XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 21 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE BUONE PRATICHE DELLA DIFFUSIONE CULTURALE

Audizione di Alessandro Pontremoli dell'Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Studi Umanistici; Sergio Soave, Presidente della Fondazione Polo del ’900; Francesco Mannino, Presidente delle Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale – Catania; Romano Carancini, Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata; Marco Pallavicini, Presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE).
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 
Pontremoli Alessandro , Università degli Studi di Torino ... 3 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 5 
Soave Sergio , presidente della Fondazione Polo del ’900 ... 5 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 6 
Mannino Francesco , presidente delle Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale ... 6 
Palla Salvatore , Liceo scientifico Enrico Boggio Lera, Catania ... 8 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 8 
Carancini Romano , Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata ... 8 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 10 
Pallavicini Marco , presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE) ... 10 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 10 
Pallavicini Marco , presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE) ... 10 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 12 
Carocci Mara (PD)  ... 12 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 12 
Ghizzoni Manuela (PD)  ... 12 
D'Ottavio Umberto (PD)  ... 12 
Marzana Maria (M5S)  ... 13 
Gallo Luigi (M5S)  ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
Pontremoli Alessandro , Università degli Studi di Torino ... 13 
Soave Sergio , presidente della Fondazione Polo del ’900 ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
Bollo Alessandro , direttore della Fondazione Polo del ’900 ... 13 
Soave Sergio , presidente della Fondazione Polo del ’900 ... 14 
Palla Salvatore , Liceo scientifico Enrico Boggio Lara, Catania ... 14 
Mannino Francesco , Presidente di Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale ... 15 
Carancini Romano , Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata ... 15 
Pallavicini Marco , Presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE) ... 16 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 17 
Dellavalle Claudio , Vicepresidente della Fondazione Polo del ’900 ... 17 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori - Energie PER l'Italia: Misto-CI-EPI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FLAVIA PICCOLI NARDELLI

  La seduta comincia alle 11.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Alessandro Pontremoli dell'Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Studi Umanistici; Sergio Soave, Presidente della Fondazione Polo del ’900; Francesco Mannino, Presidente delle Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale – Catania; Romano Carancini, Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata; Marco Pallavicini, Presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle buone pratiche della diffusione culturale, l'audizione del professor Alessandro Pontremoli, dell'Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Studi Umanistici; del professor Sergio Soave, Presidente della Fondazione Polo del ’900; del dottor Francesco Mannino, Presidente delle Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale di Catania; del dottor Romano Carancini – Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata e del professor Marco Pallavicini, Presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE).
  Avverto che la raccolta delle memorie pervenute, inviateci dai nostri ospiti di oggi, è a disposizione dei colleghi. Nel rivolgere un saluto di benvenuto a tutti gli ospiti presenti chiedo, come sempre, di contenere gli interventi entro 7/8 minuti, anche per consentire un interscambio con i parlamentari presenti. Comunico infine che le bozze dei resoconti delle precedenti audizioni sono già disponibili; le prime tre già in versione definitiva sul nostro sito e le restanti ancora in versione provvisoria. Cominciamo immediatamente il nostro lavoro di oggi, dando la parola al professor Alessandro Pontremoli.

  ALESSANDRO PONTREMOLI, Università degli Studi di Torino. Grazie presidente. Chiedo, se possibile, di proiettare contemporaneamente alla mia audizione un video, il Project Caravan. Artist on the road: un progetto di teatro sociale di comunità che ha vinto il Creative Europe nel quadriennio 2012-2016; mentre attualmente stiamo conducendo, per il quadriennio successivo, il Caravan Next.
  Il project Caravan è stato vinto in partnership con 11 Paesi europei e l'Università di Torino era il partner di supervisione scientifica del progetto. Questa è solo una delle buone pratiche di cui parlerò oggi: un teatro non molto conosciuto, ossia il teatro sociale di comunità e la danza di comunità. Siamo abituati a pensare al teatro come alla messa in scena di un testo, a un teatro della delega: pur avendo la possibilità di fare teatro direttamente, e questo è storicamente il teatro, lo abbiamo delegato ai professionisti. Oggi però diventa sempre più pressante il desiderio di fare teatro. La gente preferisce fare teatro piuttosto che andarvi – e i numeri sono abbastanza Pag. 4significativi da questo punto di vista – perché il teatro e l'esperienza teatrale non sono la stessa cosa.
  Facendomi portavoce anche di una miriade di associazioni di operatori, di professionisti del teatro sociale di comunità che lavorano con ogni tipo di utenza, vi faccio alcuni esempi. Dagli anni Ottanta ad oggi, il teatro sociale di comunità ha dato voce e possibilità di superamento del disagio, fra gli altri, a comunità di bambini, adulti e anziani, comunità locali, donne che hanno subito maltrattamenti, disabili fisici e mentali, detenuti, migranti e ragazzi di seconda generazione, malati terminali, malati di Alzheimer e di Parkinson, bambini e comunità in situazioni di guerra nel mondo.
  Che cos'è il teatro sociale? È altro per eccellenza; è un corpo in relazione performativa con altri corpi; è corpo che assume, crea e trasforma linguaggi; è gratuita rappresentazione di sé entro un perimetro circoscritto e riconosciuto; è domanda sul senso dell'esserci e dell'essere. Se non si guarda a tale dimensione esistenziale della teatralità diffusa, non si comprende il motivo che oggi spinge persone di estrazioni sociali differenti, di varia età, delle più diverse provenienze, a desiderare di fare teatro piuttosto che andarvi. Il teatro sociale di comunità è un modello di teatro necessario. La necessità del teatro è un fattore intrinseco, perché è legato alla corporeità dell'uomo. Non è qualcosa che viene dall'esterno. La rappresentazione fa parte dello statuto corporeo della persona. Quindi il teatro è una delle possibilità dell'essere umano. La frequente e insistente domanda di teatro trova una risposta nel teatro sociale di comunità.
  Di che cosa si occupa il teatro sociale di comunità? Di espressione, di formazione, di interazione di persone, gruppi e comunità, attraverso attività performative che includono i diversi generi teatrali: il gioco, la festa, il rito, lo sport, il ballo, gli eventi e le manifestazioni culturali, la danza. Si propone quindi come un'azione o una liturgia di comunità. Le comunità sono minacciate dall'estinzione, dall'omogeneizzazione e dalla personalizzazione della cultura, soprattutto da parte della società mediatica; invece il teatro sociale va alla ricerca del benessere psicofisico dei membri di qualsiasi comunità, attraverso l'individuazione di pratiche comunicative, espressive e relazionali, capaci di attenuare il malessere e lo stress individuale tipico della società occidentale. Non è una terapia, non è un intervento socio assistenziale. È un preciso modello teatrale, all'interno del quale operano molti soggetti.
  Nel primo caso, quello dell'espressione, l'azione teatrale dà voce e strumenti a chi generalmente non ha la possibilità di comunicare, a causa per esempio di una condizione di deprivazione, oppure non è in grado di esprimersi in una situazione comunicativa. Nel caso della formazione, il teatro sociale diviene una strada per la maturazione delle identità, personale e collettiva. Nel terzo caso, suscita nuove azioni che si dispiegano nella reciprocità e nella condivisione dell'esperienza.
  Il teatro sociale comprende progetti che durano diversi anni sui territori e che vanno ovviamente a rispondere a una loro domanda, dopo averla «mappata». Una volta individuata la domanda di teatro, trovano gli strumenti adeguati per rispondervi. Professionisti e non professionisti lavorano alla costruzione di un progetto comune e realizzano anche, non necessariamente, spettacoli che vengono proposti all'intera comunità, anche a chi è esterno al teatro.
  Concludo. Il teatro sociale di comunità è quindi un teatro della «cura» in senso ampio, che ha a che fare con quello che mi piace chiamare il «restauro del desiderio». Domanda e offerta nel teatro sociale di comunità, e nella danza di comunità, sembrano nascere dalle medesime premesse, proprio da quella riscoperta del desiderio che riporta l'attenzione al sé come persona e che si può sviluppare solo nell'ambito di relazioni interpersonali e comunitarie, risanate dall'arte e dalla cultura. Vedrete poi nelle memorie l'elenco dei progetti realizzati soltanto a Torino.
  Che cosa posso chiedere a una Commissione cultura del Parlamento? Molto brevemente, di fare attenzione anche a questo tipo di teatro che il nostro codice dello spettacolo ha appena licenziato come ovvio Pag. 5e che lo contempla in pochissime parole, quelle dell'inclusione sociale; mentre invece questa è una realtà diffusa e capillare sul territorio, con rapporti internazionali, e che opera nei confronti delle comunità e dei soggetti un vero processo di cambiamento culturale e sociale.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Pontremoli. Passiamo immediatamente all'ospite successivo, anche perché ci sarà modo da parte dei colleghi di rivolgerle, immagino, qualche domanda più specifica.
  Do la parola al professor Sergio Soave, Presidente della Fondazione Polo del ’900.

  SERGIO SOAVE, presidente della Fondazione Polo del ’900. Grazie presidente, anche per l'immeritata promozione a Presidente, ma insomma sono stato qua per ben nove anni.
  L'idea di costituire il Polo del ’900 è nata a Torino negli anni Novanta ed ha covato sotto la cenere per alcuni anni. L'idea era di riunire dentro una sola sede – a Torino ci sono molti bei palazzi – le fondazioni culturali più rilevanti, per creare una sinergia di effetto. È un'idea che ha stentato a prendere corpo, perché le individuali prerogative di ciascuno devono essere mantenute. Poi, negli anni Duemila, «necessità fa virtù» come si dice, e la crisi della finanza pubblica, il restringimento della possibilità per i Comuni di finanziare come negli anni precedenti le istituzioni culturali, la crisi stessa, dopo il 2007-2008, delle fondazioni bancarie che hanno ristretto l'ambito delle erogazioni, ha fatto sì che l'idea prendesse corpo. Dalle primitive tre, si è arrivati a dodici fondazioni culturali che si sono associate in un patto e in questa nuova istituzione, che è il Polo del ’900.
  Ovviamente questo è stato determinato dalla volontà del comune e della regione di agevolare questo movimento e questa iniziativa e, soprattutto, dalla disponibilità della compagnia San Paolo che ha prima restaurato gli antichi palazzi militari juvarriani, con una spesa di 5.500.000 euro, e che si è poi resa disponibile a sostenere la metà del finanziamento complessivo delle istituzioni pubbliche e private. Da lì il progetto ha preso il volo: è stato inaugurato un anno fa e, tanto per darvi un'idea, ha messo insieme 8.000 metri quadrati di superficie, una sorta di piazza coperta, accessibile liberamente a tutti, dove si trovano un museo, una mostra permanente, una grande e moderna biblioteca con due sale di lettura, uno spazio polivalente per eventi, mostre temporanee e performance, tre aule per la didattica, un'area per i bambini, sale di conferenze, un cortile attrezzato, un mini cinema e, per quanto riguarda il patrimonio di questo Polo, 300.000 monografie, 28.000 audiovisivi, 127.600 fotografie, 8 chilometri lineari di documenti d'archivio, che vengono mantenuti.
  Naturalmente tutto questo fu fatto soprattutto per impulso del principale finanziatore, non soltanto per conservare e mettere in relazione esperienze diverse, ma anche per riuscire a comunicare, attraverso nuovi linguaggi e una nuova energia, le grandi tematiche che hanno contraddistinto la vita politica, sociale, economica e culturale del Novecento.
  Dobbiamo dire che già a un anno e qualche mese dall'apertura – ma in sostanza appena otto mesi dopo aver ricevuto il riconoscimento giuridico che ci ha permesso di dare alla struttura una sua configurazione formale precisa, e quindi la possibilità di agire – i risultati sono molto promettenti. Si è decuplicato il numero degli utenti. Oggi, alcune delle strutture che ritenevamo sovradimensionate, come quella della biblioteca, sono invece sottodimensionate e dobbiamo trovare nuovi spazi per rispondere all'offerta. Le dodici fondazioni, anche per virtuosa emulazione, stanno praticamente moltiplicando le loro iniziative: si può dire che ogni sera e ogni pomeriggio ci sia qualcosa al Polo.
  Vado rapidamente verso la fine, dicendo che la modernità con la quale si vuole presentare la storia del Novecento e il collegamento continuo con le tematiche oggi più importanti e all'ordine del giorno, impongono che una parte delle risorse che servono per il funzionamento della struttura, circa un quarto, deve essere a carico del Polo stesso, con fundraising, affitti di spazi, ricerca di collegamenti esterni, ricerca Pag. 6 di finanziamenti da altre istituzioni, dall'Europa. Magari dopo ci faremo dire come si fa ad avere qualche fondo dal Governo, su suggerimento della Camera dei deputati e dei deputati presenti, alcuni dei quali sono torinesi.
  Il conferimento dei beni non ne toglie la proprietà alle dodici fondazioni. Il patto per ora è di dieci anni di consolidamento e naturalmente che non volesse più starci può prendere la sua roba e portarla via. C'è flessibilità, quindi; tuttavia, l'interconnessione delle iniziative e dei servizi è tale che non crediamo che convenga a nessuno. Del resto, il fatto di avere dei servizi comuni, come le biblioteche e gli archivi, il fatto che le fondazioni abbiano begli uffici in cui programmano la propria attività, il fatto di avere l'obiettivo di moltiplicare sempre di più le iniziative culturali fatte insieme, con più partner del Polo, o anche con tutti i partner, in almeno due momenti ogni anno, comporta un intreccio difficile da sciogliere.
  Per passare a questioni più materiali, come per esempio il personale, segnalo che il personale della Fondazione Polo del ’900 viene assunto per distacco dalle fondazioni, con un conseguente alleggerimento economico molto forte per loro e una convenienza reciproca; purché non vengano a mancare i fondi pubblici. Il problema vero, attuale, e nei prossimi anni lo sarà sempre più, è infatti quello delle difficoltà da parte degli enti pubblici tradizionali, cioè comune e regione, di far fronte economicamente. Loro sono i soci fondatori. Hanno sottoscritto un patto, ma leggiamo sui giornali quali sono le difficoltà e noi le subiamo in prima battuta. Ad ogni modo, oggi l'entusiasmo c'è, la voglia di andare avanti e l'energia anche; questo prevale su tutto, anche grazie all'anno di risultati più che promettenti rispetto alle attese, che abbiamo ormai alle spalle.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Soave. Ricordo che il presidente è accompagnato da Claudio Dellavalle, vicepresidente e rappresentante in Consiglio d'amministrazione degli enti partecipanti; Sandra Aloia, membro del Consiglio di Amministrazione, in rappresentanza della Compagnia di San Paolo e Alessandro Bollo, direttore della Fondazione Polo del ’900.
  Il Polo del ’900 è molto interessante anche come modello per altre realtà italiane che stanno cercando di muoversi sulla stessa strada. Quindi diciamo che ha fatto da apripista in questi tentativi di mettere insieme realtà che altrimenti risulterebbero fragili rispetto a un mondo che cambia molto rapidamente.
  Passiamo adesso alle Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale, Catania. È presente il presidente Francesco Mannino, accompagnato da Salvatore Palla.

  FRANCESCO MANNINO, presidente delle Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale. Grazie presidente. La mia è un'associazione culturale. È una delle circa 50.000 organizzazioni del terzo settore in Italia che si occupano di cultura e che vengono censite periodicamente dall'Istat. Grazie alla recente approvazione sia del codice del terzo settore che del decreto sulle imprese sociali, acquisirà la qualifica di impresa sociale entro breve tempo.
  Riteniamo di essere persone associate che si prendono cura dei luoghi. In particolare, lavoriamo all'interno di un grande edificio, un’ex monastero benedettino, che oggi è una sede universitaria; tant'è vero che la nostra attività prevalente si svolge proprio in partenariato con l'Università degli Studi di Catania; partenariato non oneroso per l'università. Le attività di accessibilità e fruizione di questo luogo, insieme anche ad altri, hanno consentito via via di cercare le strade della sostenibilità, devo dire molto difficili ma che comunque stiamo praticando, che servono ad aumentare la portata, a nostro avviso generativa e coesiva, del patrimonio culturale. Oggi dieci nostri soci hanno un contratto collettivo nazionale di Federculture e sono dipendenti dell'associazione, ma la strada è ancora in salita.
  Faccio questa premessa perché mi interessa introdurre il tema dell'alternanza scuola lavoro e spiegare il tipo di approccio che abbiamo avuto, in ottemperanza alla cosiddetta legge della Buona Scuola. Il patrimonio, a nostro avviso, non è soltanto Pag. 7rappresentazione della storia del Paese, ma è soprattutto un luogo vivo all'interno del quale è possibile conoscere la storia da cui veniamo, la storia che ha costruito il presente, attraverso un atto di conoscenza che dovrebbe portare, se adeguatamente mediato, alla consapevolezza di che cosa siamo oggi; ma, l'aspetto più importante è che esso è anche un luogo per lo svolgimento di attività di coesione e inclusione sociale. Uso il condizionale perché, pur lavorando al suo interno, riteniamo che il settore del patrimonio, dei luoghi della cultura e anche delle attività culturali – ho trovato molto interessante, in proposito, l'intervento del professore Pontremoli sul teatro sociale – abbia ancora un'impronta tendente all'esclusione sociale, su cui occorre lavorare. Questo è uno dei motivi per cui siamo molto lieti di essere qui.
  Sia il patrimonio, sia molte attività correlate non si pongono, a nostro avviso, le corrette domande o le nuove domande circa i bisogni delle comunità a cui è necessario rispondere con la gestione di luoghi, dei beni e delle attività. È importante, in questo senso, la Convenzione di Faro perché, come sapete meglio di me, connette l'importanza del patrimonio proprio con le comunità di riferimento. Da tempo sentiamo l'esigenza di superare una tendenza aristocratica ed esclusivista del patrimonio culturale, cercando nuove strade per includere soprattutto alcune fasce della comunità che, come nel caso degli adolescenti, sono spesso molto lontane, con un rapporto quasi di disinteresse reciproco.
  Nell'alternanza scuola lavoro abbiamo trovato, nel 2015, una grande opportunità: abbiamo pensato che sarebbe stato possibile non solo entrare nelle scuole, d'accordo con la direzione delle stesse e con i collegi dei docenti, per coinvolgere i ragazzi in progetti che li vedessero concretamente partecipi alla programmazione di attività, in modo tale di far provare loro un senso di appartenenza rispetto ad alcuni luoghi della città o, nella fattispecie, rispetto proprio all'edificio scolastico, ma anche per risolvere un altro problema tipico e connotante delle attività culturali: il tempo di durata dei progetti educativi, spesso troppo brevi per riuscire a dare la possibilità di sedimentarne la portata. Ci siamo trovati, con l'alternanza scuola lavoro, ad avere progetti addirittura triennali, che è proprio il caso di cui parlerà tra poco Salvatore Palla. Abbiamo visto un'opportunità per coinvolgere i ragazzi nella produzione di attività, o prodotti, nella conoscenza delle nuove professioni che stanno sorgendo nel mondo del lavoro, soprattutto nel settore culturale, nell'acquisizione di nuove competenze legate ad alcuni aspetti di cui progettisti, mediatori culturali o altri soggetti si occupano nel settore della cultura, stando insieme e partecipando attivamente.
  Questo è l'approccio che abbiamo avuto nel progetto «rifugio Boggio Lera», che ha visto un partenariato molto interessante tra un liceo scientifico del centro della città e tre associazioni – «Officine Culturali», il «Centro speleologico etneo» e il comitato «Antico Corso», un comitato di quartiere – impegnarsi nel progetto di recupero di un vecchio rifugio interno alla scuola per aprirlo al pubblico.
  Aggiungo solo una riflessione e passo la parola a Salvatore Palla. Abbiamo avvertito, nel corso di questa esperienza, alcuni limiti. Su questi progetti di alternanza scuola lavoro si sta delineando un nuovo modello formativo, un modello fatto dalla scuola, che normalmente gestisce un modello formativo codificato, con tutta una serie di attori che si affacciano alla possibilità di contribuire, ma che procedono secondo linee ancora non ben delineate che, invece, secondo noi, dovrebbero essere codificate.
  Questo tipo di progetti sta rivelando, secondo noi, un forte fabbisogno di progettazione per le scuole che, per rispondere ai PON o all'alternanza, necessitano di progettisti e spesso non li hanno, perché i professori fanno i professori, i presidi fanno i presidi e così via.
  In questi casi, molto spesso rispondono informalmente progettisti e organizzazioni del territorio, anche questo in un sistema non codificato. In sostanza, si tratta di una nuova forma di welfare a tutti gli effetti. Sono nuovi modelli educativi che travasano dalla tradizionale acquisizione di conoscenze all'interno della scuola per condurre Pag. 8 i ragazzi verso l'acquisizione di una competenza secondo noi importantissima, quella del senso di appartenenza comunitaria. Lascio la parola a Salvatore Palla che completerà la presentazione del progetto.

  SALVATORE PALLA, Liceo scientifico Enrico Boggio Lera, Catania. Buongiorno, sono Salvatore Palla e sono qui oggi in veste di rappresentante di due classi del liceo scientifico Enrico Boggio Lera di Catania che già da due anni sono coinvolte in un progetto di alternanza scuola lavoro, avente come nucleo principale la rigenerazione di un rifugio antiaereo.
  Abbiamo scelto un rifugio antiaereo come progetto di alternanza perché ci avrebbe permesso innanzitutto di studiare più approfonditamente e da vicino i fatti risalenti al periodo storico della seconda guerra mondiale e perché ci avrebbe avvicinato, in un certo senso, al mondo dei musei e della progettazione culturale. L'aspetto più importante è stato, in questo caso, che il rifugio ha sede all'interno dell'edificio scolastico stesso e la sua rigenerazione ci avrebbe permesso di restituire questo bene comune agli studenti. Questo percorso di alternanza scuola lavoro è stato possibile grazie ai professori, ai tutor, ai docenti e alle tre associazioni del territorio che sono il comitato «Antico Corso», il «Centro speleologico etneo» e, per l'appunto, «Officine Culturali».
  In questi due anni di alternanza scuola lavoro ci siamo suddivisi, noi studenti, in due gruppi, ognuno dei quali con un compito ben specifico che andava dal reperimento di documenti storici risalenti al periodo e all'edificio stesso, alla creazione dei servizi fruibili da diversi pubblici, fino alla comunicazione generale di ciò che noi facevamo.
  Come studenti, ci sentiamo innanzitutto di aver sviluppato diverse competenze nel settore della progettazione e dello sviluppo culturale. Siamo stati, da subito, coinvolti in prima persona e le nostre idee hanno avuto sempre un grande valore. Sia noi che il progetto siamo cresciuti molto sin dall'inizio e sentiamo quindi di aver ricevuto un grande insegnamento. Allo stesso tempo, però, noi studenti del rifugio Boggio Lera risultiamo un caso isolato o, almeno, un caso raro, perché confrontandoci con gli altri studenti, sia del nostro territorio che di altre realtà italiane, abbiamo riscontrato un malcontento piuttosto diffuso. Le aspettative erano per lo più legate a percorsi di alternanza più inerenti al corso di studi effettuato, o ad un ruolo maggiore, più attivo: ma così non era stato. Molti miei coetanei si erano ritrovati semplicemente a subire le lezioni frontali, o a non poter intervenire in modo diretto mentre, per essere un cittadino attivo, secondo noi studenti, è doveroso poter avere la parola e poter dare la propria opinione. In questo caso, ci sentiamo di definire l'alternanza scuola lavoro, più che alternanza scuola lavoro, alternanza scuola cittadinanza.

  PRESIDENTE. Grazie, Salvatore, per la tua testimonianza. In questa Commissione l'alternanza scuola lavoro è un tema molto sentito. Abbiamo avuto varie testimonianze di tipo anche diverso e ci interessa molto l'esperienza di Catania.
  Proseguiamo con l'associazione Arena Sferisterio di Macerata, Opera Festival, per cui è presente il presidente Romano Carancini.

  ROMANO CARANCINI, Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata. Buongiorno. Grazie dell'invito e di questa opportunità. Voglio fare i complimenti per i progetti che ho ascoltato e che possono essere un'opportunità per noi di rubare con l'ascolto bellissime idee. Mi piace condividere questo momento con i responsabili del marketing: Andrea Compagnucci, la dottoressa Angela Tassi, responsabile delle relazioni esterne, perché ragioniamo in termini di squadra. In questo senso, pur non essendo presenti, vogliono portare il saluto del Sovrintendente Luciano Messi e della nuova Direttrice artistica Barbara Minghetti.
  Il nostro progetto parte dalla presentazione del luogo. Questo è lo Sferisterio. Non è un'arena. È uno straordinario teatro, l'unico al mondo con i palchi e con un palcoscenico unico, lungo circa 118 metri e Pag. 9profondo 18. Da oltre cinquant'anni richiama una stagione lirica tra le più importanti di questo Paese. Soprattutto, ciò che caratterizza particolarmente questo luogo sono la perfetta visibilità e la straordinaria acustica. Proprio sull'acustica, Raina Kabaivanska, molti anni fa disse che con la sua voce ci giocava a palla in quel teatro, per raccontare delle particolarità.
  Su quel palcoscenico sono passati tantissimi artisti, i più importanti al mondo. Cito Mario Del Monaco nella prima edizione, dopo la ripresa del 1921. Quel luogo è stato scoperto come teatro lirico per lo spettacolo nel 1921, ma poi è stato ripreso nel 1967. Come ripeto, hanno calcato quelle scene Mario Del Monaco, Luciano Pavarotti, Ken Russell, Montserrat Caballé, Placido Domingo, ma anche è stato teatro di danza per Carla Fracci, Nureyev e tantissimi altri artisti, anche contemporanei, che hanno cantato per poi sono sbocciare in grandi successi in teatri ben più importanti.
  Ci piace ricordare tre particolari allestimenti: quello del 1992 di Josef Svoboda, la cosiddetta Traviata di specchi, uno spettacolo incredibile per la sua semplicità, citato successivamente nei più importanti allestimenti teatrali; la Bohème di Ken Russell del 1984, che fu molto dura rispetto a un pensiero della lirica come luogo un po’ stantio e la Bohème del 2012, firmata da Leo Muscato, che è stato l'ultimo premio Abbiati di questo nostro teatro.
  Mi piace ricordare che il Macerata Opera Festival coordina la rete lirica delle Marche che è, crediamo, il primo esperimento in Italia di una collaborazione fra i teatri di tradizione e la rete lirica ordinaria; questo perché i teatri di lirica ordinaria, a seguito delle ristrettezze che sono state citate, trovavano difficoltà in città importanti, in luoghi che avrebbero visto chiusi i teatri rispetto ai progetti lirici. Nella collaborazione con i teatri di tradizione, in questo caso proprio il Macerata Opera Festival, ma anche il Teatro Rossini Opera Festival, è stato trovato un vero e proprio coordinamento. Oggi, per la quarta edizione, vi è un vero e proprio itinerario con un progetto artistico molto significativo.
  Il progetto di cui parliamo stamattina, per quanto riguarda il Macerata Opera Festival, non sarebbe potuto crescere e nascere, se non ci fosse stata quella importante, forse semplice ma, per questo davvero innovativa, idea dell’art bonus. È una straordinaria opportunità, sia sotto il profilo economico – poi dirò per quali ragioni – ma anche e soprattutto come veicolo di comunicazione del progetto. Per noi è stata davvero un'ottima pratica che ci ha in una qualche maniera costretti a pensare ai problemi che a un certo punto ci siamo posti.
  Tutto muove dal fatto che, a seguito di ciò che è avvenuto dopo il 2010 in termini di finanziamenti, il Macerata Opera Festival ha perso circa 1.300.000 euro di contributi, da parte di soggetti che tradizionalmente, per decenni, avevano contribuito alla realizzazione di quell'evento. Naturalmente non volevamo interrompere quella bellissima storia, così abbiamo cominciato a lavorare e a pensare a quale potesse essere lo strumento. Un altro elemento che ci aveva mosso era la straordinaria crescita delle collaborazioni, cosiddette sponsorizzazioni, che arrivavano a circa 600.000 euro di contributi sponsor, partendo dai 110.000 euro del 2010; grazie anche al grande lavoro di Francesco Micheli, dal 2012 fino alla stagione 2017. In particolare, questa saturazione rispetto alle sponsorizzazioni e, in secondo luogo, l'esigenza di riempire di risorse e dare l'opportunità di continuare a produrre attraverso l’art bonus ha dato un'opportunità incredibile e una spinta molto significativa.
  La campagna dei cento mecenati consisteva in micro donazioni di mille euro ciascuna per cento stakeholder, che erano la comunità, la società, le persone, imprenditori o anche privati. Nasceva dallo spunto della tradizione e dell'orgoglio, perché lo Sferisterio – torno alla storia – è stato edificato nel 1829 grazie a cento consorti, in una sorta di membership antesignana. Partendo da lì, abbiamo immaginato che questa fosse l'epoca e il tempo di immaginare nuovi cento consorti, che abbiamo chiamato cento mecenati, sui quali abbiamo costruito questa base, questa partecipazione attiva rispetto al progetto complessivo. Pag. 10 Grazie a questo progetto si voleva trasformare una corporate social community in una community social responsibility. Questo è il senso del lavoro fatto. Si tratta di persone che partecipano con un senso di responsabilità sociale, che hanno la possibilità di vivere al meglio e dentro la storia del percorso annuale nella costruzione degli allestimenti, degli spettacoli, attraverso la conoscenza degli artisti. Questa partecipazione serviva e serve ogni anno, perché ripartiamo da zero, a sensibilizzare l'esperienza di persone e di giovani rispetto a questo evento.
  Come ripeto, per noi è stato un veicolo molto importante dal punto di vista comunicativo. Nel 2016, il progetto dei cento mecenati ha ricevuto il premio Federculture e, all'interno di questo premio, c'è stata anche la soddisfazione di altri premi personali. Voglio ricordare con particolare piacere quello per Elisabetta Perucci, che è la figlia del primo sovrintendente che nel 1967, con uno straordinario senso del futuro – è davvero un uomo illuminato, il professor Perucci – riaprì lo Sferisterio. Ebbene, Elisabetta è stata una delle nostre mecenate e ha ricevuto nel 2017 il premio Rotondi, come migliore storia italiana legata all’art bonus. Abbiamo avuto anche l'invito al salone della community social responsibility e dell'innovazione sociale di Milano all'Università Bocconi, che ha avuto, anche in questo, caso un premio.
  Tutto questo è frutto di un lavoro – lo voglio ribadire – di squadra, in cui tutti apportano un grande senso di appartenenza. In una realtà come la nostra, orgogliosamente di provincia, non è facile ogni anno ripartire, ma la forza ce la danno proprio i mecenati che, voglio ricordare, non partono dall'alto, non dall'associazione Sferisterio; è stata, invece, proprio una di queste persone che ha lanciato l'idea, sulla base della quale poi sono aumentati e oggi si diffondono in maniera estremamente positiva sul territorio. Grazie dell'opportunità.

  PRESIDENTE. Passiamo all'ultima delle nostre audizioni con il Festival della Scienza – Città dei bambini. Mi pare che il presidente, il professor Marco Pallavicini, appartenga a tutte e due le realtà.

  MARCO PALLAVICINI, presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE). Poi spiegherò meglio la relazione fra le due.

  PRESIDENTE. Il presidente è accompagnato dalla dottoressa Firpo.

  MARCO PALLAVICINI, presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE). Grazie dell'invito e dell'opportunità. L'evento del Festival è organizzato da un'associazione mista, pubblica e privata, cui partecipano il comune, la regione, la Camera di Commercio, alcune strutture private, ma soprattutto tutti gli enti di ricerca nazionale italiani, a riprova del fatto, come cercherò di sottolineare, che l'evento ha un interesse nazionale. Si fonda su uno staff di dieci persone, interamente pagate con i fondi dell'associazione, quindi con finanziamenti che, di anno in anno, vengono raccolti. Da due anni, attraverso un contratto, l'associazione ha in gestione la parte scientifica della Città dei bambini e dei ragazzi, che è una struttura di supporto e divulgazione orientata ai bambini, oltre che un luogo dove le famiglie possono trascorrere una giornata in modo intelligente e costruttivo.
  È un festival è internazionale che attrae centinaia di personalità scientifiche da tutto il mondo. Abbiamo avuto decine di premi Nobel, personalità scientifiche del mondo di tutte le scienze, della tecnologia, ma anche della società e dello spettacolo. È orientato ai giovani, in due sensi. In primo luogo, i giovani sono target – abbiamo laboratori interattivi dai 36 mesi fino agli anni universitari, per tutte le età –, perché il Festival è orientato al pubblico, vedremo i numeri dopo, ma anche alla scuola. Quest'anno abbiamo avuto 34.000 alunni da undici regioni che hanno seguito direttamente il Festival. In secondo luogo, i giovani hanno un ruolo essenziale anche dal punto di vista dell'azione nei confronti degli altri giovani, nel senso che il Festival è realizzato, con la supervisione degli scienziati, Pag. 11 da circa 500 ragazzi che sono gli animatori, in buona parte studenti universitari, ma anche studenti di scuola superiore in alternanza scuola lavoro, con un progetto della regione. Questi ragazzi sono l'interfaccia verso gli altri ragazzi. Una delle cifre del Festival è di non mettere in contatto diretto lo scienziato accademico con il pubblico, ma di avere un giovane che noi selezioniamo, reclutiamo e formiamo, dando anche un'opportunità di crescita a questi stessi animatori, con il forte supporto scientifico dell'Università e degli enti nazionali.
  Vengo ai numeri. Si tratta di un evento molto grande per la città di Genova e direi anche a livello nazionale. Siamo alla quindicesima edizione, dal 2003. Abbiamo avuto quasi 5.000 eventi in quindici anni, fra mostre, laboratori, spettacoli e conferenze. Il Festival è molto vario nel suo modo di comunicare. Le conferenze sono un pezzo importante, ma diamo grandissimo risalto anche ai laboratori, quindi a tutte le attività hands-on dei bambini, dei ragazzi, ma anche del pubblico adulto, che spesso può giocare con realizzazioni apposite. Un elemento molto qualificante sono gli animatori. Abbiamo formato 7.600 ragazzi in 15 anni, insegnando loro a comunicare scienza, ma non soltanto: i ragazzi, infatti, sono coinvolti nell'accogliere gli oratori, nell'organizzazione, nella biglietteria. Quindi, non ci sono soltanto ragazzi con un orientamento scientifico, ma anche ragazzi che semplicemente vogliono fare un'esperienza lavorativa qualificante. Quasi 3 milioni di visite in 15 anni. Siamo stabilmente sopra le 200.000 visite ogni anno e quest'anno siamo arrivati a 210.000, con un ulteriore aumento delle vendite del 10 per cento, quindi siamo in crescita di nuovo. Dopo una flessione negli anni 2012-2013, adesso c'è una ripresa molto forte.
  Il piccolo riquadro sul budget che viene mostrato vi dà un profilo sulla provenienza del nostro finanziamento, che è al 35 per cento pubblico e al 65 per cento privato, con una forte componente della Compagnia di San Paolo. Il punto interrogativo che vedete mi consente di sottolineare un problema, che mi pare opportuno evidenziare qui, ovvero il modo in cui viene gestita la legge n. 6 del 2000, una legge dello Stato per il finanziamento delle iniziative di divulgazione scientifica. Credo che anche i musei abbiano molto da lamentarsi in proposito.
  Segnalo due problematiche. La prima è che, pur trattandosi di una legge dello Stato – e qui mi spiegherete voi come è possibile – ogni tanto salta il bando. È successo nel 2016 e anche in passato. Inoltre, è il 21 novembre e il bando per il 2017 non è ancora uscito. Questo rappresenta un enorme problema, perché oggi devo decidere se partecipare a questo bando, qualora uscisse, ma non so di quale cifra potrò disporre. Quindi dovrò chiudere il bilancio entro il 31 dicembre, senza sapere se ci sarà un finanziamento e di quale entità sarà.
  Sottolineo che un'associazione tra pubblico e privato come la nostra non può andare in rosso, ma non può andare neanche in attivo, pena problemi con gli enti locali, che naturalmente non sono favorevoli a finanziare un'associazione per fargli fare degli utili. Quindi la problematica è molto forte e credo che sarebbe opportuno un intervento nei confronti del Ministero, perché trattandosi di un bando che dovrebbe uscire tutti gli anni, sinceramente non capisco perché debba uscire in novembre o dicembre.
  Quella che viene proiettata adesso è una fotografia dei ragazzi. Sono gli animatori. È circa la metà degli animatori di quest'anno, per darvi un'idea del coinvolgimento attivo dei giovani, non soltanto del pubblico. Il pubblico conta 200.000 persone che in una foto non entrano, ma questi sono i ragazzi che hanno fatto il Festival, su nostra guida e formazione.
  Da ultimo, spendo due parole sulla Città dei bambini e dei ragazzi. Da due anni la nostra associazione ha un contratto con la società Porto Antico, che gestisce tutte le attività del Porto Antico a Genova, nella quale c'è una struttura che si chiama Città dei bambini e dei ragazzi, un'area di gioco, educativa. È una nursery intelligente, in cui le famiglie, se vogliono, possono lasciare i ragazzi, dai 2 a 13 anni, oppure stare con Pag. 12loro a giocare. In questo caso, l'associazione mette a disposizione della struttura la capacità di creare eventi, divulgazione scientifica e soprattutto laboratori, coinvolgendo sempre gli enti di ricerca, il CNR, l'IIT e l'INFN, in particolare. Credo che sia un valore aggiunto che possiamo dar loro e dal quale abbiamo un po’ di sostentamento economico, perché abbiamo un contratto apposito. Abbiamo assunto altre cinque persone, quindi, complessivamente, sono quindici persone pagate dall'associazione. È dunque una realtà piuttosto grande, certamente per Genova, ma direi a livello nazionale.

  PRESIDENTE. Grazie Presidente. Anche questo è un tema che riguarda la nostra Commissione, perché spesso lottiamo contro i ministeri per questi ritardi inspiegabili e inaccettabili. Peraltro, sappiamo che non è solo un problema di bandi, ma anche di erogazioni che spesso arrivano in tempi davvero inaccettabili. Sappiamo anche che nessuno riconosce gli interessi passivi a realtà di questo genere, quindi ne siamo molto consapevoli.
  Ringrazio tutti i nostri ospiti, cui voglio elencare i parlamentari presenti: gli onorevoli Adornato, D'Ottavio, Manzi, Blazina, Marzana, Gallo, Carocci, Narduolo, Iori, Ghizzoni, Coscia, Nicchi, Malisani, Ascani. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARA CAROCCI. Sono andata a rivedere la legge n. 6 del 2000 e ho visto che nel 2016 era stato presentato un resoconto da parte del Ministero, che noi, se non sbaglio, avevamo già giudicato insufficiente, incompleto e tardivo. Ora, chiederei alla Presidente di riprendere magari il filo del ragionamento che avevamo fatto, per vedere se con il Ministero sia possibile intervenire per sanare queste deficienze. Grazie.

  PRESIDENTE. Come questa Commissione ricorderà, siamo riusciti a ottenere un risultato di questo genere con il MIBACT e la legge n. 534 è arrivata a essere regolata secondo i tempi giusti. Non ci siamo ancora riusciti con il MIUR con cui stiamo tentando da mesi di ottenere lo stesso risultato. Continueremo con questo lavoro, anche perché l'impegno sulla divulgazione scientifica fa parte di una delle priorità per il nostro Paese.

  MANUELA GHIZZONI. Vorrei ringraziare gli ospiti e chiedere loro, se possibile, le ragioni per cui, la Città dei bambini di Genova sia stata trasferita alla vostra competenza scientifica. Conosco quella struttura per averla visitata da adulta, trattandosi una buona prassi che volevamo riportare nel mio comune di residenza. Ho visitato la Città dei bambini, di cui ho apprezzato a suo tempo le strutture, anche se si tratta di una realizzazione che potrebbe invecchiare. Vorrei sapere se le motivazioni del vostro intervento nella programmazione derivano dalla necessità di rendere questo luogo il più innovatore e il più innovabile possibile, se questa è la lettura da dare.
  In merito alla legge n. 6 del 2000, penso che – ognuno di noi sarà stato segnato nella vita da un fallimento – queste leggi nascano con nobili motivi, ma poi le ragioni di questi ritardi restano ignote a noi, alla Presidente o a chiunque altro; probabilmente sono riconducibili a una vischiosità di intervento ministeriale. Faremo la nostra parte, come abbiamo sempre fatto. Peraltro è imbarazzante dover dare un parere, che è obbligatorio per la Commissione, con tre anni di ritardo, com'è capitato casualmente quando ero la relatrice del provvedimento. Forse dovremmo davvero cambiare modalità di erogazione, attraverso bandi con agenzie esterne o altro, perché le procedure messe in campo con la legge del 2000 non funzionano, anzi, se voi volete darci un suggerimento in questo senso, credo sia molto ben accetto.

  UMBERTO D'OTTAVIO. Probabilmente era inevitabile finire con il parlare di soldi e raccolgo il richiamo, ma credo sia più opportuno riportare il discorso allo scopo iniziale del nostro ragionamento: le buone pratiche della diffusione culturale.
  Vorrei fare una domanda a Sergio Soave della Fondazione Polo del ’900 e agli amici Pag. 13di Catania sul rapporto con la scuola. Spesso siamo richiamati dagli insegnanti per il fatto che la storia del Novecento non è organizzata. La Fondazione Polo del ’900 sta aiutando la scuola ad approfondire le tematiche di questo secolo?
  Ho trovato molto interessante il fatto che un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale abbia dato lo spunto per un'esperienza di alternanza scuola-lavoro. Il rapporto con la scuola è fondamentale, per cui vorrei capire come ritenete possa continuare quest'esperienza.

  MARIA MARZANA. Innanzitutto vorrei unirmi ai ringraziamenti per i contributi ricevuti da parte di tutti i soggetti intervenuti. La mia domanda riguarda, in particolare, l'esperienza illustrata, per Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale di Catania, direttamente dallo studente che ha vissuto l'esperienza di alternanza scuola-cittadinanza.
  In particolare, vorrei conoscere le difficoltà che avete incontrato, visto che voi stessi vi rendete conto dell'unicità o, comunque, della particolarità dell'esperienza che avete svolto rispetto a quella di tanti altri ragazzi, che, addirittura, come abbiamo letto anche sui giornali, hanno sperimentato una sorta di sfruttamento nell'alternanza scuola-lavoro. In pratica, le mansioni erano prettamente manuali e molti di loro hanno richiesto addirittura di tornare fra i banchi di scuola perché sicuramente avrebbero tratto più giovamento da quelle ore, piuttosto che dallo svolgimento di attività prettamente manuali. Voglio chiedere quali sono le difficoltà che avete incontrato, in particolare nel rapporto con i docenti o il dirigente, e come le avete superate.

  LUIGI GALLO. Ringrazio gli ospiti per aver illustrato queste esperienze virtuose del nostro Paese. In questa audizione in particolare, abbiamo ascoltato diverse testimonianze concernenti esperienze di lavoro destinate a differenti fasce di età; vorrei chiedere che cosa è possibile fare rispetto a quelle destinate agli adulti. È evidente che all'interno della scuola ci siano ritardi di diverso tipo: quelli cognitivi che spesso diventano bisogni educativi speciali, e quelli del fabbisogno culturale del Paese, come una scarsa lettura o una scarsa immersione culturale. Vorrei sapere se esista, tra gli enti oggi qui rappresentati, una politica generale che tenga conto del fatto che, senza spazi e percorsi dedicati, non solo agli adulti, ma anche a bambini da zero anni in su, quindi ai ragazzi, non riusciamo a superare il grande gap, sia in campo culturale sia in campo educativo.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ALESSANDRO PONTREMOLI, Università degli Studi di Torino. Rispondo all'onorevole Gallo perché mi sento chiamato in causa. Il processo di teatro educativo-sociale di comunità e la danza di comunità si occupano di tutti, dai bambini più piccoli fino alle persone anziane. Per queste ultime, abbiamo realizzato a Torino il progetto «Lo splendore dell'età», finanziato dalla Fondazione CRT. Esso si è occupato della dimensione dell'anzianità attiva, quindi di fare teatro con queste persone producendo poi uno spettacolo per la comunità. Il progetto ha avuto un interessantissimo riscontro dal punto di vista anche della dimensione della vicinanza delle persone a queste realtà spesso trascurate.
  Con i bambini, si fa, soprattutto, danza di comunità. Si tratta di uno strumento molto utile per risvegliare quelle capacità che i bambini spesso non dimostrano all'interno della dimensione scolastica.
  C'è un'attenzione dal punto di vista delle generazioni a 360 gradi da parte del teatro sociale di comunità, come dimostrano anche le immagini che avete visto.

  SERGIO SOAVE, presidente della Fondazione Polo del ’900. Lascerei la parola al direttore Alessandro Bollo.

  PRESIDENTE. La prego.

  ALESSANDRO BOLLO, direttore della Fondazione Polo del ’900. Tornando alla Pag. 14domanda sul rapporto tra l'attività della Fondazione Polo del ’900 e le scuole, rispondo che per noi, il pubblico scolastico, ma anche quello in età prescolare, è centrale, per una serie di motivi. In primo luogo, si tocca effettivamente una necessità molto forte, quella di insegnare a utilizzare la storia del Novecento. Ad integrazione dei percorsi didattici formativi, il modello con cui si può affrontare la storia del Novecento, ragionando sulla Costituzione e sulle guerre, consente la diffusione di comportamenti di cittadinanza attiva e di costruire una visione di cittadinanza aperta a concetti di scambio, di valore e di democrazia. In realtà, il Polo già acquisisce esperienze consolidate dagli istituti che ospita, come l'Istoreto o il Museo diffuso, che hanno già una forte tradizione in questo senso.
  Quest'anno, molto semplicemente e piuttosto efficacemente, abbiamo offerto, in una modalità integrata, tutta l'iniziativa didattica. Solo quest'anno, sono 75 le proposte che offriamo agli insegnanti, dalle scuole elementari alle scuole superiori, anche con contenuti diversificati. Ci sono laboratori, attività nelle scuole o concorsi creativi, come quello che si chiama «Accendi la Resistenza», con cui spingiamo i giovani a utilizzare nuovi linguaggi, come quello della graphic novel o dell'audiovisivo per ragionare sulla Resistenza, utilizzando la creatività per ragionare sui grandi temi del Novecento e, indirettamente, anche sull'oggi. Se si riesce a creare questo corto circuito, in cui il Novecento diventa anche una modalità di interpretazione dell'oggi, la formazione può essere molto importante.
  Personalmente, penso che l'integrazione tra il sistema educativo e il sistema culturale sia un anello da rafforzare ancora molto. Ritengo che il sistema italiano abbia una forte debolezza in questo senso, quindi si deve intervenire con policy che aiutino e stimolino il sistema culturale delle istituzioni a trovare alleanze con la scuola, che non siano limitate all'offerta formativa tradizionale – lasciando, per intenderci, qualche brochure nelle scuole – ma utilizzino anche il percorso curriculare e quello extrascolastico come campo di pratica per sviluppare innovazione.
  Quella del finanziamento e dell'orientamento delle policy, che noi viviamo nelle nostre esperienze, penso sia un'indicazione su cui ragionare.

  SERGIO SOAVE, presidente della Fondazione Polo del ’900. Per rispondere anche all'onorevole Gallo, vorrei sottolineare che anche noi ci preoccupiamo di avere un'offerta spalmata su uno spettro di età diverse. Naturalmente, nel pomeriggio ci sono soprattutto i giovani, che la mattina sono a scuola. Di mattina, puntiamo molto sulle fasce più adulte, anche in relazione al fatto che c'è la possibilità di vedere i giornali online e a breve ci sarà una caffetteria. Si offre appunto la possibilità di stare seduti in quello che viene chiamato «salotto del Novecento» per chiacchierare, parlare dei fatti del giorno, eccetera. Attraverso la rete della cultura popolare, che è molto efficace per il contatto con il territorio e soprattutto con il quartiere, abbiamo stabilito delle ottime relazioni. Abbiamo anche un'area bambini, che, per ora, è uno spazio riservato a madri e padri che partecipano alle nostre iniziative e devono poter lasciare a qualcuno i figli.

  SALVATORE PALLA, Liceo scientifico Enrico Boggio Lara, Catania. Per noi studenti, le principali difficoltà incontrate sono un senso di spaesamento iniziale e, soprattutto, di mancata concretezza. A mi avviso questo accade perché, inizialmente, gli studenti, i docenti e, in generale, la scuola come istituzione, si sono trovati piuttosto impreparati sull'alternanza scuola-lavoro. Non sapevamo, in sostanza, che cosa fare e non sapevamo dove «andare a sbattere la testa». In questo caso, gli enti esterni intervenuti sono stati di grande aiuto.
  Possiamo definire il nostro percorso di alternanza come qualcosa di organico che si è evoluto con il passare del tempo. Inizialmente, noi studenti non ci credevamo ed eravamo molto dubbiosi, cosa che, in un certo senso, ci ha allontanati dal progetto stesso. Eravamo distaccati, ma, a poco a poco, ci siamo avvicinati e abbiamo creduto Pag. 15in noi stessi e in Officine e negli altri enti. Insieme abbiamo collaborato alla redazione di un progetto, con cui abbiamo partecipato al bando di Culturability, classificandoci tra i quindici progetti finalisti. Allo stesso tempo, ci siamo sentiti delle cavie: è vero che siamo stati i primi a sperimentare l'alternanza e non saremo gli ultimi; però ci aspettavamo di essere maggiormente guidati e non lasciati soli con noi stessi.

  FRANCESCO MANNINO, Presidente di Officine Culturali per la valorizzazione del patrimonio culturale. Per quanto riguarda la domanda sulle criticità, vorrei aggiungere che abbiamo riscontrato un fortissimo sovraccarico da parte della scuola dei docenti che vengono individuati come tutor. Ci è stato anche chiesto di riportare oggi quest'aspetto: si tratta di un lavoro veramente disumano per organizzare una macchina, che coinvolge ormai decine e decine di classi per ogni scuola. Nel 2015, era stato lanciato un SOS da parte di diverse scuole agli enti del territorio, sia agli enti pubblici che si occupano di patrimonio sia a enti privati del terzo settore. Anche noi abbiamo ci siamo chiesti che ruolo avremo. Tant'è vero che, all'inizio, avevamo accettato numerosi progetti di alternanza e ora siamo ridotti praticamente a uno solo. Abbiamo concentrato molta energia su un solo progetto per cercare di fare bene il nostro lavoro perché, per le piccole organizzazioni (anche non profit), ospitare o seguire ragazzi con esigenze molto particolari, che non è il semplice ascolto di una mera lezione frontale, significa sostanzialmente cambiare la forma della struttura organizzativa, cosa veramente impegnativa. Si tratta di un atto di dono molto forte nei confronti di un progetto educativo.
  Prima di passare rapidamente alla domanda sulla storia del Novecento, mi chiedo se sia stato correttissimo e importante fare riferimento alla legge n. 6 del 2000 e a uno di quei bandi del Ministero cui sicuramente partecipiamo. Mi chiedo se la collaborazione tra MIBACT e MIUR, che si sta svolgendo su diversi piani di confronto e, soprattutto, sull'alternanza scuola lavoro, per la quale c'è il bellissimo Portolano, non debba porsi anche l'obiettivo di sostenere i progetti di alternanza scuola-lavoro vincolandoli al tipo di risultati che i progetti stessi possano ottenere per preferire, per esempio, quelli che producono sui ragazzi impatti anche sul medio e lungo periodo.
  Per quanto riguarda il Novecento, vi racconto un episodio. Nell'approccio che abbiamo scelto, oltre allo svolgimento di conferenze, c'è stata l'intenzione di cogliere il senso di una caratteristica della città: Catania ha vissuto bombardamenti molto pesanti nel 1943. I ragazzi hanno potuto cogliere il senso di questi bombardamenti non solo dai documenti – che hanno consultato in archivi e biblioteche, facendo ricerca vera e propria – ma anche parlando con i testimoni di quei bombardamenti, che, allora, erano molto giovani. I ragazzi hanno intervistato molte persone anziane che di quel periodo avevano ancora viva la memoria. Una volta tornati in classe, in uno dei gruppi di cui parlava Salvo – quello per la progettazione dei servizi educativi – i ragazzi si sono chiesti come trasferire ai più piccoli quanto avevano appreso. I ragazzi incarnavano il ruolo di educatori del patrimonio, per cui si sono chiesti come poter trasferire il tema di un bombardamento fatto dagli alleati, che sono amici e sono i salvatori, che ha distrutto la città. Hanno perciò colto, attraverso un laboratorio attivo di progettazione, una contraddizione importante, che per tutti noi è fonte di perplessità e che essi hanno interpretato ragionando non tanto sul tema del soccombere al bombardamento, quanto sull'uscirne vivi e costruire una nuova città, attribuendo un valore positivo a quanto accaduto dopo i bombardamenti, perché il tema per loro è vivo.
  Apprendere, quindi, la storia attraverso un coinvolgimento attivo nella sua comprensione li ha aiutati a capire la forma della città contemporanea, che dipende molto da quanto accaduto in passato. Ecco perché, secondo me, tutto ciò sta avendo un fortissimo impatto anche sul piano educativo.

  ROMANO CARANCINI, Presidente dell'Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival e Sindaco di Macerata. Voglio Pag. 16esprimere qualche considerazione sulla domanda dell'onorevole Gallo. Per noi, quello dei giovani è stato uno dei temi centrali nel 2012 con l'affidamento dell'incarico della direzione artistica a Francesco Micheli, perché l'ambito musicale del melodramma istintivamente non viene percepito positivamente e perché, soprattutto nell'ambito della musica lirica, il tema del ricambio generazionale nel pubblico è certamente centrale. In merito abbiamo un'esperienza incredibile e straordinaria, guardando il prima e il dopo.
  Durante l'anno, svolgiamo una serie di format, che preparano i giovani delle scuole, che si chiama «Incontra l'Opera» e consente di poter portare il nostro direttore artistico o chi per lui nei teatri del territorio provinciale a presentare e a raccontare le opere che saranno allestite in quei teatri in estate.
  Attraverso la partecipazione a forme abbastanza inedite e piuttosto interessanti dell'Opera, cercando di far dialogare quelli che, nel melodramma, sono stati i sentimenti più popolari o più romantici, quindi attraverso i format di «Incontra l'Opera», oggi possiamo dire che arrivano circa 6.000 giovani al di sotto dei 18 anni. Non coinvolgiamo i bambini da zero a sei anni perché evidentemente non possono prestare la dovuta attenzione, ma i ragazzi delle medie e, in particolare, delle superiori, hanno accolto con grandissimo entusiasmo questa esperienza. Lo facciamo anche con le anteprime giovani, che oggi sono tutte sold-out e per le quali si paga un biglietto ridotto, oltre al «Festival off», che è totalmente gratuito e accompagna i giovani durante il mese del Macerata Opera Festival, con iniziative particolari dedicate a loro. C'è una risposta inaspettata, anche ascoltando le bellissime esperienze dei colleghi.
  Vorrei anche ringraziarvi per la legge sullo spettacolo, che certamente, dopo cinquant'anni, ha fatto un passo in avanti incredibile. Questa legge ci pare importante, almeno per la nostra esperienza; l'aspettavamo da tempo e il marito è di chi, come voi e altri, ci ha lavorato.
  Pensiamo convintamente che si possano ricercare meccanismi di riconoscimento di chi si impegna nel coinvolgimento delle nuove generazioni nei vari progetti. Attraverso uno sforzo, che non credo sia complicato sotto il profilo legislativo, dare riconoscimento a chi investe sui giovani può essere certamente un valore aggiunto, perché dobbiamo pensare anche al dopo e non solo al presente.

  MARCO PALLAVICINI, Presidente del Festival della Scienza – Città dei bambini (GE). Per rispondere alla domanda sulla Città dei bambini, vorrei dire che l'iniziativa è nata dalla Porto Antico, che ci ha contattato, perché hanno ritenuto importante l'esperienza del Festival della Scienza e, in particolare, la sua capacità di creare laboratori. Il Festival della Scienza non ospita soltanto iniziative proposte da altri attraverso una selezione: una parte importante dei laboratori sono di produzione interna. In particolare, tre delle dieci persone a nostra disposizione fanno a tempo pieno progettazione di laboratori didattici per tutte le età. Questa capacità naturalmente si è consolidate negli anni e stiamo già lavorando per rinnovare l'offerta della Città dei bambini. Ci occupiamo della gestione scientifica e facciamo la gestione di contenuto, per cui non siamo responsabili della struttura, che rimane in carico alla Porto Antico.
  Aggiungo un commento riguardo al ruolo del Festival della Scienza nei confronti della scuola, che è anche la ragione per cui cerchiamo di accedere ai fondi del MIUR. Offriamo moltissimo alle scuole, nel senso che è del tutto chiaro che il grande successo del Festival della Scienza nei confronti delle 1200 classi che, solo quest'anno, sono venute da tutta Italia, è dovuto anche al fatto che la scuola ha difficoltà interne a offrire contenuti sulla scienza moderna e sul laboratorio di qualità, quindi trova nel Festival della Scienza un'opportunità per compensare. Naturalmente questo è un fatto positivo dal nostro punto di vista, ma credo che non si debba dimenticare che da parte degli insegnanti c'è una chiara richiesta di aiuto. Sostanzialmente, gli insegnanti ci chiedono di offrire contenuti, Pag. 17 che vorrebbero poter offrire internamente, ma fanno fatica a offrire, soprattutto sul fronte del laboratorio e sugli aspetti scientifici più moderni, dove spesso le scuole o non sono attrezzate o, addirittura – commento la mia esperienza personale con le scuole – sono attrezzati, ma non hanno le persone; hanno la strumentazione acquistata con fondi europei o fondi reperiti in qualche modo, ma non hanno le persone in grado di sfruttare in modo corretto quella strumentazione per un'offerta didattica.

  PRESIDENTE. Do la parola a Claudio Dellavalle, Vicepresidente della Fondazione Polo del ’900, che ha chiesto di intervenire per un minuto.

  CLAUDIO DELLAVALLE, Vicepresidente della Fondazione Polo del ’900. In un minuto cercherò si esprimere il senso per cui abbiamo fatto il lavoro che riguarda il Polo del ’900. È una rete e questo è un aspetto molto importante: il Polo mette insieme tante cose diverse e, grazie alla Compagnia di San Paolo, com'è stato raccontato, è potuto nascere e crescere. Tuttavia, il Polo del ’900 si porta dietro una volontà di attivarsi soprattutto nei confronti dei giovani, quindi c'è una scelta molto precisa: non solo i giovani, ma specialmente i giovani. Torino ha una serie di problemi molto seri da questo punto di vista, ma credo che anche in molte altri luoghi d'Italia sia lo stesso.
  C'è una questione che vorrei porre a voi della Commissione Cultura, che, secondo me, è il luogo giusto per fare riflessioni su questo tipo, come peraltro ho sentito stamattina. Io vivo un po’ con un senso di angoscia a questo passaggio perché, nel rapporto con i giovani, non abbiamo gli strumenti sufficienti e adatti per potere intervenire come vorremmo. Stamattina è stato chiesto del rapporto del Novecento rispetto al presente. Quanto Novecento c'è nel presente? Se apro un giornale, tutti i giorni trovo delle grandi quantità di Novecento, che passano attraverso tanti messaggi. Il punto è che non riusciamo a trovare la comunicazione diretta con un mondo che è cresciuto, aspetto che nei ragazzi è molto più accentuato che non in altre fasce di età, attraverso nuovi modi di comunicare: facciamo un grosso sforzo, anche all'interno del Polo, per riadattare tutta una serie di cose che facciamo a linguaggi nuovi.
  Come ho detto in altre occasioni, non ce ne rendiamo conto, ma c'è una frattura generazionale profondissima, che dovrebbe essere oggetto di riflessione generale da parte di chi si occupa di queste questioni. Si dovrebbe affrontare prima di tutto questo problema; dopodiché, possiamo cercare le soluzioni. Alcuni di quelle che ho sentito stamattina sono ottime cose, però, se non si affronta la questione in modo generale, i ministeri risponderanno in modo inadeguato, le scelte che faranno gli adulti non saranno adeguati e così via.

  PRESIDENTE. Grazie per il suo contributo. Grazie a tutti i nostri ospiti che saluto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.55.