di organizzare spazi, di trasformare l'aula in laboratorio, come avviene in molte esperienze in questo campo. Al convegno svoltosi a Milano si è detto che le esperienze più significative di contrasto alla dispersione sono quelle che lavorano sul terreno di una scuola che potenzi i laboratori, usi metodologie, sia aperta tutto il giorno e anche la sera, lavori sugli aspetti dell'apprendimento affettivo, emozionale e, soprattutto, espressivo. Abbiamo esempi straordinari di successo su questo terreno.
  La quarta azione che giudico fondamentale è lavorare sugli insegnanti. È fondamentale parlare di contrasto alla dispersione, se siamo in grado di dare nuovi strumenti professionali ai docenti. Non è pensabile contrastare la dispersione se non mettiamo in campo strumenti professionali capaci di mettere l'insegnante nella condizione di intervenire efficacemente sullo studente. Crediamo sia importante riflettere, ad esempio, anche su figure professionali in grado di lavorare su questo terreno.
  Richiamo l'interesse di questa Commissione in relazione al passaggio, nella scuola secondaria, dagli 11 ai 16 anni, in particolare dai 14 ai 16 anni, sul fatto che è fondamentale lavorare sullo sviluppo di professionalità dei docenti, che ponga l'attenzione sugli aspetti psico-pedagogici, Pag. 9relazionali e sulle metodologie, accompagnando una strategia di lotta alla dispersione attraverso una politica di formazione nei confronti degli insegnanti. È fondamentale mettere in campo una sperimentazione nazionale, che a mio avviso potrebbe essere guidata dal Governo, in particolare dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che nel giro di pochi anni misuri il restringimento della dispersione scolastica. Lavorando prevalentemente sul passaggio dalla scuola media al primo biennio, siamo in grado di controllare i risultati in due anni per vedere se si raggiunge un contenimento della dispersione.
  Sottolineo quest'aspetto perché l'insuccesso scolastico dei primi due anni si proietta su tutto l'arco dei cinque anni, per cui è inutile pensare di raggiungere il 90 per cento dei diplomati se non interveniamo sul primo biennio, attraverso una strategia coordinata e una sperimentazione, che siamo in grado di controllare nel giro di due anni per raggiungere l'obiettivo di Lisbona entro il 2020, cioè fra soli sei anni. Se abbiamo capacità di coordinamento e chiarezza di strategia, lavorando su quel segmento, dando priorità ai fondi per le scuole nei territori dove c’è una forte dispersione scolastica, saremo in grado di mettere in piedi un'azione che ci riallineerà ai migliori Paesi europei. Perché non tentare questa sfida ? Perché non giocarci questa carta ?

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Do ora la parola al responsabile della Fondazione Exodus, Franco Taverna.

  FRANCO TAVERNA, Responsabile della Fondazione Exodus. Non ripeterò considerazioni già svolte, perché secondo me già da qui si potrebbe iniziare il dibattito. Ho depositato due documenti, uno dei quali è una sperimentazione. Come è stato già detto, in Italia di sperimentazioni e di esperienze ne sono state fatte tante in tanti anni. Il limite che ancora adesso avvertiamo su questo tema è che non c’è nulla, per il momento, di strutturale e di strutturato nell'organizzazione della scuola.
  Una delle esperienze che doveva avere questo carattere è stata avviata due anni fa in regione Lombardia con un fondo del Ministero dell'istruzione. Poi, come è capitato anche altre volte, è cambiata la dirigente dell'Ufficio scolastico regionale e il progetto non è più stato portato avanti e non mi soffermo a parlare delle risorse assegnate, degli educatori ingaggiati, delle scuole coinvolte.
  Avevamo cominciato un'esperienza di affiancamento e lavoro con alcuni istituti, soprattutto comprensivi, non solamente nella città di Milano, circa 25 anni fa. Fino a quattro anni fa, così come è avvenuto in tante altre realtà italiane con le quali ci siamo messi in rete, abbiamo svolto un lavoro di supporto con insegnanti di buona volontà e dirigenti. Piuttosto che lasciare i ragazzi a casa, quelli che incendiavano o allagavano la scuola, li si portava fuori per svolgere attività come il rugby e la musica.
  Quattro anni fa abbiamo deciso di non interrompere tale percorso, di investire su alcune scuole: l'iniziativa si è allargata al di fuori della città di Milano e in questo momento circa 40 istituti comprensivi in tutta Italia, dalla Calabria al Lazio, all'Umbria, stanno seguendo il progetto Don Milani 2.
  Il primo documento rappresenta la sperimentazione su circa 90 studenti più a rischio di grave dispersione, quelli che sarebbero stati buttati fuori o, addirittura, siano già fuori dal circuito scolastico, con un modello che prevedeva la messa in rete di istituti comprensivi di un medesimo territorio e la segnalazione dei casi più problematici. Il primo anno, almeno per il nostro caso, si è dato vita a una scuola parentale, per non scontrarsi con il tema della valutazione, quando questi ragazzi vanno a sostenere gli esami o si presentano alle commissioni: il problema è quello del superamento dei livelli di apprendimento previsti dalla didattica tradizionale. In questi casi, non è possibile e insegnanti e presidi che hanno le «mani in pasta» lo sanno molto bene. Pag. 10
  Il secondo documento rappresenta lo sviluppo attuale, oramai molto articolato, del progetto Don Milani, non più legato solamente alla grave dispersione scolastica, ma a più livelli di disagio scolastico. Il terzo riguarda un tema di cui vorrei parlarvi oggi e sul quale cercherò di concentrare l'attenzione.
  Sostanzialmente, dopo tutti questi anni, vent'anni abbondanti, e quattro anni con progetti intensi, senza voler mai abbandonare il campo, ad Africo nella Locride, a Quarto Oggiaro, abbiamo consolidato una convinzione che, secondo me, non dovrebbe mancare all'interno di una pianificazione e di una programmazione. Per affrontare seriamente il tema della dispersione scolastica, non si può non tener conto del deficit educativo dei ragazzi. Chiamiamo deficit educativo tutte le difficoltà e il disagio non solamente sociale di cui sono carichi questi ragazzi e ragazze.
  Chiaramente, stiamo parlando di ragazzi che non hanno una certificazione di disabilità, una patologia certificata, ma di studenti contenuti in quella terza fattispecie dei BES, i bisogni educativi speciali, che non hanno una certificazione di disturbo di apprendimento o di una patologia, un handicap: si tratta di quei ragazzi, stranieri, ma anche italiani, con difficoltà all'interno della famiglia, che hanno subìto abbandoni o hanno vissuto un'adolescenza molto tormentata. Il piano sul quale è necessario intervenire per superare il gap è la ricostruzione del tessuto relazionale di cui questi ragazzi hanno bisogno. Parlo della relazione anzitutto con se stessi, cioè l'autostima, della capacità di capire che non è vero che non sono nessuno, che qualcuno pensa a loro. Questa competenza relazionale si sviluppa anche nei confronti dei pari e si sostanzia nel sapersi adeguare all'interno di un gruppo, di una classe, in una relazione oggettuale corretta del rispetto delle cose, in una relazione con gli adulti.
  Il piano della relazione è preliminare e fondamentale per portare avanti qualunque tipo di azione sulla dispersione scolastica. Se questo è vero, allora è indispensabile che la scuola si apra. Dove esiste, ben venga, ma i percorsi formativi degli insegnanti non prevedono durante l'università quest'attenzione all'osservazione del gap relazionale e anche la messa in gioco di questa capacità relazionale. Chi sa farlo ? Secondo noi, sa farlo tutta quella ricchissima area ancora presente in Italia che si richiama alla tradizione educativa italiana. Parlo di Maria Montessori, di don Milani appunto, dei Salesiani e così via. Se si vuole affrontare il tema della dispersione scolastica, questo deve essere un pezzo importante e deve essere strutturalmente inserito all'interno di un territorio. Reti di scuole devono poter fare riferimento non in maniera episodica, ma stabile, ad agenzie educative che sappiano fare questo mestiere e che si mettano a disposizione delle scuole per questo motivo.
  Evidentemente, le agenzie educative e le scuole, nei casi ancor più difficili, avranno anche altri interlocutori, i servizi sociali, i tribunali, altre agenzie, ma questo è il punto. Crediamo dopo molti anni a questa che, oramai, è un'acquisizione e non più semplicemente un auspicio. In questo momento, stiamo seguendo circa 250 studenti con varie intensità educative. Anche l'intensità educativa, infatti, varia da soggetto a soggetto, non si possono confezionare pacchetti standard.
  All'inizio di ogni anno, nella redazione del PDP (Piano didattico personalizzato) con il consiglio di classe si prospettano specificità a seconda della situazione, di un certo caso e anche di una certa famiglia. Anche la famiglia, infatti, è indispensabile se stiamo parlando di ragazzi dai 12 ai 15 anni. Questo è l'unico punto sul quale volevo insistere perché sia posta adeguata attenzione alla competenza relazionale, e quindi alla necessità di un rapporto strutturato con le agenzie educative.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Taverna.
  Do ora la parola al professor Marco Orsi.

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  MARCO ORSI, Responsabile nazionale della rete «Scuole senza zaino». Ringrazio anch'io per l'attenzione rivolta da tutti voi alla nostra iniziativa, da 12 anni presente nel nostro Paese. Quattro anni fa abbiamo avuto il primo incontro con il Ministero della Repubblica Dominicana, che ci aveva chiesto una consulenza per migliorare le scuole di questo Paese in via di sviluppo. Solo due anni fa, invece, abbiamo avuto il contatto con il nostro Ministero dell'istruzione. Forse siamo un po’ troppo orgogliosi della nostra iniziativa, ma nel nostro Paese ci sono anche realtà che devono essere sostenute.
  Attualmente, vi sono più di 50 istituti riuniti in rete. Circa 86 istituti scolastici sono interessati al nostro modello formativo: si tratta di più di cento scuole, in Italia chiamate plessi, di più di mille docenti e più di 10.000 studenti.
  Qualcuno si chiede la ragione dell'espressione «senza zaino». Innanzitutto, stiamo tutti tranquilli, i ragazzi fanno i compiti a casa. La definizione del vocabolario rimanda a un oggetto inventato e dato in dotazione agli eserciti e agli alpinisti per affrontare luoghi inospitali. Noi abbiamo sviluppato un'attenzione educativa agli oggetti della scuola, che comunicano tutti un messaggio. Abbiamo eliminato lo zaino e abbiamo cercato di creare un modello inclusivo di scuola.
  Ci ispiriamo, tra gli altri, a Maria Montessori. Non dimentichiamo questa grande pedagogista. Bisognerebbe ripartire da lì. Questa grande pedagogista ha pensato le scuole studiando e lavorando con i bambini in difficoltà, difficili. Basterebbe tornare all'origine della pedagogia classica per riscoprire semplicemente questa grande italiana che ci aiuterebbe anche nell'affrontare il tema della dispersione scolastica.
  Abbiamo, con un'assonanza montessoriana, l'approccio globale al curricolo. Sosteniamo, cioè, che non si può progettare la formazione, come diceva il professor Moro, ma un intero ambiente di apprendimento. Occorre guardare all'aspetto fisico e a quello non fisico. Per intenderci, usiamo questi due termini: hardware e software, cioè ci interessiamo delle architetture scolastiche e conosciamo tutte le problematiche legate all'edilizia scolastica, della distribuzione degli spazi, dell'organizzazione degli arredi sino all'interno dell'aula scolastica, della dotazione di attrezzature nelle aule che sono per noi digitali, ma anche tattili: la dimensione corporea è ricompresa in tutta la sua complessità sensoriale.
  Abbiamo svolto, ad esempio, una visita di studio in Finlandia, Paese sempre ai primi posti nelle classifiche degli apprendimenti a livello internazionale. In Finlandia, per ragazzi fino a 16 anni vi sono scuole con un'eccezionale dotazione di nuove tecnologie, ma anche una dotazione eccezionale di laboratori: abbiamo visto ragazzi di 12 anni lavorare con le seghe circolari in laboratori di falegnameria, con seghe a nastro e pialle a spessore.
  Quando siamo andati in Norvegia, abbiamo visitato una scuola dell'infanzia: ai bambini di 5 anni si faceva guidare una safety boat nel fiordo vicino alla scuola, dove c'era anche la palestra di roccia. L'ambiente che cerchiamo di realizzare nelle nostre scuole è attento all'aspetto digitale. Abbiamo, ad esempio, esperienze di uso dei tablet, della lavagna interattiva multimediale (LIM) e così via, ma anche attrezzature di carattere tattile. Questo è fondamentale anche perché si riconnette non solo a una tradizione pedagogica, ma a quella artigiana, tipica del nostro Paese. Se i bambini e i ragazzi sin dall'infanzia non si abituano alla dimensione manuale, corporea, ci ritroviamo adulti nel mondo del lavoro incapaci di avere una visione a 360 gradi. A noi pare assurdo. Una volta si parlava di applicazioni tecniche nella scuola media, oggi si fa tecnologia. Prima, i ragazzi nella scuola media andavano in laboratorio, almeno due ore a settimana, ora invece stanno in classe a disegnare. Questo è un punto fondamentale. Nei nostri laboratori riusciamo a coinvolgere nell'apprendimento anche i ragazzi più difficili. Pag. 12
  Quest'approccio globale al curricolo si struttura su tre valori fondamentali. Il primo è l'ospitalità. Il grande pedagogista Gardner parla di una serie di intelligenze di proprietà dell'essere umano: noi cerchiamo di strutturare l'ambiente scolastico e l'ambiente aula tenendo conto di questo. Spiegare a parole è meno efficace che vedere che in un'aula senza zaino non si vedono i classici banchetti monoposto orientati verso la cattedra, magari con un armadio, quando va bene, e le pareti disadorne. Le nostre aule sono strutturate in aree di lavoro. Abbiamo l'area dei tavoli, una che chiamiamo Agorà, dove si fa circle time e la lezione frontale, nonché piccoli laboratori in classe. Se prevediamo che le lezioni di laboratorio si svolgano in classe, non si verifica il problema frequente delle aule occupate per le lezioni di laboratorio, che si possono quindi svolgere solo una volta alla settimana. Le mani sono già impegnate tutti i giorni nell'aula scolastica perché l'abbiamo resa ospitale per tutto il corpo.
  L'altro aspetto dell'ospitalità è la differenziazione dell'insegnamento. Questo dibattito esiste a livello internazionale. Ci siamo, ad esempio, collegati a un'elaborazione degli Stati Uniti, la cui pedagogista di riferimento è Caroline Tomlinson: il punto fondamentale oggi è uscire dalla standardizzazione dell'insegnamento, cioè proporre nello stesso momento la stessa cosa alla platea dei 20, 25 o 30 alunni.
  Nelle nostre scuole, per le nostre attività didattiche, in classe vi sono bambini e ragazzi che lavorano a una certa attività, mentre un gruppo lavora a un'altra attività, un altro gruppo ad altre attività ancora. Si faceva riferimento al rinnovamento della didattica: per noi, è prassi quotidiana, ma il tema della differenziazione dell'insegnamento va esteso a tutto il nostro Paese.
  Accanto all'ospitalità, si colloca il tema, anch'esso fondamentale, della responsabilità, che anche qui è stato evocato: bisogna creare ambienti in cui i ragazzi e i bambini siano responsabili del proprio apprendimento prima ancora che del comportamento. Vogliamo, invece, che i bambini e i ragazzi stiano buoni, e così possiamo fare lezione: il problema è ancora più a monte. Dobbiamo far sì che gli alunni e gli studenti siano responsabili per il proprio apprendimento.
  Un tema di grande importanza che affrontiamo tutti i giorni è la questione della scelta. Se non consentiamo la scelta ai ragazzi e ai bambini, non li responsabilizziamo. Il nostro sistema è molto «passivizzante». Gli insegnanti decidono cosa fare, entrano in classe e presentano ai ragazzi le attività che devono eseguire: non esiste la scelta. Nelle nostre scuole, invece, si tratta di un aspetto fondamentale, anche nella gestione della classe. Abbiamo avuto un contatto molto significativo con una scuola sperimentale in Portogallo: non mi dilungherò perché non abbiamo tempo, ma questa classe era letteralmente condotta dagli alunni. Abbiamo assistito ad assemblee degli alunni che trattavano di questioni in Italia normalmente affrontate dai collegi dei docenti, a volte con molto caos, mentre lì c'erano un ordine e un'organizzazione perfetti.
  In merito alla responsabilità, il Presidente Napolitano, nel suo discorso all'inizio dell'anno scolastico 2013/2014, ha parlato degli alunni più grandi e degli alunni che hanno più talenti e più risorse, che devono aiutare i più piccoli e i più deboli. Ci sembra questa una linea da perseguire, che rompe anche una certa rigidità del concetto di classe. Abbiamo toccato quest'esperienza con mano nel corso della visita di una scuola danese alle Scuole senza zaino in Toscana. Quando abbiamo chiesto a venti insegnanti di scuola primaria, per tre giorni in visita da noi, come avessero fatto concretamente con le supplenze, avendo dovuto coprire l'attività didattica, ci hanno spiegato che in quei tre giorni i ragazzi più grandi in un istituto comprensivo, quindi di 13-14 anni, facevano da supplenti. So che è impensabile in Italia, anche normativamente. Pensate, però, al profilo della crescita formativa, culturale e della responsabilità in capo a questi ragazzi. Pag. 13
  L'ultimo valore per noi fondamentale riguarda il fatto che in Italia bisogna fare sistema per uscire anche da una situazione difficile in cui ci troviamo. Diciamo sempre che l'italiano dovrebbe uscire dal suo individualismo e riuscire a mettere insieme le risorse. Il tema è la comunità. Ricordo a tutti che abbiamo un apparato normativo, giuridico, scolastico fondato sulla comunità educante. Nelle scuole italiane, però, non troviamo nemmeno la stanza docenti: c’è nella scuola media, a volte nella scuola superiore, ma è un'aula di transizione.
  In Austria, Norvegia, Finlandia, Inghilterra, ci sono aule attrezzate per i docenti, ma ancora una volta per noi il tema oggettuale, dello spazio, è il messaggio. Costruiamo le scuole senza pensare ai docenti, che devono lavorare insieme. Abbiamo avuto scambi con gli Stati Uniti, dove le aule docenti, come è stato verificato, creano la comunità.
  Uno dei punti deboli dell'Italia è l'individualismo professionale. Quella della professione insegnante intesa in termini di autosufficienza personale è una questione generale. In Italia, è molto più spiccata. Certamente, bisogna lavorare anche sulla dimensione spaziale, ma bisogna anche trovare forme grazie alle quali la comunità professionale possa crescere. Non lavoriamo più a livello di formazione individuale, non teniamo corsi per i docenti interessati a un tema: lavoriamo con lo Stato, con il gruppo docente di una determinata scuola, tutto il gruppo docente. Volete fare nella vostra scuola quello che vi proponiamo ? Volete realizzare il modello Senza zaino ? Bene, allora tutti vi mettete in formazione e create una comunità professionale che scambi le pratiche.
  Un altro aspetto significativo della comunità, con uno slogan, è legato al fatto che piccolo è bello. Negli Stati Uniti, la fondazione Bill & Melinda Gates finanzia le small school, dando soldi per fare in modo che si costruiscano e si ristrutturino le scuole, in modo da avere una dimensione piccola, di 200, 300, 400 studenti, non di più. È la dimensione piccola, infatti, a creare la comunità.
  Ci domandiamo, allora, perché non valorizzare anche la dimensione piccola, che pure esiste in Italia. Le politiche scolastiche in Italia sono spesso orientate alle grandi dimensioni, ma anche al fatto che è l'istituto scolastico il terminale delle politiche. Il nostro terminale non sono gli istituti scolastici, ma la scuola. Noi utilizziamo non a caso un termine burocratico per indicare la scuola, il «plesso». La mattina, i bambini e i genitori parlano del fatto di andare a scuola, non di andare presso l'istituto e nemmeno in classe, ma a scuola. Questo è un luogo di appartenenza. Si sente di appartenere a quella scuola, che è quell'edificio, fatto di 10-30 docenti, 100-150 alunni. Le politiche scolastiche, in cui il tema dell'inclusione è fondamentale perché la comunità dà il senso dell'appartenenza, rischiano di dimenticare quest'aspetto. Occorre lavorare su tale aspetto.
  Concludo con il tema, che è stato evocato, della formazione dei docenti. Innanzitutto, la nostra è una formazione di comunità, di gruppo di docenti nelle scuole. In secondo luogo, è una formazione teorico-pratica. La nostra formazione è innanzitutto on the job: chiediamo ai docenti novizi, per esempio, di partecipare alle attività didattiche dei docenti anziani. Devono spendere un po’ di ore in aula con i docenti anziani: questa è una novità nel panorama italiano, ma non nella situazione europea. I nostri esperti docenti vanno nelle aule a vedere come i novizi lavorano e poi si incontrano per il feedback e per riflettere sugli aggiustamenti. Ovviamente, facciamo anche visite nelle classi. Nel nostro centro risorse Fabbriche degli strumenti tattili e digitali, per dotare di strumentazioni gli insegnanti, facciamo anche formazione off line e on line.
  Tutto questo si ricollega a quanto affermavo all'inizio. Abbiamo anche per gli insegnanti un approccio globale al curricolo: tocchiamo con mano la realtà di classe, entriamo in quella scatola nera che Pag. 14è, appunto, l'aula scolastica, dove pochissimi oggi in Italia entrano. Una volta, gli ispettori entravano in classe, ora non ci sono neanche più quelli o sono pochissimi e interessati ad altre problematiche. I dirigenti scolastici sono un po’ in discussione perché svolgono un ruolo amministrativo e non hanno tempo per dedicarsi alla classe. Non abbiamo un middle management.
  Cerchiamo, quindi, di stare in classe e di dare indicazioni perché nelle pratiche si possano predisporre dei cambiamenti. Lo chiamiamo approccio globale del curricolo, che fa riferimento a quanto affermavo a proposito della necessità di tenere presente che l'ambiente formativo va progettato tenendo conto degli aspetti immateriali, software, e di quelli materiali, hardware, che sono fisici e corporei. Questa è la nostra esperienza, che ci sembra un modello di tipo inclusivo che può essere seriamente preso in considerazione anche nel nostro Paese.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Orsi.
  Do ora la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANLUCA VACCA. Ringrazio gli ospiti per gli spunti di riflessione che ci hanno offerto, molto interessanti.
  Ho, in particolare, una domanda per il professor Orsi, sul progetto Scuole senza zaino. Anzitutto, complimenti per l'iniziativa. Ho visto anche il sito e sembra veramente una lodevole iniziativa. In relazione, però, all'obiezione che spesso si muove quando si citano le scuole d'oltremanica, come ad esempio quelle inglesi o i modelli anglosassoni in generale, anche lì il problema della dispersione esiste. Lo stesso Presidente Obama più volte è tornato sulla questione, anche se per dispersione spesso si intende non soltanto l'abbandono scolastico, ma anche la discrepanza tra il successo scolastico e l'ingresso nel mondo del lavoro: il problema, quindi, lì spesso si sovrappone.
  Vorrei, invece, porre una domanda abbastanza specifica: avete mai attivato un monitoraggio sulla dispersione scolastica nelle scuole che hanno partecipato o dov’è sperimentato il modello che proponete Scuole senza zaino ?

  MARIA MARZANA. Naturalmente, anch'io ringrazio gli ospiti per il contributo.
  L'insegnante Robbiati poneva l'accento sul problema dei Rom esistente al nord. Non posso, invece, che puntare l'attenzione sulla dispersione del sud, che purtroppo si riferisce a ragazzi italiani. Mi fa piacere che sia stato sottolineato come una scuola aperta tutto il giorno possa contribuire a ridurre questo fenomeno. Al sud ciò non avviene, quindi mi fa piacere la vostra sottolineatura. Mi dispiace, invece, che non è all'esame della Commissione una proposta di legge al riguardo: i vostri contributi sarebbero potuti entrare ancor più nel merito.
  Per quanto riguarda il professor Taverna, che parlava dell'importanza di affrontare i vari deficit educativi dei BES, metterei insieme gli alunni con disabilità grave e tutti gli altri alunni che presentano bisogni educativi speciali. Si poneva l'attenzione sull'insegnamento personalizzato: con il continuo taglio degli organici, con aule sempre più affollate, come possiamo rispondere in maniera specifica a questi bisogni speciali ? È chiaro che la direzione che si sta percorrendo, purtroppo, nel nostro Paese è un'altra e non aggredisce, appunto, questi problemi.
  Infine, vorrei anch'io complimentarmi con il professor Orsi per l'iniziativa. Non so quanto si sia estesa la rete delle scuole che hanno adottato questo modello: vorrei capire cosa pensi dell'altro modello in sperimentazione in alcune scuole delle classi capovolte, delle flipped class. Secondo me, potrebbe conciliarsi con il vostro modello visto che si basa su una didattica laboratoriale. Lo svolgimento dei compiti, in cui ci si misura con un esercizio, potrebbe essere trasferito a scuola. Questo, secondo me, farebbe fronte al problema di rispondere in maniera individualizzata ai bisogni. Lasciamo, quindi, a casa la lezione frontale attraverso gli strumenti digitali.Pag. 15
  Terrei anche a dire che il nostro gruppo ha cercato di incentivare proprio la didattica laboratoriale, estendendo a tutto il Paese la sperimentazione del book in progress, la costruzione insieme di libri. Si tratta ormai di legge dello Stato, quindi si potrebbe inserire anche quest'elemento.
  Infine, professor Taverna, potrebbe citare proprio qualche esempio relativo alle scelte compiute dagli alunni ? In quali momenti si svolge questo processo democratico a scuola ?

  MARIA GRAZIA ROCCHI. Sarò velocissima perché il tempo è poco. Prima di tutto, ringrazio davvero i partecipanti a quest'audizione, doppiamente il professor Orsi e la professoressa Pampaloni, perché ho avuto modo di conoscere Scuole senza zaino qualche settimana fa e ne ho apprezzato il modello e l'entusiasmo che ha saputo creare nelle insegnanti coinvolte nella sperimentazione, che poi si sta allargando in maniera ampia.
  Un aspetto della sperimentazione che probabilmente non è emerso abbastanza è relativo alla normativa sull'autonomia, il decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, l'unico che al momento vi permette di attivare la sperimentazione. In questo momento, infatti, per quella sperimentazione, le Scuole senza zaino non si avvalgono di altro: ho compreso bene il senso della situazione ?
  Inoltre, avrei voluto interloquire, se non fosse andato via, con il professor Moro del CIDI, con il quale concordo praticamente su tutto: ci fa tornare indietro, alla visione cui si ispirava la legge regionale della Toscana n. 32 del 2002, del biennio unico per le scuole superiori e delle materie propedeutiche che funzionassero da orientamento. Sono lieta di poter riprendere in mano quel tipo di progetto e di poterlo valutare. Anche quando lo abbiamo letto e studiato, abbiamo pensato che avrebbe potuto dare forti e interessanti risposte sistemiche al problema dell'orientamento, in molti casi alla radice della disaffezione allo studio.
  Svolgo un'ultima osservazione riguardo a quei ragazzi che hanno bisogno di maggiore motivazione e di maggiore tempo per la creazione della propria affettività, fortemente compromessa da anni, perché negli anni sono stati etichettati con l'espressione «non sei capace»: dobbiamo recuperare in quello spazio, in quel tempo, grandi margini di flessibilità. Nello stesso tempo, li inseriamo al biennio della scuola superiore, dove la tempistica, le materie, la classe e così via, rendono ancora di più standardizzata e rigida l'offerta formativa. Dunque, diamo l'esatto contrario di quello di cui avrebbero bisogno. Ritenete anche voi che sia necessario aprire e dare il massimo di flessibilità ai bienni delle nostre scuole superiori ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per una brevissima replica.

  MARCO ORSI, Responsabile nazionale della rete «Scuole senza zaino». Non abbiamo svolto alcuna indagine sugli abbandoni: ne abbiamo condotta una sugli aspetti cognitivi e di comportamento, pubblicata dalla casa editrice Carocci proprio in questi mesi. Si tratta di indagini di tipo qualitativo: in alcuni istituti, ad esempio in Toscana, si arriva al massimo ad una percentuale pari al 4-5 per cento di dispersione scolastica, ma avremmo bisogno di un'indagine statistica su tutta la rete delle nostre scuole, che raduna 52 istituti che hanno aderito ad un accordo di rete, sottoscritto dai consigli di istituto, con l'aggiunta di circa venti istituti che hanno chiesto di entrare a farvi parte. Alcuni di essi sono già in formazione: alla fine del percorso, sigleranno un accordo ed entreranno nella rete. I plessi sono più di 100 in tutta Italia e siamo rappresentati in quasi tutte le regioni: abbiamo cominciato dalla Toscana e ci stiamo espandendo.
  Praticavamo l'esperimento della «classe capovolta», come è avvenuto recentemente, soprattutto nell'ambiente anglosassone, dove si parla, appunto, di flipped classroom, che si sposa con il nostro modo di lavorare. Nella classe capovolta, infatti, si devono ristrutturare gli ambienti scolastici Pag. 16e il docente, ad esempio, è un accompagnatore e un facilitatore, come il docente che lavora nelle nostre scuole.
  Ho affrontato anche il tema della scelta. Abbiamo depositato, comunque, un documento contenente anche i dettagli sulla scelta, che per noi rappresenta uno dei punti fondamentali. Dovremmo mettere i nostri ragazzi, sin dalla scuola dell'infanzia – come affermava Maria Montessori più di un secolo fa – nella condizione di scegliere le attività, chiarendo loro cos’è un'attività didattica e come essa si svolge; occorre anche abituarli, come avviene in Portogallo, a registrare l'attività svolta, in modo tale che rimanga il progetto delle attività che si devono realizzare successivamente.
  Riguardo all'ultima domanda, credo che quella descritta sia l'unica esperienza italiana in tema di autonomia in cui diversi istituti si sono messi in rete non per un progetto, ma per realizzare un modello di scuola. La legge sull'autonomia aveva anche lo scopo di creare modelli di scuola che entrassero in competizione tra loro, in modo da favorire il miglioramento e la scelta dei genitori tra un modello e l'altro.
  Tale esperienza dovrebbe quindi essere valorizzata tramite la promozione di esperienze che realizzino modelli di scuola analoghi.

  FRANCO TAVERNA, Responsabile della Fondazione Exodus. Sarò telegrafico in relazione al sud e ai costi. Ci sono tanti «sud» in Italia, anche a Milano: il problema è che uno studente, un cittadino italiano di 15 anni non deve essere fortunato o sfortunato solamente per il fatto di avere l'insegnante di turno che ha qualche sensibilità in più.
  Il tema della dispersione scolastica dovrebbe rientrare nei livelli essenziali di assistenza (LEA). In tutte le scuole c’è una discreta percentuale di insegnanti che hanno le antenne alzate, che hanno voglia di fare, che rispondono alle logiche di cui abbiamo parlato oggi. Nelle normative recenti, si sono prefigurati scenari possibili, come i Centri territoriali di supporto (CTS), che possono rappresentare ricadute organizzative importanti per i livelli essenziali, con la possibilità di progetti continuativi e, non solamente episodici.
  Spenderò pochissime parole sui costi. È evidente che si devono compiere delle scelte. È anche banale dire, in un contesto come questo, che non investire su questo settore significa perdere negli anni successivi. Purtroppo, abbiamo a che fare con una contiguità molto stretta tra la devianza e le problematiche legate alla dispersione scolastica, da cui deriva il coinvolgimento della giustizia minorile. È evidente che, se si ponessero in atto interventi precoci, di prevenzione, non si sopporterebbero costi molto superiori. Si tratta di lungimiranza istituzionale e politica.
  Al di là di questo, sindacati permettendo, i nostri progetti costano relativamente un po’ di più. I nostri studenti in Lombardia costano circa 5.500-6.000 euro all'anno; i nostri progetti costano 6.000 euro all'anno, per cui non si tratta di un costo superiore. Evidentemente, si può far riferimento a forze giovani, a neolaureati o tirocinanti del terzo e quarto anno dell'università. Il percorso individualizzato si può attuare per questo motivo.

  FLAVIANA ROBBIATI, Insegnante di scuola primaria. L'onorevole Marzana ha sottolineato il fatto che anche al sud si verificano forti dispersioni. Sono assolutamente d'accordo sul fatto che, innanzitutto, non debbano essere fatte né una didattica né scelte etniche: sarebbe anche contro la legge. Non esiste una didattica Rom. Molta parte del disagio che manifestano i ragazzi Rom è legato non all'appartenenza etnica, ma a un'appartenenza socio-economico-culturale ad un sottoproletariato assimilabile a quello di tutte le aree del mondo, tipico non solo dell'Italia. Sono convinta che una scuola che sappia accogliere e promuovere, sa accogliere e promuovere tutti. Pag. 17
  Mi ha colpito la questione posta sulla maggiore flessibilità nei bienni. Da maestra, posso dirle che vorrei vedere più flessibilità nella scuola elementare. Sto compilando i registri, che sono sempre più strutturati, minuziosi, dettagliati. Fin dove posso, mi rifiuto di compilarli, perché credo in un'altra scuola, ma questo ci indica una linea di tendenza pessima anche nei confronti della dispersione scolastica.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dall'insegnante Flaviana Robbiati (vedi allegato 1), dal dottor Franco Taverna (vedi allegato 2), dal professor Marco Orsi (vedi allegato 3) e dal professor Walter Moro (vedi allegato 4).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.

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