XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Mercoledì 3 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE TEMATICHE RELATIVE AGLI STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI

Audizione del dottor Marco Mazzucchelli.
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 
Mazzucchelli Marco , managing director of Bank Julius Baer & Co. Ltd ... 2 
Capezzone Daniele , Presidente ... 6 
Barbanti Sebastiano (Misto-AL)  ... 6 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 6 
Causi Marco (PD)  ... 7 
Alberti Ferdinando (M5S)  ... 7 
Capezzone Daniele , Presidente ... 7 
Mazzucchelli Marco , Managing director of Bank Julius Baer & Co. Ltd ... 7 
Capezzone Daniele , Presidente ... 11 

Audizione del professor Emilio Barucci:
Capezzone Daniele , Presidente ... 11 
Barucci Emilio , Professore di matematica finanziaria presso il Politecnico di Milano ... 11 
Capezzone Daniele , Presidente ... 17 
Barucci Emilio , Professore di matematica finanziaria presso il Politecnico di Milano ... 17 
Capezzone Daniele , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal professor Emilio Barucci ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

  La seduta comincia alle 13.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Marco Mazzucchelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, l'audizione del dottor Marco Mazzucchelli.
  Saluto i nostri colleghi e il nostro ospite, il dottor Mazzucchelli, che ci esporrà le sue opinioni sul tema degli strumenti finanziari derivati e, dopo il suo intervento iniziale, spero avrà la cortesia di rispondere a qualche domanda dei colleghi.
  Do la parola al dottor Mazzucchelli.

  MARCO MAZZUCCHELLI, managing director of Bank Julius Baer & Co. Ltd. Presidente, la ringrazio innanzitutto per essere stato convocato per quest'audizione. Mi fa molto piacere poter fornire il mio contributo.
  Ho letto le relazioni svolte dagli altri soggetti che sono stati auditi nel corso di questa indagine conoscitiva e ho letto molte presentazioni teoriche e slide. Ho pensato, quindi, fosse meglio non ricorrere a questa modalità, anche perché credo che ormai abbiate ben chiaro come funziona il mercato dei derivati e che cosa sono questi prodotti finanziari.
  Volevo dunque esporre un punto di vista un po’ diverso, che credo possa essere utile in quest'analisi. Lavoro da circa trent'anni nel mercato finanziario, quasi sempre all'estero e, nel corso di questo periodo, ho ricoperto molti ruoli di responsabilità nell'industria finanziaria in banche d'investimento e banche commerciali, in compagnie assicurative e società di gestione di risparmio, oggi in una banca privata.
  Vorrei pertanto portare come mio contributo l'esperienza pratica dell'addetto ai lavori, di chi cioè era dall'altra parte rispetto a queste operazioni. Un elemento importante, di cui cerco sempre di fare tesoro e che mi sento di ribadire in tutte le occasioni, è che è sempre importante contestualizzare qualunque valutazione e giudizio nel tempo e nello spazio. In particolare per quanto riguarda il mercato finanziario, gli ultimi trent'anni sono stati caratterizzati da un ciclo di cambiamenti e di modificazioni strutturali tale che usare un metro di giudizio odierno per valutare il passato, oltre che essere fuorviante, sarebbe anche probabilmente intellettualmente poco corretto.
  Mi piacerebbe ripercorrere rapidamente con voi la mia esperienza, come operatore sui mercati finanziari negli ultimi trent'anni, del percorso finanziario compiuto dal nostro Paese. Vorrei farlo ricordando due episodi che ho vissuto in prima persona, i quali sembrano molto lontani nel tempo, ma che non lo sono poi tanto.
  Il primo è avvenuto nel 1987. Nel corso dell'estate si creò una situazione estremamente Pag. 3delicata, che forse oggi nessuno ricorda. Il mercato dei titoli di Stato italiano era caratterizzato dalla presenza esclusiva di titoli a tasso variabile, cioè dai CCT, e di BOT a breve. La durata dei titoli del debito era di poco superiore a un anno. Non esisteva un mercato secondario e non esisteva nemmeno un mercato primario regolare. Esisteva una sola banca – io lavoravo già all'estero, per una banca americana – che faceva un'attività di market making: si trattava della BNL, la quale svolgeva questo ruolo, molto presumibilmente, in contropartita del Ministero del Tesoro. Non esistevano circuiti telematici di negoziazione; queste avvenivano telefonicamente. C'era soltanto la pagina Reuters, su cui la BNL mostrava i prezzi.
  Nel corso dell'estate la BNL sospese di fare tali prezzi dei titoli di Stato, poiché il debito pubblico italiano attraversava una fase piuttosto difficile. Va ricordato, infatti, che nell'ottobre di quell'anno ci fu il crollo della Borsa negli Stati Uniti.
  Per circa un mese i prezzi dei titoli di Stato dunque non ci furono. Con riferimento ai titoli a tasso variabile, i quali in quel momento erano quotati a circa 97-98 centesimi il prospetto successivo, all'inizio di settembre, mostrava una loro quotazione a 90 centesimi e, successivamente, essi scesero fino a 85. Stiamo parlando di titoli a tasso variabile, che fissano la propria cedola ogni sei mesi.
  Il secondo episodio avvenne nell'autunno del 1992, quindi dopo l'uscita della sterlina dal sistema monetario europeo, l'allargamento delle bande di fluttuazione per la lira, la svalutazione della lira stessa e la manovra finanziaria dell'allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato, con i relativi interventi patrimoniali sui depositi bancari. L'Italia aveva iniziato a emettere titoli a tasso fisso a scadenza molto breve, pari a 2-3 anni.
  Nell'autunno del 1992 le prime aste dei titoli di Stato italiani in settembre andarono praticamente deserte. Soltanto l'intervento del fondo speculativo Quantum Fund di George Soros, nell'ottobre 1992, permise al Tesoro di emettere titoli. Il fondo di George Soros comprò praticamente tutti i titoli emessi attraverso la banca in cui lavoravo, una banca americana con sede a Londra, e lo stesso fece poi all'asta di metà ottobre e a quella di inizio novembre dello stesso anno.
  Il fatto che furono trovati prezzi di collocamento dei titoli permise di ridare una sorta di stabilità al mercato. Poi si ripartì con un circuito di emissione più regolare.
  Ho ricordato questi due episodi perché, a mio avviso, essi possono sembrare di un'altra era geologica, ma stiamo parlando, in realtà, di poco più di vent'anni fa. Se oggi ci troviamo a commentare l'utilizzo degli strumenti derivati da parte del Tesoro in una logica di ottimizzazione della gestione del debito pubblico, è perché il Tesoro si è potuto permettere di affrontare questi temi di ottimizzazione finanziaria, anziché dover far fronte alla costante emergenza di un possibile default.
  L'Italia di venticinque anni fa era un Paese finanziariamente sottosviluppato, il quale si trovava in una situazione paragonabile a quella della Turchia, dell'Indonesia o della Russia di oggi. Era quindi un Paese considerato poco affidabile, poco trasparente e poco competente sui mercati.
  Credo che questa contestualizzazione sia molto importante, posto che stiamo discutendo operazioni compiute anche molto tempo fa. Forse è opportuno affrontarle in questa prospettiva.
  Ricordo perfettamente le prime operazioni di copertura, all'inizio degli anni Novanta, nelle quali il Tesoro fece ricorso agli strumenti derivati. Nella Direzione generale del Tesoro era stata costituita una nuova équipe di grande livello, sotto la guida del professor Draghi, di cui facevano parte i professori Spaventa, Giavazzi, Giovannini, Grilli, Piga e altri, persone di grande spessore dal punto di vista accademico e istituzionale, ma ancora piuttosto a digiuno dal punto di vista dell'utilizzo di strumenti finanziari.
  È per questo motivo che il primo utilizzo dei derivati all'inizio degli anni Novanta – ricordo che io stesso consigliai al Tesoro di adottare questo tipo di approccio Pag. 4– seguì una logica di gradualità, attraverso poche operazioni molto limitate per testare il mercato e con l'utilizzo di contratti che oggi potrebbero sembrare inadeguati, ma seguendo un approccio che allora era stato così concepito in modo intenzionale. Si trattava di contratti che permettevano di correre ai ripari rapidamente qualora queste operazioni non fossero andate a buon fine, lasciando alla controparte – all'inizio unilateralmente – la possibilità di rescindere anticipatamente questi contratti se ci fosse stata una situazione di perdita per il Tesoro.
  A livello di emittenti europei, tali situazioni non si sono poi verificate e il Tesoro ha continuato a operare divenendo, nel corso degli ultimi venti anni, forse l'operatore più qualificato e più professionale; sicuramente molto più qualificato di altri Paesi che hanno una potenza economica superiore alla nostra. Si è sviluppato infatti, in quest'ambito, un set di competenze di prim'ordine.
  Se portiamo avanti l'orizzonte temporale, nel 2011 si è scatenata la tempesta perfetta. Io credo che a memoria d'uomo non sia mai avvenuto nulla di simile e non credo che vedremo mai nulla di simile nella nostra vita, in condizione di pace quantomeno. Si tratta di una combinazione letale di crisi finanziaria mondiale e di recessione molto perniciosa a livello planetario, che mina le fondamenta di un sistema monetario, quello europeo, e che, pertanto, si traduce in un avvitamento del merito di credito e della reputazione dei Paesi ad alto debito, tra cui l'Italia.
  Credo che non si renderà mai sufficientemente merito a quello che il team del Tesoro ha fatto proprio in quel quinquennio, dal 2008 al 2012. Ha tenuto la barra dritta, ha continuato ad affrontare il mercato con grande metodo e disciplina, continuando a emettere e a essere presente sul mercato anche quando voci molto autorevoli, sia italiane, sia estere, suggerivano al Tesoro di ritirarsi dal mercato, e di non emettere in quel momento, perché sarebbe stato pericoloso.
  Credo che proprio il fatto che il Tesoro abbia mantenuto la barra dritta e questa politica di emissione e di gestione del debito anche nei momenti più difficili ci permetta oggi di avere una durata del debito oltre i sei anni e mezzo e di avere oltre l'80 per cento del nostro debito a tasso fisso. È esattamente la situazione opposta rispetto a quella che vi descrivevo come prevalente fino a 20-25 anni fa.
  Il portafoglio derivati della pubblica amministrazione, e in special modo del Tesoro, è stato sempre costituito con una logica di copertura assicurativa per minimizzare il costo immediato e prospettico del debito e, di conseguenza, ridurre il deficit.
  Ho letto le relazioni consegnate dagli altri soggetti che sono stati auditi. Mi domando se si sia provato a quantificare il valore di questa copertura assicurativa non soltanto ex ante, cioè al momento in cui sono state fatte queste operazioni, sulla base di scenari probabilistici, ma anche ex post. Per esempio, sono certo che nel biennio 2007-2008, quando eravamo «distratti» dalla crisi Lehman Brothers e da altri avvenimenti traumatici, c’è stato sicuramente un momento in cui il Tesoro si è trovato in una situazione opposta rispetto a quella odierna, nella quale ha incassato, attraverso operazioni di swap, un tasso variabile superiore rispetto a quello che pagava in quel momento dal punto di vista del costo dei BOT in emissione. Si è potuto permettere di emettere BOT, ossia titoli a scadenza relativamente breve, perché nel frattempo non c'era più l'incubo del rifinanziamento. La durata del debito era diventata talmente lunga che si poteva pensare, in quelle circostanze, di non appesantire il costo del debito emettendo soltanto a breve.
  Credo che questa logica di cristallizzazione dei costi a un livello sostenibile e di allungamento della duration sia stata alla base delle operazioni di swaption che il Tesoro ha realizzato fino a circa dieci anni fa. A mio avviso, ha fatto molto bene allora a incassare dei premi importanti a fronte della facoltà, concessa alle controparti, di fissare un tasso di finanziamento per il Tesoro a trent'anni al 4 per cento.Pag. 5
  Teniamo presente che questa era una circostanza senza precedenti. A parte il fatto che il Tesoro non aveva mai emesso a così lungo termine, soprattutto non aveva certamente potuto mai emettere a questi livelli di tasso. Questo fatto, quindi, sfidava l'incredulità.
  Posto che ieri i tassi Euribor erano a 1,5 – oggi probabilmente sono già a 1,75, dato che è in corso un repricing molto veloce della curva dei rendimenti in questi giorni – la scelta di bloccare il costo del debito al 3-4 per cento può sembrare scriteriata. Credo, invece, che la vera anomalia non sia il fatto che allora furono fissati questi costi; la vera anomalia è l'andamento di oggi. Una curva di rendimenti come quella che abbiamo avuto fino a qualche giorno fa è decisamente un'anomalia che avrà conseguenze molto importanti sul sistema economico, delle quali ci renderemo conto – io credo – soltanto tra qualche anno.
  Questa situazione di tassi negativi, di mancato premio per il rischio sulle scadenze e, in generale, di incentivo da parte delle banche centrali a cercare di prendere più rischi finanziari, è una situazione di cui credo che ci pentiremo molto presto. La curva dei rendimenti, in condizioni normali, ha un'inclinazione positiva. Parte da un livello di tassi a breve che dovrebbe essere allineato al tasso di inflazione e ha un livello di tassi a lungo termine pari al tasso di crescita nominale, ossia al tasso di inflazione più il tasso di crescita reale.
  Pertanto, noi dovremmo avere una curva, in condizioni normali, con tassi a breve tra lo 0,50 e l'1 per cento e tassi a lungo termine tra il 3 e il 4 per cento, che, guarda caso, è proprio il break even che il Tesoro ha sulle sue operazioni. Oggi il Tesoro ha il break even al 3 per cento a vent'anni. Dovrebbe essere, in realtà, un tasso normale, ma oggi sembra un tasso quasi fuori mercato.
  Credo che presto, quando sarà terminato il Quantitative easing della Banca centrale, quindi tra circa un anno, ci troveremo a interrogarci non sul fatto che il Tesoro abbia questo mark to market negativo sui propri derivati, ma sul motivo per cui non si sia approfittato del biennio 2014-2015 per fissare il costo del nostro debito in modo quasi «perpetuo» al 2 per cento.
  Questa sarebbe la strategia ottimale. Se un Paese, un'azienda o una famiglia non riescono a sostenere un costo di rifinanziamento del 2 per cento, il problema non è più un problema finanziario, bensì di insolvenza. Nel momento in cui c’è la possibilità di bloccare i tassi a questo livello, questo va fatto senza nemmeno pensarci due volte.
  Invece, osservo che, poiché c’è stata una demonizzazione di questi strumenti di copertura, il Tesoro ha praticamente, ormai da diversi anni, definitivamente abbandonato ogni tentativo di gestire in maniera proattiva il proprio profilo di rischio. Lo fa con le solite emissioni. D'accordo, continua a tenere il profilo del debito, ma non cerca più di utilizzare strumenti sintetici per minimizzarlo, per bloccarlo e per coprirsi assicurativamente.
  A mio avviso, non sono gli strumenti derivati, o qualunque strumento finanziario, a essere buoni o cattivi in sé. Dipende tutto dall'utilizzo che se ne fa. Da questo punto di vista è un vero peccato che oggi non si utilizzi quella che è sicuramente una finestra unica nella storia dei sistemi finanziari moderni, e sicuramente unica per il nostro Paese.
  Per converso, invece, faccio un'osservazione circa un fenomeno che ai molti forse appare normale, ma che, secondo me, diventerà molto più preoccupante. Il Tesoro non fa queste operazioni, ma c’è una larga parte del sistema bancario, soprattutto le banche medio-piccole, che ha completamente rinunciato a svolgere il ruolo di intermediario creditizio. Le uniche operazioni che fanno queste banche sono attività di speculazione finanziaria. Sono delle specie di hedge fund mascherati perché comprano titoli a lungo termine – moltissimi li hanno comprati negli ultimi sei, nove o dodici mesi – e li rifinanziano con la Banca centrale a una scadenza più corta.
  Il risultato è quello che avete visto: i tassi BTP a dieci anni sono passati Pag. 6dall'1,20 al 2,20 e molte banche oggi «siedono» su perdite importanti, che si accumulano alle perdite che hanno sul portafoglio crediti che finora non hanno subito, perché non sono stati fatti gli accantonamenti, e hanno una situazione patrimoniale assolutamente deficitaria, la quale per molte banche non sarà risolvibile, dato che non tutti oggi possono andare sul mercato a raccogliere capitali.
  Credo che questo «turismo speculativo» da parte delle banche sarà la vera eredità di questi anni e che la pagheremo a caro prezzo. D'altra parte, invece, quella che sarebbe stata una grandissima opportunità, ossia la possibilità di congelare il costo del debito a livelli davvero anomalmente bassi, l'abbiamo perduta, perché abbiamo demonizzato questa gestione attiva del costo del debito.
  La ringrazio, presidente. Ho concluso il mio intervento.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Mazzucchelli. Se posso porre una prima questione – invito poi tutti i colleghi a intervenire – seguendo il filo del suo ragionamento, relativo a questa finestra di opportunità di, per così dire, freeze the situation, che cosa accadrebbe di molto spiacevole se continuassimo a non cogliere tale occasione e arrivassimo alla scadenza del Quantitative easing in questa situazione ? Se, alla fine del 2016, permarrà l'attuale stock del debito e la presente situazione sui derivati, quale sarà la stretta che il nostro Paese rischia di subire in termini di risk premium richiesto dai mercati ?
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SEBASTIANO BARBANTI. Innanzitutto, grazie, dottore, per aver fornito un quadro molto interessante, e soprattutto per aver trattato uno strumento di cui si parla poco, ma che, visto il contesto attuale, a me sembra piuttosto interessante. Mi riferisco al bond perpetuo, che utilizzò già, se ben ricordo, la Gran Bretagna nel secolo scorso per pagare i debiti derivanti dalla guerra. Secondo lei, perché non si lancia un bond del genere anche per l'Italia ? Forse non è un mercato attualmente reale ? Se, invece, si potesse lanciare questo tipo di bond, quale sarebbe il tasso ipotetico che si potrebbe scontare ?
  Ovviamente, abbiamo aspettative di crescita, ragion per cui lanciare ora un bond perpetuo, in effetti, sembrerebbe come collocare questo strumento al di fuori del mercato – o nel mercato ma a un prezzo esageratamente alto – viste le prospettive che ci sono.
  Sono d'accordo per quanto riguarda il «turismo speculativo» delle banche, ma purtroppo esso deriva da una normativa europea che lo consente. Di converso, le banche più piccole di determinate categorie sono imbrigliate da una normativa secondaria che non glielo consente. Forse in questo caso siamo stati più fortunati.
  Secondo lei, non sarebbe opportuno ricalcare questa sorta di dualismo normativo, anche su quella di stampo europeo, cercando di indirizzare maggiormente gli investimenti delle banche nell'economia reale anziché nel turismo speculativo finanziario ?

  GIOVANNI PAGLIA. Sono assolutamente d'accordo con lei che questa «finestra» temporale sarebbe stato opportuno coglierla, anche per il fatto che si tratta di una finestra di carattere straordinario.
  D'altronde, se guardiamo al mercato privato, in questo momento credo che chiunque negli ultimi mesi abbia avuto modo di dare qualche buon consiglio a qualsiasi famiglia mutuataria, ha consigliato i tassi fissi, posto che siamo a livelli di tassi talmente bassi che, sebbene i tassi variabili siano vicini allo zero, è evidente che, su operazioni a venti o trent'anni, probabilmente non si riprodurrà più una situazione come quella attuale.
  L'osservazione che vorrei fare è quella che ha originato il ragionamento che stiamo provando a sviluppare in Commissione, con particolare riferimento ai derivati del Tesoro. Questa demonizzazione di cui lei parla potrebbe essere dovuta anche Pag. 7a una mancanza di trasparenza anche al massimo livello politico, come può essere quello parlamentare.
  Se persino il Parlamento, almeno fino a sei mesi fa, non aveva di fatto un quadro, non dico analitico, ma nemmeno sintetico delle attività in derivati del Tesoro, è difficile che un Paese arrivi a fidarsi di strumenti finanziari complessi. Se il livello di alfabetizzazione finanziaria è talmente basso che nemmeno le massime istituzioni politiche vengono ritenute in grado di comprendere quelli che sono, invece, strumenti che vengono utilizzati ampiamente... Ci saranno anche quelli particolarmente «esotici», ma non sono quelli di cui stiamo parlando.
  Ripeto, credo che questo livello di segretezza che abbiamo riscontrato, e continuiamo tuttora a riscontrare, in realtà, alimenti anche un'ampia ondata di scarsa fiducia in tali strumenti e di scarsa conoscenza degli stessi, con conseguente blocco e inoperatività, anche in momenti in cui probabilmente operare potrebbe essere più utile.
  Questa è l'osservazione che volevo fare.

  MARCO CAUSI. Ringrazio il dottor Mazzucchelli. Mi associo alla domanda dell'onorevole Barbanti, perché le sue considerazioni sulla «finestra» di opportunità che attraversiamo in questa fase mi interessa molto. Vorrei capire come poter eventualmente fornire un indirizzo su questo, perché la finalità di questa indagine conoscitiva è approvare un documento conclusivo che conterrà – presumo – anche qualche opzione e qualche indirizzo per il Governo.
  Passo alla domanda che le volevo fare. Lei ha sostanzialmente espresso una posizione in cui, anche attraverso una ricostruzione storica dei fatti, giustifica e difende le scelte gestionali del Tesoro da trent'anni a questa parte. Mi pare di capire che il punto fondamentale sia che noi partivamo da un debito interamente a tassi variabili, quindi molto rischioso e che, durante questi venticinque anni di gestione, lo shift sul tasso fisso abbia reso la gestione del debito molto più stabile. In merito mi permetta di non essere particolarmente tecnico.
  Detto questo, però, resta un tema: come mai gli altri Paesi usano questi stessi strumenti molto meno di noi ? Nell'opinione pubblica, al livello anche di informazione televisiva e stampa, una delle questioni che hanno colpito è che la nostra esposizione in derivati è molto superiore a quella degli altri Paesi. Per esempio, in rapporto al debito pubblico, è molto superiore anche a quella tedesca, che ha un debito pubblico il quale, in valore assoluto, è superiore al nostro, pur essendo, in rapporto al PIL, più basso.
  Perché l'Italia ha usato questo strumento e gli altri lo usano molto meno ? È soltanto per i motivi che lei ha spiegato o c’è qualche altro elemento riguardante la valutazione comparata delle scelte gestionali rispetto ai debiti sovrani di altri Paesi ? Vista la sua posizione di osservatore dei mercati internazionali, forse ci potrebbe aiutare a capire questo punto.

  FERDINANDO ALBERTI. Riguardo alla questione della finestra del Quantitative easing da poter utilizzare per poter fare un'ulteriore copertura assicurativa mediante altri strumenti finanziari, vorrei che ci spiegasse, in modo molto semplice: come si coniugherebbe questa ipotesi con l'obiettivo del QE di andare ad aiutare l'economia reale ? Parliamo del rapporto tra finanza ed economia reale: le due cose possono stare insieme ? Come ? Con quali rischi ?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Mazzucchelli per la replica.

  MARCO MAZZUCCHELLI, Managing director of Bank Julius Baer & Co. Ltd. Vi ringrazio per le domande. Cercherò di andare direttamente al punto.
  La prima domanda che mi faceva il presidente è: che cosa succederà nel momento in cui questa situazione si normalizzerà ? Vediamo segnali molto forti – tra l'altro, vi posso dire che essi sono molto più percepiti al di fuori dell'Italia che non nel nostro Paese – del fatto che l'Italia sta Pag. 8facendo passi giganteschi verso una maggiore sostenibilità della sua struttura di debito e della sua struttura di finanza pubblica in generale. Nel momento in cui si riavvierà un percorso di crescita, anche se limitato, ma comunque positivo e sostenibile, certamente ciò invertirà la spirale della trappola del debito.
  Pertanto, non avremo più molti problemi che abbiamo dovuto affrontare nel 2011, quando c'era la percezione che non solo eravamo molto indebitati, ma anche che l'economia, continuando a contrarsi, non faceva che peggiorare il denominatore del rapporto tra debito e PIL. Era veramente un percorso vizioso, analogo a quello di cui stiamo discutendo in questi giorni per quanto riguarda la Grecia. Salvo che non si verifichino eventi eccezionali, il merito di credito dell'Italia risulta migliorato in modo strutturale. Ciò vuol dire che pagheremo di più, perché saranno saliti i tassi, ma non credo che la situazione sarà tale per cui lo spread tornerà ai livelli precedenti. Pagheremo gli interessi sui nostri titoli pubblici 100, 120, 150 basis point in più della Germania. La Germania non pagherà più zero per cento; già oggi paga 0,75 e finirà per pagare l'1,5 per cento. Pertanto, noi pagheremo il 3-3,5 per cento perché la curva dei tassi si sarà riposizionata.
  Chiaramente, rispetto a oggi l'onere del debito pubblico sarà superiore. D'altra parte, è ragionevole pensare che ci troveremo in quella situazione perché il sistema economico sarà tornato a crescere e, quindi, avremo un elemento a nostro favore, cioè la crescita del PIL. Pertanto, su questo fronte sono meno preoccupato. Certamente si tratterà di un costo-opportunità, se così si può dire.
  Perché l'Italia non fa il bond perpetuo ? Dal punto di vista finanziario, nel momento in cui si fanno bond ultra-trentennali o cinquantennali, è come se si emettessero bond perpetui, perché il valore attuale del capitale futuro è fondamentalmente nullo e, quindi, anche chi compra un bond a così lunga scadenza compra, di fatto, i flussi di cassa per i primi trent'anni più che il capitale finale.
  Come saprete, con riferimento al debito greco è stata avanzata recentemente una proposta innovativa: convertirlo in una forma di indebitamento perpetuo in cui il costo, cioè i tassi, sia in funzione del tasso di crescita. Invece di avere tassi fissi o tassi indicizzati ai tassi Euribor, si tratterebbe di avere tassi legati alla crescita reale.
  Penso si tratterebbe di una nicchia molto piccola. Anche nel caso inglese, dove esistono ancora i console i perpetual, essi costituiscono una componente limitatissima. Hanno una finalità, per così dire, segnaletica più che incidere veramente sul costo del debito.
  C’è un altro aspetto, invece, che mi sembra molto importante. Quando parliamo di queste scadenze molto lunghe e, quindi, entriamo in una logica di finanza a lungo termine, sarebbe opportuno abbandonare, almeno in parte, la logica del debito che caratterizza tutto il modello europeo, per passare a una logica del capitale di rischio.
  Il problema che abbiamo in Europa è il fatto che tutta l'Europa è basata sul debito, mentre le economie asiatiche o americane sono basate, in più larga misura, sull’equity, cioè sul capitale di rischio.
  Se abbiamo un problema in Europa, Italia compresa, di aspettative di vita molto più lunghe e di rendimenti attesi dai portafogli pensionistici molto più bassi, la soluzione non è investire ancora di più in bond o di emetterne ancora di più, ma è convertire una parte di questo stock di risparmio in capitale di rischio, ossia partecipare davvero alla creazione di valore che un'economia genera e che confluisce nelle mani degli azionisti.
  Piuttosto che emettere un bond perpetuo, propenderei per la creazione di un veicolo in cui venga conferita una parte importante del patrimonio pubblico e che emetta certificati, azioni e strumenti che costituiscano una quota parte del suo capitale. Sarebbe questo il modo per indurre la prospettiva di un qualunque investitore Pag. 9a una logica a breve termine, pensando in chiave di creazione di valore a lungo termine.
  Sulla questione del cosiddetto «turismo speculativo» forse mi sono espresso male. Le grandi banche a livello europeo, ma anche nazionale, hanno già fatto passi in avanti. Hanno capito che c’è una componente di vantaggio, una finestra di rifinanziamento con la Banca centrale. In realtà, il modo con cui loro si reimpossessano del loro mestiere è quello di tornare di nuovo in prima linea.
  L'hanno fatto in parte con un ritorno alla concessione di finanziamenti. Certo, questo è un problema di domanda, non solo di offerta, ma certamente le banche che stanno guadagnando quote di mercato in Italia sono quelle grandi, non quelle piccole. In secondo luogo, stanno offrendo servizi finanziari, tipicamente nella gestione del risparmio, che per molto tempo non erano stati offerti.
  Ho grande preoccupazione per il fatto che, invece, sono proprio le banche medio-piccole le quali – non avendo una struttura di copertura territoriale sufficientemente ampia ed essendo concentrate per singoli settori o aree geografiche, con un portafoglio già molto «incancrenito –, non possono emettere capitale. Molte casse di risparmio non possono farlo; qual è stato, allora, l'uovo di Colombo a livello europeo ? Il caso, infatti, non riguarda solo l'Italia. Anche molte banche tedesche e di altri Paesi si trovano in questa situazione.
  La Banca centrale ha offerto la possibilità di rafforzare i loro bilanci attraverso questa operazione di carry trade speculativa. Per far questo ci vogliono, però, prima di tutto, cicli economici molto più lunghi, e occorrono, altresì, adeguate competenze. C’è il caso di banche italiane che negli ultimi sei mesi hanno comprato quantitativi spropositati di titoli con scadenza a trent'anni, rifinanziandoli con la Banca centrale a un anno.
  Queste banche hanno attualmente perdite che hanno eroso tutto il loro capitale. Credo che esse non abbiano ormai più alcuna ragione di esistere. Non hanno più alcuna funzione sociale: non aiutano l'economia, né il risparmiatore, né le imprese. Posto che la maggior parte del sistema bancario adesso è sano, dobbiamo avere il coraggio, noi italiani per primi, di liquidare queste banche.
  Oggi in Europa opera il meccanismo della risoluzione. Possiamo attuarlo proprio per il fatto che ci sentiamo più sicuri di noi. Quelle banche sono dei «parassiti» a mio avviso, e arrecano una brutta nomea all'intero settore perché, in realtà, non svolgono più il loro ruolo di banche.
  Nessuno perderebbe qualcosa: non i risparmiatori, perché i depositi sono assicurati; forse potrebbero perdere qualcosa alcuni titolari di obbligazioni, come coloro che hanno acquistato le obbligazioni subordinate, ma facciamo attenzione: vogliamo essere garantisti verso tutti ? Questi signori hanno comprato quelle obbligazioni a tassi superiori, ben sapendo che non erano dei normali bond.
  Cogliamo quindi l'occasione per liquidare una trentina di banche. Ce ne sono altre cinquanta circa che, a quel punto, verranno incorporate da altre e avremo un sistema bancario molto più consolidato, composto da banche serie, che fanno il loro mestiere.
  Non sono convinto che sia necessario introdurre norme particolari. Anzi, a mio avviso, dobbiamo eliminare le difese e la continua protezione che concediamo a queste banche. Esse rappresentano autentiche «zavorre», le quali a nulla servono se non a creare, tra qualche anno, un ulteriore problema. Avremo, infatti, di nuovo il caso di banche che saranno insufficientemente capitalizzate, con il rischio di dover nuovamente giustificare il motivo per cui l'Italia è in questa situazione. Facciamolo ora, tanto queste banche non servono assolutamente a nulla.
  Con riferimento alla «finestra» che si apre ora, non penso che il Tesoro – verrà in audizione in Commissione il dottor La Via – possa emettere oggi centinaia di miliardi di euro a trent'anni, prima di tutto perché non ne ha bisogno, fortunatamente, in quanto il deficit pubblico è molto contenuto e occorre soltanto rifinanziare Pag. 10ciò che scade, in secondo luogo, perché anche la capacità di assorbimento del mercato non è illimitata.
  Intendo dire che quelle stesse operazioni di cui parliamo, realizzate dal Tesoro a partire dagli anni Novanta fino circa al 2005-2007, oggi andrebbero realizzate di nuovo. Esse non comportano un funding, ma comportano, fondamentalmente, un'operazione derivata sintetica. Si potrebbero oggi fare degli swap. Tra l'altro, penso che il dottor La Via vi spiegherà che oggi il Tesoro opera in modo diverso. Anche la contrattualistica è completamente diversa, in linea generale molto più cautelativa. Esistono margini di garanzia in due direzioni. Situazioni come quelle che sono state vissute con la Morgan Stanley qualche anno fa non si ripeteranno più.
  Occorrerebbe attuare operazioni di swaption o di swap con interesse a trent'anni, bloccando il tasso Euribor al 2 per cento. Oggi probabilmente non sarà già più a quel livello, ma, se questo fosse stato fatto nel corso di questi mesi, avremmo avuto una quota molto importante, pari a diversi punti percentuali di debito, il cui costo implicito a tendere sarebbe stato già fissato al 2 per cento grazie a questa operazione.
  Credo, però, che il Tesoro, dopo ciò che è accaduto, non abbia più fatto nulla e che, quindi, non abbia più fatto ricorso a questi strumenti.
  C’è un altro elemento molto importante. Penso che il Tesoro abbia sempre fatto un utilizzo molto razionale di questi strumenti. Ciò non ha caratterizzato, invece, l'utilizzo dei derivati da parte degli enti locali. In quegli enti sono stati commessi veri abusi: queste operazioni non avevano alcuna finalità di copertura assicurativa o di allungamento del debito. Non c'era nulla di tutto questo. Si trattava semplicemente di un effetto contabile per poter portare attraverso gli up-front dei benefici che, in questo modo, potevano fornire dei margini di manovra dal punto di vista dei bilanci degli enti locali. In tali casi si è veramente verificato un grande problema nell'utilizzo di questi strumenti, mentre ho constatato, a livello di amministrazione centrale, un atteggiamento molto più responsabile.
  Quanto alla mancanza di trasparenza, non sono così convinto che non vi sia adeguata trasparenza. Seguo un po’ meno oggi il debito pubblico italiano, ma in realtà la consistenza di queste operazioni e il modo in cui erano impostate – sto parlando dell'amministrazione centrale, non di quelle locali – erano noti già da qualche tempo. Forse non erano un tema di grande centralità, ma non ho mai percepito un desiderio di non renderlo trasparente. Piuttosto, la sensibilità sul tema non era molto elevata.
  Ritengo che la trasparenza oggi ci sia e sia più che adeguata. Sappiamo anche che gli enti locali non possono più fare queste operazioni, ragion per cui anche quella «variabile impazzita» è rientrata. Se il prezzo da pagare per il Tesoro per poter riguadagnare libertà di manovra deve essere quello di una trasparenza ancora superiore, credo che sarebbe più che felice di farlo, perché in realtà non c’è veramente nulla da nascondere. Si tratta di operazioni assolutamente tradizionali, che non hanno nulla di particolarmente innovativo.
  Passo alle ultime due domande. Perché gli altri Paesi utilizzano meno gli strumenti derivati ? Ciò è vero fino a un certo punto. È vero a livello di amministrazione centrale e molto meno a livello di amministrazioni locali.
  Pensiamo a tutti i casi in cui in Germania si è dovuti intervenire per salvare i Länder e le banche dei Länder perché avevano fatto – perdonatemi – delle «cose indicibili» in confronto alle quali la nostra situazione non è nulla. Di fatto, il «braccio armato» delle amministrazioni locali erano le Landesbank. Pertanto, questo è vero forse a livello di amministrazione centrale, ma non di quelle locali.
  Un'altra cosa importante è, certamente, il fatto che nel caso di Paesi come la Germania – la Francia già ne ha fatto un utilizzo superiore – avevano meno necessità di utilizzarli. Si tratta di Paesi che hanno sempre potuto emettere, almeno da quando io lavoro, da trent'anni a questa Pag. 11parte, su tutte le scadenze tutti i titoli che volevano in ogni momento, ai tassi migliori possibili. L'esigenza di coprirsi come assicurazione, di ottimizzare il debito e di allungarlo, è un'esigenza che gli altri Paesi hanno avvertito molto meno.
  In realtà, il Tesoro ha fatto un lavoro egregio. Nel 2011-2012, quando ci fu un momento di tensione, mi occupai di nuovo delle tematiche del debito pubblico italiano ed ero convinto che la durata media del debito fosse di tre anni. Immaginavo fosse stata aumentata negli anni precedenti ma scoprire che tale durata era salita a oltre sette anni è stato per me un motivo di grande sorpresa, che mi tranquillizzò molto. Il fatto che allora sia stato reso noto che la durata del debito era molto più lunga e che, quindi, l'affanno sul rifinanziamento era molto inferiore, è stato uno dei fattori che hanno contribuito a stabilizzare il circolo vizioso creatosi sull'Italia come emittente e controparte creditizia.
  Passo all'ultima domanda: questa «finestra» è compatibile con il QE ? Posto che stiamo parlando, come ho già detto, della possibilità che il Tesoro ritorni a utilizzare strumenti sintetici per ottimizzare il suo profilo di rischio prospettico, in realtà non c’è uno scambio di cassa. Semplicemente si tratta di operazioni in strumenti derivati.
  Io credo che il problema del QE e della finalità, che questo ha, di rimettere in moto il meccanismo creditizio non sia legato tanto al Tesoro, quanto a ciò che dicevamo prima, ossia al fatto che le banche che vendono questi titoli dovrebbero utilizzare i proventi per impiegarli nell'economia reale e, invece, non lo fanno. Quello che fanno è comprare ulteriori titoli. A mio avviso, abbiamo creato davvero un meccanismo molto pericoloso e pernicioso.

  PRESIDENTE. La ringraziamo molto, dottor Mazzucchelli, per averci riferito opinioni e valutazioni che costituiscono anche percorsi di riflessione per ciascun membro della Commissione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Emilio Barucci.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, l'audizione del professor Emilio Barucci.
  Diamo il benvenuto al professor Emilio Barucci, che ha avuto la cortesia di accogliere il nostro invito. Anche a lui chiediamo un'esposizione sintetica, per poi interagire con i membri della Commissione, se vi saranno domande.
  Do la parola al professor Barucci.

  EMILIO BARUCCI, Professore di matematica finanziaria presso il Politecnico di Milano. Grazie, presidente, dell'invito a partecipare ai lavori di questa Commissione per questa indagine conoscitiva. Ho già distribuito il testo della mia relazione. Vi farò ampiamente riferimento e cercherò di portare qualche considerazione attorno a due temi: in primo luogo, la lezione che possiamo apprendere dalla crisi finanziaria sui derivati e i rimedi proposti e, in secondo luogo, l'utilizzo dei derivati da parte del settore pubblico.
  La mia traccia verte su quattro ambiti. In primo luogo, svolgo una breve premessa sui motivi dell'utilizzo degli strumenti derivati in finanza.
  In secondo luogo, vorrei cercare di spiegare il ruolo che i derivati hanno avuto all'interno della crisi finanziaria e i rimedi proposti.
  Infine, mi concentrerò sui derivati nella pubblica amministrazione, sulle evidenze che sono sorte, sui problemi che ci possono essere e su qualche soluzione.
  Vorrei innanzitutto soffermarmi sulla necessità che il Parlamento e la Commissione valutino con attenzione il problema regolamentare legato all'utilizzo dei derivati. Siamo in un momento molto importante in termini di direttive e di regolamentazione, ragion per cui è bene che questa Commissione e il Parlamento siano ben addentro a questa vicenda.
  Io vorrei trasmettere due messaggi principali. Il primo è che il ruolo degli Pag. 12strumenti finanziari nella crisi finanziaria è stato molto importante, ma che, come cercherò di dimostrarvi e come ho spiegato nella mia relazione, anche la risposta sul piano normativo è stata molto significativa. C’è, quindi, una regolazione più forte su questo tema.
  Il secondo punto riguarda l'utilizzo dei derivati nella pubblica amministrazione. Penso che, dalla nostra esperienza, siano emersi sostanzialmente tre o quattro punti essenziali. In primo luogo, vi è la necessità che, all'interno del MEF, si distingua in modo chiaro tra la competenza e l'obiettivo di collocare il debito pubblico e il tema della gestione dei rischi connessi, questioni che devono essere tenute distinte.
  Da questo punto di vista, credo sia importante l’accountability nei confronti di un soggetto terzo, che individuo nell'Ufficio parlamentare di bilancio.
  In terzo luogo, c’è l'esigenza di tracciare i rischi nel bilancio pubblico.
  Partendo dal primo punto, perché gli strumenti derivati ? L'idea è che gli strumenti finanziari, e i derivati in particolare, svolgano un ruolo importante per far funzionare bene i mercati finanziari. Questa è quella che noi economisti chiamiamo la teoria dei mercati efficienti. L'idea è che gli individui, utilizzando i derivati per coprirsi dai rischi, siano in grado, tramite questi strumenti, di allocare al meglio le loro risorse e di coprirsi dai rischi nel miglior modo possibile.
  Questo approccio, però, come cercherò di dimostrare, ha sottovalutato il problema dei rischi sistemici, in merito al quale dirò qualche parola. Il problema è particolarmente rilevante a seguito della crisi finanziaria.
  Sulla crisi finanziaria, come probabilmente saprete, ci sono due interpretazioni. C’è chi sostiene che la crisi sia dovuta a un aumento delle disuguaglianze negli Stati Uniti, tesi in cui c’è del vero, ma che, a mio avviso, non è centrale per quello che vogliamo discutere oggi. C’è poi chi parla di un cattivo funzionamento dei mercati a causa della cattiva vigilanza e regolamentazione. Questo tema impatta su quello dei derivati, in quanto essi sono entrati nella crisi con riguardo a due aspetti: le cartolarizzazioni e l'utilizzo che di essi è stato fatto da parte degli intermediari.
  Sulle cartolarizzazioni non entro molto nel merito, mi limito a sottolineare come attraverso la costruzione di quelli che si chiamano bond strutturati, che presentano caratteristiche particolarmente complicate, si è creato quello che in finanza si chiama un «arbitraggio regolamentare». In sostanza, nelle pieghe della regolamentazione ci sono stati vantaggi per tutti: per i risparmiatori americani – i quali, grazie ai derivati, vivevano al di sopra delle loro disponibilità – per le banche che generavano i mutui e guadagnavano elevati profitti, e per le altre banche, che realizzavano quelle che si chiamano operazioni di carry trading, ottenendo profitti significativi.
  Questo sistema ha funzionato grazie ad alcuni aspetti: l'opacità delle cartolarizzazioni, il mercato dei bond strutturati, il quale era soprattutto Over-The-Counter e, quindi, difficile da tracciare, nonché i limiti da un punto di vista normativo riguardo ai requisiti di capitale delle banche. Sostanzialmente, si trattava di un favor verso trading book rispetto al banking book, una questione tecnica molto importante.
  Quello che noi economisti sosteniamo è che, a causa di una regolamentazione inefficace, si è creato un mercato fittizio di queste cartolarizzazioni, in cui il prezzo non aveva alcun valore segnaletico.
  C’è un secondo punto importante da non dimenticare: molte banche, negli ultimi dieci anni – in particolare cito il caso delle banche regionali tedesche – hanno smesso di svolgere l'attività creditizia tradizionale, preferendo operare in derivati per realizzare margini elevati.
  Il modo in cui sono stati utilizzati gli strumenti derivati è stato, a mio avviso, decisivo per ciò che è successo. Cito un dato molto significativo: il 50 per cento delle cartolarizzazioni oggetto dei mutui subprime era negli stessi bilanci delle banche. Pag. 13Se questo non fosse successo, non avremmo avuto la crisi finanziaria che abbiamo conosciuto.
  L'esperienza italiana arricchisce il quadro con due episodi: il problema dei derivati nei bilanci degli enti pubblici locali e, in secondo luogo, l’affaire Monte dei Paschi.
  L’affaire Monte dei Paschi è molto complesso, ragion per cui non entro nel merito. Tuttavia, esso mostra i limiti strutturali che erano presenti all'interno della banca, la presenza di bilanci opachi e la difficoltà per l'Autorità di vigilanza a leggere i bilanci. Mostra, quindi, come i meccanismi di controllo che erano stati posti non funzionassero adeguatamente.
  Passo subito a illustrare i rimedi proposti, perché, a mio avviso, questo è un tema importante. Si sostiene spesso che la crisi finanziaria non abbia avuto un impatto significativo sul mondo della finanza. A mio avviso, questa affermazione è falsa, nel senso che il mondo della finanza è capace di reinventare business e attività, ma ci sono persone che hanno perso il proprio lavoro. Che questo sia successo per giusta causa è un altro discorso, ma si tratta di un punto importante.
  I rimedi proposti sono stati sostanzialmente due. Da un lato, si è proseguito nella direzione di considerare i mercati come un affare privato e, quindi, con l’European Banking Union tramite il bail-in di una banca si è giunti a dire «Se una banca fallisce, sono affari suoi. Lo Stato non deve più intervenire». La logica sottostante alla gestione delle crisi bancarie in futuro è divenuta sempre di più privatistica.
  In secondo luogo, si è intervenuti in modo significativo sui derivati, che sono l'oggetto della nostra discussione, almeno in cinque ambiti. Reputo importante che la Commissione sia a conoscenza di ciò, posto che il Parlamento sarà chiamato in futuro a prendere posizione su questo tema.
  In primo luogo si è intervenuti con la regolamentazione bancaria. Mi riferisco a tutte le innovazioni proposte in Basilea 2,5 e Basilea 3. Sottolineo semplicemente che si è posto un limite ai vantaggi regolamentari, attraverso, tra l'altro, il CVA (Credit value adjustment).
  Come secondo punto importante, a mio avviso, c’è stata un'azione, tramite una direttiva in via di attuazione in Italia e con decisioni autonome di autoregolamentazione da parte dell'industria, al fine di migliorare la chiarezza dei bilanci delle società sul fronte dell'utilizzo dei derivati. Ciò avviene tramite l'adozione dei princìpi contabili dell'IFRS 9.
  Inoltre, non dobbiamo dimenticare – su questo sapete già tutto, perché avete già avuto piena delucidazione al riguardo – che nell'ambito degli enti locali i vincoli in merito all'utilizzo dei derivati adesso sono divenuti fortissimi e che c’è grande chiarezza verso l'amministrazione centrale in merito al loro utilizzo.
  Vorrei mettere in evidenza che ci sono anche presìdi sulle cartolarizzazioni e sui mercati Over-The-Counter. Sottolineo un'ultima considerazione riguardo ai presìdi a tutela del risparmiatore. Al riguardo la direttiva MiFID porterà un impatto significativo.
  Passo all'aspetto oggetto di discussione all'interno di questa indagine, che è quello dell'utilizzo dei derivati della pubblica amministrazione. Non mi occuperò dei derivati degli enti locali in quanto il danno ormai è stato fatto, il vuoto normativo era evidente ma, a seguito di misure molto forti, per le quali i vincoli all'utilizzo dei derivati sono molto significativi, le possibilità di utilizzarli oggi al fine di abbellire i bilanci degli enti locali sono molto limitate. Ciò vale, in parte, anche per gli enti pubblici. Avete già svolto una discussione sul passaggio al SEC 2010 e sulla decisione di Eurostat 2008. Penso, però, che ci siano ancora delle criticità e su queste mi soffermo.
  Vorrei porre in evidenza quattro elementi di criticità su cui credo questa Commissione debba fare una valutazione. Il primo riguarda gli obiettivi e la governance sull'utilizzo dei derivati da parte dell'amministrazione centrale. In secondo luogo, mi porrò la domanda se sia necessario o meno per lo Stato utilizzare i Pag. 14derivati. In terzo luogo, farò qualche riflessione sul mark to market e, infine, mi occuperò del tema della trasparenza. Sono quattro temi su cui sicuramente voi avete già raccolto delle osservazioni e su cui cercherò di dire qualcosa.
  Non ho elementi per entrare nel merito della questione se all'interno del MEF ci siano le competenze per gestire i derivati. L'unica cosa che posso dire è che, riguardo al collocamento del debito, il comportamento e l'efficacia del MEF sono sicuramente assodati. Il MEF è stato in grado, anche in situazioni molto difficili, di collocare bene i titoli del debito pubblico, cosa per nulla scontata. Questo aspetto spesso si sottostima.
  Ho letto le relazioni che vi sono state consegnate in occasione delle precedenti audizioni e vorrei soffermarmi su un punto importante: bisogna eliminare la commistione tra obiettivi, competenze, funzioni e responsabilità di coloro che si occupano di collocare il debito pubblico e di coloro che debbono gestirne i rischi. Si tratta di due ambiti distinti.
  Ad oggi, in base a ciò che emerge, queste due funzioni e obiettivi fanno entrambi capo alla Direzione II del MEF. Penso che maggiori presìdi di indipendenza su questo fronte siano importanti.
  Dico questo perché altrimenti si rischia di confondere i due aspetti. I benefici che traggo tramite i derivati collocando titoli del debito pubblico in asta sono costituiti da un'eventuale riduzione dell'onere del debito pubblico, questo comporta un costo (relativo all'utilizzo del derivato) e il beneficio complessivo non è sempre chiaro. Ex post non si può sapere facilmente se era più conveniente emettere titoli di stato senza l'utilizzo dei derivati.
  Si finisce per confondere l'obiettivo di coloro che collocano il debito, i quali mirano a minimizzare il costo del debito stesso, e l'obiettivo di coloro che ne gestiscono il rischio. Sono due cose diverse. Vedremo tra un attimo che in qualunque impresa tali ambiti sono separati.
  Propongo, quindi, di istituire due funzioni diverse, l'una relativa al collocamento del debito e l'altra al risk management, dotando la seconda dell'indipendenza necessaria. L'argomento che il valore di mercato negativo di un derivato non può essere valutato di per sé, in quanto ha prodotto a suo tempo un beneficio in termini di minori oneri del debito pubblico, ha un suo valore ma, per appurare quest'affermazione in modo proprio, l'unico sistema è attribuire i due ruoli a funzioni e uffici diversi.
  Cito due esempi. Nelle audizioni che avete svolto sono emerse due situazioni con qualche criticità: l'utilizzo dell’Interest Rate Swap di duration e delle swaption.
  Con riferimento alla prima questione, in primo luogo, tra i docenti e tra coloro che si occupano di queste tematiche, sappiamo bene che entrare in un Interest Rate Swap in cui si paga il tasso fisso equivale ad aumentare la duration. In base a ciò che è emerso, però, è stata compiuta un'operazione un po’ più complessa: sembra che si sia entrati in uno swap in cui si riceve il tasso variabile e si paga il tasso fisso per coprirsi dal rischio di tasso legato a future emissioni di BOT. Questa è stata l'operazione che è stata fatta dal 1995 in avanti. Questo può avere una sua logica, tuttavia ci sono due limiti importanti: di non coprirsi effettivamente dal rischio di tasso e di assumere – questo è il punto un po’ delicato – un rischio quantità e un rischio collocamento. Questo perché non sono sicuro di poter emettere oggi tutto quello che avevo previsto al momento della stipula del derivato.
  Questo fa sì, per esempio, che su questo tipo di strumenti non tutte le perdite siano derivate dal calo dei tassi dopo il 2007. Ci potrebbe essere un altro motivo: il tasso fisso del 4,40 per cento che pago oggi in media è probabilmente superiore ai tassi di mercato in quanto tiene conto di un rischio di controparte.
  Il secondo elemento «critico», oggetto di discussione nelle precedenti audizioni, riguarda l'utilizzo delle swaption. L'aspetto posto in evidenza in modo chiaro è che le swaption sono state utilizzate per allentare la pressione di alcune controparti sul fronte del rischio sovrano e per facilitarne la partecipazione in asta.Pag. 15
  In linea di principio, ciò non è negativo, ma deve essere fatto in modo appropriato e l'unico modo è che il loro utilizzo sia valutato da un soggetto indipendente all'interno del MEF o eventualmente da un soggetto terzo.
  Vorrei chiarire un punto. Non si tratta di stabilire se il MEF abbia speculato su possibili evoluzioni della curva dei tassi. Si tratta di capire se queste due operazioni siano state fatte in senso proprio, valutandone correttamente i rischi.
  Che tipo di controlli si possono istituire ? Di qui in avanti farò il paragone con un'impresa privata. So benissimo che il MEF non è un'azienda privata. Gli stakeholder in un'azienda privata sono gli azionisti e gli obbligazionisti, mentre qui sono i cittadini. Cerchiamo di trarre qualche indicazione.
  In un'azienda privata la funzione di controllo è attribuita a una funzione di risk management che è completamente indipendente da chi realizza e struttura un'operazione di emissione/trading. Il risk manager in un'azienda (compagnia di assicurazione o banca) è indipendente, non può essere cacciato da un amministratore delegato e fa riferimento esclusivamente al Consiglio di amministrazione. Inoltre – attenzione – risponde in solido, sotto determinate condizioni, nei confronti dell'Autorità di vigilanza da un punto di vista pecuniario.
  La mia proposta è di istituire una funzione di risk management autonoma all'interno del MEF che dipenda dal Ministro o dal Direttore generale.
  Come secondo punto, occorre definire, come si fa in qualunque impresa privata, le risk policy ex ante, le quali devono chiarire in che modo, di anno in anno, ci si intende coprire dai rischi di tasso, di controparte e via elencando.
  Proporrei inoltre di istituire – ma non so se ciò sia possibile in un bilancio pubblico – un fondo rischi riguardo a un eventuale mark to market negativo. Comunque occorrerebbe assicurare la tracciabilità di questo eventuale mark to market sulla futura spesa per interessi.
  Passo alla seconda domanda: l'utilizzo di derivati è necessario ? A mio avviso, lo è in misura molto limitata. Voi avete già ascoltato alcune considerazioni sul fatto che uno Stato che decide di coprirsi rispetto a un possibile innalzamento dei tassi d'interesse compie un'operazione legittima. Concordo. Tuttavia, faccio una riflessione che può sembrare un po’ teorica. Non dobbiamo considerare soltanto il costo del debito, bensì anche le entrate. Una situazione di elevati tassi di interesse normalmente si verifica quando l'economia di uno Stato va bene, il che vuol dire che esso ha entrate fiscali molto elevate. Ciò significa che è già coperto, anche se in modo non del tutto completo, da un rialzo dei tassi d'interesse.
  Facendo un Interest Rate Swap e non un Cap, che cosa faccio ? Ovviamente, mi tutelo perché non pagherò molto quando le cose vanno bene, ma, quando le cose vanno male, come ora, con bassi tassi d'interesse, non beneficio assolutamente di questo vantaggio.
  Ci siamo trovati, quindi, in una situazione in cui, facendo un'operazione corretta, che tutti i manuali consigliano a un'impresa privata per tutelarsi dal rialzo dei tassi (minimizzare il costo del debito), in realtà, guardando il bilancio pubblico nel suo complesso, ci troviamo esposti nel caso in cui l'economia non vada bene.
  Il secondo punto, a mio avviso, importante è che la crisi finanziaria ha cambiato il mondo. Non sarà più possibile, da qui in avanti, sostenere che uso un Interest Rate Swap per coprirmi dal rischio di tasso in senso stretto. Perché c’è quello che si chiama il basis risk, che è emerso dal 2007 in avanti, ossia il rischio di debito sovrano.
  Ricordo che lo swap è agganciato all'Euribor, ma che c’è solo una piccola quantità di titoli di Stato legati all'Euribor, i CCTEu, che sono pari a 90 miliardi di euro e costituiscono il 5 per cento del totale. Tutti gli altri titoli sono BOT e CCT, i quali non sono agganciati all'Euribor, sono agganciati al tasso di mercato sui titoli di Stato italiani ed incorporano quindi uno spread, che è legato al rischio del debito sovrano.Pag. 16
  Questo è un punto importante, una lezione da apprendere. Certo, prima del 2007 non si poteva apprezzare, ma l'utilizzo degli swap permette di coprirsi rispetto alle variazioni della curva dei tassi per decisione della BCE, ma non rispetto allo spread di mercato sui titoli di Stato italiani. Questo tipo di strumento non è, quindi, necessariamente adeguato per coprirsi dai rischi.
  Accolgo con favore il fatto che il Ministero attualmente utilizzi strumenti di copertura quasi esclusivamente per le emissioni in dollari, in relazione alle quali, a mio avviso, c’è un'importante esigenza di copertura.
  Passo agli ultimi due aspetti che voglio sottolineare. Il primo riguarda il mark to market. In molte discussioni ci si è chiesti se esso sia una perdita effettiva o meno. Non c’è alcun dubbio sul fatto che il mark to market costituisca una perdita effettiva se c’è una clausola di estinzione anticipata.
  In assenza di una clausola di estinzione anticipata, i 42 miliardi di euro rappresentano comunque il valore atteso dei flussi che il MEF dovrà pagare di qui in avanti. Una cifra così significativa comporta che, a spanne, nei prossimi anni il MEF dovrà pagare tra i 2 e i 3 miliardi all'anno per questi contratti. Del resto, ne ha pagati circa 12,7 dal 2011 al 2014.
  Il mark to market è quindi un valore prospettico che – attenzione – nel settore privato sarebbe il prezzo di una eventuale transazione e va ad impattare direttamente sul bilancio, attraverso la rettifica delle poste in essere. Non mi interessa sapere se sia effettivamente una perdita. È un valore che definisce una perdita futura, non dico certa, ma assai probabile, che occorre tener presente.
  In che modo ? Un fondo rischi a copertura dei derivati, a mio avviso, potrebbe essere una soluzione da valutare. Non so come possa essere contabilizzato nell'ambito del bilancio pubblico. Occorre comunque rendere trasparente il mark to market ex post.
  Io farei anche molta attenzione all'idea di chiudere queste transazioni con mark to market negativo. Questo farebbe emergere oggi un valore negativo nel bilancio dello Stato. Qui si pone un trade-off importante: pago subito una cifra significativa o aspetto un rialzo dei tassi ? Facciamo attenzione, perché lo scenario giapponese di bassi tassi di interesse è qualcosa che non è del tutto fuori dai nostri orizzonti.
  Sottolineo un punto importante. Con i Credit Support Annex, che ora il MEF può stipulare, di fatto si va a riconoscere il mark to market seduta stante. Il Credit Support Annex è una forma di collateralizzazione che è in funzione del mark to market. Se io stipulo dei contratti con mark to market negativo, questo viene subito postato sotto forma di liquidità presso un conto terzo e, quindi, comportano un'uscita secca in termini di contabilità dello Stato italiano.
  Vengo all'ultimo punto. Quale livello di trasparenza è opportuno ? Proseguo il mio confronto con l'impresa privata: ci sono almeno tre livelli di controllo interno: chi fa l'operazione, il risk management e l’audit. Sono tre funzioni che in una banca sono indipendenti e sanzionati se non svolgono bene il loro lavoro. Inoltre, ci sono almeno altri due o tre soggetti terzi, tra cui il Collegio sindacale, la società di revisione e l'Autorità di vigilanza.
  Sottolineo un punto. Nessuna impresa rende pubblici, nel dettaglio, i propri conti e le proprie posizioni in derivati, perché questo la esporrebbe a svantaggi competitivi significativi.
  Cosa si può fare nel settore pubblico ? A mio avviso, si deve promuovere un controllo terzo rispetto al MEF, che può essere svolto dall'Ufficio parlamentare di bilancio, piuttosto che dalla Corte dei conti. Esso dovrebbe fare una valutazione ex post analitica sui singoli contratti.
  Questa valutazione dovrebbe concentrarsi sul rispetto delle risk policy e sulla valutazione di come l'impatto di queste misure di risk management abbia comportato, eventualmente, una riduzione del debito, così da fare chiarezza ed evitare che si dica che i derivati hanno portato un vantaggio nella riduzione del costo del debito pubblico, ma che non si è in grado di valutarlo. Questa sarebbe una soluzione Pag. 17del tutto rispettosa delle competenze del MEF, permette di fare un utilizzo dei derivati molto trasparente e credo eviti molti equivoci.
  Vengo infine alle informazioni che potrebbero essere rese pubbliche. Credo che l'informazione che attualmente viene resa pubblica sotto forma di dati aggregati, con un maggior dettaglio per tipologia di contratti, sia ciò che si potrebbe rilasciare.
  Semestralmente il MEF potrebbe rilasciare i singoli contratti e fornire il dettaglio delle operazioni a un'Autorità terza, quale l'Ufficio parlamentare di bilancio, il quale, a sua volta, potrebbe svolgere le verifiche rispetto al fatto che le risk policy siano soddisfatte, che si sia valutato correttamente un derivato e via elencando.
  Annualmente il MEF dovrebbe stabilire ex ante delle risk policy per verificare i livelli di copertura e, infine, nei documenti programmatici del MEF si dovrebbe trovare traccia della valutazione degli effetti che i derivati avranno sulla spesa pubblica futura.
  Ritengo che l'esigenza di una più ampia disclosure vada qualificata. C’è bisogno di un soggetto indipendente che possa valutare queste informazioni: Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio possono essere due buoni esempi.
  Trovo, per esempio, non fattibile l'idea di delegare la gestione del rischio a un soggetto terzo, quale un'Autorità indipendente. La gestione del rischio deve essere vicina a chi fa le operazioni, ma in modo indipendente.
  Passo alle conclusioni. In primo luogo, come ho detto prima, è bene che il Parlamento su queste cose sia presente, soprattutto in fase ex ante, di definizione della regolamentazione e di attuazione di alcune direttive. Il progetto Capital Markets Union, per esempio, è molto impegnativo e porterà, nei prossimi tre o quattro anni, a lavorare intensamente in Europa su questo fronte. Credo che il Parlamento svolga un ruolo importante su questi aspetti.
  Sul fronte dei derivati della pubblica amministrazione, come ho già detto, penso debba essere opportunamente migliorata la governance, andando verso una maggiore distinzione tra le due funzioni. Credo anche, però, che, almeno per il futuro – non so se questa sia una nota lieta – i vincoli che sono stati posti all'utilizzo dei derivati siano molto significativi anche sul fronte dell'amministrazione pubblica.

  PRESIDENTE. Grazie, professore, per aver fornito, in un tempo così breve, non solo interessantissimi punti di vista, ma, ancor più, per avere messo sul tavolo una serie di proposte concrete, dalla trasparenza, con cui ha concluso, fino a quella che, impropriamente, chiamerò la proposta di «separazione delle carriere» tra chi colloca i titoli del debito pubblico e chi gestisce il rischio.
  Volevo farle proprio una domanda a partire da questo aspetto. Qualora, a mio avviso molto opportunamente, si prendesse in considerazione questa sua ipotesi, vorrei chiederle senza alcuna polemica – non appartiene, infatti, allo spirito di questa Commissione, né di chi è in maggioranza, né di chi è all'opposizione, fare polemiche ad personam o ad officium - se un ufficio pubblico, pur diviso, come lei auspica, sia nelle condizioni di confrontarsi con i desk di banche che sono in grado di fare analisi mark to market minuto per minuto, istante per istante ? Ciò le sembra qualcosa di possibile, o è uno sport in cui si confronta un decatleta con qualcuno che fatica a camminare ?
  Questa è la mia domanda di fondo. Non so se ve ne sono altre da parte dei colleghi e degli amici.
  Do la parola al professor Barucci per la replica.

  EMILIO BARUCCI, Professore di matematica finanziaria presso il Politecnico di Milano. Nella crisi finanziaria, a mio avviso, si è mostrato con evidenza come il differenziale di competenze tra coloro che lavorano nelle banche d'affari e coloro che siedono nelle controparti, per esempio, in banche di retail e di attività tradizionale, sia significativo.
  Il problema, quindi, esiste. Nell’affaire Monte dei Paschi è emerso in modo chiaro Pag. 18che nella ristrutturazione del titolo «Alexandria» c'era un differenziale di comprensione tra le due controparti. Questo è un problema piuttosto difficile da risolvere.
  Penso che gli strumenti derivati ad oggi in possesso del MEF siano sostanzialmente facili da valutare. Questo è importante. Non parliamo di cose complicatissime. Sono strumenti che i miei studenti sono in grado di valutare alla fine del percorso di studi che hanno compiuto. Questa è la considerazione che posso fare. Un Interest Rate Swap o anche una swaption sono strumenti facili da valutare ai prezzi di mercato.
  Detto ciò, stante che, come ho detto prima, le esigenze di coprirsi dai rischi, a mio avviso, sono limitate e che la normativa è stata chiarita, penso che ragionevolmente, se il MEF vuole procedere con una strategia di copertura nei confronti del rischio dollaro, perché vuole effettuare emissioni in dollari, con Cross Currency Swap, sia in grado di realizzarla adeguatamente, senza temere «agguati» significativi.
  Anche il tema delle competenze, a mio avviso, non è un grande problema. Non vedo un forte ostacolo a reperirle sul mercato.

  PRESIDENTE. Grazie. Se non ci sono altre questioni, possiamo ringraziare il professore. Se ci autorizza, faremo circolare il documento che ci ha trasmesso, in modo che ciascuno possa farne tesoro.
  Ringraziando il nostro ospite, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Barucci (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.

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ALLEGATO

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