XVII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 8 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE MINORANZE PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA A LIVELLO INTERNAZIONALE

Audizione del Presidente della Sezione italiana di Amnesty International, Antonio Marchesi.
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 3 ,
Marchesi Antonio , Presidente della Sezione italiana di ... 3 ,
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 7 ,
Tidei Marietta (PD)  ... 7 ,
Nicoletti Michele (PD)  ... 8 ,
Farina Gianni (PD)  ... 8 ,
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 8 ,
Marchesi Antonio , Presidente della Sezione italiana di ... 9 ,
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
PIA ELDA LOCATELLI

  La seduta comincia alle 9.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente della Sezione italiana di Amnesty International, Antonio Marchesi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti delle minoranze per il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale, l'audizione del Presidente della Sezione italiana di Amnesty International, Antonio Marchesi.
  Do il benvenuto al professor Marchesi, che è accompagnato dalla dottoressa Elena Santiemma.
  Credo sia persino superfluo ricordare l'importanza e l'impatto sul versante della tutela dei diritti umani di un'organizzazione quale Amnesty International, fondata nel 1961 dall'avvocato inglese Peter Benenson, che lanciò una campagna per l'amnistia dei prigionieri di coscienza e che ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1977.
  Ricordo solo che attualmente Amnesty International è un movimento globale di oltre 7 milioni di persone che svolgono iniziative e azioni per un mondo in cui i diritti umani siano goduti da tutti e tutte. È presente in più di centocinquanta Paesi e territori, impegnata in campagne per porre fine a gravi violazioni dei diritti umani. In Italia i soci sostenitori sono oltre 65 mila.
  Il rapporto annuale che questa associazione pubblica ogni anno è prezioso per gettare luce sulla situazione dei diritti umani a livello globale. Il rapporto 2015-2016 – è un tomo e lo voglio mostrare – testimonia, in particolare, la durissima prova a cui è sottoposta la capacità dell'intero sistema internazionale di dare risposta alle crisi e agli sfollamenti di masse di persone.
  È un sistema che si è rivelato tristemente inadeguato anche in relazione alle note vicende del perdurare del conflitto armato in Siria, con ormai più della metà della popolazione in fuga oltre i confini nazionali o sfollata internamente al Paese, oltre che alle crisi umanitarie purtroppo in atto in molte zone del pianeta.
  Do la parola al professor Marchesi affinché svolga il suo intervento.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente della Sezione italiana di Amnesty International. Vi ringrazio dell'invito. Presenterò sinteticamente il rapporto annuale di Amnesty 2015-2016, ma prima vorrei dire due parole per chiarire cosa significhi questo volume per noi.
  È un elemento che connota Amnesty International. È un elemento identitario. Noi siamo spesso definiti come un'organizzazione che pubblica rapporti, anche nelle voci enciclopediche che parlano di Amnesty International. È il frutto della nostra ricerca. Più precisamente, è una sorta di distillato dei documenti che noi pubblichiamo nel corso di un anno, una sintesi dei nostri prodotti di ricerca, che sono, a loro volta, soltanto la parte certificata di quello che veniamo a sapere. Pubblichiamo solo ciò che abbiamo potuto verificare scrupolosamente e di cui possiamo dire con Pag. 4certezza che siano fatti veritieri. Ne va della nostra credibilità, che per noi è un bene estremamente prezioso.
  Il rapporto vuole essere anche uno strumento di lavoro, tanto più per chi si occupa di politica estera, che può trovare utile consultarlo per avere un punto di vista indipendente sui diritti umani, che sono un aspetto della vita degli Stati. Siamo orgogliosi di pubblicarlo ogni anno, ormai dagli anni Settanta, anche in versione italiana. Credo sia forse l'unica versione, al di fuori di quelle nelle lingue internazionali, a essere regolarmente pubblicata.
  Descriverò molto sinteticamente il suo contenuto. Parto da alcuni dati numerici che certo non sostituiscono le informazioni qualitative, ma sono utili per dare un'idea della dimensione di certi fenomeni.
  Il volume contiene voci su centosessanta Paesi sui quali Amnesty International ha svolto attivamente ricerca o ha ricevuto informazioni da fonti credibili su violazioni dei diritti umani commesse nel corso del 2015. Non è una classifica tra Paesi. Classifiche non ne facciamo. Non saremmo in grado di farle e non ci sembra neppure particolarmente utile farle. L'esclusione di alcuni Paesi dal rapporto annuale non significa necessariamente che vada tutto bene. Può essere che non si abbiano informazioni sufficienti. Non va interpretata in maniera univoca.
  I dati relativi ai temi classici di Amnesty, quali la libertà personale, i processi iniqui, la tortura, i maltrattamenti, sono i seguenti. Ci risulta che in oltre sessanta Paesi i governi abbiano detenuto i cosiddetti prigionieri di coscienza, ovvero persone la cui unica colpa è di avere esercitato, senza fare uso, e senza istigare all'uso, della violenza, i loro diritti e le loro libertà civili.
  In almeno centotredici Paesi la libertà di espressione e di stampa è stata sottoposta a restrizioni arbitrarie. In centocinquantasei Paesi i cosiddetti difensori dei diritti umani – gli human rights defender – sono stati detenuti e, in alcuni casi, sono morti nel corso della detenzione. In ottantotto Paesi si sono svolti processi iniqui. In almeno centoventidue Paesi abbiamo registrato casi di tortura o di gravi maltrattamenti. Come ripeto, non si tratta di fare di tutte le erbe un fascio. Le situazioni nei Paesi sono ovviamente molto diverse l'una dall'altra, ma si tratta di dare un'idea complessiva della estrema rilevanza di questi fenomeni.
  Una serie di dati riguarda il contesto dei conflitti armati, che è particolarmente presente nel rapporto annuale di quest'anno. In almeno diciannove Paesi sono stati commessi crimini di guerra o gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. In trentasei Paesi abbiamo registrato abusi da parte di gruppi armati. Possono essere gruppi armati, come ISIS o Boko Haram, che controllano il territorio o gruppi armati di altro tipo.
  Vengo infine alla crisi dei rifugiati, che per una parte significativa è conseguenza di questi conflitti. Secondo un dato – non nostro, ma dell'UNHCR –, sono circa sessanta milioni le persone che si trovano lontane dalle loro case; in molte situazioni, anche da diversi anni. Sono almeno trenta – è un dato che trovo particolarmente inquietante – i Paesi che hanno rinviato illegalmente rifugiati o persone titolari di protezione internazionale verso Paesi in cui la loro vita e la loro libertà erano in pericolo, violando il ben noto principio di non-refoulement.
  L'ultimo dato, prima di passare alla descrizione qualitativa, riguarda la questione della pena di morte. Si tratta di dati successivi alla pubblicazione del rapporto annuale, ma mi sembra che possano essere interessanti. Per quanto riguarda la previsione della pena di morte, centodue Paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati; altri sei per i reati ordinari, a esclusione dei reati previsti dai codici militari di guerra, mentre trentadue sono i Paesi cosiddetti «abolizionisti de facto», perché non vi sono esecuzioni da almeno dieci anni e, spesso, c'è anche un impegno internazionalmente assunto a non applicare la pena di morte.
  Il totale è di centoquaranta Paesi. Sono tanti, se si guarda indietro, ma cinquantotto mantengono la pena di morte nelle loro leggi. Di questi cinquantotto, passando al dato sulle esecuzioni capitali, soltanto Pag. 5una ventina esegue effettivamente condanne a morte ogni anno. Ormai il dato oscilla, più o meno, tra i venti e i venticinque Paesi. Si contano sulle dita di una mano i Paesi che sono responsabili di oltre l'85 per cento delle esecuzioni.
  Per quanto riguarda il 2015, la classifica è guidata dalla Cina. Amnesty International non fornisce dati sulla Cina. Sappiamo che le esecuzioni capitali sono nell'ordine delle migliaia, ma da diversi anni non siamo in grado di fornire una stima sufficientemente precisa per poterla rendere pubblica. Seguono l'Iran, con almeno novecentonovanta esecuzioni nel 2015, il Pakistan, dove ne abbiamo registrate trecentoventiquattro, l'Arabia Saudita, con centocinquantotto e gli Stati Uniti, con ventotto esecuzioni. È un dato in diminuzione costante: il più basso dai primi anni Novanta. Infine, c'è l'Egitto con ventidue esecuzioni. Mi riferisco alle esecuzioni, perché le condanne, nel 2015 e nel 2016, spesso a seguito di processi iniqui, in Egitto sono nell'ordine delle centinaia.
  Nei primi mesi del 2016, mettendo da parte la situazione della Cina, è l'Arabia Saudita a guidare la classifica. Questa è una classifica, perché i dati sono oggettivi. Le esecuzioni, in meno di tre mesi, sono state ottanta.
  Complessivamente, il numero delle esecuzioni è più alto rispetto agli anni precedenti. Questo, però, può dipendere anche dalla disponibilità di informazioni ed è comunque da segnalare che il fenomeno è significativo, almeno da un punto di vista quantitativo, in un numero ormai molto esiguo di Paesi.
  Provo a indicare alcune tendenze generali che emergono dalla lettura del rapporto. Ne possiamo individuare sicuramente quattro, collegate fra loro.
  La prima è la tendenza alla violazione sistematica del diritto internazionale umanitario nell'ambito di alcuni conflitti armati.
  Mi riferisco ovviamente alla Siria, in cui denunciamo – ma non siamo soltanto noi a farlo – bombardamenti di obiettivi civili e bombardamenti indiscriminati che non consentono di distinguere gli obiettivi civili dagli obiettivi militari. Sono particolarmente gravi i ripetuti attacchi contro le strutture sanitarie, gestite, a volte, da organizzazioni umanitarie internazionali, e c'è un uso piuttosto ampio di armi vietate dal diritto internazionale, tra cui i cosiddetti «barili bomba». Oltre ai bombardamenti, in Siria, a rendere più grave e più tragica la situazione, vi sono gli assedi delle aree abitate da civili e gli ostacoli – blocchi veri e propri – all'assistenza umanitaria a una popolazione che, in alcuni casi, è affamata.
  In Yemen si riscontrano bombardamenti indiscriminati, bombardamenti di obiettivi civili e uso di armi come le «bombe a grappolo». Mi permetto di segnalare che l'Arabia Saudita, nell'ambito del suo intervento in Yemen, ha utilizzato, anche di recente, armi di fabbricazione italiana. Amnesty International ha le prove di questo. Abbiamo chiesto – e continueremo a chiedere – alle autorità italiane un'interruzione delle forniture di armi all'Arabia Saudita finché permane questa situazione. A nostro modo di vedere, è la stessa legge italiana a prevederlo.
  La seconda tendenza è costituita dal controllo di ampie porzioni di territorio, soprattutto in Africa e in Medio Oriente, da parte di gruppi armati come ISIS e Boko Haram, che usano il terrore come mezzo di dominio e che commettono crimini orrendi in nome di una ideologia arcaica.
  La terza tendenza generale è costituita dalla crisi dei rifugiati, che non possiamo approfondire in questa sede. Basti dire che, di fronte a questa crisi, i Paesi occidentali non hanno saputo, a nostro modo di vedere, garantire il rispetto del diritto internazionale. Hanno adottato, spesso muovendosi in ordine sparso, misure che hanno portato alla morte di migliaia di persone sulle rotte migratorie e hanno applicato politiche che, di fatto, si sono tradotte nella violazione dei diritti elementari di uomini, donne e bambini costretti a lasciare il proprio Paese e che hanno subito abusi sia durante la fuga sia nel continente europeo.
  La quarta tendenza, infine, riguarda quelle che noi consideriamo risposte sbagliate alla minaccia terroristica. Vari governi, Pag. 6 in vari continenti e in varie parti del mondo, si sono affrettati a colpire nel mucchio e a ridurre al silenzio la società civile, ripetendo alcuni degli errori che sono stati commessi, a nostro avviso, all'inizio degli anni Duemila. In diversi Paesi misure antiterrorismo hanno rappresentato l'occasione per imporre gravi restrizioni dei diritti individuali, sorveglianza di massa, poteri speciali alle forze di sicurezza, uso ingiustificato della forza nei confronti di cittadini che manifestano in forma pacifica. In alcuni casi, queste norme sono state utilizzate per reprimere l'opposizione politica, limitare la libertà di espressione, effettuare arresti arbitrari, sottrarre l'azione dei governi al controllo del potere giudiziario.
  C'è una quinta tendenza, su cui mi soffermo brevemente, che rende più complicato affrontare le altre quattro. Ci riferiamo all'indebolimento complessivo del sistema intergovernativo di protezione dei diritti umani. Per quanto riguarda il sistema delle Nazioni Unite, non ci sono solo le difficoltà del Consiglio di Sicurezza, che, ad esempio, ha affrontato la crisi siriana con grave ritardo a causa dell'ostruzionismo della Russia. I due Alti commissari per i diritti umani e per i rifugiati sono spesso poco sostenuti dai governi.
  La Corte penale internazionale è boicottata da diversi Stati africani e sostenuta più debolmente, di quanto non avveniva in precedenza, dagli Stati europei. È particolarmente doloroso vedere come Paesi quali il Sudafrica, un tempo paladini della giustizia internazionale, abbiano accolto personaggi incriminati dalla Corte penale internazionale trattandoli come dignitari, mentre, allo stesso tempo, i difensori dei diritti umani, nella migliore delle ipotesi, hanno subito fermi e arresti illegali.
  Persino i sistemi regionali di protezione dei diritti umani, che sono i più antichi e i più consolidati, sono sotto attacco: quello interamericano, da parte del Venezuela e quello europeo, da parte del Regno Unito.
  Accenno brevemente ad alcuni Paesi. Non è possibile fare un elenco lungo, ma alcune situazioni particolarmente critiche meritano di essere segnalate. In Kenya si registrano esecuzioni extragiudiziali, sparizioni, discriminazione contro i rifugiati, oltre al tentativo, come in Sudafrica, di indebolire la Corte penale internazionale.
  In Egitto, di cui quasi tutti gli italiani si sono dovuti, loro malgrado, interessare a causa della vicenda speciale, ma non isolata, di Giulio Regeni, ci sono stati migliaia di arresti nel 2015 nei confronti di chi aveva espresso pacificamente le proprie critiche al governo, nell'ambito di una repressione nel nome della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo. Dopo gli arresti è seguita una detenzione prolungata senza accuse né processo. Ci sono state centinaia di condanne a morte. Le esecuzioni sono state poche, ma le condanne numerosissime ed è diffusa la tortura, spesso a seguito della sparizione, ovvero del sequestro da parte delle forze di sicurezza.
  L'Arabia Saudita ha represso brutalmente chi ha osato chiedere riforme o ha contestato le autorità. Si caratterizza anche per le gravissime discriminazioni nei confronti delle donne, oltre che per il suo ruolo nell'azione militare in Yemen.
  In Russia c'è un uso improprio di leggi di sicurezza nazionale, che hanno, tra l'altro, un contenuto estremamente vago, che può essere interpretato in maniera arbitraria. C'è un giro di vite nei confronti delle ONG, compresa Amnesty International, e della società civile. C'è il rifiuto vergognoso di riconoscere la responsabilità per le vittime civili di una parte dei bombardamenti effettuati in Siria.
  In Messico l'uso della tortura è diffusissimo. L'impunità per i torturatori è altrettanto diffusa. Risultano decine di migliaia di sparizioni forzate. Stiamo parlando di numeri che assomigliano a quelli dell'Argentina o del Cile degli anni Settanta.
  In Thailandia la libertà di espressione è oggetto di misure repressive. Sono stati arrestati dissidenti per avere organizzato rappresentazioni teatrali e per avere messo dei post su Facebook o per graffiti sui muri.
  In Israele continua il blocco nei confronti di Gaza, con la punizione collettiva di un numero significativo di abitanti, e il rifiuto di condurre indagini serie sui crimini Pag. 7 di guerra commessi nel 2014, sempre a Garza.
  Infine, cito molto brevemente due Paesi forse meno al centro dell'attenzione internazionale. In Gambia vi sono torture e sparizioni, ma soprattutto criminalizzazione degli omosessuali e delle persone LGBT in particolare. Il Pakistan fa parte di quel gruppo ristretto di Stati che usano la pena di morte in maniera sistematica e ha una legislazione contro il terrorismo che giustifica gravi violazioni dei diritti umani.
  Concludo dicendo che il quadro che emerge da questo rapporto annuale è, purtroppo, inquietante. In passato si parlava spesso di luci e ombre. Questa volta le ombre prevalgono nettamente. Anche in alcuni Paesi che in passato hanno raggiunto livelli piuttosto alti di rispetto dei diritti umani si stanno facendo delle marce indietro, con l'uso di una legislazione securitaria contro il dissenso politico, l'adozione di misure anti-rifugiati in violazione del diritto internazionale e, in alcuni casi, la profilazione etnica nei confronti di persone del tutto estranee a reati di terrorismo.
  Poi ci sono le crisi, gravissime, del Burundi, del Sud Sudan, del Sudan, della Repubblica democratica del Congo, della Repubblica Centrafricana e le uccisioni commesse da Boko Haram in Nigeria, in Ciad, in Camerun e in Niger. Ho già citato la situazione dei crimini di guerra commessi in Siria e in Yemen.
  In America centrale c'è un fenomeno grave, per cui molte persone sono costrette alla fuga dal territorio che abitano a causa del dominio incontrastato della criminalità organizzata e dell'azione illegale – che non protegge la popolazione civile – delle forze di sicurezza. C'è un miscuglio tossico di violenza, diseguaglianza, povertà e danni ambientali che caratterizza la vita di queste persone.
  Persistono, infine, gravi discriminazioni nei confronti delle donne e pratiche atroci quali i matrimoni infantili e le mutilazioni genitali femminili. La discriminazione nei confronti delle persone LGBT in alcuni Paesi ha raggiunto livelli molto gravi. In particolare, in alcuni Paesi africani l'omosessualità è punita con il carcere o, addirittura, nei codici, con la pena di morte.
  Mi fermo, sperando di avere dato un quadro complessivo delle preoccupazioni di Amnesty International per il 2015 e i primi mesi del 2016.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente, per aver esposto questo quadro, pieno di ombre.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIETTA TIDEI. Tengo a ringraziare il dottor Marchesi per questo quadro, molto preciso e dettagliato. Direi che non è solo pieno di ombre, ma allarmante.
  Quella che emerge, ascoltandola, è un'involuzione nella tutela dei diritti umani, che dovrebbe allarmarci tutti e che, a volte, ci lascia basiti, perché il tema dei diritti umani è trattato in tanti luoghi, proliferano le associazioni e le organizzazioni non governative e gli Stati tentano di darsi linee guida e regole per una normativa internazionale. A sentire Lei – e non solo – purtroppo, emerge un'involuzione che ci preoccupa e ci trova a corto di idee. Non si riesce a capire cosa fare, perché tutti i giorni assistiamo a violazioni dei diritti umani.
  Ero particolarmente interessata a un caso che Lei non ha citato. Mi riferisco alla Turchia. È di questi mesi l'Accordo tra l'Unione europea e la Turchia per il contenimento dei flussi migratori. Molte organizzazioni internazionali hanno espresso dubbi su quell'Accordo, sia per quanto riguarda la violazione della normativa internazionale sia, soprattutto, per quanto riguarda gli aspetti legati alla tutela dei diritti umani. Vorrei un Suo parere su quell'Accordo e su ciò che sta accadendo in Turchia.
  È di ieri l'attentato a Istanbul, ma la legislazione securitaria comprime fortemente le libertà civili perché, con la scusa della lotta al terrorismo, vengono zittite tutte le voci dissonanti nei confronti del governo e della presidenza della Turchia, mentre nell'est del Paese si svolgono operazioni Pag. 8 di vera e propria pulizia etnica nei confronti dei curdi.
  Mi piacerebbe un approfondimento su questa questione.

  MICHELE NICOLETTI. Ringrazio il professor Marchesi, per questa presentazione, così ampia e drammatica, considerati i temi che ci ha proposto.
  La mia domanda generale, e già, in parte, evocata dalla collega, è relativa agli strumenti che, sulla base della vostra esperienza, possiamo mettere in atto. Questo Comitato, all'interno della Commissione affari esteri, ha come costante preoccupazione quella di conciliare la politica estera del nostro Paese e dell'Unione europea, per quanto è in noi poterla determinare, e un pieno rispetto dei diritti umani. Nelle nostre carte ciò è già presente, ma gli strumenti operativi con cui rendere efficace questo obiettivo, che noi tutti condividiamo, sono, invece, molto controversi.
  Abbiamo avuto casi, in passato, in cui, in nome dei diritti umani, abbiamo rovesciato regimi dittatoriali, producendo, per via di mezzi non appropriati, situazioni in cui le violazioni dei diritti umani si sono rese ancora più ampie. C'è la questione delle sanzioni, a cui spesso ricorriamo e che spesso si rivolgono, anziché contro i governi, contro le popolazioni civili.
  Per noi, quindi, sarebbe molto importante riuscire a capire, dalla vostra esperienza, come poter utilizzare – l'equilibrio va trovato caso per caso – gli strumenti che sono a nostra disposizione per rendere informata al rispetto dei diritti umani la nostra politica estera.
  Lei ha evocato un tema importante con riguardo all'applicazione della legislazione italiana in termini di commercio di armi, che è una delle nostre preoccupazioni. Ha evocato anche la preoccupazione per l'indebolimento del sistema regionale europeo e su questo Le chiederei una parola di più. Ha citato il Regno Unito e immagino facesse riferimento alla posizione del Regno Unito sulla Corte europea di Strasburgo. Purtroppo non c'è solo il Regno Unito. Anche altri Paesi avanzano riserve e questo, naturalmente, non aiuta.
  Da ultimo, riguardo al caso italiano, Le chiederei una parola sulla questione dei rifugiati. Stiamo discutendo di hotspot galleggianti. Io sono reduce da una visita, con il Consiglio d'Europa, all'isola di Lesbo e ho visto il problema enorme della gestione degli hotspot. Pensare di farli sulle navi mi sembra non rispettoso dei diritti umani e totalmente irrealizzabile dal punto di vista pratico, se la procedura vuole essere condotta in modo rigoroso e rispettoso del diritto internazionale.
  Voi avete osservatori più ampi e il vostro parere sarebbe prezioso.

  GIANNI FARINA. Sono arrivato in ritardo, ma penso di aver ascoltato l'essenziale e non posso che condividere gli interventi dei miei colleghi.
  Mi pare che Lei, presidente Marchesi, non abbia accennato ad alcun Paese dell'ex Unione Sovietica, con riferimento alla pena di morte. Mi piacerebbe sapere qual'è la situazione.

  PRESIDENTE. Aggiungo una considerazione riferendomi a quanto ha detto il collega Nicoletti, sugli strumenti.
  Ieri, alcuni di noi hanno presentato una interpellanza sulla Turchia per chiedere al nostro Paese di assumere iniziative con riferimento all'emendamento costituzionale che ha revocato l'immunità parlamentare dei colleghi turchi. C'è stata qualche iniziativa, da parte vostra, su questo tema? È un esempio degli strumenti che noi possiamo usare, non sappiamo con quale efficacia.
  Sempre con riferimento a quanto detto dal collega Nicoletti, pare che ieri si sia iniziato a elaborare un documento europeo in materia di migrazioni e di richiedenti asilo e protezione internazionale che nasce dalla proposta italiana definita «Migration Compact». Io ho la profonda preoccupazione che questo documento ricalchi l'Accordo tra Unione europea e Turchia, che, a mio parere, in tante sue parti, viola i diritti umani.
  Immagino che, da ieri sera, non sia stato possibile elaborare un parere, ma vi chiederei di assisterci con la massima obiettività Pag. 9 nella valutazione di questo documento, perché il tema delle persone che si spostano con richiesta di protezione internazionale è complicatissimo, ma è l'ambiente che diventa brodo di coltura per le violazioni dei diritti umani.
  Do la parola al professor Antonio Marchesi per la replica.

  ANTONIO MARCHESI, Presidente della Sezione italiana di Amnesty International. Non riuscirò a rispondere a tutte le domande, perché richiederebbero considerazioni più ampie, che mi riservo di fare per iscritto, in un momento successivo.
  Non ho citato la situazione della Turchia solo perché ho citato pochi Paesi. Entrambi i profili che Lei, onorevole Tidei, ha evocato, ossia il giro di vite sulla società civile e sulla libertà di espressione, gli arresti e i procedimenti penali contro giornalisti e direttori di giornali e la questione dei rifugiati, ci preoccupano molto.
  Siamo intervenuti a più riprese, in questi mesi, sugli effetti dell'Accordo tra Unione europea e Turchia. Non riteniamo che quell'Accordo garantisca i diritti fondamentali delle persone che fuggono dal conflitto, sia per il trattamento che ricevono in Turchia sia per il rischio elevato che siano rispediti nel Paese di origine. Non posso entrare in dettaglio, ma sono disponibile a fornire ulteriori informazioni sulla Turchia.
  La questione degli strumenti è una questione fondamentale. Amnesty International è un'organizzazione internazionale e si rivolge alla comunità internazionale. L'Italia fa parte della comunità internazionale e noi, come Sezione italiana, chiediamo uno sforzo collettivo, ad esempio, per rafforzare il sistema delle Nazioni Unite. Tra qualche mese ci sarà un nuovo Segretario Generale. Chiediamo, ad esempio, che la modalità di scelta del nuovo Segretario Generale sia tale da individuare una persona autorevole, che abbia un curriculum specchiato dal punto di vista dei diritti umani.
  Per quanto riguarda il Consiglio di Sicurezza, l'Italia è candidata ad un seggio non permanente. Se dovesse avere un rappresentante al Consiglio di Sicurezza potrebbe svolgere un ruolo importante nel tentativo di evitare che vengano posti veti su questioni nelle quali il veto non è, politicamente e moralmente, accettabile.
  Per quanto riguarda la politica estera italiana, noi apprezziamo una serie di elementi portanti della politica estera multilaterale dell'Italia, dal lavoro sulla pena di morte a quello su altri temi come le spose bambine o le mutilazioni genitali. Siamo tradizionalmente più critici sulle relazioni bilaterali dell'Italia, dove ci sembra, a volte, mancare la ricaduta necessaria che dovrebbe derivare dalle posizioni assunte sul piano multilaterale. Questo può riguardare la pena di morte o può riguardare i diritti umani, in generale. Riteniamo che i diritti umani debbano essere il più possibile presenti nell'agenda degli incontri bilaterali dei rappresentanti italiani con i rappresentanti di altri Paesi.
  Abbiamo apprezzato le posizioni espresse dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale rispetto al caso Regeni. Dal nostro punto di vista, il caso non riguarda solo un nostro connazionale all'estero, ma è un problema di diritti umani che si inserisce in un contesto dal significato molto più ampio. Siamo preoccupati dallo stallo della vicenda, perché la collaborazione delle autorità egiziane non c'è o, quanto meno, è minima rispetto a quello che si richiede. Ci stiamo interrogando su quali altre misure proporzionate possano essere adottate.
  Per quanto riguarda la Corte europea dei diritti dell'uomo, riteniamo che sarebbe importante che l'Italia fosse sempre pronta ad attuare pienamente le sentenze. Il caso Torreggiani è un caso, tutto sommato, positivo. Altre sentenze non hanno visto una risposta analoga da parte dell'Italia. Rafforzare la Corte, secondo noi, significa innanzitutto rispettarne appieno le sentenze.
  In tema di rifugiati, ci sono questioni di breve periodo e questioni strutturali più importanti. Le questioni di breve periodo sono quelle relative agli hotspot. Il sistema, secondo noi, non sta funzionando. Per quanto riguarda l'Italia, ci sembra che il problema non siano tanto le condizioni degli hotspot, quanto le garanzie per coloro Pag. 10che arrivano attraverso gli hotspot. Non sono garanzie adeguate alla situazione.
  Il problema di fondo è evidentemente risolvere la distribuzione del peso tra gli Stati europei, e noi siamo, molto spesso, sulla stessa posizione dell'Italia, perché gli interlocutori che non collaborano in maniera adeguata, secondo noi, sono semmai altri Stati europei.
  Credo che il tempo a mia disposizione si stia esaurendo, ma vi segnalo un'ultima novità. Ieri abbiamo pubblicato un comunicato, che vi possiamo lasciare, a proposito della credibilità delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite si sono chinate alle pressioni dell'Arabia Saudita e della coalizione da essa guidata e dal rapporto del Relatore speciale sui diritti dei minori circa lo sfruttamento dei bambini nei conflitti armati sono stati rimossi i riferimenti all'Arabia Saudita e agli altri Paesi membri della coalizione che il Relatore speciale aveva inserito tra i Paesi responsabili di violazioni dei diritti dei minori. Il rapporto era stato già approvato e le pressioni di un gruppo di Stati hanno ottenuto dalle Nazioni Unite la rimozione dei riferimenti a quegli Stati. Questo ci sembra particolarmente grave.
  Spero di dare successivamente risposte più esaurienti. Per quanto riguarda l'ex Unione Sovietica, ho citato solo la Russia, ma non a proposito della pena di morte. Il tema esiste ancora, ma riguarda soprattutto alcuni Paesi dell'Asia centrale. In questo periodo stiamo lavorando con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con «Nessuno tocchi Caino» e con la Comunità di Sant'Egidio per preparare la nuova risoluzione sulla pena di morte, che verrà presentata all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, alla fine dell'anno. All'interno di questo esercizio c'è un lavoro sui singoli Paesi, per cercare di portarli verso posizioni abolizioniste.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per questa ricchissima relazione e anche per aver risposto alle nostre sollecitazioni.
  Le chiediamo di mantenere contatti costanti con noi, perché siete osservatori molto presenti sul campo, mentre noi lo siamo un po’ meno e ci piacerebbe essere considerati interlocutori, nel senso di ricevere vostre segnalazioni in caso di violazione dei diritti umani.
  Le chiediamo anche copia della sua relazione, affinché ci rimanga in forma integrale. Se prima di inviarcela volesse elaborarla rispetto alle domande che sono rimaste aperte, Le saremmo molto grati. Vi salutiamo e ringraziamo per questa collaborazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.50.

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