XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 15 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PRIORITÀ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA

Audizione dei giornalisti Jacopo Arbarello (Sky News Italia) e Corrado Formigli (La7).
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 ,
Formigli Corrado , Giornalista di ... 4 ,
Arbarello Jacopo , Giornalista di ... 7 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Arbarello Jacopo , giornalista di ... 9 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Manciulli Andrea (PD)  ... 10 ,
Palazzotto Erasmo (SEL)  ... 10 ,
Arbarello Jacopo , Giornalista di ... 11 ,
Formigli Corrado , Giornalista di ... 11 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei giornalisti Jacopo Arbarello (Sky News Italia) e Corrado Formigli (La7).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, dei giornalisti Jacopo Arbarello (Sky News Italia) e Corrado Formigli (La7).
  Non credo di dover presentare i nostri due ospiti: Jacopo Arbarello che lavora a Sky TG 24, prima conduttore e forbito lettore di comunicati, poi più avventuroso partecipe di vicende assai pericolose; e Corrado Formigli, che dal 2011 presenta la trasmissione Piazza pulita. Entrambi, esercitando un giornalismo militante, si sono venuti a trovare in due punti assai importanti, che, come Commissione, abbiamo seguito con grande attenzione.
  Uno si è trovato in Tunisia, Paese che stiamo seguendo molto, perché riteniamo che sia un punto chiave, una delle poche realtà nel mondo islamico che ha espresso una «intenzionalità» democratica e nella quale, diversamente dall'Egitto, c'è un rapporto di collaborazione fra il partito che ha prevalso e il partito islamico, come abbiamo verificato recentemente, dopo il secondo attentato.
  Gli attentati non avvengono a caso, ma sono fatti per mettere in crisi una realtà che è insieme una realtà democratica e fragilissima nelle sue strutture di difesa, perché attraversata da una contraddizione molto profonda, che poi si riflette anche nei 3-5 mila giovani tunisini che fanno parte dei cosiddetti foreign fighter. Specie sulla costa, c'è una realtà estremamente avanzata dal punto di vista culturale, del rapporto uomo-donna e dal punto di vista civile, mentre c'è invece una seconda realtà che è molto arretrata, molto povera, molto islamica e anche molto suscettibile di cogliere questi messaggi.
  Jacopo Arbarello si è recato su due punti cruciali, cioè al confine della Tunisia con la Libia e della Tunisia con l'Algeria, dai quali emergeva che lo Stato tunisino non aveva tenuta e, quindi, c'era una penetrabilità estrema dai confini, tanto che oggi il governo tunisino sta pensando di mettere uno sbarramento attraverso meccanismi derivanti dalla cibernetica.
  Questa realtà, che noi abbiamo seguito in chiave di rapporti ufficiali, Jacopo Arbarello l'ha seguita invece andando sul campo a suo rischio e pericolo, quindi riteniamo che intrecciare colloqui istituzionali con testimonianze di altro tipo arricchisca le conoscenze della Commissione.
  Su tutto un altro versante e con un'altra tematica di tipo politico-culturale si è svolta l'operazione di Formigli. Noi siamo stati sempre molto attenti alla realtà curda (ci siamo, infatti, recati ad Erbil), che è di estremo interesse, attraversata da un pluralismo politico molto marcato, che segna, oggi, un autentico paradosso storico. Pag. 3
  I curdi sono stati, infatti, una delle realtà più marginalizzate nel mondo islamico, ma anche nel mondo occidentale, e oggi, per un paradosso della storia e per l'opportunismo di molte forze, sostengono in prima fila, sul terreno militare e armato, lo scontro con Daesh, mentre altre realtà, nel migliore dei casi, li aiutano con bombardamenti o, nel peggiore dei casi, quale quello della Turchia, non si capisce bene se li appoggino o li ostacolino.
  Si tratta di un mondo politico e culturale assai complesso, che si è riflesso nell'esperienza di Kobane, dove abbiamo avuto una forma di giornalismo straordinario, che dai colleghi giornalisti non è stato riconosciuto, mentre non capita tutti i giorni che un giornalista e una troupe televisiva si rechino dove si combatte e consentano agli spettatori di vedere, in un momento cruciale della vita di Kobane, lo scontro in atto.
  Non mi sfugge che la Tunisia e Kobane sono due realtà politico-culturali diverse, molto più moderata quella tunisina e con componenti storicamente estremiste quella curda. Ritroviamo addirittura un personaggio, che in questo caso però sta esercitando un ruolo positivo, Ocalan, che abbiamo lasciato terrorista, ma ritroviamo svolgere un ruolo appunto positivo in quel campo.
  Sia nel rapporto istituzionale che abbiamo avuto in Tunisia che in incontri, la presenza femminile si è rivelata straordinaria. In Tunisia abbiamo incontrato un gruppo di parlamentari tunisine, una delle quali presiede la Commissione esteri e ne sono praticamente «proprietarie», perché abbiamo visto solo donne, mentre a Kobane la cosa è diversamente strutturata, nel senso che nell'esercito curdo c'è una parità uomo-donna molto significativa nel comando e anche nello scontro militare, e le donne curde sanno benissimo a quali rischi vanno incontro in questi scontri militari. Si tratta, quindi, per molti aspetti, di un'esperienza assolutamente straordinaria, sulla quale il mondo dovrebbe riflettere molto più di quanto stia facendo.
  Ringrazio i nostri due interlocutori di aver accolto il nostro invito. Adesso mostreremo alcuni spezzoni di filmati di Formigli e Albarello e poi li ascolteremo.

  (Proiezione primo filmato)

  «Sono le 19.30, è giovedì 4 dicembre e siamo dentro Kobane. Abbiamo attraversato il confine della Turchia con un contrabbandiere, che ci ha portato fino al filo spinato, lo ha tagliato e siamo passati di qua, in Siria, fino a che abbiamo trovato dei combattenti curdi che ci sono venuti a prendere e ci hanno portato dentro questa casa.
  Alle prime luci del giorno scopro una città fantasma, semidistrutta dai colpi di mortaio. L'onda d'urto ha fatto saltare anche le saracinesche di quel negozio. Le case bombardate e abbandonate in fretta, un quaderno, forse di una bambina, con la sua calligrafia (c'è ancora la matita).
  La Turchia ha chiuso la frontiera e nessuna organizzazione internazionale è entrata in questa città per portarci aiuti. Da tre mesi resistiamo da soli.
  Qui stiamo costeggiando il lato nord della città, là c'è la Turchia e guardate, anche questa zona è completamente deserta, questo era l'ospedale. Sei giorni fa un camion bomba è entrato da lì, dalla frontiera turca, poi si sono fatti esplodere sei kamikaze, è stata una strage, non era un'autobomba normale: era un cingolato militare dell'ISIS, che, secondo noi, è stato fornito dai turchi. Guarda, si vedono ancora i pezzi».
  «I volontari curdi che difendono Kobane dalla furia dell'ISIS sembrano soldati della seconda guerra mondiale: vecchi fucili e bombe a mano, niente giubbetti antiproiettile, niente elmetti, al posto degli anfibi scarpe da ginnastica.

  Per cosa combatti tu, qual è il tuo valore? YPG, i combattenti curdi. Certo, anche per la libertà, per la democrazia. Quanti anni hai? Ventuno, combatto per i curdi, per la libertà, per le donne violentate dai terroristi dell'ISIS.
  Per arginare la marea nera dei tagliatori di teste dell'ISIS, a Kobane si combatte così, scavando nei muri, vivendo come topi, a ogni passo il rischio di un agguato.
  Il fuoco viene da est, dovete controllare meglio la zona, dovete guardare. Si può Pag. 4sapere dove guardate? Sparate solo quando li vedete, non sprecate munizioni!
  Ho trascorso ventisette ore dentro Kobane, non ho incontrato ambulanze né organizzazioni umanitarie: gli aiuti qui non arrivano, in questa città ci sono soltanto loro, i curdi siriani. Combattono una battaglia decisiva senza cibo né medicine, assediati da tre lati dal califfato nero, odiati dalla Turchia, abbandonati dall'Europa».

  CORRADO FORMIGLI, Giornalista di La7. Ovviamente questo era un estratto del reportage. Sarò breve, perché immagino che abbiate molte altre cose da fare, vi dirò, in pillole, delle cose che, secondo me, sono importanti da conoscere di quello che ho visto, e anche di quello che è successo dopo.
  Io sono entrato a Kobane a svolgere un lavoro di documentazione contro il governo turco. Nel senso che dalla Turchia arrivi al confine con la Siria e, mentre infuria una battaglia decisiva per i confini, perché Kobane si trova a 2 chilometri dal confine con la Turchia, quello che noi consideriamo il confine con l'Occidente, nonostante sia lì la battaglia che infuria tra il Daesh e i curdi, essa viene vissuta in totale indifferenza, se non fastidio, da parte del governo turco.
  Siamo quindi riusciti a entrare soltanto grazie al lavoro di un contrabbandiere e degli stessi curdi, che tra la Turchia e la Siria ci hanno aiutato a entrare. Questo è un fatto molto importante, perché poco prima che io arrivassi lì sul confine era stato diffuso un filmato del Daesh in cui si vedeva l'unico ostaggio in mano ad esso che non è stato ammazzato, sgozzato. Si chiama John Cantlie, è un giornalista britannico che, da ostaggio, sotto il ricatto della sua vita, è diventato il reporter ufficiale del Daesh e gira dei servizi in perfetto stile BBC nelle città controllate dal cosiddetto Stato islamico, in cui racconta il monopolio del Daesh, il controllo assoluto.
  Aveva fatto un servizio a Kobane, in cui, con il suo giubbotto antiproiettile e il suo elmetto, camminava per Kobane dicendo: «Guardate, vedete che Kobane è tutta nostra, l'abbiamo conquistata». C'era la bandiera nera che sventolava e c'erano le immagini dei droni, che il Daesh usa per arricchire le immagini nella propaganda dall'alto delle zone conquistate sotto il proprio controllo. È proprio questa informazione falsa, tipica della propaganda del cosiddetto Stato islamico, che è uno degli elementi più importanti che dobbiamo tenere in considerazione da un punto di vista giornalistico, ma anche politico. È proprio sulla base di questa informazione falsa fatta dalla propaganda che i curdi si sono attivati e hanno cercato di aiutare i giornalisti occidentali a entrare a Kobane e a dimostrare che, in realtà, Kobane non era persa, ma c'era una battaglia che poteva essere ancora vinta. In effetti, noi siamo entrati con questo contrabbandiere a Kobane e abbiamo visto una città che allora, il 5 dicembre 2014, era esattamente spaccata in due: a ovest c'erano i curdi siriani, a est i combattenti del Daesh.
  Il primo elemento che mi ha colpito è che non c'era praticamente componente del Free Syrian Army, che in Siria era la componente che doveva combattere Assad, ma soprattutto l'unica componente laica all'interno del territorio siriano. Non c'è traccia del Free Syrian Army in quella zona, c'è una polarizzazione estrema tra «califfato nero» da una parte e curdi dall'altra.
  Gli elementi che mi hanno colpito immediatamente entrando sono stati: l'incredibile mancanza di mezzi e di risorse da parte dei curdi. Questi curdi, pochi, male armati, in una città praticamente rasa al suolo, reggevano sulle loro spalle una battaglia decisiva dal punto di vista dell'immagine e anche da un punto geografico, la difesa di quel punto di contatto con il confine turco.
  Ho trovato una milizia incredibilmente male armata, che si difende e contrattacca solo con i kalashnikov, che aveva appunto quello che ho mostrato, ossia bombe a mano, kalashnikov, qualche RPG, ma non aveva altro; se non l'azione dei droni che dall'alto bombardavano quando Daesh avanzava verso ovest.
  Cadevano bombe dall'alto da aerei o droni che non vedevamo; sentivamo le bombe cadere (erano credo del Qatar, dell'Arabia Saudita o americani), ma naturalmente Pag. 5 questi droni non erano sufficienti a mettere in fuga il Daesh.
  La cosa impressionante era l'asimmetria, perché, se da una parte c'erano questi combattenti curdi male armati, dall'altra c'era invece un esercito molto meglio armato e, soprattutto, enormemente rifornito di tritolo ed esplosivi ad alto potenziale e mezzi blindati pesanti, che fossero carri armati o altri veicoli cingolati che imbottiscono di tritolo e fanno esplodere contro le postazioni dei curdi.
  È così che hanno conquistato pezzi di città, perché i curdi non hanno mezzi per potersi opporre a questi mezzi blindati esplosivi. È questo il motivo per cui tantissimi curdi, ma soprattutto tantissime donne curde, si sono fatti esplodere, con missioni suicide, sotto i cingoli dei blindati esplosivi, perché è l'unico modo per fermare questi camion-bomba.
  Un camion-bomba quando arriva a destinazione fa saltare un intero isolato, provocando quei crateri enormi che avete visto. Le donne curde si sono distinte in queste missioni suicide, che sono state a volte decisive per evitare che i camion-bomba deflagrassero, facendoli esplodere prima che arrivassero contro l'obiettivo.
  La prima questione che penso sia importante da segnalare è questa enorme disparità di armamenti che avevo rilevato anche il 15 settembre, quando avevamo fatto la prima puntata di Piazza pulita ed ero già stato nelle zone di cui parlava il presidente Cicchitto, cioè nel nord dell'Iraq, nel Kurdistan iracheno, al confine con la Siria: dove avevo visto i peshmerga, cioè i curdi iracheni, e anche lì mi aveva colpito l'asimmetria. Loro stessi ci chiedevano continuamente quando sarebbero arrivate le armi, quando avremmo inviato le armi, perché erano in una condizione drammatica e non riuscivano a farcela da soli.
  I curdi sono male armati, mentre il Daesh, anche nel nord dell'Iraq, è molto bene armato, portando via le armi dalle caserme delle milizie irachene fuggite al suo arrivo. Quindi gli armamenti del cosiddetto Stato islamico sono armamenti di base americani, presi all'esercito iracheno oppure acquistati con fonti di finanziamento derivanti dalla vendita di contrabbando del petrolio e dal commercio di armi, che continua ad andare avanti.
  L'altro elemento che mi ha colpito moltissimo entrando a Kobane è che, per la prima volta nella mia vita di giornalista di guerra (prima di fare il conduttore ho svolto questo lavoro per molti anni), mi è capitato di entrare in una città assediata dove arrivava internet, dove si poteva telefonare, dove mi arrivavano le e-mail, quindi di essere perfettamente connesso con la realtà circostante, ma di non vedere neanche un mezzo di soccorso delle organizzazioni umanitarie, niente. Non ho visto un solo mezzo di organizzazioni umanitarie, perché non venivano fatti entrare al check-point turco.
  Non ho potuto vederlo con i miei occhi, ma i combattenti curdi dello YPG mi hanno detto più volte che i camion-bomba più letali, quelli che hanno fatto più morti, compresa l'ultima azione avvenuta dopo la liberazione di Kobane che ha provocato 200 morti, perché Daesh è ritornata, sono passati proprio dal confine turco. Loro sostengono, infatti, che il governo turco sia complice. Io naturalmente, da cronista, non so se questo sia vero: è sicuramente vero che questi mezzi sono passati dalla frontiera turca siriana e che quindi, come minimo, c'è stata una fortissima «distrazione» del governo turco che, come sapete, sicuramente non vede di buon occhio il Daesh vicino al suo confine, ma vede ancora peggio la possibilità che i curdi si rinforzino in questa battaglia e assumano un ruolo cruciale e fondamentale. Mi pare incredibile che tutta la battaglia contro di esso sia sulle spalle di questo piccolo popolo, che non ha neanche uno Stato.
  Questo è quanto ho visto. Pensate che sono dovuto entrare di contrabbando e sono dovuto uscire di contrabbando da Kobane, e per portare in salvo le mie cassette e poterle trasmettere, sono dovuto uscire scappando dalla polizia di frontiera turca, che non vuole assolutamente che si passi da lì e, se ci avessero preso, probabilmente ci avrebbero sequestrato il girato. Da parte della Turchia c'è, quindi, un forte elemento di ostacolo al lavoro dei giornalisti Pag. 6 sicuramente, e anche al lavoro delle organizzazioni umanitarie e dei militari. I curdi mi dicevano che tutte le armi che passano arrivano dalla Siria, non attraverso la Turchia, quindi i curdi vengono riforniti delle armi dalla Siria.
  Dopo il nostro reportage, trascorsi un mese e mezzo o due mesi, Kobane è stata liberata. Questa battaglia, infatti, si poteva combattere e dimostra che, al di là della strategia della paura, molto efficace, del Daesh e della propaganda straordinaria che fanno attraverso i mezzi di comunicazione, una propaganda che usa il nostro linguaggio e il nostro immaginario per ingigantire il pericolo militare dell'ISIS, in realtà il cosiddetto Stato islamico è un esercito che si può combattere, che si può affrontare. Se ce l'hanno fatta i curdi, con i loro pochi mezzi, significa che è una battaglia affrontabile. Battaglia, quindi, fortemente simbolica, perché, per la prima volta, viene sconfitta la paura e questo piccolo gruppo batte il Daesh. La cosa incredibile è che, dopo aver riconquistato Kobane, questa rimane comunque isolata e distrutta, tanto che, qualche mese dopo, il Daesh riesce a rientrare dalla frontiera turca e a fare 200 morti tra i civili, prima di essere nuovamente respinto. Questo ci dice che continua l'indifferenza nei confronti di questa battaglia e la sottovalutazione del pericolo del cosiddetto Stato islamico.
  Per concludere, voglio dire che prima di venire qui da voi – sono onorato di essere stato chiamato dalla Commissione – ho richiamato i nostri contatti dentro Kobane per chiedere quale sia esattamente la situazione. Vi leggo la risposta, perché ho parlato ieri con Mustafa Bali, il portavoce, a Kobane, delle difese del popolo curdo, e mi ha fornito dei dati che sono stati raccolti dal governatore della provincia di Kobane. La situazione generale è questa: a Kobane sono tornate circa 200 mila persone dentro la città, il passaggio dal confine turco e iracheno è possibile adesso solo per le organizzazioni umanitarie. La situazione sul terreno è questa: con la presa di Kobane c'è adesso un canale di collegamento di Kobane fino alla provincia di al-Aqsa, quindi, praticamente, i curdi controllano un intero corridoio che da Kobane va verso la parte della Siria che confina con l'Iraq, e lo YPG è avanzato fino a circa 60-70 chilometri da Raqqa. Questi sono gli elementi positivi dal punto di vista militare rivendicati dei curdi, ma dentro Kobane l'80 per cento delle scuole è distrutto e inutilizzabile, servono materiali per l'edilizia e servono soprattutto aziende che vadano a costruire. Ciò è del tutto credibile. Non riesco a capire come a Kobane possano vivere 200 mila persone, perché la Kobane che ho visto era completamente invivibile: non c'era acqua, non c'era acqua potabile, non c'era elettricità, c'erano solo i generatori; quindi loro avrebbero bisogno di un'opera di ricostruzione, che delle aziende straniere andassero a ricostruire la città per renderla vivibile. La stagione agricola è praticamente persa, nessun prodotto di stagione viene portato dalle altre zone del Rojava, servono urgenti interventi di bonifica dei territori perché i terreni sono minati.
  La zona di Kobane era nota per la ricchezza dei pascoli di pecore, ma oggi non c'è neanche una pecora viva, non esiste più alcuna risorsa animale nel territorio. Non esiste elettricità né acqua potabile, l'energia soltanto grazie ai generatori e il 90 per cento delle necessità di acqua viene soddisfatto dai pozzi, che sono spesso inquinati. Per quanto riguarda la sanità, la situazione sta migliorando, ci sono due ospedali, uno curdo e uno aperto di recente da Medici Senza Frontiere.
  Vi rivolgo dunque un appello militante dei combattenti curdi, che mi hanno pregato di ricordare al Parlamento italiano che le capitali europee e la capitale italiana, minacciate dal Daesh, si difendono partendo proprio da quel confine, da Kobane.
  Questi sono gli aspetti salienti per la vostra conoscenza, grazie.

  (Proiezione secondo filmato)

  «Come hanno fatto gli attentatori che hanno colpito la Tunisia negli ultimi mesi ad andare e venire dalla Libia senza lasciare traccia del proprio passaggio? Per capirlo Pag. 7abbiamo percorso a ritroso i 450 chilometri che separano Sousse dal confine con la Libia, la stessa via che probabilmente ha visto passare il terrorista della spiaggia e il suo kalashnikov.
  Lungo la strada incontriamo camion stracolmi di ogni genere e mezzi militari. Una prima risposta la troviamo a Ben Gardane, siamo nell'ultima cittadina prima della frontiera, a pochissimi chilometri dal confine libico. Qui sono tantissimi i venditori, è una città essenzialmente di venditori e c'è gente che per anni ha commerciato con la Libia in maniera illegale, attraverso un confine più che permeabile. Qui, ma, in realtà, ovunque fuori dalle località turistiche, l'atmosfera è completamente diversa: deserto, povertà, baracche e benzinai fatti a mano.
  A Ben Gardane incontriamo Nordi, ingegnere e commerciante, e gli chiediamo di spiegarci come funziona il contrabbando di uomini e merci. Nordi è molto ostile e ci spiega subito che quel che vogliamo è impossibile, nessuno parlerà, è un gran segreto, poi sale con noi in macchina per portarci in un mercato, dove veniamo subito fermati dalla polizia.
  Lo lasciamo quindi in tutta fretta e, appena se ne va, riusciamo a parlare con un commerciante, che ci spiega per filo e per segno la questione. Il contrabbando è nella natura della nostra regione, perché siamo alla frontiera con la Libia e uomini e merci riescono a passare molto facilmente che sia al posto di frontiera o nella regione del Sahara, senza che lo Stato o la polizia ne sappiano nulla, soprattutto a partire dalla crisi in Libia del 2011. In questo periodo si è contrabbandato di tutto: uomini, merci, animali.
  Il commercio all'ingrosso è la parte più grossa di questo business illegale, insieme a quello degli esseri umani, terroristi o immigrati, e forse è proprio per la portata degli affari illegali legati al contrabbando che il nervosismo sale velocemente alla vista di una telecamera. Ci stanno contestando, non vogliono assolutamente che noi facciamo le riprese qui, la tensione è palpabile. Dopo aver viaggiato fino al confine con la Libia ci sembra di aver capito che sì, la Tunisia è quel Paese democratico e tollerante che si vede dai resort, ma che appena ci si allontana dalle rotte turistiche lo scenario è drasticamente diverso e non del tutto incoerente con il nascere dell'estremismo religioso e dunque del terrorismo. Jacopo Arbarello, Sky TG 24, Bel Guardane, Tunisia».

  JACOPO ARBARELLO, Giornalista di Sky News Italia. Questo era il servizio registrato all'indomani degli ultimi attentati, quelli di Sousse. Io sono stato lì anche per gli attentati del Bardo e lo scenario della Tunisia è radicalmente diverso da quello che abbiamo visto nei servizi e nel racconto di Corrado. Come diceva il presidente, è un Paese in pace, che sta tentando la via democratica e che, però, ha subìto questi due attacchi forti. Il target è diverso, sono stati i turisti: la prima volta c'erano degli italiani, questa volta no, erano inglesi, e sono due storie parallele. Qui eravamo al confine con la Libia, quello che non ho potuto mettere nel servizio perché non ne ho la certezza e quindi non l'ho scritto, ma tutti mi hanno detto, che in qualche modo ho sperimentato, è che la polizia di questo contrabbando – bisogna immaginare una linea di frontiera di centinaia di chilometri essenzialmente nel deserto, nel nulla – è parte. Quel giorno la difficoltà a lavorare c'è stata data dalla polizia: a un certo punto il nostro autista ci ha detto che dovevamo tornare indietro e non potevamo più andare avanti; situazione che poi abbiamo riscontrato anche in un altro caso, perché il giorno dopo sono andato a Kasserine, al confine con l'Algeria, ed è tutt'altra storia.
  La città da cui viene il terrorista, il confine con l'Algeria e la Libia sono tre punti che ci raccontano la situazione in Tunisia. Quello che non si è visto è l'enormità dei magazzini commerciali, dei negozi con casse enormi piene di televisioni e di lavastoviglie, che non hanno senso in una città che, più o meno, è nel mezzo del nulla. Dove ci hanno messo la mano sulla telecamera e non ci hanno fatto riprendere c'erano quantità enormi di mercanzie, che passano probabilmente in maniera illegale e legale; ma il concetto è che tutti e tre i terroristi della Tunisia, sia i due del Bardo Pag. 8che quello che ha fatto l'attentato a Sousse, hanno percorso questo confine, lo hanno attraversato e hanno compiuto sostanzialmente lo stesso attentato, nel senso che la dinamica è stata la stessa e anche la loro formazione.
  Rispetto a queste centinaia di chilometri di deserto, il presidente diceva che forse la Tunisia sta pensando di mettere una barriera; ma è veramente difficile pensare, se non si sistema la situazione in Libia, che si possa bloccare il transito, perché gli stessi abitanti, visto che poi la linea di confine è stata tracciata più o meno in maniera artificiale dalle potenze coloniali, non riconoscono tale frontiera. Facevano pascoli a cavallo della frontiera, e quindi le cose lì passano.
  Da dove veniva il terrorista? Da una piccola cittadina di una sola strada nelle montagne, ma si era spostato in un percorso che mi sembra di aver visto più volte, sicuramente simile a quello degli attentatori del Bardo, a Kairouan, che è la capitale religiosa dell'Africa del nord, una città fondata nel 700 dopo Cristo, ma che è la quarta città santa del mondo musulmano. È una città dove i salafiti sono forti e non è un caso che il numero 8 della rivista dell'ISIS, Dabiq, abbia messo in copertina la moschea di Kairouan, perché comunque è un luogo santo del Maghreb, di questo Paese ancora non pienamente conquistato.
  Anche il percorso del terrorista mi sembra interessante, perché è un ragazzo che è passato in un anno dal postare sul suo profilo Facebook la maglietta del Real Madrid e la breakdance agli slogan religiosi. Il racconto che veniva fatto dai testimoni che lo hanno visto è che ha iniziato a frequentare questa piccola moschea che aveva sotto casa, ha iniziato a frequentare un gruppo di ragazzi visibilmente salafiti, con la barba, si è tagliato fuori dal giro dei suoi conoscenti e poi ha fatto quello che ha fatto. Questi ragazzi, magari cresciuti nell'emarginazione, ma in qualche modo istruiti, sembrano essere la maggior parte dei terroristi che vanno nella principale località terroristica, perché Kairouan è vicina a Sousse: c'è tutto il Golfo di Hammamet, con tutti i resort, ma fuori da lì la povertà che ho visto è stata inaspettata.
  Io ero andato diverse volte in Tunisia precedentemente, non avevo mai viaggiato come questa volta: è paragonabile a tanti altri Paesi africani che ho visto. Questo mi ha sorpreso, perché comunque poi nelle località turistiche si trovano anche le boutique di Prada, oltre che i bancomat e tutto quanto può servire a un turista. Il viaggio probabilmente più impressionante però è stato a Kasserine, questa città al confine con l'Algeria, che è indiscutibilmente il principale centro jihadista del Paese. Lì è in corso una battaglia dal 2011-2012, più o meno da quando è caduto Ben Ali, dalla rivoluzione di febbraio. Da lì in poi ci sono due montagne: il nome della battaglia viene dal monte Ciambi al confine fra Algeria e Tunisia, ma un'altra montagna è Salloum, che è una specie di Tora Bora, nel senso che i terroristi ci vivono, in certi periodi a centinaia, in altri periodi a decine, nelle grotte, e si addestrano. C'è un contrasto rispetto a quello che diceva Corrado sulla capacità informatica e di propaganda dello Stato islamico, perché qui siamo più alla retorica del terrorista che vive in maniera spartana.
  Abbiamo intervistato e raccontato la storia di questi terroristi che arrivano la notte, quando non c'è la luna, da queste montagne brulle a dorso di asino, si vanno a servire in un quartiere che è il quartiere Sour, dove siamo stati, ma non ci si poteva fermare, c'era molta tensione, venivamo affiancati con le macchine: nulla di guerra, però grande tensione. Vanno a comprare in massa nei negozi, che poi sono delle piccole boutique, quello che gli serve per mangiare e se ne tornano in montagna.
  Per darvi la misura di questa battaglia ancora in corso, che vede impegnata la guardia nazionale, l'esercito e la polizia, in questi anni ci sono stati 60 morti fra i militari; e il 7 aprile ci sono stati 5 militari morti, il 4 marzo 2 terroristi uccisi, il 17 febbraio 4 gendarmi uccisi, una cosa che sta avvenendo in questi mesi, non stiamo parlando del passato. L'esercito viene attaccato con imboscate, con mine, con scontri a fuoco. Le armi verosimilmente passano Pag. 9 dalla Libia, perché adesso in Algeria il controllo delle armi è molto più stretto, mentre i militanti – a quanto ci hanno raccontato – arrivano sia dall'Algeria che dalla Tunisia, ma anche dal Mali e dalla Libia, è una specie di piccolo hub primitivo del terrorismo.
  La guardia nazionale, l'esercito e la polizia in questo caso si lamentano di non avere i mezzi da parte del Governo tunisino. È vero che, come diceva il presidente, che c'è una collaborazione fra Ennahda, gli islamisti prima al Governo, e questo governo più laico, ma è altrettanto vero che dal Bardo di marzo fino adesso ci sono state in Parlamento delle leggi antiterroristiche che non sono state approvate. Quando sono arrivato al Museo del Bardo e il Parlamento era là dietro, volevano approvare le leggi antiterrorismo in maniera immediata; sono tornato dopo l'attentato di Sousse, ed era ancora all'ordine del giorno l'approvazione di alcune...

  PRESIDENTE. Però i rappresentanti del partito Ennahda ci hanno detto che le avrebbero approvate, non ponevano problemi. Mentre eravamo lì c'è stato un incontro fra i partiti di governo, fra cui è compreso il partito islamico, e si prevedeva anche una sorta di «rimpasto» che ristrutturi il governo e renda più organica la presenza delle due forze fondamentali. Questo è quello che abbiamo sentito.

  JACOPO ARBARELLO, giornalista di Sky News Italia. Detto questo, a Kasserine e sul monte Ciambi in questi anni l'esercito tunisino ha impegnato 10 mila uomini. L'intera zona è completamente militarizzata, non ci si può andare e quando siamo andati, a un certo punto, ci hanno bloccato, perché abbiamo incontrato una ragazza che era stata colpita dai terroristi, il fratello era stato ammazzato, i terroristi l'avevano ripagata con 70 euro; però, il contatto con i terroristi effettivamente c'è, in particolare in questo quartiere dove apparentemente alcuni si nascondono, 8 mila militari sono usati dall'Algeria ed è una battaglia non vinta.
  Come reclutano i militanti? Arrivano sia da questa città, che è molto marginalizzata ed esclusa dallo sviluppo, che dalle altre, in particolare dalle periferie. Anche degli attentatori del Bardo uno, nella cui casa sono stato a marzo, viveva nella periferia di Tunisi, ma quando siamo andati lì davanti, a un certo punto, mentre stavo camminando con il cameraman, ci è arrivato un pezzo di cemento addosso: avevano deciso di non spararci, ma non eravamo graditi. In entrambi i luoghi avete visto questi benzinai che ho anche ripreso, c'è un passaggio di petrolio e di benzina enorme; a Kasserine sembra essere la principale attività economica, perché la città è davvero depressa.
  Le cifre dei foreign fighter tunisini oscillano da 3 mila a 5 mila, che sarebbero nelle fila del Daesh a combattere fra Siria, Iraq e Libia: ciò dà la misura di quanto la propaganda islamica, in un Paese moderato come la Tunisia, faccia presa. Sono 80 le moschee che il Governo voleva chiudere all'indomani degli attentati, quella piccolina dove andava l'attentatore effettivamente era impressionante: una piccola porta azzurra in un vicolo, e lì può avvenire di tutto, ci hanno raccontato di intere settimane di sedute con i suoi amici salafiti.
  I terroristi del monte Ciambi e del monte Salloum, che fanno parte di una vicenda che in Italia si conosce davvero poco, fanno parte di Ansar al-Shariah e di Al Qaeda nel Maghreb islamico, ma quando colpiscono improvvisamente diventano affiliati al Daesh.
  Questa battaglia non è vinta in Tunisia; sicuramente la marginalizzazione e la povertà di tutto il Paese è poco chiara in qualsiasi dibattito. Vediamo una faccia della Tunisia, ma essa è vera soprattutto a Tunisi e nei luoghi turistici. La costante uscendo da lì, come tutte le nostre guide ribadivano, era che non è come siamo abituati a vederla: bisogna stare attenti, la telecamera non può uscire, le donne si devono coprire.

  PRESIDENTE. Grazie. Per quanto riguarda la Tunisia, ho la stessa immagine di due realtà completamente diverse. A parte Tunisi, anche sulla costa hai un tipo di realtà, a Kasserine, in montagna, è un'altra situazione, è una terra di nessuno, e il Pag. 10rapporto uomo-donna è totalmente diverso.

  ANDREA MANCIULLI. Parto dalla vicenda tunisina: condivido la ricostruzione e La ringrazio per averla raccontata. Ci sono alcuni elementi nuovi, perché proprio ieri la Tunisia ha siglato un accordo di collaborazione con l'Algeria, che, a mio avviso, rappresenta un punto molto importante. C'erano state diverse riunioni finite male, perché non è semplice. Bisogna ricordare che queste sono zone spesso popolate da etnie particolari, perché etnie Berbere, Cabili e Tuareg hanno un comportamento socio-antropologico molto specifico, per cui il contrabbando di vario tipo è insito nella loro natura.
  In Francia è uscito un bellissimo libro di uno storico che ha approfondito i rapporti della «coloniale» francese su questi comportamenti, ed è evidente che il terrorismo in questa zona si è molto compenetrato con questo modo di fare. Per molto tempo si è anche parlato di un accordo con tali popolazioni, che complica molto la situazione perché, se si ha come alleato qualcuno che da secoli si occupa di contrabbando di armi, diventa tutto più difficile.
  Il vero punto, che mi pareva emergesse da quanto si diceva, è se ci sia un accordo vero tra Algeria e Tunisia. L'Algeria sta utilizzando mezzi imponenti, molto più grandi di quelli che sta mettendo la Tunisia nel contrasto al terrorismo, anche perché sono molto spaventati: in Algeria c'è una situazione in evoluzione, c'è una fragilità del cambio di leadership e poi ci sono i precedenti noti, il «periodo d'oro» dell'Algeria.
  Il vero punto è il confine con la Libia. Il presidente aveva raccontato di questa disponibilità di Ennahda sostanzialmente sulla legge antiterrorismo, però ieri Ghannouchi si è pronunciato in maniera molto dura contro la protezione del confine. Credo che qui ci sia il vero nodo del quale bisogna occuparsi; e su questo mi farebbe piacere conoscere la Sua opinione, perché, a mio avviso, questa è la parte più debole del ragionamento. Del resto, anche dalle evidenze di varie intelligence questo è il punto nel quale si immagina, anche per il futuro, il maggior transito.
  Ho apprezzato molto il servizio di Formigli, che, del resto, lavora su queste cose da molto tempo; però, in ambito NATO c'è uno studio «di fattibilità» di un intervento via terra, che si sta cercando di preparare. Il vero nodo a me appare sempre di più Mossul, perché è senza dubbio la città nella quale il Daesh ha concentrato la sua capacità di resistenza; innanzitutto ha minato tutta la città, che è molto grande. Credo che questo sia il vero punto di svolta politica, perché è evidente che i curdi non possono riuscire a prendere Mossul: mentre tutto il resto, anche aiutandoli, è possibile, il nodo Mossul è irrisolvibile senza qualcuno di logisticamente molto forte.
  Vorrei quindi chiedere a Formigli se gli accordi di ieri con l'Iran possano aiutare a risolvere questo nodo, che, a mio avviso, è quello fondamentale per sconfiggere il Daesh.

  ERASMO PALAZZOTTO. Ringrazio i nostri ospiti, per la loro presenza e per il lavoro che hanno svolto. Vorrei ringraziare anche il presidente Cicchitto, per questa occasione e per avere messo assieme due questioni su cui la Commissione ha fatto un lavoro: sebbene apparentemente sembrino due questioni totalmente scollegate, perché hanno contesti totalmente diversi, sono invece collegate da una linea rossa che determina il fronte reale della guerra al Daesh in questo momento.
  La Tunisia come l'esperienza di Kobane, rappresentano due punti cruciali di sfida sul piano culturale, politico e anche sociale rispetto al Daesh, molto più della modesta resistenza militare: modesta dal punto di vista dei risultati, perché, sebbene i curdi siano eroici, poiché con mezzi di fortuna hanno contrastato un esercito armato fino ai denti e sono riusciti a tenere Kobane, non stanno avanzando; anche se le ultime notizie ci testimoniano che hanno conquistato una città che sta creando molti problemi – da cui anche l'offensiva del Daesh – perché interrompe il flusso tra Mossul e Raqqa, cioè tra la capitale del «califfato» e il suo centro economico, militare e strategico, che è Mossul, come veniva qui ricordato. Pag. 11 Mentre credo, quindi, che ciò sia chiaro per il lavoro parlamentare e di questa Commissione, nonché per chi è andato sul campo, un altro tema centrale è quello di raccontare all'opinione pubblica cosa rappresentino queste due realtà, non solo dal punto di vista militare. Dal punto di vista della democrazia e della convivenza tra i popoli, la Tunisia e Kobane rappresentano qualcosa del tutto innovativo: soprattutto Kobane, dove, nel territorio attualmente più inospitale del pianeta, è stata messa in campo un'esperienza di democrazia e di autogoverno molto avanzata, che oggi si pone anche come un punto decisivo – lo dico anche al collega Manciulli – rispetto al tema dell'offensiva militare. L'ultimo attentato è stato infatti compiuto da infiltrati che indossavano le divise del Free Syrian Army, perché i curdi, dopo la riconquista di Kobane, hanno riallargato il terreno dell'offensiva politica e hanno concluso un accordo con una serie di soggetti, tra cui appunto il Free Syrian Army, per coordinare le azioni militari sulla base del documento sottoscritto, che prevede un progetto per una Siria democratica: cioè si stanno ponendo il tema della ricostruzione della Siria, del dopo.
  Credo che questo sia il punto centrale su cui concentrarci, cioè l'idea che, oltre alla sconfitta militare di Daesh, noi dobbiamo sconfiggere le cause che hanno portato a quel predominio assoluto, e quindi immaginare quale sarà il dopo, dobbiamo difendere il presente di una realtà come quella tunisina che sul piano di genere e di avanzamento è straordinaria in quel contesto, e abbiamo bisogno di fare la nostra parte. L'onorevole Manciulli è presidente della delegazione NATO: la Turchia è un Paese NATO e dobbiamo intensificare il nostro lavoro e le nostre pressioni affinché la Turchia apra questi benedetti valichi di confine per far passare gli aiuti umanitari. Il 15 settembre ci sarà una manifestazione internazionale che proverà a forzare il confine con Kobane, e non possiamo lasciare agli attivisti e alla società civile internazionale il compito di riaprire quei valichi, perché i governi e la politica hanno delle responsabilità.
  Una postilla come aggiornamento: dopo essere intervenuta in Commissione, la delegazione, da Rojava è andata a Bruxelles, dove si è tenuta una conferenza internazionale per la ricostruzione a cui hanno partecipato moltissime ONG, e pare che si sia raggiunto l'accordo per far transitare almeno alcuni aiuti umanitari; non tutti, perché alcuni continueranno a passare, con, gravi difficoltà, da Erbil. Però, credo che anche questo debba essere raccontato all'opinione pubblica.

  JACOPO ARBARELLO, Giornalista di Sky News Italia. Per quanto riguarda il confine, a me pare che, visto come esso è attualmente e anche con l'esperienza nel 2011 a Bengasi – mi pare che anche Corrado ci andò – si tratta di un confine analogo a quello fra Egitto e Libia: si può passare da tutte le parti, è piatto e infinito, ma senza una soluzione politica controllarlo in quella maniera è impossibile.
  A testimonianza di quanto sia sensibile la Tunisia per l'Italia, ricordo che vi andai per la prima volta tantissimi anni fa perché prima di Sky lavoravo a Banca Intesa, e vi era un canale di televisione interna, Banca Intesa finanzia tantissimi imprenditori italiani e uno dei Paesi dove c'era la maggiore delocalizzazione nel mondo di imprenditori italiani, in particolare del tessile e della piccola imprenditoria lombarda, era proprio la Tunisia. Perdere la situazione di una realtà di quel genere è un danno anche per l'economia italiana, oltre che un rischio evidente, visto che la Sicilia da lì si vede. È un Paese davvero strategico, ed è un Paese che è ancora in pace.

  CORRADO FORMIGLI, Giornalista di La7. Sulla questione dell'Iran è evidente che, siccome non si capisce come esso si possa attuare, nessuno è in grado di dare una risposta chiara sulle possibilità di fare oggi un intervento militare e una coalizione per sconfiggere il Daesh. Sicuramente, essendo la questione del cosiddetto Stato islamico il segno soprattutto di una guerra interna al mondo islamico, una guerra tra sciiti e sunniti, tra componenti sciite e sunnite, tra Stati a maggioranza sciita e Pag. 12sunnita, è evidente che l'accordo con l'Iran è fondamentale per cercare di stabilizzare tutta quella regione, e che l'accelerazione nel negoziato sul nucleare sia dovuta alla presa di coscienza che senza l'Iran non si può combattere il «califfato nero».
  Del resto, l'Iran è già coinvolto, a quanto so, nel contenimento dell'avanzata del Daesh nel territorio iracheno, in quanto c'è un accordo informale, che nessuno confermerà ufficialmente, per cui i peshmerga curdi iracheni sono già supportati da intelligence e militari iraniani che entrano nel confine iracheno dall'Iran proprio per aiutare a tenerlo a distanza dai confini iraniani.
  Da questo punto di vista, l'Iran è una risorsa strategica fondamentale, e mi sembra si tratti del primo vero atto, a livello internazionale, di presa di coscienza e di combattimento nei confronti del cosiddetto Stato islamico con le armi della diplomazia e del negoziato.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.