XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Martedì 12 dicembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE BUONE PRATICHE DELLA DIFFUSIONE CULTURALE

Audizione di: Francesca Moncada, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto»; Luisa Finocchi, direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori; Stefano Arrighetti, presidente e rappresentante legale dell'Istituto Ernesto De Martino; Paolo Giulierini, direttore del Museo archeologico nazionale di Napoli.
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 
Moncada Francesca , presidente del progetto «Le dimore del Quartetto» ... 3  ... 3 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 4 
Bovone Alice , coordinatrice del progetto «Le dimore del Quartetto» ... 4 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 4 
Semerari Ottavia , coordinatrice del progetto «Le dimore del Quartetto» ... 4 
Moncada Francesca , presidente del progetto «Le dimore del Quartetto» ... 5 
Semerari Ottavia , coordinatrice del progetto «Le dimore del Quartetto» ... 5 
Moncada Francesca , presidente del progetto «Le dimore del Quartetto» ... 5 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 5 
Finocchi Luisa , direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori ... 5 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 8  ... 8 
Arrighetti Stefano , presidente e rappresentante legale dell'Istituto Ernesto De Martino ... 8 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 10 
Portelli Alessandro , Membro del comitato scientifico dell'Istituto Ernesto De Martino ... 10 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 10 
Giulierini Paolo , direttore del Museo archeologico nazionale di Napoli ... 10 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 12 
Nicchi Marisa (MDP)  ... 12 
Portelli Alessandro , Membro del comitato scientifico dell'Istituto Ernesto De Martino ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
Finocchi Luisa , direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia: (FdI);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori - Energie PER l'Italia: Misto-CI-EPI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FLAVIA PICCOLI NARDELLI

  La seduta comincia alle 11.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di: Francesca Moncada, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto»; Luisa Finocchi, direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori; Stefano Arrighetti, presidente e rappresentante legale dell'Istituto Ernesto De Martino; Paolo Giulierini, direttore del Museo archeologico nazionale di Napoli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle buone pratiche della diffusione culturale, l'audizione di Francesca Moncada, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto»; di Luisa Finocchi, direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, nonché componente del Comitato direttivo Bookcity; di Stefano Arrighetti, presidente e rappresentante legale dell'Istituto Ernesto De Martino, e di Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
  Avverto che la raccolta delle memorie pervenute è a vostra disposizione. Nel rivolgere un saluto di benvenuto a tutti gli ospiti presenti e chiedere loro di contenere gli interventi entro i 7 minuti, comunico che le bozze dei resoconti delle precedenti audizioni sono già disponibili, le prime tre (26 settembre e 3 e 10 ottobre) già in versione definitiva sul nostro sito, le restanti in versione provvisoria.
  Do la parola alla dottoressa Francesca Moncada.

  FRANCESCA MONCADA, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto». Volevo ringraziare la presidente Flavia Piccoli Nardelli per averci invitato a raccontare il nostro progetto e, prima di cominciare a parlare, volevo mostrarvi un brevissimo video che racconta l'esperienza delle Dimore del Quartetto.

  (Segue proiezione video).

  FRANCESCA MONCADA, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto». Il progetto realizzato con l'Associazione dimore storiche italiane è estremamente semplice: si tratta di una rete di dimore storiche che accolgono giovani quartetti d'archi per una residenza, prima di un impegno artistico, in cambio di un concerto finale, che spesso è la prova generale del quartetto stesso. Da una parte, quindi, abbiamo le dimore storiche, patrimonio privato italiano, importantissimo per l'Italia, che spesso è chiuso e nessuno lo può visitare; però è anche un patrimonio di tutti. I padroni di casa fanno fatica a mantenere queste case, perché le famiglie sono diventate piccole, pochi hanno personale di servizio per mantenere queste proprietà che hanno ereditato e a cui vogliono bene. Sono coscienti che non sono loro, ma sono cose da trasmettere al futuro: perciò hanno bisogno di essere sostenuti nell'importante compito di preservare questo patrimonio. Dall'altra parte abbiamo i quartetti d'archi, che studiano per una vita: è un lavoro duro. Il quartetto è Pag. 4una vera vocazione, perché significa sposare altri tre musicisti e formare una famiglia musicale; un quartetto per essere credibile musicalmente deve suonare insieme e sempre insieme, provando giornalmente per 5-6 ore, perché altrimenti è un ensemble slegato. Per diventare quartetto si deve veramente studiare perennemente insieme. Questa è una vera vocazione che fa parte della tradizione del repertorio italiano: Ricordiamoci che quello italiano è stato uno dei quartetti più importanti del mondo a livello internazionale; quindi è una tradizione italiana importante ed è un genere musicale erroneamente pensato come élite, perché in realtà è musica da camera: veniva suonato nelle camere. Riportare il quartetto all'interno delle dimore storiche significa ridargli la dimensione per la quale è stata scritta.
  Abbiamo messo in comunicazione queste due entità: gli esuberi degli spazi degli uni diventano risorsa per gli altri e viceversa, e far parlare queste due dimensioni diverse è diventato un moltiplicatore straordinario per molte altre entità. Alice Bovone ci racconta brevemente come funziona.

  PRESIDENTE. Prego, dottoressa.

  ALICE BOVONE, coordinatrice del progetto «Le dimore del Quartetto». I quartetti d'archi, che fanno parte del nostro progetto, sono selezionati per la qualità artistica da un direttore artistico, che è Simone Gramaglia del Quartetto di Cremona. Tramite il nostro sito, i membri del quartetto possono vedere la lista di dimore che partecipano al progetto, che sono distribuite sull'intero territorio italiano. Essi poi ci comunicano il luogo in cui hanno un impegno artistico e, con queste informazioni, noi organizziamo una residenza nella dimora che dura per un periodo massimo di una settimana e culmina con un concerto, che è sempre gratuito per chi vi partecipa. Questo concerto offre una modalità di fruizione e di ascolto della musica da camera completamente diversa da quella delle sale da concerto tradizionali, perché si crea veramente una vicinanza tra musicisti, pubblico e proprietari, che fa sì che crollino quelle barriere che spesso esistono tra i non esperti del genere musicale e questi musicisti.
  Abbiamo formulato un'idea di concerto che è abbastanza breve, dura circa 50 minuti, viene introdotto dai giovani musicisti stessi che presentano brevemente il programma musicale e spiegano il motivo per cui si trovano nella dimora, e c'è un'accoglienza personale da parte del proprietario: quindi si crea un'esperienza conviviale, che spesso è seguita da un aperitivo o un piccolo rinfresco, e dà veramente modo a questi attori di dialogare tra loro e sentirsi vicini. In questo modo siamo riusciti a creare un nuovo pubblico perché, essendo i concerti gratuiti, non sono frequentati soltanto da chi si interessa già del genere, ma anche da chi passa nel paese dove il concerto si trova, chi può essere interessato a scoprire di più sullo spazio che viene aperto e chi semplicemente cerca un intrattenimento per quella giornata. Beneficiano quindi di questo nuovo pubblico sia tutto il sistema musica da camera, sia il turismo e il territorio, come vi spiega brevemente Ottavia Semerari.

  PRESIDENTE. Prego.

  OTTAVIA SEMERARI, coordinatrice del progetto «Le dimore del Quartetto». Abbiamo il pubblico delle comunità locali, perché spesso queste dimore sono situate in luoghi remoti, in campagna, in borghi che stanno vivendo il dramma dello spopolamento; sicché, noi portiamo contenuti culturali di livello, gratuiti, che altrimenti difficilmente potrebbero essere vissuti in questi territori. Le comunità locali entrano in queste dimore storiche solitamente chiuse al pubblico, ma che invece fanno parte dell'identità di questi luoghi stessi; quindi, da una parte, il nuovo pubblico delle comunità locali, dall'altra, i concerti che diventano pretesti per itinerari turistici, per portare visitatori fuori dalle mete più battute, in territori meno conosciuti, ma altrettanto interessanti.
  Stiamo cercando di dare un taglio più turistico alla nostra attività, collegando le Pag. 5dimore con i vari punti di interesse nella zona e con la possibilità di organizzare piccoli festival quando abbiamo numerosi concerti in una determinata zona.

  FRANCESCA MONCADA, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto». Per quanto riguarda la musica da camera in Italia, la creazione di un nuovo pubblico è fondamentale. Il pubblico sta invecchiando; le scuole che si sono messe a insegnare musica, per produrre nuovi spettatori ci metteranno un pochino; questo invece è immediato. Ci siamo accorte in modo palpabile che sta cambiando il gruppo di gente che viene anche solo alla Società del Quartetto di Milano. Attraverso questa serie di contaminazioni che abbiamo fatto nell’hinterland milanese, la stessa società per concerti ci riconosce questo ruolo di rinnovo del pubblico di musica da camera.
  Lavoriamo in questo senso e lavoriamo anche per questi giovani quartetti; infatti, interagendo con festival, società per concerti, agenzie e concorsi, i nostri quartetti trovano uno sbocco lavorativo, perché si sta creando una domanda. Noi creiamo la logistica per i festival e società per concerti e loro ingaggiano in tournée i nostri quartetti, perché hanno già i luoghi dove farli dormire e creare delle conversazioni-concerto.
  I dati sono già confortanti: nel 2017 abbiamo creato un centinaio di residenze, 80 concerti in collaborazione spesso con società per concerti, e abbiamo una trentina di quartetti internazionali; siamo stati chiamati da Associazione Dimore Storiche Europa, che ci ha chiesto di sviluppare il progetto su 22 Paesi e c'è la possibilità concreta di lavorare con Gioventù musicale internazionale che è già pronta a mettersi con noi per creare tournée internazionali. I numeri dovrebbero essere sviluppati con un centinaio di quartetti qualificati, noi dobbiamo fare da ponte e possiamo creare veramente dei percorsi comunitari europei per il loro impiego concreto nel mondo del lavoro. Sono numeri interessanti, perché su 100 vuol dire trovare lavoro a 400 giovani che si sono impegnati e hanno fatto studi molto importanti, ma anche portare in giro per l'Europa, non per le città principali, ma per le campagne, per i luoghi meno battuti, un nuovo turismo culturale, di élite culturale; non élite economica, perché è tutto gratuito: questi scambi non costano niente né ai padroni di casa, né ai quartetti che pagano 50 euro annuali solo per la segreteria, per poter essere in tutte queste case. C'è un reale scambio, la possibilità di fare progetti e master class in queste dimore che si aprono e si riempiono di contenuti interessanti per tutti.

  OTTAVIA SEMERARI, coordinatrice del progetto «Le dimore del Quartetto». Questo è il lato bellissimo, però ci sono chiaramente delle difficoltà, e le maggiori che incontriamo e per cui purtroppo talvolta i concerti non possono essere aperti al pubblico, sono le difficoltà burocratiche, sono i permessi SIAE, sono le agibilità degli spazi, quindi in questo vi chiediamo di aiutarci a semplificare queste procedure.

  FRANCESCA MONCADA, presidente del progetto «Le dimore del Quartetto». La seconda cosa molto importante è aver fatto rete e aver riempito quei piccoli vuoti che c'erano fra le varie istituzioni. Vi chiediamo di aiutarci a fare rete perché con la vostra indagine sicuramente avrete molte idee in proposito e io spero che con l'analisi che avete fatto emergano anche delle possibilità di far rete con altre cose, altre organizzazioni che possono parlare con il nostro progetto.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Moncada, grazie anche ad Alice Bovone e ad Ottavia Semerari che l'hanno accompagnata. Passiamo subito alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, alla dottoressa Finocchi, a cui chiediamo però un contributo specifico su Bookcity, visto il successo dell'iniziativa.

  LUISA FINOCCHI, direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Grazie mille per avermi invitato a riflettere su questo modello assolutamente originale e a cui spero di portare un piccolo contributo di riflessione. Pag. 6
  Giovedì scorso su Sette, Paolo Di Stefano, giornalista de Il Corriere della Sera, intervistato su che cosa avrebbe voluto dalla cultura milanese, scrive: «Cosa vorrei da Milano? Attenuerei il gigantismo, tradizionale vanto cittadino, mi piacerebbe una Milano in cui la cosiddetta cultura diffusa di cui si parla nei giorni di Bookcity fosse il tratto quotidiano esteso tutto l'anno; vorrei sentire più spesso due aggettivi, piccolo ma diffuso; mi piacerebbe una città le cui scuole ospitassero sempre più protagonisti dei mestieri, dell'artigianato, del lavoro culturale, mi piacerebbe che non si confondesse la piacevole fiera delle vanità, sbeffeggiata già dallo scrittore seicentesco milanese Carlo Maria Maggi, con la cultura davvero del territorio».
  Perché sceglie proprio Bookcity come modello positivo delle tante iniziative milanesi? Perché questa è un'esperienza unica, per molti versi innovativa e spesso difficile da raccontare e da capire. Un po'di storia ci vuole: nel 2011, cambio di clima nell'area milanese, molto fermento per le politiche culturali della città, quattro fondazioni di origine editoriale, la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori – che è familiare e non di impresa – la Fondazione Corriere della Sera, la Fondazione Feltrinelli e la Fondazione Mauri decidono di proporre al Comune di Milano un progetto per promuovere la lettura ma, soprattutto, per valorizzare l'identità editoriale di Milano, che per tanti anni era stata messa in secondo, terzo, quarto piano rispetto alla moda, al design e a tante altre realtà che in qualche modo si erano fatte avanti.
  Che cosa avevamo in testa allora? Innanzitutto avevamo in testa cosa non volevamo fare: non volevamo fare un festival, né un salone, né una fiera; ma eravamo consapevoli che Milano è un vero e proprio distretto editoriale, non solo perché ci sono i grandi gruppi editoriali, ma perché a Milano ci sono 600 case editrici, 200 biblioteche e circa 400 librerie. Quello che è emerso da un'indagine interessante dell'Università Bocconi è che il 40 per cento dei grafici, degli illustratori e dei redattori italiani abita a Milano, e idem il 30 per cento degli autori e dei traduttori. Con diverse occasioni di formazione (ci sono 4 master in Editoria), con le associazioni professionali dei traduttori, dei librai, dei grafici e degli illustratori, le associazioni imprenditoriali e i centri studi dedicati al lavoro editoriale e mille altre opportunità per i piccoli editori (pensate a Bookwright, Sprint), Milano aveva un'anima editoriale e poteva farla vedere.
  Il modello Bookcity, pur ricalcando il nome di Piano City che lo aveva di pochi mesi preceduto, è però tutt'altra cosa: mentre Piano City ha una regia che invita dei pianisti e li fa suonare nei posti più belli, Bookcity è completamente diversa, perché è una formula che dà voce alla città e a tutti i soggetti che, come dice l'assessore Del Corno, vogliono riportare il dibattito al centro della vita cittadina a partire dai libri. Bookcity si muove su alcune parole d'ordine, quali alleanza, collaborazione, condivisione, coopetizione e non competizione; ha un assetto istituzionale particolare, da comitato promotore è diventato associazione da poco riconosciuta, formata dalle quattro fondazioni con una convenzione con il comune. Le quattro fondazioni hanno quattro presidenti che mi piace citare e sono Piergaetano Marchetti per la Fondazione Corriere della Sera, Carlo Feltrinelli, Achille Mauri per la Fondazione Mauri e Luca Formenton per la Fondazione Mondadori.
  Come funziona Bookcity? In primavera si fa una chiamata a tutti quelli che hanno qualcosa da proporre nelle giornate di Bookcity, tutti i soggetti della filiera della lettura, dagli editori alle associazioni, ai circoli culturali; poi una regia assegna ad alcuni luoghi messi a disposizione dal comune queste proposte e si creano dei poli tematici. In più c'è un enorme «fuori salone», ossia quelli che noi chiamiamo gli autoprodotti, perché tutti vogliono partecipare a Bookcity.
  I numeri: in tre giorni abbiamo 1.100 eventi, con 430 soggetti tra editori, associazioni, fondazioni, più di 2000 ospiti, 200 sedi, 1200 classi (ma delle scuole parliamo poi), circa 90 incontri nelle università, 450 volontari, 2500 articoli, oltre 200 tra servizi radiotelevisivi. Pag. 7
  Pochi aggettivi per descrivere Bookcity. Innanzitutto «virtuoso» per la collaborazione – testata in tanti altri casi – tra pubblico e privato, che qui funziona molto bene; virtuoso per il budget che vi lascerà impressionati, perché il budget pubblico di Bookcity sta sotto i 300.000 euro; questo perché ogni realtà che organizza il suo evento porta il proprio contributo e non sono calcolati in questo gli spazi del comune, ma tutte le attività proposte sono gratuite. «Virtuoso» quindi è il primo aggettivo. Il secondo e il terzo sono «diffuso» – che è una cosa un po'abusata di questi tempi – ma, soprattutto, «partecipato»: non solo per l'alto numero degli eventi, ma per l'ampio spettro dei promotori. Cito un piccolo aneddoto per sorridere: un evento sulla Milano esoterica era stato messo in una sala da 50 posti; l'abbiamo dovuto trasferire in una sala da 200 con un video per ospitare altre 200 persone al piano di sopra. Francamente non l'avremmo mai immaginato, ma probabilmente c'è anche una Milano esoterica.
  «Partecipato» perché si va nelle periferie; «partecipato» perché apre spazi nuovi che la città non conosce, porta le letture nelle città, apre le librerie (quest'anno Bookcity si è aperto in libreria), apre le biblioteche con il progetto Young, apre alle carceri, agli ospedali e a tutte le realtà, dalla più piccola alla più grande, dalla Volkswagen di Milano all'ultima associazione culturale tutti vogliono essere presenti nelle giornate di Bookcity. Infine Bookcity crea buone pratiche, e faccio un esempio solo: Bookcity per le scuole, dove con lo stesso principio raccogliamo 170 progetti ogni anno da circa 90 promotori che muovono 1.200 classi di ogni ordine e grado. È un modello che parte dall'ascolto delle esigenze delle scuole, che non vogliono invasioni, ma vogliono «lavorare con».
  Scriveva Paolo Di Stefano «vorrei delle scuole in cui chi lavora nella cultura andasse nelle scuole», e questo noi facciamo durante tutto l'anno, sono progetti che durano tutto l'anno. Un esempio per tutti è un Nottario sui sogni delle elementari, a partire da un volume di una nota psicanalista di cui non farò il nome per non fare pubblicità. Le attività nelle scuole quindi non sono sporadiche, ma continuative, con la partecipazione attiva dei ragazzi che non vengono (permettetemi il termine) «cammellati» da uno spazio all'altro, ma attivamente producono delle cose: un giornale, rifanno le copertine di Camilleri perché non gli piacciono, riscrivono le quarte di copertina, cambiano i finali. Sono attivi nella partecipazione, imparano cosa vuol dire tradurre, che non è sempre facile. Da qualche tempo abbiamo aperto anche uno spazio dedicato agli insegnanti, non per intervenire sulla didattica, su cui sono bravissimi, ma per parlare a loro come ai primi lettori che possano avviare un passaparola. Non è un caso che questa buona pratica sia stata riconosciuta dall'Ufficio scolastico regionale, che ci ha premiato con una convenzione ad hoc. Ma, soprattutto, Bookcity è un incubatore di buone esperienze che ci auguriamo possano crescere. Lo è stato con Milano, prima Città del libro nel 2015, che poi ha creato la rete delle Città del libro; lo è stato con l'avvio del patto della lettura promosso dal Comune di Milano, che vede tutti i soggetti della filiera editoriale (editori, librai, Bookcity e tutte le librerie indipendenti) impegnati per la promozione della lettura.
  La prima cosa che ha fatto è stata la creazione di 400 lettori ad alta voce volontari, che invadono Milano: una cosa straordinaria. Ha creato il laboratorio Formentini per l'editoria e, per la prima volta, Milano ha un luogo dove tutti i soggetti del libro si possono incontrare. Tutti i mediatori, quindi, si incontrano e meticciano i loro saperi; i traduttori incontrano gli illustratori e i grafici incontrano i librai: una realtà nata da tre anni, che vede 30 incontri mensili, sempre gratuiti.
  Da Bookcity è nata la candidatura di Milano città letteraria UNESCO: una candidatura nata spontaneamente all'interno del laboratorio Formentini con i soggetti di Bookcity che hanno dato una spinta per promuovere la Milano letteraria, che noi ci auguriamo diventi un motore per i progetti nei prossimi anni, destinati a stimolare lo scambio tra le città creative, tra i saperi Pag. 8creativi, tra i giovani autori a livello internazionale; a superare i deficit di lettura e ad aprire nuovi meticciati professionali. Se questo può essere un risultato finale, credo che Bookcity ne possa andare fiera. Però c'è ancora tanto da mettere a posto, non siamo così bravi come vi ho detto fino adesso, qualche piccola crepa l'abbiamo anche noi.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Finocchi, per questa Commissione è di grande conforto, come lei può immaginare. L'impegno sulla lettura è stato continuo e faticoso e ciò che voi siete riusciti a fare a Milano, cioè mettere tutti insieme, non è facile a livello nazionale e in condizioni normali. Vedere che ci si è riusciti e che i risultati sono stati veramente importanti, perché il riconoscimento dell'Unesco va a premiare un lungo lavoro, per noi che stiamo lavorando attraverso moltissimi emendamenti al disegno di legge di bilancio in esame, per aiutare tutta la filiera della lettura, diventa particolarmente significativo. Vediamo adesso il filmato.

  (Segue proiezione video).

  PRESIDENTE. Bene, abbiamo visto crescere quei puntini con grande soddisfazione. Passiamo dunque all'Istituto Ernesto De Martino, al presidente Stefano Arrighetti, che è accompagnato da Antonio Fanelli e da Alessandro Portelli.

  STEFANO ARRIGHETTI, presidente e rappresentante legale dell'Istituto Ernesto De Martino. Intanto grazie non solo per l'invito, ma anche per averci permesso di conoscere altre realtà culturali in giro per l'Italia. Le fotografie che state vedendo durante il mio intervento riguardano la sede dell'Istituto Ernesto de Martino, un archivio; le foto sono di Filippo Gualandi e sono state pubblicate e commissionate da un sito on line, Rockit, che è un sito importante per appassionati di musica rock.
  Cosa c'entri la musica rock con il più grande archivio legato al mondo popolare italiano spero di evidenziarlo nel mio intervento. L'istituto da oltre cinquant'anni, prima a Milano e poi a Sesto, si occupa di raccogliere attraverso la ricerca, conservare (questa è l'importanza della casa) e diffondere con ogni mezzo (avete visto traccia di qualche prodotto editoriale, soprattutto libri, riviste e dischi) tutti i materiali contenuti nel nostro archivio inerenti alla cultura, alla vita, alla storia del mondo popolare e delle classi sociali non egemoni di questo Paese.
  C'è un momento importante nella vita dell'istituto ed è quando l'Istituto Ernesto de Martino arriva a Sesto Fiorentino in seguito a uno sfratto dalla città di Milano. Sulla scia della delusione perché la città di Milano non era riuscita a trovare una soluzione alternativa a una sede per quei materiali e per l'istituto, è stato pubblicato un appello nazionale a cui risponde il comune di Sesto Fiorentino offrendo una sede. Inizia così un periodo piuttosto lungo, ma positivamente significativo che porterà l'Istituto Ernesto de Martino ad aprire ufficialmente la sede a Sesto Fiorentino nel 1996.
  Il periodo era buio, l'istituto non era più un istituto di ricerca, erano cessate le attività di divulgazione, era cessata l'esperienza dei Dischi del sole, la nostra più importante iniziativa editoriale sul piano discografico, messa in piedi dagli inizi degli anni ’60 fino al 1980. Avevamo due possibilità, quella di continuare a essere «un deposito» e di diventare tutti degli ottimi spolveratori di materiali, oppure provare a rilanciare nella sua complessità l'attività dell'istituto, che negli anni ha sempre avuto questa caratteristica di essere un archivio. Tutto doveva essere tenuto insieme, l'archivio era la cosa fondamentale per poi produrre spettacoli, produrre materiale, libri e dischi; era il punto di partenza, ma l'attività non poteva esaurirsi solo in un'attività tipica di un archivio.
  A cominciare dal Presidente di allora, Ivan Della Mea e, prima ancora, da Franco Coggiola, il tentativo era, in una nuova realtà territoriale, provare a ritornare a fare cultura. La strategia adottata è stata su due binari. L'ispirazione è stata quella di mantenere comunque la caratteristica nazionale dell'Istituto Ernesto De Martino. Pag. 9Dunque siamo un'associazione con una caratteristica nazionale che, nello stesso tempo, prova a fare politiche di iniziative culturali tese ad un radicamento dell'istituto all'interno della nuova realtà territoriale, cioè la Toscana e l'area fiorentina in particolare. Le strade che abbiamo a suo tempo avviato sono state da una parte garantire un'apertura pubblica di quell'archivio. Vi dico subito che, rispetto alle foto che vedete, c'è una cosa sicuramente in più ed è la luce. Mancano, invece, le persone: non riuscivamo a capire perché il fotografo ci facesse andare via dalle stanze (c'era una studentessa americana che stava facendo una tesi di dottorato dell'Università di New York che migrava da una stanza all'altra perché non riusciva a trovare la sua posizione); in realtà, la caratteristica di quel luogo è che c'è sempre qualcuno: garantiamo l'apertura pubblica tutti i pomeriggi della settimana. Abbiamo cominciato non solo a garantire quell'apertura, ma anche a lavorare sull'archivio. Ho visto a Milano, l'altro giorno, in un archivio privato, una fotografia di quando nel 1997 installammo i computer a Sesto Fiorentino: allora era un computer e ora sono un'infinità.
  Abbiamo lavorato sull'archivio: la libreria, che è una piccola libreria di 3.500-4.000 libri (poi ci sono moltissime riviste), è l'unica cosa dell'istituto consultabile da remoto, e poi, soprattutto, sulla nastroteca, perché l'Istituto Ernesto de Martino ha la più grande nastroteca d'Europa. Era lo strumento dei nostri ricercatori allora, dedicata al mondo popolare.
  Il problema era la digitalizzazione, la descrizione, l'individuazione di un database. Su 6.000 nastri magnetici siamo riusciti in vent'anni a digitalizzarne 1.200. Il nostro vanto è che in questi anni, soprattutto negli ultimi otto, abbiamo descritto e ordinato l'archivio storico dell'Istituto Ernesto De Martino, che parte dal 1953 dall'archivio dell'edizione Avanti fino al 1980, e ora è a disposizione: la ricerca è facilissima (questione di minuti) ed è un archivio considerato di grande pregio dalla Sovrintendenza ai Beni Archivistici della Regione Toscana.
  Accanto a questa attività e a questo lavoro sull'archivio, è stata data una forte visibilità anche quantitativa, oltre che qualitativa, alle iniziative pubbliche. Per fare questo, per prima cosa abbiamo modificato lo Statuto dell'associazione, nel 1997, dando vita, in questo modo, a un'associazione con uno Statuto «più democratico», che preveda una tessera annua di iscrizione. Abbiamo quindi cercato di costruire nel corso degli anni (è una costruzione ancora in atto) un corpo sociale, una rete di volontari attivisti che ci desse la possibilità di organizzare tante attività pubbliche. Queste sono veramente tante: una rivista che esce tutti gli anni che si chiama Il De Martino (mi rendo conto che il nome non denota grande fantasia), una rassegna che c'è da 22 anni dedicata al canto – dal canto di tradizione orale alla nuova espressività in Italia che si chiama Incanto. In merito al discorso del radicamento territoriale, è stata data molta attenzione alla rete che ci stava intorno, che in Toscana è abbastanza visibile e ricca di associazioni: dall'associazione anziani sulla musica contemporanea fondata da Luciano Berio, ai rapporti con le biblioteche, con tutte le associazioni del territorio con cui era possibile realizzare iniziative in collaborazione.
  Fondamentale, in questo ambito, è il rapporto con le istituzioni locali. Le relazioni sono davvero importanti e gli incontri con le istituzioni locali, con gli enti locali, con la regione e anche con il ministero. È chiaro che noi chiediamo finanziamenti, ma facciamo sempre precedere questa richiesta burocratica da incontri con gli assessori e i sindaci, perché crediamo ancora nel valore del guardarsi in faccia.
  Per garantire il carattere nazionale dell'Istituto non c'è soltanto quello che facciamo a Sesto Fiorentino: c'è anche la rete di rapporti da coltivare con alcune realtà molto vicine a noi, dal Circolo Gianni Bosio di Roma alla Lega di Cultura di Piadena, ai lavori delle edizioni comuni di Calimera a Lecce, al lavoro della Società di Mutuo Soccorso Ernesto De Martino di Venezia e di Taranto. Ci piace pensarci come una rete anche a carattere nazionale e ci sentiamo coinvolti anche in iniziative che non facciamo Pag. 10 noi, come ad esempio l'archivio del Circolo Gianni Bosio di Roma sulla Roma forestiera, il più grande archivio di musiche dei migranti esistente in Italia, l'unico in Europa, che sentiamo come nostro, ma che si trova a Roma.
  Come si finanzia tutto questo? Ormai il rapporto tra le entrate proprie dell'Istituto Ernesto De Martino e i finanziamenti dei vari enti pubblici è pari ad un 60 per cento di finanziamenti pubblici e 40 per cento di finanziamenti nostri autonomi, attraverso tessere, sottoscrizioni e contributi che chiediamo ad ogni nostra iniziativa pubblica. Stiamo parlando di cifre veramente esigue: l'anno scorso abbiamo avuto un bilancio di 73.000 euro, due anni fa di 90.000; spero quest'anno di più, ma le cifre sono queste.
  Soffriamo soprattutto l'incertezza per quanto riguarda i finanziamenti pubblici. Per chiarire, un finanziamento per la nostra attività nel 2017 è stato deliberato dalla regione Toscana il 4 dicembre 2017; il contributo per il 2017 che il comune di Sesto dà all'Istituto Ernesto De Martino viene deliberato questa mattina. Pur fidandosi delle dichiarazioni politiche e degli impegni presi dai politici, è difficile anticipare soldi unicamente sulla base di una promessa e non di un atto deliberativo.
  Tengo particolarmente ad evidenziare il rapporto che abbiamo instaurato con i giovani e qui si torna a Rockit. Una nostra caratteristica di lavoro sull'archivio e dunque su materiali di tradizione orale e, in particolare, su canzoni che hanno cent'anni, canzoni di lotta e di protesta è la ricerca di un rapporto stretto non solo con le scuole (abbiamo due convenzioni per il programma di alternanza scuola/lavoro in atto) ma, soprattutto, con i musicisti e con i giovani musicisti, meglio ancora se sono punkettari e rock, per dare loro questo materiale di tradizione e vedere come riescono a leggerlo oggi. Si dice il lavoro sull'archivio e sulla memoria è la cassetta degli attrezzi per leggere il presente; per me è descrivere l'oggi con le parole di una canzone scritta cent'anni fa. Questo è il motivo per cui sono all'Istituto Ernesto De Martino: sono un volontario, non sono laureato, non sono un cantautore, non ho scienza, ho soltanto conoscenza, e una cosa fondamentale, che è la parola chiave dell'Istituto Ernesto De Martino in questo momento: passione.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente, l'abbiamo sentita tutti e non possiamo che essere consapevoli di cosa questo significhi. Per chi si occupa di cultura è una molla straordinaria.

  ALESSANDRO PORTELLI, Membro del comitato scientifico dell'Istituto Ernesto De Martino. Diciamo che tutta questa rete si regge sul lavoro volontario. Nel caso di Roma, se avessimo un bilancio di 90.000 euro, saremmo entusiasti: noi non siamo in grado di fare alcuni bandi, perché quelli sulla cultura sono pensati per le aziende. Le istituzioni che non hanno dipendenti e hanno un bilancio di 15.000 euro non riescono a chiedere soldi, perché i bandi sono pensati per chi i soldi li ha già!

  PRESIDENTE. Cercheremo di segnalarlo alla fine di questa indagine conoscitiva. Abbiamo ora il direttore Paolo Giulierini, che conosciamo dal tempo in cui si occupava di Cortona, non soltanto adesso come direttore del Museo archeologico nazionale di Napoli. Prego, direttore.

  PAOLO GIULIERINI, direttore del Museo archeologico nazionale di Napoli. Grazie, presidente. L'esperienza che vogliamo portare è quella di due anni di attività nel Museo archeologico nazionale di Napoli e il nostro scopo è segnalare, con questa breve comunicazione, gli effetti positivi della riforma Franceschini sui musei nazionali autonomi.
  Quando ci siamo trovati ad affrontare il nuovo corso, abbiamo immediatamente recepito una esigenza di fondo: quella di programmare l'attività e di essere trasparenti. Per questo abbiamo creato un programma, che è confluito nel Piano strategico del quale poi abbiamo spedito copia e verrà data anche copia cartacea, per dire che cosa avremmo fatto nel corso del primo mandato. Questo è un atto di trasparenza, perché nel corso dei successivi anni escono Pag. 11gli Annual report e si dice, rispetto a quanto è stato dichiarato, quello che poi è stato raggiunto.
  Il primo problema è stato quello di rafforzare il brand del museo. Esso non aveva un luogo specifico e quindi doveva essere riconoscibile in città e all'estero: per questo è stato realizzato il logo. Il museo si chiamava all'inizio Real Museo Borbonico, poi Museo archeologico nazionale di Napoli e poi MANN, che è l'acronimo di Museo Archeologico Nazionale di Napoli: parola che si comunica bene e che sta permeando tutta la città e gli istituti internazionali con i quali collaboriamo. Questa linea si traduce nella didattica interna e in tutti i prodotti, dal merchandising alle linee di rappresentanza, che vengono realizzati dal museo.
  Tra i principali problemi affrontati c'è stato anche il miglioramento dell'offerta. Al nostro arrivo c'erano molte sezioni che dovevano essere riaperte e i lavori erano anche in corso, perché molte cose erano state avviate. In due anni sono state riaperte la sezione egizia, che costituisce una punta di diamante dell'offerta museale soprattutto del meridione. Ricordiamo che il Museo archeologico nazionale è la somma della collezione Farnese, la più grande collezione di antichità del mondo, unita alle scoperte di Pompei e di Ercolano. La grande sezione egizia, che era chiusa da oltre dieci anni, è stata riaperta (costituendo un punto di riferimento per le tante scolaresche) e, nel corso dei successivi anni, è stata riaperta la sezione epigrafica: il più grande campionario d'Italia di scritture antiche. Anche questo è un tema molto importante che si lega al concetto di lettura, perché si possono vedere le principali scritture o idiomi dell'Italia antica, dal greco al latino, all'osco e alle principali lingue italiche. Poi sono stati riaperti i giardini, che costituiscono un valore aggiunto del museo, in quanto in una città fortemente urbanizzata uno spazio verde che costituisce un punto di ritrovo va a convergere verso l'obiettivo che ci siamo preposti di fare del museo anche un luogo di incontro, una nuova piazza, una sorta di agorà greca.
  Nel perseguimento degli obiettivi previsti dal piano strategico, il museo si è mosso valorizzando al massimo un altro grande patrimonio: i suoi sterminati depositi, tradizionalmente denominati con un nomignolo, «Sing Sing», perché si trovano nel sottotetto del museo dove, lungo interminabili corridoi, si trovano portali che somigliano a carceri con centinaia di migliaia di oggetti. Abbiamo messo a profitto questo materiale e attualmente, nel secondo anno di mandato, abbiamo circa 30 mostre in tutto il mondo, completamente gestite dal MANN che hanno prodotto un introito di circa 800.000-1 milione di euro all'anno, costituendo insieme ai biglietti, raddoppiati nel corso del biennio, una fonte per la ricerca, quella famosa ricerca che viene contestata in quanto assente nei musei di nuovo corso, ma che invece può essere fatta solo accantonando delle risorse.
  Nella foto vedete la disseminazione del museo nel mondo. Siamo presenti a New York e a Singapore; abbiamo quattro mostre in corso in Cina e in Giappone e abbiamo avviato due protocolli d'intesa con l’Ermitage di San Pietroburgo e con il Getty Museum di Los Angeles, quindi con i principali istituti che determinano la cultura mondiale.
  Tra gli obiettivi strategici vi era anche il miglioramento della capacità di attrazione del museo: questo è stato fatto, sia riaprendo le sezioni, sia attraverso un modo più friendly di porsi nei confronti del nuovo pubblico, con moltissime attività culturali che hanno determinato tra il 2015 e il 2017 una crescita del 50 per cento del pubblico. Toccheremo questa settimana i 500.000 visitatori annui (le proiezioni ci danno 540.000 visitatori quest'anno); mentre la media del museo era di circa 240.000. L'obiettivo riguardava i quattro anni di mandato, ma è stato conseguito in due anni.
  Tra le strategie di conoscenza del museo in città e nel mondo abbiamo realizzato due progetti innovativi: il primo si chiama OBVIA, un acronimo che significa al di fuori delle barriere, e ha visto interpretare il museo attraverso grandi artisti; quindi non si promuove il museo sic stantibus rebus ma, per esempio, attraverso le parole Pag. 12di un romanzo di Erri De Luca, attraverso il filmato di un grande regista, attraverso cartoni animati realizzati dalle grandi case napoletane come Mad o i fumetti, come Comics. Quindi si diffonde viralmente l'immagine di un museo molto più vicina al pubblico. La diffusione di questi format avviene in museo, ma anche nelle principali infrastrutture: sui treni Frecciarossa, nel porto e nell'aeroporto realizzato dalla Gesac di Capodichino, che da poco è stato insignito di un riconoscimento che lo vede tra i principali aeroporti europei, grazie ad un percorso archeologico di statue legate al tema del volo (abbiamo tolto solo Icaro perché creava qualche problema).
  Nella disseminazione virale del museo nel mondo è stato prodotto il primo videogame, funzionante sia su dispositivi Apple che Android, che è stato scaricato da oltre 1.200.000 utenti in tutto il mondo, di cui la metà sono in Cina. Lo abbiamo tradotto in altre lingue (anche in cinese), perché prima era solo in italiano e inglese, e ci aspettiamo un pubblico potenziale ancora più importante, che può vedere il museo e Napoli in forma ludica, diversa: un nuovo modo di rappresentare e promuovere le cose, perché, naturalmente alcuni contenuti non si sbloccano se non si torna al museo per poter andare avanti nel gioco. Adesso è prevista una seconda puntata del videogame, quindi la storia continua.
  Come sarà il museo del futuro? Oltre che riaprire le sale, abbiamo previsto degli step molto serrati: abbiamo cantierato 30 milioni di euro che ci sono stati concessi da questo Governo, facendo le gare per tutto, in modo che ci sia una filiera continua dell'attività. Il museo del futuro dovrà essere accogliente, quindi adatto a pubblici diversi: La didattica dovrà cambiare perché il pubblico non ha gli stessi format culturali occidentali: arrivano i cinesi, gli indiani, i giapponesi; quindi stiamo trasformando il museo in quest'ottica. Dovrà però avere anche i servizi: a giugno aprirà la prima caffetteria perché non è possibile che a Napoli un museo non abbia la caffetteria (è un ossimoro!) e, entro il 2019, apriranno il ristorante di specialità tipiche, l’auditorium di 300 posti, i saloni della didattica e il laboratorio di restauro che costituisce una punta di diamante a livello nazionale. Sarà un museo interconnesso con il territorio, anche se in parte lo è già, perché abbiamo una trentina di convenzioni con gli istituti culturali napoletani e romani. Crediamo che il tema della ricerca possa essere tranquillamente superato attraverso convenzioni con le università, purché ognuno faccia il suo lavoro: non ci sono elementi di non convergenza, si tratta solo di avere programmi condivisi. L'esperienza del museo deve essere infine trasparente, perché con l’Annual report che abbiamo portato quest'anno, riferita al 2016, riteniamo che ci debba essere la possibilità di verificare di continuo come si spendono i soldi e in quanto tempo è stato raggiunto o meno l'obiettivo che abbiamo definito.
  Ci aspetta una nuova, importante stagione a partire da dicembre: invito tutti alla grande mostra sui Longobardi che avremo il prossimo 20 dicembre. Si tratta di un tema importante sotto tanti punti di vista, perché i Longobardi paradossalmente hanno resistito più a sud che a nord e questo crea il paradosso dei paradossi.
  I musei devono servire oggi soprattutto al dialogo, al confronto anche su temi forti e importanti. Infatti, non a caso, il romanzo di Erri De Luca dedicato al museo parla anche di accoglienza, di profughi e di immigrati, e, siccome queste cose erano successe già tanto tempo fa, nel format iniziale della frase del nostro sito diciamo che il museo è un luogo dalle infinite possibilità, ma che soprattutto dà la possibilità, vedendo la storia, di non ripetere gli errori del passato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore, per questo suo intervento. Il direttore era accompagnato da Luigi Di Caprio e Patrizia Cilenti. Lascio quindi la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Prima li presento per i nostri ospiti: il Presidente Adornato, l'onorevole Marzana, l'onorevole Donati, l'onorevole Ascani e l'onorevole Nicchi.

  MARISA NICCHI. Una domanda al professor Portelli: ci può raccontare brevemente l'esperienza del Centro Bosio?

Pag. 13

  ALESSANDRO PORTELLI, Membro del comitato scientifico dell'Istituto Ernesto De Martino. Noi nasciamo con l'Istituto De Martino. Gianni Bosio che ci dà il nome e Franco Coggiola, cui abbiamo intitolato l'archivio, sono i fondatori e gli animatori dell'Istituto Ernesto De Martino. Il Circolo Bosio è a Roma dal 1970; in questo momento è il punto di riferimento mondiale sul piano della storia orale delle fonti orali e della memoria storica di base, i nostri libri hanno avuto premi Viareggio, riconoscimenti negli Stati Uniti, sono tradotti e sono libri di testo in metà del mondo. Abbiamo costruito un archivio sonoro di fonti orali e musicale, che è contemporaneamente locale, perché nasciamo su Roma ed abbiamo un enorme repertorio su Roma e Lazio, ma anche internazionale, perché abbiamo il più grosso archivio d'Italia di cultura orale degli Stati Uniti e abbiamo materiale di tutto il mondo.
  Abbiamo il progetto «Roma forestiera» che portiamo avanti da dieci anni, in cui raccogliamo, documentiamo e diffondiamo la musica dei migranti. Ieri, per esempio, al Teatro India, per un'iniziativa della casa editrice Laterza e del Ministero della pubblica istruzione per le scuole, abbiamo portato i musicisti migranti. Abbiamo poi il progetto che si chiama Calendario civile, che è un libro e un ciclo di spettacoli che stiamo rappresentando al Teatro Vascello, che marca le date della nostra memoria democratica e popolare.
  Abbiamo soprattutto questa idea che ci ha ispirato l'esperienza del De Martino. Un grande scrittore afroamericano, Ishmael Reed, definisce il Metropolitan Museum di New York come il più grande centro di detenzione di opere d'arte del mondo. Noi pensiamo a un archivio come a un posto dove ci sono migliaia di voci che urlano, che vogliono uscire: quindi i libri, i dischi, la rete, gli spettacoli, come diceva prima Stefano Allegretti, sono lo strumento che fa sì che questo materiale che converge verso di noi, poi riparta per il resto del mondo. L'archivio è la casa della storia della memoria qui a Roma ed è dichiarato di notevole interesse storico dalla Sovrintendenza.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Portelli. Io volevo chiedere a Luisa Finocchi se può dirci qualcosa di più di questa candidatura UNESCO, come è andata avanti, che difficoltà ha avuto e di questo felice risultato.

  LUISA FINOCCHI, direttrice della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Ecco, non ha avuto difficoltà, e questa è una buona cosa. Abbiamo proposto questa candidatura, partendo da una serie di lavori che erano stati fatti negli anni per descrivere il distretto editoriale e culturale milanese: quindi avevamo una notevole quantità di dati raccolti grazie alla collaborazione con l'Università Bocconi, con il Politecnico di Milano, con l'Università degli Studi di Milano e con la Cattolica.
  Quando è stato il momento di vedere questa application, poiché Milano non aveva pensato di candidarsi, è stato proprio il tessuto e la riflessione che nasceva da questa abitudine a collaborare di diverse realtà all'interno di Bookcity, del laboratorio, che ha dato vita a questa application. La cosa che credo abbia convinto di più è stata l'esistenza già di una forte rete a favore della lettura e della condivisione delle professioni editoriali, che hanno imparato in questi anni a lavorare insieme. Forse non ho sottolineato abbastanza che quando come Bookcity abbiamo iniziato a ragionare sulla possibilità di realizzare questo progetto, tutti ci dicevano che era impossibile realizzare una cosa così coopetitiva e non competitiva; l'utilizzo delle fondazioni è stato estremamente utile perché ha svolto un ruolo di mediazione, e forse proprio in nome della mediazione editoriale siamo riusciti a tenere insieme le cose.
  La candidatura è stata presentata prima dell'estate: il sindaco ha accolto questa proposta e l'ha presentata prima dell'estate, e la risposta positiva è arrivata il 30 ottobre. La candidatura presentava tre progetti nazionali, tre progetti internazionali – che prima ho sinteticamente riassunto – che mirano essenzialmente a lavorare sulla contaminazione dei rapporti tra giovani autori a livello non solo europeo, perché le città creative della letteratura sono in tutto il mondo, sul superamento degli ostacoli ai Pag. 14deficit di lettura in tutti gli ambiti e a tessere rapporti tra i diversi ambiti creativi: quindi design, cultura, editoria, letteratura.
  L'altro asse portante del lavoro dei prossimi quattro anni sarà il lavoro sui giovani. Questa è una cosa molto importante perché esistono già a Milano, e incredibilmente collaborano anche loro, molte realtà di formazione di nuovi profili professionali per il mondo della lettura che hanno imparato a dialogare tra loro. Questa potrebbe e dovrebbe essere l'arma vincente.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Finocchi. Vi ringrazio davvero per questa ora che abbiamo passato insieme, che per noi è stata molto importante; ma, credo, per tutti noi, perché è anche nelle reciproche contaminazioni che siamo convinti ci siano le cose più interessanti per il mondo della cultura. Quindi grazie, vi manderemo poi i risultati della nostra indagine conoscitiva e contiamo sul fatto che voi continuiate nel vostro straordinario lavoro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.45.