XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 14 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE TEMATICHE RELATIVE AGLI STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI

Audizione del professor Marcello Minenna.
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 
Minenna Marcello , professore a contratto di finanza matematica presso l'Università Bocconi di Milano ... 2 
Capezzone Daniele , Presidente ... 8 
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 8 
Pesco Daniele (M5S)  ... 8 
Causi Marco (PD)  ... 8 
Ruocco Carla (M5S)  ... 9 
Capezzone Daniele , Presidente ... 9 
Sibilia Carlo (M5S)  ... 10 
Capezzone Daniele , Presidente ... 10 
Minenna Marcello , professore di finanza matematica presso l'Università Bocconi di Milano ... 10 
Capezzone Daniele , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal professor Marcello Minenna ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

  La seduta comincia alle 13.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Marcello Minenna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, l'audizione del professor Marcello Minenna.
  Do subito la parola al nostro ospite affinché svolga la sua relazione.

  MARCELLO MINENNA, professore a contratto di finanza matematica presso l'Università Bocconi di Milano. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati per l'invito di oggi a rendere una relazione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati.
  Il nome di questi strumenti è evocativo, in quanto il loro valore deriva dall'andamento di una o più variabili finanziarie sottostanti, come tassi di interesse, tassi di cambio e di inflazione, azioni, merci, spread creditizi e così via.
  Si tratta di strumenti finanziari dall'impiego molto flessibile, che consentono infatti di perseguire sia finalità speculative sia finalità di copertura. La valutazione, il cosiddetto pricing, consente di determinare il valore equo di un derivato, anche detto fair value. Si tratta di una procedura che richiede preliminarmente di quantificare l'aleatorietà che caratterizza l'evoluzione futura dei mercati.
  Nel caso di derivati standard, il mercato esprime su base continuativa il loro valore. Non a caso, si definisce mark to market, cioè letteralmente che «marca» i movimenti del mercato. Per i derivati non standard, partendo dai dati di mercato, opportuni metodi probabilistici permettono di simulare i possibili valori del sottostante, e quindi anche del derivato, attraverso l'applicazione delle regole matematiche che ne definiscono i pagamenti futuri, il cosiddetto pay-off.
  Direi comunque di superare queste definizioni e vedere insieme nel concreto come «prezzare» uno swap in quest'ottica. Innanzitutto, studiamo l'evoluzione dell'Euribor, cioè del tasso che rappresenta il costo del denaro sul mercato interbancario a sei mesi. Ciò significa, partendo dai dati di mercato, calibrare i nostri modelli quantitativi e proiettare nel tempo l'andamento di tale tasso.
  Come vedete nelle diapositive che sto proiettando per illustrare meglio la mia relazione, potremmo avere la traiettoria rossa, che fa arrivare, tra sei mesi, l'Euribor intorno al 2,3 per cento. Potremmo avere la traiettoria blu, che fa arrivare l'Euribor intorno all'1,5 per cento, oppure la traiettoria celeste o la traiettoria viola, che lo fanno giungere, rispettivamente, intorno all'1,5 e intorno all'uno per cento. Notate come, man mano che traccio le traiettorie, sommo dei «mattoncini» rispetto al punto in cui la traiettoria arriva. Pag. 3Per esempio, poiché nell'intorno dell'1,5 per cento ho due traiettorie, avrò due «mattoncini».
  Facendo altre simulazioni, vedrò che ho tre traiettorie nell'intorno dell'1,5 per cento e quindi tre «mattoncini», due traiettorie intorno al 2 per cento e intorno al 2,4 per cento, mentre avrò una traiettoria intorno all'uno per cento. Generalizzando questa procedura, posso costruire una distribuzione di probabilità, la quale sostanzialmente mi dice che tra sei mesi l'Euribor si troverà, molto probabilmente, tra il 2 e l'1,4 per cento. Come vedete, i «mattoncini» infatti sono addensati in quella zona. Sarà assai meno probabile che sia al 2,5 per cento – abbiamo molti pochi «mattoncini» – o all'uno per cento.
  Siamo quindi nelle condizioni di generalizzare questa stima, portandoci, per esempio, a sette anni da oggi, e di costruire, facendo tante traiettorie, altrettante distribuzioni di probabilità dell'Euribor nel tempo. Notate come il tempo generi l'aleatorietà della stima. Nell'aprile 2018 l'Euribor si muove tra il 9 per cento e l'uno per cento, in un ampio intervallo di variazione, quindi, perché aumenta l'incertezza.
  Gli statistici dicono che la distribuzione tende a diventare più platicurtica, cioè la probabilità tende a spostarsi verso le code perché aumenta l'aleatorietà e l'incapacità della stima di essere puntuale. Diverso è il caso in cui si voglia stimare cosa varrà l'Euribor domani: in questo caso c’è solo un giorno di aleatorietà e saremmo quindi in grado di dire con più precisione, e con un intervallo più ristretto, dove può cadere il valore dell'Euribor.
  Ripuliamo dalle traiettorie la nostra rappresentazione grafica e siamo ora nelle condizioni di prezzare uno swap. Mi preme dire che gli swap sono contratti derivati molto importanti e diffusi, perché qualificano il costo del denaro sul mercato interbancario superato l'anno di tempo. Mentre l'Euribor indica il costo del denaro a tre mesi, a sei mesi, a un anno sul mercato interbancario, il costo del denaro a trent'anni è dato proprio dal tasso swap a trent'anni.
  Che cosa fa lo swap ? Questo tasso identifica l'interesse fisso dei pagamenti in maniera tale che questi pagamenti fissi – ad esempio in uno swap a sette anni – siano uguali ai pagamenti variabili, che però sono aleatori. Solo se questi pagamenti sono uguali in termini di probabilità, allora il fair value di questo swap al tempo zero è nullo.
  Come possiamo calcolare concretamente questo tasso, che si chiama par proprio perché rende i pagamenti fissi uguali ai pagamenti variabili aleatori ? Con lo stesso metodo di prima: simuliamo l'andamento dell'Euribor e, come vedete, lungo questa traiettoria blu dell'Euribor i pagamenti di B ad A saranno, per esempio, nei primi due semestri, di circa 8.000-9.000 euro, mentre saranno di 15.000 euro nel semestre successivo, e via dicendo. Potremmo anche avere la traiettoria verde e i pagamenti variabili saranno differenti, ovvero la traiettoria viola e, in quel caso, avremo ancora un'altra struttura dei pagamenti nel tempo.
  Dobbiamo quindi costruire la distribuzione di probabilità dei pagamenti variabili nel futuro, la cui media scontata nel tempo deve essere perfettamente uguale ai pagamenti fissi che ci consentono di ottenere il tasso par, che qui nell'esempio è il 3 per cento. In questo esempio, il 3 per cento è il tasso che determina, per i prossimi sette anni, pagamenti fissi equivalenti, in probabilità, ai pagamenti variabili ancorati all'Euribor.
  In altri termini, l'alea relativa all'evoluzione futura del tasso Euribor è stata ripartita in modo paritario tra le parti, vale a dire che al momento iniziale la perdita potenziale e il guadagno potenziale dei due contraenti sono identici. Questo è il motivo per cui il fair value è nullo.
  Alla data di stipula del contratto, un fair value non nullo indica uno sbilanciamento genetico tra le alee dei due contraenti, il quale impone lo scambio di uno o più flussi di pagamento ulteriori, il cui valore attuale è proprio il fair value. Esso Pag. 4è quindi una quantità economica concreta e attuale, che in questi casi si deve addirittura scambiare per riequilibrare le alee esistenti tra le due controparti.
  Non ho scelto a caso questa terminologia – scommessa, alea razionale, fair value, scenari probabilistici – per descrivere i derivati. Essa non è patrimonio solo della finanza matematica. È ormai condivisa anche dalla recente dottrina e giurisprudenza – che ho riportato a pagina 8 della documentazione che vi ho consegnato – la quale ha addirittura previsto che questi elementi, dal fair value agli scenari probabilistici, debbano essere ben noti a entrambe le parti perché un contratto possa ritenersi valido.
  Tornando ai derivati, in particolare a quelli con alee sbilanciate, una fattispecie importante è data da quelli che pseudo-replicano un finanziamento. Mi riferisco ai derivati con un upfront al momento della stipula, resi noti da un uso un po’ aggressivo degli stessi compiuto, nell'ambito della finanza degli enti locali, prima che intervenissero apposite limitazioni normative. Il punto è che un'operatività in derivati come quella degli upfront, intesa cioè a replicare un finanziamento, può essere oltremodo pericolosa e foriera di ingenti perdite future.
  Prendiamo ad esempio un soggetto che necessiti di liquidità per un milione di euro e si trovi davanti a due opzioni: un mutuo per un milione di euro a tasso fisso tra il 4,146 per cento e uno swap non fair con un upfront di un milione di euro, che ha lo stesso tasso fisso e la stessa durata del mutuo. Vi faccio notare che, per avere un milione di euro di upfront, il nozionale del derivato è di 50 milioni di euro. Intuitivamente non vi sfugge che questo rischia di creare nel tempo grosse variabilità dei pagamenti.
  Poiché abbiamo visto come si prezza uno swap, usiamo le metodologie probabilistiche per capire quali rischi corriamo con un mutuo a tasso fisso e con un finanziamento simulato con un swap con upfront.
  Facciamo una prima traiettoria dell'Euribor. Come notate, i pagamenti del mutuo sono i quadratini neri: dobbiamo pagare 35.000 euro ogni semestre per vent'anni. I pagamenti collegati allo swap sono invece di entità assai più grande. Usando una metrica abbastanza rozza, si può affermare che, mentre il mutuo alla fine dei vent'anni ci sarà costato 1,4 milioni di euro, con questa traiettoria dell'Euribor spendiamo 12 milioni di euro e, se prendiamo un'altra traiettoria dell'Euribor, spendiamo 35 milioni di euro.
  Certo, c’è anche il caso in cui guadagniamo 35 milioni. Potrà sembrare strano che, prendendo un finanziamento da un milione di euro, si ricevano 35 milioni di euro, ma il punto è proprio questo: stiamo facendo una scommessa e non un finanziamento.
  La distribuzione di probabilità è chiarissima. Il mutuo è una retta: non ha dispersione di rischi e pagherò 1,4 milioni in vent'anni. Nel caso dello swap, vi basta vedere il grafico. Mi muovo tra meno 40 milioni di euro e più 30 milioni di euro. Non è vero che replico un finanziamento con uno swap. Il finanziamento è pseudo-replicato. Solo il primo flusso è uguale. Il resto è assolutamente differente.
  Acquisiti questi elementi di base, vediamo come uno Stato sovrano può utilizzare i derivati per finalità di copertura. Se, ad esempio, ho un titolo a tasso variabile – in Italia il titolo a tasso variabile per eccellenza è il CCT – e lo voglio coprire dal rischio di rialzo dei tassi d'interesse: faccio uno swap e lo traduco in un BTP sintetico. Lo sintetizzo in un BTP, cosicché, invece di pagare variabile, pagherò fisso.
  In alternativa, posso fissare un tetto massimo ai pagamenti variabili del CCT, come nel caso di un mutuo con cap. L’interest rate cap fissa un tetto, ma si paga un premio. È un po’ come il premio di un'assicurazione. Si paga qualcosa per avere in cambio l'assicurazione che, se i tassi salgono, ci si fermerà a un livello predefinito.
  Un altro derivato che, dietro pagamento di un premio, consente di proteggere dal rischio di rialzo dei tassi lo Stato che ha emesso un CCT è la cosiddetta Pag. 5payer swaption. In questo caso lo Stato acquisisce il diritto a entrare, ad esempio tra uno o due anni, in uno swap che trasforma il CCT in un BTP sintetico. Questo derivato, per costruzione, costa molto meno del cap. Ciò deriva dal fatto che, mentre il cap mi copre sempre e comunque, la payer swaption non opera da subito e, quindi, per un certo periodo rimango esposto al rischio di tasso. Quando si verificherà l'evento da cui mi voglio proteggere, entrerò in uno swap predefinito al tempo zero.
  Swap e cap non sono la stessa cosa. Entrando in uno swap, io rinuncio ai guadagni possibili che scaturiscono da determinate evoluzioni dei tassi di interesse perché mi impegno a pagare sempre fisso. Se i tassi vanno giù, nel caso del cap posso beneficiare della riduzione dei tassi stessi, mentre nel caso dello swap ciò non accade. Per questo motivo la payer swaption costa, evidentemente, meno.
  Per quanto riguarda i titoli di Stato in valuta estera o quelli con cedola indicizzata all'inflazione, cambia la fonte di rischio a cui si è esposti, rispettivamente il tasso di cambio e il tasso di inflazione, ma le principali tipologie di derivati e le tecniche di copertura sono le stesse di cui vi ho già parlato.
  Permettetemi di farvi notare che i casi che vi ho illustrato sono stati esemplificati ipotizzando che il contratto derivato insista su un titolo ben identificato. Analoghe considerazioni trovano applicazione anche con riguardo all'utilizzo dei derivati relativamente a porzioni del debito pubblico, ossia in un'ottica di portafoglio.
  Va da sé, tuttavia, che strategie di portafoglio richiedono strumentazioni tecniche assai più sofisticate e indicatori per il monitoraggio dei rischi sviluppati ad hoc, in quanto in quel caso si perde il riferimento diretto tra il flusso di cassa del derivato e quello del titolo di Stato o della passività finanziaria sottostante. Evitare di correre rischi e di avere brutte sorprese diventa quindi ben più difficile.
  Analizziamo ora come uno Stato sovrano potrebbe utilizzare i derivati al fine di ridurre subito, o per qualche tempo, la spesa per interessi, finendo per incorrere in qualche rischio o per scommettere sull'andamento futuro dei mercati.
  Una prima famiglia di strategie speculative di questo tipo consiste nel sostenere costi certi nel breve termine, nella speranza di possibili riduzioni future della spesa per interessi.
  Un esempio classico è l'acquisto di una receiver swaption per trasformare, nell'arco di uno, due o tre anni, il BTP in un CCT, passando dal tasso fisso al tasso variabile, quando si verificano determinate condizioni. È chiaro che pago sul momento un prezzo, perché devo pagare il premio dell'opzione, e mi affido al futuro sperando che questo investimento nel breve periodo abbia un ritorno perché i tassi prenderanno un andamento a me favorevole.
  Un'altra famiglia di strategie speculative finalizzata a replicare, tramite i derivati, l'accesso a un finanziamento, assumendosi però grandissimi rischi, come vi ho mostrato, è uno swap con upfront. Vi ho già illustrato, attraverso le slide, che si tratta di una strategia da monitorare o da utilizzare con assoluta cautela.
  Vendere derivati è un'altra modalità speculativa per incassare nel breve termine e affidarsi al futuro. Un esempio in tal senso è offerto dalla vendita di un interest rate floor. Lo Stato indebitato con un titolo a tasso variabile – in Italia, per esempio, con un CCT – rinuncia ai benefici della discesa dei tassi di interesse in cambio del premio del floor.
  Forse avrete sentito che in questo periodo c’è una polemica sui mutui fatti da retail con questa opzione di interest rate floor venduta dal cliente alla banca. In questo caso il cliente ha dato alla banca la facoltà di esercitare l'opzione e di assicurarsi che, anche se i tassi scendono, continuerà a ricevere il livello minimo prestabilito, cioè il floor. È chiaro che vendere un floor vuol dire avere una riduzione del costo del finanziamento o, comunque, avere un guadagno di cassa nel breve termine, al momento della stipula.
  Un altro esempio di operatività speculativa per uno Stato sovrano è la vendita Pag. 6di swaption. Direi che si tratta di una modalità più dirompente. Le swaption sono opzioni che hanno come sottostante uno swap. Premesso, quindi, che non sono swap, è evidente che chi compra il diritto a entrare in uno swap, eserciterà questo diritto quando gli converrà maggiormente, ovvero quando la controparte che glielo ha venduto, nel nostro caso lo Stato, sarà tenuto a ingenti pagamenti a favore della banca.
  Nella vendita di swaption abbiamo diverse possibili opzioni con cui uno Stato sovrano, per così dire, incassa subito e si espone a rischi nel futuro. La vendita da parte dello Stato di una payer swaption, ad esempio, sottrae allo Stato indebitato con un titolo a tasso variabile, come un CCT, la possibilità di beneficiare della riduzione dei tassi d'interesse. Se i tassi scendono, infatti, il CCT pagherà un più alto tasso prestabilito, cioè quello della swaption che abbiamo venduto.
  Un altro caso è la vendita di una swaption di cancellazione. Lo Stato, per esempio, ha già stipulato uno swap per trasformare un CCT in un BTP sintetico e coprirsi quindi dal rischio di rialzo dei tassi. Avendo venduto la swaption, quando la banca eserciterà l'opzione gli leverà questa protezione. Ovviamente la banca eserciterà l'opzione quando le converrà, ossia proprio quando tale protezione servirebbe di più allo Stato e ciò, pertanto, genererà delle perdite.
  Un altro esempio è la vendita di swaption incrementali. In questo caso lo Stato che ha già uno swap vende una swaption per avere cash subito e si espone al rischio che – se il mercato si muove in senso avverso allo swap sul quale lo Stato è già tenuto a pagare alla controparte consistenti flussi di cassa – la banca, esercitando l'opzione, possa raddoppiare, triplicare o quadruplicare l'entità di questi pagamenti.
  Un altro caso ancora, che a mio avviso può essere visto come una pura scommessa, dato che da esso non si ottiene neanche un beneficio di cassa immediato, è quello in cui il derivato diventa uno strumento di moltiplicazione di guadagni e perdite associati a un titolo di Stato, ad esempio abbinando a un'emissione di titoli a tasso fisso, come potrebbe essere un BTP, la sottoscrizione di uno swap in cui si paghi ancora fisso, oppure abbinando a un'emissione a tasso variabile di un CCT uno swap in cui si paghi ancora variabile. In entrambi i casi si sta raddoppiando la posta in una scommessa, sul rialzo dei tassi nel primo caso e su un loro ribasso nel secondo caso.
  A questo punto è abbastanza chiaro sia il tema del fair value sia il tema dei rischi. È soprattutto chiaro come la equa, o non equa, ripartizione delle alee possa giocare contro quando si opera in derivati. Consentitemi un'ultima esemplificazione per cogliere ancora meglio i concetti del mark to market e del fair value. Ipotizziamo che due parti abbiamo stipulato uno swap a quindici anni su 1 miliardo di euro – con pagamento del 3,63 per cento fisso contro variabile Euribor – e ipotizziamo che lo swap iniziale sia equo, valga cioè zero. Abbiamo pertanto il 54 per cento di probabilità di avere benefici finanziari per 142 milioni di euro e il 46 per cento di probabilità di avere 166 milioni di euro di oneri finanziari aggiuntivi.
  Come vedete dalla distribuzione delle alee, questo swap è fair, tant’è vero che vale zero.
  Ci spostiamo dal 2011 al 2012: il mercato cambia e il mark to market diventa negativo per 103 milioni di euro. Come vedete, anche le probabilità implicite in quel mark to market cambiano e questa volta c’è il 70 per cento di probabilità di perdere 190 milioni di euro. Passa un altro anno e abbiamo 180 milioni di euro di mark to market negativo. Le probabilità di perdere 209 milioni di euro sono oramai l'89 per cento.
  Vi faccio notare che il tempo si sta riducendo. Sono passati tre anni e il tempo, nelle operazioni finanziarie, è quella variabile che crea i margini di manovra per poter recuperare qualcosa. Se non si ha più tempo, il mark to market negativo o positivo si tradurrà in un pagamento, contro o a tuo favore.Pag. 7
  Continuo a illustrare il mio esempio: passa un altro anno, il mercato cambia ancora la sua struttura, ma le probabilità, proprio perché il tempo si sta riducendo, non migliorano di quanto sarebbero migliorate, ad esempio, nel 2012. Siamo al 77 per cento di probabilità di perdere 181 milioni di euro per poi giungere, nel 2015, a 268 milioni di euro di mark to market negativo. In altre parole, il 30 per cento del nozionale è oramai un mark to market negativo. Apriamo questo dato in termini di probabilità e arriviamo al dato del 99 per cento: nel 99 per cento dei casi, cioè, perderemo in media 270 milioni.
  Guardando questo numero qualcuno potrebbe dire che mancano ancora nove anni e che ce la possiamo ancora fare. Non è così. Arrivati a questo punto, non è più così. È molto difficile che ce la si possa fare. Quei 270 milioni di euro si tramuteranno, con elevatissima probabilità, in rate da pagare.
  Vi mostro le statistiche implicite in quei 268 milioni di euro. I pagamenti medi dal 2015 al 2026 alla mia controparte vanno da 18 milioni di euro a circa 11 milioni di euro. A livello di probabilità, nel 99,9 periodico per cento dei casi pagherò 90 milioni di euro nei prossimi due anni; nel 99 per cento dei casi pagherò 130 milioni di euro nei prossimi tre anni; e nel 95 per cento dei casi pagherò 200 milioni di euro nei prossimi sei anni. È davvero difficile che le cose possano cambiare quando il fair value diventa così pesante rispetto al nozionale del contratto.
  Vorrei farvi notare come questa situazione implichi l'esigenza di monitorare i rischi nel tempo. Per esempio, se su questo contratto fosse stato applicato un banale sistema di stop loss, tale per cui, raggiunto un certo livello di perdita (ad esempio il 10 per cento del nozionale del contratto), ci si fosse fermati nella scommessa, a novembre 2011 avremmo chiuso l'operazione, senza arrivare alla situazione in cui abbiamo il 99 per cento di probabilità di pagare 130 milioni di euro in tre anni e 90 milioni in due anni.
  Passo ora a un ulteriore elemento. In questa rassegna dei derivati e del loro possibile utilizzo da parte di un generico Stato sovrano abbiamo ignorato un elemento nuovo di cui, purtroppo, dal 2010, dobbiamo tener conto. Sto parlando dello spread, cioè il rischio di controparte. In Italia lo conosciamo bene. Il fatto che l'Italia dal 2010 non sia più risk free, aggiunge infatti un nuovo fattore di rischio nelle analisi probabilistiche che conducono al pricing dei derivati, e cioè il rischio di controparte.
  In ogni dato momento della vita del contratto, poiché il derivato prevede lo scambio di flussi, ciascuna parte si trova esposta al fatto che la controparte possa risultare inadempiente. Pensiamo a uno swap tra uno Stato sovrano e una banca e mettiamoci nella prospettiva dello Stato. Il fair value dello swap va rettificato per tenere conto del rischio che la banca non paghi a causa di un suo default, ma anche per tenere conto del fatto che lo Stato smetta di pagare per analoghe motivazioni.
  Queste rettifiche prendono il nome di credit value adjustment e di debt value adjustment e complicano la gestione del rischio dei derivati in quanto, come è noto, lo spread non è fisso, ma varia nel tempo. È un altro elemento di aleatorietà e, con esso, varia il fair value del derivato. Su questi aspetti tecnici rinvio alla documentazione che vi ho consegnato. Ciò che conta ora, in termini intuitivi, è che lo spread dell'Italia determina condizioni più onerose nella strutturazione di un derivato. Semplificando, è come dire che i derivati per lo Stato sovrano che ha lo spread più elevato costano di più.
  Un modo per calmierare questa maggiore onerosità può essere quello di prevedere apposite clausole contrattuali denominate credit support annex. Questi sistemi di garanzia compensano i rischi con versamenti di liquidità o di titoli su appositi conti segregati. Il punto è però che reperire la liquidità o rinunciare al suo impiego ha un costo. Peraltro, anche le esigenze di liquidità, per ciò che vi ho detto prima, varieranno nel tempo in base all'evoluzione dei rischi connessi al contratto. Costi e benefici, quindi, sono difficili Pag. 8da valutare perché aleatori. A tal fine si richiedono strumentazioni probabilistiche ulteriori rispetto a quelle che potremmo definire standard. La questione diventa, dunque, ancora più complicata.
  Concludo qui la mia relazione e sono a vostra disposizione per qualsiasi chiarimento. Spero di essere riuscito, nonostante la complessità della materia, nell'obiettivo di fornire un contributo costruttivo ai lavori della Commissione.
  Vi ringrazio per l'invito e per l'attenzione riservatami.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. La ringrazio professor Minenna, per la spiegazione veramente ben fatta. Vorrei porre tre domande.
  Nel corso delle precedenti audizioni svolte nell'ambito di questa indagine conoscitiva è emerso come il nuovo Sistema dei conti pubblici europeo (SEC 2010) preveda che, nel caso di ristrutturazione di uno swap con un nuovo derivato con valore di mercato negativo rispetto a quello preesistente, questo valore deve essere considerato come un prestito della controparte al soggetto pubblico, con conseguente impatto sul debito. Le domando: in che modo questo nuovo approccio entra in relazione con il valore negativo del mark to market dei derivati dello Stato ?
  Inoltre le chiedo: lei prima ha evidenziato che, nel caso della vendita di swaption, la controparte acquirente si trova in una posizione di vantaggio perché acquisisce il diritto a trarre un beneficio economico in caso di determinate evoluzioni del mercato. Per quanto noto, l'operatività dello Stato è stata caratterizzata anche dalla vendita di swaption. Quali potrebbero essere, in questo caso, i vantaggi per l'Italia e quelli per la controparte ?
  Alla fine della sua esposizione ci ha mostrato l'utilizzo di alcune tecniche di gestione come le stop loss. Faccio notare che esse non sono mai state implementate all'interno delle amministrazioni pubbliche, mentre probabilmente, come lei ha illustrato attraverso i suoi grafici, avrebbero potuto evitare il peggioramento della situazione. Secondo lei, potrebbe essere utile per la gestione del debito pubblico implementare tecniche di questo tipo ?
  Le chiedo questo anche se, in un certo senso, ce lo ha già confermato.

  DANIELE PESCO. Ringrazio innanzitutto il professor Minenna per la sua relazione.
  Dai dati del Ministero dell'economia emerge che il 65 per cento dei derivati sono costituiti da interest rate swap (IRS) di duration. È stata usata più volte questa espressione e più volte abbiamo posto domande su questo tema, ma abbiamo ricevuto sempre risposte piuttosto frammentarie.
  È anche emerso che il valore di mercato di questi derivati al 31 dicembre 2014 è pari a circa 33 miliardi di euro. Ci può spiegare cosa sono questi IRS di duration e come mai, a suo avviso, hanno un valore di mercato così negativo ? Inoltre, ci può illustrare meglio la differenza tra un IRS di duration e l'acquisto di un cap, a fini di copertura dai rischi del rialzo dei tassi ? In che termini questi contratti possono essere assimilati a contratti di tipo assicurativo ?
  Le sue diapositive indicano che il mark to market è una grandezza fondamentale da monitorare per la gestione dei derivati sul debito pubblico. Tuttavia, spesso è stato affermato che il mark to market è un dato potenziale e non una perdita certa per lo Stato.
  A suo parere, come si conciliano queste due posizioni ?

  MARCO CAUSI. Anch'io ringrazio il professor Minenna per l'esposizione, di carattere didattico e, dunque, di facile comprensione.
  Vengo alla prima domanda. Ha fatto evidentemente molto scalpore il fatto che il mark to market o l'attuale valore – mi corregga se sbaglio – dell'insieme dei derivati del Tesoro della Repubblica sia risultato negativo e per una cifra molto Pag. 9rilevante, pari a decine di miliardi di euro. La domanda che le faccio è la seguente: questo dato dipende dal fatto che si tratta di una perdita virtuale ? Se capisco bene, infatti, lo Stato in passato si è coperto dal rischio di aumento dei tassi d'interesse e poi tali tassi non sono aumentati. Anzi, per effetto della reazione alla crisi e, attualmente, dell'operazione di quantitative easing, sono molto diminuiti.
  Questo valore molto negativo dipenderebbe dal fatto che i tassi sono molto bassi e diverrebbe meno negativo, in futuro, se i tassi tornassero a crescere. Se questo è vero, a parte una valutazione più attenta del grado di allarme lanciato su questo valore negativo, le domando se, come mi sembra, il vero punto sia l'opzione di uscita degli interlocutori bancari da questi contratti.
  In questo momento, essendo i tassi molto più bassi di quanto previsto cinque o dieci anni fa, ovviamente il mark to market è negativo. Se però, stanti i contratti in essere, da qui a due o tre anni, come è auspicabile, l'inflazione tornerà al 2 per cento, la crescita all'uno o all'1,5 per cento e il PIL nominale tornerà a più 3 o 3,5 per cento, quel mark to market diventerà molto meno negativo. Certo è che se, nell'arco di questa fase, le aziende bancarie controparti dello Stato possono esercitare opzioni di risoluzione dei contratti, si pone un bel problema.
  Le domando allora se il problema del valore negativo del mark to market del complesso dei derivati dello Stato è un problema in sé o se è un problema in relazione all'opzione di uscita dai contratti da parte delle banche. Da questo punto di vista, vorrei conoscere meglio il suo giudizio sulla norma introdotta dalla legge di stabilità 2015.
  Noi abbiamo cominciato questa indagine conoscitiva anche per un'esigenza di informazione e lei sarà certamente a conoscenza della proposta, presentata dall'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), di un set informativo minimo che il Tesoro dovrebbe rendere pubblicamente disponibile per permettere una valutazione dell'operatività dello Stato in derivati. Ritiene che si tratti di un set informativo sufficiente o indicherebbe qualche altro dato da aggiungervi ? Alla fine dell'indagine vorremmo dare al Governo indirizzi che potrebbero riguardare sia le informazioni utili affinché questa operatività possa essere valutata pubblicamente sia indirizzi circa il livello organizzativo e tecnico-professionale delle strutture preposte al monitoraggio quotidiano di questa operatività.

  CARLA RUOCCO. Volevo domandarle se è vero, come dice il Governo, che è stata fatta piena trasparenza.
  Se così non fosse, chi si giova di questa mancanza di trasparenza ?

  PRESIDENTE. Aggiungo una domanda, professore, chiedendole di guardare più lontano o, se vuole, di inserire il testo della sua relazione nel contesto complessivo della situazione del debito pubblico italiano.
  Infatti se, in modo metodologicamente correttissimo, l'onorevole Causi l'ha invitata a guardare il best-case scenario, io provo a mostrarle il worst-case scenario, così da fare un'analisi a tutto tondo. Poniamo caso che in Italia, nei prossimi dodici o diciotto mesi, non ci sia una crescita sostenuta, o ci sia una crescita molto moderata, e poniamo che non ci sia un'operazione di attacco al debito. L'ipotesi è che ci ritroveremmo in una situazione di crescita stagnante e con la montagna del debito che permarrebbe, oltre alla situazione interna, relativa ai derivati, che lei ci ha descritto.
  Che effetti avrebbe questa situazione, in concomitanza con la fine del quantitative easing e, quindi, con il giudizio che i mercati dovranno dare sulla sostenibilità del debito italiano in assenza di quel tipo di «ombrello» ? Le chiedo ciò anche alla luce dell'andamento del credit default swap (CDS) sull'Italia nei sei o sette mesi passati che, personalmente, mi ha molto allarmato.
  In coincidenza con le settimane in cui la situazione greca era difficile, infatti, c’è stato chi, in maniera quasi automatica, Pag. 10scommetteva contro l'Italia, considerandoci, a mio avviso, ma spero di sbagliare, come l'anello debole dell'Europa.

  CARLO SIBILIA. Ringrazio anch'io il professor Minenna per la sua relazione.
  Come ha evidenziato il presidente Capezzone, anche taluni istituti di credito italiani, come per esempio il Monte dei Paschi di Siena, hanno sottoscritto derivati, tra cui il derivato denominato Alexandria, e sono note alle cronache le vicende e le condanne dell'allora presidente di MPS Giuseppe Mussari che ne sono seguite. In quel periodo Mussari sottoscriveva questi derivati ed era anche il presidente dell'ABI. Questo forse ci fa capire quale sia il problema politico che sta alla base di quello finanziario.
  La mia domanda è però più semplice e diretta, se mi è consentito. Lei ha esposto la sua relazione, molto corretta, e io l'ho ascoltata con interesse, anche se dal punto di vista di un «non tecnico» della materia. Mi è, tuttavia, parso che non lei ci abbia mai detto in quali casi può essere conveniente, per uno Stato, sottoscrivere un prodotto derivato. Da ciò che ho percepito dalla sua relazione, infatti, forse non è mai conveniente per un ente pubblico, né per lo Stato, sottoscrivere un derivato.
  La mia domanda è se, dal punto di vista legislativo, secondo lei sarebbe estremo dire: «lo Stato vieta la sottoscrizione di prodotti derivati agli enti pubblici e a se stesso».

  PRESIDENTE. Do ora la parola al professor Minenna per la replica.

  MARCELLO MINENNA, professore di finanza matematica presso l'Università Bocconi di Milano. Rispondo in ordine e, se ve ne fosse necessità, vi prego di contro replicare, così da essere certi di aver risposto a tutti i quesiti.
  Sicuramente la disciplina contabile, prevista dal sistema SEC 2010 ed entrata in vigore nel secondo semestre del 2014, è inesorabile. Se si compie una ristrutturazione tale per cui il mark to market va finanziato, diventa debito. Per assurdo, facendo l'ipotesi estrema, se quei 42 miliardi di euro dovessero essere ristrutturati in tempo reale, quella norma, semplificando, dice che – a parte un piccolo margine di interpretazione relativo alle swaption – in caso di perdita dovuta a ristrutturazione, tale perdita deve essere considerata debito.
  Altra regola, in tale prospettiva, è che l’upfront è debito. Quindi, se stipulo un derivato per ricevere un finanziamento, l’upfront è debito. Questa regola sicuramente pone in evidenza e conferma la concretezza e l'attualità del mark to market come grandezza economica.
  Vengo alla domanda sulla vendita di swaption e sui vantaggi e svantaggi per lo Stato: i derivati, nell'ambito della finanza quantitativa, si dividono in due grandi categorie: i derivati lineari e i derivati convessi. Il derivato convesso è un derivato in cui l'alea è sbilanciata e pertanto il contraente riceve un premio che pareggia lo sbilanciamento dell'alea tra le parti. Questo vuol dire che si sta scommettendo. Non c’è da discutere. Per questa scommessa io ricevo una remunerazione, cioè il premio. Vendere swaption ha finalità di carattere speculativo.
  Sulla questione delle stop loss, ho mostrato prima le relative slide. Sono evidenti le ragioni per cui esistono le strumentazioni di risk management. La disciplina prudenziale di banche, assicurazioni, fondi comuni di investimento, fondi speculativi, nonché l'operatività delle banche stesse, compresi gli stessi principi contabili, puntano tutto sul fair value e sulla determinazione delle distribuzioni di probabilità implicite al fair value. È un elemento imprescindibile. Poiché il tempo scorre inesorabile, a meno che non si ristrutturi il derivato per fare altre scommesse, è evidente che non avere una strumentazione di controllo dei rischi, perlomeno quella più semplice, di stop loss, grazie alla quale, quando si arriva a una perdita pari ad esempio al 10 per cento del nozionale, ci si ferma, significa incorrere, prima o poi, in un problema.
  Mi piace portare questo esempio ai miei studenti: tutti abbiamo visto il film Pag. 11Febbre da cavallo. Nelle corse dei cavalli, finita una scommessa si deve aspettare la corsa successiva, nella quale, probabilmente, lo stesso cavallo non corre, o si deve andare a scommettere in un altro ippodromo.
  Nei derivati è come, se alla fine del primo giro, quando si sta per concludere la corsa, il bookmaker ci dicesse che il nostro cavallo, il quale alla griglia di partenza era appaiato a tutti gli altri – in quanto i cavalli sono partiti tutti in una posizione «fair» – in questo momento è quarto su cinque, e che ci farà fare un altro giro se raddoppiamo la posta. A seguire, quando starà per finire il secondo giro e il nostro cavallo sarà, in ipotesi, terzo, il bookmaker ci dirà che potremo fare altri due giri se triplichiamo la posta.
  Quando leggiamo sui giornali che, ad esempio, un'impresa ha operato in derivati ed è fallita oppure che un ente locale è in difficoltà, ciò deriva dal fatto che, dopo un primo derivato, la corsa non si è arrestata, bensì, a seconda delle diverse situazioni, si è fatta la seconda, la terza e la quarta. Un sistema di controllo dei rischi è come la mamma che dice ai propri figli che i soldi sono finiti e che non si può fare una seconda o una terza corsa, se non usando i trucchi simpatici di quel film, in cui i protagonisti vendevano qualsiasi cosa per poter proseguire la loro attività.
  Veniamo alla domanda sugli IRS di duration. Ho alcune difficoltà ad affrontare questo tema perché nella letteratura finanziaria non c’è una definizione di IRS di duration, né nei manuali di finanza matematica né in quelli di finanza. So che rappresentano la parte più cospicua del portafoglio di derivati dello Stato ma ho difficoltà a qualificarli propriamente.
  Possiamo andare per esclusione. Nella documentazione è riportato che il 7 per cento è costituito da swap di copertura e questi sono chiari. Lo swap di copertura, come diceva anche l'onorevole Causi, si ha, infatti, quando entro in uno swap per trasformare un CCT in BTP oppure per trasformare un BTP – anche se in questo caso non è proprio una copertura – in CCT. Il 7 per cento sono quindi swap di copertura dichiarati.
  Possiamo ipotizzare un altro tipo di swap, cioè quello a cui ho appena accennato: ho, per ipotesi, un BTP e lo trasformo in un CCT con uno swap; tuttavia in questo caso la duration verrebbe accorciata. Penso quindi di poter escludere anche questa fattispecie, dato che ho letto nella documentazione che l'obiettivo è allungare la duration.
  Credo che l'unica fattispecie che possa essere compatibile è quella del caso in cui pago fisso sul debito e faccio uno swap in cui ripago fisso ovvero pago variabile sul debito e faccio uno swap in cui ripago variabile. Si tratta di una scommessa nella quale si raddoppia la posta scommettendo sul futuro rialzo o ribasso dei tassi. Come ripeto, su questo bisognerebbe però chiedere maggiori dettagli.
  Allo stato si può andare solo per esclusione ma, se fosse questa la qualificazione degli IRS di duration, la spiegazione per quei 33 miliardi di mark to market negativo potrebbe esserci. Dal documento dell'Ufficio parlamentare di bilancio elaborato sul tema dei derivati emerge che avevamo 18 miliardi di mark to market negativo già dal 2007, ben prima che i tassi prendessero il loro andamento decrescente.
  Facendo un'analisi di correlazione tra la serie del constant maturity swap e l'andamento dei mark to market negativi riportati nella tabella dell'Ufficio parlamentare di bilancio, si capisce che quella motivazione non sta in piedi. La discesa dei tassi ha contribuito, ma a mio avviso è precedente. Quindi la causa è forse legata a questo tipo di operatività speculativa.
  Quanto a swap e cap, quest'ultimo è l'unico derivato che il legislatore ha, con prudenza, consentito agli enti locali. Il cap copre, infatti, il rischio di rialzo dei tassi. Non ritengo infatti che i derivati vadano vietati tutti. Mi piace citare la famosa teoria dei limoni di Akerlof e Stiglitz. Non è vietando la vendita della macchina non funzionante che si risolve il problema del Pag. 12lemon, cioè del «bidone». Il problema di un prodotto mal fatto si risolve con la trasparenza.
  Il punto è controllare i rischi e considerare il fair value. Nel caso di specie, come ho già spiegato, nel comprare un cap per coprirmi dal rischio di un rialzo, o una payer swaption per coprirmi un minimo come ho spiegato prima, non vedo niente di sbagliato. Può anzi essere molto utile in determinate fasi di mercato, sulla base degli andamenti attesi stimabili con le distribuzioni di probabilità partendo dai dati di mercato.
  Mi si chiedeva, inoltre, se il mark to market costituisca un dato potenziale o una perdita certa. Vi ho mostrato un'analisi, secondo me, eloquente, ma ci torno perché evidentemente sono stato poco chiaro. Sicuramente è stato un mio difetto espositivo. Faccio uno swap a quindici anni per 1 miliardo di euro, il cui valore di partenza è fair. Dopo un anno ho 103 milioni di euro di mark to market negativo e le probabilità non sono più fifty-fifty. Dopo due anni, ho una probabilità del 90 per cento di avere una perdita. Come vedete, il mark to market peggiora sempre.
  In questo esempio, quando mancano nove anni alla scadenza, ma il mark to market negativo è il 30 per cento del totale, ci sono solo certezze di pagamento nei primi semestri successivi. Come ripeto, nel 99,9 per cento dei casi pagherò 90 milioni in due anni, mentre mi sarei potuto fermare a 100 milioni di perdita nel 2011. Nel 99 per cento dei casi pagherò 130 milioni di euro in tre anni e nel 95 per cento dei casi 200 milioni di euro in tre anni.
  In pratica, ma anche in teoria, se richiamiamo il teorema fondamentale dell’asset pricing, secondo cui il fair value è il valore atteso scontato di una serie di pagamenti futuri in base a una distribuzione di probabilità e la misura risk neutral, quel mark to market può essere visto come i pagamenti che dovrò fare e, dato che sono nel breve periodo, sono pagamenti certi, al 99,9 periodico per cento. Non c’è dubbio che li pagherò.
  Quando il mark to market diventa molto pesante rispetto al nozionale – in questo esempio di uno swap banale è pari al 30 per cento –, significa che tra sei mesi pagherò, così come tra dodici e diciotto mesi. Come vedete dal grafico, dobbiamo arrivare ai sei anni successivi per poter scendere sotto il 95 per cento.
  Come ripeto, bisognerebbe conoscere meglio la contrattualistica e la struttura per scadenza dei nostri contratti e sono dati che al momento, per quanto riguarda i derivati dello Stato, non sono noti. Certo è che 42 miliardi di mark to market negativo su 160 miliardi, cioè il 25 per cento, è una cifra consistente. Mi sento di dire, senza timore di essere smentito, che nei prossimi sei o dodici mesi, su quei derivati, pagheremo una parte di quei 42 miliardi. Non c’è niente da fare semplicemente perché oramai il mark to market è pesante. Dal punto di vista delle probabilità non se ne viene fuori.
  Per quanto riguarda il set informativo minimo, ho letto il documento dell'Ufficio parlamentare di bilancio e lo trovo molto interessante e molto articolato. Contribuisce moltissimo all'operazione di trasparenza cognitiva da parte di tutti gli organi istituzionali e da parte dei cittadini. Secondo me, però, un'informazione importante sarebbe conoscere la struttura per scadenza dei contratti e dei relativi pagamenti, anche in una logica di pianificazione finanziaria.
  Venendo a ciò che l'onorevole Causi correttamente ricordava, sapere quante siano le possibilità di uscita anticipata o meno da questi contratti è sicuramente importante. Al riguardo, a pagina 9 della mia relazione richiamo il fatto – proprio perché ho la stessa curiosità dell'onorevole Causi – che in relazione ai contratti con clausole di uscita anticipata sappiamo solo che hanno un nozionale di 16,2 miliardi di euro e sono negativi per 10 miliardi di euro. Bisogna sempre ricordare il rapporto. Questo mark to market è molto pesante.
  Sappiamo che, in termini di fair value complessivo, questi 16 miliardi sono ripartiti in 200 milioni nel 2015, 2 miliardi Pag. 13nel 2016 e 2,5 miliardi nel 2018. Sarebbe anche interessante conoscere la struttura per scadenza sugli anni successivi al 2018 e se ci sia la possibilità – che negli standard internazionali è generalmente consentita ogni qual volta ci sia l'ipotesi di chiusura anticipata – di sostituire tale chiusura anticipata abbastanza problematica con un versamento di liquidità su un conto segregato. Questo perlomeno consentirebbe di inquadrare il problema e prendere un po’ di tempo per capire che tipo di soluzioni alternative si possano individuare.
  Mi è stato chiesto chi si giova della mancanza di trasparenza. Premesso che le controparti bancarie hanno molto chiara, per quanto di loro competenza, l'esposizione nei confronti dello Stato, non sappiamo se le banche parlano tra loro. Può darsi che si confrontino su determinate situazioni. Su questo non ho informazioni, tuttavia è evidente che gli elementi che mi permetto di suggerire di aggiungere al set di trasparenza indicato dall'Ufficio parlamentare di bilancio consentirebbero di avere sotto controllo il quadro dei flussi attesi. Si potrebbero anche aggiungere i dati circa le probabilità che i flussi attesi o i pagamenti futuri si realizzino concretamente.
  A seconda di come è concretamente composto il portafoglio dei derivati dello Stato cambia la struttura dei pagamenti, la quale è contrattualmente identificata. L'Euribor è una variabile aleatoria e sarebbe interessante sapere se quei pagamenti ricadono in un'ipotesi analoga a quella delle slide che vi ho lasciato, cioè se ci siano probabilità molto elevate che si realizzino.
  Parlando di CDS e Grecia, presidente, è indubbio, ed è accaduto nel luglio del 2011 (ne ho anche scritto in un mio manuale relativo a questioni europee e alle disfunzioni dell'eurozona) che, se il sistema finanziario scommette sulla tenuta dell'euro, come è successo nel 2011, oggetto dell'attacco speculativo è l'Italia. Ciò non tanto per il suo debito pubblico quanto per il suo prodotto interno lordo e per le interconnessioni della sua economia con il resto dell'eurozona. È questo che può far saltare il banco, tant’è vero che in quel periodo il nostro CDS spread e il nostro spread BTP-Bund era superiore a quello spagnolo. Ci fu l'inversione. Lo stesso presidente della Banca centrale inglese a dicembre di quell'anno orribile dichiarò che erano pronti al piano B.
  Utilizzando il credit default swap si possono studiare le probabilità di rottura dell'euro. Il credit default swap, come ho scritto in un paper un po’ di tempo fa, all'epoca e negli anni di esistenza gloriosa dell'euro dopo il 2001, era regolato in due valute. L'assicurazione nei confronti del «rischio sovrano Italia» si poteva comprare in euro o in dollari. Ci si potrebbe chiedere perché esistano due valute. La logica è che, comprata in euro, questa assicurazione contro il rischio di fallimento dell'Italia non ci copre anche dal rischio di rottura dell'euro. Se invece l'assicurazione è regolata in dollari, ci si copre anche da quel rischio.
  Studiando il differenziale dei premi che si pagavano tra il CDS in dollari e quello in euro – quello in dollari ovviamente costava di più – per tutti i Paesi grandi, cioè per quei Paesi che potevano far saltare il banco (Germania, Francia, Italia e Spagna) veniva fuori il cosiddetto piano B. In quei periodi critici – e per questo il presidente della Banca centrale inglese lo dichiarò – la probabilità di rottura dell'euro implicita nei cosiddetti quanto spread sui CDS era al 60 per cento.
  Un attacco speculativo all'Italia in una prospettiva futura è tanto più ipotizzabile, o possibile, quanto maggiore è il confinamento dei rischi nello Stato nazionale, cioè la cosiddetta nazionalizzazione dei rischi. Come ho scritto in diverse occasioni dal 2010 in avanti, la Grecia è stata salvata, ma il rischio è stato confinato. Le implicazioni e gli effetti a catena dell'uscita della Grecia nel 2010 sarebbero stati dirompenti perché gran parte del debito greco era nelle mani delle banche francesi e tedesche private, mentre oggi è sostanzialmente tutto nelle mani di governi centrali, del Fondo salva-Stati, dei prestiti bilaterali con i Paesi, eccetera. Il Pag. 14debito è in mano governativa, per così dire. Se in cinque anni di operatività abbiamo confinato il rischio greco in Grecia, o comunque a carico del contribuente europeo, si è resa più facile la realizzazione del cosiddetto piano B. Al contrario, tanto più i rischi vengono europeizzati, tanto più esso è difficile.
  I processi di nazionalizzazione del debito pubblico che si stanno realizzando in tutti gli Stati sovrani da quando l'euro ha iniziato a mostrare elementi di debolezza, unitamente a una serie di interventi che sono stati decisi dalle autorità monetarie e che non portano i rischi al centro, ma tendono a concentrarli presso le periferie, sicuramente rendono non impossibile l'evento.
  Alcuni studiosi, abbastanza estremi nelle loro considerazioni, ritengono si tratti addirittura di un lento accompagnamento dell'Europa verso il piano B, cosa che credo tutti quanti auspichiamo non si verifichi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il nostro ospite.
  Autorizzo la pubblicazione, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione consegnata dal professor Marcello Minenna (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.55.

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