XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 15 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE BUONE PRATICHE DELLA DIFFUSIONE CULTURALE:

Audizione di Antonio Lampis, Direttore generale per i musei (MIBACT); Giuseppe Guzzetti, Presidente dell'ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa); Camillo Brezzi, Direttore scientifico della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus Pieve Santo Stefano; Paolo Masini, Ideatore e coordinatore di MigrArti – La cultura unisce; Giuseppe Pecorelli, Direttore artistico dell'Orchestra di Piazza Vittorio e di Torpignattara di Roma.
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 
Lampis Antonio , Direttore generale per i musei del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) ... 3 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 5 
Guzzetti Giuseppe , Presidente dell'Associazione di Fondazioni e di casse di risparmio SPA (ACRI) ... 6 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 9 
Brezzi Camillo , Direttore scientifico della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus Pieve Santo Stefano ... 9 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 11 
Masini Paolo , Ideatore e coordinatore di MigrArti – La Cultura Unisce ... 11 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 12 
Pecorelli Giuseppe , Direttore artistico dell'Orchestra di Piazza Vittorio e di TorPignattara di Roma ... 12 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FLAVIA PICCOLI NARDELLI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Antonio Lampis, Direttore generale per i musei (MIBACT); Giuseppe Guzzetti, Presidente dell'ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa); Camillo Brezzi, Direttore scientifico della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus Pieve Santo Stefano; Paolo Masini, Ideatore e coordinatore di MigrArti – La cultura unisce; Giuseppe Pecorelli, Direttore artistico dell'Orchestra di Piazza Vittorio e di Torpignattara di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle buone pratiche della diffusione culturale, l'audizione del dottor Antonio Lampis, Direttore generale per i musei del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT); del professor Giuseppe Guzzetti, Presidente dell'Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa (ACRI); del professor Camillo Brezzi, Direttore scientifico della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus Pieve Santo Stefano; del dottor Paolo Masini, ideatore e coordinatore di Migrarti – La cultura unisce; del dottor Giuseppe Pecorelli, Direttore artistico dell'Orchestra di Piazza Vittorio e di Torpignattara di Roma, uno dei Vincitori del premio Migrarti.
  Come vedete, rispettiamo quella che è ormai la tradizione delle nostre audizioni: abbiamo qui competenze diverse, unite tutte dall'esperienza eccezionale che vengono a rappresentare in Commissione.
  Avverto che la raccolta delle memorie pervenute è a disposizione dei colleghi. Rivolgo un saluto di benvenuto a tutti gli ospiti presenti, pregandoli di contenere i loro interventi. Comunico, inoltre, che le bozze dei resoconti delle precedenti audizioni sono già disponibili, anche se in versione provvisoria. Do subito la parola al dottor Lampis per il suo intervento.

  ANTONIO LAMPIS, Direttore generale per i musei del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT). Grazie, presidente. Sono da due mesi e quindici giorni il nuovo direttore generale dei Musei del Ministero dei beni culturali e del turismo; per vent'anni ho diretto l'Assessorato alla Cultura della provincia autonoma di Bolzano e quello che vi posso raccontare è il bilancio di vent'anni di questa esperienza e la nuova sfida che i musei rappresentano per la nazione. Nei precedenti vent'anni, la provincia di Bolzano ha semplicemente raddoppiato la partecipazione culturale rispetto alla media europea, cioè la media di Bolzano è diventata il doppio di quella europea, e a questo esito siamo pervenuti con un lavoro molto intenso, che si è andato a cercare praticamente nelle case, bussando alle porte, usando tutte le più incredibili tecniche di marketing, di guerriglia marketing, di multilevel marketing: si è andati a cercare le persone nelle case, ossia quelle persone tradizionalmente escluse dai consumi culturali. Pag. 4
  A chi, come voi, conosce questa materia è noto che le persone si avvicinano alla cultura se hanno avuto i libri in casa. Sostanzialmente, il 17 per cento delle persone frequenta le attività culturali e, in genere, sono i figli dei laureati (per essere chiari, persino brutali). Andare a prendere le persone che vivono nelle periferie urbane e portarle a teatro, o ai musei, è un lavoro molto impegnativo, che ha comunque dei riflessi di benessere sociale, ma anche di benessere economico, estremamente vasti. Nella provincia di Bolzano adesso abbiamo le misurazioni: il nostro è stato un caso di laboratorio; c'è chi sta cercando dal punto di vista della ricerca scientifica di portarlo persino ad Harvard.
  Quello che vi posso dire è che le evidenze scientifiche che poi sono state collegate a questi vent'anni di attività dicono che queste persone diventano finalmente capaci di reggere meglio i cambiamenti sociali; c'è un enorme asset, di cui noi stiamo stati pionieri, sul rapporto delle politiche culturali con la salute: da ricerche scientifiche di alto spessore pubblicate su una delle più prestigiose riviste internazionali, Cities, nel 2016, emerge che la cultura è il secondo fattore di benessere della popolazione, insieme al lavoro.
  Quando dico che in questo modo si contribuisce alla crescita spirituale ed economica delle persone, come dice la Costituzione all'articolo 4, è vero, perché investendo nelle politiche culturali abbiamo creato occupazione per quella fascia di persone tradite dall'economia degli ultimi vent'anni, cioè quelli che hanno adesso tra i 19 e i 35 anni, e sull'occupazione femminile. Ma, oltre all'occupazione, la partecipazione delle persone tradizionalmente escluse dalla cultura crea ricadute sociali positive.
  È bene quindi che, come sto cercando di fare con il sistema museale, queste ricadute sociali positive vengano misurate e ci sia un rendiconto pubblico di questo. Alcuni musei stanno lavorando sul social return on investment, dimostrando che la loro sostenibilità finanziaria non è solo data dalle entrate dalle uscite, ma anche da tutte le incidenze di benessere che creano nel sistema formativo (pensate alle tante visite guidate che avvengono nei musei o anche al sistema teatrale che offre aiuto a quello che avviene nelle aule scolastiche) e da tutte queste evidenze scientifiche che ricollegano i consumi culturali con la salute, e voi sapete quanto costi la salute al sistema Paese.
  L'altro aspetto importante della crescita della partecipazione culturale è che questa è strettamente connessa con il livello di innovazione delle imprese. A livello internazionale si è dimostrato che, quando uno Stato ha una partecipazione culturale diffusa, cioè soprattutto quando coinvolge quelle fasce sociali tradizionalmente escluse, cresce improvvisamente e parallelamente il livello di innovazione: l’innovation ranking improvvisamente cresce.
  Quello che ho potuto verificare è proprio questa doppia efficacia. Da una parte, i nostri concittadini diventano socialmente più stabili, più forti rispetto alle ondate di paura e di reazione agli accidenti della vita, perché mettersi in contatto con il lavoro degli artisti (questa figura di lavoratore del tutto particolare che è l'artista) significa mettersi in contatto stabilmente con l'inaspettato.
  Ci si abitua quindi all'inaspettato, e questo comporta non solo consumare meno ansiolitici, ma anche essere pronti alla perdita di un lavoro, a un incidente professionale, ai cambiamenti che la società contemporanea ci propone in modo vorticoso, ed essere più forti è un enorme risparmio per il sistema Paese.
  L'altra esternalità positiva dei consumi culturali diffusi è nell'innovazione e nel posizionamento dell'Italia a livello internazionale. Così come è stato per la piccola provincia di Bolzano – che improvvisamente diventava nota in tutta Europa, dopo aver passato tantissimi anni ad avere solo folklore e tradizione – credo che in questo momento stia succedendo in Italia, attraverso il lavoro fatto nei musei.
  Avete visto (ieri c'è stata un'eco di stampa molto forte) quanto i cittadini italiani stiano in questo momento dimostrando di avvicinarsi con fiducia ai musei. Nell'ambito del Ministero dei beni culturali è il sistema Pag. 5culturale che maggiormente cresce: si sono raggiunti i 150 milioni di euro di incassi.
  A me non piace tanto parlare di soldi come unico indice di misurazione della cultura, ma non possiamo nasconderci che anche l'aspetto finanziario conti moltissimo, ovvero quando il cittadino mette mano al portafoglio e per i musei lo sta facendo in un modo incredibile, non solo i turisti, ma anche a nostri concittadini. La partecipazione museale è incredibilmente cresciuta, i dati sono veramente al di sopra di ogni aspettativa, grazie a questa riforma che ha reso i musei autonomi, che ha rimesso l'attenzione dell'opinione pubblica nel sistema museale: nell'anno delle nomine, per un'estate, si è parlato di direttori di musei invece che di calciatori e di veline, e credo che questo abbia rappresentato un momento di grande cambiamento per questo Stato.
  Ora i risultati sono arrivati dal punto di vista degli incassi, dei consumi, della partecipazione e della partecipazione anche delle persone escluse, ma, anche in questo caso, dal riposizionamento dell'Italia a livello internazionale, in termini di prestigio. L'intuizione della riforma dei musei, che prevede il sistema museale nazionale, mette l'Italia in una posizione di competitività eccellente, superiore a qualunque Paese, perché chi ha il grande museo nazionale tipo Louvre o Prado non potrà mai competere con un sistema di 5.000 musei, tutti connessi e messi in rete, che è quello su cui stiamo lavorando.
  Ho ancora qualche minuto per ricordarvi come i musei messi a sistema – così come è stato nei grandi player di Internet, che hanno tutti lavorato nel mettersi in rete (Amazon è una rete, Facebook è una rete, TripAdvisor è una rete, Google è una rete) –, messi in rete, avranno un'efficacia che non sarà la somma dei partecipanti, ma sarà molto di più, ed è molto importante vedere come questa fiducia dei cittadini e questo riposizionamento dell'Italia si sposi con un investimento che sarà necessario nel mettere a sistema i musei, come vediamo dalla delibera dell'Unione europea di maggio 2017, che ha lanciato l'anno europeo del patrimonio culturale.
  Essa prevede che, per rendere evidente quanto le attività culturali contribuiscano allo sviluppo sociale ed economico delle nazioni, occorre una governance diversa, una gestione sostenibile, una governance partecipativa, multilivello, tessuta tra i diversi portatori di interessi e fatta di cooperazione intersettoriale rafforzata.
  Questo è quanto dice la decisione 864 del 2017 sull'anno europeo del patrimonio, ed è esattamente su queste parole, su una governance partecipata, fondata non su princìpi gerarchici, ma sul collegamento e non sull'appartenenza, che stiamo creando la messa a sistema dei 5.000 musei italiani, a prescindere dalla proprietà, che siano comunali, regionali, privati o statali.
  Occorrerà un notevole sforzo che riguarderà il personale, il digitale e la formazione; ma credo che questo sforzo sia necessario per rispondere alla fiducia che i cittadini stanno riversando, facendo la coda davanti ai musei.
  Contiamo quindi di passare dal focus sulle cose al focus sulle persone; conteremo sicuramente i biglietti staccati, ma faremo anche la conta delle relazioni che i musei stanno riuscendo ad intessere con i territori, a cominciare dai condomini e dai meravigliosi palazzi, per finire con il sistema regionale, che è governato dai poli e la cui messa a sistema darà un'efficacia ancora più forte e ripagherà la fiducia dei cittadini.
  Credo che i miei dieci minuti siano stati superati solo di uno. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie al direttore generale, dottor Lampis, per il suo intervento. Lascio immediatamente la parola al Presidente Guzzetti, perché poi vorrei consentire ai colleghi di fare alcune domande. Credo che al dottor Lampis vorremo tutti chiedere qualcosa in più su questa seconda parte del lavoro che ci aspetta: mettere a sistema l'apparato museale sparso sui territori.
  Aggiungo per i colleghi che il Presidente Guzzetti ci ha portato una straordinaria documentazione, che è in distribuzione e che utilizzeremo sicuramente anche per il documento conclusivo della nostra indagine conoscitiva, perché fornisce un quadro Pag. 6esaustivo dei contributi che le Fondazioni bancarie danno al mondo della cultura. Come tutti sappiamo, sono una delle voci che hanno sostenuto questo settore nel corso degli anni.
  Prego, Presidente.

  GIUSEPPE GUZZETTI, Presidente dell'Associazione di Fondazioni e di casse di risparmio SPA (ACRI). Ringrazio la Presidente Piccoli Nardelli per avermi invitato qui a illustrare rapidamente e succintamente che cosa stanno facendo le Fondazioni non bancarie, ma di origine bancaria, nel settore dell'arte e della cultura.
  In Italia esistono 88 Fondazioni di origine bancaria, che sono state inventate da una legge del nostro Parlamento, nel 1990.
  In Italia esistevano strane banche che non avevano azionisti. Normalmente una banca ha gli azionisti che mettono capitale, e gli utili vengono spartiti sotto la forma di dividendi; ma queste banche, che sono le casse di risparmio, le banche dei monti di pegno e i banchi del sud e delle isole, già in origine erano stati inventati, ad iniziativa privata e non pubblica, per svolgere due attività all'apparenza confliggenti, ma che poi la storia ha dimostrato che potevano convivere.
  Da un lato, infatti, svolgevano l'attività di una normale banca, che raccoglie risparmio, lo remunera, impiega il risparmio per le famiglie e per l'economia reale e si fa remunerare l'impiego; accanto a questa attività, non avendo l'azionista gli utili che queste casse di risparmio producevano, venivano destinati per gli Statuti fondativi ad alcune attività di utilità pubblica, segnatamente in due settori: il settore della cosiddetta «beneficenza», quello che oggi chiamiamo Stato sociale o welfare, per cui una parte degli utili andava agli anziani, agli orfani, alla formazione dell'infanzia, attività di carattere sociale; l'altra parte andava ad attività di carattere culturale.
  Il patrimonio storico, artistico, ambientale, archeologico del nostro Paese è stato salvato prima dalle casse di risparmio, poi, quando le due attività sono state separate e quella bancaria è stata assegnata a una Spa creata per legge, è stato creato questo soggetto che il legislatore non chiama mai Fondazione, ma ente conferente: il nostro patrimonio è dato dal valore che aveva la cassa di risparmio di riferimento nel momento in cui la legge ha separato le due attività.
  È ben evidente che nel DNA delle casse di risparmio e poi delle Fondazioni il settore dell'arte e della cultura è un settore assolutamente privilegiato. Con la legge Ciampi del 1998-1999, a questi due settori, la beneficenza, i servizi alla persona e i bisogni sociali, e l'arte e cultura, sono stati aggiunti anche la ricerca scientifica, l'istruzione e l'ambiente.
  Nel settore dell'arte e cultura, quindi, se non ci fossero state le nostre Fondazioni – sia perché avevano questa storia alle spalle, sia perché questo è un ambito che, soprattutto nel nostro Paese, richiedeva una particolare attenzione di conservazione e di fruizione – a fronte di risorse private del tutto insufficienti e inadeguate, o perché non esisteva l'impegno che c'è oggi, il nostro patrimonio sarebbe stato ben più degradato.
  Fornisco due cifre a dimostrazione dell'importanza che, anche da un punto di vista quantitativo di risorse, viene dedicata dalle 88 Fondazioni al settore dell'arte e cultura. Nel 2016, l'anno per cui disponiamo di dati a consuntivo, pubblicati in un rapporto sulle Fondazioni di origine bancaria da parte dell'ACRI – l'unico rapporto completo e assolutamente oggettivo riferito ai bilanci delle nostre Fondazioni – abbiamo erogato circa 1 miliardo e 30 milioni in arco d'anno, con una ripresa rispetto agli anni precedenti.
  I nostri patrimoni sono investiti, per quelli che hanno fatto gli investimenti correttamente, da gestori internazionali e la crisi ha colpito anche la gestione professionale competente internazionale dei nostri patrimoni; però il 2016 presenta un'inversione di tendenza: aumenta nel complesso il patrimonio delle Fondazioni, che si colloca attorno ai 40 miliardi di euro; le erogazioni sono state 1.030.700.000 euro; abbiamo finanziato 20.286 erogazioni.
  Il settore dell'arte e cultura si colloca in percentuale, nell'ambito del miliardo e dispari milioni, come il settore a cui abbiamo Pag. 7destinato la maggiore quantità delle risorse, cioè 260 milioni 900 mila euro, che rappresentano il 25,3 per cento delle nostre erogazioni: quindi un quarto del monte erogazioni è destinato a questo. Potete comprendere dunque la rilevanza del dato quantitativo.
  Naturalmente il primo impegno che noi abbiamo avuto e continuiamo a mantenere è la conservazione di questo patrimonio, perché la parte pubblica appare in difficoltà negli enti locali; quindi, come Fondazioni, la prima cosa che abbiamo fatto in questi 27 anni è stata mettere in salvaguardia, conservazione, recupero questo patrimonio, anche con modalità e impegni particolari. Alcune nostre Fondazioni hanno finanziato programmi di ricerca con le università per i materiali nelle opere di recupero, per evitare di effettuare lavori di recupero su un'abbazia e, dopo vent'anni, doverli ripetere. Quindi, questa ricerca era mirata a fare in modo che i metodi di intervento e i materiali utilizzati avessero una certa durata nel tempo, non dico indeterminata, ma certamente maggiore rispetto al tradizionale modo di intervenire per salvare il patrimonio.
  Il secondo elemento che mi pare molto caratteristico da riferirvi è che nei nostri programmi (poi ne citerò alcuni) la cultura non è solo recuperare questo patrimonio e garantire una fruizione pubblica, ma, come ha già detto il direttore Lampis nel suo intervento, la cultura è un elemento fondamentale di promozione dello sviluppo sociale delle relazioni. Laddove ci sono situazioni di maggior degrado dal punto di vista sociale e delle relazioni, la cultura diventa un elemento fondamentale per il recupero e il consolidamento del tessuto sociale.
  Ricordo che una Fondazione ha sostenuto tempo fa (poi il programma si è esaurito dopo alcuni anni, perché i risultati erano stati conseguiti) le biblioteche nei quartieri periferici degradati: le biblioteche intese come una realtà, quindi non per andare solo a prendere il libro, ma come punto di aggregazione dei giovani, di iniziative culturali, proprio laddove il tessuto sociale è totalmente degradato, in quartieri dove mancava addirittura la polizia, tanto erano malmessi. Il risultato di questo esperimento è stato molto positivo a partire dai giovani, perché il problema in questo Paese riguarda soprattutto l'ambito giovanile e, se si parte da loro, si ottiene qualcosa; altrimenti le loro azioni finiscono negli articoli di cronaca.
  Questa esperienza è stata molto positiva; quindi, la cultura come elemento di crescita, di sviluppo, di recupero dei rapporti sociali all'interno delle nostre comunità, del nostro territorio.
  Il secondo aspetto molto importante è la cultura come elemento di sviluppo economico, cioè un elemento attraverso il quale si possono ulteriormente rafforzare sul territorio, iniziative di consolidamento economico di singole comunità e di occupazione, segnatamente dell'occupazione giovanile. Alcune nostre Fondazioni realizzano interventi (poi ne citerò una in particolare, Funder 35) che dimostrano che – come recita una nota battuta – «con la cultura si mangia», e soprattutto, creano occasioni e possibilità di occupazione, ai giovani in particolare.
  Vi riferisco alcune di queste esperienze. Abbiamo una Commissione cultura in ACRI, presieduta da anni dal professor Cammelli, uomo molto attento che ha una lunga esperienza nel settore della cultura: ACRI ha sostenuto e rafforzato alcune iniziative di carattere collettivo per tutto il sistema. Vorrei citarne due. La prima è Funder35: inizialmente, 10 e, poi, 18 Fondazioni si sono messe assieme per raccogliere circa 2,5-3 milioni di euro per fare dei bandi finalizzati al consolidamento delle cosiddette «imprese giovanili che operano nel settore della cultura».
  Le imprese giovanili nella cultura sono fragili, deboli; quando finiscono i nostri contributi, talvolta vanno in crisi e, con Funder35, ci siamo posti l'obiettivo di erogare contributi affinché le imprese culturali di giovani al di sotto dei 35 anni possano consolidarsi e avere una prospettiva di futuro al venir meno dei contributi regionali. Abbiamo finanziato 57 imprese sociali in tutta Italia. Devo dire che il sud si è molto distinto per imprese giovanili di Pag. 8grande qualità. Addirittura c'è una città del sud dove, con un bando, abbiamo finanziato ben tre imprese sociali giovanili, che operavano nei settori musica, musei, teatro, danza e interventi a sostegno del turismo archeologico. Questo è Funder35.
  La seconda è «R'accolte». Le fondazioni dispongono di un patrimonio culturale (quadri, suppellettili artistiche e quant'altro) importantissimo, perché il patrimonio nel nostro Paese è stato salvato dalle casse di risparmio prima e dalle fondazioni poi. Questo patrimonio, quando va bene, si trova nelle sedi delle fondazioni o in altri casi viene dato in comodato alla banca di riferimento perché adorni le proprie filiali e i propri uffici con questi quadri. Tuttavia, è ormai frequentissimo, man mano che le banche chiudono le loro filiali, che questo patrimonio finisca nei caveaux o in depositi di sicurezza; si tratta di migliaia di pezzi di un patrimonio che, invece, merita una fruizione pubblica.
  In questi ultimi anni le fondazioni hanno realizzato mostre, aprendo i loro palazzi in alcuni giorni dell'anno, per consentire la fruizione collettiva di questo patrimonio. Nel 2007 siamo partiti con l'iniziativa «R'accolte»: il patrimonio di 74 fondazioni (abbiamo numeri molto importanti) è stato messo su un sito, che oggi è diventato un portale, dove vi sono 12.700 opere di 74 collezioni. Su questo portale non vengono solo mostrati il quadro e l'autore, ma di ogni autore sono indicati la storia e le opere più importanti. È diventato un portale interattivo molto importante.
  Nel documento abbiamo anche indicato alcune iniziative di singole fondazioni. Vorrei citarvene due che danno il segno di come le fondazioni, anche con investimenti ingenti di patrimonio e proprie risorse, intervengono in quest'ambito. Intendo riferirmi alle Officine grandi riparazioni (OGR) di Torino. Penso che voi sappiate che le Officine grandi riparazioni, che credo fossero del gruppo FIAT, riparavano le vetture e i carri. C'è un dato molto curioso: una parte di queste officine erano alte, se non erro, circa 30 metri, perché per riparare questi carri era necessario porli verticalmente. Al venir meno di queste attività, le OGR, questo imponente complesso di carattere edilizio, fu abbandonato e lasciato in condizioni di degrado. La Fondazione Cassa di risparmio di Torino (CRT), investendo direttamente oltre 60 milioni – complessivamente l'intervento è stato di circa 100 milioni – l'ha recuperato interamente e trasformato in un centro di plurime attività di carattere culturale, con biblioteche, accesso ai giovani, musica, teatro e dibattiti.
  Passo a illustrare la seconda iniziativa che mi pare meritevole di attenzione. In realtà, tutte le iniziative, se andiamo a guardare, hanno un significato molto importante, perché l'aspetto fondamentale delle nostre fondazioni è che, vivendo direttamente i problemi dei loro territori e della loro comunità, operano in modo molto mirato. Non si rincorre l'invaghimento di un presidente, di un direttore generale o di un responsabile del settore cultura. La seconda esperienza a cui vorrei riferirmi è quella dei distretti culturali della Fondazione Cariplo di Milano. Non la cito perché è la mia fondazione, ma perché i distretti sono stati fatti solo da noi. Esperienze di distretti culturali in Italia non esistevano in passato e non ce ne sono ancora.
  Dopo essere passati dal recupero di singoli momenti e sistemi culturali, finalmente ci siamo impegnati nella «distrettualizzazione» della Lombardia. Questa doveva essere una competenza della regione, ma quest'ultima, che era coinvolta, ha lasciato fare a noi. Abbiamo distrettualizzato tutta la Lombardia e abbiamo realizzato sei distretti culturali: la Valle Camonica, i due distretti di Mantova, Cremona, Monza e Sondrio. C'è un primo dato significativo, che mostra gli effetti di queste iniziative. Abbiamo messo 20 milioni su questi distretti, ma se ne sono raccolti altri 30, perché questi distretti interessano territori molto vasti e importanti e gli enti pubblici, ma anche privati e camere di commercio, hanno concorso a finanziarli. Naturalmente portano sviluppo economico, turismo e sviluppo sociale. In queste realtà di valle, da Sondrio a Brescia, ma anche in alcune realtà di pianura, i problemi dell'occupazione e dell'occupazione giovanile Pag. 9sono molto urgenti. Attraverso i distretti culturali si sono recuperate, per esempio, modalità di intervento e di recupero che erano scomparse, quindi si sono dovuti tenere corsi di formazione e soprattutto i giovani hanno trovato possibilità di occupazione molto importanti.
  I sei distretti sono stati tutti finanziati. Il punto più rilevante è che, finito il programma triennale, i distretti vanno avanti, perché ormai hanno capito l'importanza, anche per ragioni di sviluppo economico, di turismo, di rafforzamento di questi territori, di non fermarsi all'intervento singolo. Se mi limito a recuperare il palazzo o l'abbazia, dopo cosa succede? Fra vent'anni lo recupero ancora. Se, invece, lo colloco all'interno di un distretto culturale con un'autorità di distretto (pubblico, privato o privato sociale) presente, si dà una prospettiva di futuro.
  Vorrei dirvi tante altre cose, ma ho sforato il tempo, quindi mi scuso con la Commissione.

  PRESIDENTE. Presidente, grazie. Abbiamo tutti ascoltato con grande attenzione, anche se abbiamo sforato i tempi, perché erano informazioni per noi estremamente preziose. Il prossimo audito è il professor Camillo Brezzi, direttore scientifico della Fondazione Archivio diaristico nazionale – Onlus – Pieve Santo Stefano, che è accompagnato da Natalia Gangi, da Lisa Marri e da Loretta Veri, ognuna delle quali svolge un compito specifico all'interno della fondazione. Do la parola al professor Brezzi per lo svolgimento della sua relazione.

  CAMILLO BREZZI, Direttore scientifico della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus Pieve Santo Stefano. Grazie dell'invito. L'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano è nato da un'idea, da un'intuizione, da un suggerimento di Saverio Tutino.
  Saverio Tutino, giovane diciottenne, fece il partigiano in Val d'Aosta e nel Canavese; nel dopoguerra cominciò a fare il corrispondente dalla Cina, dalla Francia, dall'Algeria e poi da Cuba. Si deve a lui se gli italiani hanno conosciuto la rivoluzione cubana di Fidel Castro e la figura di Che Guevara. Scrisse prima sull’Unità e poi, dalla fondazione, su Repubblica. Collaborò anche a un mensile che forse pochi ricordano, Linus, dove, accanto ai Peanuts, c'erano delle rubriche: Saverio ne tenne una. Nel 1995 pubblicò L'occhio del barracuda, una sua autobiografia, dove utilizzava anche pezzi del suo diario. Anche quando era partigiano scriveva almeno una paginetta di bloc-notes ogni sera, che poi nascondeva perché, ovviamente, potevano essere pericolose.
  Negli anni Ottanta Saverio Tutino viene a vivere almeno metà dell'anno in Valtiberina, ad Anghiari, e gira quelle zone. La Valle di Piero della Francesca, per intenderci. Lì, a Pieve Santo Stefano, un piccolo paese che fino ad allora era famoso solo per aver dato i natali nel 1908 ad Amintore Fanfani, lancia l'idea di raccogliere i diari della gente comune, quelli che svolgono la cosiddetta «vita normale», non i grandi personaggi. L'intento, come scrisse lo stesso Tutino nel 1990, era quello di favorire la rivitalizzazione della memoria come una manifestazione culturale a sé, prima ancora che come fonte di utilizzazione scientifica. Nasce quindi l'archivio, che a tutt'oggi è un unicum nel nostro Paese, ma è diventato anche un modello per diversi Paesi europei. Oggi, a distanza di 33 anni dalla fondazione, conta oltre 7.500 diari: esattamente il doppio degli abitanti di Pieve Santo Stefano. Questo risultato è stato possibile perché, da una prima fase caratterizzata dall'entusiasmo di ragazze e ragazzi misto a forme di volontariato – tuttora ci sono larghi strati di volontariato, ma non apro il discorso archivio e finanziamenti, che ci porterebbe lontano – l'archivio ha compiuto, negli anni successivi, un vero salto di qualità, investendo sul personale che inizialmente svolgeva un'attività di volontariato, attraverso progetti di ricerca e fundraising. Se avremo modo, lo vedremo in seguito.
  Saverio Tutino accanto all'archivio istituì anche un premio, il Premio Pieve Santo Stefano, adesso dedicato a lui, che si tiene tuttora nel mese di settembre nella piazza Pag. 10di Pieve. La prima edizione ci fu nel 1985 e vinse una bidella bolognese, Antonella Federici. Oggi le giornate del premio sono un vero festival della memoria, perché uno degli aspetti più interessanti è il legame che si stabilisce fra l'archivio e i diaristi, che non termina nel momento in cui il diarista consegna il diario suo, dei genitori o dei nonni, ma perdura. Si partecipa ai premi Pieve successivi a quello in cui il diario ha partecipato al concorso. Oggi poi con le e-mail questi collegamenti sono molto più facili.
  L'Archivio diaristico non è, quindi, solo un luogo dove la memoria è conservata, è il posto in cui i ricordi e le narrazioni di sé parlano agli altri, è un monumento nazionale della memoria, che accoglie studiosi e curiosi da tutto il mondo, un vivaio, come diceva Saverio Tutino, che non è qualcosa di statico, dove i diari possono prendere la forma di libri, di documentari, di film e di spettacoli teatrali.
  Alcuni di questi diari poi sono diventati «diari simbolo», ma certamente non abbiamo il tempo per analizzarli. Penso al lenzuolo di Clelia Marchi o alla biografia di Margherita Ianelli, nativa di Marzabotto, che racconta il secolo 1900, le sue attività e anche l'episodio molto drammatico di Marzabotto, che, ahimè, in questi giorni è ritornato sulle pagine dei giornali. Penso anche ai foglietti di Orlando Pozzi, un ragazzo di Roma che viene arrestato durante l'occupazione dei tedeschi e portato a via Tasso e ucciso alle Fosse Ardeatine. Nei mesi in cui stava a via Tasso riuscì a mandare, attraverso il colletto della camicie che i tedeschi consegnavano ai familiari perché le lavassero per poi rimandarle indietro, dei foglietti in cui parlava con la mamma, raccontando un po’ anche le sue prospettive future, e con l'amata Marcella, una specie di amore non molto corrisposto. Questi foglietti poi furono trovati dalla madre e sono rimasti lì. Ci sarebbe tutto un altro racconto di come sono arrivati all'archivio. L'emozione in questi foglietti è tanta.
  Passati quasi trent'anni da quando l'archivio era nato, i mutamenti avvenuti nella nostra società erano tantissimi. Il più importante fu certamente la rivoluzione informatica. L'archivio ha inteso restare al passo coi tempi; ha cercato di utilizzare queste innovazioni e ha compiuto progressi notevoli con un progetto, «Impronte digitali», con l'obiettivo di digitalizzare il nostro patrimonio, in modo da renderlo fruibile, consultabile da parte di un pubblico sempre più ampio.
  Il progetto «Impronte digitali», che fu avviato nel marzo del 2011 con la collaborazione della Fondazione TIM Italia, della regione Toscana, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Scuola normale di Pisa, ha reso possibile la digitalizzazione di quasi 7.000 unità archivistiche, quasi il completo patrimonio attuale (nel momento del progetto l'abbiamo digitalizzato tutto). Parlo di unità archivistiche – mi permetto questa precisazione – perché ovviamente ogni diario, memoria o epistolario conta per uno, ma è composto a volte da venti pagine e altre volte dalle 1.050 di Vincenzo Rabito, scritte a spazio zero, senza margini, con un'Olivetti 22.
  Gli obiettivi raggiunti sono stati: la digitalizzazione del fondo documentario inedito; la creazione di una digital library che, a partire dal prossimo anno, verrà messa on line per consentire la fruizione da parte di studiosi, ricercatori, laureandi e curiosi; la realizzazione di piattaforme informatiche in serie, collegate alla digital library, monotematiche e di più immediato accesso per una divulgazione di massa – la prima, quella sulla Grande guerra, è stata nel 2014, in occasione del centenario – e, infine, la progettazione e la realizzazione di un percorso museale multimediale ed esperienziale intitolato «Piccolo museo del diario».
  L'acquisizione digitale di buona parte del fondo archivistico ha permesso di abbattere i rischi connessi alla consultazione, pur vincolata da rigorosi protocolli di fruizione dei manoscritti autografi. Tali testi, specialmente quelli redatti a mano dagli autori, rappresentano infatti la parte più esposta al deterioramento del patrimonio dell'archivio, che è interamente inserito nel codice dei beni culturali dello Stato. L'acquisizione degli originali in formato elettronico ha offerto inoltre il vantaggio di Pag. 11rendere possibile e immediata la visione dei testi manoscritti da parte dei ricercatori interessati ad analisi grafiche, approfondimenti di carattere psicologico sulle modalità di scrittura e così via. L'accesso degli utenti al patrimonio digitalizzato dell'archivio all'interno della digital library avverrà con privilegi di accesso personali e diversificati, che garantiranno lo stesso grado di protezione e riservatezza che sempre ha caratterizzato la attività dell'archivio.
  Partendo dalla digitalizzazione, siamo andati oltre il progetto iniziale. Il progetto «Impronte digitali» è stato certamente un punto di svolta nel modo di usare il nostro patrimonio: oltre a custodia, conservazione e valorizzazione – aspetti già assai importanti, che hanno visto l'impegno dell'archivio nei primi decenni – abbiamo dato vita, in questi ultimi anni, come ho detto, alla digitalizzazione vera e propria e poi ci sono stati, grazie alla digitalizzazione, quelli che a noi piace chiamare «effetti collaterali» del progetto. Il punto focale di questi effetti collaterali è stato la creazione del Piccolo museo del diario, che è stato concepito con i criteri di un museo di narrazione: un luogo in cui la persona viene chiamata ad assumere un ruolo attivo e non più meramente passivo, com'è sempre avvenuto nella fruizione dei tradizionali musei di collezioni e esposizioni. L'itinerario del Piccolo museo del diario, ideato e realizzato dallo Studio di progettazione e design «dotdotdot», è in continua evoluzione ed è sempre più uno spazio vivo e interattivo.
  A questo punto, dovrei limitarmi solo a invitare la Commissione a venire a Pieve Santo Stefano, perché è difficile raccontare questo museo.
  Aggiungo soltanto che questo museo interattivo è ogni giorno visitato da scolaresche e da turisti. Ci sarebbe da fare anche un discorso per un progetto legato al turismo della Valtiberina, «Memory Route», che è molto importante. I visitatori escono da quelle stanze particolarmente toccati dalle testimonianze di cui parlavo e, nello stesso tempo, con una maggiore cognizione sul significato della memoria.

  PRESIDENTE. Grazie al professor Brezzi. Andremo, se possibile, a vedere questo archivio, anche se credo che alcuni di noi già l'abbiano fatto. Chiudiamo le nostre audizioni con gli ultimi interventi, che sono legati fra di loro, perché Paolo Masini è ideatore e coordinatore del progetto Migrarti, di cui Giuseppe Pecorelli è uno dei vincitori. Do la parola al professor Masini per il suo intervento, per poi lasciare qualche minuto all'ultimo ospite di oggi perché ci spieghi questa vincita.

  PAOLO MASINI, Ideatore e coordinatore di MigrArti – La Cultura Unisce. Grazie, Presidente. Ringrazio la Commissione per questa convocazione. Accanto a me ci sono Viviana Simonelli della Direzione generale per il cinema e Chiara Fortuna della Direzione generale per lo spettacolo dal vivo. Mentre parlo, passeranno delle slide con alcuni numeri, di cui vi spiegherò i concetti.
  Con il neologismo «Migrarti», il nostro è un progetto che parte da un'audizione del Ministro Franceschini per dare ai nuovi italiani o, comunque, a chi, per scelta o per obbligo, è venuto a vivere qui la propria vita, l'opportunità di mostrare la propria cultura e le proprie tradizioni, a partire dai ragazzi cosiddetti «di seconda generazione».
  In quali settori si manifesta quest'iniziativa? L'iniziativa si manifesta in due settori: lo spettacolo dal vivo (danza, musica e teatro) e il cinema.
  Come già detto, i settori dello spettacolo dal vivo sono la danza, la musica e il teatro, mentre i settori del cinema sono le rassegne cinematografiche a tema, quello dei corti e, da quest'anno, quello dei cartoni animati, con il Migrarti cartoons, realizzato in collaborazione con Cartoon on the Bay, pertanto con la RAI.
  Qual è il punto centrale di questo, rispetto ad altri bandi? Per chi ci presenta le proposte, c'è l'obbligo di avere un partenariato con un'associazione vera (pertanto, iscritta a qualsiasi albo istituzionale) che si occupi di migranti, in particolare di seconda generazione. In tal senso, c'è il pezzo culturale e il pezzo associativo, laddove, a volte, si trovano esponenti della cultura, come registi, attori o altri. Il primo anno siamo partiti con un investimento di 800.000 Pag. 12euro e, quest'anno, abbiamo investito un milione e mezzo di euro, che sarà ribadito per il 2018. Come si sviluppano nel Paese le cose che vi detto? C'è un cartellone, che viene presentato tra giugno e luglio. Quest'anno, abbiamo voluto presentarlo il 2 giugno, giorno della Festa di Repubblica, a Palazzo Venezia con un concerto della Piccola Orchestra di Tor Pignattara, cui abbiamo, tra l'altro, chiesto di fare un inno d'Italia particolare, che si chiama «Fratelli d'Italia G2.0» che ci ha accompagnato in questi mesi alle consegne dei premi. Che cos'è il premio? Per un argomento così particolare, era difficile fare un premio che, in qualche maniera, facesse capire di che cosa stavamo parlando, anche perché il cinema viene premiato all'interno del festival cinematografico di Venezia. Pertanto, laddove ci sono il red carpet, il Leone d'oro eccetera, fare un premio che parlasse in maniera diversa doveva essere un premio particolare. Per realizzarlo, abbiamo chiesto a tutti i licei artistici d'Italia di fare un logo. Ha vinto una ragazza di Merano, che si chiama Viktoria Tribus, e quel logo è diventato un premio, realizzato con il legno dei barconi di Lampedusa. Abbiamo chiesto a Francesco Tuccio, ebanista di Lampedusa, che ha fatto la croce per il Papa e altro, di realizzare il nostro premio in maniera simbolica, con il legno di quei barconi.
  I corti migliori vengono premiati a Venezia. Anche in accordo con Rai Cinema, i corti sono trasmessi fino al 7 dicembre, il giovedì sera. C'è stato anche un concorso per quei corti con Rai Cinema.
  Lo spettacolo dal vivo viene premiato nella città capitale della cultura, che quest'anno è stata Pistoia e il prossimo anno sarà Palermo. Tra l'altro, stiamo lavorando in maniera molto fitta con Palermo per varie questioni, tra queste Migrarti; infatti, il prossimo anno, che sarà, come ho già ricordato, l'anno europeo del patrimonio culturale, il bando sarà improntato su questa tematica europea. Sarà anche assegnato un premio a Palermo.
  La rassegna del premio per i cartoon si svolgerà a fine febbraio, sempre a Palermo; mentre, il prossimo anno, si svolgerà, a Venezia e nella città capitale della cultura.
  Fra poco, partirà una sorta di Migrarti tour perché lo scopo di questo progetto è diffonderlo al massimo. Pertanto, faremo il giro delle città, mostrando i vincitori.
  Dopo, Presidente, le darò i link per vedere i corti.
  Pochi giorni fa, Migrarti è stato presentato anche nel Rapporto annuale Federculture. Abbiamo anche avuto un riconoscimento alla New York University e andremo al Parlamento europeo alla fine del mese. Il nuovo bando uscirà – lo dico in modo che la Commissione lo sappia e possa far partecipare tutti i settori che se ne occupano – entro la fine del mese.
  Tra l'altro, siamo disposti a presentarli anche qui: ce n'è uno che parla della nuova legge sul caporalato, votata da questo Parlamento, e Jululu ha vinto la miglior regia.
  Vorrei sottoporvi una suggestione, prima di lasciare la parola a Pino Pecorelli.
  Crediamo che sarebbe carino e utile per questo Paese aprire Sanremo con una band, come quella della Piccola Orchestra di Tor Pignattara.
  Infine, per i membri della Commissione, abbiamo lasciato una copia del nostro calendario, che si chiama «Per una cultura del dialogo», che realizziamo da alcuni anni e che raccoglie le tutte le festività religiose. Grazie.

  PRESIDENTE. Chiedo a Giuseppe Pecorelli di intervenire con una battuta rapidissima.

  GIUSEPPE PECORELLI, Direttore artistico dell'Orchestra di Piazza Vittorio e di TorPignattara di Roma. Sarò breve. Buon pomeriggio, signora presidente. Signori onorevoli, vi ringrazio per questo invito in Commissione, che mi dà l'opportunità di illustrare i risultati delle attività condotte dalle due realtà artistiche di cui sono, a vario titolo, responsabile: l'Orchestra di Piazza Vittorio, di cui sono contrabbassista e vicedirettore, e la Piccola Orchestra di Tor Pignattara, della quale curo la direzione artistica.
  Crediamo che mischiare culture produca bellezza. Questo è il convincimento Pag. 13che muove l'esperienza dell'Orchestra di Piazza Vittorio e della sua formazione attuale.
  L'Orchestra è nata nel 2002, all'interno di un'associazione culturale, l'Apollo Undici, su spinta di Mario Tronco, musicista e direttore artistico della stessa, e del documentarista Agostino Ferrente. Si tratta di un'orchestra sostenuta da artisti, intellettuali e operatori culturali, con la volontà di valorizzare l'omonima piazza dell'Esquilino di Roma, per antonomasia rione multietnico della città. Da quindici anni, l'Orchestra di Piazza Vittorio trova la sua ragion d'essere nella commistione di linguaggi testuali e musicali.
  Dal 2002 a oggi, si sono incontrati oltre 100 musicisti provenienti da aree geografiche e ambiti musicali molto diversi tra di loro, realizzando progetti creativi e professionali, che spesso hanno costituito per loro un'opportunità di riscatto sociale, il conseguimento di permessi di soggiorno e, spesso, dello status di cittadini italiani.
  Parlando strettamente di produzioni artistiche, l'Orchestra ha in attivo: cinque dischi; circa 1.300 concerti in tutto il mondo, da New York a Melbourne, passando per Los Angeles, Toronto, tutte le capitali europee, fino a Tirana, Sarajevo e Istanbul, solo per citare alcune tappe; tre spettacoli teatrali di rielaborazione dei capisaldi della musica classica in chiave multietnica, di cui l'ultimo è una rivisitazione del Don Giovanni di Mozart, allestito, in questi giorni, presso il Teatro Olimpico di Roma, con la produzione dell'Accademia Filarmonica Romana e del Festival Les Nuits de Fourvière.
  Dal 2015, l'Orchestra di Piazza Vittorio ha deciso di entrare nelle scuole primarie italiane, grazie al sostegno di fondazioni private, con un ciclo di incontri cosiddetti «di geografia musicale». Si tratta di un progetto che si chiama «A scuola con l'OPV», in cui le ragazze e i ragazzi delle classi (ormai, inevitabilmente multietniche) ascoltano la narrazione del percorso artistico e sociale dei singoli musicisti, interagendo con loro.
  La Piccola Orchestra di Tor Pignattara, invece, è un progetto musicale e sociale ideato da Domenico Coduto ed è rivolta a minori stranieri e italiani: alle cosiddette «seconde generazioni», cioè ai figli di immigrati nati e cresciuti in Italia, ai figli di coppie miste e ai minori non accompagnati, con particolare attenzione agli utenti più deboli e alle situazioni individuali più fragili.
  L'intervento coniuga aspetti sociali e qualità musicale, con precise finalità: la promozione del dialogo culturale e dell'agio nei preadolescenti e adolescenti, soprattutto migranti di seconda generazione. Si tratta di un'orchestra fatta per la maggior parte – mi piace dirlo – da italiani che suonano insieme perché sono stranieri.
  Vorrei citare rapidamente il teologo Hans Küng, il quale sosteneva che il confronto con le altre religioni del mondo, in vista della pace mondiale, è addirittura una questione di sopravvivenza. La frase risale a qualche decennio fa, ma la sua attualità è sotto gli occhi di tutti: confrontarsi con impostazioni culturali e religiose diverse è diventato, ora più che mai, una necessità assoluta e sempre più artisti riflettano su queste tematiche.
  Nei fatti, questo è quanto realizziamo da quindici anni. Siamo partiti dall'osservazione di territori delimitati per cercare di capire come la società stesse cambiando e, all'inizio di questa esperienza, non avevamo a disposizione un luogo in cui esercitare le nostre attività. Ecco perché gli spazi che abbiamo simbolicamente cercato di valorizzare sono quelli della piazza e del quartiere, come luoghi di aggregazione e di incontro tra le comunità residenti di italiani e stranieri.
  Per la verità, questa residenza artistica (in cui far confluire le nostre esperienze) a tutt'oggi non esiste: l'Orchestra di Piazza Vittorio non ha una sua sede stabile e, a dispetto di ciò, grazie alla qualità del progetto e all'efficienza dell'organizzazione, è riuscita a creare una struttura che, negli ultimi anni, ha garantito posti di lavoro continuativi a più di cento persone, senza mai contare su finanziamenti pubblici mirati, fino alla recente esperienza di Migrarti.
  È chiaro che l'Orchestra di Piazza Vittorio non ha riqualificato l'Esquilino, così Pag. 14come la Piccola Orchestra non ha riqualificato Tor Pignattara: ma queste esperienze pongono l'accento su due realtà territoriali, in cui, quindici anni fa, gli immigrati e i figli di immigrati, quindici anni dopo, costituiscono la parte principale del tessuto sociale.
  La popolarità di queste due formazioni fa sì che l'attenzione dell'opinione pubblica si focalizzi su temi che riguardano l'intero Paese, non soltanto Roma. Non è certamente un caso che in Italia, dall'inizio di questa esperienza a oggi, siano nate ben 18 orchestre multietniche.
  Voglio chiudere il mio intervento con un piccolo elenco di persone di cui anche soltanto i loro nomi ci raccontano che, senza il viaggio e senza l'incontro e il confronto con il diverso, non c'è evoluzione culturale, in musica come in tutte le altre arti: Natalie Della Garaventa; Joe Germanotta; Silvio Ciccone; Teresa Augello; Adele Zirilli. Sto parlando di donne e uomini che sono partiti, in momenti diversi della storia, per l'America e che, mescolatisi alla società americana, hanno avuto figli e nipoti come: Frank Sinatra; Lady Gaga; Madonna; Bruce Springsteen. Si tratta di artisti provenienti da aree musicali completamente diverse tra di loro, per i quali fieramente utilizziamo l'espressione «italo-americano».
  Inoltre, se allarghiamo l'orizzonte, scopriamo che il cantante dei Queen, Freddie Mercury, si chiama Farrokh Bulsara e veniva da Zanzibar e che George Michael era greco-cipriota o che Bob Marley aveva un padre inglese e Joan Baez un padre messicano, mentre i nonni di Bob Dylan erano lituani e ucraini.
  Insomma, molti degli artisti che hanno segnato il nostro tempo e che sono campioni assoluti della musica dell'arte occidentale sono il frutto vincente dell'immigrazione e dell'incontro tra culture lontane.

  PRESIDENTE. L'audizione di oggi è stata particolarmente interessante. Non abbiamo il tempo di consentire un'interlocuzione con i colleghi, per cui chiederemo ai nostri ospiti di darci risposte scritte, se i colleghi vorranno inviare loro delle domande. Vi ringraziamo moltissimo e vi salutiamo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.