XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 7 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE STRATEGIE PER CONTRASTARE LA DISPERSIONE SCOLASTICA

Audizione dei professori Salvo Intravaia, Maurizio Gentile e Paolo Ferratini, esperti del settore.
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 
Intravaia Salvo , esperto del settore ... 3 
Gentile Maurizio  ... 5 
Ferratini Paolo , Esperto del settore ... 9 
Galan Giancarlo , Presidente ... 13 
Marzana Maria (M5S)  ... 13 
Santerini Milena (PI)  ... 14 
Giordano Giancarlo (SEL)  ... 14 
Galan Giancarlo , Presidente ... 14 
Intravaia Salvo , Esperto del settore ... 14 
Ferratini Paolo , Esperto del settore ... 15 
Gentile Maurizio , Esperto del settore ... 15 
Galan Giancarlo , Presidente ... 16 

Allegato 1: Nota consegnata dal professor Salvo Intravaia ... 17 

Allegato 2: Nota consegnata dal professor Maurizio Gentile ... 25

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GALAN

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dei professori Salvo Intravaia, Maurizio Gentile e Paolo Ferratini, esperti del settore.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, l'audizione dei professori Salvo Intravaia, Maurizio Gentile e Paolo Ferratini, esperti del settore.
  Il professor Salvo Intravaia è anche giornalista. Maurizio Gentile è direttore della rivista RicercAzione e professore a contratto di pedagogia sperimentale all'Università LUMSA di Roma. Paolo Ferratini è docente a livello universitario ed editorialista. I professori Intravaia e Gentile hanno fatto pervenire una memoria scritta che è già in distribuzione.
  Do la parola al professor Intravaia per lo svolgimento della relazione.

  SALVO INTRAVAIA, esperto del settore. Vorrei ringraziare il presidente e tutti i componenti della Commissione per questo invito poiché, essendo io un insegnante, ogni volta che mi è possibile dare un contributo al mondo della scuola sono ben lieto di farlo.
  Oggi parliamo di dispersione scolastica, uno dei problemi più complessi che affronta la scuola.
  La lotta alla dispersione scolastica diventa una priorità strategica almeno dal 2000, cioè da quando la Commissione europea fissa la cosiddetta «strategia di Lisbona 2020». In quel momento, l'obiettivo della Commissione europea è quello di trasformare l'economia europea «nell'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». L'obiettivo è chiaro e la lotta alla dispersione scolastica diventa uno dei punti fondamentali tra quelli che riguardano l'istruzione.
  Parlando di dispersione scolastica sui mezzi di informazione, i miei colleghi giornalisti utilizzano, anche correttamente, la cosiddetta «semplificazione giornalistica» e spesso nasce un po’ di confusione. A mio avviso, la dispersione scolastica va contestualizzata, definendo e quantificando il fenomeno. A questo proposito, preferisco riferirmi ai tre approcci fondamentali.
  Il primo è quello utilizzato dalla Commissione europea: la banca dati Eurostat quantifica la dispersione scolastica in base al numero di cittadini dei vari Paesi, di età compresa fra i diciotto e i ventiquattro anni, che non sono ancora in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore. In Italia – l'ultimo dato che ci fornisce Eurostat risale a un paio di settimane fa – abbiamo un 17 per cento di dispersione di questo tipo, che ci colloca Pag. 4tra le ultime posizioni europee. Paesi partner come la Germania e la Francia sono già al di sotto del 10 per cento e per il 2020 si ipotizza che l'Italia possa fare lo sforzo di arrivare soltanto al 16 per cento.
  Sembra che a Bruxelles non abbiano molta fiducia nelle nostre capacità di affrontare il problema. Chiaramente un approccio di questo tipo non dà informazioni dettagliate sul fenomeno. Ci dice soltanto quanti, alla fine del percorso, non sono riusciti a ottenere il diploma.
  Un altro approccio è quello utilizzato da alcune riviste specializzate. È un approccio del tutto legittimo che risponde a una domanda molto semplice: se al primo anno della scuola superiore è entrato un certo numero di alunni e cinque anni dopo è uscito con il diploma un numero inferiore, che fine hanno fatto tutti gli altri ? Il dato ottenuto con questo tipo di approccio ci colloca al 28 per cento. Il 28 per cento degli studenti in entrata non riesce cioè a raggiungere il diploma dopo cinque anni. Anche in questo caso siamo di fronte a un conteggio che non tiene conto di tutta una serie di aspetti che, invece, a mio avviso, andrebbero considerati, in quanto molti ragazzi potrebbero essere ripetenti e diplomarsi successivamente.
  L'approccio che mi sembra più «conducente» e cioè adeguato è quello utilizzato dall'Osservatorio regionale sulla dispersione scolastica, che è nato in Sicilia ben venticinque anni fa. La Sicilia è una delle regioni che, da questo punto di vista, ha più esperienza. Nel 1989 è nato un Osservatorio che affronta il problema «sminuzzandolo», conteggiando cioè tutti gli aspetti diversi della dispersione scolastica. Per ognuna delle circa ottocento scuole siciliane vengono raccolti – anno per anno – i dati relativi all'evasione dall'obbligo scolastico, agli abbandoni in corso d'anno e all'istruzione parentale. Pur essendo prevista dall'ordinamento italiano la possibilità di dichiarare alla scuola che si provvederà in proprio all'istruzione dei figli, è stato rilevato che, in alcuni ambienti, l'istruzione parentale viene utilizzata per aggirare l'obbligo scolastico. Vi è poi il fenomeno delle bocciature.
  Questo approccio è quello più razionale con riferimento al problema, perché consente di diversificare i vari tipi di dispersione e suggerisce le strategie di intervento.
  Guardando più a fondo i dati sul territorio nazionale, a livello di scuola media (i dati in mio possesso non mi consentono di calcolare la percentuale dell'evasione dall'obbligo scolastico, ma si tratta di una percentuale molto piccola), nel 2010/2011, abbiamo una dispersione del 5,7 per cento; a livello di scuola superiore del 14,7 per cento. Ampliando il dettaglio, ci accorgiamo, però, che il 4,7 per cento sul 5,7 per cento nella scuola media e il 12,2 per cento sul 14,7 per cento nella scuola secondaria superiore sono bocciature.
  Come dicevo, preferisco questo tipo di approccio, perché ci suggerisce i possibili interventi. Lo zoccolo duro della dispersione, quello dovuto ad abbandoni ed evasioni, è di tipo socio-economico. Per riportare a scuola questi soggetti – come fanno, o facevano, i maestri di strada a Napoli, quella è una buona esperienza – bisogna andare direttamente per strada e cercarli, oppure coinvolgere le famiglie. Si tratta di una dispersione per la quale coinvolgere le famiglie è necessario: a Palermo sono già stati attivati alcuni progetti nei quali famiglie, spesso di disoccupati, con tantissimi problemi, vengono coinvolte a scuola, cercando di recuperare questo tipo di dispersione.
  Il grosso della dispersione è, però, determinata dalle bocciature. Quello che la scuola non può fare per la dispersione cosiddetta «dura» dovrebbe poterlo fare per la dispersione dovuta alle bocciature, anche se occorre parlare di risorse. Faccio un riferimento numerico. Il precedente Governo ha stanziato 15 milioni di euro – nel decreto-legge sulla scuola n. 104 del 2013 – per la lotta alla dispersione scolastica. Penso di essere uno dei primi ad aver conteggiato quanto costi la dispersione scolastica per ogni anno. Abbiamo qualcosa come 472.000 alunni che, ogni anno, vanno incontro all'insuccesso scolastico, Pag. 5perché abbandonano gli studi, vengono bocciati oppure si ritirano senza più dare notizie di sè.
  Sappiamo benissimo che gli organici della scuola vengono conteggiati anche in base agli studenti ripetenti. Se un ragazzo viene bocciato, la scuola ritiene che rifrequenterà le lezioni. Basta moltiplicare – è un calcolo che ci serve solo per avere un ordine di grandezza del fenomeno – gli 8.646 dollari che l'OCSE stima siano il costo annuale di uno studente per la scuola media e gli 8.607 dollari per la scuola superiore e arriviamo a qualcosa come 3,5 miliardi di euro che, ogni anno, siamo costretti a spendere in più per sostenere l'insuccesso scolastico.
  Come ho scritto anche in precedenza, se per miracolo tutti i ragazzi venissero promossi, nell'arco di un anno noi risparmieremmo 3,5 miliardi di euro o comunque una cifra molto simile. Questo ci fa capire che un investimento sulla dispersione scolastica non può essere di 15 milioni di euro. Parlando con chi si occupa di questi aspetti, un finanziamento di questa entità è, in effetti, considerato molto leggero.
  Per capire come funzioni – per somme linee – la dispersione scolastica, vorrei citare un ultimo aspetto e cioè la correlazione esistente tra la dispersione scolastica – utilizzando i valori che ci forniscono Eurostat o l'Istat, regione per regione –, le competenze degli studenti e il grado di povertà. Scopriamo che tra dispersione e grado di povertà c’è una correlazione moderata: la povertà influisce sulla dispersione scolastica, ma non è il fattore determinante.
  Ciò che influisce di più sono le scarse competenze: correlando le competenze che scaturiscono dai test INVALSI e la dispersione, scopriamo che la correlazione è molto forte. Questo significa che, in linea con l'approccio analitico, ciò che occorre combattere è la dispersione dovuta alle bocciature.
  Mi avvio a concludere. Pensare di dover raccogliere i dati, scuola per scuola, potrebbe sembrare un intervento complicato, ma vi posso assicurare che sono tutti dati già in possesso delle banche dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR). Eccezion fatta per l'evasione, il MIUR conosce il dato degli abbandoni, delle interruzioni non comunicate e delle bocciature e sarebbe in grado di censire il fenomeno in maniera analitica scuola per scuola e – oserei dire – plesso per plesso. Interfacciando questi dati con quelli provenienti dalla banca dati INVALSI, le scuole potrebbero conoscere le competenze dei ragazzi che entrano nelle stesse, per intervenire con azioni – quasi individuali – volte a evitare le bocciature.
  A questo punto, lascerei la parola ai miei colleghi. Nella relazione depositata agli atti troverete, probabilmente, anche altro, ma la gran parte del mio intervento è stato esposto.

  MAURIZIO GENTILE. Vi saluto e vi ringrazio per l'invito. Sento molto la responsabilità di questo compito, e cercherò di fare del mio meglio per comunicare gli elementi che ho organizzato all'interno del documento che ho preparato per l'occasione.
  Inizio da quest'ultimo aspetto. Ho ascoltato le audizioni precedenti e ho notato che sono molto centrate sulla misurazione del fenomeno e sullo studio analitico dei correlati, sulla base anche di indagini statistiche piuttosto rilevanti. Io ho voluto seguire un approccio alternativo, facendo riferimento agli studi nazionali e internazionali sul tema e, soprattutto, orientando il ragionamento sulla scia di un documento appena rilasciato dal Thematic Workgroup della Commissione europea, sugli abbandoni precoci nella scuola. È un documento molto interessante del 2013, su cui ho basato buona parte dell'impostazione e dei contenuti della memoria che vi ho consegnato.
  Partendo da questo, all'interno del mio documento troverete alcune sezioni: le premesse; una serie di questioni di metodo; il quadro generale delle misure; quali potrebbero essere, secondo me, le priorità e come potrebbero essere adattate al contesto scolastico e formativo italiano. Pag. 6Considerate che queste priorità – che trovate a pagina 7 del documento depositato – pescano all'interno di ventisei misure o azioni organizzate su tre livelli, anch'esse indicate nella nota depositata. Questa è l'impostazione che la Commissione europea dà al fenomeno. I tre livelli di intervento dovrebbero essere prevenzione, intervento e compensazione. Il documento citato organizza ciascuna azione all'interno di tabelle che, oltre a indicarne il titolo, forniscono una spiegazione del contenuto dell'azione stessa, cercando di mettere in rilievo i punti di attenzione cui fare riferimento.
  In ambito europeo, per misure di prevenzione, si intendono azioni o misure o interventi che anticipano l'insorgenza conclamata di segni di abbandono precoce dei percorsi scolastici o formativi. Il tentativo di organizzare questa sezione è dato dal fatto che, le misure, investono molto sugli ambienti di apprendimento, i curricoli, la formazione dei docenti e i sistemi di connessione anticipata del mondo scolastico con il mondo del lavoro e della produzione: ciò in modo tale che il contatto con il mondo produttivo possa essere, esso stesso, un'opportunità di apprendimento e un modo per organizzare la propria carriera scolastica o le proprie scelte future.
  Per quanto riguarda, invece, le misure di intervento, queste sono definite come misure a contrasto, non appena i primi segni dell'abbandono scolastico si manifestano. Queste misure sono indirizzate agli studenti, agli insegnanti e ai genitori. Anche in questo caso, l'attenzione è posta sui percorsi e sui curricoli.
  È necessario fare una precisazione. In ambito europeo e di studi internazionali si fa una distinzione tra curricoli formali, materiali e operativi. I curricoli formali sono ciò che dichiaro e non faccio. I curricoli materiali sono ciò che non dichiaro e faccio. I curricoli operativi sono un sistema allineato di contenuti, didattica e valutazione. Tra le righe dei documenti e soprattutto del documento della Commissione europea che ho citato, si fa riferimento soprattutto ai curricoli operativi e si presta molta attenzione ai percorsi, affermando che i percorsi a servizio degli studenti – in generale – e dei ragazzi a rischio – in particolare – dovrebbero essere flessibili, rilevanti, coinvolgenti e così via.
  L'ultimo livello di questo quadro generale di contrasto degli abbandoni precoci e della dispersione scolastica viene definito «compensazione». L'Unione europea, in questo caso, fa riferimento ai percorsi cosiddetti «formativi di seconda occasione», che sono rivolti sostanzialmente ai ragazzi che hanno perso ogni connessione con la scuola e la formazione professionale, ma possono essere recuperati a seguito di un ripensamento o del sostegno di servizi territoriali, il cui scopo principale sia quello di riconnettere la vita di questi individui a quella dei loro pari e degli adulti e, soprattutto, ai contesti scolastici e formativi.
  Questo è il cuore della riflessione e del ragionamento che ho svolto per questa occasione. All'interno di queste ventisei misure ho provato, modestamente, a segnalare alcune priorità. Io individuo cinque priorità su cui il nostro Paese si potrebbe impegnare e le propongo a pagina 7 del mio documento. Il tentativo è porre l'attenzione, anche in termini longitudinali, su una strategia di contrasto della dispersione scolastica di medio e lungo termine.
  Anche se il benchmark europeo ci dice che siamo a posto in termini di percentuale di popolazione giovanile che accede ai servizi per l'infanzia, agli asili nido e così via – siamo addirittura oltre il benchmark europeo, che è stato fissato attorno al 94-95 per cento –, discutendo con diversi colleghi, nel sud d'Italia e nelle isole si sente molto l'assenza di occasioni di accesso a scuole dell'infanzia e asili nido.
  Ieri, ad esempio, mi trovavo a Benevento per lavorare con una rete di scuole e mi dicevano, a proposito dell'accesso a occasioni di apprendimento nel territorio, che avrebbero i fondi per organizzare il tempo pieno, ma i genitori non iscrivono i ragazzi, perché non ci credono e manca Pag. 7la capacità di qualificarlo in modo adeguato. Altri colleghi mi segnalano che in alcune città del sud mancano le strutture territoriali per iscrivere i bambini alla scuola dell'infanzia e agli asili nido.
  Qualche anno fa, una ricerca molto rigorosa e molto analitica in termini sia previsionali sia longitudinali, pubblicata sul sito lavoce.info, spiegava che l'esperienza di coorti di ragazzi osservati nel loro percorso scolastico longitudinale, a partire dall'asilo nido e dalla scuola dell'infanzia, era ben differente rispetto all'esperienza di ragazzi che non avevano avuto la possibilità di partecipare a un percorso di apprendimento in età prescolare e dai 3 ai 6 anni. Si tratta di un fattore previsivo dei probabili abbandoni, in età da scuola media e nel corso del primo biennio della scuola superiore. Questa misura – che è la prima priorità da me indicata – è richiamata come misura di prevenzione all'interno del quadro generale proposto dall'Unione europea.
  La seconda priorità l'ho chiamata, con un'etichetta molto stringata, «Percorsi di istruzione e formazione professionale». Su questo aspetto ho avuto un dialogo con il presidente di un ente di formazione nazionale, molto impegnato nelle regioni del nord a proporre percorsi integrati tra istituti professionali e formazione professionale.
  C’è un'interessante valutazione di impatto – effettuata dall'ISFOL – su tale opportunità formativa e di apprendimento, secondo la quale, laddove c’è un'applicazione rigorosa delle norme sull'ampliamento dell'offerta formativa – e questo avviene soprattutto nelle regioni del nord –, si ha una significativa riduzione dei tassi di dispersione e un incremento dei tassi occupazionali. È molto interessante e sembra che ci siano divari territoriali tra nord e sud proprio in merito all'applicazione rigorosa dell'ampliamento dell'offerta formativa.
  Come terza priorità ho indicato, come è stato discusso più volte dai colleghi che mi hanno preceduto, il tema degli ambienti di apprendimento. È un tema che al sottoscritto sta molto a cuore, perché è uno dei settori su cui lavoro di più con i dirigenti e i docenti scolastici. Non è solo una questione di allestimenti. Più probabilmente, seguendo le riflessioni presenti in letteratura, è una questione di pratiche e, quindi, di formazione in servizio dei docenti e di conoscenze professionali.
  In un articolo del 2013 ho provato a spiegare cosa significhi ambiente di apprendimento e me la sono cavata definendolo «un insieme di pratiche intenzionali orientate a dei fini condivisi, a cui un collettivo di attori dà senso e trova significativo per sé». Nei documenti europei, ad esempio, c’è una ricorrenza quasi ossessiva dell'espressione learning environment e questo dà il segno, anche da un punto di vista della comunicazione utilizzata a livello internazionale, che si tratta di un focus importante.
  La quarta priorità, io la individuo nell'organizzazione e strutturazione di un sistema di monitoraggio, che in questo momento vedo come l'Anagrafe nazionale dello studente. In una rassegna del 2001, il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (CEDEFOP) aveva descritto una serie di buone pratiche in tema di dispersione scolastica, in corso in vari Paesi europei. Nei Paesi Bassi, ad esempio, l'intervento precoce sulla dispersione scolastica era veicolato da uno scrutinio molto preciso degli andamenti, in termini di risultati di apprendimento, presenti all'interno dell'Anagrafe nazionale degli studenti.
  Secondo me, noi abbiamo un'opportunità importante, che è rappresentata dalle rilevazioni del Sistema nazionale di valutazione. Grazie alle implementazioni e ottimizzazioni successive, che i colleghi dell'INVALSI hanno compiuto negli ultimi tre anni, abbiamo a disposizione variabili socio-demografiche che potrebbero essere utilizzate per studi predittivi, tant’è vero che si potrebbe creare un modello con cui prevedere, precocemente, un rischio di abbandono basso, moderato e alto e, in base alla previsione di rischio, mettere a punto le strategie di intervento conseguenti.Pag. 8
  Infine, individuo come quinta priorità il supporto alle famiglie in molteplici dimensioni. Due anni fa, mi sono imbattuto in una ricerca condotta in termini di intervento e di analisi attraverso modelli statistici molto interessanti. Venivano, infatti, utilizzate le cosiddette equazioni strutturali e non semplici frequenze e percentuali assolute. Si tratta di un lavoro molto consistente dal punto di vista scientifico.
  In Gran Bretagna, cinquantaquattro municipalità hanno creato una policy a livello nazionale, declinata poi a livello locale, in cui le famiglie dei ragazzi a rischio venivano seguite da operatori territoriali, con l'obiettivo di insegnare loro come seguire i figli a scuola, come supportarli nei compiti, come motivarli allo studio e così via. Le applicazioni più immaginifiche di questa policy erano quelle in cui famiglie «sane» nel funzionamento e nella struttura interna tutoravano famiglie in difficoltà, con l'idea di una comunità locale che si attiva.
  Chiudo ritornando all'inizio del documento. A me, come anche agli estensori del citato Thematic Workgroup sugli abbandoni precoci nei sistemi scolastici europei, sta a cuore una serie di questioni di metodo. Ho provato a metterle in ordine, in modo da portarle quanto più possibile alla vostra attenzione. Ho cercato anche di formattare il documento depositato in modo tale che, attraverso parole chiave, poteste subito individuare gli elementi in gioco.
  Una cosa su cui si insiste molto è lo sforzo di creare una policy a livello nazionale, con una declinazione coerente a livello locale, dove sono attivate coalizioni operative di più soggetti, quali enti locali, terzo settore, scuola, famiglia e così via. È detto, con molta forza, che non bisogna lasciare la scuola, gli studenti, gli istituti scolastici e formativi da soli. È necessario che questi sentano lo sforzo di una comunità che li vuole aiutare.
  Un altro aspetto su cui si insiste molto è la revisione critica degli ostacoli, che impediscono non solo ai ragazzi a rischio, ma a tutti i nostri giovani cittadini, di raggiungere i massimi livelli formativi, a fronte di opportunità di apprendimento quanto più avanzate possibili. Per esempio, mi sono occupato del programma OCSE-PISA per tre anni consecutivi e sono stato il responsabile del progetto per la provincia autonoma di Trento. Mi sono imbattuto in una serie di consulenze dell'OCSE agli Stati partecipanti e, una di esse, rivolta alla Polonia, mi ha colpito in modo particolare.
  La Polonia aveva risultati disastrosi, in competenze chiave quali scienza, matematica, reading comprehension. La consulenza invitava a non anticipare troppo le scelte di indirizzo scolastico e a disegnare un percorso di istruzione simile a quello dei Paesi scandinavi, cioè comprensivo fino a quindici anni. Da questo punto di vista, gli incrementi nei risultati di apprendimento dei ragazzi polacchi – nelle ultime due tornate, 2009-2012 – sono stati davvero significativi, come si dice in termini statistici.
  Un'ultima nota è questa. I soldi sono importanti, ce lo dice anche l'OCSE, ma soprattutto è importante che gli attori in campo abbiano la consapevolezza di dove metterli. È necessario investire sui cosiddetti processi educativi e, dal mio punto di vista di ricercatore, un elemento determinante, per investire sui processi educativi, è avere chiari i dieci fattori di influenza che producono alti livelli di apprendimento.
  Di questi dieci fattori, io parlo al punto G) a pagina 3 del documento depositato. Si tratta, anche in questo caso, di una ricerca evidence-based, centrata sui dati metanalitici – pubblicati tra il 2009 e il 2012 – di circa ottocento studi sperimentali curati da un collega australiano dell'Università di Melbourne, John Hattie.
  I dieci fattori sono i seguenti: aspettative degli studenti; credibilità del docente agli occhi degli alunni; fornire ai docenti un supporto e una valutazione formativa; valutazione degli studenti basata sul feedback educativo; insegnamento reciproco tra pari; programmi per lo sviluppo di abilità cognitive; programmi di arricchimento lessicale; competenza di lettura-Pag. 9comprensione; relazione tra insegnante e studente; organizzatori grafici della conoscenza.
  Quest'area di conoscenza, ad esempio, mi aiuta molto nella formazione in pre-servizio dei docenti, quando seguo gli stessi all'università, e per loro questo costituisce una sorta di «cruscotto» delle conoscenze professionali. Se devo organizzare una didattica, per massimizzare i risultati di apprendimento degli alunni, su quali processi faccio leva ? Quali fattori di influenza posso controllare ?
  Vi ringrazio dell'attenzione.

  PAOLO FERRATINI, Esperto del settore. Ringrazio il Presidente e preciso che, in realtà, io insegno a scuola. Mi scuso, perché mi è mancato il tempo materiale per potervi fornire uno scritto. Se ci sarà l'opportunità e avrà senso, procederò a trasmetterlo successivamente.
  Sono partito dal programma dell'indagine conoscitiva della Commissione, che ho trovato francamente molto ricco di spunti, molto informato e anche impegnato – questo mi ha molto confortato – a individuare le linee di processo per affrontare e accostare la problematica della dispersione scolastica. Do, quindi, per scontata la conoscenza dei dati contenuti in quello scritto, anche perché i colleghi che mi hanno preceduto ci sono tornati sopra.
  Vorrei sottolineare alcuni aspetti del citato programma di questa indagine conoscitiva che particolarmente mi hanno colpito e sui quali mi sento di avanzare qualche aggiustamento di tiro o, in taluni casi, qualche proposta di integrazione delle linee che il decisore politico si appresta ad adottare o intende adottare, di qui al prossimo futuro.
  Partirò da alcune questioni che sono presenti nella relazione introduttiva dell'indagine e che, in parte, sono già state toccate anche dall'intervento precedente, soprattutto per quello che riguarda l'anagrafe. Chiuderò, poi, su una questione che – secondo me con buone ragioni – è molto presente nella suddetta relazione, ma che – per ora – non è stata toccata. Mi riferisco agli studenti stranieri.
  Per quanto riguarda l'anagrafe, io ritengo che tutto ciò che è stato scritto in quella relazione introduttiva, a proposito dell'integrazione dei dati tra l'Anagrafe nazionale degli studenti del Ministero dell'istruzione e le altre anagrafi, come i dati degli uffici scolastici regionali, sia ottimo. Devo dire che, dal 2005 in avanti, dopo circa un triennio di rallentamento, negli ultimi tempi sono stati fatti dei passi avanti. Questo è uno strumento essenziale, per i motivi che dicevamo prima.
  L'informazione mirata e quasi microscopica sui casi singoli – scuola per scuola e plesso per plesso, come si diceva – e le caratteristiche della dispersione scolastica, degli abbandoni precoci, delle ripetenze, dei ritardi – soprattutto per quanto riguarda i ritardi degli studenti stranieri che non sono ammessi nella classe della propria coorte di età –, sono tutti dati ovviamente essenziali, a patto però che siano rispettate due condizioni.
  La prima condizione è che la direzione sia biunivoca. Il fatto di implementare una banca dati, straordinariamente efficiente nella capacità di distillare i dati anche nelle loro caratteristiche microscopiche, senza però un ritorno di questi dati alle scuole stesse, che ne sono i principali fornitori, è un'operazione che rischia di essere un eccellente patrimonio di dati utili per gli uffici studi e le analisi, ma non per gli interventi. È quindi essenziale pensare a come garantire, nel meccanismo di fornitura delle informazioni, l'andare e il ritornare dei dati.
  È chiaro che i dati entrano grezzi e devono uscire, invece, con un commento, cioè con una qualità di lettura che consenta alle singole scuole, ai territori, agli uffici scolastici regionali, alle regioni, ai comuni – non cito più le province per ovvi motivi – di orientare le proprie politiche di aggressione nei confronti del fenomeno.
  Il secondo punto fondamentale è che l'anagrafe degli studenti va benissimo, ma bisognerebbe provare a immaginare cosa dovrebbero fare i comuni. In una logica sussidiaria, i comuni dovranno fare quello che lo Stato non è in grado di fare, perché lo Stato accentra i dati e può analizzarli Pag. 10e fornirli. Il comune, in sinergia con gli uffici e i centri per l'impiego, dovrà creare piuttosto un'anagrafe dei dispersi.
  A livello di territorio, abbiamo bisogno di una capacità di lettura del fenomeno che intercetti i casi singoli e sia in grado di recuperare storie e vicende, in modo che il territorio sia messo in condizione, sia nelle cause della dispersione sia negli effetti, di recuperare le persone attraverso strategie «multi-attoriali», che coinvolgano non soltanto il pubblico, ma anche il privato sociale, l'associazionismo e il volontariato specializzato nella cosiddetta «seconda opportunità».
  Nel 2012, l'ISFOL ha realizzato un'indagine molto interessante, intitolata «Le dinamiche della dispersione formativa: dall'analisi dei percorsi di rischio alla riattivazione delle reti di supporto», centrata principalmente sui percorsi di istruzione e formazione professionale. L'ISFOL, da ente di ricerca qual è, ha condotto un'analisi campionaria su 1.500 dati, su base nazionale, un tipo di analisi finalizzata a uno studio analitico e alla presentazione dei dati.
  Quel tipo di modello, però, una volta riprodotto non in modo campionario, ma in modo censuario su territori e distretti, potrebbe costituire non semplicemente un elemento di riflessione, di studio e valutazione del fenomeno, ma la base per un intervento razionale. Le possibilità ci sono. Il tema che io intitolo «anagrafe» è molto più complesso e richiede sia una serie di interventi sia la partecipazione di diversi attori che condividano un insieme di obiettivi.
  L'altro aspetto che, giustamente, il programma della Commissione mette in evidenza è quello della valutazione dei processi messi in atto contro la dispersione. Nel programma si dice che i Piani operativi nazionali (PON), soprattutto per quanto riguarda le regioni dell'Obiettivo Convergenza, sono stati sostanzialmente un fallimento, perché, misurando lo scarto fra il punto di partenza e il punto di arrivo, ci si accorge che i livelli raggiunti – in termini di incremento di successo formativo – non sono molto rilevanti.
  Sappiamo che lì sono state impiegate risorse molto ingenti. In futuro, i 15 milioni di euro di cui parlava prima il collega – quelli stanziati operativamente attraverso il decreto ministeriale n. 87 del 7 febbraio 2014 – che fine faranno ? Che prospettive di miglioramento e di efficacia daranno non soltanto nel brevissimo periodo, ma anche nel medio termine ? Si tratta di progetti di durata biennale. Al termine del biennio cosa resta di quelle pratiche ? La mia personale esperienza mi dice che di questi progetti non resta praticamente niente.
  La raccomandazione che mi sentirei di fare al decisore politico è cominciare a ragionare in una direzione diversa: basta con i «progettifici», perché i progetti non producono – ahimè – routine. È questo il problema. La questione della dispersione, come altre questioni, si risolve nel momento in cui è la scuola «normale» ad agire in un certo modo.
  Quindici milioni di euro stanziati possono anche essere risorse interessanti, nel momento in cui riguardano un biennio: succede però che si alimentano dei progetti, probabilmente anche ben fatti – il decreto attuativo è costruito molto bene da questo punto di vista perché prescrive in modo puntuale le caratteristiche dei progetti finanziabili –, si procede quindi alla formazione di alcune, poche, decine di insegnanti e alcune pratiche, effettivamente, producono qualche risultato nel biennio in cui il progetto è in corso, ma tutto questo non è in grado di modificare la routine scolastica. Quello che manca davvero è la capacità di avere uno standard in grado di affrontare il problema.
  A un certo punto il programma della Commissione si pone la domanda se i processi avviati contro la dispersione garantiscano costanza nel tempo. La risposta, a mio parere, è assolutamente no. Naturalmente vi sono scuole eccezionali – in territori particolarmente coesi – che già operano da sole. Queste però non riescono a creare un tessuto, non riescono cioè a essere importanti dal punto di vista numerico.Pag. 11
  Si possono citare vari progetti. In Emilia-Romagna, per esempio, il progetto «SeiPiù», che riguarda istituti tecnici e professionali, raccoglie sessanta scuole in rete che realizzano cose straordinarie in termini di recupero. Analogamente ai maestri di strada, si vanno a cercare le situazioni critiche, reintroducendo i soggetti attraverso canali molto forti, quali il privato sociale e il volontariato che svolge scuola di seconda opportunità, e attraverso legami molto forti con i centri territoriali permanenti per l'istruzione e la formazione in età adulta (CTP), su cui fra poco tornerò.
  L'altro tema che volevo affrontare è quello degli studenti stranieri. È un tema che funziona come cartina di tornasole per tutte le situazioni di svantaggio sociale, con la differenza che sugli stranieri abbiamo una ricchezza notevole di dati, perché il fenomeno è molto studiato. Sulle infinite varianti dello svantaggio sociale è più complicato avere dati controllabili, ma per approssimazione possiamo dire che certi svantaggi, caratteristici della popolazione giovanile straniera in età scolare, sono estendibili, per analogia, anche ad altri tipi di svantaggio sociale. Ragionare su ciò che accade presso la popolazione straniera in età scolare, soprattutto tra gli stranieri di seconda generazione – gli stranieri di prima generazione ovviamente pongono problemi molto specifici –, ci aiuta a capire tante cose.
  Innanzitutto, parlando della scuola secondaria superiore – il dato nel primo ciclo è maggiore, quasi doppio – la percentuale nazionale è già vicina al 7 per cento di alunni stranieri. Parliamo cioè di 175.000 ragazzi, che non sono un numero esiguo. Se disaggregassimo il dato, vedremmo che in certe regioni, soprattutto nel nord, questo dato è davvero rilevante. Considerando, sul piano della distribuzione, che l'80 per cento di questi ragazzi frequenta gli istituti tecnici e gli istituti professionali, ci rendiamo conto che esistono diversi problemi, anche attinenti a quella che rischia di diventare una forma di segregazione formativa, di cui non possiamo non farci carico.
  Il motivo è molto semplice. Un'indagine dell'Unione europea, The Integration of the European Second Generation (TIES) ha messo in evidenza – presentando dati molto ben fondati – che l'integrazione degli stranieri ha una relazione molto più forte con il sistema educativo che non con il modello culturale attraverso cui l'integrazione passa, sia questo modello quello «assimilazionista» di stampo francese o quello multiculturale di stampo inglese. È interessante tale risultanza, perché il livello di integrazione appare forte dove i sistemi educativi si sono pian piano attrezzati ad affrontare questo tipo di problema.
  Sempre l'indagine TIES mette in evidenza un altro dato di grande interesse: la prima generazione di immigrati investe molto sulla scuola. Ci sono indagini empiriche o survey, con un forte fondamento di carattere statistico, che dimostrano come la domanda di scolarizzazione e il livello di fiducia e di investimento da parte degli immigrati sia tendenzialmente maggiore rispetto ai residenti. In Italia questo è un dato evidente, ma appartiene anche alla storia dei Paesi di più lunga immigrazione.
  La prima ondata di immigrati investe molto sull'istruzione della seconda generazione ma, nel momento in cui la seconda generazione fallisce e dimostra alla prima che quell'investimento era mal fondato, la terza generazione tende a sfuggire sempre di più. C’è un processo di décalage negativo, nell'investimento sulla scuola, che i Paesi di più antica immigrazione hanno rilevato con una serie di indagini longitudinali e che ci permette di capire che il rischio di avere nicchie etniche, con tutti i problemi e i costi sociali di welfare e di sicurezza che queste comportano, è fortemente correlato alla capacità del sistema educativo di integrare la seconda generazione.
  Per questo il tema della seconda generazione è un tema cruciale, in modo particolare per l'Italia, che è un Paese di immigrazione relativamente recente e che vive, adesso, questo problema. Non possiamo tardare. Nel momento in cui sarà Pag. 12fallito l'investimento nel sistema educativo della seconda generazione di stranieri sarà per noi troppo tardi.
  Questi due elementi mi portano a dire che alcuni dei dati che il collega prima ricordava, e che possiamo definire determinanti per una scuola inclusiva e capace di produrre più successo, vanno messi in conto. Giustamente, si ricordava il tema della scuola dell'infanzia. Noi siamo al di sopra del target fissato dalla Strategia «Europa 2020», ma dobbiamo ricordarci dei numeri e non solo delle statistiche.
  Abbiamo ancora 40.000 bambini che non entrano alla scuola dell'infanzia e se, come ripeto, disaggreghiamo il dato, scopriamo che sono, in particolare, in alcune regioni del sud dell'Italia, le stesse regioni che, guarda caso, hanno i tassi di dispersione maggiore. La correlazione che ricordava prima il collega è assolutamente acclarata. Nessuno dubita più che longitudinalmente esista un rapporto. Questo ci dice una cosa molto semplice e cioè che sulla scuola dell'infanzia abbiamo un obiettivo ben preciso da perseguire. Nel momento in cui dobbiamo capire dove destinare alcune risorse, si parte da lì o almeno questo è ciò che ritengo io.
  Un secondo dato molto interessante che riguarda l'organizzazione della scuola – e naturalmente anche il tema del tempo pieno – è quello dei compiti a casa. Può sembrare una sciocchezza e invece è un dato che, da tutte le indagini internazionali, risulta decisivo. Se nel ciclo primario, della scuola elementare, non si produce una continuità educativa durante la giornata, comprendendo l'intero arco orario dell'impegno del bambino con l'assistenza dell'insegnante, e demandando una parte della formazione al lavoro casalingo, questo, come è ovvio, genera una disparità evidente laddove ci sono contesti sociali e socioeconomici che non consentono a chi sta in casa di imparare alcunché o laddove vi sono dei contesti alloglotti, dove l'ignoranza della lingua italiana non consente, anche in presenza della migliore volontà o di buoni assetti culturali, di trasmettere alcunché al bambino.
  Quello che può sembrare un aspetto banale diventa invece un fattore decisivo. Come agiamo su questo ? Come incidiamo ? Non lo so, ma credo che, per esempio, un'analisi regione per regione, territorio per territorio, già ci fornirebbe una serie di risultati interessanti e anche delle prospettive di intervento.
  Naturalmente, ci sono altre questioni su cui non posso fermarmi. Cito soltanto la qualità dell'orientamento e il tema della precocità della scelta già ricordato prima, cui aggiungerei quello della reversibilità della scelta: la scelta può anche essere non precoce ma, nel momento in cui per la rigidità del sistema quella scelta risulta irreversibile, è molto facile che, laddove si riveli sbagliata, generi abbandono scolastico. Mi riferisco alla scuola secondaria superiore.
  Un altro tema è quello della seconda opportunità. Oggi, quasi il 20 per cento degli stranieri iscritti ai citati CTP ha un'età inferiore ai diciannove anni. Questo ci dice una cosa ben precisa e cioè che l'istruzione pensata per gli adulti ha, in realtà, una domanda forte di seconda opportunità, cioè di ragazzi che sono stati espulsi dal sistema scolastico normale e che tentano di riprendere gli studi. Non è così banale che un ragazzo di quindici o sedici anni vada in un CTP o in una scuola serale. Vuol dire che c’è comunque una volontà, una determinazione. Possiamo davvero pensare di fare a meno di occuparci di questo tema ? Questo dato sulla seconda opportunità è piuttosto importante.
  C’è poi la questione dei ritardi. Come sapete, la normativa dello Stato (articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999) stabilisce che lo straniero che si iscrive in una scuola debba essere inserito nella classe della sua età, salvo deroghe. Queste deroghe sono decise dal collegio dei docenti e dal consiglio d'istituto, sulla base di alcune motivazioni che – molte volte – sono addotte in totale buona fede, con l'idea che mettendo questi ragazzi in una classe precedente possano essere facilitati nell'apprendimento della lingua e così via.Pag. 13
  I dati empirici mostrano che questo non è vero. Rarissimamente si verifica che il ritardo comporti un successo. Ci sono anzi indici di correlazione fra ritardi e ripetenza. Sulle deroghe esiste, quindi, un problema. Anche questa questione, però, deve essere fatta propria dalle scuole. Non si può imporre per legge la rinuncia alla deroga, perché la legislazione giustamente la prevede, e peraltro, in certi casi, la prevede anche in alto.
  Avere corsi intensivi di «italiano lingua due» che durino tutto l'anno, anche d'estate, o avere corsi di lingua per disciplina, come giustamente viene ricordato anche nel documento redatto dalla Commissione, richiede evidentemente risorse, soprattutto umane e professionalizzate, cioè con un alto livello di specializzazione. Dove troviamo queste risorse ?
  In sintesi, dobbiamo puntare sulla formazione dei docenti, ma dobbiamo avere docenti sistematicamente dedicati. Mi rifaccio a ciò che dicevo all'inizio: non può essere tale attività un progetto. Per avere ciò bisogna che una quota di docenti sia rimotivata e, sicuramente, riprofessionalizzata in tale direzione. Serve un organico di istituto che non ha niente a che vedere con l'organico «piatto» che abbiamo oggi. Dobbiamo avere risorse in più, ma questo non vuol dire nulla in tempi in cui le risorse scarseggiano. Dobbiamo quindi capire dove tagliare.
  Mi permetto di suggerire come ipotesi, visto che è all'ordine del giorno, di ragionare davvero sull'abbreviazione del curricolo scolastico. È l'unico modo realistico per ricavare risorse ingenti e professionali senza tagli, ma con una ridefinizione e una riallocazione delle risorse, in grado di affrontare seriamente questo come altri problemi di qualificazione del sistema scolastico.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo al professor Ferratini, ma la richiesta non è pressante, di relazionarci eventualmente per iscritto, perché il suo intervento è stato interessante e contiene alcuni dati che sarebbe utile avere a disposizione.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA MARZANA. Ringrazio i professori per i loro suggerimenti. Vorrei porre alcune domande.
  Anzitutto, si è parlato dell'Osservatorio che è stato istituito anni fa – non è stato precisato quando – in Sicilia per monitorare il fenomeno della dispersione scolastica, che in Sicilia, e più in generale al sud, rappresenta davvero un grave problema. Vorrei capire quali sono i risultati che questo monitoraggio più dettagliato ha prodotto, dato che lo si vorrebbe replicare per tutta l'Italia. Il MIUR vorrebbe adoperare questo strumento, ma se in Sicilia il problema continua a essere grave, mi chiedo quale risvolto positivo possa avere.
  I vostri interventi, peraltro, confermano un fatto che noi condividiamo e cioè che sono state investite risorse su progetti, ma non si agisce mai in maniera strutturale. È invece confermato che se si aumentasse il tempo scuola, in particolare al sud, la dispersione sarebbe notevolmente inferiore. Naturalmente, deve essere un tempo scuola di qualità, in cui recuperare o potenziare le varie competenze.
  Noi ci troviamo d'accordo su questo, anche perché i dati mostrano che al nord, dove le scuole primarie offrono anche il tempo pieno, la dispersione è molto inferiore. Al sud, dove invece solo il 5 per cento delle scuole primarie offre questa opportunità, la dispersione è superiore. Considerato che le famiglie, come voi dicevate, sono scarsamente sensibili all'importanza del tempo pieno, la prima domanda è se sia il caso di utilizzare due strategie, una per ridurre la dispersione e l'altra per sensibilizzare le famiglie sull'importanza del tempo pieno.
  Un'altra domanda è invece relativa alla valutazione. Visto che siete degli insegnanti, non credete che lo strumento dell'INVALSI per la valutazione degli apprendimenti sia inadeguato dal punto di vista metodologico, dal momento che per valutare le competenze vengono utilizzati dei quiz, e riduttivo, visto che si valutano solo Pag. 14le competenze nell'ambito matematico e linguistico senza tener conto della molteplicità delle intelligenze, così come teorizzato da vari pedagogisti ?
  Non si dovrebbe tenere conto anche di questo, in maniera tale da valorizzare ciascuno studente e farlo sentire coinvolto dal processo di apprendimento e di insegnamento, anziché creare quella disaffezione che porta, poi, alla dispersione scolastica ?

  MILENA SANTERINI. Sarò breve. Ringrazio gli esperti che sono intervenuti, perché ci aiutano a mettere a sistema il tema della prevenzione e del contrasto alla dispersione. Di questo parliamo. Stiamo provando a ragionare su una qualificazione complessiva del sistema-scuola, sia a livello di prevenzione, sia a livello di progetti specifici, per quanto riguarda il contrasto e il recupero di situazioni che sono già in fase di abbandono o di ritardo o di bocciatura.
  La messa a sistema coincide con la qualità della scuola stessa. Ci siamo detti – fin dall'inizio – che combattere la dispersione vuol dire migliorare la scuola italiana. Le priorità, però, non le abbiamo individuate e, a un certo punto, saremo chiamati a darcele. Per questo ringrazio molto il professor Gentile, le cui priorità io condivido, e gli chiedo di aiutarci – non oggi, ma in un secondo momento – a capire meglio il problema dell'applicazione rigorosa, nelle regioni italiane, dell'ordinamento sull'offerta formativa nella formazione professionale.
  In Italia infatti abbiamo un problema fondamentale, vale a dire lo scarso investimento del Paese, anche culturale, nella formazione professionale, che è diventata il serbatoio della dispersione. Come è stato affermato anche in altre audizioni, la formazione è il contenitore dove vengono spinti i ragazzi stranieri, compresi quelli che hanno maggiori possibilità e capacità. Siamo arrivati al punto di capire che cosa voglia dire rendere sostanziale l'intervento che abbiamo già fatto, reinvestendo non per forza di più, ma, meglio, dal basso. Dobbiamo capire cos’è della formazione professionale che non funziona.
  L'altra domanda è per il professor Ferratini e riguarda il «progettificio». Il problema è che i cosiddetti PON sono progetti europei, così come la logica del progetto è una logica europea. Anch'io credo che, per certi aspetti, non sia una logica ancora del tutto adatta all'Italia, che ha problemi strutturali. Noi usiamo i progetti in modo estemporaneo, a pioggia. Io sono molto critica persino sul decreto attuativo della legge n. 128 del 2013, denominata «l'istruzione riparte», di conversione del citato decreto legge n. 104 del 2013, che abbiamo votato qui e che ha ridistribuito i pochi soldi disponibili, a casaccio. Questo ci dà un senso di sconforto, ma, ovviamente, cerchiamo di lottare contro questa impressione. Si tratta, quindi, di utilizzare i fondi europei in un altro modo.
  Ci vuole un'intelligenza progettuale su cui vi chiedo di darci qualche indicazione.

  GIANCARLO GIORDANO. Vorrei avere un chiarimento.
  In tutte le analisi e le relazioni che ci avete proposto vi è tutto un rincorrersi di necessità che la scuola ha in termini di risorse, di qualità e qualificazione della spesa. Nelle sue frasi conclusive, tuttavia, il professor Ferratini usa la parola «tagli», riferendosi, se ho capito bene, alla durata del percorso scolastico.
  Ebbene, vorrei capire come si sposino queste due esigenze, posto che di tagli, almeno in termini di risorse, ne abbiamo già realizzati abbastanza in questi anni.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  SALVO INTRAVAIA, Esperto del settore. Rispondo alla domanda sull'Osservatorio siciliano.
  Nasce venticinque anni fa, a Palermo, e vi è stato il distacco – come auspicava il collega – di circa cento soggetti che non hanno più insegnato, ma si sono occupati solo di supporto psico-pedagogico. I risultati Pag. 15sono questi. Nel 1987-1988, a Palermo, la dispersione complessiva nella scuola primaria, era del 7,6 per cento. Oggi, siamo allo 0,93 per cento: è stata quasi azzerata. Nella scuola media partivamo dal 26,6 per cento e siamo arrivati all'8,28 per cento: è stata ridotta, praticamente, ad un terzo rispetto a quella di venticinque anni fa. Alla scuola secondaria superiore la dispersione è stata ridotta dal 20 per cento al 16 per cento, perché nella scuola superiore la dispersione è soprattutto caratterizzata dalle bocciature.
  Oggi, la dispersione nella scuola primaria e nella scuola media è praticamente azzerata: non ci sono più evasioni e non ci sono quasi più abbandoni. Come ripeto, sono state distaccate delle persone e, anziché lavorare su progetti, sono state destinate risorse. È chiaro che questi soggetti costano il doppio allo Stato, perché al loro posto va un insegnante supplente.
  Costano «molto» – fra virgolette –, ma ci hanno fatto risparmiare.

  PAOLO FERRATINI, Esperto del settore. Con riferimento alla domanda dell'onorevole Marzana concernente l'INVALSI, non c’è una correlazione fra i due aspetti evidenziati, innanzitutto perché l'INVALSI misura alcuni aspetti e la scuola ne valuta altri. L'INVALSI è un elemento importantissimo, perché consente di misurare alcune competenze che sono confrontabili con le misurazioni che avvengono negli altri Paesi europei. Da questo punto di vista, è uno strumento di conoscenza assolutamente ineccepibile.
  È anche orientativo nei confronti della scuola, perché la obbliga a ragionare e non per quiz. I test INVALSI non sono quiz, sono molto più complessi e, adesso, anche molto ben fatti. I primi erano bruttini. Adesso sono migliori e sempre più qualitativi dal punto di vista della richiesta. Hanno un tipo di orientamento nei confronti della scuola che non va sottovalutato. Il mio parere è che, da questo punto di vista, i test INVALSI siano una ricchezza della scuola italiana di oggi.
  Per quel che riguarda la formazione professionale, cui alludeva l'onorevole Santerini, non c’è dubbio che sia un grande tema. La formazione professionale non sarà mai appetibile fino a che non riusciremo a spingerla verso l'alto. Un altro tema è l'istruzione tecnica superiore, che c’è, ma va assolutamente incrementata. Se io dovessi ragionare, a medio termine e per grandi aggregati, su dove mettere le risorse, le metterei in basso, nella scuola dell'infanzia, e in alto, nell'istruzione tecnica superiore.
  Per quanto riguarda il «progettificio», sono d'accordo con lei. L'Europa funziona con i progetti. Il problema è che anche noi funzioniamo con i progetti. Il decreto cui lei faceva riferimento è quello che destina 15 milioni di euro – che sono sostanzialmente dei coriandoli –, che temo finiranno in niente. Il mio timore è questo. Allora è meglio non metterli.
  Il tema sollevato dall'onorevole Giordano è molto interessante, ma io, in questo caso, non parlavo di tagli nel senso di una diminuzione della spesa aggregata. Parlavo di riallocazione della spesa. Proprio perché non possiamo più effettuare tagli, ma – ahimè – è ragionevolmente difficile pensare che potremo incrementare l'aggregato della spesa per ovvi motivi, credo che l'unica strada sia riallocare la spesa.
  Una strada fra le tante possibili, ma sicuramente fattibile e di sostanza, è quella di ripensare il curricolo di un anno, abbreviando l'uscita a diciotto anni, il che consentirebbe non di tagliare le risorse ma di riutilizzarle.

  MAURIZIO GENTILE, Esperto del settore. Non posso rispondere a tutti gli elementi offerti dai due interventi precedenti. Mi soffermo sull'ultimo aspetto evidenziato dall'onorevole Santerini e cioè sull'intelligenza progettuale. Voglio dare rapidamente una risposta di carattere metodologico.
  Ogni soluzione produce un problema. Se riusciamo a orchestrare bene un insieme di soluzioni, dimensionandole secondo le finalità generali, riduciamo gli effetti imprevisti delle azioni. In questo spirito, ad esempio, ho orientato i contenuti del documento che ho portato alla vostra attenzione.Pag. 16
  L'altro aspetto che mi sembra evidente è che, per agire in modo efficace sulla dispersione scolastica, è necessario uscire dalla logica segmentaria e avere un quadro generale degli interventi, all'interno del quale scegliere le priorità.

  PRESIDENTE. Ringrazio ciascun esperto intervenuto per il contributo apportato all'indagine conoscitiva. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna delle note consegnate dal professor Salvo Intravaia (vedi allegato 1) e dal professor Maurizio Gentile (vedi allegato 2).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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