XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 28 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bernardo Maurizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE TEMATICHE RELATIVE ALL'IMPATTO DELLA TECNOLOGIA FINANZIARIA SUL SETTORE FINANZIARIO, CREDITIZIO E ASSICURATIVO

Audizione del dottor Paolo Sironi, IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services.
Bernardo Maurizio , Presidente ... 3 
Sironi Paolo , IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services ... 3 
Bernardo Maurizio , Presidente ... 8 
Pelillo Michele (PD)  ... 8 
Barbanti Sebastiano (PD)  ... 8 
Sibilia Carlo (M5S)  ... 8 
Bernardo Maurizio , Presidente ... 9 
Sironi Paolo , IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services ... 9 
Bernardo Maurizio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MAURIZIO BERNARDO

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Paolo Sironi, IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative all'impatto della tecnologia finanziaria sul settore finanziario, creditizio e assicurativo, l'audizione del dottor Paolo Sironi, IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services, accompagnato dalla dottoressa Santacroce.
  Ringraziando i nostri ospiti per la presenza, lascio la parola al dottor Sironi.

  PAOLO SIRONI, IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services. Sono un autore di letteratura sull'innovazione e sulla trasformazione dei metodi quantitativi in finanza e membro della IBM Industry Academy, che ha il ruolo di legare il tema della tecnologia a quello della trasformazione del modello di business industriale, sia con i grandi operatori del mercato sia con l'intero mondo dell'innovazione, che oggi chiamiamo FinTech. Il FinTech è nato dieci anni fa nella Silicon Valley e negli ultimi anni è cresciuto enormemente, raggiungendo anche il nostro Paese.
  Oggi vorrei condividere con voi tre piccole riflessioni, che nascono da una critica del FinTech, per capire quale ne sarà l'evoluzione nell'immediato futuro; infatti, se comprendiamo dove gli operatori stanno commettendo un piccolo errore di prospettiva, una lesson learned degli ultimi cinque anni, capiamo anche su quali aspetti intervenire attraverso policy making e, quindi, regolamentazione, per agevolare, dal punto di vista istituzionale, la trasformazione in atto. Così facendo si fa anche in modo che la nostra industria giunga, più facilmente, a un nuovo modello operativo, più sano e robusto per gli operatori e anche più conveniente e a valore aggiunto per i clienti.
  Non ci focalizziamo oggi su che cosa sono il FinTech, il digitale o l'intelligenza artificiale, ma sul perché questo succede e sul modo in cui agevolare questo processo, facendo sì che gli operatori dell'industria possano trarne profitto e i consumatori e gli investitori possano trarne valore aggiunto.
  Sono tre i temi che vengono spesso discussi con riferimento al FinTech, e ne abbiamo parlato anche con il Ministro Padoan al FinTech District a Milano due giorni fa: uno è la parola disruption. La distruzione, di cui si sente spesso parlare, non è così importante, perché il successo del digitale nasce dall'innovazione sostenibile, non dall'innovazione disruptive.
  Il secondo punto è: che cos'è il digitale? Il digitale è un problema, in un certo senso, nel mondo dei servizi finanziari, perché i servizi finanziari sono l'economia che in inglese si dice «push» – cioè quella delle Pag. 4banche e delle assicurazioni – che spinge il prodotto nelle tasche dell'investitore e del consumatore con un processo di marketing. Il digitale, invece, è una tecnologia di tipo «pull»: prendo dallo scaffale. Ne deriva il problema che, se oggi una banca diventasse completamente digitale, perderebbe il 90 per cento dei clienti. Laddove il digitale arriva, bisogna capire come farlo arrivare in modo tale che le famiglie ne possano trarre effettivamente beneficio.
  Il terzo tema è quello della piattaforma. Nel mondo del FinTech per anni si è discusso della possibilità di fare l’unbundling dei servizi finanziari. Le piccole FinTech infatti sono come piranha che mangiano lo squalo bancario, perché si specializzano su attività più piccole e specifiche, che riescono a svolgere meglio. Il problema, però, è che questo non porterà valore, perché sul digitale vincono solo le piattaforme. Quindi, occorre capire come favorire il fatto che, parallelamente a questo processo naturale, per cui l'innovazione comincia dalla disgregazione, si possa arrivare, con la regolamentazione istituzionale o di vigilanza, ad un processo di riaggregazione, per servire il cliente a tutto tondo.
  Prima considerazione: abbiamo detto, il tema della disruptive innovation. Perché non è così importante fare disruption rispetto a fare sustaining innovation? Molti pensano che la disruption delle industrie sia causata dalla tecnologia, quindi dagli imprenditori FinTech. Direi che non è così. Il Citi Disruption Report, di Citibank del 2016, ipotizza che il 50 per cento dei lavori nel mondo dei financial services si perderà nei prossimi 10-15 anni.
  Altre agenzie e centri di ricerca affermano si possa trattare del 45, o del 55 per cento, ma non è importante il numero. Questa è un'industria che è già disrupted in quanto tale, che si sta, cioè, ristrutturando. Questo processo non è causato dalla tecnologia, ma dal fatto che i margini che permettono alle banche di guadagnare si stanno comprimendo su tutta la catena del valore.
  Abbiamo visto la contrazione del credito e l'azione, doverosa, della BCE e della Banca d'Italia, nel ricostruire la solidità dei bilanci bancari, attraverso l'uscita dalle posizioni creditizie più rischiose. Ciò ha avuto la conseguenza di contrarre in modo sostanziale la possibilità di fare credito e, quindi, il credit crunch. Le banche hanno pensato, in qualche modo, di spostarsi sul wealth management, ma anche in quel segmento la trasparenza e la competizione con i grandi operatori come Vanguard – che è arrivato quest'anno in Inghilterra e arriverà poi, probabilmente, anche negli altri Paesi europei – determina una riduzione dei margini operativi. Le revenues delle banche, oggi, stanno cominciando a scendere più velocemente a livello globale rispetto alla loro capacità di contrarre i costi. C'è un problema di sostenibilità.
  Ecco che l'amministratore delegato di Société Générale, all'inizio di quest'anno, in un convegno pubblico, chiamato Paris FinTech Forum, ha detto che le banche si stanno trasformando in Europa e in America da transazioni a servizi. Che cosa vuol dire? Guadagnare sui prodotti, attraverso, ad esempio, le commissioni, anziché, come dovranno fare in futuro, guadagnare «pacchettizzando» questi prodotti in un sistema consulenziale di servizio che un dia valore aggiunto al cliente. Un lavoro abbastanza arduo. Anche i grandi operatori tecnologici americani, come BlackRock, che usano la tecnologia per fare scelte di investimento, hanno dichiarato che buona parte delle loro revenues, tra 5-10 anni, deriverà proprio dalle soluzioni di consulenza finanziaria per le famiglie, quindi non più dalla vendita diretta di prodotti.
  Se questa è la tendenza delle banche e dei financial services, se le revenues, cioè, dovranno arrivare da questi rapporti con la clientela, il FinTech di valore è quello che permette questo tipo di trasformazione. Quindi la tecnologia di valore è quella che aiuta la banca a passare dalle transazioni ai servizi.
  Perché, però, questo non fa il paio con la disruptive innovation? Perché la disruptive innovation, secondo la teoria di Clayton Christensen, è basata su questo processo: si ha, prima, una semplificazione del prodotto, che diventa più semplice e meno costoso, poi però, se non si è capaci di Pag. 5uscire dalla semplificazione, ci si infila in un vicolo cieco. Occorre essere capaci di fare sustaining innovation, come Apple.
  Quando, venticinque anni fa, mio padre mi portò il primo CD player e usavo le cassette per ascoltare la musica, era costoso. Fortunatamente papà se lo poteva permettere. Ogni anno compravo l'equalizzatore, i subwoofer, i loudspeakers. L'ultima cosa, pagando mille euro ogni volta, furono le fibre ottiche, vi ricordate, per collegare l'Hi-Fi.
  È un po’ come la banca prima della global financial crisis: tanti prodotti, così strutturati e complessi che il consumatore arriva a non sapere più a che cosa servono; si crea quindi una disaffezione nei confronti dell'offerta bancaria. Così come non sapevo più perché comprare qualche cos'altro per creare i miei file. Questo è stato il momento in cui Steve Jobs ha messo iTunes sui computer Mac e ha cominciato a vendere l'iPod, che costava 200 euro, ma non era buona musica. Quello era un esempio di disruptive innovation, perché rendeva il prodotto più facile e fruibile, nel momento in cui il consumatore non sapeva comprare di più.
  Nel caso della banca, i Robo Advisors, per esempio, sono esempi di disruptive innovation; non sono necessariamente meglio del rapporto umano, dal punto di vista della conoscenza finanziaria, fanno alcune cose meglio e alcune cose peggio. Il problema e il punto fondamentale è che se oggi vado all'Apple store non trovo più l'iPod, bensì l'iPhone, il MacBook Air, l'Apple Watch, cioè prodotti che hanno maggiore margine, i quali hanno fatto fare ad Apple 250 billion di cash. Quindi, la crescita di questa azienda è nata dall'innovazione sostenuta, non dalla disruptive innovation.
  Che cos'è, allora, l'innovazione sostenuta nel mondo FinTech? È quella tecnologia che non «commoditizza», per così dire, cioè non semplifica soltanto avendo attenzione per la parte dei costi per il cliente, ma che trasferisce anche un valore aggiunto di conoscenza: ciò che il consumatore effettivamente compra, nel suo rapporto con la banca, è una decisione di investimento. Non si vende quindi, semplicemente, un prodotto da rendere accessibile, proponendo un investimento a un prezzo più basso, ma si aiutano le famiglie a comprendere la propria relazione con il denaro e con gli investimenti. Ciò è importante, soprattutto, nell'ottica dell’ageing society, cioè del fatto che i baby-boomers andranno in pensione e ci sarà un problema di pianificazione finanziaria per queste persone. Ne parlavo ieri con il professor Conti, che ha avuto incarichi di primo rilievo presso la CONSOB e poi all'INPS: mi spiegava il suo desiderio di creare uffici di pianificazione finanziaria e consulenza nei comuni, per aiutare le famiglie a comprendere come mettersi in relazione con il denaro. Pensate, oggi c'è la possibilità di usare una soluzione digitale per favorire, massivamente, nelle nostre famiglie, comportamenti più virtuosi.
  Bisogna quindi focalizzarsi sull'innovazione sostenuta, che vuol dire trasferimento di conoscenza.
  Secondo punto. Perché molti commettono l'errore di parlare di digitale senza capire la psicologia degli individui, e quindi il lato umano? Perché, come prima accennato, il digitale è una tecnologia di tipo pull, «prendo», mentre la finanza, le banche e le assicurazioni sono espressione di un'economia di tipo «propongo», «spiego» e «vendo».
  Facciamo un esempio per tutti. Io vivo a Francoforte e quando torno a Milano, dove c'è la mia famiglia, il sabato mattina vado a fare la spesa al supermercato. Cerco di andare con il pilota automatico: prendo il latte, il pane, il formaggio e, magari, il mio shampoo. Poi però vedo una pubblicità che mi invita a fare qualcos'altro; allora prendo qualcosa dagli scaffali, e il marketing mi invita a fare qualcosa di diverso.
  Pensiamo ad Amazon: non ho mai sentito nessuno dire «andiamo a vedere che cosa succede su Amazon». Di solito si guarda Amazon con un obiettivo, per comprare qualcosa; non succede così, però, quando ho del denaro e devo prendere una decisione. Pochissime famiglie, in Italia, come negli Stati Uniti, direbbero «vediamo se c'è un fondo obbligazionario che potrei comprare oggi». Di norma vanno in una Pag. 6banca o cercano una consulenza personale per prendere una decisione d'investimento. Ecco la ragione per cui il digitale è fondamentale, ma noi abbiamo speso tanto tempo per cercare di capire come far sì che questa tecnologia non sostituisca ma aumenti l'intelligenza e la conoscenza degli individui nel prendere decisioni di investimento.
  Questo processo funziona intorno a due temi. Il primo è quello dell'asimmetria informativa che ha permesso alle banche di fare il bilancio e che, volente o nolente, la tecnologia oggi sta riducendo per effetto della democratizzazione e della maggiore trasparenza. Cito un piccolo esempio, il concetto di denaro, che è ciò che crea una diversa propensione al consumo quando si compra su Amazon rispetto a quando si fa un investimento. Quando ho comprato questa cravatta ero molto felice, mi è piaciuta, son tornato a casa e mia moglie mi ha detto «Paolo, è marrone? Il tuo colore è il blu». Avevo due alternative: potevo riportarla indietro e cambiarla o tenerla e litigare con mia moglie. Quando invece ho del denaro e lo voglio investire, non ho una soddisfazione immediata e poi, eventualmente, cambio idea, ma devo riflettere e decidere. È in qualche modo doloroso. Dopo aver comprato un fondo obbligazionario non so subito se andrà bene, perciò è un rischio e un'incertezza. Lo saprò fra uno, due mesi, oppure un anno. C'è un approccio psicologico completamente diverso, quindi bisogna stare attenti a trasferire i modelli digitali dal mondo del consumo (quello di Amazon) al mondo degli investimenti.
  Il secondo tema è quello del tempo, che è alla base di tutto. Venendo oggi a Roma in aeroporto ho trovato un bar che vendeva dei sandwich, ne ho comprato uno e l'ho pagato 5 euro; poi sono arrivato in città, avevo ancora fame, ho chiesto un sandwich in un bellissimo bar a piazza Colonna e mi hanno chiesto 10 euro. Ho detto: «ma come, l'ho comprato poco fa a 5 euro!». Mi hanno risposto: «ma sì, dottore, vede che c'è il prosciutto di Parma. Lei non pagherebbe di più per il prosciutto di Parma?». Certo, perché ho un criterio dentro di me che mi permette di capire il valore del denaro. Ma quando investo, faccio fatica, come investitore, a capire il costo dell'investimento, il rischio e il valore aggiunto.
  Il FinTech cerca sostanzialmente di creare trasparenza su tutti questi elementi, attraverso l'indipendenza della consulenza finanziaria, come ho già detto parlando della direttiva MiFID II. Poiché l'investitore fatica a capire questa cosa quando investe, il fattore tempo è fondamentale; quindi non è necessario creare qualcosa che venda, ma avere la possibilità di usare il digitale per continuare la relazione, in modo tale che non sia costoso. La sustaining innovation rispetto alla disruptive innovation è quella che rispetta, nel processo di implementazione del digitale, le propensioni psicologiche degli investitori e li aiuta a prendere decisioni, perché quello che loro comprano è una decisione d'investimento.
  Arrivo ora al terzo tema, che è quello legato all’unbundling dei servizi bancari. Faccio una piccola premessa: che cos'è l'asimmetria informativa? È la situazione per cui il cliente pensa di pagare la banca (o il Robo Advisor) per comprare rendimento, ma nella realtà dei fatti sta comprando del rischio, perché c'è sempre una quota di rischio e incertezza. Il cliente non vuole ascoltare questo discorso, però, è un problema di educazione finanziaria, e la banca non lo vuole sempre raccontare, perché renderebbe più difficile vendere.
  Se questa è la verità, tuttavia, l'ulteriore verità è che, in realtà, il cliente non compra mai un prodotto ma, nella maggior parte dei casi, compra un confort nel prendere una decisione di investimento. L'oggetto che permette veramente di capire cosa la banca dovrà vendere fra dieci anni nel nuovo modello di business, che non è basato sulle transazioni ma è basato sui servizi, è consulenza per aiutare le famiglie a decidere. Ma questo vuol dire farsi pagare diversamente ed esplicitamente. Senza la tecnologia la banca non riuscirà a passare a quel modello di business e sarà costretta a «commoditizzare», quindi, sostanzialmente a dare basso valore a tutti, come un McDonald per tutti.
  Ecco il valore di alcune parti del FinTech nel favorire l'innovazione sostenibile. Pag. 7
  L'ultimo problema fondamentale è il seguente. Per alcuni anni il FinTech ha detto «siamo qui per fare l’unbundling dei servizi bancari», quindi per scorporare la banca e l'assicurazione in tanti piccoli pezzi che funzionano meglio e, quindi, i clienti arriveranno. Questo è il concetto chiamato di breaking banks, cioè di rompere le banche. Perché non è possibile per il FinTech rompere le banche? Perché le banche sono già rotte, sostanzialmente.
  Cerco di spiegarmi: quando decido di fare un investimento per la mia famiglia, devo andare dal mio private banker; quando decido di prendere una carta di credito vado allo sportello della banca; quando decido di stipulare una polizza assicurativa vado dall'agente assicurativo; quando voglio fare credito vado dal risk manager. Quindi la banca è già divisa in business unit. Il FinTech si è strutturato nello stesso modo: c'è il Paytech, c'è l'Insurtech, c'è il Wealthtech. Ma il digitale dimostra, se guardiamo l'esperienza delle dot-com, che solo le piattaforme sono vincenti sul digitale nel medio e lungo periodo, cioè quelle che aggregano più servizi e più cose, perché poi se li possono far pagare.
  Per esempio, Amazon è la mia piattaforma per gli acquisti; Linkedin è la mia piattaforma per la carriera; Facebook è la mia piattaforma per gli amici e la famiglia; Twitter è la mia piattaforma per la paranoia politica con Donald Trump. Come trasformare la banca nella piattaforma per la mia pianificazione finanziaria, in cui al centro c'è l'investitore, ma il digitale mi trasferisce qualcosa, con del valore aggiunto che la banca può farsi pagare?
  L'equazione finanziaria delle famiglie è molto semplice: è quella in cui siamo tutti inseriti. Lavoro in Ibm e quindi guadagno, meno quello che pago e quello che risparmio. Se sono smart nel risparmiare, posso investire, posso fare lending and borrowing, posso donare e posso fare retirement. Il problema di questa equazione, pur sembrando semplice, è molto difficile, perché il denaro che ho in tasca è limitato, quindi non potrò fare tutte le scelte che voglio. Ecco che ogni volta che prendo una decisione sono indeciso, ho timore e ho bisogno di parlare con qualcuno; mi affido quindi a un istituto finanziario.
  Aiutare le famiglie a prendere decisioni in campi diversi, che richiedono consulenti specializzati in assicurazioni, investimenti, risparmio, credito, vuol dire aumentare l'intelligenza dell'operatore bancario, quindi del banker e dell'operatore di filiale, che deve essere multidisciplinare e saper trasferire la propria conoscenza alle famiglie. Senza l'intelligenza artificiale sarebbe molto oneroso, perché i costi di formazione sono spropositati senza il digitale, e quindi senza il mondo FinTech e del mobile, sarebbe difficile oggettivare questo valore aggiunto, perché va istituzionalizzato in modo tale che possa essere poi controllato dalla vigilanza e da tutti i processi di compliance, in modo tale però che sia conveniente.
  Prendiamo i tre temi che ho analizzato e interpretiamoli dal punto di vista del policy making e del FinTech in questa nuova ottica, di favorire tutte le azioni, le leggi, la regolamentazione e gli incentivi che possano permettere alle banche non solo di disaggregarsi, ma di non disintegrarsi, per potersi riaggregare di nuovo in un altro modello.
  Perché questo è fondamentale? Perché discutiamo spesso della relazione tra i piccoli imprenditori del mondo FinTech, che vanno aiutati a portare valore, e gli istituti finanziari, che hanno un'enorme importanza nel sistema economico italiano, perché garantiscono la stabilità del sistema e quindi vanno aiutati a trasformarsi? Perché, mentre discutiamo di questo, ci sono altri operatori della tecnologia che sono nati nel mondo internet, i quali avranno interesse a entrare nei servizi finanziari. Questo processo si realizzerà, ed è anzi già in atto in alcune parti del mondo.
  Possiamo semplificare così. Se osservate ciò che accade negli Stati Uniti, vi trovate la tecnologia; se guardate l'Europa, trovate che abbiamo la regolamentazione; se esaminate la Cina, vedrete che hanno il modello di business. Queste tre cose non possono andare da sole, perché il modello di business cinese non tutela sempre l'investitore, mentre la regolamentazione, alle volte, frena lo sviluppo, ma può anche favorirlo, Pag. 8e la tecnologia da sola disumanizza. Dobbiamo trovare il modo di mettere insieme questi tre elementi, invitando le istituzioni e l'industria a fare un ragionamento serio su questi temi, muovendoli l'uno verso l'altro.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Sironi, per il suo intervento, che ci permette di esaminare le problematiche legate al FinTech, da diversi punti di vista.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  MICHELE PELILLO. La ringrazio molto. Il suo intervento è stato molto interessante e ci offre molti spunti. Vorrei soffermarmi su un aspetto. Mi è venuto un dubbio, ascoltandola con attenzione. In questi anni ci siamo soffermati molto sulle problematiche che hanno caratterizzato maggiormente la crisi del settore bancario e, in particolare, sulla difficoltà dei risparmiatori a relazionarsi col mondo finanziario.
  Lei ha parlato di asimmetria – mi piace, come espressione – e noi abbiamo potuto verificare facilmente una asimmetria di conoscenza tra il cittadino utente e l'operatore finanziario. Ci siamo preoccupati di questo e per la prima volta abbiamo inserito nell'ordinamento legislativo una norma che dovrebbe, in qualche modo, costruire un modello di educazione finanziaria.
  Come lei ha appena finito di dire, ci troviamo di fronte a un processo, quello del FinTech, che farà orientare tutte queste iniziative più sui servizi: al riguardo lei affermava, giustamente, che il servizio diventa appetibile nel momento in cui crea valore aggiunto, offrendo, quindi, all'utente più informazioni; se esso è, cioè, più utile. Ma se l'utente rimane ancora sprovvisto degli elementi di educazione finanziaria indispensabili, cioè non riesce a comprendere un'informazione più complessa, penso che rimarremo sempre al punto di partenza.
  Da una parte, c'è un livello di conoscenza che non sarà facile elevare, e sappiamo che nel nostro Paese questo deficit è particolarmente importante rispetto ad altri partner europei; dall'altra, c'è l'esigenza, anche per fare business, di implementare l'informazione, articolarla meglio e offrire più notizie, perché questa maggiore offerta può mettere l'investitore nelle migliori condizioni di scegliere. Ma se all'investitore manca l'alfabetizzazione finanziaria, come potrà cogliere queste nuove opportunità?

  SEBASTIANO BARBANTI. La prima domanda riguarda il futuro, anche prossimo, delle banche. Abbiamo visto che, anche a causa del livello dei tassi d'interesse, oltre che dell'operatività, il margine di interesse delle banche è ormai ridotto al lumicino, quindi non consente più dei markup elevati. Gran parte delle banche si regge ormai sul margine delle commissioni e, a fronte di costi fissi, il predetto margine, proprio per l'impatto del FinTech, andrà via via riducendosi. Ci ha già parlato della trasformazione del modello, ma non so se vuole aggiungere qualcosa su come si potrebbe creare una sinergia virtuosa tra banche e FinTech.
  Il secondo punto, che si richiama alla domanda del mio collega Pelillo, riguarda tre aspetti da lei citati: tecnologia, regolamentazione e modello di business. La tecnologia si esporta, la regolamentazione si crea, il modello di business si inventa, ma creare e trasferire è più facile che inventare.
  Per favorire la creazione di modelli di business e lo sviluppo di competenze per le nostre aziende FinTech, favorendo altresì lo sviluppo di competenze del cliente finale – ricordiamoci infatti che FinTech significa anche disintermediazione, quindi un'assunzione anche più diretta di responsabilità, con una disclosure maggiore anche da un punto di vista della controparte bancaria «finteccaria» (passatemi il termine) – mi chiedo se sia giusta l'idea di cominciare a inserire all'interno dei percorsi accademici (non dico dei licei o della scuola dell'obbligo, ma dei corsi universitari), alcune materie per la formazione in tema di FinTech, come già succede tra l'altro in altri Paesi, tra cui anche la Gran Bretagna.

  CARLO SIBILIA. Intervengo molto rapidamente perché in realtà le domande e i Pag. 9dubbi coincidono. La ringrazio anche perché lei ha fatto un quadro molto generale, nel senso che ci dà la possibilità anche di toccare aspetti della materia che ci riguardano da vicino. La sua esposizione non è banale e contiene anche taluni aspetti critici. Questo è, chiaramente, un pregio.
  C'era una cosa sulla quale vorrei chiederle dei chiarimenti, dal momento che siamo al cospetto di un mondo che, a mio parere, ha ancora difficoltà ad essere compreso, anche da chi lo osserva più da vicino. Io ho questa sensazione. Poiché ci parlava del fatto che l'Europa ha la legislazione, dello sviluppo del FinTech, che si lega alle cryptocurrency, alla tecnologia del blockchain, mi viene da pensare che, da qui a 10 o a 15 anni, ci sarà un mondo che non avrà più la necessità dei confini di una legislazione sovrana, e questo un po’ mi spaventa. Ci sono alcuni profili tecnici che andranno affrontati, come ad esempio la questione di come i bitcoin entreranno a far parte delle successioni mortis causa. Sono temi complessi, ma qualcuno se ne dovrà occupare. Potrebbe essere questo il caso in cui potrà intervenire un organismo di qualche tipo.
  Vorrei chiedere se lei non scorge una sorta di rischio di disgregazione e di liquidità; ma forse non parlerei nemmeno di rischio. Come si evolverà, secondo lei, il rapporto con la territorialità e con lo Stato, quando inseriremo queste specifiche prassi tecnologicamente avanzate, come il FinTech e tutti gli aspetti a esso correlati?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Sironi per la replica.

  PAOLO SIRONI, IBM Academy member and Author, FinTech Tought Leader Watson Financial Services. Vi ringrazio per queste domande, tutte molto stimolanti. Partiamo dall'educazione finanziaria, che si lega anche a una seconda o terza domanda dell'onorevole Barbanti. La settimana prossima parteciperò a un seminario della CONSOB, la quale presenterà il Rapporto sulla propensione al consumo, al risparmio e agli investimenti delle famiglie italiane e, quindi, anche sull'educazione finanziaria.
  È un problema, ma credo che, per tanti anni, vi sia stata un'incomprensione di che cosa voglia dire esattamente fare educazione finanziaria. Si è pensato, anche in molti aspetti legislativi, che fosse legato al tema «so che cos'è un bond – queste sono tipiche domande di un questionario MiFID – un'azione e il rischio subordinato», ma in realtà è un tema che andrebbe affrontato con riguardo al comportamento che abbiamo e alla nostra relazione con il denaro. Torniamo all'equazione che ho citato prima, «guadagno meno risparmio, investimenti, lending e borrowing», eccetera. Si tratta di decisioni tra loro collegate, perché sono collegate a dei comportamenti.
  Questa è la ragione per cui, quando ho cercato di affrontare il tema a livello strutturato, partendo dalla letteratura per supportare il lavoro dell'Industry Academy, nel secondo volume della trilogia FinTech Innovation il sottotitolo è «From Robo-Advisors to Goal Based Investing and Gamification», cioè come aiutare a insegnare agli individui una diversa relazione con il denaro, non facendo educazione prescrittiva o normativa tipo «questa è la finanza», ma creando dei principi di gamification, e partendo dall'istruzione primaria, fino alla concezione di un questionario MiFID che sia «gamificato». Anche le guidelines dell'ESMA (European Securities and Markets Authority) hanno aperto a questa nuova impostazione qualche settimana fa. Ciò affinché si possano aiutare gli individui a giocare...
  Mi spiego meglio: quando il pilota dell'aereo impara a portare l'aereo, non va direttamente sull'aereo, ma entra prima in un cockpit virtuale, e fa un gioco. Gli vengono proposte situazioni in cui si testa la sua reazione, così impara in qualche modo le conseguenze dei propri comportamenti. Quindi spiegare che non si compra rendimento ma si compra rischio, a un certo prezzo, vuol dire imparare a relazionarsi con queste cose, per evitare di scottarsi, cioè per esempio di continuare a vendere quando il mercato perde, e comprare, invece, quando il mercato è al massimo.
  È un problema di finanza comportamentale. Solo con l'utilizzo del digitale, nel Pag. 10quale oggi i games sono utilizzati ovunque, si può forse capire come creare processi di gamification che trasferiscano conoscenza comportamentale e non normativa. Ci sono Governi – per esempio nel Regno Unito, che hanno cominciato a parlarne e negli Stati Uniti sono stati svolti studi, a livello governativo, per affrontare il tema di come utilizzare principi di gamification per insegnare diversamente: non che cos'è la finanza, ma come mi devo relazionare con essa?
  Spero di avere dato alcuni suggerimenti su come usare la tecnologia per risolvere questo problema a un livello diverso. Passo ora alle domande dell'onorevole Barbanti, partendo dalla seconda. C'è anche un tema di educazione a livello universitario, perché oggi l'innovazione richiede di essere interdisciplinari. Anche un operatore retail usa la tecnologia per essere efficace, quindi è diventato molto labile il confine tra i vari settori tecnologico, industriale, dei servizi finanziari, e via dicendo. Se guardo la formazione universitaria, è ancora strutturata per compartimenti quasi stagni. Quando studiavo io all'Università Cattolica un esame di informatica si chiamava «elaboratori elettronici e sistemi meccanografici». Oggi ha cambiato un po’ il nome, però è un esame, su un corso di 30-40 materie, che non insegna, ai giovani che vogliono imparare la finanza per entrare nel contesto finanziario, a capire come relazionarsi con la tecnologia. Viceversa, chi studia ingegneria spesso non comprende la finanza, quindi si creano linguaggi e abitudini diversi.
  Penso che l'esempio del Regulator di Singapore sia interessante. Ce ne sono poi degli altri e io stesso da quest'anno tengo un corso di FinTech all'Università European Business School a Francoforte in Economia. Il Regulator di Singapore pensa che soltanto investendo nell'educazione finanziaria si possa fare un cambio di passo, non subito magari, ma fra 5-10 anni, perché insegnando alle nuove generazioni che entrano all'università i problemi e le opportunità del FinTech, non solo questi giovani diventeranno imprenditori ma entreranno anche a lavorare negli istituti di credito o negli istituti di consulenza finanziaria portando con sé un linguaggio e una mentalità che permetta questa trasformazione. Si tratta, come ho già detto, di una trasformazione di contenuto, che non riguarda il prodotto ma l'impacchettamento, fornendo un servizio che diventa digitale e che il cliente percepisce come valore aggiunto. È un cambiamento estremamente complicato del modello di business: è più complicato cambiare il modello di business che fare qualche altra cosa, c'è un ulteriore livello di difficoltà.
  Ritengo sia un compito importante del legislatore trovare le forme che permettano alle Università di arricchirsi; l'investimento va fatto oggi, perché il ritorno ci sarà in un futuro che non è dopodomani, e soltanto la mano del regolatore può favorire questo cambiamento in modo strutturale.
  Passiamo al tema delle commissioni. La trasformazione, non soltanto in Europa, è partita dagli Stati Uniti. Poi potremo fare un discorso diverso sulla Cina, in cui il modello tendenziale è comunque quello di servizio che ho prima illustrato; ciò perché sul digitale è l'unico che funziona mentre la vendita di prodotti non funzionerebbe.
  Pensiamo al mondo occidentale, in particolar modo all'Italia. Se esaminiamo i bilanci delle banche, riferiti a quest'anno e ai prossimi anni, la parte principale (in alcuni più del 50 per cento a oggi) delle revenues proviene dalle commissioni nella negoziazione con la clientela, quindi dalle retrocessioni. Pensiamo a quello che succederà con la MiFID II, ai costi della ricerca che verranno disaggregati e alla maggiore trasparenza su costs and charges, che è assolutamente doverosa: ciò fa parte del percorso di democratizzazione e di riduzione dell'asimmetria informativa. In America questo percorso è partito già prima della regolamentazione, che arriva ora; ci sono i Fiduciary standard del Department of Labor, che sono più semplificati rispetto alla MiFID II, che è più ampia. L'America discute se andare avanti: è una questione politica. In America questo processo è iniziato perché l'industria era competitiva, più aperta e frammentata rispetto a quella italiana, dove è dominata dalla rete bancaria. Pag. 11
  Stiamo percorrendo lo stesso percorso, ma da due punti di partenza diversi. Se questa è la direzione e se le revenues sono sostanzialmente sotto attacco per tante ragioni naturali – è vero che ciò è dovuto anche alla regolamentazione, ma ci sono anche motivi indipendenti da questo – e l'America in qualche modo va avanti nella finanza e il mondo la segue, come fa il legislatore a porre sotto tutela la redditività del sistema bancario, peraltro doverosa, perché è parte della competitività del sistema economico italiano?
  Vorrei farvi riflettere sul fatto che il Governo cinese ha dichiarato che il rischio finanziario è un problema di sicurezza nazionale. Qualche mese fa ero nel Guangdong per una sorta di X-Factor delle FinTech in televisione, dove abbiamo fatto la valutazione di tredici realtà, poi seguito da un convegno. Ebbene, tutti – proprio tutti – i soggetti del mondo FinTech che hanno parlato cinese hanno parlato di risk management.
  Io vengo dal mondo del risk management, sono stato responsabile dei rischi di Comit, Intesa e Intesa San Paolo, per la parte trading, per molti anni, quindi conosco bene il tema. Ritengo che solo aiutando le banche a usare la tecnologia per aumentare la capacità degli operatori bancari di trasferire la conoscenza che, in un mondo di ridotta asimmetria informativa, permette al cliente di capire, la banca potrà trasformare le sue fonti di revenues, portandole dai prodotti alla consulenza. Se pensiamo alla MiFID II, che è parte di un lavoro che ho condiviso con la CONSOB recentemente, emerge che la creazione di valore sta nell’onboarding, nella conoscenza del cliente, che oggi molti analytics aggregati intorno al mondo dei big data e dell’artificial intelligence ci aiutano in qualche modo ad aumentare e a rendere fruibile e accessibile da parte di chi deve fornire consulenza.
  Questo vuol dire che bisogna aiutare le banche a rafforzare i processi di consulenza con la tecnologia, senza avere paura a utilizzare questi analytics, sebbene ci sia l'esigenza di tutelare assolutamente la privacy. Apro una piccola parentesi: una ragazza di origine tedesca, che stava studiando a Singapore e che lavorava per una banca tedesca, mi ha scritto un messaggio su Linkedin, le ho detto «quando sei a Francoforte ci vediamo per un caffè». Quando l'ho incontrata, mi ha detto: «lavoro a Singapore e in Germania. A Singapore parlo di big data e analytics, ed è tutto facile. In Germania – mi dicono che c'è la regolamentazione, c'è la privacy – non si può fare niente; si resterà indietro». Io dico, attenzione, in realtà se è vero che i dati sono importanti, solo dove c'è un tessuto regolamentare che protegge questi dati, nel medio e lungo periodo, ci sarà competitività. In questo penso che la Germania, come sempre, docet per pragmatismo. Allora gli insights possono essere protetti? Ci sono metodi anche tecnologici per renderli protetti e renderli trasparenti, quindi c'è bisogno di non avere paura e di agire in modo tale che possano essere messe a disposizione del consumatore e di chi lavora all'interno del tessuto bancario e vuole trasferire conoscenza.
  C'è un'ultima domanda, molto affascinante, che riguarda il mondo della trasformazione totale: guerra nucleare su tutti i fronti. Prima ho parlato di due processi: la disruptive innovation e la sustaining innovation. In realtà la blockchain non è né l'una né l'altra; la blockchain è un tema di innovazione fondamentale, foundational, perché in qualche modo può aiutare a ricostruire l'economia e il funzionamento dei rapporti dello Stato, essendo basata sul concetto di trust, ciò sulla necessità di rendere la fiducia in un contratto immediata e ampiamente verificabile, eliminando tutte le inefficienze e, quindi, creando valore.
  Su questo si inserisce il bitcoin, perché la blockchain nasce col bitcoin, ma le criptovalute sono comunque qualcosa di diverso rispetto al blockchain, quindi bisogna stare veramente molto attenti: certamente non in questa sede, ma all'esterno c'è molta confusione su questi aspetti. Penso ci siano tanti modi per fare blockchain: ci sono modi aperti, modi sostanzialmente più chiusi e limitati, che riguardano comunità, anche nazionali. Quindi c'è la possibilità, anche Pag. 12per lo Stato, di riorganizzare se stesso all'interno dei propri confini, senza perdere il controllo della generazione delle informazioni. Sono convinto che questo sia possibile e che garantirà allo Stato un vantaggio competitivo, perché lo Stato può conoscere, quindi può avere la base decisionale che gli permette di andare avanti.
  La grande trasformazione del FinTech è che l'infrastruttura di domani non è più basata sui computer in quanto tali, ma sullo scambio informativo. Uno scambio informativo che oggi lo Stato fa fatica a raccogliere, perché lo deve in qualche modo collezionare, a volte andando a cercarlo con i fax, diciamo così. Ma se lo Stato potesse avere una conoscenza più immediata di ciò che sta succedendo nell'economia (pensiamo al Ministero dell'economia stesso per le sue previsioni economiche e la comprensione degli stock), farebbe un passo da gigante in avanti. Questo è ciò che ha permesso ad Amazon di cominciare sostanzialmente a fare prestiti, perché facendo prestiti ai soggetti che vendono su Amazon conosce tutto, più di una banca: può osservare infatti il cashflow, il movimento d'affari e il movimento dello stock, quindi ha il senso dell'economia in tempo reale. Se ragioniamo in questi termini, la regolamentazione può favorire lo Stato in un processo che gli consenta di diventare fortemente competitivo, mettendosi direttamente in collegamento tra l'incentivo del Ministero dell'economia e la realizzazione di tale incentivo nell'economia reale.
  Spero di aver risposto a tutte le domande e di aver fornito un contributo utile.

  PRESIDENTE. Certamente sì. Ringrazio il dottor Sironi per l'audizione, molto interessante, esprimendole anche l'intenzione di tenerci in contatto, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.