XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 11 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO, AL COMITATO DELLE REGIONI E ALLA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI – UN PIANO DI INVESTIMENTI PER L'EUROPA (COM(2014) 903 FINAL) E DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AL FONDO EUROPEO PER GLI INVESTIMENTI STRATEGICI E CHE MODIFICA I REGOLAMENTI (UE) NN. 1291/2013 E 1316/2013 (COM(2015) 10 FINAL), CORREDATA DEL RELATIVO ALLEGATO (COM(2015) 10 FINAL – ANNEX 1)

Audizione del portavoce della campagna «Sbilanciamoci», Andrea Baranes.
Boccia Francesco , Presidente ... 2 
Baranes Andrea , portavoce della campagna «Sbilanciamoci» ... 2 
Boccia Francesco , Presidente ... 6 
Galli Giampaolo (PD)  ... 6 
Marcon Giulio (SEL)  ... 7 
Fassina Stefano (PD)  ... 8 
Marchi Maino (PD)  ... 9 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Baranes Andrea , portavoce della campagna «Sbilanciamoci» ... 11 
Boccia Francesco , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del portavoce della campagna «Sbilanciamoci», Andrea Baranes.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014) 903 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015) 10 final), corredata del relativo allegato (COM(2015) 10 final – Annex 1), l'audizione del portavoce della campagna «Sbilanciamoci», Andrea Baranes.
  Do la parola al nostro ospite per lo svolgimento della relazione.

  ANDREA BARANES, portavoce della campagna «Sbilanciamoci». Vi ringrazio per l'invito. Sbilanciamoci è una campagna che raccoglie 48 organizzazioni della società civile ed è nata quindici anni fa con l'obiettivo primario di realizzare un'analisi critica della legge finanziaria, oggi legge di stabilità. Nel corso degli anni – soprattutto degli ultimi anni, visto il peso assunto dalle politiche europee – ci occupiamo anche dell'analisi, con presentazione di eventuali controproposte, delle politiche economiche in Europa.
  Riguardo al Piano Juncker per gli investimenti, svolgo una brevissima premessa. Siamo convinti che l'idea di un piano di investimenti, di una qualche forma di stimolo e di sostegno alla domanda, sia assolutamente necessaria, vista la situazione drammatica dell'economia, il rischio deflazione in buona parte dell'Unione europea e la mancanza di una domanda aggregata.
  Una delle principali critiche che rivolgiamo alle politiche condotte ultimamente nell'Unione europea, per semplificare, potrebbe essere quella di dire che sono politiche dal lato dell'offerta, volte quindi a rendere sempre più competitive le imprese e le esportazioni, mentre c’è un problema evidente di mancanza di domanda aggregata, da cui deriva la necessità di un piano di investimenti per rilanciare l'economia, un piano per il lavoro, un piano per l'occupazione.
  Ciò premesso, quello che è stato presentato nel novembre 2014 al Parlamento europeo come il più grande piano di investimenti che l'Europa abbia mai realizzato, e che ieri ha visto l'ulteriore step con l'approvazione da parte del Consiglio europeo della relativa proposta di regolamento, crediamo che non raggiunga gli obiettivi che dovrebbe raggiungere un piano di investimenti. Crediamo anzi che il Piano Juncker presenti enormi criticità Pag. 3che potrebbero inficiarne i risultati e, per alcuni versi, potrebbe persino dimostrarsi nocivo rispetto alla situazione attuale in Europa.
  Il punto da cui partire – probabilmente sono elementi già noti, comunque intendo consegnare alla Commissione un documento che riassume il mio intervento – è andare a vedere come è costruito questo Piano che dovrebbe arrivare ad un totale di 315 miliardi di euro. Ma questi 315 miliardi provengono in realtà, per un totale di 21 miliardi di euro, da garanzie della Commissione europea e della Banca europea per gli investimenti (BEI). Più in dettaglio, 16 miliardi sono messi dalla Commissione europea: di questi, 6 sono stornati o comunque presi da altri programmi europei, quali Connecting Europe e Horizon 2020; altri 2 miliardi si trovano nelle disponibilità, quali rimanenze di bilancio, della Commissione medesima; dei rimanenti 8 miliardi ad oggi non è fornita la copertura, ma la Commissione in tutto afferma di arrivare a 2 miliardi di «soldi freschi», più 6 miliardi derivanti da altri programmi. Altri 5 miliardi dovrebbero invece arrivare dalla BEI, per portare il totale, come detto, a 21 miliardi di euro.
  Da questi 21 miliardi di euro si dovrebbe arrivare a 63 miliardi tramite l'intervento di uno strumento europeo chiamato European Fund for Strategic Investment (EFSI), che dovrebbe raccogliere capitali sui mercati finanziari.
  In realtà, per arrivare da 21 a 63 miliardi di euro c’è prima un altro passaggio intermedio, dal momento che la Commissione europea ha invitato gli Stati membri a integrare le disponibilità del citato Fondo. È in questo step che ieri l'Italia ha deciso, tramite la Cassa depositi e prestiti, di mettere 8 miliardi di euro, così come altri 8 li hanno messi, rispettivamente, tanto la Francia quanto la Germania, mentre la Spagna ha messo una somma inferiore. In tal modo, si arriverebbe dunque a 40-45 miliardi di euro.
  La proposta di regolamento è stata approvata ieri sera, quindi i dettagli non sono ancora noti, ma il Piano attuale prevede di arrivare a 63 miliardi di euro tramite una prima leva finanziaria del citato EFSI; per passare da 63 a 315 miliardi, i 250 miliardi di euro mancanti dovrebbero consistere in investimenti da parte dei privati. Quindi, l'annuncio è di 315 miliardi di euro, ma al momento le risorse effettivamente messe a disposizione sono di molto inferiori.
  Dal momento dell'approvazione definitiva si dovrebbe utilizzare la procedura europea cosiddetta «fast track», al fine di accelerare i tempi della messa in campo. Questo Piano di investimenti dovrebbe durare un triennio, per un totale, come detto, di 315 miliardi di euro.
  Ciò detto in rapporto alla struttura dell'intervento e ribadita la necessità di un piano di investimenti, quali sono le principali problematiche che, secondo noi, tuttora si riscontrano ? In primo luogo, ormai è inutile piangere sul latte versato ma, come dicono gli inglesi, too little too late. Questo Piano di investimenti probabilmente sarebbe servito parecchi anni fa, mentre oggi siamo in una situazione in cui è difficile pensare che degli investimenti possano rilanciare tout court la domanda.
  Per diversi Paesi europei, tra cui l'Italia, purtroppo non si tratta di una recessione congiunturale, bensì di fenomeni strutturali. L'Italia, dall'inizio della crisi, ha perso il 25 per cento della propria capacità industriale; è difficile pensare che un piano di investimenti possa invertire la rotta e far ripartire il tutto.
  Anche come dimensione – come può constatarsi dalle prime richieste avanzate dagli Stati – 315 miliardi di euro sembrano tanti, ma probabilmente ne sarebbero serviti molti di più. Sia i sindacati tedeschi sia altri centri studi ipotizzano la necessità di un piano che vada dai 200 ai 500 miliardi di euro annui per dieci anni, in modo da rilanciare la domanda e l'economia europee.
  Ma tant’è, c’è questo Piano da 315 miliardi di euro, sempre che siano confermati, tenuto conto che un altro dei problemi centrali è quello della doppia leva finanziaria che è stata ipotizzata e che ovviamente è tutta da confermare. Quindi, il primo passaggio è quello dalle Pag. 4risorse effettivamente disponibili per arrivare alla soglia dei 63 miliardi di euro, se verranno confermati, tramite l'EFSI che già deve finanziarsi sui mercati finanziari, il secondo è quello di una leva di 5 a 1 – ancora più improbabile, se guardiamo a quali sono stati gli investimenti pubblico-privati del passato, in cui spesso si arrivava a una leva di 2 a 1 o di 3 a 1, quindi 5 a 1 è una misura già molto ottimista – che dovrebbe permettere di passare dai 63 ai 315 miliardi di euro.
  Al momento, quindi, ci sono un annuncio e un primo impegno, ma chiaramente bisogna vedere se si arriverà a quella cifra. Per facilitare il raggiungimento di questa ipotesi di 315 miliardi di euro, la Commissione europea avrebbe già previsto una sorta di road show, attraverso lo svolgimento di una missione presso vari Paesi, in particolare i Paesi arabi e i Paesi asiatici, allo scopo di stimolare e cercare di attrarre gli investimenti privati.
  Non solo, ma il Piano è strutturato in modo che gran parte dei rischi di fatto ricadano sul pubblico. Le risorse investite dai privati dovrebbero essere considerate, in attesa delle conferme che arriveranno dal regolamento, come senior tranche, e le risorse pubbliche come junior tranche, gergo finanziario per dire che eventuali prime perdite sugli investimenti ricadono sulla parte pubblica e, solo successivamente, sui privati.
  Anche a tale riguardo, si è ipotizzato – ma ancora non si conoscono i contenuti e i dettagli del regolamento – che anche sulla tranche di investimenti privati, che già gode di questa qualifica di senior, potrebbero esserci ulteriori garanzie. Quindi il rischio, in termini brutali, è che si possa arrivare a un piano di investimenti in cui i profitti sono privati, mentre vengono socializzate le perdite in caso di problemi, un fenomeno che, dallo scoppio dei mutui subprime in poi, abbiamo visto fin troppe volte.
  Forse, però, il problema centrale di questo Piano di investimenti è che esplicitamente ieri la Germania ha ribadito subito che dovrà essere depoliticizzato, il che significa che gli investimenti verranno valutati unicamente in base alle ricadute economiche e che l'aspetto fondamentale per riuscire a stimolare la leva finanziaria, per riuscire a stimolare questi 250 miliardi di euro di investimenti privati, è che questi investimenti possano garantire elevati profitti e possano avere anche delle garanzie sostanziali di ritorno per gli investitori.
  In altre parole, si sta dicendo già dall'inizio che non ci sarà alcun indirizzo pubblico nella scelta degli investimenti.
  Rimane ancora da chiarire quanto e come verrà implementata questa struttura, nel senso che, da un lato, gli Stati possono proporre dei loro investimenti. In proposito, il Ministero dell'economia e delle finanze si sta già muovendo, attraverso la creazione di un hub nazionale che dovrebbe in qualche modo proporre alla BEI e alla Commissione europea quali investimenti realizzare, ed esistono già degli indirizzi strategici di fondo nei quali si parla di banda larga, di infrastrutture, di energie rinnovabili e via discorrendo, come è trapelato da diverse ipotesi apparse sui giornali tra le giornate di ieri ed oggi. Dall'altro lato, di fatto i funzionari della BEI e della Commissione europea avranno l'ultima parola per decidere gli investimenti che, senza nessuna politicizzazione, verranno quindi decisi in base a parametri economici.
  Ora, il problema di fondo è che quando si parla di un piano di investimenti pubblici le priorità europee sono l'occupazione – come è fin troppo evidente, purtroppo, qui in Italia – nonché una riconversione ecologica dell'economia; si tratta quindi di investimenti che hanno una certa connotazione e che spesso comportano magari dei ritorni bassi e sul lungo periodo, caratteristiche tipiche di un investimento pubblico, ma che molto più difficilmente potrebbero risultare attraenti per degli investitori privati o per gli investitori extraeuropei dei Paesi asiatici e arabi, che chiaramente guarderanno a quegli investimenti che rendono di più nel breve periodo e che offrono le maggiori garanzie.
  Quindi, in primo luogo, la tipologia degli investimenti potrebbe essere lontanissima Pag. 5da ciò di cui c’è veramente bisogno. Ieri e oggi ci hanno ripetuto innumerevoli volte che buona parte di questi investimenti saranno destinati alle piccole e medie imprese, ma è chiaramente più difficile strutturare tanti piccoli investimenti e proporli agli investitori privati extraeuropei rispetto ai mega investimenti di grandissime imprese.
  Un secondo problema, forse ancora più grave, è che non è unicamente la tipologia a pesare, ma anche la distribuzione geografica. Chi sarà più bravo ad attrarre gli investimenti ? È ragionevole pensare che ad attrarre maggiori investimenti saranno le economie più solide – quelle più solide anche nelle istituzioni europee – ovvero, per capirci, le economie che possono offrire maggiori garanzie. Quindi, la gran parte degli investimenti rischia di essere indirizzata verso i Paesi del centro dell'Europa, quelli già più forti, quelli che appunto possono offrire i maggiori ritorni, i maggiori profitti e le maggiori garanzie, aspetto questo fondamentale per gli investitori privati. Intendo riferirmi alla Germania e ai Paesi che ruotano intorno alla Germania, dall'Olanda alla Finlandia e via elencando, e comunque alle economie più forti dell'Europa, mentre i Paesi della periferia – a partire dalla Grecia ma purtroppo, è possibile ipotizzarlo, il discorso riguarda anche l'Italia – rischiano di raccogliere se non le briciole comunque una parte minoritaria.
  Questo si collega a ciò cui accennavo all'inizio, ossia che il Piano Juncker rischia per alcuni versi di essere inutile e per altri addirittura nocivo, perché rischierebbe di esasperare ulteriormente quelle che sono le diseguaglianze su scala europea. In un momento in cui si registrano un surplus commerciale e diseguaglianze enormi, si rischia di indirizzare un piano di investimenti, di strutturarlo in modo che gli investitori privati naturalmente andranno più verso determinati progetti. Nuovamente queste sono delle ipotesi, poiché ancora non si conoscono tutti i dettagli del regolamento, ma non ci sembra – dal momento che il Piano deve essere depoliticizzato – che ci saranno quote assegnate per Paesi o che ci saranno degli indirizzi che poi non dipendono dalla parola finale di funzionari che guardano alla parte economica.
  Quale ultimo aspetto, osservo che questo Piano di investimenti, nel quadro delle politiche europee, sembra segnalare una schizofrenia, laddove finalmente da un lato si riconosce, con la messa in campo di un piano di investimenti, che è necessario uno stimolo alla domanda, e dall'altro, con il Patto di stabilità che di fatto blocca la possibilità di realizzare investimenti per i noti vincoli su debito e PIL e con il Fiscal Compact questa stessa domanda, nell'altra direzione, viene depressa.
  Quindi, se il Piano rappresentasse un primo cambio di rotta delle politiche europee ben venga, ma al momento non sembra così.
  Nel testo che vi è stato distribuito, ribadiamo che questa non è una critica all'idea di un piano di investimenti, ma una critica molto forte a come è stato strutturato questo Piano di investimenti. Un piano di investimenti sarebbe assolutamente necessario, ma parliamo di un piano per l'occupazione, di un piano per la riconversione ecologica dell'economia, di un piano in cui i ritorni non sono unicamente economici, ma sono anche di carattere sociale e ambientale, quali dovrebbero peraltro essere gli obiettivi centrali di un investimento pubblico di uno Stato o di un'Unione europea che opera nell'interesse dei propri cittadini, ma che difficilmente possono interessare degli investitori esteri.
  Il piano dovrebbe altresì essere di dimensioni nettamente maggiori. Ovviamente il problema è come si può finanziare tale piano con le finanze disastrate. In realtà, crediamo che il problema non sia di natura economica o finanziaria, ma attenga ad una vera e propria ideologia che guida le decisioni europee. Se ci fosse la volontà politica di impostare un piano di investimenti pubblici, le risorse si potrebbero tranquillamente reperire.
  È uscito ieri uno studio che parla delle decine di miliardi di euro che si potrebbero trovare con una tassa sulle transazioni finanziarie; ricordo che da anni si Pag. 6discute di un'ipotesi di tassazione minima delle multinazionali in Europa, anche per evitare delocalizzazioni e concorrenza esasperata, senza tuttavia arrivare a proposte specifiche.
  Come finanziare questo piano di investimenti ? Io trovo incredibile che ieri siano uscite due notizie: una parla del Piano Juncker e della Commissione europea che va in giro per il mondo a fare pubblicità per cercare disperatamente di attrarre 250 miliardi di euro dagli investitori privati, l'altra, dello stesso giorno, ci dice che viene lanciato ufficialmente il Quantitative Easing, che prevede oltre 1.100 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva in Europa, in un momento in cui oggi, in Europa, ci sono più di 1.200 miliardi di euro di titoli a tasso negativo.
  La liquidità non sa più dove andare: i titoli – non solo quelli tedeschi ma anche quelli italiani – stanno arrivando quasi a un tasso negativo. Le analisi dal Financial Times – che non definirei un quotidiano estremista – in poi dicono che il problema maggiore che avrà Draghi col suo Quantitative Easing è reperire 60 miliardi di euro al mese di titoli da comprare. Da un lato, c’è un eccesso di liquidità sui mercati finanziari e, dall'altro, un'economia al palo. Si continuano a pompare centinaia di miliardi di euro nella finanza e molti di meno nell'economia, con il rischio di determinare una nuova bolla finanziaria.
  Si è agito per salvare le banche, si è agito per comprare titoli di Stato: non è impossibile allora pensare che, se da un lato servono 300 miliardi e dall'altro ci sono mille miliardi, la Banca centrale europea (BCE) possa in qualche modo acquistare e finanziare questo piano di investimenti.
  In gergo tecnico si direbbe un Quantitative Easing che non sia solo monetario, ma sia anche fiscale. Ciò vuol dire che l'EFSI, la BEI o una qualunque istituzione europea emette dei titoli e questi titoli vengono acquistati dalla BCE mediante l'allargamento della base monetaria: in tal modo stampi dei soldi, ma invece di darli a pioggia, a rendimento negativo, perché non sai dove metterli, finanzi degli investimenti, con un passaggio dai Parlamenti nazionali e dal Parlamento europeo per decidere quelle che sono le priorità, quindi con una governance e con una struttura diverse.
  Non ci sarebbe nessuna difficoltà economica a farlo. La stessa BCE due anni fa ha dato altri mille miliardi di euro all'1 per cento alle banche e ciò non ha in alcun modo fatto ripartire l'erogazione di credito all'economia. Trovo veramente incredibile la montagna di risorse che viene buttata in questo momento nel sistema finanziario, a fronte di un investimento che dovrebbe essere pubblico, in cui il pubblico in totale mette 30 o 40 miliardi di euro e la Commissione europea, invece di cercare di indirizzare questi investimenti, in linea con la dottrina ordoliberista più pura ha l'unico obiettivo di favorire l’export delle proprie imprese, andando in giro per il mondo a girare spot pubblicitari per attrarre investimenti esteri e cercare di farli arrivare.
  Questo è il quadro, che ho tratteggiato molto velocemente. Rimango naturalmente a vostra disposizione, qualora vi fossero domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Trovo interessante quanto riferito nell'audizione odierna perché anch'io condivido il fatto che vi sia, in Europa, un problema di domanda aggregata e di investimenti. Credo che se l'Europa fosse un'entità federale, più o meno come lo sono gli Stati Uniti, avremmo un livello più elevato di investimenti. Se ci fosse un'autorità di bilancio, avente natura politica, analoga a quella che abbiamo in campo monetario – non politica, in questo caso –, avremmo probabilmente un'ottica comunitaria che esiste sì in relazione alla politica monetaria, ma non alla politica di bilancio.
  Io ho l'impressione che non sia tanto un problema di ideologia quello che blocca gli investimenti in Europa e che non c'entri quasi nulla l'ordoliberismo e il Pag. 7mercantilismo, ma piuttosto lo stadio a cui siamo arrivati nella costruzione europea.
  Paesi come l'Italia, la Spagna o la Grecia non si possono permettere di espandere il debito pubblico, per motivi che tutti ben conosciamo. Qualcuno può non condividere tale affermazione, ma non vogliamo ripercorrere il rischio corso nel 2011 o, prima ancora, nel 1992.
  Un Paese come la Germania è quello che dovrebbe in realtà fare gli investimenti, ma non ha intenzione di farlo per gli altri e non ritiene di doverlo fare neanche per se stesso. Continuo a sentire gente che dice che la Germania dovrebbe fare gli investimenti, che i tedeschi non hanno capito niente; saranno affari loro, per così dire, saranno affari della democrazia tedesca decidere quanti investimenti devono fare i tedeschi.
  La Germania attraversa una situazione di piena occupazione – si potrà anche dire che è una piena occupazione che non piace, imperniata, ad esempio, sui mini-jobs – e un rallentamento dell'attività economica che non presenta le caratteristiche drammatiche che ha avuto in tanti altri Paesi, per una serie di motivi. Quindi, tutto il resto che possiamo inventare sono scatole finanziarie – come, ad esempio, l'ipotesi che la BCE acquisti i titoli della BEI per fare gli investimenti europei – che alla fine fanno ricadere, per dire le cose come stanno, sul contribuente tedesco, olandese o finlandese, cioè sul contribuente dei Paesi più solidi, gli investimenti che devono essere fatti nei Paesi più deboli.
  Questa cosa l'Europa non può accettarla; questa cosa metterebbe in crisi la democrazia tedesca, finlandese, olandese o degli altri Paesi che verrebbero chiamati a tale impegno.
  Ciò può essere nel nostro interesse, anzi diciamo che lo è, ma non illudiamoci di poter cambiare questa Europa mettendo in difficoltà altri Paesi, che peraltro sono già in difficoltà. La Germania, infatti, ha un debito pubblico analogo a quello che aveva l'Italia alla fine degli anni Ottanta, quando un grande italiano, Bruno Visentini, avvertiva che avremmo dovuto consolidare il debito pubblico, ristrutturandolo, perché altrimenti non ce l'avremmo fatta. Come si è visto, in pochi anni abbiamo avuto dei problemi.
  Questi Paesi hanno una pressione fiscale molto elevata e non hanno alcuna intenzione di tassarsi di più per aiutare i Paesi che si trovano in difficoltà. Dovrebbero farlo per tenere insieme l'Europa ? Forse sì, ma allora è un ragionamento un po’ più complicato di quello che ho sentito qui.

  GIULIO MARCON. Mi sembra che uno dei punti che Andrea Baranes ha sottolineato sia l'assenza di una regia nel campo delle politiche pubbliche. Al di là della scelta, che può essere più o meno lacerante per i singoli Paesi, come segnalava adesso l'onorevole Giampaolo Galli, ciò che effettivamente manca è una politica pubblica.
  Anche in questo Piano di investimenti, in realtà, non si ravvisano né un indirizzo né scelte, se non di carattere generale, come ci è stato detto, che riguardano alcuni investimenti strategici che si pensa di fare; manca, cioè, un'idea forte relativamente all'obiettivo che questi investimenti dovrebbero conseguire.
  Si faceva riferimento, tanto nel documento distribuito quanto nella relazione testé svolta, ad alcuni obiettivi come l'occupazione, la riconversione ecologica dell'economia, cui io aggiungerei anche il superamento degli squilibri regionali, perché questa è anche una delle cause della crisi che stiamo vivendo in Europa.
  Il rischio è che questo Piano, come si diceva nell'introduzione, possa essere nocivo anche in questa direzione, nel senso che, anziché superare gli squilibri regionali, possa in qualche modo acuirli, concentrando gli investimenti in alcune aree geografiche e in alcuni settori.
  Devo altresì dire che l'Italia, comunque, continua a contribuire per la propria parte alle istituzioni finanziarie – non solo europee, ma anche internazionali – ma senza la garanzia di politiche pubbliche capaci di orientare le scelte e gli investimenti necessari.Pag. 8
  Ritengo che un tasso di ideologia in queste scelte ci sia. Come vediamo anche nel nostro Paese, l'idea che gli investimenti o li fa il mercato o non li fa nessuno è un'idea che forse prende atto della situazione esistente, ma risponde anche a un assunto, quello in base al quale gli investimenti o sono privati o non sono. Purtroppo, noi sappiamo molto bene che avremmo invece bisogno di capitali cosiddetti «pazienti», cioè capaci di orientare le scelte strategiche che magari non presentano un ritorno immediato ma hanno un effetto sul medio e lungo periodo rispetto alla riconversione ecologica dell'economia, nonché un maggior tasso di innovazione e di ricerca rispetto alla nostra politica industriale.
  Sono i temi che, tra l'altro, ha sollevato Mariana Mazzucato nel suo recente libro Lo Stato innovatore: senza investimenti pubblici in alcuni settori strategici non si va da nessuna parte. Non basta pensare, come abbiamo visto anche noi con la legge di stabilità, che introducendo un po’ di sgravi di qua e un po’ di sgravi di là, mettendo le imprese nella situazione di assumere a condizioni sempre più vantaggiose per loro dal punto di vista del trattamento dei lavoratori, si possa far ripartire l'economia.
  Abbiamo già visto le varie Tremonti bis, ter e quater, abbiamo cioè già visto tanti provvedimenti che hanno favorito dal punto di vista fiscale ed economico le imprese, ma questo non ha fatto certo ripartire gli investimenti privati. Temo che anche le misure che abbiamo approvato con la legge di stabilità – che l'onorevole Giampaolo Galli ha definito straordinarie, perché effettivamente sono misure che alle imprese portano moltissimo – non avranno gli effetti che il Governo e la maggioranza auspicano; temo, cioè, che rappresentino una boccata d'ossigeno per le imprese, ma che non abbiano alcun effetto sulla ripresa degli investimenti privati e, tantomeno, sull'occupazione.
  Chiedo, infine, ad Andrea Baranes se possa dirci qualcosa in merito alle proposte di Sbilanciamoci, cioè delle reti degli economisti europei, su cosa bisognerebbe fare in alternativa alle scelte che sono state portate avanti in questi mesi.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il dottor Baranes per l'intervento. Vorrei fare alcune brevi riflessioni su due ambiti diversi. La prima è strettamente connessa al tema oggetto dell'audizione, cioè il Piano Juncker; la seconda è di carattere più generale.
  Il Piano Juncker nasce con un obiettivo specifico, quindi credo che la nostra discussione debba essere innanzitutto orientata a valutare se il mezzo che è stato messo in campo e predisposto sia adeguato a raggiungere l'obiettivo specifico del Piano stesso.
  Abbiamo visto anche la settimana scorsa, con l'audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, una caduta molto pesante degli investimenti pubblici e privati in Europa, ragione molto rilevante della caduta complessiva della domanda, e il tentativo di sopperire a questa caduta.
  Mi pare che anche l'audizione odierna confermi che la costruzione che è stata predisposta difficilmente sarà operativa senza un qualche intervento da parte delle istituzioni pubbliche. Mentre parlava il dottor Baranes mi veniva in mente l'economista Myrdal e il principio di causazione cumulativa, cioè il fatto che il Piano vada a rafforzare le aree più forti con una divaricazione ulteriore delle dinamiche della produttività.
  Questo a me pare il punto fondamentale. Ci sono soluzioni possibili, nella vigenza dei Trattati, per scongiurare questo risultato ? Concordo con Giampaolo Galli quando dice che le condizioni politiche non consentono trasferimenti fiscali tra Stati. È stata citata, ad esempio, l'idea di dare garanzie da parte della Banca centrale europea, quindi senza chiedere nulla ai contribuenti tedeschi o olandesi, e fare in modo che la BEI attraverso queste garanzie possa acquistare i titoli del Fondo senza perdere la tripla A. Senza comunque entrare nel merito, si possono quindi trovare soluzioni che consentano di sopperire Pag. 9ad alcune delle carenze del Piano Juncker senza urtare quelli che anch'io considero vincoli politici insormontabili.
  Dopodiché – e vengo alla seconda riflessione – bisogna fare attenzione perché, quando si condivide la moneta, come abbiamo imparato noi che siamo da questa parte, tra i Paesi considerati «peccatori», qualche responsabilità ce l'hanno anche i Paesi «santi». Ci si deve porre il problema di un avanzo commerciale che supera, oltre al limite fisiologico, anche la soglia fissata dal Six Pack.
  Se andiamo a guardare quello che è successo in questi anni, oltre ai Paesi che hanno superato il 3 per cento nel rapporto deficit-PIL, ci sono stati Paesi che hanno avuto un avanzo commerciale oltre il 6 per cento in rapporto al PIL, circostanza non meno grave, in termini di tenuta dell'area monetaria, dello sforamento del rapporto deficit-PIL.
  Si tratta, a mio giudizio, di una questione attinente la logica, non tanto la politica. Se noi diciamo che, così come mi pare tutti intendiamo, il modello – che tecnicamente è mercantilista e ordoliberista – non funziona, e poi diciamo che non ci sono le condizioni politiche per correggerlo, allora la conseguenza logica di queste due affermazioni è che la situazione non regge.
  Se riteniamo che quella linea sia insostenibile e che le condizioni politiche – in ciò ritengo che Giampaolo Galli abbia ragione – non consentano le correzioni necessarie, si arriva a una conseguenza che io ritengo purtroppo sempre più probabile e sempre meno irrealistica, quella di una insostenibilità complessiva. Di ciò dobbiamo essere consapevoli.

  MAINO MARCHI. C’è un tema che era emerso anche nel corso dell'audizione del commissario Katainen e che è stato ripreso nella relazione che abbiamo appena ascoltato, riguardo al quale credo che sarebbe opportuno attivare tutti gli strumenti tecnici che ha a disposizione la Camera dei deputati, compreso l'Ufficio parlamentare di bilancio, per capire come è di fatto la situazione.
  Più precisamente, mi riferisco all'effetto leva. Anche nel corso dell'audizione si è messo in discussione il fatto che questo rapporto di 1 a 15 sia realistico, e lo si dice anche qui.
  La risposta è stata che quel rapporto invece era prudenziale rispetto alle esperienze fatte in passato. Se ci sono esperienze fatte in passato, credo che noi dovremmo ricostruirle, perché quando la Commissione bilancio andrà a definire una posizione alla fine di questa indagine conoscitiva, immagino sulla base di una risoluzione, questo non è un punto indifferente, ma è un punto fondamentale.
  Se il Piano prevede 315 miliardi di euro e le istituzioni pubbliche ne mettono 21, ma poi questi 21 miliardi non sono in grado di determinare 315 miliardi, già in partenza il meccanismo non regge. Se ci sono esperienze già fatte che ci dicono che, invece, quel rapporto può reggere, dovremmo ragionarci sopra. Credo che questo sia un primo punto.
  Un secondo aspetto è che se si va alla ricerca, sul mercato privato, della parte più consistente dei finanziamenti, nel momento in cui queste risorse non vengono collocate senza una regia pubblica, poiché c’è comunque una regia sugli indirizzi di fondo e sulle procedure per individuare i progetti, a quel punto è logico che il primo rischio sia quello assunto dalla parte pubblica. Quindi, da questo punto di vista trovo ragionevole quanto previsto.
  Dopodiché c’è la domanda che ci stiamo ponendo, cioè se sia questo lo strumento più adeguato, se abbiamo bisogno di interventi di questa natura, rivolti soprattutto alle piccole e medie imprese, come si dichiara essere l'obiettivo, o se abbiamo invece bisogno di interventi più diretti da parte del pubblico. Ma in tale ultimo caso significa che si devono cercare le risorse, e anch'io sono convinto che potrebbero esserci, dal momento che il bilancio europeo ha una dimensione assolutamente inadeguata e che bisogna arrivare a chiudere il più rapidamente possibile la questione della tassa sulle transazioni finanziarie, destinandone possibilmente il gettito agli investimenti. Possono Pag. 10esserci dunque modelli diversi rispetto a quello che ci è stato proposto, però in tal caso andiamo su un piano completamente diverso rispetto a quanto ci è stato proposto dalla Commissione europea.
  Ho visto che comunque si sta procedendo con la proposta di regolamento relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e mi chiedo quindi se, rispetto a tale procedura, noi siamo o meno in fase. In altre parole, il nostro lavoro può determinare qualcosa dal punto di vista del cambiamento di questo programma ? Oppure alla fine dovremo semplicemente prendere atto di quello che verrà deciso a livello europeo e i Parlamenti nazionali a questo punto saranno out ?

  PRESIDENTE. Parto da una risposta all'onorevole Marchi, che ha posto un quesito molto opportuno anche per il lavoro che abbiamo di fronte. In proposito, posso dire che ci stiamo raccordando. Lo dico per il gruppo del Partito Democratico, i cui deputati europei si sono già fatti sentire, ma ciò vale anche per gli altri gruppi parlamentari, ai quali consiglio di fare lo stesso lavoro.
  In questo momento è in corso, in parallelo, un lavoro che i nostri colleghi in Europa stanno svolgendo presso le Commissioni competenti soprattutto per le somme definanziate che devono passare dalle Commissioni parlamentari competenti per lo spostamento, nonché per la definizione del nuovo regolamento.
  I tempi che si sono dati a Bruxelles coincidono con i nostri, ovvero con il mese di aprile. Difatti, noi abbiamo in mente di completare questo lavoro per fine marzo o inizio aprile, anche perché serve, a mio avviso, dare questa indicazione al Governo italiano prima della definizione del Documento di economia e finanza 2015. Sarebbe incomprensibile – mi sono permesso di dirlo in altre occasioni pubbliche – ritrovarsi un Allegato sulle infrastrutture al DEF 2015 che non tenga conto delle valutazioni che facciamo oggi, ma che faremo soprattutto nei prossimi giorni. Sarebbe davvero strabico un Allegato sulle infrastrutture al DEF 2015 che non tenesse conto non solo del Piano Juncker, ma anche degli altri programmi di investimento.
  Temevo che le cose potessero andare su binari diversi, ma il Governo sta operando un raccordo e i gruppi parlamentari in Europa anche. Quindi consiglio ai diversi gruppi parlamentari di fare lo stesso lavoro che già sta conducendo, come ha avuto modo di comunicarmi ieri per le vie brevi, il gruppo del Partito Democratico.
  Come evidenziato sia dal lavoro già svolto dai competenti uffici sia dall'audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in realtà noi veniamo da un calo complessivo degli investimenti pubblici nell'intera area dell'Unione europea – lo ricordo anche all'onorevole Giampaolo Galli –, stimato nell'ordine del 15 per cento. L'Italia ha registrato invece un calo del 25 per cento, e ciò è avvenuto nonostante abbia rigorosamente rispettato – scusate il gioco di parole – il rigore imposto. Noi non ci siamo discostati di un centimetro rispetto alle indicazioni che sono arrivate da Bruxelles a partire dal 2008. Alcuni di noi erano in Parlamento nella scorsa legislatura e ricorderanno che nel 2011 approvammo tre o quattro manovre, tutte rigorosamente indicate da Bruxelles.
  Quindi, non ci siamo mossi per un attimo da quella direttrice, ma il calo degli investimenti pubblici italiano è stato di dieci punti superiore al calo medio degli investimenti pubblici che nello stesso periodo è avvenuto in Europa.
  La domanda che rivolgo a Baranes è dunque la seguente: è sufficiente questo strumento per colmare quel gap ? I 16 miliardi di euro nell'ambito delle risorse già previste dal bilancio europeo sono 16 miliardi che comunque erano già previsti da diversi programmi. Se Connecting Europe vale 3,3 miliardi di euro, vanno ridefiniti ma sono sempre 3,3 miliardi.
  L'Italia probabilmente avrà una parte superiore rispetto a Connecting Europe dopo che quei 3,3 miliardi di euro saranno stati rimodulati, ma stiamo parlando delle stesse risorse.Pag. 11
  Lo stesso discorso riguarda il programma Horizon 2020, che vale 2,7 miliardi di euro – sto parlando delle risorse stornate –, e la riserva di bilancio che è stata recuperata per 2 miliardi di euro. Queste risorse erano già a bilancio e sono ora parte integrante del Piano.
  Insomma, la novità sono i 5 miliardi di euro della BEI. Sottolineo l'aspetto per noi fondamentale di intervenire per tempo, prima che l'Allegato sulle infrastrutture al DEF 2015 venga definito, altrimenti avremmo perso davvero – questa è anche una risposta all'onorevole Marchi – una grande occasione, perché non si capirebbe francamente quel documento senza una valutazione di merito.
  Come indicava l'onorevole Fassina, c’è inoltre il tema – ripreso anche da Marchi e mi pare da Marcon – della lista di 44 progetti già presentati, dei quali 4 sono italiani. Tra questi ultimi, vi è quello di 8,7 miliardi di euro connesso alla ristrutturazione degli edifici scolastici, che rappresenta un impegno nobile, solenne, fondamentale, centrale per ognuno di noi, ma di qui a pensare ad uno stimolo in termini degli investimenti privati, dell’output e dell'aumento del PIL, ce ne passa. Nessuno di noi dirà mai che non vogliamo la ristrutturazione degli edifici scolastici, ma ipotizzare un moltiplicatore di 1 a 15 nel caso degli interventi connessi agli edifici scolastici – lo dico sommessamente, senza voler passare per critico a prescindere – mi pare complicato.
  Vorrei conoscere sul punto le sue valutazioni, poi sarà compito della Commissione compiere una sintesi. C’è inoltre la novità degli 8 miliardi di euro annunciati da Cassa depositi e prestiti, i cui dettagli ci saranno trasmessi nelle prossime ore, che speriamo coincidano anche con l'utilizzo di risorse italiane nell'ambito di quegli 8 miliardi e che non siano invece risorse da redistribuire.
  Insomma, mi pare che il lavoro del Parlamento italiano sia molto aggiornato sul tema e faremo di tutto per far sì che venga correlato con quello dei nostri colleghi europei.
  Do la parola al dottor Andrea Baranes per la replica.

  ANDREA BARANES, portavoce della campagna «Sbilanciamoci». Vi ringrazio per gli interventi. Dirò solo poche battute conclusive.
  L'esempio che faceva il presidente Boccia sulla ristrutturazione degli edifici credo sia molto pertinente. L'onorevole Marcon ha utilizzato l'espressione «capitali pazienti», quindi il pubblico può avere degli interessi di lungo o lunghissimo periodo, come può essere investire nella ricerca e nella formazione, mentre è molto più difficile che ce li abbiano i privati.
  In questo momento abbiamo il mantra della competitività come obiettivo in sé. Anche se l'Europa volesse porsi la competitività come obiettivo di fondo, un conto chiaramente è inseguire la Cina e le potenze emergenti sul costo del lavoro, un altro è investire in ricerca e formazione per avere dei prodotti più competitivi e non una competitività di costo. Io mi auguro che il regolamento – che, ripeto, è stato annunciato ieri sera insieme alla definizione e all'approvazione del Piano, quindi ancora non se ne conoscono i contenuti – preveda la possibilità, anche sostanziale, di intervenire rispetto a come è strutturato il Piano.
  Al di là di ciò, anche per rispondere ad alcune domande che venivano poste, forse bisognerebbe allargare il discorso, ma farò solo poche battute, perché non credo sia un tema contingente. Come Sbilanciamoci, ma anche come EuroMemorandum, che è una rete di economisti europei che propone ogni anno politiche economiche alternative, ovviamente discutiamo da tantissimo tempo di eurobond. Ci sono naturalmente delle resistenze politiche e io condivido quanto è stato detto sulla forza delle resistenze politiche, come anche sul fatto che purtroppo non è possibile cambiare un modello che pure non funziona, come rilevava l'onorevole Fassina.
  Rimane la questione del bilancio dell'Unione europea, che rappresenta l'1 per cento della somma del PIL dei Paesi europei. Quanto alla tassa sulle transazioni Pag. 12finanziarie, se si riuscissero a superare gli ultimi veti incrociati, ricordo che su di essa si sono già espressi a favore la Commissione europea ed il Parlamento europeo e si è registrato il consenso di undici Paesi europei, tra cui l'Italia, la Francia e la Germania. È di ieri uno studio di uno dei principali istituti economici tedeschi che segnalava come solo per l'Italia la stima sarebbe quella di un maggior gettito da 3 a 6 miliardi di euro l'anno, anche considerando la riduzione degli scambi che deriverebbe dall'introduzione di questa tassa. Per l'Unione europea la stima ammonterebbe invece a decine di miliardi di euro l'anno: non è forse tutto per finanziare gli investimenti, ma sarebbe già un bel passo avanti.
  Nello stesso modo – l'avevo accennato molto rapidamente – da anni in Europa si discute della necessità di un livello di tassazione minima delle imprese multinazionali, stante l'assurdità di una moneta unica e della libertà di movimento dei capitali senza una forma di unione fiscale che possa evitare fenomeni di concorrenza esasperata interni all'Unione europea.
  Faccio solo una battuta sulla questione della Banca centrale europea. Credo si potrebbe intervenire con forme di Quantitative Easing monetario, senza nessun impatto sui debiti pubblici e senza dare l'idea che poi siano le formiche tedesche e olandesi a pagare per le cicale greche e italiane. Tuttavia, su questo discorso ci sarebbe molto da dire. Ricordo che i 1.100 miliardi di Quantitative Easing della BCE non hanno sollevato proteste in Germania, così come gli oltre mille miliardi dei LTRO (Long Term Refinancing Operation). A fine 2011 la BCE ha prestato 1.100 miliardi alle banche europee e nessuno ha pensato che ciò avrebbe potuto avere ricadute sui debiti o determinare squilibri tra i Paesi. In quel caso, sono state anzi mobilitate molte più risorse.
  Qui parliamo invece di un piano di investimenti di 3-400 miliardi di euro, come è stato accennato in alcuni interventi, e in particolare l'onorevole Fassina menzionava come la BEI potrebbe mobilitare risorse sui mercati finanziari senza perdere la tripla A con una garanzia della BCE, che vorrebbe comunque dire un ruolo dei mercati finanziari lasciando però il pallino del gioco e le decisioni alle istituzioni europee. Si potrebbe ipotizzare che il Parlamento europeo controlli l'operato della BEI, che a sua volta emette dei titoli che hanno la tripla A perché sono garantiti dalla BCE. Ciò non avrebbe alcun impatto sui debiti pubblici o sui conti pubblici, bensì consentirebbe di reperire risorse anche molto più consistenti di quelle che dovrebbero provenire dall'attuazione del Piano Juncker, senza peraltro alcun rischio di tensioni politiche associate.

  PRESIDENTE. Ringrazio Andrea Baranes per il contributo molto importante che ci ha dato e gli auguro buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.