XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 23 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI FISCALI E FINANZIARI A SOSTEGNO DELLA CRESCITA, ANCHE ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI ESPERIENZE INTERNAZIONALI

Audizione di rappresentanti di Federcasse.
Capezzone Daniele , Presidente ... 3 
Gatti Sergio , Direttore generale di Federcasse ... 3 
Cornelli Federico , Direttore operativo di Federcasse ... 7 
Capezzone Daniele , Presidente ... 9 
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 9 
Pesco Daniele (M5S)  ... 9 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 10 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 10 
Barbanti Sebastiano (M5S)  ... 10 
Gutgeld Itzhak Yoram (PD)  ... 11 
Busin Filippo (LNA)  ... 11 
Capezzone Daniele , Presidente ... 11 
Gatti Sergio , Direttore generale di Federcasse ... 11 
Cornelli Federico , Direttore operativo di Federcasse ... 12 
Gatti Sergio , Direttore generale di Federcasse ... 15 
Cornelli Federico , Direttore operativo di Federcasse ... 15 
Gatti Sergio , Direttore generale di Federcasse ... 15 
Capezzone Daniele , Presidente ... 15 

ALLEGATO 1: Slides depositate dai rappresentanti di Federcasse ... 16 

ALLEGATO 2: Memoria depositata dai rappresentanti di Federcasse ... 27

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Federcasse.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali, l'audizione di rappresentanti di Federcasse.
  Diamo il benvenuto ai nostri ospiti: il direttore generale, dottor Gatti, il direttore operativo, dottor Cornelli, e il responsabile del Servizio studi, dottor Lopez. Chiediamo loro, come abbiamo fatto in precedenza, essendo in chiusura di questa fase di audizioni, una valutazione sullo stato dell'arte e anche qualche possibile percorso di lavoro.
  Do la parola al dottor Gatti per lo svolgimento della relazione.

  SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Signor Presidente, buongiorno a tutti i componenti della Commissione e grazie per quest'opportunità. Mi scuso per l'assenza del nostro presidente, avvocato Azzi, che è stato trattenuto da impegni di lavoro, collegati sempre al nostro settore, in Lombardia.
  Abbiamo avuto modo di seguire i lavori della Commissione su questo specifico tema e, quindi, abbiamo pensato di non ripetere tante considerazioni che sono state già autorevolmente svolte e discusse con voi. Cercheremo di focalizzare, pertanto, così come abbiamo potuto sintetizzare nella documentazione che avete in distribuzione, alcuni passaggi fondamentali che potrebbero essere stati trascurati, o non sufficientemente approfonditi, nel corso delle audizioni che hanno preceduto la nostra.
  Se il Presidente è d'accordo, sfoglierei con voi, proprio per non annoiarvi, le slide, che sono poche, ma che riteniamo offrano la dimensione del ruolo che le nostre 388 banche, ormai, assumono nel nostro Paese a sostegno dell'economia reale.
  Noi non rappresentiamo grandi fondi, grandi investitori, ma l'economia reale, cioè i produttori e i professionisti che posseggono, da 130 anni, le nostre banche. Ovviamente, se sono nate queste cooperative bancarie, è stato per poter accedere al credito in modo un po’ più agevole. Per volume di crediti, il nostro sistema è la terza realtà bancaria nazionale. Questo fatto ci responsabilizza e ci ha indotto ad essere particolarmente concreti anche nelle proposte che sottoponiamo alla vostra valutazione.
  Andando direttamente alla slide n. 3, attraverso tre grafici cerchiamo di dimostrare una tesi, ossia che, proprio nella fase più acuta della crisi, le persone (imprese, Pag. 4famiglie e persone fisiche) hanno continuato a manifestare fiducia nelle nostre banche. Il capitale è, infatti, aumentato. Da noi il patrimonio si accresce non con operazioni di aumenti di capitale, come per le banche quotate o per le SpA, ma essenzialmente con apporti di piccolissimo importo da parte di persone fisiche o giuridiche e accantonando, obbligatoriamente, almeno il 70 per cento degli utili annuali.
  La capitalizzazione è, dunque, cresciuta nel senso giusto, anche nell'ottica di Basilea III, ma è cresciuto anche il numero dei clienti e dei soci, ovvero di coloro che hanno fiducia in noi e che lo dimostrano, versando anche soltanto mille euro. Si tratta, comunque, di un segno di fiducia. Vorremmo che voi registraste questo dato: le banche locali godono della fiducia dei territori. Sono i numeri che parlano.
  Nella slide n. 4 si vede come anche le BCC abbiano conosciuto una contrazione nell'erogazione del credito – la linea verde rappresenta quella che si è mantenuta – per motivi ovvi, nel senso che non potevamo che fare così. Non c’è alcun atto di eroismo da parte nostra. La linea verde è sempre un poco al di sopra di quella blu della media del resto dell'industria bancaria, che avrà, ovviamente, le sue ragioni. Sia nella prima, sia nella seconda recessione, abbiamo dunque tenuto, ma soprattutto la seconda è una fase nella quale soffriamo maggiormente, perché la crisi colpisce l'economia reale e, quindi, proprio i nostri clienti. Siamo rimasti indenni nella prima fase della crisi e anche nella seconda, che erano tipicamente finanziarie, ma in quest'ultima stiamo soffrendo di più.
  Nella slide n. 5 sono esposti tre concetti. Ricordiamo che l'andamento delle BCC, visibilmente anticiclico, è dovuto alla loro specifica forma di governo societario: almeno il 70 per cento dei profitti è destinato alla riserva indivisibile e il dato effettivo è dell'85 per cento. È una forma di patrimonializzazione lenta, piccola, ma costante. Vedremo successivamente alcuni dati che ci vedono, almeno per il momento, all'avanguardia in termini di solidità patrimoniale.
  Un dato fondamentale, di cui occorre tenere conto nell'ottica dell'Unione bancaria, uno dei temi che affronteremo, è che il 95 per cento dei prestiti delle nostre banche deve essere erogato, per legge, nell'area territoriale di competenza. Non c’è, quindi, alcun drenaggio di risparmio. Il territorio produce risparmio e gode, se ha progetti meritevoli, dei finanziamenti che tale risparmio riesce a consentire.
  Non abbiamo prodotti derivati, se non a fini di copertura. I consigli di amministrazione (5.000 amministratori) sono rappresentanti del tessuto economico. A volte operano con alcune difficoltà, ma si realizza una forma vera, non evocata o immaginata, di democrazia economica. Queste 5.000 persone, che nella vita fanno altro, si dedicano a gestire il risparmio e gli impieghi nel proprio territorio, fino a portarci a essere la terza realtà bancaria in termini di impieghi complessivi.
  Nella slide n. 6 si vede lo stock di impieghi per settore. Il nostro istogramma è quello blu. Per tutte le categorie – imprese non finanziarie, piccole imprese con meno di 20 addetti o con oltre 20 addetti, microimprese – c’è comunque una consistente dominanza. Questa è la nostra platea di interlocutori.
  Mi soffermo soltanto un momento in più sulla slide n. 7 perché essa mostra, in maniera evidente, come, purtroppo, la quota di mercato degli impieghi alle imprese, in questi cinque anni, sia cresciuta. La nostra quota di mercato è cresciuta. Diciamo «purtroppo» perché ciò significa che qualcun altro ha avuto difficoltà o ha seguito policy un po’ diverse.
  Il primo blocco di istogrammi per le imprese fino a 20 addetti ci vede al 21,5 per cento come quota di mercato, poi per gli altri segmenti di imprese al 16, al 17 e, infine, al 7. Questa crescita, evidenziata dai numeri, è un'ulteriore prova del genus anticiclico delle nostre banche. Ciò non significa che noi, con recessioni lunghe e profonde come quella che stiamo vivendo, alla fine non diventiamo vulnerabili. C’è Pag. 5una vulnerabilità dovuta proprio all'affaticamento, alla sofferenza delle imprese e anche delle famiglie.
  Non mi soffermo sulla slide n. 8. Potete vedere come gli istogrammi dell'agricoltura, dell'alloggio e ristorazione e anche del commercio siano l'ennesima prova del nostro essere accanto a settori come il turismo e l'agricoltura, che è forse quello che soffre un po’ di meno, per fortuna. In tali settori ci sono potenzialità ulteriori di affermazione anche nei mercati aperti e del nostro made in Italy, nonché il maggior tasso di occupazione.
  Grazie alla nostra capacità di creare occupazione, sia diretta, sia indiretta, abbiamo continuato ad assumere e, quindi, ad avere un saldo positivo, in termini di dipendenti, delle nostre 388 banche fino al 31 dicembre scorso, senza aver mai dato vita, negli anni passati, a operazioni di esodo. Ci auguriamo che questa virtuosità, di cui siamo un pò orgogliosi, possa continuare a consolidarsi anche nel 2014.
  Cito gli ultimissimi dati sulla patrimonializzazione. Come vi dicevo, il patrimonio, nonostante le nostre siano «microbanche», è un «macropatrimonio». Il fatto che gli utili vadano calando, essendoci un maggior assorbimento del patrimonio, anche per via del peggioramento della qualità del credito, fa sorgere qualche timore sulla possibilità di continuare a mantenere i livelli del Tier 1 Ratio, visibili nella colonna verde, ed il cui dato è, per il momento, confortante.
  Si tratta, quindi, di banche solide e ben patrimonializzate. Essendo questa una media, ci sono anche punte di eccezionale virtuosità, ma a noi interessa rappresentare la media. Le nostre, però, non sono cooperative bancarie invulnerabili, soprattutto se le recessioni sono lunghe. La crescita delle sofferenze è stata rapida, soprattutto nell'ultima parte della crisi, quella più recente. In merito, dobbiamo evidenziare come la nostra linea, quella verde, sia andata appaiandosi e a sovrapporsi con quella blu.
  Infine, nell'ambito delle sofferenze, la slide n. 11 mostra come nei nostri segmenti di clientela tipici, ossia le imprese, le famiglie e le microimprese, il nostro tasso di sofferenza sia comunque più basso rispetto al resto dell'industria.
  Tutto questo si può attribuire a diverse ragioni. Una di queste è il cosiddetto relationship banking, cioè la capacità di conoscere e di valutare la bontà dei progetti e delle imprese non soltanto sugli algoritmi, ma anche sulla relazione, sulla storia della persona e sulla reputazione nei territori. In tutti e tre i settori dei nostri clienti le sofferenze sono, purtroppo, in crescita, ma sono significativamente inferiori rispetto al resto del sistema.
  Questo è un quadro di sintesi che ci consente di sostenere tre o quattro tesi che trovate nella memoria depositata e che tratterò brevemente, con l'aiuto dei miei colleghi, che presento: il dottor Cornelli, direttore operativo della nostra Federazione Italiana, nonché direttore del Fondo di Garanzia Istituzionale, a cui magari avremo modo di accennare fra un attimo, e il dottor Lopez, responsabile del Servizio studi e relazioni internazionali della nostra Federazione.
  Il primo punto, che tratterò molto brevemente, è il tema della proporzionalità, rispetto al quale noi siamo molto preoccupati in confronto a sedici mesi fa, quando fu lanciata per la prima volta l'Unione bancaria (ricordo che prima non esisteva e che è stata proposta soltanto il 29 giugno del 2012), un progetto che noi vediamo come un approdo indispensabile per il futuro del nostro continente e della costruzione dell'Unione europea, notiamo che la proporzionalità, per tanti motivi (di urgenza o necessità per far fronte anche a possibili ondate speculative ricorrenti) viene evocata ed invocata, ma non applicata.
  Il primo pilastro dell'Unione bancaria entrerà in vigore il 1o gennaio prossimo ed è Basilea III (CRD4 e CRR). Al di là dell'Atlantico, negli Stati Uniti, che per altri motivi possiamo anche non prendere ad esempio, ma in questo caso, sì, il Governo americano e la Federal Reserve hanno, sin dall'inizio, interpretato il recepimento della normativa in questione nell'ordinamento Pag. 6bancario statunitense per le community bank, cioè per le banche che hanno meno di 10 miliardi di attivo totale di dollari (le nostre, e anche tantissime altre banche di territorio, sia popolari, sia SpA, non arriverebbero a quelle dimensioni) in maniera double. Hanno applicato, cioè, non un single rule book, ma un double rule book, ossia un set di regole per le medie e grandi banche e un set per le piccole banche di territorio. Ci sono numerose audizioni, oltre che documenti, in questo senso, che possono essere consultati.
  Si tratta di una normativa scritta ad hoc in maniera diversa, ossia una Basilea III per le banche di territorio, proprio perché queste, pur avendo quote di mercato proporzionalmente, molto inferiori rispetto alle nostre, hanno comunque quote di mercato importanti per le imprese e le famiglie del territorio.
  Torno al tema della proporzionalità. Nel progetto dell'Unione bancaria essa non viene applicata. Abbiamo combattuto affinché, nel modello SSM, cioè nel Single Supervisory Mechanism, ci fosse almeno un doppio momento, con la BCE che facesse da subito la vigilanza diretta sui principali gruppi e le Autorità nazionali che, nell'ambito di una cornice metodologica comune, si occupassero di tutte le altre banche. Questa stessa proporzionalità minima, che è stata conquistata sul terreno, non viene prevista in questo momento per l'SRM, cioè per il Single Resolution Mechanism, e ciò ci preoccupa in maniera particolare.
  Da cittadini europei, riteniamo che questo modo di fare sia comprensibile, ma, da operatori economici del territorio, lo reputiamo assolutamente contestabile, perché – come possono mostrare i dati che vi abbiamo appena sintetizzato – rischia di colpire i destinatari sbagliati.
  Abbiamo letto anche l'intervento e la testimonianza, che condividiamo in gran parte, del dottor Nicastro, che è nostro collega e amico. Lui invoca regole uguali per tutti. Anche noi, ma purché tutti siano equiparabili. Quando si scrivono le norme, non è possibile avere in mente – ad esempio – una grande banca inglese, che ora è, nella misura dell'81 per cento, di proprietà del Governo britannico. Non si possono fare le regole su quel tipo di caso, dimenticandosi delle banche di territorio, che dovrebbero subire lo stesso tipo di obblighi di conformità, con costi di compliance e, quindi, rischi di svantaggio competitivo enormi. C’è, dunque, il rischio di colpire i destinatari sbagliati.
  La stabilità storica è stata da noi dimostrata, come avete visto, con gli istogrammi relativi al patrimonio. Riteniamo che ci possa essere un'ulteriore consapevolezza – abbiamo già avuto la prova di quest'attenzione da parte del Parlamento italiano – nelle fasi finali del trilogo, per quanto riguarda due direttive importantissime per l'Unione bancaria. Esse si affiancheranno, come secondo e terzo pilastro, al primo, che sono le CRD IV e le CRR. Il secondo è la BRR, la Bank Recovery and Resolution, e il terzo è la DGS, cioè il sistema di protezione obbligatorio dei depositanti. Auspichiamo, cioè, che ci possa essere una proporzionalità reale e non soltanto evocata.
  Riteniamo che la biodiversità bancaria, che in Italia ha trovato spazio, soprattutto negli ultimi vent'anni, con il Testo unico bancario, abbia dato i suoi frutti. Possiamo affermare che usciremo – mi auguro presto – dalla crisi, senza sapere qual è il modello bancario vincente. Tutti sono vincenti e di tutti c’è bisogno. Nessuno ha la verità in tasca, ma c’è bisogno di tutti i modelli bancari, sia come dimensioni, sia come forma giuridica, sia come missione, che non sempre è quella del lucro.
  Illustro ora alcune misure concrete, perché credo abbiate bisogno soprattutto di concretezza e brevità. Tra poco lascerò la parola anche al mio collega. A pagina 4 della memoria si affronta il tema delle misure per favorire la crescita. Valutiamo positivamente le disposizioni sulla deducibilità fiscale. Tutto ciò va nel senso della patrimonializzazione, sempre più importante, sia per rispettare i requisiti di Basilea III, sia per poter erogare credito. Rimaniamo, comunque, sempre svantaggiati Pag. 7rispetto ad altri sistemi europei, ma sappiamo che un grosso sforzo del Governo e, immagino, anche del Parlamento italiano, è in corso. Ne prendiamo atto. Non bisogna sempre e soltanto lamentarsi.
  Al secondo punto auspichiamo la discussione e approvazione della proposta di legge n. 1351 sulle banche regionali, nella quale, come sapete bene, si propone una riduzione, per un certo tipo di banche, ben definite e ben controllate, – tutte lo sono, ma queste potrebbero essere ulteriormente controllate – dell'aliquota IRES dal 27,5 al 10 per cento. Questa è la proposta che abbiamo letto nel testo.
  È inutile rilevare che, in tal modo, potremmo liberare una serie di risorse – è importante comprenderlo – non per remunerare gli azionisti e i soci, perché noi non lo facciamo, ma per una ulteriore patrimonializzazione. Significherebbe dare un aiuto concreto a queste microbanche, che si sono mostrate comunque solide, a parte alcune eccezioni, per fortuna rarissime. Patrimonializzandosi, esse potranno riprendere a dare credito con il ritmo, noi ci auguriamo, che abbiamo conosciuto fino al 2010, senza risalire troppo indietro nel tempo. Ci sarà modo, probabilmente, di ritornare sulla questione, se lo vorrete, sia in questa, sia in altre sedi.
  Inoltre, non possiamo non sottolineare come una norma, approvata nel 2011, abbia punito ingiustamente le nostre banche, che si sono viste accrescere sia l'aliquota IRES, sia quella IRAP. Come ho cercato di dirvi prima, abbiamo tentato di fare banca del territorio, mettendo le persone agli sportelli e, quindi, assumendo. Trovare un ostacolo nella tassazione IRAP, proprio per chi assume e garantisce una qualità nella relazione tra banca e territorio, non è incoraggiante.
  Sottolineiamo questo aspetto. Ci aspetteremmo, in un momento diverso, non oggi, un'attenzione verso il ripristino di quella che non è un'agevolazione – lo sottolineo con forza – ma costituisce una condizione di parità perché, non remunerando l'azionista, incontriamo maggiori difficoltà a fare patrimonio.
  Un ultimo accenno: vorremmo incoraggiare, e rendere ulteriormente agevolata, la possibilità di ricorrere ad emissioni obbligazionarie garantite da parte delle piccole e medie imprese, con i cosiddetti «minibond», che noi abbiamo sperimentato, in particolare, con una banca pilota piemontese, la BCC di Cherasco. Essa ha avviato, già da alcuni mesi, un'esperienza importante con una società piemontese, la CAAR. In tal modo si è visto come, anche piccoli soggetti, nei territori, se ben assistiti, possano utilizzare gli strumenti che il Governo e il Parlamento mettono a disposizione. Occorre rendere un po’ più facile il meccanismo, ma potremo essere più precisi in altre sedi.
  Infine – lascerò poi la parola al dottor Cornelli – apprezziamo lo sforzo di ripatrimonializzazione del Fondo centrale di garanzia per le PMI. Consideriamo questa una leva di politica economica particolarmente importante, ma riteniamo che si possano fare alcune limature per poter rendere ancora più agevole l'accesso al Fondo, in termini di snellimento procedurale. Da parte nostra, sappiamo che dobbiamo utilizzarlo ancora meglio.
  Non ci limitiamo a fare richieste, quindi, ma confessiamo anche pubblicamente che sappiamo di dover migliorare. Le nostre banche sono state un po’ pigre, negli anni passati, nell'utilizzare questo strumento. Adesso lo stanno facendo molto bene e stiamo realizzando iniziative di formazione e creando luoghi di eccellenza per facilitare l'accesso a queste garanzie.
  Chiedo al dottor Cornelli di illustrare le ultime quattro slide e di integrare il mio intervento, secondo i tempi che ci indicherà il presidente.

  FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. Buongiorno. Il panorama relativo alle imprese è molto duro. Abbiamo imprese – lo sapete già – bloccate o in crisi, ma l'aspetto che notiamo è l'assenza di una domanda di capitale per scommessa imprenditoriale, ossia per iniziative di sviluppo. Siamo fuori con alcuni fidi di offerta – trattiamo la piccola o Pag. 8piccolissima impresa – ma non c’è, da parte dell'imprenditore, il coraggio di innovare, cambiare il macchinario, la motozappa o l'imbottigliatrice per fare un'innovazione. I figli, spesso, sono distratti da altre questioni e, quindi, l'impresa italiana, quella piccola, dal nostro angolo di visuale, appare veramente ferma.
  Forniamo, dunque, quattro suggerimenti, due di finanza e due di patrimonio, che trovate a pagina 6, al punto f) della memoria depositata. Noi vorremmo finanziare di più, e meglio, le imprese e, per farlo, avremmo bisogno di sbloccare due aspetti tecnici regolamentari.
  Il primo è che i prestiti che eroghiamo alle imprese, ma che non sono cartolarizzati, possano essere scontati presso la BCE. In questo modo libereremmo nuove risorse da reinserire nel circuito creditizio. I Paesi anglosassoni non hanno questo problema, perché gran parte del loro credito passa attraverso una sottoscrizione di titoli cartolarizzati. Questo è un aspetto tipico dei Paesi mediterranei, quindi su questo fronte potrebbe essere opportuno cercare un'alleanza con altri Paesi.
  Il punto g) a pagina 7 della memoria si riferisce all'emananda direttiva su Recovery and Resolution. Come sapete, verrà costituito un fondo per le risoluzioni delle crisi di banche nazionali. Questo fondo verrà formato prelevando un'aliquota su una parte del passivo della banca. Tuttavia, dalla parte passiva della banca vengono esclusi i cosiddetti covered bond. Che cosa sono ? Sono bond emessi e garantiti direttamente da quel mutuo o da quel prestito, che in tal modo viene idealmente estratto dall'attivo della banca. Questi covered bond costituiscono una misura di finanziamento molto intensa. In Germania, per esempio, le nostre amiche Raiffeisen kassen, corrispondenti alle nostre banche di credito cooperativo, fanno un cospicuo ricorso a tale misura con la loro Cassa depositi e prestiti, la quale negozia anche tali titoli sul mercato secondario.
  In Italia, l'emissione di questo strumento, che esiste, è vietata a tutte le banche di piccole dimensioni che hanno capitale sotto i 500 milioni. Si tratta di una disparità concorrenziale non solo all'interno del Paese, ma anche fra sistemi di Paesi ormai in competizione. Noi, che siamo piccole banche, e tali vogliamo rimanere, non possiamo emettere questi strumenti, perché ci è vietato. Non possiamo, quindi, essere altrettanto liquidi e offrire altrettanta liquidità alle nostre imprese come le altre banche.
  Questi due punti, unitamente al suggerimento di consentire di scontare presso la Banca centrale europea i crediti erogati alle imprese, che citavamo prima, sono importanti per avere maggiori flussi di finanziamento. Noi rappresentiamo il credito cooperativo e quello che vi andiamo a raccontare non è il nostro business. Siamo, pertanto, scevri da ogni possibile contaminazione, ma abbiamo bisogno che le imprese siano patrimonializzate.
  In molti casi l'imprenditore, oggi, non immette più capitale nell'impresa. Il figlio spesso ha rendite realizzate dal papà sufficientemente ampie da consentirgli di non lavorare. Abbiamo, quindi, bisogno di una nuova generazione di imprenditori e di nuove iniezioni di capitale di rischio. Tutto ciò è molto difficile da trovare.
  Ci sono due soluzioni. La prima, al punto h) della memoria, è che, per chi investe in titoli azionari quotati, possibilmente di piccole e medie imprese, presso la Borsa valori di Milano, sia riconosciuta un'esenzione per cui, se si tiene il titolo – come si diceva una volta nelle tecniche di Borsa – da «cassettista», per cinque anni, nel proprio portafoglio, senza fare trading, si ottiene l'esenzione dalla tassazione sulle plusvalenze, come già previsto per gli immobili: se si compra un appartamento a 100 e lo si rivende a 120, ma dopo cinque anni, non si viene tassati.
  Lo stesso potrebbe essere fatto per il cassettista, piccolo risparmiatore, fino a una cifra modesta, ad esempio di 50-100.000 euro di investimento, purché la mantenga nel suo portafoglio. Questo sistema crea anche società quotate molto più stabili. È una misura spesso utilizzata anche in altri Paesi a matrice anglosassone, Pag. 9molto più dediti al trading. Fu introdotta in Inghilterra dal Governatore Mervyn King.
  Il secondo e ultimo punto, il punto i), a pagina 7 della memoria, è di estrema importanza. Un grande volano, utilizzato in altri Paesi, è quello di far dirottare una parte delle riserve dei fondi pensione, un 5-10 per cento, quindi una parte minore, verso l'investimento in micro venture capital, ossia in iniziative imprenditoriali, per esempio, segnalate dai bacini incubatori, dalle università, dal Politecnico di Milano, o dall'Università di Lecce – faccio degli esempi – che possano essere gestite con interventi di equity, di patrimonio, anche piccoli, di 500.000 euro o un milione di euro. Questo servirebbe per creare un volano all'avvio di nuove imprese.
  Perché rivolgersi ai Fondi pensione ? Ci sono pro e contro, ovviamente. Come prima riflessione, qualcuno potrebbe dichiarare di voler mettere i propri soldi su un investimento molto sicuro, mentre il Fondo li distrae verso una parte di investimento ad alto rischio. Questo è un punto di chiara evidenza.
  Tuttavia, c’è un elemento importante. Prima di tutto, guardate una persona come me: ho 45 anni e andrò in pensione a circa 72 anni. Ho di fronte tutto il tempo necessario affinché un gestore di fondi possa costruire un portafoglio di scommesse imprenditoriali (100-200) fatte col Politecnico di Milano, delle quali 100 arrivano a buon fine e 100 no. Quelle che arrivano a buon fine, finanziate da noi, dal nostro fondo pensione, si obbligano a mantenere l'occupazione in Italia e, quindi, generano un volano estremamente positivo, soprattutto in territori che sanno dimostrare di supportare le imprese.
  Non solo, il nostro gestore è l'unico che ha il tempo di trovare la way out – come si dice tecnicamente – ossia di disinvestire queste nostre scommesse. Lui dovrà avere 5-7-10 anni e noi, come pensionandi futuri (molto futuri) avremo la possibilità di riscattare l'investimento solo fra 25-30.
  In altri Paesi il sistema è diffuso. Guardate il modello 401K americano o quello del Canada. Il Canada oggi fa il 3 per cento del private equity avendo adottato questo modello. Il punto è che i fondi pensione ogni anno ricevono un grande afflusso di denaro. Una parte di questo, disciplinata a livello normativo, può essere indirizzata verso centri di ricerca di eccellenza o incubatori di imprese.
  In questo modo si potenziano le università e i nostri centri di ricerca, ma soprattutto si immette un considerevole apporto di capitale che, anno dopo anno, sviluppa imprenditoria ed è condiviso su una pluralità di portafogli. Si abbatte, quindi, il rischio e si evita il primo problema che abbiamo esposto all'inizio, con una possibilità di rendimento tale da far sviluppare il nostro profilo pensionistico.
  Vi prego di valutare molto questi ultimi due punti. Non rappresentano il nostro business, ma riteniamo che siano misure molto positive. Le nostre banche, nel territorio, vanno bene solo se i territori vanno bene e ci sono le imprese. Diversamente, noi facciamo veramente fatica.

  PRESIDENTE. Grazie davvero sia al dottor Gatti, sia al dottor Cornelli anche per questa contestualizzazione. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Ho visto nelle premesse che, dal 2008 al 2012, lo stock di impieghi è cresciuto del 18 per cento, il che mi rende felice. Il problema è che, dal 2008 a oggi, le sofferenze sono triplicate. La mia domanda è molto semplice: credete che le norme introdotte da Basilea, soprattutto quelle riguardanti l'istruttoria creditizia, siano perfettibili, visto questo risultato riguardante le vostre sofferenze ?

  DANIELE PESCO. Grazie per la relazione e per essere qui. Ho letto i grafici e notato che il capitale è aumentato, così come i soci e i clienti. Mi chiedevo perché, invece, gli impieghi, pur essendo più alti di quelli delle banche, siano comunque scesi molto. Potreste fornire una maggiore spiegazione in merito a questo aspetto ? Inoltre, vi ringrazio per aver parlato di sofferenze Pag. 10bancarie. In questa sede se ne è parlato, finora, troppo poco. Vorrei chiedere come valutereste strumenti alternativi alla cessione di credito pro soluto. Si potrebbe riuscire a istituire una sorta di call del cliente sofferente, prima della cessione del credito a enti terzi per il recupero ?

  GIOVANNI PAGLIA. La prima domanda è preliminare, mi serve ad inquadrare meglio tutto il ragionamento ed ha a che fare con la vostra diffusione territoriale, cioè su quali siano le regioni o le zone del Paese in cui avete una presenza più o meno forte. Il resto viene di conseguenza.
  Passo alla seconda domanda: alle pagine 10 e 11 sono contenuti i grafici relativi ai dati sulle sofferenze; dalla prima tabella parrebbe che il vostro rapporto fra sofferenze e impieghi, rispetto al sistema bancario nel suo complesso, sia ormai paragonabile, cioè abbia lo stesso identico livello. Le altre indicano risultati diversi. Mi chiedevo quale fosse il pezzo mancante fra la prima e la seconda tabella.
  Vorrei anche sapere se avete un dato ulteriore. Si parla di sofferenze, ma vorrei conoscere anche il dato sui crediti deteriorati. Finora, nell'audizione di Banca d'Italia e di altri soggetti, abbiamo avuto anche quel dato. Esso è più significativo, dal nostro punto di vista, rispetto all'andamento dell'economia reale, di quello relativo alle sofferenze, che ha anche a che fare con la scelta di considerare o meno il credito in sofferenza. Quello relativo alle sofferenze non è dunque semplicemente un dato oggettivo.
  In ultimo, è la prima volta che mi capita di sentire (forse ho capito male) che c’è una richiesta inevasa di credito. Se ho capito bene quello che diceva, voi avreste la possibilità di erogare linee di credito che non vengono richieste dal mercato, almeno rispetto alla vostra tipologia di clienti.

  GIROLAMO PISANO. Ringrazio moltissimo gli auditi per la relazione, perché mancava questo tassello alle nostre audizioni. Avete già esposto, nel dettaglio, la differenza sull'assetto gestionale delle banche, spiegando che non avete l'obbligo di remunerare l'azionariato, ma piuttosto fate una patrimonializzazione delle vostre banche. A tale riguardo vorrei capire un aspetto. Uno dei rilevanti problemi che caratterizzano gli istituti bancari di grandi dimensioni è che, nel corso del tempo, essi si sono accorpati e che, con l'adozione di politiche lontane dalla nostra realtà imprenditoriale, di fatto, sono stati automatizzati alcuni processi di valutazione del rischio relativo alle piccole imprese. Questo ha portato a una lontananza dal territorio dal punto di vista operativo, con effetti devastanti sull'effettiva possibilità per le imprese di ottenere linee di credito. Il fatto è che questi strumenti automatici non riescono a valutare adeguatamente il merito di credito delle nostre microimprese.
  Vorrei capire meglio come vi differenziate, a livello di rapporto con il territorio, in tale approccio e, quindi, nella valutazione delle singole attività imprenditoriali rispetto alla banca che voi chiamate «industriale». Mi interesserebbe capire meglio questo tema.

  SEBASTIANO BARBANTI. Grazie innanzitutto per essere qui presenti e per la vostra relazione. Abbiamo visto, anche dai grafici, che effettivamente essere banche del territorio premia, soprattutto perché sembra che voi siate state impegnate, in maniera più forte rispetto alle altre banche, a finanziare l'economia reale. Questo vi ha premiato, perché avete tassi di sofferenza più bassi rispetto alla media di sistema.
  Sappiamo, però, che, per ogni euro di capitale libero, se ne liberano quasi 12 per impieghi. L'attenzione cade subito, quindi, sui costi di compliance, che tendono a comprimere l'utile. Anche voi avete ben esposto quali sono le difficoltà di seguire la normativa e avete formulato la proposta del double rule book.
  Passo alla domanda. Sostanzialmente, c’è un rischio di sovrapposizione, sia dell'operatività, sia dei costi, tra fondo di Pag. 11garanzia dei depositanti e fondo di garanzia istituzionale. Essi, peraltro, seguono il criterio del minor onere nelle risoluzioni delle crisi, cosa che non fanno gli strumenti comunitari e le direttive BRR – abbiamo visto prima gli altri due pilastri, gli SRM e il DGS – soprattutto alla luce di come, per il momento, la materia sembra essere normata. La recovery sembra essere vincolata alle banche sistemiche e sembra che voi dobbiate pagare qualcosa di cui non potrete usufruire.
  Infine, stando alle ultime dichiarazioni provenienti dalla Germania, si auspica che siano mantenuti fondi nazionali per la risoluzione delle crisi. Poiché sappiamo che, ormai, tutte le normative bancarie sono emanate dall'Unione europea, mi chiedevo come possiamo, anche noi, cercare di muoverci in questo campo, sempre facendo riferimento prima alla questione del risparmio di capitale e poi all'immissione di nuovo credito in circolo.

  ITZHAK YORAM GUTGELD. Pongo un paio di domande di chiarimento. Ho trovato la relazione molto interessante. Se ho capito bene la vostra richiesta, oggi non potete cartolarizzare i prestiti presso la BCE. Chiedo se mi può spiegare meglio la questione. Non ho capito, inoltre, come la proposta di detassare i «cassettisti» aiuterebbe ad aumentare la capitalizzazione delle aziende. Capisco come aiuterebbe ad investire maggiormente in attività, ma non come aiuterebbe la capitalizzazione. Chiedo, pertanto, se mi può spiegare questo aspetto.

  FILIPPO BUSIN. Nella relazione si è trattato il tema di conferire la possibilità di investire il 10 per cento dei fondi pensione su small cap e microimprese. Voglio chiedere se si ritiene sufficiente concedere questa possibilità, oppure se non sia opportuno valutare anche la possibilità di prevedere un obbligo per questi fondi pensione, per una percentuale anche inferiore al 10 per cento, in modo da imprimere un impulso maggiore e più concreto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Comincio a rispondere io, iniziando dalla diffusione territoriale. Le nostre banche sono nate nel nord-est, con una prima, fortissima espansione in Sicilia. Si trovano, quindi, in Veneto, in Friuli Venezia Giulia, a Trento e a Bolzano, dove si chiamano ancora, rispettivamente, casse rurali e casse Raiffeisen. Il nostro è un modello raiffeiseniano, con protagonismo dei territori, delle banche e delle cooperative attorno alla banca.
  Le quote di mercato sono rilevanti in alcuni territori. Faccio due esempi opposti geograficamente: siamo al 20 per cento complessivo in Friuli Venezia Giulia, che è un territorio nel cuore dell'Europa, e le nostre sono le uniche banche locali rimaste in Calabria, ossia realmente possedute, gestite e amministrate dai calabresi. Questo è un valore aggiunto in termini di spinta e di partecipazione dei territori al progresso, o al riscatto, laddove ce n’è bisogno. Sappiamo che le manovre dall'alto non aiutano. Non è l'attesa che fa vincere le situazioni di svantaggio, bensì l'incoraggiamento e l'intrapresa.
  Fornisco alcuni dati: noi abbiamo 1.200.000 soci, 37.000 dipendenti e 4.400 sportelli. La nostra presenza è molto forte anche in Lombardia, la nostra federazione più grande, come dimensione regionale, ma anche nel centro-Italia. Ci sono buone presenze anche nel Sud, dove – è inutile dirlo a voi – c'erano difficoltà nell'accesso al credito anche prima della crisi. Il fatto che ci siano ancora banche di territorio, a volte ultracentenarie, significa che sono state gestite con lungimiranza.
  Aggiungo, dal punto di vista geografico, un'annotazione che a volte sfugge, non a voi naturalmente. Più si va verso nord, in Europa, più sono importanti, dal punto di vista quantitativo, le quote di mercato. La banca cooperativa è sinonimo di progresso e di solidità, non di qualcosa di antico, di ammuffito o di fine Ottocento. Non è un caso che proprio i Paesi periferici – escludiamo l'Italia – come la Grecia, il Portogallo Pag. 12e la Spagna abbiano una debole cooperazione di credito, mentre l'Olanda e la Finlandia abbiano quote di mercato che arrivano al 30 per cento.
  La Germania, l'Austria e la Francia – è inutile entrare troppo nei dettagli – hanno quote che si aggirano tra il 20 e il 30 per cento, con un regime di coesione, cioè di autonomia delle singole banche, un po’ più integrato, per esempio con gli strumenti che ricordava l'onorevole Barbanti, quali il fondo di garanzia istituzionale che noi stiamo cercando di introdurre anche in Italia, di cui si occuperà, fra un attimo, il dottor Cornelli. In quei Paesi tali strumenti sono già operativi da anni.
  L'altra annotazione – magari riprenderò la parola in seguito – riguarda il tema posto in particolare dall'onorevole Pisano, ossia quello di non affidarsi troppo all'automatismo nei processi di valutazione del credito.
  Già con Basilea II negoziammo un approccio quali-quantitativo. Ci deve essere sicuramente una comparabilità dell'analisi di bilancio o della bontà o della meritevolezza del cliente potenziale che abbiamo di fronte sulla base di paradigmi oggettivi confrontabili. C’è poi, però, anche un'attività qualitativa che bisogna saper fare, che è l'arte del banchiere, che noi abbiamo preservato in Basilea II e che, come avete visto dai dati, abbiamo, tutto sommato, ben interpretato.
  Con Basilea III sarà un po’ più difficile farlo, perché la tendenza è – scusate il termine un po’ abusato – all'omologazione. L'omologazione semplifica i problemi, la vigilanza e la rappresentazione di aspetti non semplificabili, come, per esempio, la diversità dei territori, delle storie personali, delle aziende e dei distretti. Noi riteniamo che l'Europa abbia storicamente una capacità di competitività culturale, economica e finanziaria proprio per la sua diversità e che la diversità passi attraverso il non automatismo matematico della valutazione del merito di credito per la concessione del mutuo per l'imprenditore o per la famiglia. Difendiamo tuttora la diversità a colpi di proposte emendative, ma questa è una battaglia culturale, ancor prima che normativa.

  FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. Onorevole Villarosa, Basilea III, come Basilea II, e ancor più, elimina l'arte del banchiere. L'arte del banchiere nasce in Italia, a Firenze, e poi si sviluppa. L'arte del banchiere mediterraneo, italiano in particolare, consisteva nel capire il cliente che gli stava di fronte, conoscerlo e potergli anche concedere dilazioni. Faccio un esempio. Se un buon imprenditore ha un ritardo nel pagamento, perché il suo cliente lo paga non più a 90, ma a 180 giorni, nel frattempo, io gli finanzio gli stipendi e i pagamenti. Lui va avanti, poi arriva il pagamento e «ci aggiustiamo». Questo è un modo di fare italiano.
  Le regole sono scritte, invece, secondo un modo anglosassone, cui – non dico che sia giusto o sbagliato – non siamo abituati né noi, né i nostri imprenditori. Quando il cliente, dopo 90 giorni, è in ritardo nei pagamenti, devo considerare il suo debito scaduto. Da lì partono assorbimenti di patrimonio in automatico.
  Basilea ci lega le mani rispetto alla flessibilità, tanto che al Comitato di Basilea stanno pensando di estendere questa disciplina anche ai ritardi oltre 30 giorni. Il nostro è un mondo, per fortuna, di persone flessibili nella testa e nell'animo e non come quello anglo-tedesco, ossia molto rigido. Basilea porta al punto che tutte le banche avranno una necessità di patrimonio molto maggiore e dovranno essere molto più rigide. Prima che le imprese accolgano questo nel loro DNA – le nostre imprese spesso sono piccole e gestite dal «ragionierino» – ci vorrà almeno una generazione. Sarà un beneficio, forse, nel lungo termine, ma nel breve è molto dura.
  Onorevole Pesco, vorrei riprendere le slide 4, 6 e 7 sul tasso di crescita degli impieghi. Nel 2008 gli impieghi – come si vede a pagina 4 – erano 130 miliardi complessivi ed oggi superano l'ammontare di 150 miliardi di euro. Quando altri Pag. 13rubinetti hanno chiuso l'acqua o l'hanno fatta pagare molto cara, noi abbiamo fornito acqua fresca e nuovi secchi d'acqua a tasso compresso, come se fossimo in condizione di economia espansiva.
  Perché lo possiamo fare, anche se 20 miliardi in più sono due finanziarie ? Perché non dobbiamo remunerare il capitale, come altri, dando un dividendo. I nostri manager, compresi noi che vi parliamo, non hanno una stock option, perché non hanno un'azione. Se va bene, ricavano mezzo stipendio o un motorino. Questo è quello che offriamo. Venite alle nostre Assemblee.
  A pagina 4 è citato il tasso di crescita annuo. Se si guardano i dati relativi agli anni 2008 e 2009, si vede come, quando gli altri scendevano a livelli negativi, noi continuavamo a dare un più 11, più 7 e, nel 2010, di nuovo un più 7. Siamo sempre a livelli di crescita positivi. Quando ai nostri direttori diciamo di fare attenzione, perché comunque imbarcano sofferenze, ci rispondono che va bene così, perché loro sono i nostri soci e che poi si vedrà.
  Se guardate a pagina 6, vedete che il nostro tasso di crescita degli impieghi relativo alle imprese piccole, per esempio quelle con meno di 20 addetti – il 95 per cento dell'economia italiana si basa su queste realtà – è positivo, anzi molto positivo, come se fossimo in economia espansiva, in boom economico. Questi sono dati paragonabili a quelli di una banca cinese, che opera in un'economia in crescita del 6 per cento, mentre altre economie decrescono del 2 o 3 per cento.
  Questo è il punto chiave. La piccola impresa ha trovato ancora liquidità quando gli altri la chiudevano, quando il Paese era in presenza di una stretta di liquidità. Ad un dato momento, le banche tedesche hanno chiuso, di notte, tutte le linee di credito alle nostre Raiffeisen dell'Alto Adige e ai loro cugini più stretti e, quindi, l'Italia è stata isolata dal sistema monetario europeo. Noi siamo un Paese che oggi si approvvigiona solo del denaro che produce al suo interno e poco più.
  Rispondo all'altra domanda in merito al call su ente terzo e al recupero di credito. Se c’è un credito messo a recupero, il debitore ha sempre la possibilità di pagare subito. Questo potrebbe essere una facoltà da esercitare entro 15 giorni o 30 giorni. Non vediamo alcun ostacolo, anzi credo sia nel diritto del cittadino, purché, però, l'assenza di risposta non ostacoli la cessione. Questo è un elemento importante.
  La terza domanda dell'onorevole Paglia ci chiedeva i valori dei nostri non-performing loans. Cosa sono i non-performing ? Lo scaduto, l'incaglio è la situazione in cui si chiama il cliente e si comincia a dirgli di rientrare, mentre la sofferenza è quando si è provato di tutto e ormai non c’è più altra scelta che promuovere un'azione esecutiva. Lo scaduto, l'incaglio e la sofferenza pesano, nel nostro mondo, circa 20 miliardi. Di questo ammontare metà sono le sofferenze e metà sono scaduto e incagli.
  È una cifra molto rilevante. Vi prego di considerare la cifra a livello del sistema bancario italiano, perché le banche spagnole, su questo aspetto, hanno avuto fondi dall'Europa, mentre noi non abbiamo avuto alcun tipo di aiuto di Stato o di introduzione di capitale.
  Quanto alla domanda se manchi il credito, quella che ho fatto prima è un'affermazione forte. Oggi, però, le imprese hanno fatto solo una domanda di credito, chiedendo di rinnovare il circolante perché erano in difficoltà. Faccio un esempio: un imprenditore prima incassava in 30 giorni e adesso incassa in 360 giorni. Noi gli abbiamo finanziato il magazzino tre o quattro volte. Lì è entrato il credito, signori.
  Che cosa manca ? Manca il finanziamento, la domanda di credito di lungo termine. Io devo vedere il rinnovo dei macchinari, devo vedere che l'imprenditore scommette, che fa una cosa nuova, cioè che mi pone una domanda di credito non solo per «tirare a campare» oggi e poi vedere domani, ma con l'intenzione di aggredire il futuro con ottimismo. Su questo c’è una mancanza. Non è facile risolvere il problema.Pag. 14
  I processi che ricordava anche il dottor Gatti, di valutazione del credito in modo automatico, consentono di giungere ad un risultato importante. Guardate la slide a pagina 9. I metodi che applicano i processi automatici si chiamano IRB e sono metodi statistici. Che cosa fa il dipendente di una grande banca ? «Frulla» i numeri dentro un sistema automatico: se la banca ha un rating 1, 2 o 3, eroga il credito a un dato tasso, se ha un rating 4, 5 chiede maggiori garanzie, se ha un rating da 6 fino a 10 non concede nulla.
  L'operatore è, spesso, solo un esecutore e, quindi, non può muoversi, ma l'aver applicato questi rating ha portato tutte queste banche, non solo quelle italiane, anche le grandi banche inglesi e tedesche, a catturare un punto circa (fra lo 0,8 e un punto percentuale; potete chiedere alla Banca d'Italia, ma non sbaglierò di molto) di capitale in più. Le piccole banche non possono adottare questo modello.
  Che cosa succede ? Succede che il nostro capitale, se adottassimo anche noi modelli statistici, sarebbe non a 14, ma a 15. Noi non vogliamo adottare, come diceva il dottor Gatti, modelli statistici per un fatto, ossia perché il nostro modello statistico migliore è quello che i greci chiamavano l’agorà: ti conosco da quando sei in piazza e tuo figlio è lì.
  La BCC di Pachino raccoglie il denaro a Pachino, ma non può investirlo in Baviera o in Olanda perché laggiù corre l'economia. Deve investirli a Pachino. La situazione è più difficile. Deve trovare in quei Paesi qualcuno che «faccia girare» i soldi. Deve stare sulla piazza, al bar – consentitemi di essere provinciale, nel senso buono della parola – e conoscere le persone. Il metodo statistico non funziona: ci rimettiamo un punto di capitale.
  L'onorevole Barbanti poneva una domanda sulla recovery. La Commissione europea, Mario Nava e Barnier, stanno disegnando un sistema per cui non si interviene sul denaro del cittadino in caso di crisi bancaria, ma si costruiscono delle safety net, ossia delle reti di garanzia, finanziate dall'industria bancaria. Se qualcosa va male, queste reti, fino a dove possono, attutiscono il colpo. In tal modo, si evita di chiedere i soldi per le crisi.
  È fantastico che una simile proposta sia avanzata dai Paesi che hanno immesso nelle banche «chilometri di soldi», tra cui l'Inghilterra e la Germania. Quest'ultima ha dato garanzie su tutte le banche, ma poi, sui mercati, si comporta da prima della classe.
  Qual è il tema ? Va bene, per carità. Noi siamo sempre i primi. Svolgo, però, due considerazioni.
  In primo luogo, noi abbiamo questi meccanismi da trent'anni. L'Europa solleva la questione oggi, ma il fondo di garanzia dei depositanti fa queste cose da tempo. Una BCC come quella di Cosenza, o altre, forse, più note, sono state salvate senza chiedere, in 130 anni di storia del nostro movimento, una singola lira alla Corona sabauda, alla Repubblica, al Fascismo o a nessun altro. Nessuno è mai venuto in questa stanza a chiedere una lira. Abbiamo pagato queste banche con i soldi dei nostri cooperatori, il che fa una bella differenza.
  In secondo luogo, siamo anche favorevoli a contribuire a queste misure. Tuttavia, se salta la BCC di un piccolo paese, è un problema piccolino, che si gestisce. Si chiama rischio idiosincratico. Se, invece, salta la grande banca, non è solo lei a saltare, ma la catena di problemi che si genera finisce per rappresentare un rischio sistemico terribile. Inoltre, la normativa europea dice che quei soldi saranno usati solo per le grandi banche. Perché io devo pagare l'assicurazione della macchina che guida un'altra persona ? Non l'ho capito.
  Inoltre, prima di instaurare un fondo di garanzia europeo, assicuriamoci che tutti guidino allo stesso modo. Le banche lussemburghesi e anche talune banche inglesi, o tedesche, assumono rischi su portafogli molto elevati. Le Sparkassen tedesche, che sono casse di risparmio e non cooperative, sono state salvate dopo trading speculativi molto elevati.
  L'Italia ha una risorsa: il tasso di risparmio dei propri risparmiatori. Vado in Libia a comperare petrolio, in Namibia Pag. 15a prendere diamanti e in Italia a comperare saggio di risparmio. Io non voglio mettere il saggio di risparmio italiano a servizio delle speculazioni di altri Paesi, in cui, magari, due o tre banche – in Irlanda sono rimaste in due, in Lussemburgo altre due e avanti di questo passo – fanno un trading speculativo molto forte e poi impiegano gli utili a sostegno del ciclo economico, ad esempio, di un dato ciclo elettorale. Sarebbe come dire che sto finanziando, con i soldi di banchieri molto accorti, quelli italiani – non solo noi, ce ne sono di molto più bravi di noi – le speculazioni di banchieri lontani, che non posso governare. Su questo punto siamo assolutamente d'accordo nel fare un unico conto.

  SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Se posso integrare la replica, la settimana scorsa abbiamo partecipato ad un'audizione alla Commissione finanze del Senato su questo tema e abbiamo lasciato alcune proposte molto concrete, non solo lamentele. Mi permetto di segnalarlo. Eventualmente, possiamo anche farle avere agli uffici. Esse contengono indicazioni puntuali per interpretare il principio di proporzionalità su tali questioni.

  FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. Passo all'ultima risposta.
  Oggi posso portare in BCE titoli e cartolarizzare mutui perché il mutuo è garantito dalla cara, vecchia ipoteca. Non posso utilizzare, invece, il prestito alla piccola impresa, lo scoperto di conto corrente e il salvo a buon fine. Noi abbiamo una massa importantissima, in Italia, di queste operazioni e, quindi, questo è un elemento importante. Gli inglesi, che, invece, realizzano i finanziamenti attraverso l'emissione di bond da parte delle imprese, lo possono fare. La nostra tecnica finanziaria è più tradizionale e meno evoluta, ma non mi consente di fare queste operazioni.
  Infine, per quanto riguarda i fondi pensione, che sia 3, 5 o 10, si tratta di una minima percentuale. Credo che l'obbligo debba avere una prospettiva molto più di lungo termine. Come diceva Menichella, giochiamo con le carte che abbiamo, ma questo è un buon asso da mettere sul tavolo, in quanto, anno dopo anno, potremmo avere un investimento di capitale che rimane e che va a sostenere la ricerca e lo sviluppo delle università e dei centri incubatori, che oggi non hanno il capitale. Abbiamo le teste, ma non il capitale.

  SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Un'ultima considerazione: abbiamo potuto contribuire al testo attualmente in fase di elaborazione su «Destinazione Italia Spa» con una proposta di questo genere, senza specificare la provenienza degli eventuali fondi pensione, a sottolineare che non poniamo richieste per le BCC, ma, in generale, per il Paese.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti.
  Dichiaro conclusa l'audizione e autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Gatti (vedi allegati).

  La seduta termina alle 15.

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