XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Giovedì 21 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PRIORITÀ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA

Audizione dell'Ambasciatore del Regno del Marocco, S. E. Hassan Abouyoub.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Abouyoub Hassan , Ambasciatore del Regno del Marocco ... 4 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 ,
Garavini Laura (PD)  ... 7 ,
Tidei Marietta (PD)  ... 8 ,
Tacconi Alessio (PD)  ... 8 ,
Cassano Franco (PD)  ... 8 ,
Pinna Paola (PD)  ... 9 ,
Monaco Francesco (PD)  ... 9 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Abouyoub Hassan , Ambasciatore del Regno del Marocco ... 9 ,
Tidei Marietta (PD)  ... 14 ,
Abouyoub Hassan , Ambasciatore del Regno del Marocco ... 14 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dell'Ambasciatore del Regno del Marocco, S. E. Hassan Abouyoub.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, l'audizione dell'Ambasciatore del Regno del Marocco, Sua Eccellenza Hassan Abouyoub.
  Abbiamo convocato l'Ambasciatore del Marocco per varie ragioni. In primo luogo, il Marocco ha un'importanza strategica rispetto alla crisi che è in atto in Medio Oriente. In secondo luogo, ha rappresentato una via diversa da tutte le altre poiché non c'è stato il fenomeno chiamato della «primavera araba». A monte di questo c'è stata, infatti, una gestione politica sia da parte della monarchia sia del governo che ha introdotto degli elementi di riformismo e di articolazione del sistema politico e della società marocchina, per cui non si sono manifestate le tensioni che si sono, invece, avute in altri Paesi in cui, appunto, non ci sono stati elementi di riformismo e di articolazione istituzionale. Da questo punto di vista, il Marocco ha, quindi, una sua dimensione specifica. Non che non abbia dei problemi, ma – ripeto – ha una dimensione diversa rispetto alla crisi che attraversa in modo drammatico altri Paesi. Non parliamo solo della Siria e dell'Iraq, ma anche di altri Stati come la Tunisia, l'Egitto e così via.
  In secondo luogo, con il Marocco esistono dei rapporti significativi riguardo alla lotta al terrorismo, sia nel contesto del Medio Oriente sia attraverso i contributi che vengono dati rispetto alla realtà di alcuni Paesi europei. Questo è, pertanto, un altro aspetto da considerare.
  Il terzo elemento è un elemento culturale. Nella società civile del Marocco, come del resto anche in qualche altro Paese, a partire dal re, che ha una dimensione anche religiosa, c'è lo sforzo di dare una visione e un'interpretazione culturale «moderata», in riferimento a filoni storici presenti nella storia dell'islam, che sono del tutto alternativi e diversi da quelli costituiti dal fondamentalismo islamico e dalle sue derivate parossistiche di stampo terroristico.
  Insomma, vi è un complesso di ragioni che hanno fatto sì che il nostro interesse nei confronti della realtà marocchina fosse molto elevato, favorito dal contributo che l'Ambasciatore Hassan Abouyoub ha sempre dato a questo tipo di riflessione e di confronto.
  Queste sono, pertanto, le ragioni di questa audizione. Nel ringraziare l'Ambasciatore, che è accompagnato dai consiglieri Hachem El Moummy e Mohammed Reda Skalli, per la sua disponibilità a prender parte ai nostri lavori, segnalo che la collega Eleonora Cimbro, malgrado ci tenesse molto, non potrà prendere parte a questa seduta in quanto impegnata a Strasburgo nella sua qualità di componente della delegazione Pag. 4 parlamentare italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Mi ha chiesto, tuttavia, Ambasciatore, di farle pervenire un messaggio di scuse, che leggo, anche per metterlo nel verbale della nostra seduta: «Caro Presidente, cari colleghi, i lavori del Consiglio d'Europa mi tengono lontana dall'Aula questa settimana, ma, come presidente della sezione di amicizie dell'Unione interparlamentare Italia-Marocco, ci tengo a lasciare un segnale di presenza in questa audizione anche per sostenere il lavoro della UIPM, svolto in completa sinergia con l'Ambasciatore Hassan Abouyoub, che spazia davvero su molti fronti. Sono certa che l'incontro di oggi sarà proficuo giacché il Marocco è un Paese fondamentale per la stabilità del Mezzogiorno. Aggiungo anche che a breve la delegazione italiana sarà in Marocco proprio per continuare la collaborazione e approfondire la partnership con questo Paese».
  Do, quindi, la parola all'Ambasciatore.

  HASSAN ABOUYOUB, Ambasciatore del Regno del Marocco. Grazie, presidente, onorevoli. Sono molto lieto di ritornare in quest'Aula dopo le audizioni simili già svolte tempo fa. Il tema della vostra agenda incontra le preoccupazioni e le priorità del mio Paese come attore regionale e internazionale.
  Se la memoria non mi inganna, c'era un dibattito che è rimasto pessimista riguardo al discorso sulla geopolitica. Dopo alcuni mesi la situazione non è migliorata per niente. Siamo, quindi, davanti a un disordine ancora più grave a livello sia della nostra regione, «Mare Nostrum», sia più globale dell'Africa e del Medio Oriente. Dunque, ci sono ancora conflittualità tra di noi; c'è violenza e difficoltà di dialogo, di approccio e di mediazione da parte dell'ONU, nella buona volontà che abbiamo visto e vissuto nel suo progetto di aiutare la stabilità del mondo. Da questo momento, ci sono già gli effetti dello sbaglio strategico dell'America e dell'Europa, cioè della Francia, in Siria, Iraq e Libia e stiamo ancora affrontando una situazione molto complicata nello Yemen.
  Ormai, è una sfida comune intravedere quello che sarebbe l'esito di questa realtà complicatissima per tutti noi. A questa conflittualità si è aggiunta la nuova crisi del petrolio, con il crollo dei prezzi, che ha messo in difficoltà i Paesi emergenti e i produttori a livello mondiale e soprattutto regionale. Nella nostra regione in particolare, c'è la grave crisi che i vicini fratelli algerini stanno affrontando, al di là della crisi istituzionale che seguite, come noi, con un'ansia maggiore.
  Il panorama, dunque, rimane nel buio, totalmente fuori dal controllo dei meccanismi multilaterali. Abbiamo osservato di nuovo la difficoltà per l'ONU di implementare qualsiasi modello di soluzione, in qualsiasi teatro di conflittualità. Per noi tutti c'è una grande preoccupazione a questo livello. In questo periodo abbiamo vissuto due drammi terribili, quello del Bataclan a Parigi e recentemente quello in Belgio, dimostrando ancora di più il fallimento condiviso del grande processo d'integrazione della terza o quarta generazione di immigrati in Europa.
  Nel provare a capire perché questi drammi stanno accadendo, la risposta che viene subito è proprio quella del fallimento del processo di integrazione. Questi criminali, infatti, hanno perso tutti i riferimenti identitari e dunque non sanno più qual è il loro modello e la loro appartenenza. Fare ciò che hanno fatto rimane un modo per dare prova di sé.
  La situazione è drammatica e non è ancora totalmente sotto controllo. Noi lo sappiamo bene perché il nostro sistema di sicurezza ha seguito molto in dettaglio questa realtà per anni e purtroppo in questo settore il fabbisogno di partenariato e di cooperazione rimane enorme. Siamo totalmente in sintonia con i sistemi di sicurezza dell'Europa e di altre realtà, ma ci vuole il contributo di altri protagonisti, a livello nazionale, per affrontare questa complessità, sapendo che le radici sono fuori dall'Europa, a livello regionale, subregionale e locale. Questo richiede un'attenzione e una priorità condivisa da tutti, nonché un approccio che sia non solo di hard security, ma anche soft. Noi abbiamo scelto quella Pag. 5strada nel mischiare la hard security con il livello spirituale e ideologico, quindi con l'educazione religiosa e culturale di queste popolazioni. Direi che sta funzionando benissimo. Abbiamo costituito un istituto di formazione di imam a Rabat che ormai sta ricevendo candidati da tutta l'Africa, ovvero dal Sahel, ma anche dall'Europa (Francia, Belgio e, forse, fra poco anche dall'Italia), dal Canada e da tanti altri Paesi.
  Diventa ovvio che la narrativa e l'accompagnamento culturale sono assolutamente vitali. Dobbiamo pensare a questo tramite un progetto regionale perché, nonostante tutti i mezzi che siamo in grado di mettere in questo campo, la domanda è incredibile. Siamo già a quasi 2.500 imam. Solo l'Italia avrebbe bisogno di 900 imam per sostituire quelli che non avrebbero la possibilità di esistere come tali nel loro Paese d'origine perché non hanno né la qualifica, né l'orientamento spirituale e ideologico. Si tratta, dunque di un cantiere enorme. In questo buio, cosa fa il Marocco? Noi proseguiamo sulla nostra strada, soprattutto a livello delle riforme. Abbiamo avuto l'implementazione della nuova governance regionale con le elezioni regionali del settembre scorso, che hanno cambiato in modo radicale il paesaggio politico. Stiamo affrontando lo stesso paesaggio politico dell'Europa e dell'Italia in particolare, cioè il crollo della sinistra socialista e della destra tradizionale e l'emergere della forza politica ispirata dall'Islam politico, ma questi pezzi di radicalismo ideologico rimangono nel nostro panorama. Inoltre, stiamo affrontando la stessa battaglia anche a livello dell'astensione, che per la prossima scadenza del 7 ottobre prossimo sarà la grande sfida, ovvero riconciliare l'opinione pubblica con la classe politica. È una sfida enorme. Vedremo ciò che produrranno questi cambiamenti che stiamo osservando a livello di alcuni partiti. Tuttavia, in questo senso la sfida – ripeto – è enorme. Il processo democratico è sul binario, quindi andiamo avanti anche nella produzione legislativa. Prima che sia conclusa questa legislatura, stiamo ultimando tre testi importanti.
  Il più importante è una legge organica, cioè una legge quadro che dovrebbe dare, appunto, la cornice entro cui si può fare uso del diritto di «richiesta» costituzionale da parte del cittadino. In pratica, un cittadino può chiedere alla Corte costituzionale qualsiasi cosa in merito al sistema legislativo adottato o in opera. Lo stesso vale per tutto ciò che riguarda la capacità di mettere in discussione, da parte dei cittadini, qualsiasi disegno di legge votato sia dal Governo sia dal Parlamento. È un modello un po’ anglosassone, che è molto importante perché fa parte dei pilastri della nostra nuova Costituzione.
  La regione è molto avanti, nel senso che ormai abbiamo sviluppato il concetto di autonomia. L'Italia è stata una delle maggiori fonti di ispirazione. Abbiamo studiato molto come funziona il sistema in Alto Adige e in Sicilia e abbiamo preso – lo pensiamo in tutta umiltà – il meglio di ciò che avete. Il presidente della regione ha poteri esecutivi, dunque è indipendente dal governo centrale e ha autonomia finanziaria. Non c'è più la realtà nel passato che dava al prefetto, ovvero al governatore, un potere importante di controllo. Adesso non è più così. Fanno il loro lavoro; votano le priorità, i progetti e i programmi. Dopodiché, funziona la solidarietà a livello regionale, ma questo è un altro discorso, che si realizza tramite i sussidi che il governo centrale dà alle regioni che non hanno i mezzi. Per esempio, una regione come quella di Casablanca sta godendo di questo aiuto, dato che l'80 per cento dell'economia è ubicata in quell'area.
  A livello di vicinato, stiamo osservando con grande cura ciò che sta accadendo in Algeria. Per noi è molto importante. Siamo in ansia, se devo dire le cose come stanno. Stiamo osservando lo sviluppo della situazione in Spagna, che è il nostro più vicino Paese europeo, sapendo che la crisi qui non è ancora superata. Viviamo, in particolare, l'aspetto dell'immigrazione spagnola alla ricerca del lavoro verso il Marocco. Questo è ormai significativo in alcune regioni, ma soprattutto in alcuni settori. Noi non siamo tranquilli e contenti perché questo significa che una parte considerevole dei nostri migranti Pag. 6 che erano in Spagna sono tornati in Marocco o hanno cambiato indirizzo, andando all'interno dell'Europa. In particolare, alcuni hanno scelto di proseguire il loro viaggio verso l'Italia.
  A livello diplomatico, alla fine dell'anno scorso abbiamo vissuto due eventi importanti, di cui uno violento con l'Europa, ovvero la decisione della Corte europea di cancellare la decisione del Consiglio riguardo alla messa in opera dell'Accordo di libero scambio agricolo. Naturalmente, rispettiamo la giustizia europea, ma la decisione era sbagliata. Difatti, il Consiglio, una settimana dopo la sentenza, ha deciso, all'unanimità, di organizzare una procedura di appello. Siamo ottimisti per l'appello, ma è stato un segnale molto importante, perché ha creato un ambiente molto strano circa il modo di lavorare del Marocco e dell'Europa. Ne parlo come protagonista importante di tutto il periodo dal 1978 al 1998, allorquando ero il negoziatore di quest'Accordo che ha chiamato in causa il tribunale europeo. C'era un clima di amicizia strategica, che è entrato in difficoltà. Fortunatamente, però, da un mese abbiamo superato questa parentesi, che comunque non è in grado di mettere in discussione il rapporto molto strategico tra l'Europa e il Marocco. Aspettiamo, comunque, la fine di quest'appello, che mi auguro conforme alla legalità internazionale perché – anche se non vorrei intervenire nel campo della giustizia europea – i giudici hanno sbagliato su molti aspetti di diritto internazionale. Ecco, non c'è bisogno di andare al di là di questo aspetto.
  Abbiamo vissuto la stessa cosa, anche se in modo differente, su un altro settore, quello del rapporto con l'ONU, con alcuni sbagli da parte di Ban Ki-Moon quando ha visitato la nostra regione circa un mese fa. In sostanza, ha sbagliato, paralizzando il Consiglio di Sicurezza sul discorso del Sahara Occidentale. La maggioranza dei quindici membri ha, infatti, denunciato il suo sbaglio e ha capito molto di più il nostro discorso e quello delle altre parti.
  Il rapporto sul Sahara Occidentale è uscito la settimana scorsa. Aspettiamo un dibattito che sarà conclusivo a fine aprile, con una risoluzione tradizionale, che sta per confermare ciò che la comunità internazionale aveva deciso dal 2007, ovvero di andare avanti con una soluzione politica di consenso tra le parti. Dopodiché, vedremo cosa si può fare in termini di implementazione, sapendo che Ban Ki-Moon sta sul punto di terminare il suo mandato e che stanno per svolgersi alcune elezioni con grandi protagonisti, in particolare quella del presidente degli Stati Uniti. A ogni modo, questi fatti non hanno cambiato molto il discorso, lineare, dell'affare «Sahara».
  Se avete delle domande, ovviamente sono pronto a rispondere. Aggiungo che a livello regionale abbiamo mantenuto la nostra tesi di aiuto agli amici, quindi stiamo intervenendo su quasi tutto il Sahel sul piano della sicurezza, sia con personale nostro sia sotto l'ombrello dell'ONU, in Africa centrale, Costa d'Avorio, Congo e così via.
  Il Marocco è il quinto contributore nel peacekeeping dell'ONU, ma anche a livello bilaterale abbiamo fatto questo con il Mali, il Niger, il Burkina Faso e recentemente il Ruanda, sempre con l'idea che il «disturbo» è una strategia diplomatica che alcuni pazzi stanno realizzando nella regione africana. Non parlo solo di Boko Haram, ma anche di tutti gli altri. Stiamo pensando che non si può lasciarli andare in modo autonomo. Occorre, quindi, un intervento con tutti gli amici, perché gli effetti sono pericolosi per tutti. Non si può continuare a osservare nella passività assoluta questo scandalo e questi drammi a livello umanitario, che ogni giorno ci danno la consapevolezza che forse abbiamo mancato qualcosa nell'approccio a tale problema.
  Nel Medio Oriente stiamo intervenendo accanto ai Paesi del Golfo, con i quali ieri sera abbiamo concluso un partenariato strategico rinnovato e aggiornato. Il Re era al consiglio tra Marocco e Paesi del Golfo, che è un salto epocale importante nella condivisione di un progetto strategico per la sicurezza della regione del Golfo. Siamo presenti, accanto ad altri amici, per il sostegno di queste realtà. Pag. 7
  Nel più ampio panorama mondiale, recentemente abbiamo concluso e allargato il partenariato strategico con la Russia, che per la prima volta ha riguardato anche la sicurezza, il mettere insieme mezzi ed altro per affrontare il terrorismo. La settimana prossima faremo la stessa cosa con la Cina. Dunque, avete notato che la nostra strategia è ormai quella di approfondire, secondo un modello di partenariato strategico, i nostri rapporti con tutte le grandi potenze del mondo. Devo dire che sta funzionando benissimo, aiutati da una visione moderata di ciò che sarebbe l'ordine mondiale rinnovato, aggiornato o almeno in grado di sostituire il disordine attuale.
  Posso concludere – anche per non parlare troppo, altrimenti il monopolio della parola sarà senza limite – su un fattore fondamentale, ovvero sul contributo del Marocco alla COP22, considerato che stiamo sul punto di accogliere questo evento importantissimo. La firma dell'Accordo a New York dovrebbe aprire il grande cancello dell'implementazione degli Accordi di Parigi. Noi stiamo mettendo la priorità sull'Africa. Dobbiamo, infatti, ammettere che a Parigi avevamo un po’ dimenticato l'Africa. Lo scopo principale è quello di inventare l'indicatore e i modelli per il finanziamento dei due obiettivi di Parigi: attenuazione o diminuzione e adattamento. A partire da questo, c'è un lavoro più ampio che è in corso e che abbiamo iniziato con la Conferenza dei ministri dell'agricoltura della settimana scorsa a Parigi.
  Stiamo andando avanti nel mobilitare la comunità internazionale per raggiungere lo scopo dell'obiettivo, ambiziosissimo, di Parigi in termini di finanziamenti. Siamo contenti perché abbiamo ricevuto segnali molto positivi, anche in relazione al fatto di accettare proposte importanti per sbloccare soldi già presenti nel Green Fund. Infatti, fino adesso non abbiamo potuto dare un esito positivo alle richieste di alcuni Paesi, perché non si sa come misurare, per esempio, l'adattamento. Non ci sono criteri per questo. Il contributo del Marocco, insieme a quello di alcuni altri Paesi, come la Francia, ha aiutato a creare un ambiente più favorevole per i Paesi emergenti nel prossimo appuntamento di novembre a Marrakech. Aspettiamo 18 mila partecipanti, con tutti i centri del potere, civile, statale, multinazionale e quant'altro. Mi auguro un successo maggiore per questa iniziativa condivisa con la comunità internazionale.
  Sarò molto lieto di rispondere a tutte le domande che avete in mente, perché la parola non è violenza; anzi, è il contrario. Peraltro, mi sembra che questo dialogo sia di grandissima importanza, quindi ringrazio di nuovo il presidente Fabrizio Cicchitto per questa bellissima iniziativa.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'Ambasciatore per la sua relazione, che offre molti spunti. Voglio aggiungere anche un dato «paradossale»: due autorevoli membri della nostra Commissione, il vicepresidente Andrea Manciulli e l'onorevole Alli in questo momento sono in Marocco con la delegazione NATO, che è lì in visita.

  LAURA GARAVINI. Innanzitutto, ringrazio Sua Eccellenza e mi scuso del fatto che tra poco dovrò andare via, quindi non so se ci sarà modo di poter ascoltare la sua risposta. A ogni modo, mi lasci dire che riscontro, con amarezza, un pessimismo maggiorato nelle sue parole rispetto al già edulcorato pessimismo che traspariva dalla Sua precedente audizione. Oltre all'amarezza per questo, esprimo anche un senso di responsabilità perché il lavoro fatto da allora ad oggi, anche da parte nostra e delle nostre autorità, non ha contribuito ad alleviare le preoccupazioni che aveva avuto modo di esprimere già in quell'occasione.
  Parto dal primo punto da Lei posto all'ordine del giorno, che è di particolare attualità e che ci vede tutti molto presi nel domandarci quali politiche mettere in campo per favorire i processi di integrazione, dal momento che il pericolo terrorismo interessa il cuore dell'Europa e non è limitato ai casi di Parigi e Bruxelles. Esso si estende, infatti, all'Occidente proprio in quanto potenziale nemico. Questo ci pone di fronte – ripeto – al quesito su quali politiche non abbiano funzionato e su quali Pag. 8misure mettere in campo per favorire l'integrazione di tanti migranti. È chiaro, ovviamente, che rimane sempre puntuale l'osservazione che non si deve fare l'equiparazione tra migrazione e terrorismo, cosa ben lontana dai miei intenti. Nel pormi questo quesito, vorrei chiederLe se non ritiene che le diverse comunità – anche spirituali e religiose – presenti nel nostro Paese possano giocare un ruolo maggiore di quanto non facciano proprio nel favorire i processi di integrazione. In particolare, Lei accennava a un progetto al quale state lavorando anche come Marocco che mi pare di aver capito sia finalizzato alla formazione di imam e di figure spirituali. Come ritiene che la cooperazione tra due Paesi, quindi bilaterale, nel nostro caso in particolare, possa essere efficace nel promuovere un protagonismo maggiore da parte delle diverse comunità islamiche presenti nel nostro Paese?

  MARIETTA TIDEI. Mi scuso di essere arrivata in ritardo. Purtroppo, non ho potuto ascoltare tutta la Sua relazione, Ambasciatore. A ogni modo, vorrei porLe una domanda in particolare. Lei non crede che questo enorme marasma – l'avanzata di Daesh, con un quadro che si sta dissolvendo da più parti, e il conflitto israelo-palestinese che per anni è stato abbandonato e che, di fatto, è sempre stato una disputa di natura territoriale – possa trasformarsi in un conflitto di natura religiosa?
  Inoltre, come valuta l'iniziativa francese di cui, però, i contenuti non sono ancora chiari, in relazione alla ripresa del dialogo israelo-palestinese?
  Vorrei, infine, avere un Suo giudizio sull'accordo UE-Turchia per la gestione dei migranti. Non so se l'ha affrontato nella Sua relazione, perché sono arrivata tardi. Ci rendiamo conto di questa necessità, ma a molti è sembrata la presa d'atto di una incapacità di gestire in maniera interna una crisi, un modo di voler «esternalizzare» la soluzione.

  ALESSIO TACCONI. Grazie, presidente. Ringraziamo l'Ambasciatore per la sua relazione e le sue parole. È stato molto interessante avere conferma del ruolo che il Marocco ha avuto, continua ad avere e sicuramente avrà in tutto il continente africano, soprattutto per il processo democratico che ha attuato e sta ancora attuando e che l'Ambasciatore ci ha ben descritto.
  Esprimo un auspicio per i prossimi appuntamenti elettorali che avrete, sperando che non ci sia un grande aumento di quelle che Lei ha chiamato le forze legate all'islam – fin qui non ci sarebbe niente di male – che, però, si ritrovano in un concetto più estremista della politica e della società.
  Faccio mia la domanda che Le ha rivolto la collega Tidei riguardo all'accordo tra Unione europea e Turchia. Vorrei complimentarmi del fatto che anche il Marocco dimostra di voler puntare su un'educazione religiosa e culturale – mi sembra di aver capito – a 360 gradi. Infatti, la scuola che avete fatto per gli imam è importante dal punto di vista non solo culturale, ma anche ideologico. Questa è un'altra dimostrazione che una battaglia contro la mancata integrazione delle varie culture può essere combattuta attraverso la cultura.
  Allora, la mia domanda è questa. Pochi giorni fa abbiamo visto che è stato rimandato il voto di fiducia per il nuovo governo in Libia. Non sappiamo ancora come andrà a finire. Naturalmente, sappiamo tutti che l'Italia è stato uno dei Paesi che ha spinto verso una soluzione politica prima ancora che militare – ovviamente, quando si parla di militare si intende sicurezza, non tanto bombe – quindi Le vorrei chiedere, in quanto vicini, visto che lo siete anche dal punto di vista geografico, come state giudicando questo tentativo di arrivare, prima a un governo politico, e poi a un nuovo ordine all'interno dello Stato libico.

  FRANCO CASSANO. Mi scuso per la voce. Lei ha fatto riferimento – credo che in questo caso sia la forma dell'esposizione sia il contenuto fossero d'accordo – al deficit di fiducia nei riguardi della classe politica.
  Noi italiani sappiamo benissimo che cosa vuol dire, ma è evidente che si tratta di un fenomeno che va al di là dei confini nazionali. Collego a questo il tono preoccupato Pag. 9 che Lei ha manifestato. Allora, la domanda che mi faccio, anche seguendo il Suo itinerario, è: quale responsabilità ha l'Europa in questo? Lei ha fatto qualche riferimento. Ovviamente, quali responsabilità avete voi va da sé, quindi non glielo chiedo neanche. Mi chiedo, però, se per caso non ci sia una correlazione con il fatto che le cose con i vicini non funzionano più come abbiamo auspicato. Quando Lei ha fatto riferimento al globale, alla Russia o alla Cina si tratta di abbandonare il riferimento ideale di privilegio nei riguardi di chi è più vicino per cercare un appoggio in chi è più lontano, il che è un problema che interessa anche noi.
  In tutto questo, l'altra domanda che Le faccio, a proposito non solo di vicini che stanno dall'altra parte del Mediterraneo, ma anche di quelli che stanno dallo stesso lato – Tunisia, Libia e altri – è se esiste uno spazio per un Maghreb capace di dire qualcosa di unitario. Credo che questa sia stata una delle idee forti. Esiste ancora, oppure questo andare nel globale rappresenta anche una sconfitta e un indebolimento dell’appeal di questa prospettiva?

  PAOLA PINNA. Ringrazio anch'io l'Ambasciatore. Vorrei fare una domanda molto settoriale. Per quanto riguarda le politiche europee di cooperazione in Africa, secondo Lei, nel corso degli anni, avendo riconosciuto gli errori che sono stati fatti, nonché gli effetti collaterali di certe politiche di sviluppo, che cos'è che l'Europa sbaglia ancora e in quale direzione dovrebbe andare una nuova politica di cooperazione allo sviluppo in Africa?
  Inoltre, cosa pensa della proposta che sta maturando in sede europea sui bond per finanziare progetti in Africa? Come dovrebbero essere gestiti questi fondi? Insomma, dove l'Europa continua a sbagliare?

  FRANCESCO MONACO. Anche a me ha incuriosito il riferimento, pur molto sintetico, alla dinamica politica, con le preoccupazioni connesse. È chiaro che risuona alle nostre orecchie un paragone con quel che succede in Europa, quindi anche in Italia, cioè una crisi vistosa delle formazioni politiche tradizionali e delle loro culture politiche. Di riflesso, da noi si parla di forze populiste; da voi, invece, si parla di uno sviluppo preoccupante dell'islam nella sua versione politica.
  In un passaggio Lei ci informava – se ho inteso bene – di una legge organica che implementi compiutamente i capisaldi dello Stato di diritto. Insomma, è in cantiere una legge organica che implementa lo Stato di diritto in senso lato, secondo un modello europeo. Secondo Lei, questa dinamica politica, anche con i passaggi elettorali conseguenti, può mettere in discussione quello che Lei chiamava un processo democratico? Vorrei, però, essere sicuro di aver capito che è comunque su binari sicuri. In un passaggio, Lei ha parlato di un processo democratico consolidato, ma questo va messo in relazione con la preoccupazione che affiorava dalle Sue parole circa una dinamica politica. C'è il rischio che questa legge organica possa incappare, nel mentre che è in cantiere, dentro appuntamenti elettorali che possono pregiudicare il suo varo e quindi l'implementazione piena dello stato di diritto?

  PRESIDENTE. Do la parola all'Ambasciatore per la replica.

  HASSAN ABOUYOUB, Ambasciatore del Regno del Marocco. Grazie, presidente e onorevoli, per l'interesse e le domande molto complesse che mi avete messo nel «menù».
  Rispondo alla prima domanda sull'integrazione, sulla responsabilità e su quale politica sia efficiente. Anche se i francesi dicono che il paragone non è ragione, devo fare, obiettivamente, il paragone tra l'Italia, il Belgio e la Francia.
  In Italia, come atteggiamento globale vis à vis, con la comunità straniera non ci sono problemi. Al di là di questo, l'Italia ha dimostrato una generosità unica a livello dell'Unione europea. Questa mattina ero in una città della provincia di Frosinone, dove abbiamo inaugurato un monumento per la pace e ho dovuto dire, con convinzione e con il cuore, che siamo pieni di ammirazione Pag. 10 per l'Italia, per la Marina italiana e per il suo impegno. Non si parla molto di questo. Si parla, invece, molto di come gestire i profughi nella lingua tedesca o anglosassone piuttosto che in quelle neo-latine.
  Anche se non c'è una grande politica di integrazione, qui la cosa funziona perché l'integrazione risulta nel dna dell'Italia. Prendo un altro esempio, quello degli Stati Uniti. Chiedendo due giorni fa del perché di questa diversità a un famoso ambasciatore americano, mi ha risposto che sono tutti immigrati, per dire che il problema è di rendere meno politico e meno «esagonale» il tema dell'immigrazione.
  In Francia e in Belgio, ricordo benissimo che il fenomeno migratorio era vissuto come qualcosa di circolare. Dopo 10, 15, 20 anni tutti vanno a casa. Hanno dimenticato che da sempre l'essere umano, nel 99 per cento dei casi, rimane là dove ha trovato la sua ragione di vivere. Prendiamo l'esempio dell'Italia. Di coloro che sono andati in Francia o in America in quanti sono tornati per ragioni che riguardano la vita normale? Dunque, dal processo migratorio circolare ormai siamo dentro la realtà di una diaspora, che ha bisogno di essere trattata dentro il modello sociale, per non creare un ghetto in cui sono parcheggiati i migranti. Avevo vissuto personalmente questo elemento come ambasciatore a Parigi. Il problema della gestione urbana dei flussi migratori è una prima causa. La seconda è la scuola. Il terzo aspetto è come integrare una persona che non si conosce, che non ha niente da dire sulla propria personalità e identità. Questo è impossibile perché per integrare una persona occorre darle un marchio identitario; funziona molto meglio, soprattutto quando si tratta di una persona con una religione come quella del consenso repubblicano, come accade in quasi tutte le realtà.
  Riguardo all'Europa, aggiungo il discorso della laicità che ha creato tanti problemi. L'Italia non è come il caso francese fortunatamente, dove l'impatto della legge sul velo islamico è stato terribile.
  Dobbiamo ancora aggiungere che la crisi della crescita non è stato il momento idoneo per fare le riforme. La disoccupazione era letale anche a livello di queste comunità. Qui in Italia la comunità marocchina – oltre 600 mila persone – ha un tasso di disoccupazione del 38 per cento. È un dato non neutro, rispetto al quale non possiamo tranquillizzarci.
  All'onorevole Tidei, che chiedeva del Daesh collegato a Israele e a ciò che dobbiamo fare per il processo di pace, dico che il Daesh è il risultato diretto dell'intervento americano in Iraq. Tuttavia, il Daesh in Iraq e quello in Siria non sono la stessa cosa.
  Il primo sbaglio che vedo è creare una visione totalmente monolitica del Daesh. Inoltre, il Daesh non è la propaganda, che hanno gestito benissimo perché sono maestri nella comunicazione, ma il fatto sul terreno, che è totalmente diverso dal progetto di Califfato e tutto il resto. Il Daesh è il prodotto o il figlio della governance stupida che aveva provato a gestire la transizione dopo le guerre, di cui stiamo pagando il prezzo. Il problema è che attorno al Daesh ci sono le realtà geostrategiche del vicinato. Ciascuna ha un'agenda e ciascuna, tramite la Siria, sta facendo un lavoro di sovranità diplomatica. Questi 4 o 5 interventi non sono sulla stessa gamma. Ovviamente, c'è una contraddizione strategica maggiore tra questi protagonisti. Ciò che aiuta fenomeni come il Daesh è continuare a sfruttare il consenso strategico della comunità internazionale. Lo abbiamo visto tre giorni fa a Ginevra, nel corso del processo di negoziazione sulla Siria, che, purtroppo, non sta andando bene per le stesse ragioni. Questi fenomeni hanno approfittato di un terreno molto fertile, quello lasciato dalla crisi tra Israele e Palestina. Per noi del sud, che parliamo l'arabo e siamo in grado di leggere la stampa e il pensiero arabo, questo fattore ha giocato molto nel capire la «primavera araba» e l'atteggiamento dell'opinione pubblica per quanto riguarda la mancanza o il deficit di pace.
  Mi dispiace dire che con la realtà vissuta attualmente c'è una convergenza nel rendere alcuni conflitti religiosi. Questa è una realtà. Hamas non è stato creato dai palestinesi. Pag. 11 Sappiamo bene qual era lo scopo di questa bella scommessa sul destino della Palestina, ovvero dividerla in due o meno. Sappiamo bene il perché, ma il problema è che stiamo prendendo questa direzione. L'ultimo discorso del premier israeliano, personalmente, mi dà fastidio perché stiamo facendo un altro passo verso la conflittualità più terribile, che è quella spirituale. In questo caso, rischiamo di salutare tutto il discorso del processo di pace.
  Riguardo all'iniziativa francese, tutte le iniziative sono benvenute. Il problema è qual è quella che sarà accettata dagli israeliani. C'è un dubbio filosofico su tutto ciò che viene dall'Europa. La Knesset ha avuto, ha e avrà sempre una riserva nel dna per qualsiasi iniziativa europea. Mi dispiace dire che, da questo punto di vista, non sono ottimista perché so perfettamente che gli israeliani non saranno in grado di aprire braccia e cuore a un qualsiasi movimento europeo, perché preferiscono sempre l'America. Dunque, fino a quando non sarà conosciuto il prossimo – o la prossima – presidente degli Stati Uniti non c'è niente da fare. Siamo nella zona bipartisan e la diplomazia sarà sempre congelata durante questi sei mesi.
  In merito all'accordo tra Turchia e Unione europea, non siamo in grado di giudicare né di intervenire in questo processo bilaterale. Come Marocco, devo parlare del nostro lavoro. Non so se si può dire. Se c'è una performance da pubblicizzare in quest'aula sacra, tempio della democrazia, è il nostro lavoro che ha ridotto quasi a zero il fenomeno migratorio clandestino, i profughi e quant'altro su tutta la sponda del Marocco, l'Atlantico e il Mediterraneo.
  Per fare questo ogni anno, nel bilancio approvato dal Parlamento ci sono 500 milioni di euro. Non abbiamo mai ricevuto un euro dall'Europa per questo lavoro, incluso per l'investimento fatto sullo Stretto di Gibilterra, metà a nostro carico e metà a carico della Spagna, per sviluppare un sistema tecnologico di altissimo livello di efficienza per la sorveglianza delle acque. Paragonato con il livello dell'aiuto allo sviluppo è niente. È sei volte ciò che l'Europa ci dà annualmente per affrontare le sfide dello sviluppo. Insomma, è talmente marginale che non abbiamo mai messo la nostra priorità sui finanziamenti di tipo aiuto allo sviluppo perché sono, appunto, poco significativi. Abbiamo messo, invece, l'accento sugli investimenti privati. Ormai siamo il secondo Paese, in termini di investimenti esteri, a livello africano. Escludendo l'olio e il gas, siamo il primo. Questa è la vera crescita e la vera strada per creare posti di lavoro. Siamo molto contenti perché abbiamo creato nel solo settore aeronautico 20 mila posti di lavori negli ultimi 2-3 anni. Riguardo alle automobili stiamo andando verso la produzione di un milione di vetture nell'orizzonte 2020, con un investimento di una grande impresa francese, firmato la settimana scorsa per un miliardo di euro. Questa è, pertanto, la buona strada.
  Il problema di dare la priorità all'investimento estero dipende dalla governance, ovvero dalla stabilità dalla democrazia, dallo Stato di diritto. Fino a quando questo livello di qualità istituzionale è raggiunto non ci sono possibilità. Dunque, in tutta franchezza, stiamo godendo delle scelte nostre. Vediamo, comunque, questo Accordo come un elemento che ci dà fastidio nella nostra valutazione del futuro e del destino dell'Europa.
  Abbiamo un dubbio sulla crescita in Europa, sapendo che la demografia sta uccidendo l'Europa e il modello del benessere del dopoguerra. Ovviamente, ci fa paura sprecare le risorse della terza generazione a livello del debito europeo, incluso il debito sociale. Sappiamo benissimo che anche la sostenibilità di questo modello di benessere è sospesa. Se questo insieme non è in grado – lo sappiamo da Kissinger – di essere una potenza di sicurezza o di difesa, se a livello delle politiche comuni non c'è più l'energia che avevamo affrontato in modo molto positivo, questo ideale europeo non c'è più. Ricordo che nel 1973, all'inizio del processo, quando si presentò la stessa realtà riguardo alla guerra del Vietnam e si trattò di accogliere i 600 mila boat people ci fu una riunione a Parigi, presieduta da Giscard d'Estaing, e l'Europa risolse il problema. Pag. 12 Quando la realtà del Kosovo era sullo schermo di ogni dirigente europeo, la Germania, con grande coraggio, prese la decisione di accogliere 400 mila profughi. Non dimentico, un Paese che è molto caro al mio cuore, cioè l'Italia, che quando l'Albania andò incontro al suo destino, non esitò ad aprire le porte agli albanesi migranti. Quanti sono rimasti? Quanti ne avete ricevuti? Ecco, credo fossero centinaia di migliaia. Non penso che l'economia o la società italiana abbiano sofferto di questo. Al contrario, avete dimostrato la generosità che è nel dna italiano. Purtroppo, nel «subappaltare» alla Turchia, vedo l'Europa con ansia, come il prossimo passo per distruggere l'ideale europeo.
  Ho scelto un partenariato strategico avanzato, ovvero di mettere nel sistema giuridico e fiscale soprattutto la normativa europea. Non abbiamo reinventato l'acqua calda. Sul diritto commerciale, sulla fiscalità, sui diritti umani, abbiamo preso da voi ciò che consideravamo il meglio e l'abbiamo inserito nel nostro dispositivo. Spero di non aver sbagliato. Sono pieno di fiducia perché questa crisi avrà il merito di rimettere sul tavolo il dibattito sul modello di società che dobbiamo ormai condividere. A questo punto, sono molto ottimista riguardo al risultato finale. Sono convinto che c'è un punto di convergenza tra alcuni protagonisti della sponda sud del Mediterraneo e l'Europa nell'inventare questo nuovo modello di società. Abbiamo, però, bisogno di filosofi e forse di meno economisti come me, perché abbiamo sbagliato tutto. Chiederò alla mia generazione futura di perdonarmi.
  Onorevole Cassano, è una realtà. La democrazia sta volgendo verso un modello strano di presidenzialismo in Europa, che ha inquinato molto il Marocco perché non è una creazione istituzionale di ieri. Abbiamo il Partito comunista, che non è nato in Marocco, ma è scaturito da un modello di partenariato con tre Paesi, la Francia, l'Italia e la Spagna. I partiti comunisti di questi tre Paesi erano i pilastri che, negli anni Quaranta, hanno fondato il nostro Partito comunista, che ha giocato un ruolo importante. Il Partito Socialista è il figlio della SFIO, Sezione Francese dell'Internazionale Operaia. Sono molto simili, anche nel modo di funzionare del partito. Tuttavia, non siamo riusciti a rinnovare il discorso politico e ad aprire questi partiti alla giovane classe demografica del Paese. Dall'ultima indagine del mio partito, recentemente abbiamo capito che l'85 per cento dei giovani non ha voglia di votare. Stranamente, i cinque grandi leader di questi vecchi partiti non sono riconosciuti dai giovani nemmeno dal nome. Sui tre partiti, il miglior risultato di riconoscimento del nome è stato del 3 per cento, su di un campione di 8 mila giovani. Questo dato è più che significativo. C'è, dunque, questo fallimento della élite alla quale appartengo. Lo dico in tutta franchezza. Da un certo punto di vista, ha aperto, però, grandi finestre alla società civile, alle associazioni, alle donne, che stanno giocando un ruolo maggiore nel far funzionare la democrazia nel Parlamento, ma anche nel mobilitare l'energia sociale del Paese.
  Passo alla domanda sullo Stato di diritto e le leggi in corso. La prima è quella che dà potere al cittadino di mandare al Consiglio costituzionale una richiesta sotto forma di ricorso contro lo Stato, il che è molto importante. La seconda è una legge ancora più importante, perché tocca il rapporto carnale tra opinione pubblica e classe politica, vale a dire ciò che l'Italia ha perso e che noi avevamo parzialmente, ovvero il rapporto tra il deputato, il senatore e il suo territorio perché abbiamo scelto il voto di lista come sistema elettorale. Quando ero deputato sono stato votato tramite l'uninominale. La presenza imperativa era una sofferenza, perché la mia circoscrizione era a 800 chilometri da Rabat. Dovevo aprire la casa e l'ufficio per coloro che avevano bisogno e parlare in modo permanente. Quando questo non c'è, si pone un problema di fiducia o di sfiducia.
  Per noi il problema – per concludere sull'aspetto della politica interna del Marocco – non è tanto l'islamismo politico, che da noi è moderatissimo rispetto al versante turco, ma l'equilibrio del paesaggio politico. Purtroppo, siamo un Paese con Pag. 13un'identità ad altissimo pluralismo, dunque abbiamo bisogno di uno scenario politico e di un sistema di coalizione. Il Marocco è un Paese in cui il consenso ha resistito a tutte le crisi e alla «primavera araba», da 1.400 anni. Siamo la nazione più vecchia nel Mediterraneo. Lo ricordo sempre, proprio perché c'è un consenso molto forte sulla monarchia, sull'islam moderato e ortodosso, che rispetta le altre religioni e così via.
  Questo compact del Marocco è solido e ha attraversato tutto questo tempo. Per questo sono ottimista. Il problema non è mettere alla prova le istituzioni, ma inventare un progetto di società in mondo globale, dove lo Stato nazione non ha, purtroppo, la facoltà e la capacità di cambiare le cose da solo. Abbiamo bisogno del Maghreb. Il mio sogno come militante del socialismo ANPE era il Maghreb. Abbiamo provato a farlo. Ero il negoziatore a nome del mio Paese all'Accordo di Marrakech. Tuttavia, devo dire, in tutta franchezza, che non c'è abbastanza democrazia per creare un ambiente in cui Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania sarebbero in grado di trasferire la loro sovranità economica, monetaria o altro verso un esecutivo del Maghreb.
  Il problema non è che sia facile da risolvere. Ci vuole una democrazia autentica in grado di autorizzare le riforme e di creare lo spazio economico e sociale del Maghreb. Questo significa, per esempio, un cambio terribile dei Paesi sul piano dell'energia o della fiscalità. Per un Paese come l'Algeria, dove la fiscalità è petrolio e nient'altro, come si fa a creare una sintonia con la fiscalità del Marocco, che ha un impatto competitivo maggiore, per un sistema che, purtroppo, non è competitivo? Questa è la ragione principale che spiega perché il Maghreb non si fa. Poi c'è il discorso del Sahara Occidentale a livello dell'ONU, o «marocchino», come diciamo noi, che è una questione che dobbiamo risolvere con l'Algeria. Mi dispiace per questo conflitto. Per dare una sostanza al mio discorso, riguardo ai rapporti Italia-Marocco, quando sono arrivato erano veramente inquinati dalla vicenda del Sahara Occidentale, con le mozioni del Parlamento, che viviamo come ingiustizia pura, perché sono relative a fatti falsi. L'anno scorso al Senato, a un certo punto, ho avuto vergogna anche a parlare. Ve lo giuro. Sono informazioni false. Hanno inquinato tutto. Devo rendere omaggio agli amici non solo del Marocco, della pace e del progresso economico. Fabrizio è uno di questi. Siamo, quindi, riusciti a disinquinare i rapporti e adesso – grazie a Dio – stiamo andando verso un partenariato di buona qualità, forse unico. A livello di sicurezza, quello che abbiamo fatto rompendo il ghiaccio tra i servizi è una grande soddisfazione. Ormai siamo all'origine di questa cooperazione, perché non possiamo dimenticare che il nostro servizio esterno era fatto con l'aiuto, il sostegno e il contributo dell'Italia. L'edificio era fatto dall'Italia (ingegneria e quant'altro). Non parlo dei Vostri Carabinieri, ma avete fatto tante cose dall'inizio della nostra indipendenza.
  Al di là di questo, sulla Libia, nell'ultimo tratto della negoziazione del governo siamo riusciti a mettere insieme Marocco e Libia con l'Italia, a Skhirat. Il contributo italiano è stato il più importante perché condividiamo la stessa visione, la stessa strategia e conosciamo benissimo la vulnerabilità di questo governo e la difficoltà ad ottenere una risposta adeguata dagli amici di Tobruk. Sappiamo tutto questo. Non abbiamo scelta: dobbiamo mantenere l'aiuto e il sostegno a questo piccolo nucleo, sapendo che la macchina può esplodere domani mattina. Non ci sono, però, soluzioni alternative, con tutto il rispetto, in un ambito in cui ci sono quattro attori che non c'entrano niente con la Libia e che ci danno veramente fastidio. Nelle ultime settimane, ci sono stati alcuni eventi drammatici a Tripoli, che sono stati filmati. Lo sappiamo benissimo, ma dobbiamo continuare allo scopo di creare un po’ di ottimismo e di serenità, per concludere questo processo come con la loya jirga in Afghanistan e far emergere le situazioni di legittimità, cioè una costituzione che è già quasi finita, anche se su tre punti o quattro ci sono grandi problemi e dobbiamo superarli. Pag. 14
  Conoscete meglio di me il prezzo che la sicurezza condivisa sta per pagare. Non ci sono più paletti tra Libia, Niger, Ciad fino alla Nigeria e al Camerun. Lo stesso accade a est fino alla Mauritania. C'è un percorso ormai tranquillo per tutti i pazzi e gli autori della violenza più mafiosa.
  Non vedo, a livello delle nazioni del vicinato, una forza e una legittimità in grado di contrapporsi alla realtà libica, che purtroppo ha bisogno di una capacity building forse unica nella storia del Mediterraneo. Non abbiamo mai vissuto nel Mediterraneo – anche con il discorso della creazione dell'Iraq, la Siria, il Libano ed altro – uno stato di vuoto da riempire con un modello istituzionale. Non era mai accaduto nella storia del Mediterraneo. È la prima volta.

  MARIETTA TIDEI. Intervengo ancora, molto brevemente. Ieri il professor Prodi, in una presentazione del Rapporto sull'immigrazione del 2015 al centro Astalli, sottolineava l'importanza e la centralità del contributo che possono dare le realtà tribali della Libia. A Suo avviso, in questo processo di costruzione faticoso ed estremamente vulnerabile, è così? Secondo Lei, è un'osservazione pertinente quella sul ruolo che possono avere le realtà tribali in questo processo di costruzione statuale?

  HASSAN ABOUYOUB, Ambasciatore del Regno del Marocco. È pertinente, ma non sufficiente perché ci sono le tribù, che conosciamo benissimo, ma anche forze trasversali paramilitari, come le milizie, con ideologia pura. Tripoli ha un impatto ideologico perché i Fratelli musulmani non hanno limitato il loro modo di fare alla Tripolitana, ma hanno anche inquinato altri posti.
  In una città come Bengasi, per esempio, che era il modello dell'integrazione tribale sotto Gheddafi, dobbiamo dire che erano dappertutto. Questa realtà ormai è tradotta anche nel modo di reagire della gente di Bengasi. Hanno resistito qualsiasi sia la loro appartenenza tribale. Dobbiamo mettere questo elemento in campo, perché è importante come sistema per creare consenso e ridare fiducia alle iniziative di ricostruzione della Libia. Tuttavia, non è sufficiente, perché si tratta di sicurezza individuale e di assicurare la questione alimentare, sanitaria ed altro.
  Il problema di questo governo è che è paralizzato. Noi avevamo fatto la scommessa che immediatamente dopo l'insediamento a Tripoli, saremmo stati tutti amici della Libia, in modo da dare i mezzi per instaurare alcune funzioni, prima di tutto quella alimentare. Il Ramadan sta per arrivare. Noi stiamo lavorando, anche con gli amici italiani, per un'operazione di emergenza sul Ramadan. Non posso immaginare Tripoli senza cibo del Ramadan. Sarebbe un disastro. I costi sono alle stelle. Il pane costa dieci volte il prezzo normale di tre anni fa.
  Dobbiamo assolutamente pensare a un aiuto umanitario di emergenza, perché il sistema ONU è difficile. Abbiamo bisogno di un governo legittimo. Come si può, con questo governo, ottenere all'ambasciata presso la FAO un meccanismo per fare la richiesta e gestirla? È impossibile perché non sono in grado di farlo. Dobbiamo inventare qualcosa nell'emergenza, per dare un po’ di accettabilità, prima di parlare di legittimità.
  Concludo sull'ultima domanda in merito alla cooperazione in Africa e al modello europeo. Ormai c'è consenso a livello mondiale sul fatto che questa politica di aiuto allo sviluppo è fallita. Il problema non sono i soldi, ma le risorse umane, l'educazione. Sono questioni che escono dalla legittimità nazionale, cioè da dentro il Paese. Non ho mai visto un sistema di educazione messo in buste e mandato al Paese per poi essere aperto e consumato. Dunque, c'è uno sforzo maggiore da fare. Poi c'è una cosa molto importante, quella di gestire la condizionalità, che significa l'aiuto da dare a un Paese, con un minimo di normative, di funzionamento, di governance, di democrazia, di Stato di diritto. Questo problema della condizionalità non è mai stato risolto e all'ONU non siamo in grado di risolverlo in nome del principio della non ingerenza negli affari domestici. Pag. 15
  Nel caso del terrorismo si pone questa domanda: fino a che punto possiamo accettare di osservare con totale passività il fenomeno, che conosciamo e che ha un marchio e un indirizzo? Bombardare è un modo, ma non è la soluzione giusta. Dobbiamo penetrare – se posso dirlo così – con un software in grado di provvedere alla comunità internazionale, uno spazio di chiarezza giuridica dei diritti a livello minimale, altrimenti non penso che la povertà in Africa possa essere superata. Do una cifra che cito sempre. La popolazione attiva in Africa nel 1950 era di 120 milioni di individui. Nel 2050 sarà di 1,2 miliardi. Sappiamo già – perché i genitori sono già in nati e il modello economico non si può cambiare in dieci anni – che l'Africa sta per produrre 350-400 milioni di disoccupati. Prendiamo la mappa e guardiamola bene. Dove si può andare dall'Africa? Qual è l'offerta logistica? Mi auguro che l'Europa sia in grado di considerare questi fatti come un riferimento per una grande riforma nella quale credo, perché l'Europa ha tutti i mezzi per fare il cambio epocale e aprire il cancello sud più grande dal 1958.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il nostro audito, che è sempre un piacere ascoltare, per il suo contributo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.

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